Friedrich Nietzsche (1844 – 1900)

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Friedrich Nietzsche (1844 – 1900)
Questioni generali
Le fasi del pensiero nietzscheano
1. Scritti giovanili (periodo wagneriano-schopenhaueriano): La nascita della tragedia (1872),
Considerazioni inattuali (1872-1876)
2. Periodo “illuministico” o “genealogico”: Umano, troppo umano (1878-1880); Aurora (1881); La gaia
scienza (1882)
3. Scritti del “meriggio”: Così parlò Zarathustra
4. Scritti del “tramonto”: Al di là del bene e del male (1886); Genealogia della morale (1887); Il caso
Wagner, Crepuscolo degli idoli, L’Anticristo, Nietzsche contra Wagner (1888)
L’interpretazione nazista
La sorella Eslisabeth, nel desiderio di fare del fratello il teorico di una palingenesi reazionaria dell’umanità,
non esitò, dopo essersi impadronita degli inediti, a manipolare i testi del filosofo, pubblicando nel 1906 la
Volontà di potenza nella quale il pensiero di Nietzsche assume quella fisionomia anti-umanitaria ed antidemocratica sulla quale farà leva la lettura nazista.
La denuncia delle menzogne millenarie dell’umanità e l’ideale di un oltre-uomo
La filosofia di N. è un’incessante distruzione di miti e credenze; egli è convinto che gli uomini per poter
sopportare l’impatto con il caos della vita, abbiano costruito una serie di certezze (metafisiche, morali,
religiose), che ad uno sguardo profondo si rivelano soltanto come delle necessità di sopravvivenza, ce il
filosofo ha il compito di mettere a nudo.
Quest’opera di demolizione si concretizza in una messa in discussione della civiltà occidentale e del “tipo
antropologico” da essa prodotto: ‘individuo anti-vitale e sottomesso ad autorità costituite (rifiuto
dell’uomo del passato alla luce del possibile uomo del futuro). Il pensiero di N. non si esaurisce nel
momento critico e polemico (sospetto), ma delinea un nuovo modello di umanità: il super-uomo o oltreuomo (Übermensch).
1
Il carattere asistematico e multidimensionale del pensiero di Nietzsche
Dal punto di vista contenutistico, Nietzsche sferra una critica radicale alla civiltà, tradizione e filosofia
dell’Occidente, non limitandosi, tuttavia, a questa azione decostruttiva; egli si occupa, infatti, di delineare
un nuovo tipo di umano, che chiama con il termine “oltreuomo” (Übermensch), capace di attribuire un
senso alla propria esperienza e al mondo in modo personale e originale, senza attingerlo dal passato.
Anche la comunicazione filosofica di Nietzsche è lontana rispetto alla consueta trattazione filosofia. Essa
non ha le caratteristiche della linearità e della rigidità a cui la tradizione ci ha abituato, ma assume
piuttosto una configurazione multiforme - spaziando dal trattato all’aforisma, dalla poesia in prosa
all’annuncio profetico, con un ampio ricorso ai simboli, alle allegorie, alle parabole - e programmaticamente
asistematica –chi costruisce rigorosi sistemi di pensiero, infatti, è mosso dal desiderio di comprendere la
realtà nella sua totalità, senza accorgersi, tuttavia, che tale pretesa è illusoria e destinata al fallimento.
Nietzsche predilige, al contrario, gli “orizzonti aperti” e i discorsi multidimensionali, ovvero suscettibili di
essere interpretati secondo una pluralità di significati.
Prima fase. Il periodo giovanile
Il dionisiaco e l’apollineo
La nascita della tragedia (1872)
L’originale interpretazione del mondo e della cultura della Grecia classica, come sintesi di apollineo e
dionisiaco. La riflessione nietzschiana prende avvio dal grande interesse che il filosofo nutre, sin dalla
giovinezza, per la tradizione greca e in particolare per la musica e la poesia tragica. Egli, a differenza delle
interpretazioni tradizionali che descrivono l’Ellade come mondo dell’equilibrio e dell’armonia, ritiene che
all’origine della cultura greca ci siano due principi opposti, l’apollineo – ovvero l’impulso a dare forma e
misura alla realtà- e il dionisiaco – che rappresenta, invece, l’originario aspetto caotico, ma anche vitale,
dell’esistenza. Secondo Nietzsche, la vita ha un carattere originariamente dionisiaco, ovvero è caotica,
tragica, assurda, cioè senza senso, e l’apollineo rappresenta l’esigenza umana di reagire a questo caos,
fornendogli una forma, nel tentativo di rendere più accettabile la vita.
