ETICA DELLA CURA E DICHIARAZIONI ANTICIPATE DI

Alma Mater Studiorum
Università di Bologna
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA
ETICA DELLA CURA E
DICHIARAZIONI ANTICIPATE
DI TRATTAMENTO
L’infermiere e i dilemmi etici
nell’esercizio della professione
Elaborato finale in: Elementi di biodiritto e l’assistenza alle vittime di violenza
Presentata da:
GIULIA LANDI
Relatore:
Prof.ssa SUSI PELOTTI
Sessione I
Anno Accademico 2009-2010
MATR. N. 0000312615
Alma Mater Studiorum
Università di Bologna
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA
ETICA DELLA CURA E
DICHIARAZIONI ANTICIPATE
DI TRATTAMENTO
L’infermiere e i dilemmi etici
nell’esercizio della professione
Elaborato finale in: Elementi di biodiritto e l’assistenza alle vittime di violenza
Presentata da:
GIULIA LANDI
Relatore:
Prof.ssa SUSI PELOTTI
Sessione I
Anno Accademico 2009-2010
Sappiamo che il nostro lavoro è solo una goccia nell’oceano, ma
l’oceano sarebbe meno profondo senza quella goccia.
Indice
Indice
Introduzione
3
1 La Bioetica e il paradosso della medicina moderna
7
1.1
Che cos’è la bioetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
1.2
Gli ambiti della bioetica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10
1.3
La bioetica dei principi:beneficialità, autonomia, giustizia . . . . . . . .
11
1.4
Teorie e modelli etici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
12
1.5
La bioetica nelle questioni di fine vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
13
2 Dichiarazioni Anticipate di Trattamento: aspetti giuridici
2.1
Disegno di legge: a che punto siamo? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.2
Articolo 32 della Costituzione. Diritto alla cura ma anche diritto alla
15
16
non cura? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
24
2.3
Articoli 2, 3, 13 delle Costituzione Italiana . . . . . . . . . . . . . . . . .
25
2.4
Uno sguardo allo scenario internazionale . . . . . . . . . . . . . . . . .
26
3 Dichiarazioni anticipate di trattamento: aspetti etici e deontologici
3.1
31
I pareri del Comitato Nazionale di Bioetica sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento e sull’alimentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . .
31
3.2
Decidere ora per allora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
33
3.3
I cambiamenti nel paradigma della medicina moderna . . . . . . . . .
36
1
Indice
3.4
Il codice deontologico medico e l’etica di fine vita . . . . . . . . . . . .
38
3.5
Trattamento sanitario o trattamento di sostegno vitale? . . . . . . . . .
40
3.6
Il fiduciario, garante del malato e della sua volontà
. . . . . . . . . . .
44
3.7
Dichiarazioni anticipate di trattamento: rischio eutanasia? . . . . . . .
45
3.8
Come implementare le dichiarazioni anticipate di trattamento . . . . .
47
4 Lo Stato Vegetativo Permanente
49
4.1
Che cos’è lo stato vegetativo permanente . . . . . . . . . . . . . . . . .
49
4.2
Checklist per la diagnosi di stato vegetativo permanente . . . . . . . .
51
4.3
Il Comitato Nazionale di Bioetica su alimentazione e idratazione in
persone in stato vegetativo permanente . . . . . . . . . . . . . . . . . .
53
4.4
Un esempio italiano: il caso Eluana Englaro . . . . . . . . . . . . . . . .
56
4.5
Interruzione di alimentazione e idratazione in persone in stato vegetativo permanente come condotta omissiva dal punto di vista giuridico-
4.6
penale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
60
I limiti dell’obbligo di cura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
61
5 L’infermiere e l’etica dell’accompagnamento
65
5.1
Il codice deontologico dell’infermiere: principi e valori etici e bioetici .
65
5.2
L’infermiere di fronte al rifiuto alle cure . . . . . . . . . . . . . . . . . .
69
5.3
Deontologia professionale dell’infermiere e la legge sul “fine vita” . . .
71
5.4
Etica dell’accompagnamento. Un modello da condividere . . . . . . . .
76
5.5
“Prendersi cura” alla fine della vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
79
Conclusioni
83
A Allegati
87
A.1 Disegno di legge, Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di
consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento . . . .
87
2
INDICE
Bibliografia
3
97
Introduzione
Introduzione
Pensare alla fine della vita suscita continui interrogativi nell’ambito della cura e dell’assistenza di difficile soluzione; il tema della morte viene spesso banalizzato e affrontato in modo distratto, evitando di rapportarsi con i propri dubbi, incertezze,
angosce su un qualcosa che, forse, non si potrà mai conoscere.
Medici e infermieri sono coinvolti nella riflessione riguardante l’etica di fine vita,
dal momento che vivono una esperienza di confronto costante con situazioni cliniche
“di confine” tra la salute e la malattia, tra l’autonomia e l’indipendenza, tra la vita e la
morte; conoscono da vicino l’angoscia del malato, che, anche quando apparentemente
non c’è più nulla da fare, cerca qualcuno che gli stia vicino, che lo accompagni, che
lo aiuti a dare un senso alla sua stessa morte. Sono momenti in cui non ha più alcun
valore il fare ma l’infermiere continua a curare perché continua a stare con il malato
e ad accompagnarlo nel suo percorso, instaurando una “relazione di fiducia”.
I professionisti dell’assistenza, medici e infermieri, intervengono nel dibattito bioetico che riguarda i dilemmi etici alla fine della vita umana; questioni non più di
competenza esclusiva della bioetica ma che sconfinano nella giurisprudenza e nella
politica. Fatti recenti, nel contesto italiano, il caso Piergiorgio Welby e il caso Eluana
Englaro, lo dimostrano.
Il dibattito bioetico contemporaneo non può non fare riferimento alla “rivoluzione
terapeutica” degli ultimi decenni, che ha consentito “nuove possibilità di cura ed assistenza”, mettendo sul tavolo della discussione gli stessi concetti di vivere e morire,
5
6
quando precedentemente l’assistenza al malato aveva il solo scopo di ridurre disagio
e sofferenza.
Attualmente, grazie agli sviluppi e alle nuove frontiere possibili della medicina e
della scienza, risulta possibile sostituire funzioni vitali compromesse; chiunque potrebbe trovarsi di fronte alla possibilità di scegliere se continuare a portare avanti la
propria vita o anticipare la morte attraverso “l’attivazione, la non attivazione” o la
sospensione “di dispositivi meccanici o artificiali”.
Il progredire, l’evolversi delle conoscenze e il miglioramento delle tecnologie hanno portato al delinearsi di scenari di “cronicizzazione” della patologia e della sofferenza. Tutto ciò ha suscitato e continua a suscitare, una serie di interrogativi.
Un prolungamento della vita in termini temporali risulta possibile anche quando
c’è la perdita di funzioni vitali importanti ma la si può considerare una vita “vera” o
soltanto una vita “artificiale”, quindi poco umana e poco degna di essere vissuta?
Quando la persona perde autonomia e consapevolezza di sé, la sua vita può essere
interrotta perché vita solamente biologica e dipendente dalla tecnologia?
I trattamenti di sostegno vitale possono continuare ad essere effettuati anche quando la persona ne richiede l’interruzione?
La persona non competente può essere comunque resa protagonista del suo percorso terapeutico? Può essere considerata lecita la sospensione di alimentazione e
idratazione e chi, in tal caso, potrebbe essere legittimato ad effettuarla?
La dichiarazione anticipata di trattamento “può essere considerate una estensione
nel tempo del consenso informato attuale”? C’è la possibilità di ricostruire la volontà
presunta della persona, sulla base delle sue precedenti dichiarazioni?
Nessun trattamento sanitario può essere somministrato senza il consenso della
persona e questo risulta un imperativo dell’etica, della deontologia medica e della
giurisprudenza; ma quando si parla, come trattamento, di cure salvavita rimane aperto il problema della “bontà” di tale atto. Si può dire che la vita umana ha valore in
Introduzione
7
sé e in quanto tale necessita della massima tutela e garanzia; la persona che possiede
quella vita, anche se in una condizione di grave malattia, è pur sempre fonte di diritti,
che devono essergli riconosciuti.
Partendo da questo presupposto, l’elaborato si pone come obiettivo di approfondire le tematiche in questione, attraverso l’analisi dei molteplici aspetti che riguardano il fine vita.
La complessità di tali situazioni pone interrogativi sia sul piano dell’assistenza,
sia sul piano bioetico, giuridico e politico. Il dibattito coinvolge i politici, il CNB
(Comitato Nazionale di Bioetica) e tutti i professionisti coinvolti nella cura e nella
assistenza.
Nel tentativo di affrontare, senza la pretesa di formulare risposte, le tematiche
riguardanti l’etica di fine vita, si prenderanno in considerazione gli aspetti normativi,
bioetici e deontologici.
Come può essere risolto quel conflitto che si instaura qualora una scelta personale
e di estrema tragicità, come quella di porre fine alla propria vita, “impegna moralmente altre persone chiamate a svolgere un ruolo attivo nel processo decisionale”?
Quale può essere il ruolo dell’infermiere nel relazionarsi con il malato nel percorso
di accompagnamento,sostenendolo nelle scelte, in un ottica di considerare vita anche
il processo del morire?
Capitolo 1
La Bioetica e il paradosso della
medicina moderna
1.1 Che cos’è la bioetica
Il termine bioetica deriva dal greco βιøζ, vita, e εθøζ, carattere, comportamento,
costume, consuetudine.
La Bioetica è “lo studio sistematico della condotta umana nell’ambito della scienza
della vita e della cura della salute, in quanto questa condotta è esaminata alla luce dei
valori morali e dei principi” [1].
Questa definizione evidenzia come la bioetica sia lo studio del modo di applicare
nell’ambito medico i principi che l’etica tradizionale già possiede.
Il termine bioetica era stato tradotto nel 1970 dall’oncologo Van Rensselear Potter
in un suo articolo Bioethics.The science of survival; Potter in questo articolo parlava
della bioetica come “una nuova disciplina che combinasse la conoscenza biologica
con la conoscenza del sistema dei valori umani”, esprimendo come, paradossalmente,
proprio il progresso scientifico, che mira a conferire all’uomo una migliore qualità di
vita può rappresentare una minaccia per la stessa sopravvivenza. Potter si esprimeva
9
10
in favore della costituzione di un ponte tra il sapere scientifico e quello umanistico.
“Una scienza della sopravvivenza deve essere più di una sola scienza, e perciò
propongo il termine bioetica per sottolineare i due ingredienti più importanti per il
conseguimento di una nuova sapienza di cui c’è un bisogno disperato, la conoscenza
biologica e i valori umani” [2].
Le scienze sperimentali e le scienze umanistiche non sono proposte in alternativa ma formano una unità armonica alla cui base c’è la domanda filosofica sulla liceità dell’atto scientifico nella consapevolezza che non tutto ciò che è scientificamente
possibile è anche eticamente lecito.
Si possono individuare due direttrici storico-scientifiche lungo le quali si sviluppa
la dinamica che conduce alla necessità culturale e civile di una approfondita riflessione morale sulle scienze biomediche.
Uno stimolo alla riflessione etica e giuridica prende vita dal Processo di Norimberga, in seguito alle terribili rivelazioni circa l’uso della ricerca scientifica con scopi
politici mostruosi. Numerosi prigionieri dei lager nazisti furono torturati a scopo di
sperimentazione e in seguito alla conoscenza di tali fatti fu enunciata nel 1947 dall’Associazione Medica Mondiale con il nome di Codice di Norimberga, la prima codificazione internazionale di regole sui diritti umani nell’ambito della sperimentazione. In
questo documento viene anche vietata la possibilità di effettuare qualsiasi esperimento sull’uomo senza il suo “consenso volontario”. Oggi il documento di riferimento in
materia di sperimentazione clinica è la dichiarazione di Helsynki del 1964.
Altra grande spinta al dibattito morale nel mondo scientifico è data dai progressi
della tecnologia biomedica e dal bisogno di sistematizzare, facendo assumere dignità
di scienza, una riflessione multidisciplinare su nuove problematiche etiche scaturite
dalle maggiori possibilità tecnologiche. Alla base della questione c’è quello che può
essere definito il “paradosso della medicina moderna”.
Da un lato sembra essere senza limiti –sostegno a persone affette da malattie inva-
Capitolo 1.
La Bioetica e il paradosso della medicina moderna
11
lidanti, trapianti di organi e tessuti, supporto a funzioni organiche vitali-, dall’altro
la stessa medicina è costretta a muoversi entro certi limiti –il limite della finitudine
umana, della conoscenza medica, delle risorse economiche e strumentali-.
“Fino a che punto può lecitamente spingersi e affermarsi il dominio dell’uomo
sull’uomo in campo medico e biomedico?”.
Il progresso scientifico si spinge sempre oltre, “non sembra avere frontiere fisse”.
“La frontiera etica pone istanze che si riversano sui contenuti della scienza sperimentale, la quale non ha e non può avere, dentro il suo scibile, la comprensione di tutto
l’uomo e di tutte le dimensioni della persona umana”[3].
“La conoscenza scientifica non è conoscenza dell’essere, essa non sa cosa sia l’uomo stesso, ma si riferisce solamente a essere determinati; la conoscenza scientifica
non è in grado di dare alcuna direzione per la vita, perché non stabilisce valori validi, ma rimanda ad altro fondamento; la scienza non può dare nessuna risposta alla
domanda riguardante il suo vero e proprio fondamento”(Karl Jaspers).
Con una attenzione etica si pongono in discussione le finalità stesse della scienza
medica, sia nella fase di ricerca sia nella fase di assistenza sanitaria; la medicina è la
scienza-arte per curare la malattia oppure per “trasformare l’uomo manipolandone
la sua origine, il suo sviluppo” e la sua fine?.
Le radici della Bioetica possono individuarsi in:
• migliore consapevolezza filosofica di quelli che sono i limiti di tutte le scienze.
• progressi scientifici e tecnologici in campo biomedico, che pongono il problema
del “limite” e della “frontiera” umana.
• mancanza di una normativa giuridica in campo medico che si basi sulle esigenze morali di operatori e cittadini. La legge è “relativa” di fronte a valori ritenuti
assoluti da molti e per questo necessita di un confronto critico con la morale.
• ricerca e prassi assistenziale in medicina sono sempre più accentrate nelle mani
12
del potere politico, che attraverso finanziamenti può operare scelte che influenzano le condizioni di vita dei cittadini.
1.2 Gli ambiti della bioetica
La Bioetica abbraccia l’etica medica tradizionale ma include anche:
• i problemi etici di tutte le professioni sanitarie.
• i problemi sociali applicati alle politiche sanitarie, medicina del lavoro, sanità
internazionale, politiche di controllo demografico.
• i problemi della vita animale e vegetale in relazione con la vita dell’uomo.
• le ricerche comportamentali, indipendentemente dalle applicazioni terapeutiche [4].
Viene considerata la liceità o meno di interventi effettuati sulla vita dell’uomo, con
riferimento agli interventi connessi allo sviluppo delle scienze mediche e biologiche.
È da distinguere l’etica generale, familiare, sociale dalla bioetica; quest’ultima si
occupa di tutti quegli interventi che l’uomo compie su di sé, sui suoi simili, sfruttando
sempre nuove scoperte nel campo. I problemi suscitati dal dibattito sulla ingegneria
genetica, sulla procreazione medicalmente assistita, sull’aborto, sui trapianti, sulla
sperimentazione fino alla eutanasia sono temi scottanti e complessi ma non i soli a
sostenere il dibattito bioetico. Altri capisaldi di etica generale includono: il valore
della vita umana, la libertà dell’individuo e la responsabilità del medico, la gerarchia
dei valori, il primato della persona rispetto alla società.
Il metodo della ricerca in bioetica si basa su un momento epistemologico, momento
di conoscenza della questione in esame in tutti i suoi aspetti; un momento valoriale, individuazione di tutti gli elementi di valore in gioco; un momento normativo, l’applicazione e risoluzione di un quesito posto inizialmente. È necessaria una giustificazione
Capitolo 1.
La Bioetica e il paradosso della medicina moderna
13
delle soluzioni proposte mediante un confronto dinamico e costante con l’antropologia di riferimento, che consente la valutazione di ciò che è scientificamente possibile
e di ciò che è eticamente lecito.
1.3 La bioetica dei principi:beneficialità, autonomia, giustizia
Il principio di beneficialità, secondo una visione naturalistica, risponde a quello che è
il fine primario della medicina, promuovere il bene e evitare il male. Questo principio
afferma qualcosa in più rispetto al “primum non nocere” ippocratico, dal momento che
non afferma soltanto il non dover fare del male ma implica di dover fare attivamente
del bene e lo stesso attivamente impedire il male.
Il principio di autonomia fa riferimento al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, compreso quello di autodeterminazione; implica il rispetto dell’altro, il “non
fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. Su questo principio si basa l’alleanza terapeutica tra medico e persona assistita e il tema del consenso informato per
trattamenti diagnostici e terapeutici. Non può essere applicato in situazioni critiche
come per persone con gravi problemi psichiatrici, situazioni di demenza o psicosi
acute o quando la persona non è capace di esprimere il proprio consenso; in questi
casi specifici va fatto riferimento o al principio di beneficialità o a quello di giustizia.
Il principio di giustizia prevede l’eguaglianza di trattamenti proposti in base alle
condizioni cliniche e, per lo Stato, l’obbligo di equa distribuzione di fondi per la sanità
e la ricerca. Fanno riferimento a questo principio il rispetto del valore della vita e il
rispetto della esecuzione di interventi proporzionati. Il rapporto tra medico e paziente, tra medico e società non può avere una sola dimensione orizzontale, esaustiva del
rapporto stesso: il riferimento ultimo per tutti (medico, paziente, società) deve essere
14
collocato al di fuori di loro, deve trascenderli. Solo il riferimento ad un bene oggettivo
integrale può evitare il grosso rischio di sfociare nel più assoluto relativismo.
1.4 Teorie e modelli etici
La bioetica pur essendo un’etica normativa, quindi applicata e rispondente a esigenze
pragmatiche, fa riferimento a diverse teorie e modelli etici.
• Etica Personalistica: la persona umana è considerata come un tutto, inscindibile, costituito da elementi biologici, corporei, psichici e spirituali. La vita biologica, elemento fondante dell’intera persona, assume un valore sacrale oggettivo e
assoluto in quanto vita della persona umana. Il patrimonio genetico, l’embrione,
la persona in una condizione di malattia terminale sono esempi di vita biologica
umana, considerata sacra e indisponibile, in quanto condizione della esistenza
umana terrena della persona.
• Etica Utilitaristica: la moralità si basa sulla sua utilità, cioè sulla quantità di bene che si può raggiungere per il maggior numero possibile di individui. È la
soddisfazione degli interessi del maggior numero possibile di persone; soltanto i soggetti in grado di sviluppare degli interessi sono considerati nel calcolo
utilitaristico, in quanto persone. Chi non è in condizione di poter manifestare il
proprio interesse, il feto o malati in coma, di fatto, non è considerata persona.
• Etica Liberale: considera la presenza di un pluralismo di valori di fronte ai dilemmi aperti dalla tecnologia e dalle nuove possibilità in campo biomedico, constatando la presenza di visioni diverse e inconciliabili. Propone una soluzione
legislativa, quindi una decisione politica, che possa esprimere un compromesso
fra le differenti parti; il concetto di libertà viene inteso in senso negativo, cioè
il limite alla libertà del singolo si trova dove questa può andare a condizionare
Capitolo 1.
La Bioetica e il paradosso della medicina moderna
15
la libertà dell’altro. Unico e irrinunciabile contenuto normativo sta nel rispetto
assoluto della autonomia individuale.
• Etica della Qualità della Vita: si contrappone al principio della sacralità della
vita, al quale tutti i valori sono subordinati, non prevedendo alcun principio
assoluto ma favorendo il benessere e l’autonomia. L’etica ha il valore sociale di
garantire una ordinata convivenza, offrendo una giustificazione morale a pratiche controverse, nel rispetto dei singoli individui. Può essere definita come
un’etica pubblica procedurale, dove la morale coincide con l’utile per la società
e l’autonomia dell’individuo è pensata come garanzia per la convivenza pacifica
di visioni morali differenti.
