CORRENTE ELETTRICA
FISICA/MENTE
ALCUNE QUESTIONI CONNESSE CON
LA PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE
DELL'ENERGIA ELETTRICA
Roberto Renzetti
(2004)
PREMESSA
L'idea di scrivere queste pagine e di riprendere, ripescandovi, un mio vecchio lavoro del 1982, scritto per la
pubblicazione da Savelli, proprio quando Savelli fallì, rinasce con la cattiva informazione che su alcune delle cose che
intendo dire si ebbe un anno fa, in occasione del black out elettrico. Le cose oggi, rispetto al 1982 sono cambiate
di molto. All'epoca il sistema elettrico era di Stato, oggi è in mano ad un monopolio strozzino. All'epoca discutevo
di queste vicende a seguito del fatto che venivano diffuse cattive informazioni per poter entrare nell'affare
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nucleare. Oggi, sotto questo aspetto è cambiato poco: si danno cattive informazioni per poter continuare a
lucrare risparmiando su molte delle cose di cui un sistema elettrico DEVE disporre.
Debbo iniziare da alcuni concetti base di elettricità e magnetismo. Salterò il più possibile ogni cosa che
è normale informazione di un testo a livello secondario (nell'ipotesi ottimistica che qualcuno abbia, ai nostri tempi, letto
qualcosa su quei libri e non abbia invece dedicato quel tempo a preparare un percorso sull'Isola dei famosi). Discuterò
solo di ciò che ritengo informazione indispensabile e propedeutica a quanto seguirà.
LA CORRENTE ELETTRICA ALTERNATA
La corrente elettrica continua è certamente molto utile in diverse applicazioni ma di gran lunga la più usata, oggi
è la corrente alternata (c.a.). Più del 90% della corrente che oggi si usa nel mondo è di tipo c.a.. I motivi del maggior uso
di c.a. sono essenzialmente due. Il primo risiede nel fatto che essa può essere trasportata più facilmente e più a buon
mercato dal luogo di produzione al luogo di utilizzo (e questo soprattutto perché, come vedremo, essa può
venire "trasformata"). Il secondo è che la c.a. è più versatile e può avere usi ed applicazioni per le quali non potrebbe
essere utilizzata la corrente continua c.c. (ad esempio nel campo delle radio e telecomunicazioni).
Il fenomeno alla base della corrente alternata fu scoperto da Faraday nel 1831 e va sotto il nome di
induzione elettromagnetica. Faraday scoprì che quando si muove un magnete nelle vicinanze di un circuito elettrico
(senza generatore) in questo circuito circola una corrente che alternativamente si muove in un verso e quindi in
quello opposto. Allo stesso modo si ottiene corrente indotta quando, anziché muovere un magnete nelle vicinanze di un
circuito, muoviamo il circuito nelle vicinanze del magnete (in definitiva ciò che interessa è il moto relativo di magnete e
circuito).
Se quindi otteniamo corrente indotta in un circuito quando rispetto ad esso c'è il movimento di un
magnete, evidentemente dovremo avere ai capi del circuito una tensione responsabile della circolazione di corrente.
Per capire meglio, comunque, serviamoci
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Figura 1
della figura 1 in cui è riportata una semplicissima macchina che rappresenta, nella sua forma più semplificata,
un generatore di corrente alternata. Si ha un magnete permanente di tipo a ferro di cavallo o ad U dentro il quale vi è un
circuito elementare (un filo metallico, a forma di rettangolo) che ha le estremità saldate a due cilindretti metallici. I
cilindretti (che nel loro insieme si chiamano collettore) sono poggiati fermamente su due placchette metalliche S ed S'
che, tramite un filo conduttore, chiudono su uno strumento di misura di piccole correnti, un galvanometro G.
Se mediante una manovella si pone in rotazione la spira rettangolare (intorno al suo asse passante attraverso
i cilindretti) vedremo l'indice di G muoversi alternativamente verso destra e verso sinistra. Ciò vuol dire che dentro la
spira rettangolare circola corrente, prima in un verso quindi nel verso opposto (poiché la corrente è in
prima approssimazione un moto di elettroni, il passaggio di corrente in un verso ed in quello opposto, vuol solo dire
che gli elettroni della spira oscillano alternativamente in un verso ed in quello opposto. Questa è una corrente alternata
elementare che cessa se cessiamo di far ruotare la spira dentro il campo magnetico del magnete ad U (osservo che, se al
posto di G sistemassimo un misuratore di differenza di potenziale o tensione o forza elettromotrice V, troveremmo che,
come per la corrente, anche la tensione avrebbe un andamento oscillante). Se ai due capi della spira ruotante si collega
un utilizzatore (nel nostro caso una piccola lampadina) avremo che tale lampadina si illuminerà fintantoché ruoteremo
la manovella con sufficiente energia. Stesso effetto si ha se, come detto, invece di far ruotare la spira e mantenere il
magnete fisso, facciamo ruotare il magnete e manteniamo la spira fissa (è appena il caso di dire che, al posto
del magnete, ha effetti molto più vistosi un elettromagnete). Dico subito che l'energia elettrica che abbiamo
generato nasce a spese dell'energia meccanica che si impiega per girare la manovella (nessuno si illuda, la creazione
di un qualcosa dal nulla è solo questione metafisica). Vediamo più in dettaglio quali sono le grandezze in gioco e come
varia la corrente (e la tensione) al variare della posizione della spira (indotto o rotore se è essa a muoversi) dentro il
campo magnetico del magnete (induttore o statore se è esso a essere mantenuto immobile).
