FRIEDRICH NIETZSCHE

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FRIEDRICH NIETZSCHE
(Rocken, Sassonia, 1844
Weimar, 25 agosto 1900)
□ La
filosofia
di
Nietzsche
è
espressione
di
un’età
di
transizione, di crisi profonda della cultura europea e si
presenta
come
un’attività
critica
e
distruttiva,
come
un’erosione delle certezze occidentali. In Umano, troppo umano
esalta la figura dello “spirito libero”, parla di una “filosofia
sperimentale”, di una “scuola di sospetto” che analizzi in modo
impietoso gli idoli metafisici e morali sui quali è fondata la
nostra civiltà. Lo “spirito libero” è “uomo sotterraneo, che
scava, dissotterra, scalza” mostrando come l’origine delle
credenze e degli ideali più nobili sia quasi sempre bassa,
inconfessabile: insomma, umana, troppo umana. L’intento di
Nietzsche è quello di sondare alle radici le condizioni e i modi
in cui si è costituita l’intera civiltà occidentale e con essa
l’immagine di uomo a cui siamo abituati. In Ecce Homo Nietzsche
profetizza: “Un giorno al mio nome si collegherà il ricordo di
qualcosa di enorme – una crisi, quale mai si era vista sulla
terra, la più
profonda collisione della coscienza, una
decisione evocata contro tutto quello che finora è stato
creduto, preteso, consacrato. Io non sono un uomo, sono
dinamite”.
□ Lo stile vuole provocare interpretazioni. L’opera di Nietzsche è
costituita quasi esclusivamente di pensieri brevi, pamphlet,
mentre la forma espressiva privilegiata è quella dell’aforisma:
una breve e concentrata riflessione, enigmatica o ironica, quasi
sempre dissacrante.
□ Apollineo e dionisiaco (“La nascita della tragedia”)
Si tratta dei due impulsi originari che, secondo Nietzsche, sono
alla base della grande arte greca: il primo è il mondo della
rappresentazione,
la
bellezza
rasserenante
del
sogno
e
dell’illusione; il secondo è l’esperienza dell’ebbrezza, è la
voluttà di gioia e di dolore, di estasi e di terrore in cui ogni
forma definita e ogni esistenza individuale si dissolvono nel caos
primigenio di una continua metamorfosi della vita e della morte.
Nel mondo greco la coscienza tragica dell’esistenza trova una
trasfigurazione
nella
tragedia
(sintesi
di
apollineo
e
dionisiaco), nella potenza creatrice dell’arte e del mito,
accettando coraggiosamente la vita, secondo un’esuberanza vitale
che non sacrifica gli impulsi più profondi e inquietanti del
nostro essere. Quando viene meno questa trasfigurazione, subentra
un atteggiamento “decadente”: pur di fuggire il dolore e
l’angoscia si nega la volontà di vivere: lo spirito della tragedia
viene vinto dall’intellettualismo socratico.
Da quel momento in poi, quello dell’Occidente è stato un percorso
di
decadenza,
l’uomo
teoretico
che
ha
sconfitto
Dioniso,
producendo una saturazione malsana della memoria, nel senso che
gli eccessi della coscienza storica tendono ad una prevaricazione
del passato sui diritti del presente. E’ questa la malattia
storica (“Considerazioni inattuali” – “Sull’utilità e il danno
della storia per la vita”) che rischia di essere “cieca furia
collezionista”, qualcosa che appesantisce la vita dell’uomo come
un invisibile e oscuro fardello, una perdita di realtà che deriva
dalla frattura tra conoscenza e vita. Nietzsche non vuole però
negare l’importanza della conoscenza storica, ma solo subordinarla
alle esigenze della vita.
“La storia, pensata come pura scienza e divenuta sovrana, sarebbe
una specie di chiusura e liquidazione della vita per l’umanità.
L’educazione storica è invece qualcosa che è salutare e promette
futuro solo al seguito di una forte corrente vitale nuova, per
esempio di una cultura in divenire, cioè solo quando viene
dominata e guidata da una forza superiore e non quando è essa
stessa a dominare e guidare”. [Sull’utilità e il danno della
storia per la vita]. Secondo Nietzsche, dunque, la conoscenza
storica è utile se è considerata come strumento di una cultura in
trasformazione, per organizzare meglio la propria azione; al
contrario, è dannosa se si sostituisce all’azione, giustificando
il presente come conseguenza del passato, e perciò valido così
com’è. Contro la concezione hegeliana della storia, Nietzsche
evidenzia come la vita abbia bisogno di un certo grado di
incoscienza, cioè dellla riaffermazione del possibile e della
progettazione del futuro.