1.5 La bioetica nelle questioni di fine vita
La discussione bioetica relativa alle questioni di fine vita affronta il problema della
disponibilità/indisponibilità del bene vita, cerca di identificare i contenuti e i limiti
che stabiliscono la posizione di garanzia del medico e di tutti i professionisti della
salute, si occupa della valorizzazione giuridica di una volontà espressa in maniera
anticipata.
Il Comitato Nazionale di Bioetica nel documento del 2003 Dichiarazione anticipata
di trattamento afferma che “solo una precisa normativa, che precisi inequivocabilmente contenuti e limiti della posizione di garanzia nei confronti dei pazienti attribuita
agli operatori sanitari può infatti restituire a questi ultimi serenità di giudizio e aiutarli soprattutto a sfuggire a dilemmi deontologici e professionali altrimenti insolubili,
che in alcuni casi li portano ad assumere comportamenti che essi ritengono doverosi
e giustificati in coscienza [...] ma che in altri, nel maggior numero di casi, li inducono
ad attenersi al principio della massima cautela non per ragioni etiche e deontologiche
16
ma solo per meglio garantirsi dal punto di vista delle eventuali conseguenze legali
dei loro atti”.
Quale è la formazione richiesta al medico per accogliere quel ruolo di responsabilità nella cura dei morenti? Fino a che punto è possibile delegare al medico delle
decisioni nelle fasi terminali della vita?. Il medico e gli infermieri si trovano a dover
conciliare la propria “moralità interna”, espressione dei fini della medicina, con la
“moralità esterna”, espressione del sistema giuridico e del contesto culturale, in cui
le specifiche pratiche sanitarie si collocano. Il paradigma etico-clinico, che sta alla base di quello che è il dilemma del medico può essere cosı̀ sintetizzato: difendere la vita
e promuovere la salute della persona, rispettando la sua dignità personale e gestendo
efficacemente le risorse assegnate alla comunità. Il medico fa riferimento ai principi
di beneficialità, di autonomia, di giustizia ed è supportato dalla sua esperienza clinica
concreta.
Perché e come assistere una persona alla fine della sua vita? Il principio guida è
di natura antropologica e non tecnico-scientifica e risulta importante porsi il quesito
di quale sia il valore della vita in un malato terminale. Nella fase terminale della vita
il malato risulta soltanto un residuo di vita puramente biologica, materiale oppure
continua ad essere persona, con le sue caratteristiche, i suoi diritti, la sua dignità, in
grado di mantenere una relazione con ciò che lo circonda, decidendo come dare un
senso di compimento all’ultima parte della sua vita?
Capitolo 2
Dichiarazioni Anticipate di
Trattamento: aspetti giuridici
Le dichiarazioni anticipate di trattamento sono lo strumento che potrebbe allargare i
confini della autonomia personale riconoscendo il diritto della persona di esprimere
la propria volontà anche quando si trova in uno stato di incoscienza. Tale strumento
consente alla persona di essere protagonista del proprio percorso di cura, diritto che
avrebbe manifestato attraverso il “consenso informato” se fosse stata cosciente e in
grado di scegliere tra le possibilità di trattamento proposte dal medico. La volontà
della persona sembrerebbe cosı̀ rappresentata al meglio, se si trovasse impossibilitata
a esprimere ciò che desidera per se con un consenso attuale alla cura.
Un aspetto controverso e discusso riguarda il carattere vincolante o solo orientativo da attribuire a tale documento; il termine “direttiva” sembra orientare a una
interpretazione per cui il fiduciario ha l’obbligo di far rispettare quanto espresso, cosı̀
come il medico e l’infermiere sono obbligati ad intervenire. Se le direttive anticipate
di trattamento avessero un carattere assolutamente vincolante, medici e infermieri si
vedrebbero tolta la possibilità di agire in scienza e coscienza per il bene della persona
assistita.
17
18
Il termine “dichiarazione” sembra invece esprimere un orientamento sugli interessi e preferenze della persona, non vincolante per l’agire di medici e infermieri.
Parlare di dichiarazione consente di considerarla all’interno di un rapporto di fiducia,
instaurato nell’ambito della alleanza terapeutica tra medico e persona assistita.
La decisione di dare la possibilità alle persone di mettere per iscritto le proprie
volontà sui trattamenti che si vogliono o non si vogliono attuare alla fine della propria
vita, può risultare un momento importante di riflessione su quali sono i valori che
guidano la propria vita e sul significato da attribuire alla morte.
Quali sono i confini della propria libertà? L’uomo ha una intrinseca responsabilità
di tutelare il proprio corpo, non può farne tutto ciò che vuole, non può venderlo, non
può partecipare a sperimentazioni che mettono in pericolo la vita o compromettono
la sua qualità.
2.1 Disegno di legge: a che punto siamo?
Il 26 Marzo 2009 viene approvata dal Senato della Repubblica, in testo unificato, la
proposta di legge N.2350 Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento, poi passata al vaglio della Commissione
Affari Sociali della Camera, nella seconda metà del Dicembre 2009, insieme alla presentazione di circa 2700 emendamenti. Attualmente sono già state poste modifiche
all’originario disegno di legge, con l’approvazione di alcuni emendamenti.
Elaborare una legge con oggetto le Dichiarazioni anticipate di trattamento risulta
una necessità per il rispetto della volontà e della libertà del malato e per il pieno
rispetto di libertà e volontà di medici e infermieri, stabilendo i limiti delle richieste e
delle azioni e prevedendo la possibilità di fare obiezione di coscienza per sottrarsi a
pressioni di qualsiasi tipo.
Nel 2003 il Comitato Nazionale di Bioetica nel documento Dichiarazioni anticipate
Capitolo 2.
Dichiarazioni Anticipate di Trattamento: aspetti giuridici
19
di trattamento dichiarava che “lo sfondo culturale che rende non più rinviabile una
approfondita riflessione, non solo bioetica, ma anche biogiuridica, sulle dichiarazioni anticipate è rappresentata dalla esigenza di dare piena e coerente attuazione allo
spirito della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, garantendo la massima
tutela possibile di dignità e integrità della persona in tutte quelle situazioni in cui
le accresciute possibilità aperte dalla evoluzione della medicina potrebbero ingenerare dubbi, non solo scientifici, ma soprattutto etici, sul tipo di trattamento sanitario
da porre in essere in presenza di affidabili dichiarazioni di volontà formulate dal
paziente prima di perdere la sua capacità naturale”.
L’attuale disegno di legge riconosce il principio di autodeterminazione, quale diritto fondamentale sancito dalla Costituzione italiana e fatto valere anche per chi si
trovasse in uno stato di incapacità di intendere e di volere attraverso lo strumento delle Dichiarazioni anticipate di trattamento. Perché questo sia possibile è necessario che
non venga meno quel rapporto di fiducia tra medico-infermiere e persona assistita,
requisito fondamentale della alleanza terapeutica.
Il rapporto di fiducia assume valore alla luce del fatto che la persona è si libera
di scegliere a quali trattamenti sottoporsi o meno ma non ha la possibilità di attualizzare e contestualizzare le sue scelte; “il concetto di alleanza terapeutica” [. . . ] rappresenta “la possibile traduzione di tale concezione di libertà, conferendo al paziente
l’autonomia di orientare le scelte terapeutiche in un contesto –di fatto e psicologicoper lui ignoto; al medico la responsabilità, nella situazione data, di attualizzare le
indicazioni” [5].
Viene affermato come inviolabile il valore della indisponibilità della vita umana,
vietando ogni atto contrario alle norme giuridiche del nostro paese: si vietano interventi che possono configurarsi come eutanasia o come forme di suicidio assistito ma
anche ogni forma di accanimento terapeutico.
I riferimenti normativi a livello nazionale ed europeo sono:
20
• la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina o Convenzione di Oviedo, che all’articolo 9 sancisce che se la persona non è in grado di esprimere attualmente
e contestualmente i propri desideri, si deve tenere in considerazione quanto da
lei precedentemente espresso.
• il Codice di Deontologia Medica quando all’articolo 36 afferma che il medico, anche
se su espressa richiesta della persona assistita, non deve effettuare o favorire
trattamenti diretti a provocarne la morte.
• il documento Dichiarazioni anticipate di trattamento,2003 del Comitato Nazionale
di Bioetica. Viene espresso come con le Dichiarazioni anticipate di trattamento non si intenda riconoscere il diritto del malato –divenuto incapace- all’eutanasia ma hanno la funzione giuridica di garantire la libertà circa la scelta di
quei trattamenti, che , se fosse capace, “avrebbe il diritto morale e giuridico di
scegliere”[5]. Alimentazione e idratazione non sono considerate oggetto di scelta nella dichiarazione perché considerate atti eticamente e deontologicamente
dovuti come forma di sostegno vitale; negarle configura l’ipotesi di eutanasia
passiva.
La proposta di legge 2350, approvata dal Senato, si compone di 9 articoli, recanti Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni
anticipate di trattamento. Il provvedimento dopo aver sancito i principi della tutela della vita, della salute e del divieto dell’eutanasia e dell’accanimento terapeutico (art.1),
disciplina, con una norma di carattere generale, il consenso informato, sempre revocabile e preceduto da una corretta informazione medica (art. 2), e delinea le caratteristiche e i principi essenziali della dichiarazione anticipata di trattamento. Tuttavia,
dall’oggetto di quest’ultima, vengono escluse l’alimentazione e idratazione, considerate forme di sostegno finalizzate ad alleviare la sofferenza fino alla fine della vita.
Viene inoltre sancita la non obbligatorietà, per il medico, delle dichiarazioni anticipa-
Capitolo 2.
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te, la cui validità è fissata a cinque anni, e stabilita la piena revocabilità, rinnovabilità
e modificabilità di esse (art. 3 e 4). Viene poi affidata alle regioni, sulla base di linee
guida ministeriali, l’assistenza domiciliare ai soggetti in stato vegetativo permanente, e vengono disciplinati il ruolo del fiduciario e del medico (art. 5, 6 e 7). E’ infine
stabilita l’istituzione di un Registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento nell’ambito di un archivio unico nazionale informatico (art. 9).
Nel primo articolo vengono delineate le finalità della proposta di legge. “La Repubblica tutela la vita umana fino alla morte”; riprendendo gli articoli 2, 3, 13, 32 della
Costituzione si ribadisce la tutela della salute, garantendo la dignità della persona
nelle applicazioni che riguardano la biologia e la medicina. Il diritto alla vita lo si definisce come inviolabile e indisponibile, sia nella fase terminale della vita sia quando
la persona si trova in uno stato di incapacità. Un valore importante è attribuito alla alleanza tra medico e persona assistita soprattutto nella fase terminale della vita,
quando alla persona va garantita la possibilità di partecipare alla scelta delle cure a
cui sottoporsi.
Come finalità delle dichiarazioni anticipate di trattamento, il Comitato di Bioetica
sottolinea come queste risultano essere lo strumento che “tendono a favorire una socializzazione nei momenti più drammatici dell’esistenza e a evitare che l’eventuale
incapacità del malato possa indurre i medici a considerarlo [. . . ] non più come persona, con la quale concordare i programma terapeutico ottimale, ma solo come un
corpo, da sottoporre ad anonimo trattamento”. Le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono una estensione della cultura che ha introdotto il consenso informato
ma hanno il compito di rendere ancora possibile una relazione tra medico e persona
malata, “in quelle situazioni estreme in cui non sembra poter sussistere alcun legame
tra la solitudine di chi non può esprimersi e la solitudine di chi deve decidere”. È
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come se il dialogo tra medico e malato “idealmente continuasse” [6].
Gli articoli 575, 579, 580 del codice penale vietano ogni forma di eutanasia anche
attraverso condotte omissive e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio. I trattamenti sanitari ordinari e proporzionati alla salvaguardia della vita e della salute
risultano come doverosi da parte del medico quando “in scienza e coscienza si possa
fondatamente attendere un beneficio per il paziente”[5].
I trattamenti sanitari “straordinari, non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati agli obiettivi di cura e/o di sostegno vitale” devono essere evitati.
Ma il divieto di accanimento terapeutico non legittima direttamente o indirettamente
pratiche eutanasiche o di abbandono terapeutico.
Seguendo i protocolli previsti per le cure palliative, a tutti i malati terminali e
quelli in una condizione di morte prevista come imminente è dovuta una adeguata
terapia per evitare sofferenze inutili, sulla base delle condizioni cliniche.
Il dichiarante il proprio consenso riguardo qualsiasi trattamento deve essere esaurientemente informato riguardo la diagnosi, prognosi, natura, rischi e benefici del
trattamento proposto; fino all’ultimo il consenso può essere revocato. I requisiti di
validità del consenso sono: libero, personale, attuale, informato e revocabile.
Gli interventi del medico e del personale sanitario, che rivestono una posizione
di garanzia, si hanno soltanto previo il consenso dell’interessato, che è un dovere
etico, giuridico e professionale richiederlo fornendo tutte le informazioni necessarie
e chiamando cosı̀ la persona al compimento di una scelta.
Il dichiarante esprime la propria volontà su trattamenti sanitari e di fine vita in
previsione di una perdita di capacità di intendere e di volere. La scelta va effettuata
in piena capacità di intendere e di volere e dopo una adeguata e compiuta informazione ricevuta dal medico. Si può scegliere l’attivazione o la non attivazione di specifici
Capitolo 2.
Dichiarazioni Anticipate di Trattamento: aspetti giuridici
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trattamenti sanitari; si può dichiarare di poter essere sottoposti o meno a trattamenti
sperimentali invasivi o ad alto rischio; si possono accettare o meno trattamenti sanitari che, anche a giudizio del medico, avessero potenziale, ma non sicuro carattere di
accanimento terapeutico. Volontà riguardanti eutanasia attiva o passiva non possono
essere inserite, cosı̀ come alimentazione e idratazione non sono oggetto di scelta nella
dichiarazione.
La dichiarazione anticipata assume valore dopo che un collegio medico, formato da
neurologo, neurofisiologo, neuroradiologo, medico curante e medico specialista della patologia, designati dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero, abbia effettuato la valutazione dello stato clinico e accertato che il soggetto non sia più in
grado di prendere attualmente decisioni sul proprio percorso di cura. Tutte le decisioni devono essere prese consultando i familiari o un fiduciario, se è stato nominato
dall’interessato.
I contenuti, gli argomenti su cui la persona può esprimersi nella propria dichiarazione anticipata, coincidono con quelli su cui la persona può esprimersi quando è
cosciente con il consenso o dissenso. Dove la persona può lecitamente esprimere la
propria volontà attuale, allora ha il diritto di esprimere i propri desideri in anticipo.
Le Dichiarazioni anticipate di trattamento non hanno un carattere obbligatorio
né vincolante. Devono essere sottoscritte da un medico abilitato e conservate da un
notaio a titolo gratuito.
A meno che il soggetto non sia divenuto incapace, la dichiarazione ha una validità
di cinque anni, trascorsi i quali perdono di efficacia e devono essere rinnovate. Inoltre
possono essere revocate o modificate in qualsiasi momento, anche in modo parziale
dal soggetto interessato. Hanno importanza dal punto di vista clinico e vanno inserite nella cartella clinica; in condizioni di emergenza o urgenza non possono essere
applicate a meno che non sia possibile una immediata acquisizione.
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Il fiduciario, nominato dall’interessato, deve essere maggiorenne, capace di intendere
e di volere e deve operare secondo le intenzioni legittimamente esplicitate dal soggetto, in modo da contribuire a realizzare le sue volontà, agendo nel suo esclusivo
e migliore interesse. La dichiarazione anticipata prevede un modulo con apposta la
firma del fiduciario.
Il fiduciario si impegna, in alleanza con il medico,al rispetto delle volontà del dichiarante, vigilando perché vengano somministrate le migliori terapie palliative, evitando l’accanimento, forme di abbandono terapeutico o forme di eutanasia “esplicita
o surrettizia”.
Il fiduciario può rinunciare al suo incarico comunicandolo al dichiarante o al medico, se nel frattempo la persona è divenuta incapace. Se non è stato nominato il
fiduciario, le sue funzioni sono adempiute dai familiari, da considerare un punto di
riferimento per tutto il personale di assistenza.
Il ruolo del medico e del personale sanitario risulta complesso dall’impossibilità materiale di interazione diretta con il paziente, un ruolo che ne esalta l’autonomia professionale (ma anche la dimensione umanistica).
Il medico prende in considerazione le volontà espresse e dichiara in cartella clinica
le motivazioni per cui decide di seguirle. “Le indicazioni sono valutate dal medico,
sentito il fiduciario, in scienza e coscienza, in applicazione del principio di inviolabilità della vita umana e della tutela della salute, secondo i principi di precauzione,
proporzionalità, prudenza” [5].
Il medico, sentito il fiduciario, può disattendere le volontà della persona se queste
non risultano più conformi agli sviluppi delle conoscenze tecnico-scientifiche. In caso
di controversia tra medico e fiduciario, la questione è sottoposta ad un collegio di
medici, la cui decisione risulta vincolante; qualunque sia la decisione che verrà presa,
Capitolo 2.
Dichiarazioni Anticipate di Trattamento: aspetti giuridici
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il medico non è tenuto a porre in atto prestazioni contrarie alle sue convinzioni di
carattere scientifico e deontologico.
Il tenere in considerazione quanto espresso nelle dichiarazioni anticipate deve
avere il giusto valore e deve essere adeguatamente applicato. All’articolo 35 del nuovo codice di deontologia medica si stabilisce che “Il medico deve intervenire in scienza e coscienza nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto
delle precedenti volontà del paziente”.
All’ultimo comma dell’articolo 38 si esprime che “ il medico, se il paziente non
è in grado di esprimere le proprie volontà, deve tener conto, nelle proprie scelte, di
quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato”.
La posizione di garanzia del sanitario rimane valida se la persona non ha espresso in precedenza il proprio rifiuto a trattamenti necessari nella attualità o quando
“espressi verbis o per facta concludentia” ha revocato la propria volontà di rifiuto. Il dovere di astensione del medico discende da una norma Costituzionale, non discutibile
da una norma di rango ordinario. La posizione di garanzia non può porsi in conflitto con il principio di autodeterminazione della persona che, rispettando i limiti
dell’ordinamento, ha espresso la sua specifica volontà.
Quando c’è un contrasto tra soggetti parimenti legittimati a esprimere il consenso
al trattamento, su istanza del pubblico ministero, la decisione è assunta dal giudice
tutelare o, in caso di urgenza, da quest’ultimo sentito il medico curante. Una autorizzazione giudiziaria risulta necessaria anche quando c’è un inadempimento o un
rifiuto ingiustificato di prestazione di consenso o dissenso a trattamenti sanitari da
parte di soggetti legittimati a esprimerlo nei confronti di incapaci. Il medico deve segnalare il caso al pubblico ministero.
Le Dichiarazioni anticipate di trattamento andranno conservate in un archivio in-
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formatizzato a livello nazionale presso il Consiglio Nazionale del Notariato. L’archivio è consultabile da autorità giudiziaria, dirigenti sanitari, medici responsabili del
trattamento di soggetti in stato di incapacità.
2.2 Articolo 32 della Costituzione. Diritto alla cura ma
anche diritto alla non cura?
COMMA 1: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo
e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”.
COMMA 2: “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario,
se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti
imposti dal rispetto della persona umana”.
L’articolo esprime la necessità di sottoporsi volontariamente ma non la possibilità di una “volontà abdicativa da parte del costituente rispetto alla permanenza del
principio [. . . ] della indisponibilità del bene vita anche da parte del soggetto che ne è
titolare” [7].