La nascita della tragedia. L’originario dionisiaco e il successivo apollineo. Secondo Nietzsche, la nascita della
tragedia è da collegarsi originariamente alla presenza dell’elemento dionisiaco e più in particolare ai canti
corali in onore di Dioniso, che venivano recitati nelle processioni in onore del dio dai partecipanti travestiti
da satiri (anche etimologicamente, secondo il filosofo, la parola tragedia deriverebbe dai termini greci
trágos, “capro”, e odé, “canto”), i quali, in questa veste, si concedevano le più assolute sfrenatezze e si
abbandonavano all’impeto degli istinti. Ma la forma artistica della tragedia sorge solo quando i poeti
aggiunsero a questi originari canti corali dionisiaci altri elementi, come una vicenda e i dialoghi, allo scopo
2
di rappresentare l’originaria esperienza del caos attraverso un principio di ordine e armonia. La vita, infatti,
per sua natura è dominata da un fondo oscuro e terribile che l’arte, e in particolare la poesia, ha la funzione
di sublimare, in modo tale che lo spettatore possa guardare in faccia il tragico, allo stesso tempo con
distacco e coinvolgimento emotivo. Ciò che per sua natura è insopportabile, il tragico dell’esistenza,
attraverso la messa in scena diventa sopportabile.
Le fasi della tragedia greca. Il declino della civiltà occidentale a partire da Socrate. In un primo tempo,
l’apollineo e il dionisiaco vivevano separati nella Grecia presocratica. In un secondo tempo, nell’età della
tragedia attica del V secolo a.C., i due impulsi si armonizzarono e nacquero grandi capolavori, come l’Edipo
di Sofocle e il Prometeo di Eschilo. Ad esempio, il racconto della vicenda di Edipo – il figlio del re di Tebe
che, involontariamente, uccise il padre e sposò la propria madre – fonde l’aspetto drammatico con quello
armonico, in quanto una storia terribile (elemento dionisiaco) viene raccontata con immagini e dialoghi
sublimemente poetici (elemento apollineo)1. Successivamente, però, questa sorta di sintesi viene meno, e
inizia a prevalere l’apollineo. La decadenza è già evidente con Euripide, l’ultimo dei poeti tragici greci, nelle
cui opere hanno una parte preponderante i dialoghi, a scapito della musica, e le vicende si sviluppo con un
intreccio razionale, dove ogni azione è conseguenza delle precedenti e i protagonisti appaiono più dei
freddi ragionatori che degli eroi tragici. Ma il momento di massimo allontanamento dal dionisiaco è
rappresentato dalla nascita della filosofia, con le sue spiegazioni razionali e rassicuranti intorno al mondo e
alla natura umana, di cui lascia emergere solo gli aspetti consapevoli (cfr. psicoanalisi). Socrate, e il dialogo
filosofico che lui incarna, è l’emblema di questo metodo di pensiero che esalta il concetto e reprime ciò che
è vitale, le passioni e gli istinti. Per Socrate la virtù consiste nel sapere, chi pecca lo fa per ignoranza, e solo
l’uomo virtuoso è felice (intellettualismo filosofico). Da Socrate in poi l’Occidente tenderà a concepire la
realtà come dotata di ordine e razionalità, che all’uomo, in quanto essere razionale, spetta di disvelare. Il
mondo, tuttavia, è così ridotto ai suoi soli aspetti logici, gli unici che la ragione filosofica può far emergere,
tralasciando tutti gli aspetti irrazionali, caotici, instabili, che sono la forza più profonda e originaria della
realtà.
Il ritorno ai greci e la rinascita della cultura tragica. Di fronte al senso tragico della vita l’uomo può reagire
in due modi: 1) con la rinuncia e la fuga, come nel caso dell’ascetismo schopenhaueriano o della
rassegnazione della morale cristiana; 2) con la coraggiosa accettazione della vita così com’è. È questo
secondo atteggiamento che Nietzsche sostiene. Il processo di decadenza della civiltà occidentale può
essere arrestato solo ritornando agli antichi greci e facendo rinascere l’ideale della cultura tragica
1
A tal proposito Aristotele scrive: “quelle cose medesime le quali in natura non possiamo guardare senza disgusto, se
invece le contempliamo nelle loro riproduzioni artistiche ci recano diletto”. Aristotele, Poetica, 1448 b 10-13.
3
incentrata sull’arte, e in particolare sulla musica, di cui Wagner è il più alto rappresentante, in quanto le sue
grandi opere tragiche, come il ciclo dell’Anello del Nibelungo, sono in grado di far emergere la forza vitale
dionisiaca, esse sono cariche di passione e energia e sembrano evocare qualcosa di profondo e primordiale.
