Daniela Mambretti (Pubblicato su “La Provincia” il 26/03/2007) Cyberknife E’ una innovativa tecnica radiochirurgica robotizzata, di origine statunitense, per la cura dei tumori e l’Italia detiene il primato europeo. Il Cyberknife, questo il nome tecnico, integra la chirurgia oncologica tradizionale e, a volte, la sostituisce nel trattamento di neoplasie localizzate in organi o in aree particolarmente delicati. Il progetto, che presto si estenderà a livello nazionale, è stato promosso dalla Regione Lombardia e coinvolge il Centro Diagnostico Italiano, l’Istituto Neurologico Carlo Besta, che ospita l’apparecchiatura, e l’Ospedale San Carlo, tutti con sede a Milano. Inoltre, sono attualmente in corso contatti con l’Istituto Europeo Oncologico e con l’Istituto Nazionale dei Tumori per sviluppare le rispettive competenze oncologiche. “Si tratta di un sistema di radiochirurgia robotizzato di ultima generazione in grado di raggiungere tutti i distretti corporei e di distruggere, con la massima precisione, le cellule malate, risparmiando i tessuti sani circostanti” – spiega Giovanni Broggi, direttore del dipartimento di Neurochirurgia presso l’Istituto Neurologico C. Besta di Milano. L’impianto è costituito da un acceleratore lineare di raggi X, posizionato su un braccio mobile in grado di orientare il fascio dei raggi fino a 1200 posizioni diverse di ingresso. Questa flessibilità è consentita dall’utilizzo di un elaborato software che permette di localizzare e mantenere, per l’intera durata del trattamento, la puntatura precisa del bersaglio tumorale. La sofisticazione del sistema è in grado, infatti, di adeguare continuamente le coordinate della massa da colpire, nonostante i piccoli, naturali, movimenti del paziente o degli organi stessi, come nel caso dei polmoni. Questo aspetto è di grande rilevanza, in quando il primario vantaggio del trattamento e proprio quello di riuscire a raggiungere esclusivamente le cellule malate e di salvaguardare quelle sane nell’organo da curare. Originariamente, la metodica era stata studiata e messa a punto per la cura dei tumori benigni, ossia a lenta evoluzione o con basso rischio di metastasi, del sistema nervoso centrale come i neurinomi, i meningiomi, alcuni tumori gliali e le metastasi cerebrali. Dopo gli incoraggianti risultati raggiunti a livello mondiale, l’uso del Cyberknife, modificato, potenziato e reso più flessibile dal punto di vista funzionale, è stato esteso anche alla trattazione chirurgica del tumore del polmone, del pancreas, dei reni, dei surreni, della prostata, delle ossa e dell’orbita oculare, con l’unico limite relativo al volume delle masse neoplasiche da trattare, che non devono superare, mediamente, i tre centimetri. La sua applicazione è particolarmente indicata qualora i tumori si trovino in prossimità di organi o strutture impossibili da trattare con la chirurgia classica come, ad esempio, il mediastino, nel caso del tumore polmonare, o molto delicate, come il nervo ottico per il tumore dell’orbita oculare. “In particolare, il Cyberknife si rivela indicato per trattare la formazione di una o più metastasi, il cui proliferare escluderebbe, altrimenti, la possibilità di intervenire attraverso la chirurgia classica”- specifica il neurochirurgo. Talvolta, il trattamento radiochirurgico può essere addirittura associato all’intervento tradizionale. Se le masse sono di un certo rilievo possono essere parzialmente asportate tramite bisturi, mentre le aree residue, soprattutto se poste in prossimità di organi complessi, possono essere colpite tramite radiochirurgia, limitando i rischi dell’intervento. Un ulteriore vantaggio è costituito dal fatto che, in ambito strettamente neurochirurgico, il Cyberknife non richiede l’utilizzo del casco stereotassico, uno strumento indispensabile per la localizzazione dei tumori cerebrali, ma piuttosto invasivo per il paziente. Esso presenta, inoltre, un proprio limite strutturale, in quanto permette il solo trattamento dei tumori situati nella parte superiore del cranio, mentre esclude quelli relativi alla parte inferiore e al collo. “Il nuovo apparecchio, poiché usa prevalentemente lo scheletro umano come sistema di riferimento per la puntatura dei raggi, non necessita del casco stereotassico e si avvale di una semplice maschera termoplastica a struttura flessibile, decisamente meno impressionante e più tollerabile per il paziente”- sottolinea Broggi. Il trattamento radiochirurgico può concludersi in un’unica seduta o può estendersi per tre, quattro sessioni, in funzione della massa tumorale da trattare e delle caratteristiche di ogni singolo caso clinico e può essere ripetuto nel tempo, qualora se ne verifichi la necessità. Daniela Mambretti