La salute è riconosciuta come un bene per l’individuo e un interesse per la collettività; la cura è un valore che l’individuo deve ricercare. Giuridicamente nessuno è
obbligato a curarsi ma esiste il dovere morale di farlo; il rifiuto o la rinuncia a un trattamento sanitario non può essere considerato un bene ne per l’interessato ne per la
società. Ma qualsiasi trattamento sanitario trova un limite nel rispetto della persona
umana.
L’articolo 32 è collocato sotto il titolo II della Costituzione dove sono raccolti tutti quegli articoli ispirati al principio di solidarietà; l’obiettivo è di assicurare a tutti
la salute tenendo conto, anzi rafforzando, l’importanza del consenso, dato che una
partecipazione attiva della persona migliora l’efficacia della cura. Nel rispetto di un
principio di uguaglianza, anche le persone che si trovano impossibilitate ad esprime-
Capitolo 2.
Dichiarazioni Anticipate di Trattamento: aspetti giuridici
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re il proprio consenso in modo attuale devono poter essere partecipi del loro percorso
di cura, esprimendo in anticipo le proprie volontà.
Il rifiuto o la rinuncia a un trattamento sanitario può essere considerato ammissibile non perché è possibile disporre liberamente sulla vita o sulla morte, sulla salute
o sulla malattia, ma perché ogni persona deve avere la possibilità di considerare dei
trattamenti non adeguati al proprio corpo, quindi scegliere di conseguenza.
2.3 Articoli 2, 3, 13 delle Costituzione Italiana
ARTICOLO 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
ARTICOLO 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
ARTICOLO 13
La libertà personale è inviolabile.
Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione perso-
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nale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato
dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni
effetto.
E‘ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
2.4 Uno sguardo allo scenario internazionale
Considerando la situazione legislativa nel panorama internazionale in materia di fine vita, gli Stati Uniti sono, a livello mondiale il paese precursore del via libera al
testamento biologico, il cosiddetto Living Will, a partire dal 1975, quando è iniziata
la discussione sul “right to die”, che ha prodotto un anno dopo il Natural Death Act,
emanato dallo stato di California. Nel 1991 è stata sancita l’efficacia del “Living Will”
con il Patient Self Determination act, ma nel 1998 si è riaperta la discussione sul testamento biologico, in merito al caso di Terry Schiavo, perché in Florida non era previsto
che in assenza di testamento biologico si potesse dare attuazione all’interruzione del
trattamento. Nel 2003 in Florida viene emanata la cosiddetta Terry’s law, dichiarata poi
incostituzionale e annullata; nel 2005, nel tentativo di affrontare questo caso ancora
irrisolto, se ne è occupato il Congresso, trasferendo la competenza giurisdizionale alla Corte Suprema Federale, che ha accolto il ricorso dei genitori di Terry Schiavo e si
è proceduto alla sospensione della alimentazione.
In Francia il 22 Aprile 2005 è stata approvata la legge n.370 sui diritti del malato
Capitolo 2.
Dichiarazioni Anticipate di Trattamento: aspetti giuridici
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e sul fine vita, in seguito alla quale è risultata necessaria la modifica del Code de la
Santé Publique all’articolo L.1111-10. La legge infatti introduce la discriminante, per
l’omicidio, del compimento di atto dovuto o autorizzato da disposizioni legislative
o regolamentari, consentendo al medico di interrompere o non intraprendere determinati trattamenti di sostegno vitale o salvavita; inoltre introduce il divieto di Obstination Deraisonnable, per tutti quegli atti inutili, sproporzionati, che hanno il solo
scopo di mantenere in vita il paziente. L’articolo prescrive che “se una persona, in
fase avanzata di una malattia grave e incurabile, decide di limitare o interrompere
ogni trattamento, il medico è tenuto a rispettarne le volontà. Il medico deve informare sulle conseguenze della scelta al fine di salvaguardare la dignità dell’assistito e
assicurargli la qualità della vita con il ricorso a terapie palliative”. Questo articolo si
collega direttamente ad un altro, L.1111-4, riguardante il consenso informato; quando
l’assistito non è in grado di esprimere la propria volontà e non è presente la famiglia
o un fiduciario che lo possano fare, è in medico che, consultandosi con l’équipe assistenziale e sentito il parere di un altro medico, prende la decisione. La disciplina delle
direttive anticipate in Francia prevede che riguardino tutti i trattamenti sanitari, che
debbano essere redatte in forma scritta con una validità triennale, che ci sia la possibilità di nominare un fiduciario, che il medico dovrà consultare, e che non abbiano
un carattere vincolante ma risultino una guida per il medico nelle sue scelte.
In Germania, il testamento biologico trova una applicazione pratica ed è riconosciuto
dalla giurisprudenza ma non è stato ancora oggetto di una normativa specifica. Nel
2003 la Corte Suprema Federale ha dichiarato legittimo, con un carattere vincolante
la Patientenverfugung (atto di disposizione del paziente), atto che si basa sul diritto
di autodeterminazione del malato. Inoltre l’articolo 1, comma 1, della Legge Fondamentale, Grundgesetz, stabilisce che la decisione presa da un soggetto capace nel pieno
possesso delle sue facoltà debba essere rispettata anche qualora insorga uno stato di
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incapacità.
Nei Paesi Bassi è stata introdotta la Legge per il controllo d’interruzione della vita su
richiesta e assistenza al suicidio, legge n. 194. È una legge anche detta sul diritto all’eutanasia, che va a stabilire con accuratezza i criteri secondo i quali va prestata assistenza al suicidio. Se rispettati questi criteri, si esclude la punibilità del medico che ha
provocato la morte del consenziente. Delle Commissioni regionali devono controllare
l’operato del medico e trasmettere un rapporto analitico al Governo Centrale.
In Inghilterra è in vigore dal 2007 il Mental Capacity Act, che istituisce un quadro
giuridico di riferimento soprattutto per i pazienti incapaci di prendere decisioni autonomamente e regolamenta le dichiarazioni anticipate di volontà. La legislazione
britannica persegue il criterio del best interest nei casi di incapacità e prevede la nomina di una persona di riferimento, che può prendere decisioni in vece della persona
incapace. Viene anche istituito l’IMCA (Indipendent Mental Capacity Advocate), cioè una
figura giuridica che rappresenta il paziente in stato di incapacità, quando non ha lasciato le sue volontà anticipate.
In Spagna la legge n.41 del 14 Novembre 2002 si basa su due principi fondamentali: l’autonomia della persona e i diritti e gli obblighi in materia di informazione
clinica. Per quanto riguarda il fine vita questa legge che il paziente possa accettare
o rifiutare di sottoporsi a specifici trattamenti dopo una adeguata e completa informazione clinica da parte del medico. Se l’assistito si trova in uno stato di incapacità,
l’informazione è rivolta a un rappresentante legale del paziente.
Le Istrucciones Previas (direttive anticipate) possono essere redatte da tutti i soggetti maggiorenni, capaci e liberi, che possono esprimersi riguardo tutti i trattamenti medici, sulla donazione degli organi, sulla destinazione del corpo in seguito al decesso
Capitolo 2.
Dichiarazioni Anticipate di Trattamento: aspetti giuridici
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e possono nominare uno o più fiduciari.
Sia la formulazione sia la revoca devono essere redatte in forma scritta e sono conservate presso un Registro Nazionale ministeriale. Risultano inapplicabili se contrastanti con l’ordinamento giuridico, se inattuali rispetto al quadro clinico o se riferite
a un diverso trattamento.
La Danimarca è stata la prima nel 1992 ad aver istituito le direttive anticipate; la
legge attuale di riferimento in materia è la n.546 del 2005, che stabilisce l’importanza
del consenso informato per tutti i trattamenti sanitari e il diritto del malato di rifiutare
un trattamento che ha il solo obiettivo di procrastinare la morte, senza prospettiva di
guarigione, di miglioramento o di alleviamento delle sofferenze. Le persone hanno il
diritto di scrivere il testamento biologico, conservato in un Pubblico Registro presso
il Ministero della Sanità e sempre revocabile. Il valore da attribuire a tale testamento
è di carattere vincolante se il malato è terminale o è solo indicativo se il malato non è
in condizioni terminali.
Capitolo 3
Dichiarazioni anticipate di trattamento:
aspetti etici e deontologici
3.1 I pareri del Comitato Nazionale di Bioetica sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento e sull’alimentazione
Il 18 Dicembre del 2003 il Comitato Nazionale di Bioetica –CNB- ha approvato il documento riguardante le dichiarazioni anticipate di trattamento –DAT-; “le varie forme
di dichiarazioni anticipate si iscrivono in un positivo processo di adeguamento della
nostra concezione dell’atto medico ai principi di autonomia decisionale del paziente”, sottolineando come possono rendere ancora possibile il dialogo tra il medico e
la persona malata, nonostante l’incapacità sopravvenuta di quest’ultima. Il Comitato
Nazionale di Bioetica si sofferma a riflettere su quella che risulta essere l’inevitabile
“astrattezza” delle dichiarazioni o possibile ambiguità, soprattutto quando vengono
redatte senza l’ausilio di personale competente e, inevitabilmente, in un tempo precedente a quello dell’intervento, con la mancanza di quel requisito di attualità, proprio
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del consenso.
Altri temi affrontati nel documento riguardano il contenuto, l’affidabilità o meno di queste espressioni di volontà e il carattere vincolante o non vincolante per il
medico, dal punto di vista deontologico e giuridico.
Il Comitato Nazionale di Bioetica ci tiene a sottolineare come, attraverso le dichiarazioni, non si vuole sostenere un diritto alla eutanasia, ne un diritto soggettivo a
morire, ma il diritto di richiedere ai medici la sospensione o la non attivazione di pratiche terapeutiche anche nei casi più estremi di sostegno vitale. Quali sono gli interventi su cui la persona può scegliere per la realizzazione di questo diritto? Secondo il
Comitato Nazionale di Bioetica, nel documento Dichiarazioni anticipate di trattamento,
2003 deve essere possibile dare alcune indicazioni:
• indicazioni sulla assistenza religiosa, sulla intenzione di donare o no i propri
organi, sull’utilizzo del cadavere a scopo di ricerca e/o didattico.
• indicazioni su come si vuole “umanizzare” la propria morte (cure palliative,
volontà di essere curati in casa o in ospedale).
• indicazioni sulla scelta di varie possibilità diagnostico terapeutiche, che potrebbero presentarsi necessarie in corso di malattia.
• indicazioni per implementare le cure palliative.
• indicazioni per richiedere la non attivazione di qualsiasi forma di accanimento
terapeutico o di trattamenti di sostegno vitale sproporzionati o ingiustificati.
• indicazioni per richiedere il non inizio o la sospensione di trattamenti di sostegno vitale, anche quando non si configura una ipotesi di accanimento.
• indicazioni finalizzate alla sospensione di alimentazione e idratazione.
Capitolo 3.
Dichiarazioni anticipate di trattamento: aspetti etici e deontologici
35
Riguardo queste ultime indicazioni sono presenti dei pareri contrastanti all’interno
dello stesso Comitato. Alcuni membri sostengono il riconoscimento della facoltà di
dare disposizioni anticipate circa la volontà di accettare o rifiutare qualsiasi trattamento, sottolineando che la redazione deve avvenire nell’ambito della relazione
medico-paziente; altri membri sostengono che “il potere dispositivo del paziente vada limitato esclusivamente a quei trattamenti che integrino forme di accanimento
terapeutico perché sproporzionati o addirittura futili”. Secondo questi ultimi non
è possibile scegliere su trattamenti di sostegno vitale di carattere non straordinario, ne su alimentazione e idratazione, eticamente e deontologicamente doverose, se
proporzionate alle condizioni cliniche.
3.2 Decidere ora per allora
Una delle prime obiezioni e uno dei primi interrogativi che suscita il documento delle
Dichiarazioni anticipate di trattamento riguarda la possibilità di esprimersi in anticipo,
quindi l’effettiva corrispondenza tra le volontà pregresse e le volontà attuali. Scrivere
quali sono le cure e i trattamenti che si vorrebbero o non vorrebbero in determinate
circostanze è il segno di poter esprimere la propria libertà ma allo stesso tempo priva
la persona della possibilità di contestualizzare le sue decisioni in rapporto ai mutamenti e avanzamenti scientifici e tecnologici che si realizzano nel frattempo. È poi
possibile comprendere ciò che si desidera data la complessità della tematica e la poca
preparazione a riguardo?. Non è facile decidere cosa vorremmo oggi per allora, ne
è possibile prevedere il cambiamento delle possibilità di trattamento e cura, quindi
esprimersi a riguardo. Nel momento dell’intervento è perciò necessaria la presenza
di qualcuno che sia in grado di contestualizzare le intenzioni della persona alla luce
delle prospettive scientifiche disponibili. Fino a che punto è possibile decidere “ora
per allora”?.
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Chi si pronuncia contrario a ogni forma di legge sulle Dichiarazioni anticipate di
trattamento è perché le considera come una “anticamera della eutanasia”. Al contrario,
i sostenitori più radicali della libertà assoluta dell’uomo affermano che deve essere
possibile non solo sospendere qualsiasi forma di trattamento ma anche quelle forme
di sostegno vitale, quali nutrizione e idratazione.
La Dichiarazione anticipata di trattamento prevede di stabilire che cosa si vorrà
per ipotetiche situazioni future ma bisogna considerare che alla base di tutti i processi
decisionali ci sono una complessità di fattori emotivi, cognitivi e valoriali.
I processi decisionali possono infatti cambiare nelle questioni di fine vita o quando c’è un imminente pericolo per la propria vita; decidere stando bene cosa si vuole
per quando ipoteticamente si starà male riflette contesti esistenziali differenti e bisogna tener presente quella che può essere l’influenza delle passioni, soprattutto se si
tratta di paura, di angoscia, di timore, sulle proprie decisioni. Il malato ha il diritto
di chiedere il miglior trattamento disponibile e il medico ha il dovere di accogliere le
sue richieste, cercando di offrire la migliore cura possibile sulla base delle conoscenze
scientifiche.
Se il malato desidera decidere “ora per allora”, il medico deve essere il grado
di guardare anche al futuro, proponendo le migliori soluzioni possibili. “Decidere
ora per allora si può ma i due termini devono essere accostati, anche sotto il profilo
cronologico, da una medesima esperienza umana, clinica e scientifica per assicurare
quella continuità esistenziale e assistenziale, che permette al paziente di riconoscersi
punto per punto nelle decisioni che prende e per le quali conta sulla competenza del
medico” [7].
Una legge che va a disciplinare le Dichiarazioni anticipate di trattamento non può
non considerare quella distanza, psicologica e temporale, tra l’ “ora”, il momento in
cui si formula la dichiarazione, e l’ “allora”, il momento in cui gli interventi vanno
attuati. Il Comitato Nazionale di Bioetica, su questo punto cosı̀ importante, ha dichia-
Capitolo 3.
Dichiarazioni anticipate di trattamento: aspetti etici e deontologici
37
rato: “[. . . ] il carattere non assolutamente vincolante, ma non per questo meramente
orientativo delle dichiarazioni, non viola in nessun modo l’autonomia del soggetto,
presumendo che nessun paziente si priverebbe della possibilità di beneficiare di quei
trattamenti che si rendessero disponibili in un periodo successivo alla sua manifestazione di volontà. Ed è esattamente in questo ambito che deve essere inquadrato il ruolo del medico, che non deve limitarsi a eseguire meccanicamente, come un burocrate,
i desideri del paziente, ma ha l’obbligo morale di valutarne l’attualità in relazione
alla situazione clinica e ai nuovi sviluppi scientifici”. Un’ interpretazione conforme al
già citato articolo 9 della Convenzione di Oviedo dove si ribadisce che “i desideri manifestati precedentemente dal paziente devono essere tenuti in considerazione, ma se
sono stati espressi molto tempo prima dell’intervento e la scienza ha da allora fatto
progressi, potrebbero esserci le basi per non essere presi in considerazione dal medico. Il medico dovrebbe, per quanto possibile, essere convinto che i desideri del malato
si applicano alla situazione presente e sono ancora validi”.
Non è possibile stabilire a priori quale sia il momento migliore per formulare la
propria dichiarazione ma il timore di una eccessiva astrattezza di questo documento
per la distanza di tempo e di situazioni, può essere affrontata pensando alla possibilità, in ogni momento, di revocare o di modificare le proprie volontà, in rapporto
anche alla esperienza diretta con la condizione di malattia. “Una redazione meditata
e consapevole” può ridurre significativamente ma non evitare del tutto “il carattere
astratto” delle dichiarazioni [6].
Il persistere di una certa astrattezza è argomento sufficiente per affermare il carattere non vincolante delle dichiarazioni; va sempre considerata la situazione esistenziale reale al momento della realizzazione degli interventi.
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3.3 I cambiamenti nel paradigma della medicina moderna
Una ulteriore riflessione riguarda la relazione infermiere-medico e persona assistita dal momento che sorge spontanea la domanda su quale sia il ruolo di entrambi
davanti alle sfide che le conquiste tecnico-scientifiche offrono alla medicina.
La vita umana ha sempre, per tutti, lo stesso altissimo valore?. Oppure ci sono vite che meritano di essere vissute e vite che non lo meritano?. Come afferma l’articolo
3 della Costituzione Italiana, siamo tutti veramente uguali nei nostri diritti oppure il diverso stato di salute crea una classe di persone diverse, non adeguatamente
considerate dalla Costituzione stessa?
Parlando di Dichiarazioni anticipate di trattamento, spesso si esprime un estremo
bisogno di tutelare persone in stato vegetativo permanente soprattutto quando c’è
una minaccia che la loro vita venga considerata su un piano meramente biologico.
Compito della medicina e compito del nursing è da sempre quello di prendersi
cura di qualcuno e di tutelare la sua salute. Ma nell’ambito delle Dichiarazioni anticipate di trattamento, la medicina e il nursing assumono un ruolo contraddittorio,
dal momento che, rispettando il diritto della persona di autodeterminazione e forzandolo fino alle sue estreme conseguenze, potrebbero spingersi fino ad accogliere una
richiesta di sospensione di cure salvavita. In questo caso viene meno il ruolo della
medicina di tutelare il diritto alla vita.
Ci si pone, a questo punto, un altro interrogativo: “fino a dove si estende il potere
dell’uomo sul proprio corpo, fino a che punto si può dire questo corpo è mio e ne
faccio ciò che voglio, incluso precludergli il diritto alle cure, se ammalato, o ancor più
il diritto a vivere, a nutrirsi come forma elementare di diritto alla vita”? [7].
Cambiamento fondamentale alla base del paradigma della medicina è che fino a
non molti anni fa medici e infermieri dovevano fare tutto ciò che era possibile per
Capitolo 3.
Dichiarazioni anticipate di trattamento: aspetti etici e deontologici
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il malato; ora devono limitarsi a fare solo ciò che la persona malata chiede. Oggi si
guardano spesso con sospetto le nuove tecnologie che possono prolungare la vita in
modo artificiale e si fa appello per un ritorno “all’ecologia della morte naturale” [7].
Il paternalismo medico non è ben visto dato che chi assiste diventa, più che un
padre, un padrone, e la persona risulta esclusa dalle decisioni che riguardano il suo
percorso terapeutico. Ma medici e infermieri risultano sotto accusa sia che vogliano
imporre la propria volontà alla persona assistita, sia se non accolgono una richiesta
del malato di rifiuto totale delle cure.
Una sfida nuova sia sul piano umano sia scientifico è su come gestire il rifiuto dell’ammalato alle cure e come continuare comunque a prendersi cura di lui. La richiesta
di aiuto, rivolta a medici e infermieri, può essere interpretata come espressione della
libertà dell’uomo; si va dal medico perché ci si scopre malati, fragili e il primo compito per medici e infermieri è quello di accogliere questa richiesta di aiuto. Entrambi
mettono in gioco la propria competenza e disponibilità; è proprio nell’ambito di uno
scambio di aiuto reciproco che si realizza l’etica della cura.
