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Serie
Franco Rampazzo
October 2, 2009
1
Spazi metrici
Definizione 1.1 Sia 𝑀 un insieme non vuoto. Una distanza (o metrica) su
𝑀 eΜ€ una applicazione 𝑀 × π‘€ → ℝ che verifica le seguenti proprietaΜ€:
βˆ™ 𝑑(π‘₯, 𝑦) ≥ 0
∀π‘₯, 𝑦 ∈ 𝑀 ;
βˆ™ 𝑑(π‘₯, 𝑦) = 0 se e solo se π‘₯ = 𝑦 (attenzione: vale anche il ”solo se”!)
βˆ™ 𝑑(π‘₯, 𝑦) = 𝑑(𝑦, π‘₯)
∀π‘₯, 𝑦 ∈ 𝑀 ;
βˆ™ 𝑑(π‘₯, 𝑦) ≤ 𝑑(π‘₯, 𝑧) + 𝑑(𝑧, 𝑦)
∀π‘₯, 𝑦, 𝑧 ∈ 𝑀 ;
Esempi di spazi metrici(verificare caso per caso):
.
1) Sia 𝑛 intero positivo, 𝑀 sottinsieme qualunque di ℝ𝑛 , e 𝑑(π‘₯𝑦) = ∣π‘₯ − π‘¦βˆ£.
𝑛
Allora (𝑀, 𝑑) eΜ€ spazio metrico. In particolare ℝ eΜ€ uno spazio metrico.
Identificando (solo per questo scopo) ℂ𝑛 con ℝ2𝑛 , anche ℂ𝑛 risulta uno
spazio metrico.
.
2) 𝑀 = ℝ, 𝑑(π‘₯, 𝑦) = 1 se π‘₯ βˆ•= 𝑦, e 𝑑(π‘₯, π‘₯) = 0 per ogni π‘₯, 𝑦 ∈ ℝ. (distanza
discreta)
3) Sia M un qualsiasi sottoinsieme di 𝐢([0, 1]). Allora le seguenti 𝑑1 , 𝑑2 , 𝑑∞
sono distanze:
∫ 1
.
𝑑1 (𝑓, 𝑔) =
βˆ£π‘“ (𝑑) − 𝑔(𝑑)βˆ£π‘‘π‘‘
0
.
𝑑2 (𝑓, 𝑔) =
1
(∫
)1/2
βˆ£π‘“ (𝑑) − 𝑔(𝑑)∣ 𝑑𝑑
2
0
.
𝑑∞ (𝑓, 𝑔) = sup{βˆ£π‘“ (𝑑) − 𝑔(𝑑)∣
∣ 𝑑 ∈ [0, 1]}
4) PiuΜ€ in generale, se 𝐾 eΜ€ un compatto di ℝ𝑛 e 𝑀 ⊂ 𝐢(𝐾, ℝ) (funzioni
continue da 𝐾 in ℝ) allora si hanno le distanze:
∫
.
𝑑1 (𝑓, 𝑔) =
βˆ£π‘“ (π‘₯) − 𝑔(π‘₯)βˆ£π‘‘π‘₯
𝐾
1
.
𝑑2 (𝑓, 𝑔) =
(∫
2
)1/2
βˆ£π‘“ (π‘₯) − 𝑔(π‘₯)∣ 𝑑π‘₯
𝐾
.
𝑑∞ (𝑓, 𝑔) = sup{βˆ£π‘“ (𝑑) − 𝑔(𝑑)∣
∣
π‘₯ ∈ 𝐾}
Definizione 1.2 Sia 𝑀, 𝑑 uno spazio metrico. Una successione π‘Žπ‘› a valori in
𝑀 si dice di Cauchy se per ogni πœ– > 0 esiste un numero 𝑁 tale che ogni qualvolta
𝑛, π‘š ≥ 𝑁 si ha che
𝑑(π‘Žπ‘› , π‘Žπ‘š ) ≤ πœ–
Teorema 1.3 Ogni successione convergente eΜ€ di Cauchy.
Dimostrazione: DM o appunti lezione.
Osservazione 1.4 Non vale il viceversa! Ad esempio se si prende 𝑀 = β„š e
.
𝑑 la distanza usuale, la distribuzione π‘Žπ‘› = (1 + 1/𝑛)𝑛 eΜ€ di Cauchy (essendo
corvergente in ℝ) ma non eΜ€ convergente (perché?).
Definizione 1.5 Uno spazio metrico (𝑀, 𝑑) si dice completo se ogni successione di Cauchy eΜ€ convergente.
Per l’Osservazione precedente, β„š (con la distanza usuale) non eΜ€ completo.
