Pubblicità ingannevole, prodotti alimentari e prodotti geneticamente

annuncio pubblicitario
Pubblicità ingannevole,
geneticamente modificati
prodotti
alimentari
e
prodotti
Pietro Masi
1.- Premesse.
Nell’Editoriale di presentazione di questa Rivista, Luigi Costato scrive che il “nuovo”
diritto alimentare si differenzia dal precedente perché pone soprattutto l’accento sulla
prevenzione del rischio. Rileva, quindi, l’informazione ai consumatori ed è fondamentale
il ruolo di strumenti come la etichettatura, strumenti ai quali l’attenzione dedicata in altri
contributi del fascicolo esonera qui da una diretta considerazione.
Interessa, invece, segnalare agli addetti ai lavori qualche spunto sui metodi della
comunicazione e della corretta presentazione dei prodotti, in relazione alla ipotesi di
ingannevolezza della pubblicità. L’esperienza segnala che il settore dei prodotti
alimentari si differenzia da altri (viaggi, prodotti finanziari, moda, tariffazione, solo per
fare qualche esempio) per la natura dei beni e servizi coinvolti e per le caratteristiche
dei potenziali destinatari dei messaggi.
L’attenzione non sarà qui concentrata sulla pubblicità ingannevole relativa agli OGM,
perché questa non può isolarsi da un contesto più ampio di riferimento di presentazione
al pubblico di prodotti alimentari sul quale è opportuno riflettere preliminarmente e
rispetto al quale il problema specifico di segnalazione non sembra modificare
l’impostazione della valutazione.
2.- Il quadro normativo di riferimento.
I principali riferimenti normativi sono la disciplina sulla pubblicità ingannevole e
comparativa e quella delle pratiche commerciali scorrette, contenute, rispettivamente,
nei decreti. Legislativi 145 e 146 del 2007. I decreti in esame hanno sostituito la
disciplina della pubblicità ingannevole, contenuta originariamente nel d. lgs. n. 74 del 92
e successivamente nel codice del consumo (d. lgs. n. 206 del 2005).
Obiettivo delle previsioni richiamate è proteggere gli operatori economici dalle
conseguenze pregiudizievoli che può loro apportare la pubblicità ingannevole e
comparativa, (d. lgs 145), nonché tutelare i consumatori dai pregiudizi derivanti da
qualunque pratica commerciale scorretta, nozione che ricomprende in sé anche il
ricorso a qualunque forma di pubblicità menzognera (d. lgs. 146/07, che ha novellato il
codice del consumo).
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Si può subito segnalare che il passaggio normativo dalla disciplina precedente a quella
attuale, ha sicuramente conseguenze di rilievo, che non è possibile descrivere
dettagliatamente, ma che tra l’altro riguardano gli aspetti di seguito indicati:
a) la tutela del consumatore si allarga ricomprendendo non solo l’uso scorretto della
pubblicità, ma un insieme di comportamenti atti a ad alterare le scelte
economiche di chi agisce al di fuori dell’esercizio di una attività economica;
b) la valutazione relativa alla capacità della pratica di condizionare il
comportamento dei destinatari viene ancorata al concetto di consumatore medio,
scelta che potrebbe supportare una ricostruzione più restrittiva del concetto di
“ingannevolezza”;
c) l’Autorità garante della concorrenza (d’ora in poi AGCM), competente ad
applicare le norme in esame, viene dotata di poteri più ampi rispetto al passato,
che prevedono la possibilità di irrogare sanzioni più elevate nonché di accettare
impegni;
d) l’intervento dell’AGCM è trasformato da iniziativa “su denuncia” ad iniziativa
“d’ufficio”
La nuova disciplina, come quella precedente, non contiene previsioni specificamente
destinate ai prodotti alimentari, ma continua a manifestare una particolare attenzione ai
messaggi pubblicitari che possono mettere in pericolo la salute o arrecare pregiudizio ai
minori (art. 21, commi 3 e 4 del codice del consumo). Le previsioni in esame assumono
tradizionalmente un ruolo di rilievo nella pubblicità non tanto di alimenti tout court, ma,
ad esempio, di integratori alimentari, che sovente si è rivelata suscettibile di mettere in
pericolo la salute dei consumatori.