Un’altra questione riguarda se le dichiarazioni anticipate di trattamento abbiano
un carattere facoltativo o obbligatorio; prevalentemente ci si esprime perché sia una
possibilità offerta alle persone e “solo quando questa opportunità viene colta, allora
si trasforma in diritto”. Una adeguata riflessione è necessaria perché da un lato si configura una crescente consapevolezza dei diritti individuali, che apre nuove questioni
bio-giuridiche; dall’altro la scienza e la tecnica trovano soluzioni a problemi con cui
la medicina si scontra ogni giorno, suscitando nuovi interrogativi in ambito bioetico.
Sia l’inizio sia la fine della vita umana sembrano condizionati dall’impatto tecnologico. Se la politica deve garantire, in ogni caso, i diritti dei più deboli, di chi non ha
voce per farsi sentire, medici e infermieri devono battersi per tutelare la vita perché il
diritto alla vita risulta un prerequisito fondamentale per ogni altro diritto. È un diritto
profondamente laico, espressione di un diritto naturale, da sempre garantito in tutte
40
le società, comune a tutte le tradizioni e civiltà.
3.4 Il codice deontologico medico e l’etica di fine vita
ARTICOLO 3 (DOVERI DEL MEDICO)
Dovere del medico è la tutela della vita, della salute fisica e psichica dell’Uomo e il
sollievo dalla sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona umana,
senza distinzioni di età, di sesso, di etnia, di religione, di nazionalità, di condizione
sociale, di ideologia,in tempo di pace e in tempo di guerra, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera. La salute è intesa nell’accezione più
ampia del termine, come condizione cioè di benessere fisico e psichico della persona.
ARTICOLO 16 (ACCANIMENTO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO)
Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse, deve
astenersi dall’ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa
fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento
della qualità della vita.
ARTICOLO 17 (EUTANASIA)
Il medico, anche su richiesta del malato, non deve effettuare né favorire trattamenti
finalizzati a provocarne la morte.
ARTICOLO 35 (ACQUISIZIONE DEL CONSENSO)
Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente.
Capitolo 3.
Dichiarazioni anticipate di trattamento: aspetti etici e deontologici
41
Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui
per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili
conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione
documentata della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo
informativo di cui all’art. 33.
Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l’incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso
di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far
seguito una opportuna documentazione del consenso.
In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve
desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun
trattamento medico contro la volontà della persona.
Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni
accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente.
ARTICOLO 36 (ASSISTENZA D’URGENZA)
Allorché sussistano condizioni di urgenza, tenendo conto delle volontà della persona
se espresse, il medico deve attivarsi per assicurare l’assistenza indispensabile.
ARTICOLO 38 (AUTONOMIA DEL CITTADINO E DIRETTIVE ANTICIPATE)
Il medico deve attenersi, nell’ambito della autonomia e indipendenza che caratterizza la professione, alla volontà liberamente espressa della persona di curarsi e deve
agire nel rispetto della dignità, della libertà e autonomia della stessa. Il medico, compatibilmente con l’età, con la capacità di comprensione e con la maturità del soggetto, ha l’obbligo di dare adeguate informazioni al minore e di tenere conto della sua
volontà. In caso di divergenze insanabili rispetto alle richieste del legale rappresen-
42
tante deve segnalare il caso all’autorità giudiziaria; analogamente deve comportarsi
di fronte a un maggiorenne infermo di mente. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto
precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato.
ARTICOLO 53 (RIFIUTO CONSAPEVOLE DI NUTRIRSI)
Quando una persona rifiuta volontariamente di nutrirsi, il medico ha il dovere di
informarla sulle gravi conseguenze che un digiuno protratto può comportare sulle sue condizioni di salute. Se la persona è consapevole delle possibili conseguenze
della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive né collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale nei confronti della medesima, pur
continuando ad assisterla.
3.5 Trattamento sanitario o trattamento di sostegno vitale?
Parlando di Dichiarazioni anticipate di trattamento, bisogna fare chiarezza sul concetto di trattamento perché risulta l’oggetto su cui una persona, che formula la propria
dichiarazione, è chiamata a esprimersi.
I trattamenti sanitari risultano essere qualcosa di diverso dal sostegno vitale ma è
necessario stabilire contenuti e confini di una dichiarazione anticipata di trattamento.
L’articolo 32 della Costituzione al comma 2 parla esclusivamente di trattamenti
sanitari ma non di forme di sostegno vitale.
“Nessuno può essere sottoposto a un determinato trattamento sanitario, se non
per disposizione di legge”.
Tra le cure di fine vita, l’aspetto più controverso del dibattito riguarda la nutrizio-
Capitolo 3.
Dichiarazioni anticipate di trattamento: aspetti etici e deontologici
43
ne e l’idratazione artificiali. Il problema di natura etica, antropologica, clinica e sociale
tocca vari punti:
• Il tempo: se e quando somministrare nutrizione e idratazione artificiali.
• Il modo: quale tipo di nutrizione artificiale deve essere scelta.
• La fase valutativa: il come comprendere se il trattamento è efficace.
• Gli effetti: come non rischiare di sfociare nell’accanimento (trattamento prolungato oltre il lecito) ne nell’abbandono (sospensione del trattamento che provoca,
come conseguenza diretta la morte).
Il primo punto coinvolge direttamente la persona che decide di includere o meno,
nella propria dichiarazione, anche qualcosa che si riferisca alla nutrizione e idratazione artificiali. Gli altri punti riguardano il medico come persona competente in grado
di valutare sia le modalità di somministrazione sia se questa produce effetti positivi
o meno.
Da un lato c’è chi sostiene che la persona, in nome del principio di autodeterminazione, può chiedere ciò che vuole; dall’altro c’è chi sostiene che alcune richieste
possono risultare una forma di suicidio assistito o di eutanasia passiva, azioni poi
punite dall’attuale codice penale.
Il medico deve saper valutare fino a che punto la persona è in grado di assorbire,
di metabolizzare, quindi di far si che quei nutrienti somministrati diventino qualcosa
che appartiene alla persona, che ne trae giovamento, e non soltanto alla sua corporeità. Se riesce a metabolizzare ciò che viene somministrato è di questo che vive e
continua a vivere ma se non è in grado di assimilare, la sola somministrazione di nutrienti può configurarsi come accanimento terapeutico, un intervento sproporzionato,
inutile e dannoso.
44
Quindi la nutrizione artificiale andrebbe somministrata fino a quando il malato
può assimilarla; il medico, la scienza, la tecnica devono garantire alla persona quanto le serve a vivere, fino a che questo può essere considerato come un intervento
proporzionato.
Il Comitato Nazionale di Bioetica, in relazione al lecito contenuto delle dichiarazioni, osserva che “il loro ambito di rilievo coincide con quello in cui il paziente
cosciente può esprimere un consenso o un dissenso valido nei confronti delle indicazioni di trattamento che gli vengono prospettate” affermando poi il principio che
“ogni persona ha il diritto di esprimere i propri desideri anche in modo anticipato in
relazione a tutti gli interventi terapeutici e a tutti gli interventi medici circa i quali può
lecitamente esprimere la propria volontà attuale”. Riguardo il rifiuto di cure salvavita
e di alimentazione e idratazione artificiali, alcuni membri del Comitato “sostengono
che al paziente va riconosciuta la facoltà di dare disposizioni anticipate circa la sua
volontà (variamente motivabile, in relazione ai più intimi e insindacabili convincimenti delle persone) di accettare o rifiutare qualsiasi tipo di trattamento e di indicare
le situazioni nelle quali la sua volontà deve trovare attuazione” sottolineando che
“la redazione di tali disposizioni avvenga nel contesto del rapporto medico paziente,
in modo che il paziente abbia piena consapevolezza delle conseguenze che derivano
dalla attuazione delle sue volontà”; altri membri ritengono che “il potere dispositivo
del paziente vada limitato esclusivamente a quei trattamenti che integrino, in varia
misura, forme di accanimento terapeutico, perché sproporzionate o addirittura futili”. Secondo quest’ottica, la persona non può rifiutare “interventi di sostegno vitale di
carattere non straordinario, né l’alimentazione né l’idratazione artificiali che, quando
non risultano gravose per lei, costituirebbero invece, atti eticamente e deontologicamente doverosi, nella misura in cui –proporzionati alle condizioni cliniche- contribuiscono ad eliminare le sofferenze del malato terminale” in quanto la loro omissione
“realizzerebbe l’ipotesi di eutanasia passiva”.
Capitolo 3.
Dichiarazioni anticipate di trattamento: aspetti etici e deontologici
45
La nostra Costituzione esclude che un intervento possa essere effettuata sul corpo
di un soggetto dissenziente, se non nei casi previsti dalla legge, che salvaguardia
la salute, non solo del singolo soggetto ma della collettività. Le norme del codice
penale applicabili al rifiuto delle cure salvavita e dei trattamenti di sostegno vitale
sono entrate in vigore in epoca antecedente alla stessa Costituzione e dovrebbero
essere reinterpretate in conformità con il dettato costituzionale.
Fatti italiani, come il caso Welby o il caso Englaro, dimostrano come si difficile per
i giudici rendere attuali norme costituzionali sulla libertà del corpo da trattamenti
invasivi e sulla libertà di ciascuno di sottoporsi o meno alle cure ritenute idonee da
parte dei medici.
Il medico, già di sua iniziativa, dovrebbe escludere dai trattamenti applicabili
quelli che nella pratica risultano inutili, ovvero costituiscono una forma di accanimento; questo comportamento è previsto non solo dalle buone norme di pratica clinica ma dagli stessi Codici Deontologici, medico e infermieristico. La maggioranza
dei membri del Comitato alla fine sostiene che al paziente è consentito richiedere
la non attivazione solo di quei trattamenti, che il medico, in base al proprio Codice
Deontologico, non dovrebbe già attivare. L’attuale Codice di Deontologia medica, approvato nel 2006, all’articolo 53, sotto il titolo “rifiuto consapevole di nutrirsi”, recita
che “quando una persona rifiuta volontariamente di nutrirsi, il medico ha il dovere
di informarla sulle gravi conseguenze che un digiuno protratto può comportare sulle
sue condizioni di salute” e che “se la persona è consapevole delle possibili conseguenze della propria decisione, il medico non deve assumere iniziative costrittive, né
collaborare a manovre coattive di nutrizione artificiale nei confronti della medesima,
pur continuando ad assisterla”. Secondo quanto espresso in questo articolo, il rifiuto di alimentazione e idratazione artificiali dovrebbe essere rispettato da tutti anche
quando espresso in via anticipata da un soggetto che non desidera essere mantenuto in vita in stato vegetativo permanente (SVP), in una condizione irreversibile, cioè
46
ritenuta dall’interessato contrario alla sua dignità di persona.
3.6 Il fiduciario, garante del malato e della sua volontà
Dal momento che le Dichiarazioni anticipate di trattamento sono pensate perché una
persona possa essere protagonista del proprio percorso terapeutico e possa scegliere
liberamente e intenzionalmente i trattamenti che la riguardano, risulta necessaria la
nomina di una persona di fiducia che sia in grado di interpretare tali volontà. Il fiduciario è quella persona che dovrà agire nel miglior interesse del malato, sancito che
la libertà dell’uomo preveda la possibilità di delegare ad altri il rispetto delle proprie
volontà, tra cui quella di rinunciare a trattamenti salvavita, non alle forme di sostegno
vitale. La nomina di una persona di fiducia assume importanza come figura che accanto al medico può leggere e comprendere quali sono veramente le volontà dell’ammalato in rapporto ai cambiamenti avvenuti dal momento della dichiarazione. Non
possono essere considerati equivalenti un pericolo attuale e concreto per la vita e una
manifestazione di volontà espressa quando questo pericolo non era configurabile.
Il fiduciario è quella persona che dovrebbe aiutare a risolvere due difficoltà che si
presentano al momento della applicazione delle dichiarazioni.
Da un lato una difficoltà riguarda il linguaggio utilizzato e la mancanza di competenza tecnica del dichiarante, che non può essere a conoscenza di tutte le situazioni
cliniche in cui si potrebbe trovare coinvolto; considerare accettabili o meno le dichiarazioni sulla base di una assoluta precisione di linguaggio o di una capacità di previsione di vari scenari clinici, risulta alquanto limitante sia dal punto di vista bioetico
sia pratico.
Un altro problema riguarda la decisione terapeutica del medico; se il medico si
attenesse alla lettera a quanto espresso nelle dichiarazioni si determinerebbe “un automatismo che [. . . ] finirebbe per indebolire [. . . ] il valore non solo etico, ma anche
Capitolo 3.
Dichiarazioni anticipate di trattamento: aspetti etici e deontologici
47
medico – terapeutico, della prassi medica per potenziarne il carattere burocratico”
[6].
Il fiduciario risulta essere una figura di riferimento per far conoscere e realizzare
volontà e desideri espressi dalla persona e a lui il medico dovrebbe comunicare le
scelte terapeutiche che intende attuare. Il fiduciario ha “un pieno e compiuto dirittodovere” di essere un punto di riferimento per le pratiche terapeutiche del medico e
di vigilare perché non si verifichino forme di abbandono.
L’obiettivo, in un continuo e costante dialogo con i medici curanti, è quello di agire
seguendo il best interest dell’ammalato; tra i compiti del fiduciario il Comitato Nazionale di Bioetica ci tiene a sottolineare che “resta comunque escluso che il fiduciario
possa prendere decisioni che non sarebbero potute essere legittimamente prese dal
paziente stesso nelle proprie dichiarazioni anticipate” [7].
3.7 Dichiarazioni anticipate di trattamento: rischio eutanasia?
La discussione su quella che sarà la legge in materia di Dichiarazioni anticipate di
trattamento affronta anche la questione tra chi vuole includere la possibilità di eutanasia passiva, configurandolo come il rifiuto di nutrizione e idratazione, e chi vuole
escludere in modo determinato questa eventualità, considerata non conforme al codice penale e fortemente illecita dal punto di vista etico. Nell’attuale disegno di legge ci
sono espliciti riferimenti alla proibizione sia della eutanasia attiva sia della eutanasia
passiva; questo esplicito divieto evita il rischio di poter richiedere una forma di eutanasia mediante il rifiuto delle cure e soprattutto il rifiuto di trattamenti di sostegno
vitale.
L’eutanasia viene considerata come eticamente inaccettabile e punita dal codice
48
penale con gli articoli 579 (omicidio del consenziente) e 580 (istigazione e aiuto al
suicidio).
Chi considera accettabile l’eutanasia parla anche della abolizione dei due articoli
del codice penale e del fatto che la legge non dovrebbe porre limiti alle decisioni della
persona malata sul proprio corpo.
Il Comitato Nazionale di Bioetica ha ritenuto opportuno effettuare una distinzione
tra il “lasciar morire e il provocare la morte”, concetto che può essere espresso anche
in termini di condotta omissiva e condotta commissiva.
Non c’è distinzione tra il non avviare o il sospendere dei trattamenti di sostegno
vitale alla luce del fatto che il risultato a cui si giunge risulta essere sempre quello
della morte della persona. Ma la necessità, sociale, giuridica e etica, di mantenere
distinte le due situazioni, il lasciar morire e il provocare la morte, è data dal fatto
che le due ipotesi non sono dotate della medesima carica di disvalore. L’omissione
è percepita con una “minore carica offensiva” rispetto “all’agire eutanasico”. Attualmente l’utilizzo intensivo della tecnologia può essere vissuto come una imposizione
e il rinunciare, quindi omettere quel tipo di trattamento, non è percepito come una
espressa richiesta di morte, ma la volontà di accedere a cure di minore intensità o a
cure palliative. La stessa omissione di trattamento va a riconoscere l’esistenza di un
limite nella possibilità di cure e ascolta la volontà che la malattia segua il suo corso naturale, evitando azioni che comunque non migliorano la qualità della vita della
persona.
Il lasciar morire, se pur giuridicamente accettabile in condizioni di autonomia, risulta eticamente problematico pensando al dovere morale del medico di curare e la
responsabilità della persona e della società di salvaguardare il bene vita. Forse può
essere necessaria una distinzione tra il medico che procura la morte o il medico che
accoglie la richiesta di rinunciare alle cure.
Da un lato c’è chi considera la vita umana come un bene indisponibile allo stesso
Capitolo 3.
Dichiarazioni anticipate di trattamento: aspetti etici e deontologici
49
titolare, bene che va tutelato e preservato. Dall’altro c’è chi, pur considerando la vita
come un bene primario e meritevole della massima tutela”, non per questo risulta
essere un bene del tutto indisponibile, dal momento che ha importanza il valore che
ciascuno gli attribuisce in base ai propri principi e scelte morali.
Prendendo in esame il caso Welby e il caso Englaro, fatti italiani emblematici per
questa tematica, bisogna considerare che i giudici non hanno dichiarato lecite pratiche eutanasiche, intendendo la somministrazione di sostanze allo scopo di provocare
o accelerare la morte della persona, le quali restano illecite e penalmente rilevanti ai
sensi degli articoli 575 e 579, c.p.
I giudici hanno applicato le norme vigenti, in particolare quelle costituzionali, con
riguardo alla normativa internazionale vincolante per l’Italia.
3.8 Come implementare le dichiarazioni anticipate di trattamento
Riconoscendo l’importanza delle dichiarazioni anticipate, il Comitato Nazionale di
Bioetica sostiene che meritano di essere implementate, nel senso di favorire la corretta formulazione per coloro che desiderano redigerle. Perché possa realizzarsi praticamente quanto espresso dall’articolo 9 della Convenzione sui diritti umani e la biomedicina, ci si pone il problema di un riconoscimento giuridico delle dichiarazioni “al fine
di porre rimedio a una situazione che è fonte di importanti spazi di incertezza del
diritto”.
Un altro problema è il carattere pratico e operativo delle dichiarazioni perché sia
possibile una corretta prassi in materia, difficoltà di carattere culturale, prima ancora
che giuridica. Il Comitato Nazionale di Bioetica non nega la necessità di una norma
giuridica in materia, ma questa da sola non è sufficiente a dar valore a tutte le implicazioni etiche contenute nell’articolo 9 della Convenzione. Una qualsiasi norma-
50
tiva dedicata alle Dichiarazioni anticipate di trattamento deve essere accompagnata
da una forte presa di consapevolezza bioetica sulla complessità della questione e su
tutte le sue sfaccettature.
Capitolo 4
Lo Stato Vegetativo Permanente
4.1 Che cos’è lo stato vegetativo permanente
Il comitato nazionale di bioetica nel documento L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente definisce lo stato vegetativo permanente -SVP- come un
quadro clinico (derivante da compromissione neurologica grave), caratterizzato da
un apparente stato di vigilanza senza coscienza, con occhi aperti, frequenti movimenti finalistici di masticazione, attività motoria degli arti limitata e riflessi di retrazione
agli stimoli nocicettivi senza movimenti finalistici. I pazienti in SVP talora sorridono
senza apparente motivo; gli occhi e il capo possono ruotare verso suoni e oggetti in
movimento, senza fissazione dello sguardo. La vocalizzazione, se presente, consiste
in suoni incomprensibili; sono presenti spasticità, contratture, incontinenza urinaria
e fecale.
Le funzioni cardiocircolatorie e respiratorie sono conservate e il paziente non necessita di sostegni strumentali. È conservata anche la funzione gastrointestinale, anche se il paziente è incapace di nutrirsi per bocca a causa di disfunzioni gravi a carico
della masticazione e della deglutizione”. [. . . ]
“Le persone in SVP non sono malati terminali”. [. . . ] “Non è corretto nemmeno as51
52
sociare la condizione di SVP al coma; lo stato comatoso è infatti privo di veglia, mentre le persone in SVP, pur senza offrire chiari segni esteriori di coscienza, alternano
fasi di sonno a fasi di veglia”.
