Terra e Gusto
Agroforestazione, piante
diverse sullo stesso terreno
Pratica auspicata da Consiglio per la ricerca in agricoltura
Redazione ANSA ROMA
08 ottobre 201518:34 Agroforestazione, piante
diverse sullo stesso terreno © ANSA/ANSA
ROMA - Far pascolare animali in un oliveto, piantare alberi da frutto in un campo di mais, seminare
soia in un vigneto. Si chiama Agroforestazione ed è un insieme di pratiche agricole che consente di
produrre di più sullo stesso terreno, ma in modo più sostenibile. Ad occuparsene da tempo è il
Consiglio per la ricerca in agricoltura (Crea).
"Si tratta di una pratica antica, ma allo stesso tempo estremamente moderna - spiega Adolfo Rosati,
ricercatore del Crea Colture arboree di Spoleto -. L'Italia è ricca di sistemi agroforestali tradizionali,
dalle viti maritate ai seminativi arborati, ai pascoli nei frutteti e oliveti. Ma è indietro nello sviluppo
di innovativi sistemi agroforestali che combinino i vantaggi ecologici e ambientali delle
consociazioni con la meccanizzazione e l'efficienza necessarie per rendere tali sistemi competitivi
ed economicamente vantaggiosi".
Combinando intelligentemente alberi, colture e/o allevamenti, spiega il ricercatore, si possono
sfruttare le sinergie tra loro possibili per produrre di più e in modo più sostenibile. Ad esempio,
colture invernali (cereali, colza) possono crescere tra le file di alberi caducifogli che, essendo spogli
durante la maggior parte del ciclo delle colture invernali, poco interferiscono sulla loro produttività;
il tutto aumentando la produzione dello stesso ettaro di terra. Associando colture e produzioni
legnose, l'agroforestazione può favorire anche il 'matrimonio' tra la produzione ai fini energetici con
quella alimentare.
Riportare gli alberi sui campi
di Redazione | 18 settembre 2015 in Agriesperti · 0 Commenti
Agroforestazione è un nome nuovo per indicare una pratica che era la norma nella agricoltura preindustriale: la coesistenza sulla stessa parcella di alberi o siepi e di colture annuali o animali in un
sistema misto. L’introduzione della monocultura e della meccanizzazione, che ha caratterizzato
l’industrializzazione della agricoltura moderna e ne è oggi una nota descrittiva, ha eliminato le
consociazioni di ogni tipo, in quanto difficili da gestire con fertilizzanti, o pesticidi e mezzi tecnici
per lo più monospecifici e da lavorare con grossi macchinari.
Ma, rinunciando in toto alla vecchia e tradizionale consociazione, se ne sono persi anche i vantaggi
ambientali: la naturale vocazione dell’albero a fertilizzare e stabilizzare il suolo e degli animali a
tenere sotto controllo la vegetazione e a concimare. Perché spendere soldi e gasolio (con relativo
impatto ambientale) per diserbare un frutteto o un vigneto, se possono farlo a costo zero degli
animali? Trasformando l’erba un una produzione aggiuntiva nello stesso ettaro di terra? Perché non
seminare una coltura invernale sotto un arboreto caducifolio (pioppeto, meleto) che non ha foglie e
quindi non produce nulla nel periodo autunno-primaverile? Tutto questo è agroforestazione! Oggi
l’agroforestazione torna poco a poco in discussione perché, grazie a innovativi modelli, è all’altezza
dei nuovi obiettivi dell’agricoltura moderna: aumentare la produzione per unità di superficie,
migliorare la fertilità dei suoli, aumentare la biodiversità, rinforzare la lotta biologica, controllare
l’erosione, diversificare i redditi di gestione, ridurre gli apporti energetici. Un contributo a
diffondere la conoscenza su questo tipo di gestione agronomica è stato dato da un recente congresso
organizzato nella cornice di EXPO dall’EURAF (European Agroforestry Federation o Federazione
Europea per l’Agroforestry) dal titolo “Agroforestry: nutrire il pianeta ed offrire energia in modo
sostenibile“. Ne abbiamo parlato con Adolfo Rosati del CREA (Consiglio per la Ricerca in
Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria), coordinatore dell’evento.
L’agroforestazione ha tanti benefici ambientali. Ma per un’azienda agricola anche i conti
devono tornare…
Innanzitutto l’agroforestazione e un metodo di intensificazione colturale )piu’ coltivazioni sulla
stessa parcella) che, se ben studiato, porta a produzioni maggiori per unità di superficie. Poi, non
dimentichiamo che molti vantaggi ambientali si traducono anche in vantaggi economici: una
migliore struttura del suolo significa una minore perdita di acqua e nutrienti e, quindi, minore
necessità di fertilizzazione e irrigazione, oltre a minori spese di lavorazione; il controllo delle erbe
infestanti operato dagli animali significa qualche passaggio in meno in campo con il trattore; gli
alberi possono produrre frutti, legname da costruzione o da bioenergia e quindi costituiscono
anch’essi un ulteriore rendita. Quindi con un sistema agroforestale ben studiato è possibile
aumentare il raccolto e diversificarlo, combinando più colture e/o animali sulla stessa parcella,
sfruttandone la complementarità e le sinergie tra i diversi componenti.