La concezione della storia (critica allo storicismo)
La seconda delle quattro Considerazioni inattuali (1873-1876), intitolata Sull’utilità e il danno
della storia per la vita (1874)
Contro lo storicismo. Oblio e futuro. Nietzsche sostiene che la civiltà occidentale e in particolare il suo
tempo sia caratterizzato da un eccesso di storia, che indebolisce le capacità creative degli uomini. Il troppo
attaccamento alla storia riduce gli uomini a semplici imitatori del passato (coscienza epigonale, epigono
significa imitatore). Lo storicismo, al pari del positivismo, favorisce l’idolatria del fatto. Secondo Nietzsche
nella vita è indispensabile una certa dose di oblio, senza il quale non si può essere in grado di fare qualcosa
di nuovo nel presente e di progettare il futuro.
Ciò non significa che la storia e la memoria siano sempre e comunque negative. Ci sono tre modi di
concepire la storia (tre modi di fare storiografia), ognuno dei quali reca con sé vantaggi e svantaggi:
-
La storia monumentale, ci fa conoscere i grandi uomini del passato e le loro azioni gloriose,
fornendoci esempi e modelli di comportamento. Questa funzione della storia è utile soprattutto a
quanti svolgono funzioni di prestigio e hanno bisogni di maestri a cui ispirarsi. Il rischio di questa
storiografia è la mitizzazione del passato, facendoci vedere solo ciò che è bello e giusto e
cancellando invece gli accadimenti drammatici o nefasti.
-
La storia antiquaria, è seguita da chi nei confronti del passato nutre un vero e proprio sentimento
d’amore e quasi di nostalgia e si riconosce erede della tradizione. Questa funzione è utile per
custodire il passato e farne tesoro, ma può anche degenerare in una “cieca furia collezionistica” e
nella tendenza a “mummificare la vita”, rendendo difficile il cambiamento della società.
-
La storia critica, è propria di chi intende porsi di fronte al passato in termini critici, cercando di
individuarne non solo gli aspetti positivi, ma anche quelli negativi. Questa è la funzione
maggiormente utile per la vita perché ci aiuta a liberarci dal peso del passato e ci spinge a
ricostruirci daccapo e liberamente. Anche in questo caso tuttavia vi è un rischio, quello di
presumere di poter fare del tutto a meno del passato, di cui, invece, comunque siamo il risultato.
Queste tre prospettive sono valide se integrate fra loro, in modo che si attinga dalla storia ciò che è utile
per la vita, senza che si scada nell’idolatria del fatto o nel fanatismo dei modelli del passato.
4
Seconda fase. Il periodo “illuministico”
Il metodo genealogico
Umano, troppo umano (1878-1880); Aurora (1881)
Il ripudio di Wagner e Schopenhauer. Dalla cultura tragica alla scienza. Questo periodo coincide con il
ripudio di quelli che un tempo erano stati i suoi punti di riferimento, Wagner e Schopenhauer, considerati
ora come emblemi della decadenza moderna. Di fronte a questa decadenza, la soluzione non è, come aveva
pensato in precedenza, il ritorno alla cultura tragica dei Greci. Anzi, il nichilismo della cultura europea non
va arrestato, bensì assecondato, in modo da favorirne al più presto il compimento. Questo obiettivo può
essere perseguito solo da uno spirito libero e critico, dal filosofo educato agli ideali della scienza2. Per
scienza è da intendersi non tanto un insieme di contenuti particolari, quanto un metodo di indagine, l’unico
capace di sottoporre la cultura a critica radicale e smascherare le false credenze e quindi emancipare gli
uomini dagli errori che gravano sulle loro menti3.
Il metodo genealogico. Il metodo scientifico, così come Nietzsche lo intende, è essenzialmente un metodo
critico e storico-genealogico. Critico, in quanto ogni cosa – conoscenze, credenze, valori – viene sottoposta
alla regola del “sospetto”; storico-genealogico, in quanto si va a ricercare la vera origine (genealogia) di
quei valori che tutti reputano eterni e divini, mostrando come in realtà essi abbiano un fondamento umano
e siano il prodotto di un determinato contesto storico4. Dietro l’assolutezza dei valori si celano sempre,
secondo Nietzsche, motivazioni e interessi umani (anzi troppo umani). Più avanti, nella Genealogia della
morale, parlerà di una “chimica delle idee e dei sentimenti”, alludendo con ciò al metodo di mostrare come
cose “nobili” come i valori, siano in realtà niente altro che “composti” di cose “vili”, come i bisogni e gli
interessi degli uomini.