In aggiunta alle previsioni sopra richiamate, assume rilievo la c.d. autodisciplina, nel cui
ambito assume tradizionalmente un ruolo di spicco il codice di autodisciplina
pubblicitaria dell’IAP, recentemente modificato con la versione del gennaio 2008 (che
tiene conto delle modifiche apportate alla disciplina della pubblicità dai due decreti
legislativi prima indicati). A differenza della normativa statale, il CAP contiene una
disciplina specifica sulla pubblicità di integratori alimentari e prodotti dietetici 1 . La
prescrizione è volta ad assicurare tra l’altro che i messaggi pubblicitari ad essi relativi
non espongano i consumatori ad <<errori nutrizionali>>. Questo profilo, risulta di
particolare interesse laddove si presta a colpire messaggi che pur senza mettere
necessariamente in pericolo la salute possono indurre a commettere errori nelle scelte
alimentari del destinatario del messaggio. La norma sembra quindi destinata ad
espandersi in ambiti forse non coperti dalla disciplina statale. Il forse è peraltro
(1) Art. 23 bis – Integratori alimentari e prodotti dietetici - La comunicazione commerciale relativa agli integratori
alimentari e ai prodotti dietetici non deve vantare proprietà non conformi alle particolari caratteristiche dei prodotti,
ovvero proprietà che non siano realmente possedute dai prodotti stessi.
Inoltre detta comunicazione commerciale deve essere realizzata in modo da non indurre i consumatori in errori
nutrizionali e deve evitare richiami a raccomandazioni o attestazioni di tipo medico.
Queste regole si applicano anche agli alimenti dietetici per la prima infanzia, a quelli che sostituiscono in tutto o in
parte l'allattamento materno e a quelli che servono per lo svezzamento o per l'integrazione alimentare dei bambini.
Per quanto attiene, in particolare, alla comunicazione commerciale relativa agli integratori alimentari proposti per il
controllo o la riduzione del peso e di altre tipologie specifiche di integratori, valgono le norme contenute nell'apposito
Regolamento.
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obbligatorio, giacché la valutazione estremamente prudente che l’AGCM riserva ai
messaggi relativi ad integratori e prodotti dietetici conduce di regola a considerare
ingannevole la pubblicità che, ad esempio, pur senza pregiudicare la salute lasci
intendere che l’uso di un certo integratore consente di perdere peso pur senza
intraprendere un regime alimentare ipocalorico. La disciplina nazionale della pubblicità
riconosce rilevanza all’autodisciplina, consentendo all’AGCM di sospendere il
procedimento per consentire la valutazione della pratica da parte di organi
autodisciplinari.
Profili di interesse nella valutazione della pubblicità dei prodotti alimentari possono
assumere anche le previsioni in materia di etichettatura dei prodotti alimentari e/o
concernenti l’uso di segni a tutela dei prodotti come DOP, IGP o altri “marchi di qualità”.
In certi casi (e si tratta dei più semplici) la violazione di queste previsioni può essere, ad
esempio, un indice del cattivo livello informativo di un messaggio; non mancano tuttavia
situazioni più complesse nelle quali le norme in questione sono, in sé, rispettate, ma il
messaggio nel suo complesso può risultare ugualmente ingannevole, e possono
sorgere problemi di conflitto apparente tra disciplina della pubblicità e altre norme “di
settore”.
3.- I profili di ingannevolezza più ricorrenti e/o interessanti nella pubblicità dei prodotti
agroalimentari.
La casistica disponibile concerne essenzialmente casi di applicazione della “vecchia”
disciplina sulla pubblicità ingannevole e del “vecchio” codice di autodisciplina. I profili di
interesse che emergono da questi casi, sembrano tuttavia destinati a ripresentarsi
anche nel vigore della normativa appena introdotta, nella misura in cui esprimono i
passaggi comunicazionali sui quali maggiormente si concentra l’attenzione del
destinatario di un messaggio agroalimentare ed i pericoli di inganno che ne possono
conseguire.
a) Inganno relativo alle modalità di produzione
L’esperienza fin qui maturata in sede di applicazione delle regole sulla pubblicità
ingannevole evidenzia che di fronte ai messaggi promozionali concernenti alimenti, il
consumatore presta molta attenzione all’origine del prodotto e in particolare alle sue
modalità di produzione, attribuendo grande rilievo alle promesse concernenti la
genuinità, la naturalezza, il livello dei controlli produttivi, che pertanto, nel settore
considerato, assumono un valore determinante nell’acquisto.
La particolare delicatezza del fenomeno esaminato emerge anche dalla legislazione di
settore, che per assicurare una chiara distinguibilità delle diverse tecniche di produzione
impone agli operatori standard prestabiliti e specifici obblighi informativi.