□ Nietzsche definisce la morale come “la più grande maestra di
seduzione”, “vera e propria Circe dei filosofi”. Nessuno,
infatti, si è mai posto il problema vero: ma è necessaria una
morale? (“Genealogia della morale”) Nietzsche ritiene che ogni
morale (ed anche ogni metafisica) sia un “raddoppiamento” del
reale: al di fuori e al di sopra della vita viene posto un
universo immaginario di valori assoluti ed eterni, a partire dai
quali, poi, la vita stessa viene giudicata, dominata, umiliata.
La morale nasce dall’uomo del risentimento: i deboli, i
mediocri, coloro che in sostanza non hanno energie sufficienti
per sopportare il carattere tragico della vita tollerano la
propria impotenza trasformandola in odio e vendetta contro chi
sa gioire pienamente dell’esistenza.
□
Ogni forma di vita è volontà di potenza, ma questa può
esprimersi in forma attiva o negativa. Nell’esistenza innocente
e creatrice dell’uomo prima della nascita della morale si
esprimono le forze attive; nell’uomo del risentimento, invece,
quelle reattive: la sua morale si limita a dire di no ad ogni
impulso vitale. La storia della civiltà occidentale è la storia
di una lunga decadenza.
□ La condanna della vita da parte della morale coincide per
Nietzsche con la genesi della metafisica come “menzogna”, con
l’invenzione
di
un
mondo
vero
contrapposto
a
quello
dell’esperienza ridotto ad un mondo apparente. I deboli cercano
una rassicurazione in una sfera superiore dell’Essere, chiamata
variamente “Dio”, “Verità”, “Idea”: la creazione di un “altro”
mondo è il sintomo della paura verso “l’unico mondo che esiste”.
Così si è inventata l’anima per disonorare il corpo. Per questo,
da Socrate e Platone, la nostra cultura è storia del nichilismo
(volontà de nulla) e, in questo contesto di quel “platonismo per
il popolo” che è il cristianesimo. L’amore per il prossimo e
l’amore di Dio per l’uomo, che si esprime in “quel paradosso
orrendo di un Dio in croce” sono la forma più seducente della
sofferenza, un ricatto insostenibile che fa sentire come colpa
qualsiasi velleità di gioire e di essere felice. Dunque, tutta
la nostra cultura emerge da una preistoria di crudeltà e
violenza,
nella
quale
si
attua
un
lungo
e
doloroso
“addomesticamento” dell’animale “uomo”. I suoi impulsi vengono
ammansiti dall’azione corrosiva della colpa e del peccato, che
distruggono definitivamente l’innocenza del vivere. E’ quella
innocenza premortale identificata nella “bestia bionda” che
indica l’esuberanza istintuale – vitale dell’uomo premortale, ma
che non ha niente a che vedere con la pretesa superiorità di una
mitica razza ariana (come strumentalizzò il nazismo). La storia
della morale non è altro che storia di false interpretazioni
della vita, ma queste hanno formato il “testo” grandioso, benché
decadente e “perverso”, della civiltà europea.
□ Anche la “volontà di verità” risponde secondo Nietzsche al
bisogno umano di rassicurazione e di stabilità, all’esigenza di
ridurre l’ostilità e il mistero del mondo per poter vivere in
esso. In questo senso le grandi costruzioni filosofiche sono una
difesa contro il caos e il dolore dell’esistenza, costituiscono
una fuga verso un universo astratto di concetti e di essenze
eterne in cui si cerca sostegno e riposo. Poiché, in definitiva,
non ci sono fatti, ma solo interpretazioni. Arte, religioni,
metafisiche, parole e concetti provengono tutte dalle forze
creative della volontà di potenza, dall’istinto artistico e
simbolico dell’uomo. In tutte le produzioni culturali si esprime
la medesima volontà di menzogna e di finzione, che rende
tollerabile, interpretandolo e mascherandolo, il volto tragico
del reale.
□ La maggior parte dell’esistenza umana si svolge secondo motivi,
processi e fini totalmente inconsci. All’uomo “la natura
nasconde quasi tutto, persino riguardo al suo corpo, per
confinarlo e racchiuderlo in un’orgogliosa e fantasmagorica
coscienza, lontano dall’intreccio delle sue viscere, dal rapido
flusso del suo sangue, dai complicati fremiti delle sue fibre”
(Su
verità
e
menzogna).