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Per fare le cose annunciate, occorre iniziare con il dare il concetto di flusso (che si indica con la lettera greca F leggi fi). E' a tutti noto che, nelle vicinanze di un magnete, esiste una zona in cui si risente l'azione del magnete stesso.
Questa zona è chiamata campo magnetico e la sua intensità, che si indica con B (più precisamente sarebbe H ma B è
proporzionale ad H), varia al variare delle caratteristiche del magnete. Un modo schematico di rappresentare la
situazione è con delle linee, dette linee di forza, che rappresentano le linee lungo cui si esercita o si eserciterebbe l'azione
del magnete. Maggiore è l'intensità del magnete e più linee di forza rappresentano, in un disegno schematico, il suo
campo. Il verso di tali linee è, convenzionalmente, quello che va dal Nord al Sud del magnete (figure 2 e 3).
Figura 2: Le linee di forza del campo magnetico nel caso di un magnete ad U.
Figura 3: la spira ruotante dentro il campo B del magnete.
Quando poniamo in un campo magnetico un conduttore avvolto a spira, la sua superficie sarà attraversata da un
maggiore o minore numero di linee di forza (flusso) a seconda dell'inclinazione della spira rispetto alle linee di
forza stesse, a seconda dell'estensione della superficie della spira ed a seconda dell'intensità del campo magnetico
(poiché più intenso è il campo, maggiore è il numero delle linee di forza che lo rappresenta).
Dato allora un campo magnetico costante e fissata una spira di data superficie che ruota nel campo, il flusso delle
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linee di forza del campo magnetico attraverso la superficie della spira varierà al variare dell'inclinazione della
spira stessa rispetto alle linee di forza del campo. Ebbene proprio questa variazione di flusso è responsabile dell'
originarsi ai capi della spira di una tensione che sarà tanto più grande quanto maggiore è la variazione di flusso
e, aggiungo, quanto minore è il tempo in cui la variazione di flusso è stata ottenuta; e nel moto della spira nel campo
magnetico la tensione ai capi della spira non assumerà valore costante ma varierà in relazione alla variazione di flusso.
Più in particolare la tensione in oggetto: sarà nulla nell'istante in cui la spira risulta perpendicolare alle linee di forza
del campo, quando cioè il flusso è massimo; sarà massima nell'instante in cui la spira risulta parallela alle linee di
forza del campo, quando cioè il flusso è nullo; assumerà valori intermedi quando la spira si trova a formare un angolo
compreso tra 0 e 90 gradi con le linee di forza del campo. Quindi il passaggio tra il valore zero ed il valore
massimo della tensione (quando la spira è ruotata di 90°) non avverrà in modo netto ma graduale nel tempo, come
mostrato in figura 4a (a rappresenta l'angolo percorso dalla rotazione della spira mentre t il tempo impiegato dalla
spira nel ruotare). Una volta poi che la tensione ha raggiunto valor massimo essa ritornerà di
Figura 4: ho evidenziato un lato della spira in modo da far seguire meglio il suo moto.
nuovo a zero poiché la spira continua a ruotare e quindi di nuovo (dopo aver ruotato di 180°) si troverà perpendicolare
alle linee di forza del campo (fig. 4b). A questo punto le cose riprendono come prima ma con una importante
osservazione. Ora le linee di forza del campo, che prima entravano da un lato della superficie della spira, entrano dal
lato opposto della stessa, superficie (fig. 4b). Si avrà allora sempre una crescita della tensione dal valore zero al valore
massimo (la spira è ruotata di 270°) ma questa volta in senso negativo (fig. 4c). Proseguendo la rotazione la spira si
troverà di nuovo perpendicolare (la spira è ruotata, di 360°: un giro completo) alle linee di forza ma questa volta
esattamente come si trovava all'inizio del processo: avremo quindi di nuovo tensione nulla ma saremo pronti a
ricominciare il tutto esattamente allo stesso modo visto fino ad ora man mano che continua la rotazione della spira.
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Figura 4
Un andamento della tensione come quello riportato in figura 4d è chiamato sinusoidale. E la tensione
ottenuta dalla rotazione di una spira in un campo magnetico è chiamata alternata perché passa successivamente da
valori positivi a valori negativi proprio con andamento sinusoidale (al contrario di quanto avviene per la tensione
continua la quale mantiene costante nel tempo il suo dato valore).
