Tumori primitivi maligni dell`osso nella terza età

CAPITOLO 29
Tumori primitivi maligni dell’osso nella terza età
Ugo Albisinni, Maria Cristina Malaguti, Maurizio Busacca
Nella terza età (pazienti oltre i 65 anni) la patologia neoplastica maligna dell’osso comprende tumori metastatici carcinomatosi, neoplasie sistemiche e tumori primitivi, cioè
neoplasie che originano dall’apparato di sostegno; questi ultimi sono quindi tumori
connettivali che derivano da precursori cellulari presenti nelle strutture ossee, comprendenti soprattutto elementi ossei e cartilaginei ma anche neuro-ectodermici, fibroistiocitari e vascolari. L’epidemiologia risulta difficile in quanto trattasi di patologia rara;
dai dati della letteratura [1] e da quelli della casistica degli Istituti Ortopedici Rizzoli
(IOR), 28.665 casi “completi” di lesioni neoplastiche del sistema muscolo-scheletrico
raccolti dal settembre del 1900 alla quale si farà riferimento, le lesioni maligne dell’osso più frequenti nella terza età sono rappresentate dalle metastasi da carcinoma, seguite dai tumori primitivi e da quelli sistemici, rappresentati dal mieloma e dai linfomi.
Nel presente capitolo abbiamo ritenuto di trattare in modo più esaustivo solo i tumori primitivi maligni, riservando nel paragrafo della radiologia interventistica un breve
cenno alle metastasi ossee e al loro trattamento non limitato solo alla palliazione del dolore ma esteso anche al controllo locale della lesione.
Tumori primitivi maligni
La Figura 1 riporta la frequenza degli istotipi dei tumori primitivi dell’osso, che rappresentano il 26% di tutte le neoplasie maligne dello scheletro in questa fascia di età,
emersa dall’esame della casistica IOR. Le forme più frequenti risultano essere i condrosarcomi, seguiti dai tumori della serie istio-fibrocitaria, dagli osteosarcomi e dal
cordoma. Poiché dalla revisione dei dati del nostro Registro dei Tumori Maligni primitivi dell’osso e dai dati della letteratura [2], peraltro molto scarni, è emerso che i
risultati in termini di sopravvivenza, recupero funzionale e qualità della vita nei pazien-
Fig. 1. Frequenza degli isotipi dei tumori primitivi dell’osso
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ti anziani affetti da questa patologia e sottoposti a resezione chirurgica sono solo di
poco inferiori a quelli dei pazienti più giovani, è necessario anche in questi casi formulare una diagnosi precisa e fornire un’accurata stadiazione preoperatoria della lesione. Nel suo trattato, il Professor Campanacci [3] sottolinea che “se si vuole progredire
nel difficile compito di curare e guarire i tumori, se si vuole comprendere la ragione
dei risultati e confrontare tali risultati con quelli di altri Centri usando lo stesso linguaggio, è indispensabile che ogni caso oncologico venga classificato secondo il suo
stadio”. Una corretta stadiazione, oggi ancora più necessaria a fronte delle potenzialità dei trattamenti radio-chemioterapici e chirurgici, si basa sulla realizzazione di un
corretto bilancio di diffusione, sia loco-regionale che a distanza, secondo i criteri di
Enneking [4] che suddivide i tumori maligni primitivi in tre stadi: tumori a bassa malignità, stadio I; tumori maligni, stadio II; e infine tumori con metastasi, stadio III.
Il complesso processo diagnostico dei tumori primitivi dell’osso comprende l’analisi dei
parametri clinici,l’utilizzo razionale delle metodiche di imaging e infine l’accertamento istopatologico. È indispensabile una valutazione attenta, meticolosa e sequenziale dei parametri forniti dalla radiologia convenzionale (RC), dalla tomografia computerizzata (TC)
e dalla risonanza magnetica (RM) indicativi della velocità di crescita del tumore, della sua
matrice intercellulare, della presenza di pseudocapsula e di una sua eventuale infiltrazione, e infine dell’angiogenesi e della perfusione tumorali. Spesso i reperti forniti dall’imaging morfologico e funzionale, associati ai dati clinico-laboratoristici, consentono un orientamento diagnostico. Anche quando l’aspetto radiologico è caratteristico, quasi tutte le
forme maligne vengono sottoste a biopsia per conoscere il grading istologico del tumore.