Com’eΜ€ noto, ℝ eΜ€ completo.
Provare per esercizio quanto segue:
˜ sono completi, allora munendo 𝑀 × π‘€
˜ , 𝑑)
˜ della
Lemma 1.6 Se (𝑀, 𝑑),(𝑀
distanza
. √
ˆ
π‘₯, 𝑦˜),
𝑑((π‘₯,
π‘₯
˜), (𝑦, 𝑦˜)) = 𝑑2 (π‘₯, 𝑦) + 𝑑2 (˜
ˆ risulta completo.
˜ , 𝑑)
lo spazio metrico (𝑀 × π‘€
Dal precedente risultato si ricava che ℝ𝑛 , e quindi ℂ𝑛 , eΜ€ completo.
Vediamo dei casi di spazi di funzioni:
Teorema 1.7 Sia 𝐸 un insieme qualunque di ℝ𝑛 e sia 𝐡(𝐸) la famiglia delle
funzioni 𝑓 : 𝐸 → ℝ limitate. Allora 𝐡(𝐸), munito della distanza 𝑑∞ eΜ€ completo
Vogliamo ora dimostrare
Teorema 1.8 . Se 𝐾 é un compatto di ℝ𝑛 , allora lo spazio delle funzioni reali
continue definite su 𝐾, 𝐢(𝐾) eΜ€ completo.
CioΜ€ eΜ€ conseguenza dei due seguenti risultati, che sono importanti di per seΜ€:
Teorema 1.9 Sia (𝑀, 𝑑) uno spazio completo e 𝐢 ⊂ 𝑀 . Il sottospazio metrico
(𝐢, 𝑑)eΜ€ completo se e solo se eΜ€ chiuso
2
Dimostrazione. Sia 𝐢 chiuso, e sia (π‘Žπ‘› ) una successione di Cauchy in 𝐢. In
particolare, essa eΜ€ una successione di Cauchy anche in 𝑀 , percheΜ€ la distanza
eΜ€ la stessa. Essendo 𝑀 completo, la successione (π‘Žπ‘› ) converge ad un limite
π‘Ž ∈ 𝑀 . Basta dunque mostrare che π‘Ž ∈ 𝐢: ma cioΜ€ eΜ€ certamente vero, essendo
𝐢 chiuso (si ricordi che un sottoinsieme 𝐢 ⊂ 𝑀 eΜ€ chiuso se e solo se per ogni
successione (π‘Žπ‘› ) in 𝐢 convergente ad un limite π‘Ž, si ha π‘Ž ∈ 𝑀 ).
Viceversa, sia 𝐢 completo e sia (π‘Žπ‘› ) una successione convergente (in 𝑀 ) ad
π‘Ž ∈ 𝑀 . Allora essa eΜ€ di Cauchy in 𝑀 e dunque anche in 𝐢. Per l’assunta
completezza di 𝐢 si ha allora che (π‘Žπ‘› ) converge 𝐢, e, per l’unicitá del limite,
il limite di (π‘Žπ‘› ) non puoΜ€ che essere π‘Ž. Dunque π‘Ž ∈ 𝐢, il che mostra che 𝐢 é
chiuso.
Teorema 1.10 Rispetto alla distanza 𝑑∞ , 𝐢(𝐾) eΜ€ un sottoinsieme chiuso di
𝐡(𝐾).
Dimostrazione. L’enunciato del teorema si puó anche dire cosΔ±Μ€: se 𝑓𝑛 sono
funzioni continue su 𝐾 e la funzione (limitata) 𝑓 eΜ€ il loro limite uniforme (cioeΜ€
per 𝑑∞ ), allora 𝑓 eΜ€ continua. CioΜ€ eΜ€ dimostrato in [DM, Th. 1.5.10] (oltre ad
essere stato dimostrato a lezione).
Chiaramente, mettendo insieme i Teoremi 1.9 e 1.10 si ottiene il Teorema
1.8.
Esercizio. Si denoti con 𝐢 1 ([π‘Ž, 𝑏]) l’insieme delle funzioni 𝑓 reali definite in
[π‘Ž, 𝑏] continue, derivabili in ]π‘Ž, 𝑏[, e tali che la derivata 𝑓 ′ sia continua e abbia
limiti sinistro e destro, rispettivamente, in 𝑏 e π‘Ž.
Si mostri con un esempio che 𝐢 1 ([π‘Ž, 𝑏]) non eΜ€ chiuso in 𝐢 0 ([π‘Ž, 𝑏])(= 𝐢([π‘Ž, 𝑏])),
sempre rispetto alla distanza della convergenza uniforme (cioeΜ€ 𝑑∞ ).