Con riferimento ai messaggi volti ad enfatizzare la particolare naturalezza e/o salubrità
delle tecniche di produzione alimentare l’AGCM ha tradizionalmente assunto un
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atteggiamento piuttosto severo, come si evince anche dal fatto che la soglia di avvio del
procedimento è bassissima, forse più che in altri casi, per modo che, alla fine, non
mancano diverse pronunce di “non ingannevolezza” (di particolare interesse, in questo
senso, i casi PI4750 Uova Bio Coccovo; PI1167 - Plasmon Oasi Ecologica, in
www.agcm.it).
Nel contempo, la valutazione di ingannevolezza prescinde dal rispetto formale delle
norme sui sistemi di produzione e/o etichettatura, guardando invece al contenuto
complessivo del messaggio. In questa prospettiva sono state considerate
comunicazioni pubblicitarie ingannevoli le confezioni di uova e carne provenienti da
allevamenti condotti nell’ambito di capannoni industriali descritti come “allevamento a
terra” nonostante tale espressione fosse formalmente corretta secondo la letteratura
scientifica e la legislazione di settore, considerando che, nei messaggi considerati la
dizione “a terra” si accompagnava a disegni che evocano un paesaggio agreste,
suggerendo così la provenienza dei prodotti da sistemi di agricoltura biologica (cfr., ad
esempio i caso PI3429 – Uova Aia di Verona e PI2664 - Messaggi Amadori, in
www.agcm.it).
Ingannevole è stata considerata anche la confezione di un latte che pur riportando la
corretta qualificazione del prodotto (“latte a pastorizzazione alta”) conteneva la dicitura
“fresco”, suscettibile di indurre i consumatori a ritenere che il prodotto fosse,
contrariamente al vero, un latte fresco, definizione consentita, secondo la legislazione
vigente al tempo della diffusione del messaggio, al solo latte trattato con
pastorizzazione a bassa temperatura.
Affermazioni categoriche, volte a garantire una sicurezza assoluta in relazione al
consumo dei prodotti reclamizzati, sono poi valutate di regola con molta prudenza,
chiedendosi all’operatore che utilizzi claim di questo genere una prova certa di quanto
affermato (cfr., ad esempio, PI3320 - Omogeneizzati di manzo Plasmon, in
www.agcm.it, nel quale è parsa ingannevole la promessa di una sicurezza assoluta dal
rischio di BSE in relazione al consumo di omogeneizzati realizzati con carni provenienti
da allevamenti situati in Paesi nei quali il morbo in questione non si era manifestato).
In certi messaggi, infine, la promessa di genuinità si presenta in modo indiretto,
mediante il vanto di un meccanismo di produzione “artigianale”, che, con riferimento ai
prodotti alimentari, evoca il convincimento del ricorso a tecniche di lavorazione
“tradizionali” idonee a conservare le caratteristiche naturali e la fragranza delle materie
prime impiegate. Con riferimento a messaggi di questo genere, l’AGCM esclude che la
promessa di artigianalità possa essere considerata veritiera per il solo fatto che
l’operatore risulti qualificabile come “impresa artigiana”, guardando piuttosto ai sistemi
di produzione concretamente adottati.
Nella valutazione dei messaggi concernenti alcune marche di “pasta artigianale”, ad
esempio, l’AGCM ha considerato realmente “artigianali” meccanismi di lavorazione che
risultavano più lenti di quelli “industriali” e si caratterizzavano per il ricorso a tecniche
specifiche e meno invasive nello svolgimento di certe fasi come quella
dell’essiccamento del prodotto, che per le modalità prescelte si prestava a lasciare più
integro il prodotto (PI3032).
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b) Inganno relativo all’origine geografica del prodotto
In relazione ai prodotti alimentari è molto frequente che una specifica provenienza
geografica sia in sé garanzia di particolare bontà del prodotto, da riconnettere alle
caratteristiche geografiche del luogo di provenienza come anche alle tecniche di
produzione ivi utilizzate. Le dichiarazioni volte ad attestare una provenienza rinomata
dei prodotti sono oggetto di diverse previsioni normative, prime fra tutte quelle relative ai
segni distintivi dell’origine e la provenienza dei prodotti (es.: dop e igp). L’esistenza di
queste previsioni non esclude la possibilità di valutare confezioni ed etichettature anche
alla luce della disciplina della pubblicità ingannevole, la quale non di rado si presta a
bloccare la diffusione di confezioni ed etichette in sé rispettose della legislazione di
settore, ma nel complesso suscettibili di generare confusione sulla reale provenienza
dei prodotti ad esse relativi.