Ora è chiaro che ad ogni giro completo della spira nel campo del magnete si genererà una figura completa come
quella di figura 4d; pertanto, all'aumentare del numero dei giri della spira, si avrà una figura come quella riportata
in 5.
Figura 5: Una sinusoide che rappresenta tre giri completi della spira nel campo (con V ho indicato la tensione ai capi della spira).
Come abbiamo visto, una rotazione completa della spira corrisponde al primo tratto nero di figura 5. A questo tratto si
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dà il nome di periodo o ciclo. Poiché la spira fa in genere più giri al secondo è importante definire la frequenza di
una tensione alternata che corrisponde appunto al numero dei cicli al secondo. Si pensi che la tensione alternata,
che comunemente usiamo in Italia, fa 50 cicli al secondo. Poiché poi alla quantità "ciclo al secondo" si da il nome di
Hertz (Hz), si dice che la tensione di rete ha una frequenza di 50 Hz.
Altre grandezze che vanno definite sono l'ampiezza e la lunghezza d'onda. Sempre riferendoci alla figura 5, la
distanza tra A e B (tra il massimo positivo ed il massimo negativo) di figura, rappresenta l'ampiezza della sinusoide
che ci dà la nostra tensione alternata, mentre la distanza tra C e D (tra due punti qualunque che delimitano un ciclo)
rappresenta la 1unghezza d'onda della tensione in oggetto. Resta da parlare della fase, per quanto ci servirà in seguito.
Supponiamo di avere due generatori di tensione alternata che partano allo stesso istante e facciano girare le loro
spire esattamente alla stessa velocità. Le due sinusoidi che rappresentano le due tensioni prodotte cominceranno e
finiranno simultaneamente così come passeranno per i loro punti caratteristici, di massimo e di zero, allo stesso tempo
(fig. 6). Due tensioni prodotte in questo modo con loro curve come in figura 6 si
Figura 6:
due tensioni (V) o correnti (i) in fase tra di loro (sull'asse orizzontale è riportato l'angolo di rotazione della spira (a) o il tempo (t)
che essa impiega a percorrere tale angolo.
dicono in fase. Se invece le tensioni hanno un andamento come quello mostrato in figura 7, allora le due tensioni si
dicono semplicemente sfasate l'una rispetto all'altra. Osservo a
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Figura 7: due tensioni (ma potrebbero essere correnti o tensioni e correnti) sfasate di un angolo f.
parte una cosa forse ovvia: affinché due tensioni (o correnti) siano in fase non è necessario che abbiano stesse ampiezze
(fig. 8). La fase viene indicata con la lettera
Figura 8
greca minuscola f (leggi fi). Quando due sinusoidi sono in fase si dice che f = 0; quando sono sfasate f assume un valore
compreso fra 0° e 90° ( l'indicare la fase con i gradi è in accordo col mettere in relazione una sinusoide con l'inclinazione
della spira nel campo magnetico).
Vedremo subito a cosa ci è servito parlare di fase. Un generatore di tensione alternata se collegato ad un
utilizzatore qualunque fa circolare in esso una corrente che sarà allo stesso modo alternata. La corrente alternata avrà
generalmente un'ampiezza diversa da quella della tensione allo stesso modo che fase diversa (ci troviamo
nelle condizioni di figura 7 con la sola differenza che, in luogo di V2, si deve leggere I1 (figura 9).
Figura 9: Sfasamento che in generale si ha tra tensione e corrente.