La questione bioetica si gioca sul grado di dipendenza di queste persone da altri, dal momento che per sopravvivere le persone in SVP necessitano di acqua, cibo,
riscaldamento, pulizia, movimento, pur non essendo in grado di provvedervi autonomamente. Non necessitano di tecnologie sofisticate, costose e di difficile accesso;
“ciò di cui hanno bisogno per vivere, è la cura, intesa non solo nel senso di terapia,
ma anche e soprattutto di care: hanno di diritto di essere accudite”. Richiedono “una
assistenza ad alto e a volte altissimo contenuto umano, ma a modesto contenuto tecnologico”. Nonostante la tragicità della situazione, le persone in SVP mantengono la
propria dignità e godono a pieno dei loro diritti: il diritto alla cura, specifico per ogni
malato, come soggetto debole e quanto maggiore è la debolezza della persona, tanto
maggiore risulta essere il dovere etico e giuridico di prendersi cura di lui.
Nel 1994 la Multy Society Task-Force on PVS (American Academy of Neurology) definisce lo SVP come “condizione clinica di non consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante, accompagnata da cicli di sonno-veglia, con conservazione completa o
parziale delle funzioni autonomiche dell’ipotalamo e del tronco encefalico che perdura da più di 12 mesi. Consegue alla totale necrosi della corteccia e delle connessioni
cortico-diencefaliche”.
I criteri da prendere in considerazione per dichiarare la morte cerebrale secondo
Guidelines by American Academy af Neurology (1995), sono:
• demostration of coma.
• evidence for the cause of coma.
• absence of confounding factors, including hypothermia, drugs and electrolyte
and endocrine disturbances.
Capitolo 4.
Lo Stato Vegetativo Permanente
53
• absence of brainstem reflexes.
• absence of motor responses.
• apnea.
• repeat evaluation after 6h advised.
• confirmatory laboratory tests only required when specific components of the
clinical tests cannot be reliably evaluated.
Quando la SVP è dovuto a encefalopatia post traumatica, la possibilità di recupero si verifica a un anno dall’evento, trascorso il quale non è più possibile sperare in
una ripresa delle funzioni superiori. La persona può continuare a avere stati di vigilanza ma non di consapevolezza; quindi non è più cosciente, dal momento che lo
stato di coscienza è “il prodotto delle due funzioni cerebrali strettamente connesse, la
vigilanza e la consapevolezza di sé e dell’ambiente”. (Plum and Posner, 1980). Nello
SV si può essere vigili ma senza il contenuto dello stato di coscienza, correlato a processi, quali la memoria esplicita, la percezione, l’attenzione, le emozioni, le funzioni
esecutive e la motivazione.
4.2 Checklist per la diagnosi di stato vegetativo permanente
“La diagnosi di stato vegetativo permanente richiede una osservazione prolungata,
esperienza nella valutazione dei disturbi della coscienza e confronto tra i familiari e
l’équipe medico-infermieristica.
Non può essere fatta seguendo semplicemente un protocollo.”
1. È passato almeno un anno dall’evento iniziale se si tratta di trauma cranico.
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2. Sono passati almeno sei mesi se l’evento iniziale ha una causa diversa dal trauma cranico.
3. La causa dell’evento iniziale è stata stabilita con certezza. (deve essere stabilita
il prima possibile).
4. Sono state escluse interferenza farmacologiche.
5. Sono stati esclusi disturbi metabolici.
6. Le neuro immagini consentono di escludere la possibilità di terapie “strutturali”.
7. Almeno due medici esperti nella valutazione dei disturbi della coscienza hanno
confermato, indipendentemente l’uno dall’altro, che non c’è evidenza di:
- consapevolezza di sè e dell’ambiente circostante.
- movimenti volontari.
- qualunque tentativo di comunicare.
8. Lo staff medico- infermieristico e tutti gli altri terapisti sono d’accordo sulla
diagnosi.
9. La famiglia e gli amici sono d’accordo. (a volte anche quando tutti i familiari e
gli amici concordano sulla mancanza di coscienza del paziente, c’è una sola persona che continua a non essere d’accordo. Qualunque segno di coscienza deve
essere ricercato molto attentamente, ma in questi casi il disaccordo di un singolo individuo sulle conclusioni dello staff medico-infermieristico e degli altri
familiari e amici non inficia la diagnosi di SVP).
10. In caso di dubbio va fatta una valutazione da parte di un neuropsicologo clinico
esperto.
Capitolo 4.
Lo Stato Vegetativo Permanente
55
Se la risposta a tutte queste valutazioni è “si”, allora la diagnosi di stato vegetativo
permanente può essere confermata.
Gli studi strumentali che devono essere effettuati a verifica dello SVP sono:
• EEG.
• PET.
• Evoked potentials
• Structural brain imaging and pathology.
Il concetto di permanenza applicato allo stato vegetativo “non ha valore di certezza ma è di tipo probabilistico” dato che “pur essendo le possibilità di recupero
sempre minori con il passare del tempo dall’insulto cerebrale, oggi il concetto di stato
vegetativo permanente è da considerarsi superato e sono documentati casi, benché
molto rari, di recupero parziale di contatto con il mondo esterno anche a lunghissima
distanza di tempo. È pertanto assurdo poter parlare di certezza di irreversibilità”.
4.3 Il Comitato Nazionale di Bioetica su alimentazione
e idratazione in persone in stato vegetativo permanente
Nel testo approvato dal Comitato Nazionale di Bioetica –CNB- il 30 Settembre del
2005 L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato vegetativo persistente la maggioranza dei membri del Comitato ha sostenuto che “la vita umana va considerata un
valore indisponibile” e che “l’idratazione e la nutrizione di pazienti in SVP vanno
ordinariamente considerate alla stregua di un sostentamento vitale di base”, pertanto non rifiutabile attraverso una dichiarazione, dato che “la richiesta di sospensione
56
di questo sostentamento” si configurerebbe come “la richiesta di una vera e propria
eutanasia omissiva, omologabile sia eticamente che giuridicamente a un intervento
eutanasico attivo, illecito sotto ogni profilo”. Secondo questo parere ci sono dubbi sul
poter considerare alimentazione e idratazione “atti medici” o “trattamenti medici” in
senso proprio, analogamente ad altre terapie di sostegno vitale, quali la ventilazione
meccanica. Inoltre alcuni membri del Comitato sostengono che “procedure assistenziali non costituiscono atti medici solo per il fatto di essere messe in atto inizialmente
e monitorate periodicamente da operatori sanitari”. “Il giudizio e idoneità di tale trattamento dovrebbe dipendere solo dalla oggettiva condizione del paziente [. . . ] e non
da un giudizio di altri sulla sua qualità di vita, attuale e/o futura”.
Se alimentazione e idratazione sono considerate come assistenza ordinaria di base, allora la sospensione di tali pratiche doverose viene vista come una forma di abbandono del malato. La sospensione risulta doverosa quando “l’organismo non è più
in grado di assimilare le sostanze fornite: l’unico limite [. . . ] è la capacità di assimilazione dell’organismo o uno stato di intolleranza clinicamente rilevabile collegato
all’alimentazione”.
Nella nota integrativa al documento è sostenuta la tesi per cui alimentazione e
idratazione artificiali costituiscono a tutti gli effetti un trattamento medico. Sono interventi che assumono “un forte significato oltre che umano, anche simbolico e sociale
di sollecitudine per l’altro” e “tale valenza non riguarda, ad esempio, la respirazione artificiale o la dialisi”. “In un’etica dell’aver cura non può essere discriminante
la natura più o meno tecnologica dei trattamenti: qualunque trattamento medico o
non medico, anche il più banale, può e dovrebbe rivestire la valenza della sollecitudine per l’altro”. Per poter formulare un giudizio di appropriatezza o meno delle cure
vanno tenuti in considerazione altri fattori: “la condizione in cui versa il paziente e
la concezione della propria vita che il paziente stesso può avere manifestato, in varie forme, prima dell’ingresso in SVP”. Si parla quindi di ricostruire il giudizio, la
Capitolo 4.
Lo Stato Vegetativo Permanente
57
volontà della persona o verificare le preferenze esplicitamente espresse in forma di
dichiarazione anticipata.
Alcuni membri del Comitato sostengono come difficilmente alimentazione e idratazione possono trasformarsi in una forma di accanimento terapeutico e “non è realistico, né scientificamente adeguato, parlare di un organismo che non è più in grado di assimilare le sostanze fornite” ma è più realistico pensare a un organismo che
presenta una ridotta capacità di assimilazione, per cui i nutrienti forniti risultano
insufficienti.
“La nutrizione artificiale -NA- è un trattamento medico fornito a scopo terapeutico
o preventivo. Non è una misura ordinaria di assistenza. [. . . ] Come tutti i trattamenti
medici, la NA ha indicazioni, controindicazioni ed effetti indesiderati. L’attuazione
della NA prevede il consenso informato del malato o del suo delegato, secondo le
norme del Codice Deontologico”[8].
Anche la Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia intensiva (SIAARTI) “considera la somministrazione di fluidi e la nutrizione (sia enterale sia
parenterale) nei malati critici come un trattamento medico che rientra nello specifico
ambito delle competenze cliniche intensivistiche”.
Il Comitato Nazionale di Bioetica si esprime affermando che la diagnosi di SVP
“non autorizza di per sé l’abbandono del paziente e di ogni provvedimento curativo;
ma che data l’assoluta certezza di irrecuperabilità dopo un tempo che non supera un
anno [. . . ], sia materia esclusiva di una valutazione clinico-scientifica sorretta, cosı̀
come occorre nella maggior parte dei paesi evoluti, da garanzie e evidenze tecniche
e temporali, da stabilire indicativamente cosı̀ come è avvenuto (pacificamente) per la
condizione di cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo, certificabile
solo nella convergenza di parametri e segni, stabiliti dalla scienza e fatti propri dalla
legge, tali da consentire la sospensione di ogni trattamento di sostegno vitale”.
Se questi trattamenti possono configurarsi come trattamenti sanitari e non come
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forme di sostentamento di base, la loro sospensione “è da considerarsi giuridicamente lecita sulla base di parametri obiettivi e quando realizzi l’ipotesi di un autentico
accanimento terapeutico”.
Alimentazione e idratazione sono interventi che non potrebbero essere mai attuati
dal sanitario contro la volontà della persona, come stabilito dall’articolo 53 del Codice
Deontologico medico del 2006. Una minoranza dei membri del Comitato ha inoltre
sostenuto che “ per ragionare bioeticamente sul caso dello SVP non è strettamente
necessario chiamare in causa la controversia sul valore della vita umana” ma “ragionare sull’oggetto della controversia, chiedendosi, ad esempio, se l’indisponibilità o
la disponibilità vada riferita alla vita come mera esistenza biologica o alla vita come
biografia, all’essere vivi o all’avere una vita, un’esistenza”. La rinuncia a alimentazione e idratazione non può configurarsi come eutanasia, dal momento che in stato di
coscienza e consapevolezza, la persona può lecitamente esprimere il proprio rifiuto a
tali atti.
La maggioranza dei membri si appella al concetto pre-costituzionale e metagiuridico di indisponibilità del valore della vita umana, considerazione più ideologica che
razionale perché non considera coloro che rifiutando le cure di sostegno vitale hanno messo in discussione già da tempo il dogma della indisponibilità per far valere il
diritto di vivere scegliendo quei trattamenti a cui ci si vuole sottoporre o meno.
4.4 Un esempio italiano: il caso Eluana Englaro
Nel 1992, Eluana Englaro, in seguito a un incidente, cade in uno stato vegetativo permanente, senza la minima prospettiva di recupero della vita cognitiva e relazionale. Viene nutrita e idratata mediante sondino naso-gastrico. Il padre viene nominato
tutore legale e si rivolge al giudice per richiedere l’interruzione dei trattamenti di
sostegno vitale.
Capitolo 4.
Lo Stato Vegetativo Permanente
59
Nel 1999 il Tribunale di Lecco giudica inammissibile la richiesta di sospensione di
alimentazione e idratazione sulla base di tre argomentazioni:
1. assimila la richiesta del padre, tutore legale, a una forma di eutanasia.
2. ritiene “del tutto evidente” l’inammissibilità della richiesta in “profondo contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento”.
3. il giudice ritiene il carattere indisponibile del diritto alla vita per cui risulta
“inconcepibile la possibilità che un terzo rilasci validamente il consenso alla
soppressione di una persona umana incapace di esprimere la propria volontà”.
Nell’Ottobre 2007 la sentenza della Cassazione nella prima sezione civile ribadisce
quello che è il ruolo fondamentale del consenso informato. “Deve escludersi che il diritto alla autodeterminazione terapeutica incontri un limite allorché da esso consegua
il sacrificio del bene vita”.
Inoltre si esprime che “il rifiuto alle terapie medico-chirurgiche, anche quando
conduce a morte, non può essere scambiato con ipotesi di eutanasia [. . . ]; tale rifiuto
è un atteggiamento di scelta del malato, espressione della volontà che la malattia
segua il suo corso naturale”.
Esiste un pieno diritto di rifiutare le cure e se il paziente è incapace è il tutore ad
avere tale diritto come quello di prestare/rifiutare il consenso informato. Dato che
il diritto alla salute ha un “carattere personalissimo”, il potere di rappresentanza è
soggetto a cautele speciali: il tutore deve perseguire il best interest ma come può essere
validamente stabilito?
La Corte di Cassazione parla di volontà presunta dato che non può essere stabilito
il best interest in modo assoluto in una società fondata su un pluralismo di valori. La
volontà della persona va desunta “dai desideri da lei espressi prima della perdita di
coscienza, dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle inclinazioni, dai suoi valori
60
di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche”. Il tutore
si esprime “non al posto ne per l’incapace, ma con l’incapace”.
Nella sentenza viene enunciato il principio di diritto.
Il giudice potrà approvare la sospensione di alimentazione e idratazione se e solo
se contemporaneamente sono soddisfatte due condizioni.
1. Lo stato vegetativo deve risultare, “in base a rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi deve essere alcun fondamento medico, secondo gli standard
scientifici riconosciuti a livello internazionale, la benché minima possibilità, sia
pur flebile, di un qualche recupero di coscienza e di ritorno a una percezione
del mondo esterno” .
2. “La richiesta di interruzione avanzata dal tutore deve essere realmente espressiva, in base a elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del
paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni, ovvero dalla sua
personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo
modo di concepire prima di essere in uno stato di incoscienza, l’idea stessa della
dignità della persona”[9].
La Cassazione ribadisce il diritto alla vita e il diritto della persona al rifiuto informato, rinviando cosı̀ la causa alla Corte di Appello di Milano.
Nel 2008 i giudici della Corte di Appello di Milano si concentrano su quello che è
l’elemento determinante ai fini della decisione: accertare che le due condizioni, dettate dalla Corte di Cassazione , sussistano contemporaneamente. Lo stato vegetativo permanente di Eluana Englaro risulta essere una certezza acquisita; deve essere
riconosciuta la volontà presunta.
Nei precedenti gradi di giudizio, erano già state raccolte numerose testimonianze e documenti sulla cui base sarebbe stata ricostruita la “voce” di Eluana. Ma ora,
la Corte di Appello, considera che la richiesta di verifica, imposta dalla Cassazione
Capitolo 4.
Lo Stato Vegetativo Permanente
61
in sede di rinvio, sia assai più ampia, estendendosi anche alla “volontà presunta”
di Eluana; cioè “la decisione che quest’ultima avrebbe verosimilmente assunto [. . . ]
mentre poteva godere della pienezza delle sue facoltà psichiche” [10].
Secondo la Corte, seguendo la ricostruzione della volontà presunta con l’aiuto del
padre, in qualità di tutore legale, emerge che “per Eluana sarebbe stato inconcepibile
vivere senza essere cosciente, senza essere capace di avere esperienze e contatti con
gli altri”.
La Corte autorizza la sospensione di alimentazione e idratazione artificiali, e prescrive una serie di disposizioni accessorie per la fase attuativa della decisione “ miranti ad assicurare un adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della persona
[. . . ] durante il periodo in cui la sua vita si prolungherà dopo la sospensione del trattamento, e in modo da rendere sempre possibili le visite, la presenza e l’assistenza,
almeno, dei suoi più stretti familiari”.
La Corte di Appello coglie l’occasione di questa sentenza per fare alcune puntualizzazioni.
La prima riguarda le dichiarazioni anticipate di trattamento, definite come un utile strumento nel caso di persone in stato di incoscienza, dando loro la possibilità di
far valere comunque le proprie volontà.
La seconda riflessione riguarda il criterio della volontà presunta, distinguendo tra
la scelta di un criterio di tipo soggettivo, che fa il migliore interesse della persona,
consacrando le sue volontà, e un criterio di tipo oggettivo, che non ricostruisce la volontà della persona ma si affida a valutazioni mediche ai fini di individuare il migliore
interesse dell’assistito.
Il principio assoluto del valore della sacralità della vita viene abbandonato a favore di valutazioni di carattere qualitativo, secondo cui la vita va preservata fino a che
rappresenta un bene per l’interessato.
62
4.5 Interruzione di alimentazione e idratazione in persone in stato vegetativo permanente come condotta
omissiva dal punto di vista giuridico-penale
Quando vengono interrotte alimentazione e idratazione in persone in SVP, la morte
può insorgere nell’arco di 10-14 giorni; la causa più immediata è la disidratazione e
lo squilibrio elettrolitico. Altre cause di morte sono malattie intercorrenti, ad esempio
infettive, oppure patologie cardiache o renali. La progressiva disidratazione conduce,
in seguito ad un grave stato ipotensivo al coma.
Il nodo della questione sta nel determinare la natura commissiva o omissiva della
sospensione dei trattamenti di sostegno vitale, cui consegue la morte della persona.
Nel caso di Piergiorgio Welby l’azione dell’anestesista di staccare il respiratore è stata
riconosciuta di natura commissiva “sulla base dell’indubbio nesso condizionalistico
tra tale condotta e il successivo evento morte”. La non punibilità dell’azione è stata
riconosciuta sulla base di un “adempimento ad un dovere discendente dall’articolo
32, comma 2, Costituzione” [10].
Il medico si è trovato di fronte a un vero e proprio dovere, cioè quello di sospendere un trattamento rifiutato dalla persona.
Far valere una simile argomentazione anche nel caso di una persona incosciente
che non abbia precedentemente espresso alcuna volontà contraria, appare assai più
problematico. Nelle ipotesi in cui il medico si limiti a sospendere un trattamento precedentemente iniziato, la sua condotta dal punto di vista giuridico e penale risulta
come omissiva, cioè la mancata prosecuzione dello stesso trattamento.
La sospensione di alimentazione e idratazione può infatti verificarsi attraverso un
“non facere”, come la mancata sostituzione della sacca di liquidi o di sostanze nutritive. Il quadro normativo di riferimento è quello dell’articolo 40, comma 2, c.p. che
equipara il mancato impedimento dell’evento (la morte) alla sua causazione, a condi-
Capitolo 4.
Lo Stato Vegetativo Permanente
63
zione che il medico avesse l’obbligo giuridico di impedire che si verificasse l’evento
stesso. Quindi la questione diventa se il medico abbia l’obbligo di mantenere in vita
una persona in stato vegetativo permanente attraverso la somministrazione di liquidi
e nutrienti.
4.6 I limiti dell’obbligo di cura
Da quanto emerso nella Sentenza della Cassazione sul caso di Eluana Englaro, si
esclude che esista un dovere di salvaguardare ad ogni costo la vita di una persona. Il
dissenso della persona al trattamento, il suo diritto di autodeterminazione terapeutica, costituiscono un limite al dovere di cura del medico; non è quindi configurabile
un reato omissivo qualora il medico decida di non intraprendere o sospendere trattamenti di sostegno vitale, seguendo l’esplicita volontà della persona assistita. Oltre
al rifiuto esplicito espresso dalla persona dando il proprio dissenso al trattamento, ci
sono altre situazioni in cui il dovere di mantenere il sostegno vitale viene meno?
In Inghilterra la House of Lords si è espressa sostenendo che “la prosecuzione di
un trattamento di sostegno vitale nel caso di un paziente in stato vegetativo permanente non risponde più a nessun apprezzabile interesse da parte del paziente medesimo e va considerata come futile [. . . ]. Un paziente in quelle condizioni è incapace
di trarre alcun beneficio dal trattamento, privo com’è di qualsiasi capacità cognitiva e
sensoriale; né, stante l’univoco giudizio della scienza medica, sarà in grado di trarre,
nemmeno in futuro, alcun beneficio dal suo mantenimento in vita, vista l’irreversibilità della sua condizione patologica [. . . ]. Ciò basta ad escludere la doverosità del
trattamento, con l’ovvia conseguenza della irrilevanza penale della sua interruzione”
[11].