Ingannevole è stata considerata, ad esempio, l’indicazione geografica “SpoletoUmbria”, riportata nell’etichetta di un olio d’oliva, in quanto ritenuta idonea a far credere,
contrariamente al vero, che il prodotto fosse stato realizzato con materia prime umbre.
Irrilevante è parsa al riguardo la circostanza, che nella città di Spoleto fosse ubicato lo
stabilimento di produzione del prodotto (cfr AGCM, PI1519 - Olio Monini, in
www.agcm.it).
In certi casi, peraltro, l’inganno pubblicitario può consistere nel fatto in sé di prospettare
l’esistenza di una DOP in realtà inesistente. Un caso del genere è stato valutato
dall’AGCM che ha considerato ingannevole la dicitura “Basilico Ligure Dop” riportata
nella confezione di un preparato per il condimento di pasta, in quanto appunto,
l’ingrediente menzionato nel messaggio non risultava protetto da alcuna DOP (AGCM,
PI4087 - Pesto alla Genovese-Ditta Crema Lombardi).
c) Inganno relativo alla composizione di un prodotto
La promessa relativa alla bontà e genuinità di un prodotto alimentare si svolge non di
rado mediante la prospettazione di una certa composizione della stesso. L’esperienza
maturata in sede di applicazione della disciplina sulla pubblicità ingannevole offre, al
riguardo numerosi esempi di messaggi pubblicitari risultati ingannevoli in quanto volti a
suggerire il convincimento che nei prodotti reclamizzati fossero presenti ingredienti
particolarmente naturali e/o genuini, che poi si rivelavano assenti o presenti in misura
minore di quanto indicato nel claim. Nella valutazione di questo tipo di messaggi,
l’AGCM si sofferma essenzialmente sulla esatta composizione del prodotto e sulla
rispondenza o meno della stessa a quanto prospettato nella comunicazione
pubblicitaria, considerando invece irrilevante il fatto che l’aggiunta di componenti non
menzionate risulti consentita dalla normativa alimentare di settore (cfr., ad esempio,
AGCM, PI5977 - Omogeneizzato Plasmon alla Banana, in www.agcm.it) e
prescindendo dal tipo di produzione (industriale piuttosto che artigianale) adottato
dall’operatore pubblicitario (cfr AGCM, PI3614-Preparazione di frutta Zuegg, in
www.agcm.it, in cui si è escluso che la produzione industriale di un prodotto potesse in
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sé suggerire al consumatore la presenza di additivi ancorché la confezione contenesse
la dicitura - poi rivelatasi ingannevole- “100% frutta”).
In alcune circostanze, poi, come per esempio in relazione a piatti pronti, l’inganno
relativo alla composizione può incidere non tanto sulle aspettative di qualità del prodotto
quanto sull’apporto alimentare complessivo che lo stesso è in grado di offrire. In questo
senso è stato considerato ad esempio ingannevole il messaggio relativo ad una
pietanza a base di pesce che induceva a ritenere che la quantità di pesce presente
nella confezione fosse ben più abbondante di quella reale (cfr., AGCM PI1584 - Filetto
di nasello Buitoni, in www.agcm.it).
Talora, infine, la prospettazione circa la presenza di un determinato componente, pur se
in sé veritiera, si presta a generare un inganno in merito alle reali caratteristiche del
prodotto finale. In sede di applicazione del codice di autodisciplina pubblicitaria, ad
esempio, il Giurì ha considerato ingannevole la dicitura, presente nella confezione di
alcuni Yogurt, “prodotto con latte fresco pastorizzato di Alta Qualità”, considerando che
le proprietà che quel tipo di pastorizzazione è in grado di conferire alla materia prima
latte non rimangono nello yogurt, che, come tale, non risulta di maggior pregio rispetto a
quello prodotto con altri tipi di latte (cfr. le decisioni n. 116/05 e 54/2006, entrambe
relative al caso Granarolo alta qualità, in www.iap. it).
d) Alimenti particolari
Con tale espressione si richiamano i prodotti destinati ad una alimentazione specifica in
relazione ai destinatari (i bambini o i soggetti affetti da allergie e intolleranze) o che si
presentano come idonei ad apportare particolari benefici alla salute.
In relazione a questi alimenti, la valutazione dei messaggi pubblicitari è
tradizionalmente molto prudente.
In sede di applicazione del codice di autodisciplina pubblicitaria, ad esempio, il Giurì ha
considerato non corretto il messaggio relativo ad un’acqua minerale che nel descrivere
le proprietà dell’acqua considerata, riportava l’immagine di un neonato, in quanto tale
raffigurazione è parsa idonea a far credere, contrariamente al vero, che il prodotto fosse
indicato per l’alimentazione dei neonati (pronuncia n. 177/2006 caso Fonti di Vinadio
spa, in www.iap.it). Irrilevante è parsa, al riguardo, la circostanza che il messaggio non
riportasse alcuna indicazione testuale circa l’indicazione del prodotto per l’alimentazione
dei neonati.