La filosofia del mattino. Smascherare le credenze significa liberare l’uomo, così come la luce del mattino
spazza via le tenebre della notte. Nietzsche denomina appunto “filosofia del mattino” quella filosofia che
consente di liberare gli uomini dalle tenebre del passato. Tale filosofia ha il compito di mostrare la natura
illusoria della metafisica, della religione, della morale e ha come presupposto l’idea che ogni uomo,
2
Simbolicamente rappresentato dal “leone”, che “morde” e “lacera”. Mentre l’uomo che vive ancora legato alle
regole dettate dalla tradizione di cui si porta dietro il peso è simboleggiato dal “cammello”.
3
Non a caso, la prima edizione di Umano, troppo umano è dedicata a Voltaire.
4
È possibile riflettere su un confronto con la concezione materialistica della storia di Marx.
5
paragonabile a un “viandante” della vita, è chiamato a creare la propria esistenza momento per momento
senza certezze precostituite.
La morte di Dio (la fine delle illusioni metafisiche)
La gaia scienza (1882)
“Il carattere complessivo del mondo è caos”, dice Nietzsche. Le grandi teorie del passato – dalla metafisica
alla religione, dalla morale alla scienza - hanno cercato di mostrare l’esistenza di un ordine nella realtà, che
tuttavia non esiste. Esse hanno quindi svolto un funzione consolatoria e rassicurante, ma non sono altro
che favole, costruite dagli uomini perché hanno preferito illudersi piuttosto che sopportare l’idea di un
modo irrazionale e privo di senso. A partire da Socrate, dice Nietzsche, gli uomini hanno perso il coraggio
dell’eroe tragico e non sono più riusciti a sopportare “lo sguardo dell’orrido” che rappresenta il vero volto
dell’essere5, per questo hanno elaborato “diverse forme di menzogna”, che dipingono l’immagine, falsa, di
un cosmo ordinato e razionale6, per evitare il pensare tragico, ma vero, di vivere in un universo che “danza
sui piedi del caso”. L’immagine di un cosmo ordinato non è altro che una costruzione mentale: “C’è un solo
mondo ed è falso, crudele, contraddittorio, corruttore, senza senso… La metafisica, la morale, la religione,
la scienza vengono prese in considerazione solo come diverse forme di menzogna”, che gli uomini hanno
prodotto per convincere se stessi e i loro figli che il mondo è qualcosa di logico, prevedibile e provvidenziale
(“la vita deve ispirare fiducia”. “L’amore, l’entusiasmo, Dio… tutte finezze di un estremo inganno di sé, tutte
seduzioni che spingono a vivere!”).
Di tutte le menzogne, quella di Dio è la più antica (“la nostra più lunga menzogna”). All’origine dell’idea di
Dio c’è la paura dell’uomo di fronte al natura tragica dell’esistenza (confronta questa posizione con quella
di Marx e Feuerbach).
Leggere l’annuncio dell’uomo folle.
Nelle pagine finali della Gaia scienza, Nietzsche affida all’uomo folle, il filosofo-profeta, l’annuncio della
morte di Dio. Dio, fondamento dell’assolutezza di ogni valore e dell’ordine razionale del mondo, è morto.
Gli uomini del mercato che ascoltano l’annuncio ne ridono, non si rendono conto che sono proprio loro ad
aver ucciso Dio. Essi, rappresentano simbolicamente gli intellettuali dell’Ottocento, i quali non sono ancora
in grado di accettare fino in fondo le conseguenze della cultura moderna che essi hanno costruito, una
5
L’idea di un vero volto dell’essere – caotico e irrazionale - dietro quello apparente – ordinato e razionale – non
rappresenta un'altra forma di metafisica?
6
L’idea di un mondo vero dietro quello apparente e concreto nasce con Platone
6
cultura che intende fare a meno del fondamento religioso e metafisico. Ma l’uccisione di Dio ha delle
conseguenze ben più grandi di quello che gli uomini pensano, è un evento così grande che può essere
rappresentato solo da immagini paradossali, come bere tutto il mare, cancellare l’orizzonte, dissolvere il
sole. La gravità consiste nel fatto che con Dio sono morti tutti i punti di riferimento stabili, tutti i valori
tradizionalmente accettati perdono il loro fondamento. Con Dio viene meno la possibilità di una verità
assoluta. Simbolicamente, è come precipitare nello spazio vuoto, dove mancano l’alto e il basso. Le
ripercussioni psicologiche sono il senso di “vertigine” e lo “smarrimento”. Per vincere questa vertigine
bisogna che gli uomini si facciano dei (cioè creatori essi stessi, simbolicamente: dare un senso al mondo a
partire da sé; costruire significati propri senza accettare quelli già precostituiti), che diventino degli
“oltreuomo”. Il racconto del folle si conclude con la constatazione di essere in anticipo sui tempi: “Questo
enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino”.