In Italia, la strada che è stata seguita dalla Cassazione, prendendo in esame il caso
di Eluana Englaro, per determinare i limiti al dovere di cura risulta più complessa.
64
“La premessa logica [. . . ] è la negazione di una vecchia tesi, secondo cui il trattamento
medico si autogiustificherebbe in quanto attività di alto valore sociale, funzionale alla
salvaguardia di beni di altissimo rango costituzionale quali la salute e la vita stessa
del paziente” [10].
I trattamenti medici sono attività invasive sul corpo della persona assistita, quindi
incidono sui diritti fondamentali tra cui il diritto all’integrità fisica. Il consenso informato al trattamento è presupposto fondamentale per la liceità del trattamento stesso.
Ma se la persona non può esprimere il proprio consenso, la ragione legittimante va
ricercata altrove; se non c’è un consenso al trattamento, escludendo i casi d’urgenza,
il trattamento su una persona incapace resta sfornita di legittimazione perché “una
illecita intrusione nel corpo del paziente, in violazione dei suoi diritti fondamentali”
[12].
L’aspetto più innovativo presentato nella Sentenza della Corte sul caso Englaro risulta essere che “l’interesse dell’incapace non coincide sempre e necessariamente con
il suo mantenimento in vita, né con la decisione terapeutica indicata come appropriata dalla scienza medica. Piuttosto, ogni decisione concernente la salute dell’incapace
dovrà essere conforme al suo mondo ideale, alla sua personalità, alla sua visione del
mondo; dovrà essere una decisione assunta (necessariamente) da una persona diversa dall’incapace, la quale dovrà però calarsi idealmente nei panni di costui, per
decidere come lui stesso avrebbe deciso se ne avesse avuto la possibilità. Il tutore deve farsi portavoce del paziente [. . . ] per conformarsi al modo di essere del paziente,
al suo modo di concepire dignità e vita” [13]. Da questo scaturisce il criterio della
ricostruzione della volontà presunta; il legale deve attenersi a quella che verosimilmente sarebbe stata la scelta del paziente, se avesse avuto la possibilità di esprimersi;
il giudice dovrà accertarne la veridicità. Se il tutore legale rappresentante della persona dice “no” al trattamento, manca la legittimazione a effettuarlo, quindi non è più
doveroso per il medico perché illecito.
Capitolo 4.
Lo Stato Vegetativo Permanente
65
La Cassazione ha sostenuto che qualora risultasse dubbia la possibilità di ricostruire la volontà presunta, il trattamento deve proseguire.
Ma la Corte di Appello di Milano va oltre sostenendo che nulla può vietare la
sospensione di un trattamento qualora si rilevasse “oggettivamente contrario alla dignità di qualunque uomo e quindi anche di qualunque malato incapace, o che fosse
non proporzionato e come tale [. . . ] contrario al best interest dell’interessato” [13].
Medici e infermieri resteranno garanti degli interessi del morente, hanno il dovere
di accompagnarlo nel suo cammino verso la morte, assicurandogli il pieno rispetto
della sua dignità di persona. Dal punto di vista penale bisogna dunque verificare
se l’esecuzione del trattamento o la sua prosecuzione siano legittimate dal consenso
o della persona capace o del suo tutore legale, in mancanza del quale il trattamento andrà interrotto. Alimentazione e idratazione richiedono legittimazione al pari
di un qualsiasi altro trattamento medico. Le cure di base, come ad esempio la cura
del corpo, non potranno mai venir meno, nel rispetto della stessa dignità dell’essere
umano.
Capitolo 5
L’infermiere e l’etica
dell’accompagnamento
5.1 Il codice deontologico dell’infermiere: principi e valori etici e bioetici
Nel 2009 è stata pubblicata una nuova versione del Codice deontologico dell’infermiere; questo documento si è rinnovato a partire dalla volontà degli infermieri italiani che hanno dibattuto e si sono confrontati con esperti sulle varie problematiche di
tipo etico, bioetico, giuridico e tecnico professionale.
Nello stesso Codice deontologico vengono esaltati e sottolineati i principi che ispirano i diritti fondamentali dell’uomo e i principi etici su cui si fonda la professione
infermieristica.
ARTICOLO 4
L’infermiere presta assistenza secondo i principi di equità e giustizia, tenendo conto
dei valori etici, religiosi e culturali, nonché del genere e delle condizioni sociali della
67
68
persona.
ARTICOLO 5
Il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei principi etici della professione è
condizione essenziale per l’esercizio della professione infermieristica.
Il Codice Deontologico pone una serie di regole e di principi adottati e accettati
liberamente o per dovere da una professione orientandone il comportamento.
Orientare il comportamento sta a significare l’agire in modo adeguato nelle situazioni che il professionista affronta nel proprio esercizio, utilizzando correttamente le
regole deontologiche. Sono enunciati i principi e i valori etici di riferimento. L’esercizio della professione infermieristica si scontra quotidianamente con situazioni che
presentano implicazioni di tipo etico e bioetico; il Codice Deontologico risulta essere
un valido aiuto, uno strumento di orientamento nell’esercizio professionale.
Considerando principi e valori del Codice Deontologico, assume particolare rilevanza la riflessione bioetica, disciplina che consente alla società di interrogarsi sui
propri valori morali messi in gioco dal progresso della scienza e dalle modalità con
cui oggi risulta possibile nascere, curare, morire.
Negli ultimi decenni si è passati dall’affidare momenti della nostra vita ai corsi
immutabili e casuali della natura alla possibilità di effettuare scelte di un certo valore
in ambito sanitario; il modo in cui si nasce, si mettono al mondo i figli, si cura e si
muore può essere condizionato dal tipo di scelta effettuata e dal tipo di alleanza e
rapporto di fiducia che si instaura con gli operatori sanitari.
Nell’ambito di questa riflessione, la tutela della salute si connette inevitabilmente
ai diritti fondamentali delle persone, quali il diritto all’autodeterminazione, il diritto
all’equità nell’accesso e nella distribuzione delle risorse sanitarie, il diritto di essere
trattati con dignità in tutte le fasi della vita.
Sia dalla prospettiva dell’infermiere e degli altri operatori sanitari sia dalla pro-
Capitolo 5.
L’infermiere e l’etica dell’accompagnamento
69
spettiva del malato occorre rispettare le diverse posizioni morali, culturali e religiose, che sono un valido strumento per orientare e affrontare i temi della salute, della
malattia e della cura.
Le professioni sanitarie si realizzano in un incontro tra esseri umani e si inseriscono inevitabilmente in un contesto etico.
La riflessione etica nasce quando ci si trova a scegliere “cosa dovrebbe essere fatto
tra le molte cose che possono essere fatte” (Jonsen et. al., 2004).
Le scoperte relative al funzionamento dell’organismo umano e lo sviluppo della
tecnologia in campo medico hanno offuscato l’identità stessa della persona malata riducendola a un corpo malato. Il Codice Deontologico, riferendosi all’assistito, preferisce utilizzare la nozione di “persona”, evidenziando cosı̀ non soltanto la sua malattia,
ma la sua realtà tutta, la dignità incondizionata della persona malata.
Ogni scelta in ambito clinico assistenziale riguarda la persona e “l’impresa sanitaria risulta essere una impresa sempre nuova, che non può adagiarsi sul “già visto”,
“già capitato””. Ogni persona, anche quando malata, porta con se un valore unico,
una dignità tale da richiedere il meglio delle cure disponibili. L’assistenza infermieristica non può offrire delle risposte standardizzate ma vanno calibrate rispettando i
bisogni della singola persona assistita nella sua particolarità.
Obiezione e Clausola di coscienza
Con obiezione di coscienza si intende “la non accettazione deliberata e pubblica di
una norma al fine di essere coerenti con i propri principi morali” [14].
E’ l’agire “secondo la propria coscienza, cioè secondo ciò che la propria coscienza
indica come giusto, necessario, doveroso in una data circostanza”.
L’obiezione di coscienza ha come fine quello di dare la possibilità di esercitare la
propria libertà di coscienza quando l’azione o i precetti di una certa legge risultano
in conflitto con i propri valori morali. Fa riferimento alla autonomia personale del-
70
l’infermiere, cioè quella autonomia che l’infermiere possiede non in qualità di professionista ma in quanto “persona umana e soggetto libero, la cui dignità morale passa
anche attraverso la scelta delle azioni compiute”.
Gli infermieri si trovano spesso di fronte al dovere/necessità di attuare delle decisioni cliniche che sono state prese da qualcun’altro, come il medico, ma percepite
come una forzatura della propria coscienza morale e professionale” [14].
Il medico si trova in diverse situazioni di fronte al dilemma morale riguardante le decisioni da prendere; l’infermiere sperimenta il dover convivere con decisioni
cliniche non moralmente condivise. Emerge cosı̀ la necessità del rispetto del giudizio di coscienza espresso ma emerge anche il problema di come far si che il giudizio di coscienza formulato sia il più possibile certo e basato su una riflessione etica
adeguatamente supportata.
Medici e infermieri possono avere una percezione distinta di problemi di natura
etica incontrati nell’esercizio della professione; infatti, sebbene entrambe le professioni abbiano un fine comune, che è il bene della persona assistita, svolgono ruoli
differenti e tra loro complementari nel raggiungimento di tale fine. La collaborazione
interprofessionale è fondamentale a garantire la qualità della cura e della assistenza
offerte: “una collaborazione realmente efficace si può instaurare solo nel momento in
cui c’è una reciproca conoscenza e comprensione delle esigenze che scaturiscono dalle
professioni con cui si collabora, ma anche da una reciproca comprensione della prospettiva etica dei singoli partecipanti alla cura, soprattutto nelle situazioni eticamente
più complesse” [14].
In ambito sanitario, l’obiezione di coscienza è prevista dalla legislazione italiana
in tre situazioni: legge sull’aborto, sperimentazione animale, e procreazione medicalmente assistita.
Dal punto di vista giuridico l’obiezione di coscienza si configura come il rifiuto di
un comportamento considerato formalmente legittimo e a cui il soggetto, in qualità di
Capitolo 5.
L’infermiere e l’etica dell’accompagnamento
71
cittadino, dovrebbe attenersi. È prevista dove istanze etiche superiori e non previste
dalla legge impongono di rifiutare l’adempimento a quel dovere.
Quando si affrontano temi essenziali nel campo della bioetica e che interessano
l’ambito sanitario, come questioni riguardanti il fondamento della vita stessa, l’inizio
o la fine della vita, la coscienza individuale va tutelata anche laddove non risulta
possibile, a livello legislativo, fare obiezione di coscienza.
L’articolo 8 del Codice Deontologico dell’infermiere parla infatti di “clausola di
coscienza”, che esprime il diritto di appellarsi alla propria coscienza morale, anche al
di fuori di disposizioni normative riferite all’oggetto dell’obiezione.
Il Comitato Nazionale di Bioetica ha riconosciuto il fondamento di legittimità
della clausola di coscienza nella Costituzione e nel Codice di Deontologia Medica; la coscienza individuale risulta avere uno spazio maggiore rispetto alle singole
disposizioni di legge.
La clausola di coscienza si estende perciò a tutte le professioni sanitarie, applicandosi quando la libertà della coscienza morale personale può essere messa a rischio da
situazioni clinico assistenziali complesse ed eticamente rilevanti.
5.2 L’infermiere di fronte al rifiuto alle cure
Il rifiuto della persona di sottoporsi ad un trattamento, specie quando questo sia
indispensabile alla sopravvivenza, pone, come si è già potuto analizzare, notevoli
problemi etici e giuridici.
In Italia le già citate vicende relative ai casi di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro hanno destato l’interesse della opinione pubblica su questo delicatissimo problema, con conseguenti scontri ideologici e politici e la promozione di iniziative parlamentari e governative volte alla formulazione di una regolamentazione legislati-
72
va, attraverso la legittimazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento, o più
impropriamente definiti, testamenti biologici.
Bisogna, su questo tema, effettuare una distinzione tra il rifiuto a un trattamento
espresso da persona competente, capace di intendere e di volere e il caso di una persona non competente, nella assoluta incapacità di manifestare il proprio rifiuto alle
cure.
Tra il 2007 e il 2008 la Corte di Cassazione si è pronunciata su entrambe le ipotesi.
Nel caso di un rifiuto manifestato da persona maggiorenne competente, in esame alla Corte di Cassazione nel caso di una persona Testimone di Geova che rifiuta
l’emotrasfusione, la sentenza afferma il diritto di negare le cure, anche di fronte a conseguenze estreme di tale rifiuto. Si sostiene, infatti, che “va riconosciuto al paziente
un vero e proprio diritto di non curarsi, anche se tale condotta lo espone al rischio
stesso della vita”; “un rifiuto autentico della emotrasfusione da parte del Testimone
di Geova capace –avendo, in base al principio personalistico, ogni individuo il diritto
di scegliere tra salvezza del corpo e salvezza dell’anima- esclude che qualsiasi autorità statuale –legislativa, amministrativa, giudiziaria- possa imporre tale trattamento:
il medico deve fermarsi”.
Il diritto soggettivo di dissenso al trattamento medico, secondo quanto espresso
dalla sentenza, non lascia dubbi interpretativi, anche riguardo gli atti necessari alla
sopravvivenza. Ciò che discrimina, in ogni situazione specifica, riguardo la possibilità di potere/dovere rispettare o meno la volontà, è dato dalla effettiva validità di
tale manifestazione di dissenso, dal punto di vista formale e cronologico. Il rifiuto
alle cure deve essere inequivoco e libero da qualsiasi condizionamento, deve essere
consapevole e attuale.
Se è possibile per una persona capace di intendere e di volere manifestare il proprio diritto di non sottoporsi ad un trattamento, allora tale diritto deve essere fatto
vale anche per la persona incapace di esprimere le proprie volontà in modo attuale,
Capitolo 5.
L’infermiere e l’etica dell’accompagnamento
73
attraverso lo strumento delle dichiarazioni anticipate.
Il rifiuto alle cure, anche quando questo conduce alla morte, non può essere scambiato per una ipotesi di eutanasia, “cagionare positivamente la morte con l’obiettivo di abbreviare la vita”, ma esprime un atteggiamento di scelta, una possibilità di
autodeterminazione per il malato, che la malattia segua il suo corso naturale.
Come si è già potuto analizzare la situazione è più complessa nel caso di quei
malati in stato vegetativo permanente che non abbiamo precedentemente manifestato
in modo chiaro e documentato le proprie volontà.
5.3 Deontologia professionale dell’infermiere e la legge
sul “fine vita”
“ Il Codice Deontologico costituisce per gli infermieri il punto di vista etico e valoriale, guida per lo svolgimento delle proprie funzioni e orientamento per i rapporti con
gli altri operatori e l’organizzazione. Attraverso l’adesione al proprio Codice Deontologico gli infermieri esprimono la propria identità professionale e manifestano la loro
responsabilità nei confronti degli assistiti” [15].
Nel Dicembre 2009, proprio mentre la proposta di legge 2350, approvata a Marzo
dello stesso anno al Senato, è in discussione alla Camera, il presidente della Federazione Nazionale del Collegio Ipasvi, Annalisa Silvestro, rende pubblica la posizione
degli infermieri italiani in merito alla legge sulle dichiarazioni anticipate e sul “fine
vita”, attraverso un Pronunciamento La persona nel fine vita [16].
“Una legge che, cosı̀ come è formulata, appare in contrasto con la nostra deontologia professionale, non riconosce la centralità della persona e delle sue volontà e non
tiene conto del coinvolgimento dell’intera équipe assistenziale”. “Il Pronunciamento
-afferma la Silvestro- è il punto di arrivo di una riflessione avviata dal nostro gruppo
professionale già nel 2008, quando abbiamo avviato il percorso di revisione del nostro
74
Codice deontologico. La riflessione etica non poteva non toccare tematiche di particolare sensibilità e rilevanza quali la terminalità della vita, il rispetto della volontà
dell’assistito e il suo accompagnamento al fine vita”.
Se si può considerare il medico come il curatore della patologia, l’infermiere rappresenta l’anello delle cure, essendo l’infermieristica una disciplina olistica, capace
di accogliere la persona anche nel suo bisogno di autodeterminazione, favorendo la
salute, il benessere e la dignità del malato.
La necessità di scrivere la propria dichiarazione anticipata di trattamento probabilmente deriva dalla situazione di abbandono e solitudine del malato, abbandono
talvolta affettivo ma anche terapeutico e assistenziale. Un’altra motivazione potrebbe
essere la paura di un accanimento terapeutico, oltre all’esaurimento di ogni energia
per sostenere ulteriormente la malattia; la paura di soffrire risulta essere una delle
maggiori ansie di un uomo che chiede aiuto, rivolgendosi a medici e infermieri.
È proprio della professione infermieristica lo stare vicino e accompagnare il malato “nella evoluzione terminale della malattia” e le persone a lui vicino “nel momento
della perdita e delle elaborazione del lutto” attraverso la relazione, atteggiamenti e
gesti che vogliono accogliere, ascoltare, assistere, comunicare, lenire.
Gli infermieri sono protagonisti e svolgono una insostituibile funzione nella fase
terminale della vita delle persone. “Durante l’evoluzione terminale della malattia e
nel fine vita i rapporti tra l’assistito, le sue persone di riferimento, il medico, l’infermiere e l’équipe assistenziale non possono essere rigidamente definiti da una legge
potenzialmente fonte di dilemmi etici, difficoltà relazionali e criticità professionali,
ma devono essere vissuti e sviluppati secondo le norme dei Codici di Deontologia
professionale” [16].
“Nel testo approdato alla camera non si rileva il valore della centralità della persona e del rispetto delle sue volontà che non possono non essere il perno del processo
di cura e di assistenza” [15].
Capitolo 5.
L’infermiere e l’etica dell’accompagnamento
75
Inoltre si sostiene che il disegno di legge cosı̀ formulato assegna una forte discrezionalità decisoria al medico, non riconoscendo il lavoro e il ruolo dell’intera équipe
assistenziale.
L’infermiere svolge un ruolo importante di relazione, di educazione e di assistenza, che sembrano non essere adeguatamente considerati dall’attuale disegno di legge
o non rilevanti ai fini di una adeguata formulazione e attuazione delle dichiarazioni
anticipate di trattamento.
Questo ragionamento può scaturire da un’altra riflessione proposta da Annalisa
Silvestro: “se oggi esiste un equilibrio tra il ruolo del medico e degli infermieri, la creazione di staff articolati annullerà di fatto le richieste disposte dal paziente, delegando
al medico tutte le decisioni. Assistere, tuttavia, non significa soltanto operare delle
scelte su farmaci, dialisi o ausilio respiratorio, ma rappresenta il modo di affrontare
una tematica su un piano generale, che coinvolge gli aspetti psicofisici della persona,
ed è per questo che la decisionalità caso per caso è di fondamentale importanza”.
Nel Pronunciamento viene fatto un richiamo sistematico al Codice Deontologico,
evidenziando e valorizzando questi ruoli.
Gli articoli del Codice deontologico che possono essere presi come riferimento
riguardo la relazione con la persona assistita sono:
ARTICOLO 3
La responsabilità dell’infermiere consiste nell’assistere, nel curare e nel prendersi
cura della persona nel rispetto della vita, della salute, della libertà e della dignità
dell’individuo.
ARTICOLO 35
L’infermiere presta assistenza qualunque sia la condizione clinica e fino al termine
della vita dell’assistito, riconoscendo l’importanza della palliazione e del conforto
76
ambientale, fisico, psicologico, relazionale, spirituale.
ARTICOLO 36
L’infermiere tutela la volontà dell’assistito di porre dei limiti agli interventi che non
siano proporzionati alla sua condizione clinica e coerenti con la concezione da lui
espressa di qualità della vita.