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La differenza di ampiezza tra tensione e corrente non crea problemi di sorta (fig. 10 ed 11)
Figura 10
Figura 11: Varie situazioni di sfasamenti tra tensioni e correnti alle quali faremo riferimento in seguito:
a - tensione e corrente sono in fase
b - corrente in ritardo di 90° rispetto alla tensione
c - corrente in anticipo di 90° rispetto alla tensione
d - corrente in opposizione di fase rispetto alla tensione
e - corrente e tensione sfasati in un modo qualunque
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ma la differenza di fase si riflette direttamente sulla potenza che il generatore può erogare, cioè su quella cosa che noi in
definitiva dobbiamo utilizzare. Per vedere come stanno le cose e definire altre grandezze, partiamo con una
domanda. Poiché la tensione e la corrente sono alternate, dovendo noi dare un numero che ci dica qual è la tensione o la
corrente, che numero diamo se appunto i loro valori variano nel tempo? Nel calcolo delle correnti di uscita di un
generatore sarebbe ovviamente errato usare il valore massimo (Imax) della corrente poiché per la gran parte dell'intero
ciclo la corrente si mantiene più bassa del valore massimo (Imax). Si è allora introdotta una grandezza, il valore efficace,
che tra l'altro ha il grande vantaggio di mettere in relazione la c.a. con la c.c. Si definisce valore efficace di una corrente
alternata (Ieff ) il valore che dovrebbe avere una corrente continua, per produrre, nelle stesse condizioni di resistenza e
nello stesso tempo, una uguale quantità di calore. La stessa cosa vale per la tensione efficace (Veff ). Si e poi calcolato
che esiste una precisa relazione tra valori efficaci e valori massimi di corrente e tensione, come riportato nelle seguenti
relazioni:
Se ora ricordiamo l'espressione per la potenza (media) che un generatore di c.c. può fornire (W =V. I), viene spontaneo
dare una relazione analoga a patto di introdurre in luogo di V ed I i valori efficaci della tensione e della corrente che
ora consideriamo:
W = Veff . Ieff
ebbene queste relazione è valida solo quando tensione e corrente sono in fase, cioè quando f = 0. Nel caso più generale di
tensione e corrente sfasate, la potenza (media) che un generatore di c.a. può erogare è sempre minore del valore ora
visto. E' stato dimostrato da Galileo Ferraris verso la fine dell'Ottocento che la formula che tiene conto delle sfasature
tra correnti e tensioni deve essere scritta introducendo in essa un fattore compreso fra 0 ed 1 e strettamente legato al
valore delle sfasature. Questo fattore (si chiama fattore di potenza), si scrive "cos φ " e si legge coseno di fi. Esso è
appunto un numero che cambia al mutare di φ ; al massimo può assumere il valore 1 quando φ = 0, cioè quando
tensione e corrente sono in fase (ed allora ritroviamo la formula precedentemente vista); assume invece il valore
zero quando φ = 90° cioè quando tensione e corrente sono sfasate al massimo infine assume tutti i valori che vanno
da 0 ad I al variare di φ da 0° a 90°. La formula finale per la potenza (media) che un generatore può erogare si
può quindi scrivere:
W = Veff . Ieff . cos φ .
Si osservi che quando cos φ = 0 risulta W = 0. In tal caso il generatore, anche se fornisce elevati valori efficaci di
V e di I, non è in grado di compiere lavoro verso l'esterno; in questo caso i watt prodotti dal generatore non
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vengono che in minima parte forniti all'utilizzatore: in gran parte essi vengono riassorbiti dallo stesso generatore. In
questo caso (cos φ = 0) la corrente si dice swattata, non e in grado cioè di fornire potenza. Nelle applicazioni
industriali si tende evidentemente, con artifici tecnici e nei limiti del possibile, ad avere un sfasamento molto piccolo in
modo da rendere cos φ il più possibile vicino ad uno.
GLI ALTERNATORI
Ho dato in figura 1 all'inizio del paragrafo precedente un disegno schematico di un alternatore, di una sorgente
cioè di corrente alternata. E' ora opportuno dare maggiori dettagli sia costruttivi che di funzionamento.
Un alternatore è una macchina sincrona, cioè una macchina funzionante a velocità rigorosamente costante
che serve per trasformare l'energia meccanica (di rotazione di una sua parte) in energia elettrica (tra le macchine
sincrone vi sono anche i motori che servono invece a trasformare l'energia elettrica in energia meccanica).
Gli alternatori sono macchine che possono produrre potenze e tensioni elevatissime. Diciamo subito quindi che la
spira in realtà non è una spira ma una bobina di N spire, per rendere l'effetto N volte più grande, e che il magnete
non è un magnete permanente ma un elettromagnete, perché con gli elettromagneti si ottengono valori molto più elevati
del campo B. Inoltre lo schema semplificato usato per gli alternatori è quello che vede i ruoli di campo magnetico e spira
di figura 1, invertiti (fig. 12 e fig. 14). Per una serie di motivi costruttivi, si preferisce far ruotare il campo magnetico e
mantenere la spira fissa (lo schema di figura 1 è generalmente usato, con opportune modifiche, per produrre corrente
quasi continua con le dinamo). In figura 12 è mostrato uno schema ancora semplificato di alternatore: AA'BB' sono
un'unica spira fissa (vedi fig. 13) ed è quindi l'indotto; CD, che ruota intorno al suo asse passante per O, è invece
l'elettromagnete che ruota ed è quindi l'induttore.
Figura 12: nel disegno si vede la bobina ferma ed un solo magnete che ruota. Anche qui in rotazione non si ha un solo
elettromagnete, ma vari opportunamente sfasati (si dovrebbe intuire dalla fig. 14).
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Figura 13: la unica bobina dell'indotto di un alternatore.
Figura 14: disegno di uno dei primi alternatori. Si noti la spira in quante bobine si dipana. Vi è nel disegno una parte su
cui torneremo: un sistema che produce corrente continua montato sull'asse dell'alternatore (eccitatore). Capiremo oltre di cosa si
tratta.
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Figura 15: un moderno indotto (o statore).