La RC e soprattutto la TC sono importanti ai fini diagnostici in quanto forniscono informazioni sul tipo di osteolisi e sulla sua aggressività e permettono spesso di differenziare
le matrici neoplastiche. La RM [5] è considerata indagine di scelta in tre momenti essenziali: il primo, nel rilevare iniziali alterazioni infiltrative dell’osso spongioso e quindi nella
diagnosi precoce; il secondo, nel fornire un preciso bilancio loco-regionale della lesione;
il terzo, nel valutare la risposta del tumore ai trattamenti radio-chemioterapici (Fig. 2).
Nei sarcomi dell’osso sottoposti a chemioterapia (CHT) neoadiuvante infatti è molto
importante la valutazione in vivo della risposta tumorale, non solo ai fini prognostici,
a
b
Fig. 2. Paziente maschio di 65 anni; condrosarcoma centrale dell’ischio di destra dopo chemioterapia (CHT) neoadiuvante. a Immagine coronale spin echo (SE) T1pesata dopo gadolinio che evidenzia una modesta e diffusa impregnazione contrastografica della lesione. b L’immagine, ottenuta con risonanza magnetica (RM) dinamica e rielaborazione elettronica, fa risaltare le aree residue di tessuto neoplastico vitale
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ma anche per la scelta del timing chirurgico e del trattamento farmacologico post-intervento; il target è rappresentato dalla individuazione e quantificazione del tessuto residuo vitale, che va differenziato dalla necrosi e dal tessuto di granulazione e infiammatorio reattivo al trattamento. I risultati migliori si ottengono con gli studi dinamici con
gadolinio, utilizzando sequenze ultraveloci e la sottrazione digitalizzata delle immagini [6, 7]. Recentemente sono stati riportati in letteratura studi di validazione della tomografia a emissione di positroni (PET) nell’ambito della patologia neoplastica primitiva
dell’osso; dai risultati preliminari sembra che l’entità dell’ipercaptazione di F-18-deossiglucosio risulti correlabile al grado di malignità del tumore.
Condrosarcoma
Oltre il 12% dei casi i condrosarcomi (CS) interessano la terza età; nella nostra casistica
rappresentano il tumore più frequente, con un’incidenza pari al 34% circa. Sono sarcomi
le cui cellule tendono a differenziarsi in cartilagine e se ne distinguono varie forme e vari
gradi istologici, secondo una progressione di malignità cui corrispondono differenti caratteristiche prognostiche e terapeutiche. Le forme più riscontrate sono il CS centrale (57%),
il CS dedifferenziato (32%), il CS periferico (7%) e il CS mesenchimale (4%). Per la tendenza della cartilagine a calcio-ossificare, la matrice tumorale appare radiodensa con
caratteristici pattern radiografici delle calcificazioni, meglio valutabili con la TC.
L’aspetto RM del condrosarcoma centrale è noto: il tessuto patologico si presenta
ipo-isointenso nelle sequenze T1 dipendenti e iperintenso in quelle T2 dipendenti, con
aspetto polilobulato senza o con settature ipointense e aree focali di signal void dovute alla mineralizzazione della matrice; netta l’impregnazione contrastografica. L’intensità del segnale non è discriminante per la definizione del grading, in quanto analoga
sia nei CS a basso grado che in quelli ad alto grado di malignità [7].
Il CS dedifferenziato è caratterizzato da una nuova neoplasia non condroide più
aggressiva e maligna (quale un istiocitoma fibroso maligno, un fibrosarcoma, un osteosarcoma o un angiosarcoma) che origina su un condrosarcoma centrale. Nella forma bifasica, peraltro la più frequente, la RM è in grado di evidenziare le aree di differenziazione che presentano un’intensità di segnale ridotta rispetto all’iperintensità della componente condroide; risulta quindi estremamente utile nella diagnosi ma anche come
scelta della sede del prelievo bioptico [8].