Terza fase. Il periodo di Zarathustra
Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno (1883-1885)
Questa è l’opera più nota di Nietzsche, nella quale sono esposti alcuni dei temi più importanti del suo
pensiero. Il testo è scritto con uno stile letterario del tutto singolare, che potrebbe essere definito come
“poesia pensante” o “pensiero poetante”, ricco di immagini e parabole e carico di un tono profetico. Lo
Zarathustra del titolo fa riferimento al profeta persiano (Zarathustra o Zoroastro) che, vissuto tra il 1000 e il
600 a.C., fondò la religione dello “zoroastrismo”. Per Nietzsche egli è stato il primo a tradurre la morale in
termini metafisici (a fondare la morale su valori assoluti, eterni, trascendenti, divini) e anche il primo ad
accorgersi dell’errore della morale. Il progetto dell’opera è contenuto nell’annuncio della discesa che si
trova nel suo incipit. A trent’anni (N.B. l’età in cui Gesù comincia il proprio insegnamento) Zarathustra
“…si ritira ancora per dieci anni in montagna, nella solitudine, e giunto così vicino all’essenza di tutte le
cose, comincia il suo “tramonto”, la sua discesa tra gli uomini, per portar loro l’insegnamento, che prima
annuncia sul mercato e poi ai singoli…”.
I temi di base dell’opera sono tre: il superuomo, l’eterno ritorno, la volontà di potenza.
Il superuomo o oltreuomo (Übermensch)
Il superuomo è colui che è in grado di:

Accettare la dimensione tragica (dionisiaca) dell’esistenza

Dire sì alla vita: rimanere fedeli alla terra, ovvero ai valori del corpo, inteso non più come prigione o
tomba dell’anima ma reale modo di essere dell’uomo nel mondo
7

Reggere la morte di Dio e la perdita delle certezze assolute

Far propria la prospettiva dell’eterno ritorno

Emanciparsi dalla morale del cristianesimo

Porsi come volontà di potenza

Superare il nichilismo

Affermarsi come attività interpretante e prospettica
Nel primo discorso Zarathustra narra delle tre metamorfosi dello spirito. Lo spirito diventa cammello, il
cammello leone, il leone fanciullo:
1. Il cammello rappresenta l’uomo che porta i pesi della tradizione
2. Il leone rappresenta l’uomo che si libera dai fardelli della metafisica e dell’etica (libertà “da”, ma
non ancora libertà “di”)
3. Il fanciullo rappresenta l’oltreuomo, cioè quella creatura non risentita, di carattere dionisiaco, che
sa dire sì alla vita e inventare se stessa al di là del bene e del male (spirito libero)
L’eterno ritorno
La teoria dell’eterno ritorno dell’uguale, ovvero l’idea che ogni cosa e tutte le vicende del mondo si
ripetono eternamente, è presentata da Nietzsche come “il più abissale dei miei pensieri”.
In una pagina della sua autobiografia (Ecce homo) Nietzsche racconta di essere stato “folgorato” da questa
idea durante una passeggiata in montagna, a Sils Maria, in Alta Engadina, un giorno dell’agosto 1881.
La prima formulazione della dottrina dell’eterno ritorno si trova nell’aforisma 341 della Gaia scienza:
“Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte,
e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni
indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e
successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io
stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della
polvere!”
Di fronte alla prospettiva dell’eterno ritorno si possono avere due reazioni: 1) il terrore, tipica dell’uomo; 2)
l’accettazione entusiastica, tipica del superuomo.
8
La formulazione più rappresentativa della teoria dell’eterno ritorno si trova in Così parlò Zarathustra, nel
discorso intitolato “la visione e l’enigma”, in cui descrive la “visione del più solitario tra gli uomini”.