Analogamente, in sede di applicazione della disciplina sulla pubblicità ingannevole,
l’AGCM ha considerato ingannevole la dicitura “biscotti senza glutine” riferita ad un
prodotto che in realtà conteneva la sostanza considerata ancorché in misura
estremamente limitata (AGCM, PI4297 – Plasmon biscotti senza glutine, in
www.agcm.it)
e) Prodotti dietetici ed integratori alimentari
Un capitolo a parte nell’ambito della pubblicità relativa agli alimenti, rivestono i
messaggi concernenti prodotti dietetici ed integratori. Come si è visto, in relazione ai
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prodotti considerati, l’autodisciplina contiene previsioni specifiche volte ad evitare che la
pubblicità possa spingere i consumatori a comportamenti alimentari non corretti. La
previsione fa tesoro di una lunga esperienza che evidenzia la grande capacità di
condizionamento psicologico presente nei messaggi concernenti i prodotti considerati.
A questo riguardo, si ricorda che anche in sede di applicazione della disciplina
nazionale sulla pubblicità ingannevole, costituisce ormai un principio costante quello per
cui la pubblicità dei prodotti dimagranti non deve far credere che l’uso del prodotto
reclamizzato possa assicurare risultati apprezzabili senza ricorrere anche ad un regime
ipocalorico e ad una adeguata attività fisica (cfr., tra i tanti, AGCM, PI2551 – Kalocell;
PI4355 Slim Light; PI3778 Dima Twin di Montefarmaco Otc, in www.agcm.it.
Spesso, peraltro, proprio con riferimento agli integratori alimentari e ai prodotti dietetici,
la verifica di correttezza dei messaggi pubblicitari non si limita a verificare l’assenza di
mendacio, dovendosi spingere ad accertare che i claims troppo spesso suggestivi e
disinvolti nella prospettazione dell’uso delle sostanze reclamizzate, non espongano a
rischi la salute dei consumatori. Non di rado, infatti, la pubblicità dei prodotti considerati
omette di specificare che, ad esempio, gli stessi sono sconsigliati per persone affette da
particolari patologie o per le donne in stato di gravidanza. In relazione ai messaggi
considerati, la valutazione dell’AGCM è stata sempre molto severa e il divieto di
continuazione della diffusione del messaggio viene di regola accompagnato dall’ordine
di pubblicazione di un messaggio rettificativo.
4.- Considerazioni di sintesi.
Venendo a due brevi considerazioni di sintesi, la prima intende sollecitare la
sensibilizzazione per reagire a comportamenti che, a prescindere dalla eventuale
carenza di informazione oggettiva, siano scarsamente virtuosi nella comunicazione,
limitando la possibilità di prevenzione del rischio per il consumatore richiamata all’inizio.
L’altra vorrebbe segnalare come meritevole di studio specifico il problema della
comunicazione relativa alla presenza di OGM. Di questi ultimi non è prevedibilmente
nell’interesse di chi fornisce il messaggio segnalare la presenza, ma piuttosto
nascondere o evocare, direttamente o indirettamente, condizioni di assenza. Al di là
della informazione oggettiva, ma talvolta “sfumata” nel contesto della comunicazione
complessiva, fornita dalla etichettatura o rispondente ad altri obblighi normativamente
imposti, non è dubbio che modalità di produzione, origine geografica, composizione del
prodotto o qualificazioni particolari dell’alimento, come anche nel caso di prodotti
dietetici ed integratori alimentari, possano rilevare nel caso di prodotti geneticamente
modificati incidendo sulle scelte dei consumatori; e la circostanza che ancora una
specifica considerazione non sia rivolta al problema dalle Istituzioni preposte al settore,
piuttosto che tranquillizzare ed evocare assenza di rilievo, invita a maggiore attenzione.
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ABSTRACT
Deceptive advertising: food and GMO.
The analysis regards risks related to misleading information on food products which are
specific and very different from risks related to misleading information on other
products.
The study, in the light of the Italian legislation and on the “self-regulation”, gives a
framework of the most relevant types of misleading advertising concerning the main
interest of consumer in food purchasing: primary production, processing, composition of
alimentary products and their specific destination.
Within this framework, the work examines the theme of the presence of genetically
modified organisms (GMOs) in food products.
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