L’aspetto radiologico del condrosarcoma periferico, così definito perché origina all’esterno dell’osso e nella maggior parte dei casi da una preesistente esostosi, è assolutamente
tipico, caratteristico. La TC e soprattutto la RM diventano importanti nel rilevare segni
precoci di degenerazione sarcomatosa di una esostosi, rappresentati da un aumento
dello spessore del cappuccio cartilagineo e da una iniziale distruzione del tessuto osseo
dell’esostosi da parte del tessuto sarcomatoso, che peraltro presenta caratteri morfostrutturali TC e RM del tutto analoghi a quelli del condrosarcoma centrale [9].
Fibrosarcoma e istiocitoma fibroso maligno
Sono sarcomi di origine fibro-istiocitaria che presentano caratteristiche cliniche e radiografiche simili; la loro differenza è basata sul diverso aspetto istologico, composto solo
da cellule fusate nel fibrosarcoma e da cellule fusate e polimorfe nell’istiocitoma fibro-
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so maligno. Rappresentano rispettivamente il 2-3% e il 4-5% dei tumori ossei primitivi e sono tipici dell’età adulto-avanzata; infatti nei pazienti over 65 la percentuale sale
a oltre il 9%. Frequentemente si instaurano su ossa irradiate o pagetiche, su condrosarcomi non recenti, su tumori gigantocellulari (TGC) o su osteomielite cronica.
Radiologicamente il quadro presenta caratteristiche aspecifiche di una lesione aggressiva che varia in rapporto al grado di malignità.Anche l’aspetto TC e RM del tessuto neoplastico, che dipende dalla differenziazione istologica del tumore, dalla sua cellularità
e dalla ricchezza in matrice collagene, risulta aspecifico; le due metodiche si equivalgono
nella stadiazione loco-regionale della lesione [10].
Osteosarcoma
Rappresenta il tumore maligno più frequente dello scheletro; nella nostra casistica interessa la terza età nel 14%. È un tumore altamente maligno, a istogenesi ossea, suddiviso
in vari sottotipi istologici con aspetti clinici e radiografici polimorfi. Istologicamente
risulta costituito da cellule mesenchimali che tendono a differenziarsi in senso osteoblastico producendo sostanza osteoide. In questa fascia di età oltre un 1/3 dei casi insorge su
osso pagetico, su osso irradiato, su lesioni benigne (quali la displasia fibrosa, l’infarto
osseo, l’osteomielite cronica), su tumori cartilaginei benigni o, per progressione di malignità, su condrosarcomi. L’osteosarcoma classico si presenta come tumore maligno stadio II-B nell’80% dei casi, solo nel 10% come una lesione intraossea II-A e nel restante 10%
come uno stadio III con metastasi polmonari all’esordio.
Radiologicamente se ne distinguono forme osteoblastiche, litiche o miste. Nella
forma più frequente, osteoblastica, le cellule tumorali producono direttamente in quantità assai variabile una matrice osteoide generalmente mineralizzata o osso con mineralizzazione amorfa, ben evidente alla RC e alla TC. Nei casi in cui la neoplasia si differenzia in senso condroblastico o fibroblastico entrambe le metodiche invece hanno
scarse possibilità di rilevare correttamente la matrice osteoide, per cui la diagnosi
diventa solo istologica. La RM [11] è indispensabile, oltre ai fini diagnostici, soprattutto per valutare la corretta estensione intramidollare del tumore, un’eventuale interessamento articolare, i rapporti della massa extracompartimentale con le strutture
vascolo-nervose adiacenti e nel restaging post-chemioterapia.
Cordoma
È un raro tumore osseo tipico dell’età adulta-avanzata con picco di incidenza fra i 5060 anni; rappresenta l’1-3% di tutte le neoplasie maligne primitive dell’osso; nei pazienti over 65 l’incidenza è del 6% circa. Origina da residui del tessuto notocordale e si localizza in oltre il 50% dei casi al sacro-coccige, nel 35% al clivus e solamente nel 15% al
rachide, soprattutto nel tratto cervicale dove predilige C2. La malignità risulta prevalentemente locale, poiché è invasivo e tende a recidivare in oltre il 50% dei casi. La tendenza a metastatizzare è scarsa e tardiva (10-20% dei casi), con ampio intervallo di
tempo dal momento della diagnosi (1-7 anni).
In base all’aspetto istologico, caratterizzato dalla presenza di cellule fisalifore, se ne
riconoscono tre sottotipi: convenzionale, condroide e dedifferenziato.