Definizione 1.11 Sia 𝑉 uno spazio vettoriale. Uno norma eΜ€ un’applicazione
βˆ₯ ⋅ βˆ₯ : 𝑉 → ℝ tale che
βˆ™ βˆ₯𝑣βˆ₯ ≥ 0
∀𝑣 ∈ 𝑉 ;
βˆ™ βˆ₯𝑣βˆ₯ = 0 se e solo se 𝑣 = 0;
βˆ™ βˆ₯πœ†π‘£βˆ₯ = βˆ£πœ†βˆ£βˆ₯𝑣βˆ₯ per ogni πœ† ∈ ℝ e ogni 𝑣 ∈ 𝑉 ;
βˆ™ βˆ₯𝑣 + 𝑀βˆ₯ ≤ βˆ₯𝑣βˆ₯ + βˆ₯𝑀βˆ₯ per tutti i 𝑣, 𝑀 ∈ 𝑉 .
Uno spazio vettoriale 𝑉 dotato di una norma si dice spazio normato.
Osservazione 1.12 Ogni spazio normato (𝑉, βˆ₯⋅βˆ₯) eΜ€ uno spazio metrico, quando
si consideri la distanza
.
𝑑(𝑀, 𝑣) = βˆ₯𝑀 − 𝑣βˆ₯
3
Definizione 1.13 Uno spazio normato completo si dice spazio di Banach.
1
Esercizi.
βˆ™ Si verifichi la precedente osservazione.
βˆ™ Si riconoscano quali tra i precedenti spazi metrici sono spazi normati.
βˆ™ Si osservi che uno spazio metrico non eΜ€ in generale uno spazio vettoriale,
mentre uno spazio normato eΜ€ vettoriale per definizione. D’altra parte un
sottoinsieme di uno spazio normato eΜ€ certamente uno spazio metrico, ed eΜ€
anche normato se e solo se eΜ€ un sottospazio vettoriale. (Per esempio, nel
piano, una retta per l’origine eΜ€ uno spazio normato, mentre una circonferenza, o anche un cerchio, o qualsiasi altro insieme che non sia una retta
per l’origine sono metrici ma non normati).
βˆ™ Lo spazio 𝑀 (𝑛 × π‘š) delle matrici di 𝑛 righe e π‘š colonne eΜ€ uno spazio
normato quando lo si identifichi con β„π‘›π‘š con la norma euclidea. Vale a
dire che se per ogni matrice 𝐴 = (π΄π‘Ÿ,𝑠 ) si pone
v
u𝑠=1,....π‘š
. u ∑
βˆ£π΄π‘Ÿπ‘  ∣
βˆ₯∣𝐴βˆ₯∣ = ⎷
π‘Ÿ=1,...,𝑛
allora βˆ₯∣ ⋅ βˆ₯∣ eΜ€ una norma 𝑀 (𝑛 × π‘š). Chiaramente (𝑀 (𝑛 × π‘š), βˆ₯∣ ⋅ βˆ₯∣) eΜ€
completo, cioeΜ€ eΜ€ uno spazio di Banach.
1.1
Norme e distanze equivalenti
Definizione 1.14 . Sia 𝑉 uno spazio vettoriale, e siano βˆ₯⋅ βˆ₯1 , βˆ₯⋅ βˆ₯2 due diverse
norme su di esso. Si dice che βˆ₯ ⋅ βˆ₯1 e βˆ₯ ⋅ βˆ₯2 sono norme equivalenti se esistono
due costanti 𝐴, 𝐡 > 0 tali che
𝐴βˆ₯vβˆ₯1 ≤ βˆ₯𝑣βˆ₯2 ≤ 𝐡βˆ₯𝑣βˆ₯1
∀𝑣 ∈ 𝑉
(che eΜ€ ovviamente lo stesso che esistano due costanti 𝐢, 𝐷 > 0 tali che
𝐷βˆ₯vβˆ₯2 ≤ βˆ₯𝑣βˆ₯1 ≤ 𝐷βˆ₯𝑣βˆ₯2
∀𝑣 ∈ 𝑉
Basta prendere 𝐢 = . . . , 𝐷 = . . .
Definizione 1.15 Analogamente, se 𝐸 eΜ€ un insieme , e siano 𝑑1 , 𝑑2 sono due
diverse distanze su di esso. Si dice che 𝑑1 e 𝑑2 sono norme equivalenti se
esistono due costanti 𝐴, 𝐡 > 0 tali che
𝐴𝑑1 (𝑣, 𝑀) ≤ 𝑑2 (𝑣, 𝑀) ≤ 𝐡𝑑2 (𝑣, 𝑀)
1 Stefan
Banach,
grande
matematico
http://en.wikipedia.org/wiki/Stefan Banach
4
∀𝑣, 𝑀 ∈ 𝑉
polacco,
1892-1945,
v.