Figura 16: l'induttore che ruota dentro l'indotto di fig. 15.
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Figura 17: disegno di rotore e statore messi insieme. Sullo sfondo si vede la parte che alimenta il tutto mediante energia termica o
meccanica. La turbina è fatta girare o da acqua in caduta o da vapore ad alta temperatura e pressione (è il caso di figura)
prodotto da svariati tipi di centrali termiche.
In pratica, cioè, si preferisce avere, per un alternatore, un induttore ruotante ed un indotto fisso. E'
abbastanza semplice rendersi conto del perché si preferisca questo arrangiamento. Come chiaro da quanto fin qui detto,
la tensione di uscita in un alternatore viene prelevata ai capi dell'indotto (della spira-bobina). Nel caso in cui l'indotto
ruoti, per prelevare questa tensione sono necessari contatti striscianti mediante anelli e spazzole (fig. 18a).
(a)
(b)
Figura 18: in (a) è riportato il sistema di anelli e spazzole che abbiamo già visto e che ci fornisce tensione e corrente alternata. In
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(b) il sistema permette di raddrizzare parzialmente la tensione e corrente alternata: ogni mezzo giro, anziché ogni giro, la
corrente riprende il verso che aveva all'inizio. Sezionando ulteriormente quei semianelli ci si può avvicinare sempre più ad
una corrente continua.
Nella fig. 18a ogni anello è saldato con un capo della spira ed è isolato dall'altro, oltre ché dall'asse di rotazione; man
mano che la spira ruota la tensione che si genera ai suoi capi si ritrova sui due anelli; i due anelli, nella rotazione,
strisciano su delle spazzole di carbone conduttrici che a loro volta sono collegate a dei fili conduttori ai capi dei quali si
preleva la tensione di uscita. Un sistema come quello descritto è chiamato, come già detto, collettore. Ebbene questo
sistema di prelievo della tensione funziona quando si ha a che fare con piccole potenze. Ma quando le potenze in gioco
sono molto elevate, al collettore si pongono gravi problemi di isolamento non sempre risolvibili. Per questo si preferisce
che l'indotto (da cui si preleva la tensione) sia fisso, in modo appunto da evitare contatti striscianti per il prelievo di alte
tensioni e correnti. Indotto fisso prevede però che l'induttore sia in rotazione e poiché per induttore, come accennato, si
preferisce un elettromagnete ad un magnete permanente, occorre inviare corrente all'induttore proprio per avere un
elettromagnete. Quindi ancora contatti striscianti per inviare corrente al rotore ma con una differenza fondamentale: le
tensioni e le correnti in gioco per eccitare il magnete sono di gran lunga più piccole di quelle che si hanno nel caso visto
prima (prelievo) e in questo caso si può realizzare un buon isolamento.
Un altro vantaggio che si ha nell'uso dell'indotto fisso è che si possono ottenere più alte velocità di rotazione
dell'induttore e quindi più alte tensioni (anche qui, senza entrare in dettagli, c'è alla base un problema di isolamento).
In definitiva un alternatore è realizzato con un indotto fisso ed un induttore in rotazione. All'uscita di questo
alternatore si ha una tensione (e corrente, quando c'è un utilizzatore) alternata che è rappresentata dal grafico di figura
5; una tensione di questo tipo è anche chiamata monofase per distinguerla da tensioni a più fasi prodotte da altri
particolari alternatori. In pratica gli alternatori monofase hanno scarsa applicazione, in loro luogo si preferiscono, per
la loro maggiore efficienza, gli alternatori trifase. Lo schema di principio di un alternatore trifase ed il grafico delle
tensioni in uscita sono riportati in figura 19.
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Figura 19: in questo caso la spira e quindi la bobina non è una sola. Si hanno tre bobine i cui terminali, da cui prelevare
tensione e corrente mediante anelli e spazzole, si hanno in aa', bb', cc'. Naturalmente, in uscita, si prelevano tre tensioni V1, V2,
V3. Le bobine hanno gli assi sfasati tra loro di 1/3 di giro. Il grafico rappresenta le tre tensioni (o correnti) prelevate ai
collettori (spazzole + anelli). Si dimostra che, in ogni istante, l'ordinata di una tensione è uguale alla somma, cambiata di
segno, delle altre due.