ARTICOLO 38
L’infermiere non attua e non partecipa a interventi finalizzati a provocare la morte,
anche se la richiesta proviene dall’assistito.
Ciò che riguarda l’informazione è espresso nei seguenti articoli:
ARTICOLO 20
L’infermiere ascolta, informa, coinvolge l’assistito e valuta con lui i bisogni assistenziali, anche al fine di esplicitare il livello di assistenza garantito e facilitarlo nell’esprimere le proprie scelte.
ARTICOLO 24
L’infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura
assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-terapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacità di comprendere.
ARTICOLO 37
L’infermiere quando l’assistito non è in grado di manifestare la propria volontà, tiene
conto di quanto da lui chiaramente espresso in precedenza e documentato.
Capitolo 5.
L’infermiere e l’etica dell’accompagnamento
77
Per quanto riguarda le modalità di assistenza, il Codice recita:
ARTICOLO 14
L’infermiere riconosce che l’interazione tra professionisti e l’integrazione interprofessionale sono modalità fondamentali per far fronte ai bisogni dell’assistito.
ARTICOLO 27
L’infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla realizzazione di una rete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi.
ARTICOLO 39
L’infermiere sostiene i familiari e le persone di riferimento dell’assistito, in particolare
nelle evoluzione terminale della malattia e nel momento della perdita e della elaborazione del lutto.
Secondo quanto emerge dal Pronunciamento La persona nel fine vita, gli infermieri rispettando il proprio Codice di Deontologia professionale “si impegnano a rispettare
le scelte dell’assistito anche quando non vi fosse la capacità di manifestarle, tenendo
conto di quanto espresso in precedenza e documentato”; si impegnano “a sostenere
la palliazione” e “a respingere l’accanimento terapeutico”. Affermano che “ l’alleanza
tra l’assistito e l’intera équipe assistenziale acquista ancor più peculiare valore nella
evoluzione terminale della malattia e nella fase del fine vita”.
Ribadiscono “che l’integrazione multi professionale è la modalità fondamentale
per una empatica risposta ai bisogni dell’assistito” [16].
78
L’infermiere, in caso di necessità, in assenza di sostanziali modifiche dell’attuale
disegno di legge, può fare appello al proprio Codice Deontologico, che all’articolo
8 recita “L’infermiere nel caso di conflitti determinati da diverse visioni etiche, si
impegna a trovare la soluzione attraverso il dialogo. Qualora vi fosse e persistesse
una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della professione e con i propri valori, si avvale della clausola di coscienza, facendosi garante delle prestazioni
necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito”.
“La clausola di coscienza [. . . ] evidenzia una chiara assunzione di responsabilità
etica e deontologica nel caso si evidenziassero situazioni a forte coinvolgimento valoriale e professionale”, soprattutto nei casi in cui l’ordinamento giuridico italiano non
prevede la possibilità di avvalersi della obiezione di coscienza. L’infermiere ha il diritto di rifiutare la partecipazione a determinate azioni sia sulla base della propria deontologia professionale sia sulla base della propria coscienza individuale, altrimenti gli
verrebbe negata la propria libertà di agire secondo coscienza [17].
5.4 Etica dell’accompagnamento. Un modello da condividere
La medicina contemporanea affronta il problema non soltanto di stabilire se e quando smettere di curare, intendendo la somministrazione di terapie o l’esecuzione e il
mantenimento di vari trattamenti salvavita, ma anche, e questa è la vera questione,
di stabilire quali siano le cure più appropriate per accompagnare il malato nelle fasi
terminali della sua vita.
La questione si gioca sulla possibilità di far valere quello che è il miglior interesse
per il malato, anche quando non può esprimersi attualmente, o attraverso il rispetto di ciò che da lui è stato precedentemente dichiarato e documentato oppure rico-
Capitolo 5.
L’infermiere e l’etica dell’accompagnamento
79
struendo le sue volontà attraverso l’aiuto delle persone a lui vicine e del fiduciario, se
nominato.
L’infermiere, come il medico, deve impegnarsi a garantire al malato le migliori
cure possibili fino al termine della sua vita. Garantendo le migliori cure possibili si
risponde al rispetto del diritto di qualità del malato, evitando di correre il rischio di
abbandono e di accanimento terapeutico, rischi ugualmente temibili sia dal punto di
vista clinico sia etico.
Parlando di “cura” ci si riferisce “ad una condotta o a un atteggiamento che comportano il rispetto per il carattere e la sensibilità o la struttura propria dell’altro e la
disposizione a compartecipare con esso” [18].
Non si può non considerare, nell’ambito dell’”etica dell’accompagnamento”, il
significato dell’”etica della cura”, una modalità di rapporto che considera prima di
tutto il rispetto per il modo di essere e la natura peculiare dell’individuo, quindi un
interesse per la complessità che ciascuno porta con sé. L’etica della cura è un intreccio
tra l’etica dei diritti e l’etica della solidarietà.
“L’atteggiamento della cura consente di oltrepassare i limiti del mero dovere terapeutico”; una morale della cura o della responsabilità “mette a fuoco i limiti intrinseci di qualunque situazione particolare e prevede la compartecipazione attraverso la
compresenza di riflessione, giudizio ed emozione, differenziandosi dall’etica dei diritti [. . . ] che fa riferimento a un tacito contratto che non contempla il coinvolgimento
emotivo” [18].
Nella relazione terapeutica, indubbiamente molto complessa, si può pensare di
adottare l’orizzonte della cura piuttosto che “di controllo e dominio”. “Rivendicare
il ruolo della soggettività nei processi conoscitivi o del sentimento e della cura, nella
dimensione etica, [. . . ] può significare porre in evidenza i limiti e le aporie di questa
razionalità forte in favore di una ragione ragionevole. Un modello di razionalità che
superi quello tecnologico [. . . ], attento com’è al problema di come raggiungere i fini,
80
ma insensibile al problema di quali fini sia doveroso perseguire e perché”.
Ascoltare la situazione, prestare attenzione alle richieste che provengono dal malato e rispondere considerando la persona “non mero oggetto che patisce ma soggetto
di una vita, soggetto di un dolore. Ascolto, attenzione e risposta [. . . ] richiedono sia
la competenza tecnica che la considerazione attenta della sofferenza”.
L’articolo 34 riconosce l’importanza di un ruolo attivo dell’infermiere per prevenire e contrastare il dolore cercando di alleviare la sofferenza e facendo si che l’assistito
riceva le migliori cure.
Altri riferimenti sono l’articolo 35 e l’articolo 36 dove si parla di palliazione,
di conforto e di rispetto delle volontà dell’assistito fino al termine della sua vita
indipendentemente dalle condizioni cliniche.
Il rischio di accanimento o il rischio di abbandono fondano le basi su una medicina
paternalistica, secondo cui sono il medico e l’infermiere a decidere che cosa è bene per
la persona malata. Ma se ci si affida al rispetto del diritto di autodeterminazione della
persona, si fa valere quel diritto del malato di esprimersi e di essere protagonista nelle
scelte terapeutiche, anche quando non è più in grado di intendere e di volere.
L’infermiere tiene conto di quanto espresso e documentato prima di perdere la capacità di esprimersi.
Fondamentale risulta la relazione tra medico-infermiere e persona malata o suoi familiari, che diventa, se presente il requisito di fiducia, una vera e propria alleanza terapeutica, dove è possibile ragionare e prendere decisioni cercando le migliori soluzioni
sia sul piano soggettivo sia sul piano oggettivo.
Gli elementi costitutivi di un’etica dell’accompagnamento sono:
• riconoscimento dei limiti della medicina decidendo di non proporre o di interrompere trattamenti sproporzionati.
Capitolo 5.
L’infermiere e l’etica dell’accompagnamento
81
• vicinanza al malato, stare con lui, dandogli l’opportunità, se le condizioni cliniche lo consentono, di esprimere i propri sentimenti.
• spostare l’obiettivo dello sforzo terapeutico dal guarire al prendersi cura orientando i trattamenti verso la cura dei sintomi e il sollievo dal dolore.
• aiutare a vivere fino all’ultimo istante: criterio fondamentale che nasce dal presupposto antropologico per cui il morente è persona fino all’ultimo, con le sue
caratteristiche e la sua dignità, con il valore delle sue relazioni.
5.5 “Prendersi cura” alla fine della vita
L’infermieristica “trae il suo valore unicamente dal servizio che offre alla persona
umana malata” [19]; valore che implica il comprendere quale è il bene per la persona
malata e porsi al servizio di tale bene.
L’infermiere coopera con il medico e altri professionisti alla guarigione della persona malata, interviene cercando di alleviare i sintomi che accompagnano la malattia
e si prende cura della persona in tutti i suoi bisogni umani fondamentali.
Gli importanti sviluppi della scienza medica nell’ultimo secolo hanno portato alla
possibilità di guarigione di malattie un tempo inguaribili; le nuove possibilità di guarigione richiamano l’attenzione delle professioni sanitarie e si può osservare come
nei contesti clinico-assistenziali moderni spesso si corre il rischio di ritenere che non
si può più fare nulla per il malato, quando non c’è una reale prospettiva di guarigione.
“[. . . ] non si potrà mai parlare di rispetto della persona malata se non si è raggiunta [. . . ] una comprensione vera, piena, convinta della dignità della persona umana,
della singola persona umana, anche quella malata, gravemente malata o morente”
[19].
Il rischio di abbandono del malato inguaribile nasce da una mentalità di trascu-
82
ratezza giustificata dal “tanto non c’è più nulla da fare” o dal “tanto non ne vale la
pena”.
Il Codice Deontologico dell’infermiere parla esattamente del contrario. I riferimenti possono trovarsi all’articolo 34 del Codice, che parla di una attività infermieristica volta a “contrastare il dolore e alleviare la sofferenza”, e all’articolo 35 che
sottolinea come l’assistenza continua in qualsiasi condizione clinica e fino al termine
della vita.
Prendersi cura della persona fino agli ultimi istanti rispettando i suoi bisogni fondamentali, sia quelli di natura corporea, sia quelli di natura psicologica, relazionale e
spirituale, è un obbiettivo certo della pratica infermieristica.
Una certa responsabilità si riconosce anche sul versante relazionale; la professione
stessa si realizza laddove c’è una persona che chiede aiuto. Ed è proprio in una relazione reciproca che si realizza l’etica della cura, intesa come “prendersi cura”, che si
realizza “tanto nell’azione della cura (richiedendo decisioni clinico-assistenziali appropriate alla situazione del paziente), quanto nella relazione stessa con il paziente”
[19].
Quando la persona si trova nella fase avanzata della malattia, o morente, la relazione diviene “la via privilegiata per arrecare quel conforto che rappresenta l’obiettivo prioritario della assistenza al paziente inguaribile” (Oberle K., Hughes D.,
2001)
Quanto più la persona è fragile e malata, tanto più assume valore un’”etica di
relazione” piuttosto che un “etica di azione”.
Nella prospettiva assistenziale di prendersi cura e nell’ambito della relazione e
comunicazione con la persona assistita, il Codice riconosce, all’articolo 24, uno specifico dovere di informativa e un aiuto nelle scelte rispetto ai progetti diagnosticoterapeutici da intraprendere “adeguando la comunicazione” alla capacità di comprensione.
Capitolo 5.
L’infermiere e l’etica dell’accompagnamento
83
La strategia comunicativa deve avere l’obiettivo di sostenere, pur nella verità dei
contenuti, la speranza del malato, rispettandolo nelle proprie scelte e rendendolo
collaboratore attivo e protagonista del suo percorso di cura.
Si può dire che riconoscere e rispettare l’identità relazionale dell’assistito, acquista
un valore unico e può rivelarsi più importante di promuovere il diritto di autodeterminazione inteso in senso stretto. Identità relazionale che si realizza sia nel rapporto
di cura con il personale sanitario sia nel confronto e sostegno con i familiari o con
persone di riferimento.
L’infermiere oggi, grazie a una maggiore preparazione medico-scientifica ma soprattutto grazie alla quotidiana esperienza di prendersi cura dell’ammalato nei momenti più critici della sua esistenza, si confronta con problematiche etiche, non riducendole a dilemmi filosofici solo teorici ma valorizzando il carattere peculiare di ogni
singola situazione.
Nella pratica clinica, prima ancora di valutare la liceità o meno della sospensione
di trattamenti salvavita, ci si domanda il perché l’assistito avanza una tale richiesta;
se è per evitare la sofferenza fisica, per la paura della solitudine e dell’abbandono o
per altre ragioni.
La scelta di sospensione di un trattamento salvavita, sia se fatta da persona capace
di intendere e di volere sia se fatta in una dichiarazione anticipata o se avanzata da
un tutore, rispettando la volontà della persona assistita che si trova in uno stato di incapacità, risulta essere una situazione particolarmente complessa dal punto di vista
decisionale. L’infermiere può rappresentare un anello di congiunzione importante.
Da un lato è vicino al malato e cerca di comprenderlo nei suoi bisogni e nelle sue scelte; dall’altro ha un ruolo importante all’interno dell’equipe e collabora nei percorsi
decisionali che vanno a costruire l’assistenza.
La riflessione etica riguarda sia i trattamenti da effettuare ma anche la valutazione
di quella che è la qualità della vita dell’assistito nelle fasi più avanzate di malattia.
84
L’interrogativo che scaturisce dalle nuove possibilità di cura e dai progressi medicoscientifici, riguarda quanto sia legittimo e eticamente condivisibile attuare interventi a elevata tecnologia che finiscono non per prolungare la vita ma il processo del
morire, rimandando la morte, in casi gravi di SVP, anche di anni. Ci si domanda se
una tale morte può considerarsi dignitosa, soprattutto se contrastante con le volontà
precedentemente espresse dalla persona assistita.
Una morte serena, dignitosa fino all’ultimo, per quanto possibile senza dolore,
può realizzarsi con il ricorso alle cure palliative, che comprendono non soltanto il trattamento farmacologico ma anche i bisogni psicologici, spirituali e relazionali del morente. L’infermiere può essere vicino al morente e accoglierlo nei suoi dubbi, paure,
aspettative.
Conclusioni
Conclusioni
“La materia delle decisioni di fine vita è una materia densa di diritti fondamentali, nella quale tutte le possibili opzioni legislative saranno fatalmente soggette a
penetranti controlli di costituzionalità” [10].
L’attuale vuoto legislativo in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento
comporta che sia la giurisprudenza, caso per caso, ad assumersi la responsabilità
delle decisioni in merito. Il caso italiano di Eluana Englaro assume un valore e un
significato senza precedenti, a livello nazionale. I giudici che hanno deliberato, hanno preso una decisione sicuramente sofferta, dal momento che la conseguenza della
loro delibera era la morte di una ragazza. La sentenza risulta essere giuridicamente
ben argomentata e fa si che la vita di ogni persona che versa in uno stato vegetativo
permanente continui ad avere un valore inestimabile fino agli ultimi istanti.
I giudici si sono trovati ad affrontare il problema del “perché si stesse continuando
a mantenere in vita Eluana o, meglio, per chi lo si stesse facendo”. La conclusione è
stata che, una volta dimostrata la sua volontà presunta, fosse giusto riconoscere il
fallimento degli sforzi terapeutici e la stessa finitezza della vita umana.
Una legge che regolamenti le dichiarazioni anticipate di trattamento risulta necessaria per poter far valere il pieno rispetto della volontà e della libertà della persona
malata. Una buona legge può prevenire il rischio di una richiesta di interventi eutanasici valorizzando il ricorso a terapie palliative ma, allo stesso tempo, tale rischio
può essere prevenuto riconoscendo l’importanza di una vera alleanza terapeutica in
85
86
una fase drammatica dell’esistenza del malato.
Prendersi cura della persona, proprio quando c’è un alto rischio di abbandono,
stare con l’ammalato, scegliere non “per lui” ma “con lui”.
Tanto maggiore è la debolezza della persona, tanto maggiore risulta essere il dovere etico e giuridico di prendersi cura di lui.
L’alleanza tra il malato e l’intera équipe assistenziale acquista un valore peculiare
nella evoluzione terminale della malattia e nella fase di fine vita.
In un’etica di fine vita convergono tutti quegli aspetti affettivi, valoriali e di competenza clinica necessari all’accompagnamento del malato, evitando di ricorrere a
misure terapeutiche inutili ed eccessive. Medici e infermieri sono garanti degli interessi del morente, hanno il dovere di accompagnarlo nel suo cammino verso la morte
assicurandogli il pieno rispetto della sua dignità di persona.
Se è possibile per una persona capace di intendere e di volere manifestare il proprio diritto di scegliere a quali trattamenti sottoporsi, allora tale diritto deve esserci
anche per una persona divenuta incapace di esprimere le proprie volontà, attraverso
lo strumento delle dichiarazioni anticipate.
Al momento della formulazione della dichiarazione anticipata, il medico deve essere in grado di proporre le migliori soluzioni possibili, con un occhio anche al futuro;
l’infermiere aiuta l’assistito nella comprensione delle varie ipotesi e, successivamente,
nella scelta.
Curare il malato significa anche aiutarlo a fare delle scelte consapevoli e responsabili, come previsto dall’articolo 20 del Codice deontologico dell’infermiere.
Gli infermieri hanno il ruolo fondamentale di “educazione del paziente e di assistenza intelligente”.
Il ruolo di assistenza e cura delle persone alla fine della propria vita è affidato dalla
società ai professionisti sanitari; oggi molto più che un tempo si muore in ospedale
o altra struttura sanitaria. Il tema della morte è un tema centrale nella vita di ogni
Conclusioni
87
persona, sebbene la nostra società ci porta ad allontanarlo, a rimuoverlo, trovandoci
cosı̀ tutti impreparati ad affrontarlo.
L’interesse per una riflessione su tale tema è molto più vicina a storici, filosofi,
antropologi piuttosto che a medici e infermieri, che hanno il compito di stare vicini al
morente. Risulta attualmente difficile “costruire una cultura della morte intesa come
una ricerca finalizzata a trovare forme, gesti, parole, comportamenti che abbiano un
significato e diano un senso alla fase ultima della vita di un uomo” [20].
Medici e infermieri continuano a stare con il malato, ad assisterlo anche quando
viene fatta una scelta di estrema tragicità, come quella di porre fine alla propria vita
attraverso la rinuncia ad un trattamento di sostegno vitale.
Rimangono aperti molti interrogativi e parziali soluzioni potranno trovarsi soltanto considerando la peculiarità di ogni singola situazione.
Quando si dice “non c’è più nulla da fare”, è fondamentale la consapevolezza che
qualcosa si può ancora fare fino all’ultimo, si può sollevare dalle sofferenze e ci si può
prendere cura della persona assistita anche quando la guarigione non è più pensabile.
Il Codice Deontologico dell’Infermiere conferma una posizione per cui l’infermiere continua a curare o, meglio, a “prendersi cura” della persona malata fino agli ultimi
istanti anche quando non si può più fare niente ai fini di una guarigione.
Prendersi cura della persona rispettando i suoi bisogni fondamentali, sia quelli di
natura corporea sia quelli di natura psicologica, relazionale e spirituale, risulta essere
un obiettivo certo della pratica infermieristica.
L’assistenza infermieristica continua fino alla fine della vita, tutelando le volontà
dell’assistito, applicando interventi proporzionati alla condizione clinica e coerenti
con la concezione da lui espressa di qualità della vita (articoli 35 e 36, Codice Deontologico dell’Infermiere). L’infermiere tiene conto di quanto espresso precedentemente
dalla persona, quando non è più in grado di intendere e di volere (articolo 37); non
possono essere assecondate delle richieste da parte dell’assistito di interventi finaliz-
88
zati ad assecondarne la morte (articolo 38). L’infermiere svolge un ruolo fondamentale di sostegno anche per i familiari nell’evoluzione terminale della malattia e nel
momento della perdita ed elaborazione del lutto (articolo 39).