(che eΜ€ ovviamente lo stesso che esistano due costanti 𝐢, 𝐷 > 0 tali che
𝐢𝑑1 (𝑣, 𝑀) ≤ 𝑑2 (𝑣, 𝑀) ≤ 𝐷𝑑2 (𝑣, 𝑀)
Basta prendere 𝐢 = . . . , 𝐷 = . . .
Esercizio Provare che se βˆ₯ ⋅ βˆ₯1 e βˆ₯ ⋅ βˆ₯2 sono norme (su uno spazio vettoriale
𝑉 ) e 𝑑1 , 𝑑2 sono le corrispondenti metriche, allora βˆ₯ ⋅ βˆ₯1 e βˆ₯ ⋅ βˆ₯2 sono equivalenti
come norme se e solo se 𝑑1 e 𝑑2 sono equivalenti come distanze.
Esercizio Provare che 𝑑1 , 𝑑2 , 𝑑∞ su 𝐢([0, 1], ℝ) sono distanze NON equivalenti. Riconoscere anche che tutte provengono da norme.
Esercizio. Sullo spazio vettoriale delle matrici 𝑀 (𝑛 × π‘š) definire
.
βˆ₯𝑀 βˆ₯ = max βˆ£π‘€ π‘£βˆ£,
βˆ£π‘£βˆ£=1
intendendo il massimo su tutti i vettori 𝑣 ∈ β„π‘š di norma euclidea uguale a uno.
(Se π‘š = 2 sono quelli del cerchio di raggio 1). Provare che βˆ₯ ⋅ βˆ₯ eΜ€ una norma, e
che eΜ€ equivalente a quella precedentemente definita.
2
Prodotto scalare
Definizione 2.1 Sia 𝑉 uno spazio vettoriale (reale). Si chiama prodotto scalare
una applicazione < ⋅, ⋅ >: 𝑉 × π‘‰ che verifica le seguenti proprietaΜ€:
βˆ™ < π‘₯, 𝑦 >=< 𝑦, π‘₯ >
∀π‘₯, 𝑦 ∈ 𝑉 ;
βˆ™ < π‘Žπ‘₯ + 𝑏𝑦, 𝑧 >= π‘Ž < π‘₯, 𝑦 > +𝑏 < 𝑦, 𝑧 >
βˆ™ < π‘₯, π‘₯ >≥ 0
∀π‘₯ ∈ 𝑉
∀π‘₯, 𝑦, 𝑧 ∈ 𝑉, ∀π‘Ž, 𝑏 ∈ ℝ;
and < π‘₯, π‘₯ >= 0 ↔ π‘₯ = 0.
Osservazione 2.2 In virtuΜ€ della prima e seconda proprietaΜ€ si ha anche
< 𝑧, π‘Žπ‘₯ + 𝑏𝑦, >= π‘Ž < 𝑧, π‘₯ > +𝑏 < 𝑧, 𝑦 >
∀π‘₯, 𝑦, 𝑧 ∈ 𝑉, ∀π‘Ž, 𝑏 ∈ ℝ.
Definizione 2.3 Sia 𝑉 uno spazio vettoriale provvisto di un prodrotto scalare
<, >. La funzione su 𝑉
. √
βˆ₯π‘₯βˆ₯ = < π‘₯, π‘₯ >
eΜ€ detta la norma associata al prodotto scalare <, >.
Esercizio 2.4 Verificare che la funzione βˆ₯ ⋅ βˆ₯ eΜ€ effettivamente una norma.
Definizione 2.5 Uno spazio vettoriale munito di prodotto scalare che sia completo rispetto alla norma corrispondente si dice uno spazio di Hilbert. 2
Esempi-esercizi.
Verificare che i seguenti insiemi sono effettivamente
degli spazi vettoriali, che le applicazioni <, > sono prodotti scalari, e definire
esplicitamente le corrispondenti norme:
2 David Hilbert, 1862-1943, tedesco, uno dei piuΜ€ grandi matematici dei secoli diannovesimo
e ventesimo, v. http://en.wikipedia.org/wiki/David Hilbert
5
. ∑𝑁
βˆ™ 𝑉 = ℝ𝑛 , < π‘₯, 𝑦 >= 𝑖=1 π‘₯𝑖 𝑦 𝑖
.