Questo alternatore differisce da quello monofase perché, anziché avere un solo indotto, ne ha tre separati e distanziati di
120° l'uno dall'altro. Così si avranno anche tre tensioni in uscita (tre fasi) che risulteranno sfasate di 120° l'una rispetto
all'altra. Le tensioni (o correnti) in uscita saranno prelevate da aa', bb' e cc' di fig. 19-2 ed avranno un andamento come
quello riportato in fig. 19-3. L'insieme di queste tre correnti (quando vi sono gli utilizzatori) costituisce quella che è
chiamata corrente trifase. La ragione principale per cui la corrente trifase è preferita alla monofase è di natura
economica. Infatti per portare all'esterno le correnti prodotte servirebbero normalmente 6 fili (allo stesso modo 6 sono
i fili che dovrebbero portare all'esterno le correnti prodotte da tre alternatori monofase) due per ciascuna fase. Si è
invece trovato che con appropriati co11egamenti degli utilizzatori (essenzialmente due: a stella e a triangolo, vedi figure
20 e 21) si possono
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Figura 20: collegamento a stella di utilizzatori
Figura 21: collegamento a triangolo di utilizzatori
trasportare le tre correnti con solo tre fili. Ciò e reso possibile dal fatto che ad ogni istante l'intensità di una corrente è
sempre uguale e contraria alla somma delle altre due intensità (vedi fig. 19-3: a = b + c), e quindi un filo che trasporti
una fase serve contemporaneamente per il ritorno delle altre due.
C'è ancora un altro accorgimento che modifica l'alternatore, industrialmente in uso, rispetto a quello che
abbiamo schematicamente illustrato ed è ancora relativo all'induttore rotante. Per produrre una corrente
alla frequenza industriale di 50 Hz, se l'induttore fosse un unico magnete, occorrerebbe che l'induttore stesso ruotasse
con la velocità di 50 giri al secondo che equivale a 3 000 giri al minuto (proprio per generare nell'indotto 50
variazioni alternate di flusso magnetico ogni secondo). Una tale velocità è difficilmente ottenibile, bisogna
quindi cercare di ridurla senza modificare la frequenza della c.a. Ciò è reso possibile aumentando il numero dei magneti
dell'induttore e disponendoli a raggiera con i poli nord alternati ai poli sud. Se i magneti sono, ad esempio, 24,
si otterranno variazioni di flusso ogni ventiquattresimo di giro, cioè la velocità dell'induttore può ridursi ad 1/24 di
50 giri al secondo che equivale a circa 2 giri al secondo che equivale ancora a 125 giri al minuto, velocità quest'ultima
molto più facilmente raggiungibile. La scelta del numero dei magneti viene comunque fatta in sede di progetto in
relazione alle caratteristiche meccaniche delle turbine che azionano l'alternatore permettendo la rotazione
dell'induttore. Per turbine veloci a vapore può andare bene un solo elettromagnete mentre per turbine idrauliche si
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possono avere da tre fino a trenta elettromagneti (da sei fino a sessanta poli).
REGOLAZIONE ED ACCOPPIAMENTO IN PARALLELO DI ALTERNATORI
Una delle caratteristiche (esterne) di un alternatore è quella relativa alla variazione della tensione che si preleva
alla sua uscita, in funzione del carico utilizzatore collegato con essa (a parità di corrente eccitatrice per l'induttore).
Quando infatti un alternatore funziona a vuoto (cioè senza utilizzatore o carico) la sua tensione di uscita si mantiene
rigorosamente costante. Questa tensione subisce però delle variazioni, sempre a parità di corrente eccitatrice, al variare
del carico che è collegato con essa.
E' questo evidentemente un grosso inconveniente al quale si può far fronte agendo in modo tale da variare
opportunamente il flusso dell'induttore così da sopperire alle suddette cadute di tensione. Per far ciò si può agire sulla
corrente eccitatrice dell'induttore ricorrendo ai regolatori automatici di tensione che servono appunto a mantenere
rigorosamente costante la tensione ai morsetti di uscita dell'alternatore al variare del carico (il più noto tra
questi regolatori è il Brown-Boveri).
La caratteristica fondamentale degli alternatori è la loro possibilità di essere collegati in parallelo. In una
centrale tutta la potenza a disposizione è generalmente divisa tra più alternatori collegati tra loro in parallelo allo scopo
di utilizzare solo gli alternatori necessari a soddisfare la potenza richiesta all'esterno. Gli alternatori da collegare in
parallelo dovranno essere stati costruiti per una stessa frequenza ed una stessa tensione di uscita. Il collegamento in
parallelo è inoltre possibile anche per alternatori di centrali diverse distanti fra di loro (e questo fatto è particolarmente
importante per garantire la fornitura di energia anche quando una centrale andasse fuori servizio per qualunque
motivo). Uno schema di principio è mostrato in fig. 22. L'inserimento in parallelo di un
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Figura 22
alternatore su una linea già alimentata da altri alternatori è molto delicato e richiede particolari accorgimenti.
L'inserimento può infatti essere fatto solo quando l'alternatore da inserire ha stessi valori di tensione, di frequenza e
abbia una tensione sfasata di 180° (sia cioè in opposizione di fase) rispetto alla rete. Il fatto che la tensione debba
essere rigorosamente uguale (insieme alla frequenza) e la fase debba essere di f = 180° è spiegabile tenendo conto
che si ha a che fare con due circuiti distinti: quello utilizzatore (gli alternatori in parallelo e la rete esterna) e
quello interno degli alternatori. Consideriamo, per comprendere meglio, il parallelo di due alternatori monofase
(fig. 23).