Insomma,
anche
l’io
è
un’interpretazione: è una pluralità conflittuale di individui,
una costruzione sociale, in quanto noi diventiamo coscienti di
noi stessi solo attraverso l’immagine che ci rimandano gli altri
e i ruoli che gli altri ci impongono.
□ L’intera parabola del nichilismo occidentale conduce ad un
evento decisivo e supremo, al fatto che “Dio è morto”. Non si
tratta di una mera affermazione metafisica secondo la quale Dio
non esiste (si sostituirebbe una metafisica atea a quella
religiosa): il Dio che muore è il fondamento della morale e
della metafisica. Con lui muoiono tutti i valori superiori che
imponevano una direzione alla vita; crolla la fede rassicurante
nell’ordine razionale del mondo, nell’esistenza di una verità
oggettiva e nei fini della storia. Tutti i significati che erano
stati conferiti all’esistenza si rivelano menzogna ed errore;
l’uomo rimane solo davanti al nulla, di fronte alla vertigine
dell’assoluta mancanza di senso e di scopo. In questo senso, in
quanto espressione della caduta delle certezze di fine XIX
secolo, quella di Nietzsche è una filosofia della crisi.
□ Una volta “smascherate” la morale e la metafisica rimane un
unico mondo, che non è né vero né falso, né buono, né malvagio,
né perfetto, né colpevole: non c’è un luogo trascendente da cui
giudicare la vita: ogni esperienza ha in sé la propria pienezza
di senso. Il mondo nuovo (la nuova aurora, in tal senso si parla
di filosofia del mattino) però, si apre solo a chi sa
oltrepassare l’uomo quale noi lo conosciamo, cioè all’Ultrauomo
(Superuomo), una pura volontà di potenza che si afferma nel
continuo superamento anche di se stessa. “L’uomo – insegna
Zarathustra – è una fune sospesa tra l’animale e il superuomo”;
“quel che nell’uomo è grande è che egli è un ponte e non una
meta: quel che nell’uomo si può amare è che egli è passaggio e
tramonto. Amo coloro che non sanno vivere se non per tramontare,
poiché sono coloro che vanno oltre”. Il superuomo è colui che è
capace di vivere senza i puntelli rassicuranti delle certezze
metafisiche e degli ideali morali, poiché sa guardare senza
terrore le contraddizioni tragiche dell’esistenza; egli trae da
se stesso i significati da imporre alle cose e alla propria
vita; non ha bisogno di una fede, poiché egli stesso è fonte di
senso e di valore.
“Vi scongiuro, fratelli – dice ancora
Zarathustra – rimanete fedeli alla terra e non credete a coloro
che vi dicono di speranze ultraterrene! Sono degli avvelenatori,
lo sappiano o meno. Sono spregiatori della vita, moribondi ed
essi stessi avvelenati; di loro è stanca la terra”
□ Il dionisiaco dire di sì alla vita significa essere immersi nel
divenire, fuori da ogni concetto di provvidenza o di scopo,
perché l’accadere è casualità ed innocenza. E allora, contro la
concezione
lineare
del
tempo,
ecco
l’eterno
ritorno
dell’uguale: l’immagine del “circolo” o dell’”anello” de tempo
intende connotare l’accadere come pienezza, “rotondità”, come
piena immanenza che non ha alcun metro di giudizio e di valore
fuori di sé. Il superuomo non ha rimpianti per il passato, né
timori o speranze per il futuro: accetta gioiosamente ogni
istante dell’esistenza, tanto da volere che esso ritorni
infinite volte. Nietzsche vede nell’attimo qualcosa di eterno e
di assoluto. Anche l’eterno ritorno è solo una interpretazione,
ma è decidere per questa che libera le forze affermatici della
volontà di potenza. Il divenire, sciolto da ogni riferimento a
un fondamento o ad un fine, appare pienamente “giustificato in
ogni attimo”.
Un mondo così, non più
costretto dai lacci di
alcun ordine razionale o morale, coincide con l’eterno ritorno,
privo di scopo; è un “gioco” cosmico di creazione e distruzione:
“Innocenza è il fanciullo e oblìo, un ricominciare, un gioco,
una ruota che gira da sé, un primo movimento un santo dire di
sì…E’ Dioniso contro il Cristo crocifisso”
L. Tornatore – G. Polizzi – E. Ruffaldi, La Filosofia attraverso i
testi, 3,1, pagg. 582 – 621, Pioltello (Milano, 1996)
G. Mancini – S. Marzocchi – G. Vicinali “Filosofia” – Storia 3,
Bompiani, pagg. 247 – 273, Milano 1996 –
Riadattamento curato dal prof. Sebastiano Veroli
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