Zarathustra narra di una salita su un impervio sentiero di montagna (simbolo del faticoso innalzarsi del
pensiero), durante la quale egli, con il nano che lo segue, giunge di fronte a una porta carraia sulla quale è
scritta la parola “attimo” (il presente) e dinnanzi alla quale si uniscono due sentieri che “nessuno ha mai
percorso sino alla fine”, in quanto si perdono nell’eternità. Uno di essi porta all’indietro (il passato) e l’altro
porta in avanti (il futuro). Zarathustra chiede al nano se le due vie siano destinate a contraddirsi in eterno;
la risposta del nano è “Tutte le cose diritte mentono… “Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo”;
Zarathustra conclude: “non dobbiamo tutti esserci stati un’altra volta?... non dobbiamo ritornare in
eterno?”. A questo punto la scena si trasforma e c’è una visione nella visione:
“Vidi un giovane pastore rotolarsi, soffocato, convulso, stravolto in viso, cui un greve serpente nero
penzolava dalla bocca. [...] La mia mano tirò con forza il serpente, tirava e tirava invano! Non riusciva a
strappare il serpente dalle fauci. Allora un grido mi sfuggì dalla bocca: "Mordi! Mordi! Staccagli il capo!
Mordi!", così gridò da dentro di me: il mio orrore, il mio odio, il mio schifo, la mia pietà, tutto quanto in me
buono o cattivo gridava da dentro di me, fuso in un sol grido. [...] Giacché era una visione e una previsione:
che cosa vidi allora per similitudine? E chi è colui che un giorno non potrà non venire? Chi è il pastore, cui il
serpente strisciò in tal modo entro le fauci? Chi è l'uomo, cui le più grevi e le più nere fra le cose
strisceranno nelle fauci? Il pastore, poi, morse così come gli consigliava il mio grido: e morse bene! Lontano
da sé sputò la testa del serpente; e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo, un trasformato, un
circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!" ». Questa scena
simbolicamente complessa sta ad indicare il fatto che l’uomo può trasformarsi in creatura superiore e
ridente (il superuomo) solo a patto di vincere la ripugnanza soffocante del pensiero dell’eterno ritorno (il
serpente, emblema del circolo) e di prendere una decisione coraggiosa nei suoi confronti (il morso alla testa
del serpente).
Con il pensiero dell’eterno ritorno, Nietzsche recupera la visione ciclica del tempo tipica della Grecia
presocratica, opposta a quella rettilinea di tipo cristiano-moderno. Rifiutando la concezione lineare del
tempo si rifiuta l’idea che ogni momento ha senso solo in funzione degli altri, come se ogni attimo fosse un
figlio che divora il padre (struttura edipica del tempo) ed è destinato a sua volta a essere divorato dal
proprio figlio. Nella concezione lineare del tempo è impossibile essere felici nell’esistenza, poiché nessun
momento ha in sé un significato autosufficiente. Credere nell’eterno ritorno invece significa:

Ritenere che il senso dell’essere non stia fuori dell’essere, in un oltre irraggiungibile, ma nell’essere
stesso

Disporsi a vivere la vita, e ogni attimo di essa, come coincidenza di essere e di senso.
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La volontà di potenza
Frammenti postumi
Volontà di potenza come autoaffermazione. “Questo mondo è volontà di potenza”, la volontà di potenza si
identifica con la vita stessa, intesa come forza espansiva e autosuperantesi. La molla fondamentale della
vita non sono gli impulsi autoconservativi, né la ricerca del piacere, ma la spinta ad autoaffermarsi (volontà
di superare continuamente se stessi, di crescer di espandersi attraverso un atto di libera creazione).
Übermensch = continuo superamento di sé, autopotenziamento, autocreazione, libera produzione di sé al
di là di ogni piano prestabilito.
Volontà di potenza come creatività. Dal concetto della vita come autocreazione, segue che l’arte, intesa
come forza creatrice, è la suprema forma di vita. Il mondo è “un’opera d’arte che genera se stessa”.
L’artista è la “prima visibile figura dell’oltreuomo”. Inizialmente Nietzsche aveva esaltato l’arte. Nella fase
illuministica ne aveva denunciato i limiti (e aveva esaltato il metodo genealogico-scientifico). Nell’ultimo
periodo torna a rivalutarla. La volontà di potenza come creatività pone “i valori delle cose, crea un senso
alle cose, un senso umano”. La volontà di potenza ha un’essenza ermeneutica o interpretativa, è “la forza
con cui nel corso della storia gli uomini progettano e instaurano valutazioni e interpretazioni”, per dare un
senso all’insensatezza caotica del mondo. La volontà di potenza ha un carattere creativo e redentore
rispetto al tempo, in quanto il superuomo si libera dal peso del passato, il macigno del “così fu” si scioglie
nel “così volli che fosse” (amor fati, di matrice stoica)
Volontà di potenza e dominio. Questa accezione, anche se non è la principale, è pur presente in diversi
passi, non solo nei frammenti postumi, ma anche nei testi approvati per la stampa:
“La vita è essenzialmente appropiazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole,
oppressione, durezza, imposizione di forme proprie” (Al di là del bene e del male)
“La lotta per l’uguaglianza dei diritti è già un sintomo di malattia” (Ecce homo)
Nel concetto nietzscheano di volontà di potenza albergano aspetti antidemocratici e antiegualitari, che
fanno parte della componente reazionaria del suo pensiero, che spinge Nietzsche a individuare il soggetto
della volontà di potenza non in un’umanità democratica vivente in modo libero e creativo, ma in una specie
di aristocrazia di “spiriti dominatori e cesarei”.