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Figura 23
Nella figura la parte riquadrata circoscrive il circuito interno degli alternatori (riportato a tratto più marcato),
mentre ciò che esce fuori dal riquadro porta alla rete utilizzatrice. Ebbene nel circuito interno degli alternatori non si
avrà passaggio di una inutile e dannosa corrente di circolazione interna solo quando, istante per istante, tra i punti A e
A' e tra B e B' vi sia identico valore di tensione. Questo fatto equivale a che i due alternatori forniscano stesso valore
di tensione, stessa frequenza e siano in opposizione di fase (f = 180°). Quest'ultima condizione fa si che, nel circuito
interno delle due macchine, essendo le tensioni uguali ed in opposizione, la loro risultante, istante per istante, sarà nulla.
Se la tensione risultante, per il circuito interno, è nulla, risulta impossibile la circolazione di corrente nelle
macchine stesse. Bisogna avvertire che se un alternatore è già collegato per erogare corrente, la tensione a vuoto (forza
elettro-motrice: f.e.m.) del secondo alternatore da collocare dovrà essere in opposizione alla tensione di uscita sotto
carico dell'alternatore collegato e non alla tensione a vuoto (f.e.m.) di quest'ultimo.
Oggi vi sono strumenti automatici che permettono l'allacciamento al momento più opportuno. Una volta
effettuato il collegamento servono altre apparecchiature che siano in grado di ripartire il carico utilizzatore tra i
vari alternatori in modo da evitare assolutamente che su un solo alternatore gravi un carico maggiore di quanto possa
sopportare. Nel caso poi, per qualunque motivo, un alternatore tenda a rallentare rispetto all'altro, nel circuito
di collegamento tra i due alternatori nascono particolari reazioni tali da fornire energia (a spese nell'altro)
all'alternatore che ha rallentato, rispetto alla velocità che doveva inizialmente avere, e quindi riportarlo alla sua
velocità.
Per capire ciò basta rifarsi a quanto dicevamo qualche riga più su. In condizioni di parallelo perfetto le f.e.m. V1
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e V2 dei due alternatori debbono risultare identiche ed in opposizione di fase. Nel caso il secondo alternatore subisca un
ritardo, la sua f.e.m. diventerà V'2 e la f.e.m. totale nel circuito interno non sarà più nulla. Quindi, sempre nel
circuito interno, circolerà una corrente (corrente sincronizzante) dall'alternatore che funziona regolarmente a quello
che ha ritardato. Si ha cioè un trasferimento di potenza da un alternatore all'altro tale da riportare quello che ha
rallentato alla sua velocità. A questo punto le due f.e.m. tornano ad essere uguali e non si avrà più né passaggio di
corrente sincronizzante né trasferimento di potenza da un alternatore all'altro.
Le varie regolazioni sugli alternatori si fanno operando su due grandezze: sulle turbine che possono far
variare la velocità di rotazione dell'induttore (e quindi la frequenza e la fase della tensione di uscita) e sulla
corrente eccitatrice dell'induttore per far variare l'intensità del campo magnetico induttore (e quindi il valore della
tensione di uscita). Come si può ben capire ambedue queste regolazioni sono indispensabili per un buon funzionamento
in parallelo degli alternatori.
TURBINE ED ACCOPPIAMENTO CON ALTERNATORI
Fino ad ora abbiamo parlato di un induttore che ruota ad alta velocità all'interno di un indotto, al fine di
produrre tensioni e correnti alternate. Affinché ciò avvenga occorre avere a disposizione una opportuna sorgente di
energia meccanica che provochi la rotazione dell'induttore intorno al proprio asse.
Supponiamo di avere dell'acqua in caduta (o un getto di vapore o di gas caldo) ad alta pressione e velocità,
per trasformare queste fonti di energia in energia meccanica di rotazione occorre un adeguato trasduttore che è
appunto la turbina. La turbina si afferma come superamento della ruota idraulica (adatta a piccole energie) per lo
sfruttamento di grandi energie e potenze. Si tratta di avere a disposizione un meccanismo che sia in grado di sfruttare al
massimo l'energia di getto d'acqua, di vapore o di gas che la fa ruotare sì da avere il massimo rendimento. Quando il
fluido in oggetto arriva ad alta velocità e pressione alla turbina essa deve essere in grado di utilizzare completamente le
due componenti principali di energia che il fluido ha a quel punto, quella dipendente dalla velocità del getto
(energia cinetica) e quella dipendente dalla pressione del getto stesso. Il fluido deve cioè lasciare la turbina a velocità
quasi nulla e a pressione circa uguale a quella atmosferica. Quanto detto rende ragione della classificazione
delle turbine, rispetto al funzionamento dinamico, in due grandi classi; turbine ad azione, impiegate per sfruttare
l'energia cinetica del fluido, nelle quali la pressione del fluido stesso ha il medesimo valore sia a monte che a valle del
sistema girante; turbine a reazione, per prelevare tanto l'energia cinetica che l'energia di pressione.