Cosa significa “ben studiato”?
Un sistema agroforestale che funzioni deve combinare colture e/o allevamenti che siano compatibili
sia da un punto di vista ecologico, sia dal punto di vista della coltivazione, oltre ad avere un mercato
per il prodotto. Ad esempio, le colture non devono richiedere trattamenti o interventi meccanici che
siano incompatibili con le altre colture/animali consociati. È necessario studiare a tavolino le colture
da consociare anche in base alla realtà della singola azienda. Si tratta sicuramente di un sistema più
complesso da gestire della monocoltura, ma anche un sistema che potrebbe riportare l’agricoltore al
suo vero ruolo di imprenditore economico e dell’ecosistema…
Perché, oggi non è così?
Personalmente ritengo che l’agricoltura industrializzata abbia limitato il ruolo dell’agricoltore. Non
è più l’agricoltore che decide cosa fare sui campi e quando. I trattamenti sono a calendario, scritti in
etichetta o suggeriti dai consorzi e determinati dall’industria; le colture vengono decise da regole di
mercato, da associazioni o consorzi. Questo ha reso meno indispensabile la conoscenza in
agricoltura; quella conoscenza che permette di interpretare la salute di un agrosistema tramite
indicatori ecologici ben precisi, di adottare misure di intervento che siano compatibili con
l’ambiente; una conoscenza che permette di sperimentare nuove vie di produzione perché fornisce
gli strumenti conoscitivi per portarle avanti, per leggere i risultati e trovare eventualmente nuove
soluzioni. L’agroforestazione – come anche altre tecnologie alternative quali ad esempio
l’agricoltura conservativa che minimizza le lavorazioni del suolo o l’agricoltura biologica –
richiedono il recupero di vecchie conoscenze e soprattutto lo sviluppo di nuove conoscenze,
richiedono una agricoltura basata sulla conoscenza dei processi agroecologici e dell’ambiente, oltre
che del mercato, per una produzione maggiore e allo stesso tempo più sostenibile. Ed è in primis
l’agricoltore che deve avere questo sapere, calibrandolo poi sulla propria azienda, cosa che solo
l’agricoltore può fare.
Come introdurre l’agroforestazione in un’azienda moderna?
Adattando i principi tradizionali a contesti di gestioni moderne: ad esempio basse densità di alberi a
ettaro, sesti distanziati, filari regolari a distanze multiple delle macchine per consentire la
meccanizzazione, produzioni diversificate. Si tratta cioè di conciliare e combinare le innovazioni e i
vantaggi dell’agricoltura meccanizzata con i principi ecologici che abbiamo dimenticato o che non
abbiamo sviluppato sufficientemente, di modernizzare l’impianto, mantenendo il principio. In molti
PSR regionali ci sono misure di finanziamento per l’impianto degli alberi in sistemi agroforestali,
ma l’agroforestazione, vista la sua ampiezza tematica (alberi colture ed animali) trova possibilità di
finanziamento anche indirettamente tramite altre misure, come quelle agroambientali, quelle di
prevensione degli incendi ecc.
Rimane un dato di fatto: pochi la conoscono e pochi la praticano…
Questo è vero per l’Italia. In Francia, ad esempio la situazione è già diversa. Ci sono associazioni
agroforestali molto forti che fanno lobby nel sistema politico e forniscono informazioni agli
agricoltori, mettendoli in rete tra loro. In italia è necessario uno maggiore sforzo collettivo del
mondo agricolo, politico e della ricerca per poter affermare questo tipo di gestione dell’azienda che
– lo ripeto – porta sia vantaggi economici che ambientali. Occorre fare rete per condividere le
esperienze e per poter fare massa critica in modo che anche a livello legislativo questa gestione dei
campi venga rappresentata. Per questo suggerisco caldamente a chiunque avesse interesse, di
entrare in contatto con le associazioni che in Italia si occupano di questo tema e con le aziende che
già hanno esperienza in questo tipo di gestione. Ma sottolineo: costruire significa in questo caso
provare. E provare significa innanzitutto rispolverare le vecchie competenze agricole ecologiche,
ma anche acquisire tutto quanto utile c’è di nuovo, dall’agroecologia alla tecnologia, per poi
sperimentarlo sui propri campi.
Per maggiori informazioni consigliamo la pagina della associazione italiana agroforestazione
(AIAF: http://www.agroforestry.it) e la pagina della Federazione Europea per l’Agroforestazione
(in inglese, EURAF: http://www.agroforestry.eu/)
Articolo di Maria Luisa Doldi
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