Appendice A
Allegati
A.1 Disegno di legge, Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento
ARTICOLO 1 (TUTELA DELLA VITA E DELLA SALUTE)
1. La presente legge, tenendo conto dei principi di cui agli articoli 2,31 ,13 e 32 della
Costituzione:
a) riconosce e tutela la vita umana, quale diritto inviolabile ed indisponibile, garantito anche nella fase terminale dell’esistenza e nell’ipotesi in cui la persona non sia
più in grado di intendere e di volere, fino alla morte accertata nei modi di legge;
b) riconosce e garantisce la dignità di ogni persona in via prioritaria rispetto all’interesse della società e alle applicazioni della tecnologia e della scienza;
c) vieta ai sensi degli articoli 575, 579 e 580 del codice penale ogni forma di euta1
l riferimento all’art. 3 Cost. è stato introdotto con emendamento 1. 43. firmato da
Livia
Turco,Argentin, Binetti, Bossa, Burtone, D’Incecco, Grassi, Lenzi, Miotto, Murer, Pedoto, Sbrollini,
Calgaro, Mosella
89
90
nasia e ogni forma di assistenza o di aiuto al suicidio, considerando l’attività medica
e quella 2 di assistenza alle persone esclusivamente finalizzata alla tutela della vita e
della salute nonché all’alleviamento della sofferenza;
d) impone l’obbligo al medico di informare il paziente sui trattamenti sanitari più
appropriati, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 4, e sul divieto di qualunque forma di eutanasia 3 , riconoscendo come prioritaria l’alleanza terapeutica tra
il medico e il paziente, che acquista peculiare valore proprio nella fase di fine vita;
e) riconosce che nessun trattamento sanitario può essere attivato a prescindere
dall’espressione del consenso informato nei termini di cui all’articolo 2, fermo il principio per cui la salute deve essere tutelata come fondamentale diritto dell’individuo
e interesse della collettività e nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge e con i limiti imposti dal rispetto
della persona umana;
f) garantisce che in casi di pazienti in stato di fine vita o in condizioni di morte prevista come imminente, il medico debba astenersi da trattamenti straordinari
non proporzionati, non efficaci o non tecnicamente adeguati rispetto alle condizioni
cliniche del paziente o agli obiettivi di cura.
2. La presente legge garantisce politiche sociali ed economiche volte alla presa in
carico del paziente, in particolare dei soggetti incapaci di intendere e di volere, siano
essi cittadini italiani, stranieri o apolidi4 , e della loro famiglia.
2-bis. I pazienti terminali o in condizioni di morte prevista come imminente hanno diritto a essere assistiti attraverso una adeguata terapia contro il dolore secondo
quanto previsto dai protocolli delle cure palliative, ai sensi della normativa vigente
in materia5 .
2
Emendamento 1.14 ,Catanoso
Emendamento 1.13, Catanoso
4
Emendamento 1,57, Livia Turco
5
Emendamento 1,57 Livia Turco
3
Appendice A. Allegati
91
ARTICOLO 2 (CONSENSO INFORMATO)
1. Salvo i casi previsti dalla legge, ogni trattamento sanitario è attivato previo consenso informato esplicito ed attuale del paziente prestato in modo libero e consapevole.
2. L’espressione del consenso informato è preceduta da corrette informazioni rese dal medico curante al paziente in maniera comprensibile circa diagnosi, prognosi,
scopo e natura del trattamento sanitario proposto, benefici e rischi prospettabili, eventuali effetti collaterali nonché circa le possibili alternative e le conseguenze del rifiuto
del trattamento.
3. L’alleanza terapeutica costituitasi all’interno della relazione fra medico e paziente ai sensi del comma 2 si esplicita in un documento di consenso informato, firmato
dal paziente, che diventa parte integrante della cartella clinica.
4. È fatto salvo il diritto del paziente di rifiutare in tutto o in parte le informazioni che gli competono. Il rifiuto può intervenire in qualunque momento e deve essere esplicitato in un documento sottoscritto dal soggetto interessato e diviene parte
integrante della cartella clinica6 .
5. Il consenso informato al trattamento sanitario può essere sempre revocato, anche parzialmente. Tale revoca deve essere annotata nella cartella clinica7 .
6. In caso di soggetto interdetto, il consenso informato è prestato dal tutore che
sottoscrive il documento. In caso di soggetto8 inabilitato o di minore emancipato, il
consenso informato è prestato congiuntamente dal soggetto interessato e dal curatore. Qualora sia stato nominato un amministratore di sostegno e il decreto di nomina
preveda l’assistenza o la rappresentanza in ordine alle situazioni di carattere sanita6
Emendamento 2. 26 , Livia Turco, Argentin, Binetti, Bossa, Bucchino, Burtone, D’Incecco, Grassi,
Lucà, Lenzi, Miotto, Murer, Pedoto, Sbrollini
7
Emendamento 2. 29. Livia Turco, Argentin, Binetti, Bossa, Burtone, D’Incecco, Grassi, Lenzi,
Miotto, Murer, Pedoto, Sbrollini
8
Emendamento 2. 14. , Palagiano, Mura, Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Aniello,
Formisano, Pifferi, Zazzera, Rota, Porcino, Di Giuseppe, Monai, Leoluca Orlando
92
rio, il consenso informato è prestato anche dall’amministratore di sostegno ovvero
solo dall’amministratore. La decisione di tali soggetti riguarda anche quanto consentito dall’articolo 3 ed è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della
salute e della vita 9 dell’incapace.
7. Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la potestà parentale o la tutela dopo avere attentamente ascoltato i
desideri e le richieste del minore. La decisione di tali soggetti riguarda quanto consentito anche dall’articolo 3 ed è adottata avendo come scopo esclusivo la salvaguardia
della salute psico-fisica del minore.
8. Per tutti i soggetti minori, interdetti, inabilitati o altrimenti incapaci il personale
sanitario è comunque tenuto, in assenza di una dichiarazione anticipata di trattamento, ad operare sempre avendo come scopo esclusivo la salvaguardia della salute del
paziente10 .
9. Il consenso informato al trattamento sanitario non è richiesto quando la vita
della persona incapace di intendere o di volere sia in pericolo per il verificarsi di una
grave complicanza 11 o di un evento acuto.
ARTICOLO 3 (CONTENUTI E LIMITI DELLE DICHIARAZIONI ANTICIPATE
DI TRATTAMENTO)
1. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante esprime il proprio orientamento in merito ai trattamenti sanitari in previsione di un’eventuale futura perdita
della propria capacità di intendere e di volere. Nel caso in cui il paziente abbia sottoscritto una dichiarazione anticipata di trattamento, è esclusa la possibilità per qualsia9
Emendamento 2. 32. ,Binetti, Grassi, Burtone, Pedoto, Lucà, Calgaro, Mosella.
Emendamento 2.19, Nuova formulazione, Vassallo
11
Emendamento 2. 16.Palagiano, Mura, Di Pietro, Donadi, Evangelisti, Borghesi, Aniello, Formisano,
10
Pifferi, Zazzera, Rota, Porcino, Di Giuseppe, Monai, Leoluca Orlando.
Appendice A. Allegati
93
si persona terza, ad esclusione dell’eventuale fiduciario, di provvedere alle funzioni
di cui all’articolo 6.
2. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto, in stato di piena capacità di intendere e di volere e in situazione di compiuta informazione medico- clinica, dichiara il proprio orientamento circa l’attivazione o non attivazione di trattamenti sanitari, purché in conformità a quanto prescritto dalla legge e dal codice di
deontologia medica.
3. Nella dichiarazione anticipata di trattamento può essere esplicitata la rinuncia
da parte del soggetto ad ogni o ad alcune forme particolari di trattamenti sanitari in
quanto di carattere sproporzionato o sperimentale.
4. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto non può inserire indicazioni che integrino le fattispecie di cui agli articoli 575, 579 e 580 del codice
penale.
5. Anche nel rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006, alimentazione ed idratazione,
nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, devono
essere mantenute fino al termine della vita, ad eccezione del caso in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari
alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Esse non possono formare oggetto di
dichiarazione anticipata di trattamento12 .
Tale valutazione compete al medico curante secondo scienza e coscienza coinvolgendo i familiari attraverso una completa informazione, chiamati a tutelare, in una
compiuta alleanza terapeutica, il miglior interesse della persona incapace13 .
6. La dichiarazione anticipata di trattamento assume rilievo nel momento in cui
è accertato che il soggetto si trovi nell’incapacità permanente di comprendere le in12
13
Emendamento 3.10 del relatore.
Emendamento 3. 38. (Nuova formulazione). Livia Turco, Argentin, Binetti, Bossa, Burtone,
D’Incecco, Grassi, Lenzi, Miotto, Murer, Pedoto, Sbrollini.
94
formazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze e, per questo motivo,
di assumere le decisioni che lo riguardano. La valutazione dello stato clinico del soggetto è formulata da un collegio medico formato da un anestesista rianimatore, un
neurologo, il medico curante ed il medico specialista della patologia di cui è affetto il
paziente14 .
ARTICOLO 4 (FORMA E DURATA DELLA DICHIARAZIONE ANTICIPATA DI
TRATTAMENTO)
1. Le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono obbligatorie, sono redatte in
forma scritta con atto avente data certa e firma del soggetto interessato maggiorenne,
in piena capacità di intendere e di volere dopo una compiuta e puntuale informazione
medico-clinica, e sono raccolte esclusivamente dal medico di medicina generale che
contestualmente le sottoscrive.
2. Le dichiarazioni anticipate di trattamento, manoscritte o dattiloscritte, devono
essere adottate in piena libertà e consapevolezza, nonché sottoscritte con firma autografa. Eventuali dichiarazioni di intenti o orientamenti espressi dal soggetto al di
fuori delle forme e dei modi previsti dalla presente legge non hanno valore e non
possono essere utilizzati ai fini della ricostruzione della volontà del soggetto15 .
3. Salvo che il soggetto sia divenuto incapace, la dichiarazione anticipata di trattamento ha validità per cinque anni, che decorrono dalla redazione dell’atto ai sensi
del comma 1, termine oltre il quale perde ogni efficacia. La dichiarazione anticipata
di trattamento può essere rinnovata più volte, con la forma e le modalità prescritte
dai commi 1 e 2.
4. La dichiarazione anticipata di trattamento può essere revocata o modificata in
14
15
Emendamento 3. 11.(Nuova formulazione). Il Relatore.
Emendamento 4. 500 , Laura Molteni, Rondini, Polledri
Appendice A. Allegati
95
ogni momento dal soggetto interessato. La revoca, anche parziale, della dichiarazione
deve essere sottoscritta dal soggetto interessato.
5. La dichiarazione anticipata di trattamento deve essere inserita nella cartella
clinica dal momento in cui assume rilievo dal punto di vista clinico.
6. In condizioni di urgenza o quando il soggetto versa in pericolo di vita immediato, la dichiarazione anticipata di trattamento non si applica.
ARTICOLO 5 (ASSISTENZA AI SOGGETTI IN STATO VEGETATIVO)
1. Al fine di garantire ed assicurare l’equità nell’accesso all’assistenza e la qualità delle
cure, l’assistenza ai soggetti in stato vegetativo è assicurata attraverso le prestazioni
ospedaliere, residenziali e domiciliari di cui al decreto del Presidente del Consiglio
dei ministri 29 novembre 2001, recante definizione dei livelli essenziali di assistenza.? 2. Il Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i
rapporti con lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, adotta linee guida cui le regioni si conformano nell’assicurare l’assistenza ospedaliera,
residenziale e domiciliare per i soggetti in stato vegetativo16 .
ARTICOLO 6 (FIDUCIARIO)
1. Nella dichiarazione anticipata di trattamento il dichiarante può nominare un fiduciario maggiorenne, capace di intendere e di volere, il quale accetta la nomina
sottoscrivendo la dichiarazione.
1-bis. Il dichiarante che abbia nominato un fiduciario può sostituirlo, con le stesse modalità previste per la nomina, in qualsiasi momento senza alcun obbligo di
motivare la decisione17 .
16
17
Emendamento 5.100, del relatore
Emendamento 6. 13. Argentin, Turco Livia, Binetti, Bossa, Burtone, D’Incecco, Grassi, Lenzi,
Miotto, Murer, Pedoto, Sbrollini.
96
2. Il fiduciario, se nominato, è l’unico soggetto legalmente autorizzato ad interagire con il medico con riferimento ai contenuti della dichiarazione anticipata di
trattamento18 e si impegna ad agire nell’esclusivo e migliore interesse del paziente,
operando sempre e solo secondo le intenzioni legittimamente esplicitate dal soggetto
nella dichiarazione anticipata.
3. Il fiduciario, se nominato, si impegna a vigilare perché al paziente vengano somministrate le migliori terapie palliative disponibili, evitando che si creino situazioni
sia di accanimento terapeutico, sia di abbandono terapeutico.
4. Il fiduciario, se nominato, si impegna a verificare attentamente che non si determinino a carico del paziente situazioni che integrino fattispecie di cui agli articoli
575, 579 e 580 del codice penale.
5. Il fiduciario può rinunciare per iscritto all’incarico, comunicandolo al dichiarante o, ove quest’ultimo sia incapace di intendere e di volere, al medico responsabile del
trattamento sanitario.
5-bis. In assenza di nomina del fiduciario, i compiti previsti dai commi 2, 3 e 4 del
presente articolo sono adempiuti dai familiari quali indicati dal codice civile, libro II,
titolo II, capi I e II19.
ARTICOLO 7 (RUOLO DEL MEDICO)
1. Le volontà espresse dal soggetto nella sua dichiarazione anticipata di trattamento
sono prese in considerazione dal medico curante che, sentito il fiduciario, annota nella
cartella clinica le motivazioni per le quali ritiene di seguirle o meno.
2. Il medico non può prendere in considerazione indicazioni orientate a cagionare
la morte del paziente o comunque in contrasto con le norme giuridiche o la deonto18
Emendamento 6. 16. Argentin, Turco Livia, Binetti, Bossa, Burtone, D’Incecco, Grassi, Lenzi,
Miotto, Murer, Pedoto, Sbrollini
19
Emendamento 6. 4.(Nuova formulazione). Il relatore.
Appendice A. Allegati
97
logia medica. Le indicazioni sono valutate dal medico, sentito il fiduciario, in scienza
e coscienza, in applicazione del principio dell’inviolabilità della vita umana e della
tutela della salute, secondo i princı̀pi di precauzione, proporzionalità e prudenza.
3. In caso di controversia tra il fiduciario ed il medico curante, la questione viene
sottoposta alla valutazione di un collegio di medici, designato dalla direzione sanitaria della struttura di ricovero o della azienda sanitaria di competenza, composto da
un medico legale, due medici specialisti nella patologia o infermità da cui il paziente
è affetto ed un anestesista-rianimatore. Tale collegio dovrà sentire il medico curante. Il parere espresso dal collegio medico è vincolante per il medico curante il quale
non è comunque tenuto a porre in essere prestazioni contrarie alle sue convinzioni di
carattere scientifico e deontologico. Resta comunque sempre valido il principio della
inviolabilità e della indisponibilità della vita umana20 .
ARTICOLO 8 ( AUTORIZZAZIONE GIUDIZIARIA)
1. In assenza del fiduciario, in caso di contrasto tra soggetti parimenti legittimati ad
esprimere il consenso al trattamento sanitario, la decisione è autorizzata dal giudice tutelare, su parere del collegio medico di cui all’articolo 7, o, in caso di urgenza,
sentito il medico curante.
2. L’autorizzazione giudiziaria è necessaria anche in caso di inadempimento o
di inerzia da parte dei soggetti legittimati ad esprimere il consenso al trattamento
sanitario.
3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, il medico è tenuto a dare immediata segnalazione
al pubblico ministero.
20
Emendamento 7. 6. ,Il Relatore.
98
ARTICOLO 9 (DISPOSIZIONI FINALI)
1. È istituito il Registro delle dichiarazioni anticipate di trattamento nell’ambito di un
archivio unico nazionale informatico. Il titolare del trattamento dei dati contenuti nel
predetto archivio è il Ministero Della Salute .
2. Con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23
agosto 1988, n. 400, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, sentito il Garante
per la protezione dei dati personali, stabilisce le regole tecniche e le modalità di accesso, di tenuta e di consultazione del Registro di cui al comma 1. Il decreto stabilisce
altresı̀ i termini e le forme entro i quali i soggetti che lo vorranno potranno compilare le dichiarazioni anticipate di trattamento presso il medico di medicina generale e
registrarle in uffici dedicati presso le aziende sanitarie locali, le modalità di conservazione delle dichiarazioni anticipate di trattamento presso le aziende sanitarie locali e
le modalità di trasmissione telematica al Registro di cui al comma 1. Tutte le informazioni sulla possibilità di rendere la dichiarazione anticipata di trattamento sono rese
disponibili anche attraverso il sito Internet del Ministero della salute.
3. La dichiarazione anticipata di trattamento, le copie della stessa, le formalità, le
certificazioni e qualsiasi altro documento sia cartaceo sia elettronico ad esse connesso e da esse dipendente non sono soggetti all’obbligo di registrazione e sono esenti
dall’imposta di bollo e da qualunque altro tributo.
4. Dal presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della
finanza pubblica. All’attuazione del medesimo si provvede nell’ambito delle risorse
umane, strumentali e finanziarie già previste a legislazione vigente.
Bibliografia
Bibliografia
[1] W.T. Reich, Encyclopedia of Bioethics, New York, 1978
[2] V.R. Potter, 1971
[3] E. Sgreccia, Manuale di Bioetica I Fondamenti ed Etica Biomedica, ed. Vita e Pensiero,
1991
[4] Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni, Il documento di Erice sui
rapporti della Bioetica e della Deontologia medica con la medicina legale, 1991
[5] Disegno di Legge Disposizioni in materia di alleanza terapeutica, di consenso
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[6] Comitato Nazionale di Bioetica, Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, 2003
[7] P. Binetti, Etica di fine vita e dichiarazioni anticipate di trattamento, Nurs Perspect,
2009; 9 (1), pp. 61-69
[8] Documento elaborato dal Consiglio Direttivo e dalla Commissione di Bioetica
della Società Italiana di Nutrizione Parenterale ed Enterale, SINPE, Precisazioni
in merito alle implicazioni bioetiche della Nutrizione artificiale, 2007
[9] Cass. Sez. I civ, 16 Ottobre 2007
[10] F. Viganò, Riflessioni sul caso di Eluana Englaro, in Dir. e proc., 8, 2008
99
100
[11] Airedale NHS Trust v. Bland, 1993
[12] Cfr A. Santosuosso, La volontà oltre la coscienza. La Cassazione e lo stato
vegetativo, 2008
[13] C. App. Milano, sez I civ, 25 Giugno 2008
[14] A. Silvestro, Commentario al codice deontologico dell’infermiere2009, A.G. Spagnolo,
Professione infermieristica e valori etici, pp. 92-97 Ed. Mc Graw-Hill, 2009
[15] www.ipasvi.it
[16] cfr. Pronunciamento. La persona nel fine vita, pubblicato su L’infermiere, n.
5-6/2009, pp5-6
[17] D. Binello, Fine vita, Il valore della persona, pubblicato su L’infermiere 1/2010, pp.
11-14
[18] www.istitutobioetica.org: M.A. La Torre, Curare e prendersi cura, 1999
[19] A. Silvestro, in Commentario al codice deontologico 2009 Ed. Mc Graw-Hill , pp.
97-101
[20] A. Silvestro, in Commentario al codice deontologico 2009 Ed. Mc Graw-Hill , pp.
201-207
[21] Comitato Nazionale di Bioetica, Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento
sanitario nella relazione medico-paziente, 24 Ottobre 2008
[22] Comitato Nazionale di Bioetica, Questioni bioetiche relative alla fine della vita
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[23] Comitato Nazionale di Bioetica, L’alimentazione e l’idratazione di pazienti in stato
vegetativo persistente, 30 Settembre 2005
BIBLIOGRAFIA
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[26] Codice di Deontologia Medica, 2006
[27] Codice Deontologico dell’Infermiere, 2009
[28] www.governo.it
[29] www.governo/bioetica/.it