I rendimenti delle turbine dipendono generalmente da svariati fattori tra i quali non ultimo c'è il tipo di fluido e
di processo che le fa muovere. In ogni caso i rendimenti maggiori si hanno nelle turbine idrauliche dove comunque
non si supera il 92%.
Ritornando alla rotazione dell'induttore in un alternatore, il suo asse è collegato all'asse della turbina.
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Quest'ultima trasforma l'energia dovuta alla pressione ed alla velocità del fluido che la fa muovere in energia meccanica
di rotazione dell'asse; l'alternatore poi, che è accoppiato ad essa, trasforma questa energia meccanica in energia
elettrica.
Le turbine sono anche dotate di organi regolatori del flusso del fluido in modo da poterle rallentare e
fermare nel caso in cui l'alternatore ad esse accoppiato vada fuori uso o debba andare fuori servizio. Le operazioni
devono comunque essere eseguite con relativa lentezza per evitare disastrosi colpi d'ariete nelle tubature. Concludo il
paragrafo mostrando alcune turbine nelle figure che seguono. Intanto inizio con un minimo di classificazione. Le
turbine possono essere:
b) Radiali (centripete e
centrífughe)
a) Assiali
Nelle radiali, l’acqua entra
Nelle assiali, (Kaplan, elica, …), perpendicolarmente all’asse, e sono
l’acqua entra parallelamente
centrifughe quando l’acqua va
all’asse.
dall’interno verso l’esterno, e
centripete, quando l’acqua va
dall’esterno verso l’interno (Francis).
c) Tangenziali
Nelle tangenziali, l’acqua
entra lateralmente o
tangenzialmente (Pelton)
andando ad urtare le pale o
cucchiai della ruota..
Iniziamo con il vedere un esempio di turbina assiale, la Kaplan. Questo tipo di turbina trova impiego
nelle centrali ad acqua fluente con salto generalmente piccolo (da pochi metri a una cinquantina) perché si sfrutta
generalmente la grossa portata del fiume, che può giungere fino a centinaia di m3 al secondo.
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Figura 24: Turbina Kaplan ad asse verticale. In genere l'uso di tale turbina è in impianti idraulici in cui vi è un
piccolo dislivello ma una grande massa d'acqua. La figura rende bene la situazione: nel passaggio dal bacino più
elevato a quello più in basso si aziona la turbina che ha la forma mostrata in figura 25.
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CORRENTE ELETTRICA
Figura 25
Altro esempio di utilizzo di Kaplan è in un fiume con le caratteristiche suddette:
Figura 26
Le tre finestre di fig. 26 che sono in via di montaggio avranno ciascuna applicata una Kaplan (fig.27), come
mostrato in fig. 28:
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Figura 27
Figura 28
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CORRENTE ELETTRICA
Schematicamente la Kaplan funziona come mostrato in figura 29.
Figura 29
Vediamo come funziona una turbina radiale, la Francis, a partire dalla figura 30 dove sono rappresentate vari
contenitori di turbine Francis in una centrale idroelettrica.
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Figura 30
Entrato il fluido dentro tali contenitori trova le vere e proprie turbine mostrate in figura 31. Si tratta di una turbina
a flusso centripeto, nella quale cioè il flusso è diretto verso
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Figura 31
l'interno. La cosiddetta turbina a reazione è (o almeno è stata) la turbina idraulica più usata per salti d'acqua da 10 a
100 m. Entrando l'acqua. Schematicamente il suo funzionamento è illustrato in figura 32.
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CORRENTE ELETTRICA
Figura 31
Vediamo ora la turbina tangenziale, Pelton. Tale turbina è progettata per impianti che possono disporre di dislivelli
da 100 a 1000 m. Essa raccoglie con dei giganteschi cucchiai l'acqua in caduta in condotte forzate. Quest'acqua
confluisce in degli ugelli che immettono alle turbine Pelton (fig. 33)
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Figura 33
Ed il suo modo d'applicazione è schematizzato in figura 34.
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Figura 34
Oggi le turbine si sono fatte molto più sofisticate, fino a raccogliere tutta l'energia del fluido che le aziona. Le
moderne centrali, le termoelettriche o quelle a gas, hanno in funzione turbine prima di alta pressione e poi di bassa
pressione (che servono ad utilizzare il fluido che ha già azionato le prime ed ha perso molta della sua energia
cinetica). Inoltre la turbina, con un gas o un vapore non può più essere costituita da una semplice ruota con palette. Essa
diventa veramente qualcosa di molto complesso tecnologicamente. Ne mostro una, aperta in un momento destinato alla
manutenzione, in figura 35.
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Figura 35
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