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Il cordoma presenta un decorso lento e progressivo (in assenza di dedifferenziazione), con una velocità di crescita radiologica tipica delle lesioni a bassa malignità, raramente aggressiva. Solitamente la diagnosi è tardiva e avviene a sviluppo neoplastico
conclamato a causa del quadro clinico subdolo, aspecifico e ai limiti della RC nelle localizzazioni al sacro e alla colonna. Nella maggioranza dei casi i reperti TC e RM consentono di formulare una corretta ipotesi diagnostica. Radiologicamente in oltre il 90%
dei casi si presenta come un’osteolisi centrale, a carta geografica, a margini abbastanza netti e spesso addensati, che diventano maldefiniti nelle forme più aggressive. Più raramente si presenta con un pattern misto o addirittura addensante. Al momento della
diagnosi è quasi sempre presente una componente neoplastica extracompartimentale,
di solito voluminosa, che analogamente al reperto macroscopico si presenta plurilobulata, ipodensa in TC e ipo-isointensa nelle sequenze T1 dipendenti e iperintensa in
quelle T2, in rapporto alla matrice mixoide, con presenza di settature fibrotiche ipointense che possono essere considerate significative del cordoma in quanto presenti in
oltre il 70% dei casi. La lesione può risultare disomogenea per la presenza di aree necrotico-cistiche ed emorragiche e può contenere calcificazioni più o meno voluminose o
frammenti di osso che il tumore ingloba accrescendosi. Dopo somministrazione di
mezzo di contrasto il cordoma mostra in genere modesta impregnazione in rapporto
alla scarsa vascolarizzazione. Poiché la terapia di elezione è la resezione ampia del tumore, la RM rappresenta indagine di scelta nel fornire un accurato bilancio loco-regionale della lesione, specie nelle localizzazioni vertebrali [12, 13].
Radiologia interventistica
La radiologia interventistica consente di fornire con ridotta invasività un utile contributo al trattamento del paziente anziano affetto da tumore. Negli ultimi anni le indicazioni
alle procedure interventistiche sono aumentate, passando da funzioni di supporto diagnostico (agobiopsia TC-guidata) a finalità terapeutiche (termoablazione, embolizzazione, cementoplastica, ecc.). Questa evoluzione la si deve in buona parte al moderno
imaging (in particolare alle metodiche tomografiche quali la TC, la RM e l’ecografia) che
avendo accresciuto molto la definizione spaziale e il potere di discriminazione tissutale consente di rilevare con maggiore precocità le alterazioni del sistema muscolo-scheletrico e di “guidare” con efficacia le procedure interventistiche.
Agobiopsia TC-guidata
In presenza di una lesione del sistema muscolo-scheletrico sempre più spesso si ricorre all’agobiopsia; quella TC-guidata è la più usata poiché permette di visualizzare con
precisione le lesioni di piccole dimensioni e le strutture adiacenti, non solo ossee. Nei
confronti della biopsia incisionale ha notevoli vantaggi: ridotta invasività, possibilità
di raggiungere lesioni di difficile aggressione chirurgica e/o multifocali, basso rischio
di infezioni, ridotta morbilità, ricovero occasionale e quindi costi biologici ed economici
molto ridotti.
Le indicazioni all’agobiopsia sono: caratterizzazione di una lesione ossea, conferma
di metastasi e possibilità di identificare recettori ormonali in pazienti con tumore pri-
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mitivo conosciuto, valutazione dell’efficacia della chemio- o radioterapia, conferma o
esclusione di una recidiva, identificazione di un processo infettivo, conferma della natura benigna di una lesione insorta nel corso del trattamento (es. osteoporosi, osteodistrofia renale).
La biopsia percutanea ha un grado di accuratezza che è compreso tra il 60 e il 90%
ed è in rapporto alla sede, al tipo di lesione, all’ago utilizzato e all’esperienza dell’operatore; ridotte sono le complicanze gravi riportate nella letteratura internazionale.