Quarta fase. Scritti del tramonto
La critica della morale e la trasvalutazione dei valori
Genealogia della morale (1887); Al di là del bene e del male (1886)
10
La morale secondo Nietzsche è stata sempre considerata come un fatto. È mancato il problema della
morale. Il primo passo da compiere è di mettere in discussione la morale stessa (Genealogia della morale).
Nietzsche intraprende un’analisi genealogica della morale, al fine di scoprirne la genesi psicologica effettiva.
Egli ritiene che i pretesi valori della morale siano nient’altro che una proiezione di determinate tendenze
umane, che il filosofo ha il compito di svelare (Genesi sociale dei comportamenti etici). La morale non è
altro che una maschera, dietro cui l’uomo europeo ha sempre nascosto la sua autentica natura. Come
copre, con gli indumenti, il corpo, l’uomo, sotto l’abito morale, nasconde la propria debolezza e mediocrità.
La morale serve a un gruppo di uomini per soggiogare gli altri: agli uomini forti per sottomettere i deboli
(cfr Marx), ma anche ai deboli per sottomettere i forti. La morale cristiana, infatti, è prodotta dall’istinto di
vendetta degli uomini inferiori, per invidia nei confronti degli spiriti liberi e grandi; per questo produce e
diffonde una tavola dei valori in cui al centro ci sono la passività e la rassegnazione, cercando di trasformare
in alti ideali morali quelli che invece sono soltanto tratti di debolezza e fragilità. La morale nasce dalla gran
massa degli uomini deboli (il gregge), che con i suoi precetti vuole sottomettere i pochi uomini superiori,
uniformando tutti a un livello mediocre.
Per questo motivo Nietzsche critica l’ascetismo religioso, ovvero la morale di colui che rinuncia a se stesso.
L’asceta è colui che essendo debole vuole combattere le energie e le forze vitali possedute da alcuni uomini
superiori, allo scopo di affermare se stesso. “Ha da difenderlo questo suo gregge, ma contro chi? Contro i
sani”. Questa morale è quella degli schiavi. Essa predica l’umiltà, la fratellanza, la democrazia e
l’egualitarismo. È la morale del risentimento, prodotta da uomini mediocri, incapaci e repressi, sopraffatti
dall’invidia: non potendo essere eroici, si rivalgono imponendo a tutti i propri meschini principi, ossia
povertà, obbedienza, ascetismo, negazione della sessualità e sacrificio della gioia di vivere. La società
contemporanea è conformista e omologata.
Contrapposta alla morale degli schiavi Nietzsche individua la morale dei signori, tipica del mondo classico,
espressione di un’aristocrazia che esaltava i valori della forza, della salute, della gioia, della fierezza. Questa
morale è stata cancellata dall’avvento della religione ebraico-cristiana, che al guerriero, che amava le virtù
del corpo, sostituisce la figura del sacerdote, che ama lo spirito. Così la morale del coraggio e dell’orgoglio è
stata destituita da quella dell’umiltà e dell’obbedienza; la morale del corpo e della sensualità da quella dello
spirito e della castità. Buono = “nobile e forte” è diventato buono = “umile, povero, infelice, sofferente”.
Questi ideali si sono trasmessi attraverso il cristianesimo ai Romani e a tutto l’Occidente. Il cristianesimo ha
imposto il senso della colpa e del peccato, ha creato una massa di persone risentite e represse, che proprio
per la loro profonda frustrazione si sono rivelate spesso dispotiche e aggressive. L’invettiva di Nietzsche
non è rivolta contro la figura di Cristo (santo anarchico), ma contro la Chiesa e i suoi rappresentanti.