Termoablazione con radiofrequenza
La termoablazione con radiofrequenza (RF) con approccio percutaneo TC-guidato sta
riscuotendo crescente attenzione nel trattamento delle lesioni focali del paziente anziano [14]. Il trattamento con RF delle metastasi ossee è stato proposto solo da pochi anni,
ma ha già ottenuto numerose conferme e notevoli consensi per la efficacia nel controllo del dolore quando la radio- e/o la chemioterapia non sono attuabili o inefficaci oppur
si voglia sostituire o integrare la terapia con oppiacei. È una procedura mini-invasiva e
permette di controllare per qualche mese il dolore neoplastico con notevole beneficio
fisico e soprattutto psichico del paziente. Per posizionare l’agoelettrodo nella lesione ci
si avvale comunemente di aghi che consentono anche di eseguire, quando necessario,
un prelievo tissutale.
Embolizzazione arteriosa
L’embolizzazione arteriosa ha lo scopo di occludere i vasi afferenti a una lesione per
determinarne la necrosi ischemica. L’indicazione all’embolizzazione arteriosa nel
paziente tumorale anziano è fondamentalmente quella “palliativa” per il controllo del
dolore e della crescita loco-regionale, in lesioni primitive maligne inoperabili o in
metastasi ossee; può essere associata ad altre terapie (radio-chemio- e/o ormonoterapia,
termoablazione, chirurgia) e può essere ripetuta nel tempo. È una procedura per la
quale è necessario il ricovero del paziente la notte successiva al trattamento. Le complicanze riportate in letteratura non sono frequenti e sostanzialmente sono dovute a
errori di tecnica e/o imperizia dell’operatore. È opportuno eseguire la procedura in
strutture dotate, oltre che di sala angiografica e apparecchi idonei, anche di un’adeguata diagnostica per immagini che possa consentire, in caso di necessità, di monitorare adeguatamente il paziente.
Cementoplastica
È un capitolo abbastanza recente della radiologia interventistica del sistema muscoloscheletrico. Consiste nella iniezione di cemento (metilmetacrilato, usualmente adoperato nella chirurgia ortopedica) in lesioni ossee dello scheletro assiale o appendicolare diventate incompetenti a sopportare le usuali sollecitazioni. La finalità è quella di
rinforzare un osso indebolito (evitandone la frattura patologica che è un evento prognosticamente negativo) e di alleviare il dolore provocato dalle microfratture trabeco-
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lari. La procedura si esegue solitamente dopo un’agobiopsia TC-guidata. Di recente si
sta valutando l’opportunità di eseguire tale procedura dopo la termoablazione della
lesione per ridurre il rischio di embolizzazione neoplastica.
Conclusioni
Il riscontro di lesioni maligne dell’osso è una osservazione rara anche nella terza età.
L’esistenza di aggiornate banche dati e di Registri Tumori specializzati permette l’analisi di molteplici dati epidemiologici dai quali risulta che, in assoluto, le lesioni più
numerose sono le metastasi, seguite dai tumori primitivi e da quelli sistemici.
In questa fascia di età, inoltre, la patologia neoplastica maligna presenta caratteristiche
particolari che, unite ai diversi problemi terapeutici, ne rendono giustificata una conoscenza appropriata; questi tumori richiedono particolare esperienza nella diagnosi sia
radiologica che istologica e competenze specifiche per la terapia.
Riteniamo indispensabile ribadire che l’approccio diagnostico deve essere clinicoradiologico, poiché solo valorizzando i molteplici parametri clinici e i reperti sempre
più precisi e numerosi forniti dall’imaging, in particolare dinamico e funzionale, è possibile restringere il campo delle ipotesi diagnostiche, momento di sintesi difficile perché l’aggressività radiologica non sempre corrisponde a quella biologica.
Mentre la RC e la TC sono importanti essenzialmente ai fini diagnostici, la RM è
considerata indagine di scelta nel bilancio loco-regionale e nel restaging post-chemioterapico (RM dinamica).
Nella maggioranza dei tumori maligni dell’osso si rende comunque necessario il
ricorso all’accertamento istopatologico; il quadro radiologico è in ogni caso guida alla
biopsia e completamento essenziale dell’istologia, in quanto le informazioni “macroscopiche”, morfologiche e funzionali, fornite dall’imaging costituiscono premessa per
la definizione delle caratteristiche citologiche e istologiche del tumore.
Oggi non si possono infine ignorare le possibilità della radiologia interventistica,
che svolge un ruolo importante di supporto diagnostico (agobiopsia TC-guidata) ma
anche di tipo terapeutico, sia palliativo che di controllo locale.
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