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Nel mondo classico la morale essendo espressione di un’aristocrazia cavalleresca risulta improntata ai
valori vitali della forza, salute, fierezza, gioia (morale dei signori); con il cristianesimo la morale appare
improntata ai valori anti-vitali del disinteresse, abnegazione, sacrificio di sé (morale degli schiavi). Ciò è
accaduto perché la casta sacerdotale non potendo dominare la casta dei guerrieri sul loro stesso terreno ha
cercato di far valere se medesima elaborando una tavola dei valori antitetica a quella dei cavalieri: il
sacerdote non può far a meno di provare un certo risentimento verso i guerrieri (invidia e desiderio di
rivalsa).
In tal modo al corpo viene anteposto lo spirito, all’orgoglio l’umitlà, alla sessualità la castità (morale antivitale degli ebrei e dei cristiani. N. è polemico con la Chiesa, ma ammira la figura di Gesù). Da ciò la
proposta N. di una trasmutazione o inversione dei valori: contrapporre ai valori anti-vitali della morale
tradizionale una nuova tavola di valori a misura d’uomo e del suo carattere mondano. L’esistenza dell’uomo
è interamente terrestre: l’uomo è nato per vivere sulla terra e non c’è altro mondo per lui. L’uomo è
sostanzialmente corpo.
Il problema del nichilismo e del suo superamento
In una prima accezione Nietzsche intende per nichilismo ogni atteggiamento di fuga e di disgusto nei
confronti del mondo (platonismo e cristianesimo). In una seconda accezione intende la specifica situazione
dell’uomo moderno che, non credendo più in un senso o scopo metafisico finisce per avvertire lo
sgomento del vuoto e del nulla.
L’uomo dapprima si è immaginato dei fini assoluti e delle realtà trascendenti (il mondo vero) e in seguito,
avendo scoperto che tali fini non esistono e che l’essere non è né “uno” (ciooè una totalità razionale ed
ordinata) né “vero” (non esiste un’unica verità) né “buono” (la realtà non si conforma alle nostra
aspettative etiche), è piombato nell’angoscia nichilista (nichilismo come stato psicologico).
L’equivoco del nichilismo moderno porta a ritenere che il mondo, non avendo più significati forti
(metafisici) non ha un senso. In realtà i significati, secondo Nietzsche, pur non essendo assoluti esistono
come prodotti della volontà di potenza, che affrontando il caos dell’essere impone ad esso i propri fini: la
coscienza sostituisce l’autorità. Nietzsche in quanto nichilista radicale supera il nichilismo stesso. Il
nichilismo è uno stadio intermedio, un no alla vita che prepara il grande sì ad essa, attraverso la volontà di
potenza (= libera istituzione di significati): “DARE UN SENSO… posto che nessun senso vi sia già”.
Il prospettivismo
Non esistono cose o fatti, ma solo interpretazioni di cose o fatti. “Contro il positivismo, che si ferma ai
fenomeni: <<ci sono soltanto fatti>>, direi: no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni. Noi
non possiamo constatare nessun fatto in sé”.
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Il mondo non ha un senso, ma innumerevoli sensi, interpretazioni, angoli prospettici diversi. Ma anche il
soggetto risulta una costruzione interpretativa (il cogito è semplicemente una “formulazione della nostra
abitudine grammaticale, che fa corrispondere a un fare uno che fa”). Il prospettivismo nietzscheano e il
criticismo kantiano presentano una differenza: per Kant la realtà è fenomenica, ma intersoggettiva e
scientificamente conoscibile, quindi anche oggettiva, in quanto le forme a priori sono trascendentali
(appartengono a tutte le menti), per Nietzsche esistono molteplici e mutevoli punti di vista sul mondo.
Gli oggetti della scienza non sono entità già esistenti, ma oggetti la cui configurazione cambia con il mutare
del contesto teorico (es. per un aristotelico la Terra è un pianeta immobile, per un copernicano invece
esistono i moti di rivoluzione). L’interpretazione scientifica non si limita a “decodificare” la struttura della
realtà, ma la “crea”.
All’immagine del filosofo “sacerdote della conoscenza”, Nietzsche accosta, almeno nel periodo illuministico,
quella della scienza come creatività: il rigore delle sue formulazioni non esclude, anzi presuppone, un
atteggiamento di grande libertà nei confronti delle costruzioni sistematiche del passato.
Nietzsche critica anche la crescente specializzazione e la visione atomizzata del mondo. La scienza finisce
per non offrire più una visione complessiva del mondo e della realtà. Critica inoltre il principio di causalità
(sulla scorta di Hume).
Problema della scelta. Prospettivismo non significa che tutte le interpretazioni siano equivalenti. Il criterio
di scelta risiede nella vita stessa, cioè nella salute e nella forza, nella volontà di potenza.
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