βˆ™ 𝑉 = ℝ𝑛 , < π‘₯, 𝑦 >= π‘₯† 𝐴𝑦, dove 𝐴 eΜ€ una matrice quadrata definita posi3
tiva , dove i vettori sono pensati come vettori colonna e † indica trasposizione.
∑∞
∑∞
.
2
βˆ™ 𝑉 = β„“2 = {(π‘Žπ‘› )𝑛∈β„•
𝑛=1 (π‘Žπ‘› ) < +∞} con < (π‘Žπ‘› ), (𝑏𝑛 ) >=
𝑛=1 π‘Žπ‘› 𝑏𝑛 .
𝑙2 eΜ€ detto lo spazio vettoriale delle successioni a quadrato sommabile (Verificare primariamente che si tratta di uno spazio vettoriale).
.
. ∫𝑏
βˆ™ 𝑉 = 𝐢([π‘Ž, 𝑏]) e < 𝑓, 𝑔 >= π‘Ž 𝑓 (𝑑)𝑔(𝑑)𝑑𝑑; In questo caso per la norma si
usa il simbolo βˆ₯ ⋅ βˆ₯2 , e la si chiama norma 𝐿2 (vedi punto successivo)
βˆ™ <, > come nel punto precedente ma 𝑉 = 𝐿2 [π‘Ž, 𝑏]. Non possiamo a questo
punto dare una definizione rigorosa dello spazio 𝐿2 [π‘Ž, 𝑏]. Per farlo, avremmo
bisogno della teoria dell’integrazione alla Lebesgue (v. ad es. DM). Accontentiamoci di dire che 𝐿2 [π‘Ž, 𝑏] contiene le funzioni 𝑓 : [π‘Ž, 𝑏] → ℝ continue
a tratti e a quadrato sommabile, tali cioeΜ€ che esiste un numero finito di
punti π‘Ž < 𝑑1 , . . . , 𝑑𝑁 < 𝑏 tali che
1) 𝑓 eΜ€ continua in ]𝑑𝑖 , 𝑑𝑖+1 [ per ogni 𝑖 = 1, . . . , 𝑁 + 1;
∫𝑏
2) π‘Ž 𝑓 2 (𝑑)𝑑𝑑 < +∞ (dove l’integrale eΜ€ da intendersi in senso generalizzato )
Va detto inoltre che due funzioni sono in 𝐿2 [π‘Ž, 𝑏] due funzioni sono considerate equivalenti se esse coincidono per ogni 𝑑 ∈ [π‘Ž, 𝑏]βˆ–π’© , dove 𝒩 ha
misura nulla. (Pur non avendo dato la definizione di insieme a misura
nulla, ricordiamo che ogni insieme numerabile 4 ha misura (di Lebesgue)
nulla.)
βˆ™ Se 𝜌 ∈ 𝐢([π‘Ž, 𝑏] eΜ€ una funzione positiva, allora anche
.
< 𝑓, 𝑔 >=
∫
𝑏
𝑓 π‘”πœŒπ‘‘π‘‘
π‘Ž
eΜ€ un prodotto scalare su 𝑉 = 𝐿2 ([π‘Ž, 𝑏].
βˆ™ generalizzare i precedenti esempi a 𝑛 > 1, sostituendo l’intervallo [π‘Ž, 𝑏] con
un unsieme compatto 𝐾 ⊂ ℝ𝑛 .
𝑧 † 𝐴𝑧 > 0 se e solo se 𝑧 βˆ•= 0.
insieme (infinito) 𝐸 si dice numerabile se esiste una corrispondenza biunivoca tra 𝐸
ed β„•. Detta male: 𝐸 eΜ€ numerabile se ha tanti elementi quanti ne ha β„•. Ricordiamo che β„€,
β„š, e l’insieme dei numeri pari positivi sono tutti numerabili. ℝ non eΜ€ numerabile, e, dunque
neppure 𝐢([0, 1])
3 CioeΜ€
4 Un
6
Proposizione 2.6 (Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz) Sia 𝑉 uno spazio
vettoriale provvisto di un prodrotto scalare. Allora, per ogni π‘₯, 𝑦 ∈ 𝑉 , vale la
disuguaglianza di Cauchy-Schwarz
∣< π‘₯, 𝑦 >∣ ≤ βˆ₯π‘₯βˆ₯ ⋅ βˆ₯𝑦βˆ₯.
(1)
Inoltre il segno l’uguaglianza vale se e solo se 𝑦 = 𝑐π‘₯, 𝑐 ∈ ℝ.
Dimostrazione. I casi in cui π‘₯ = 0 o 𝑦 = 0 sono banali, percΔ±Μ€o possiamo
assumere π‘₯ βˆ•= 0 e 𝑦 βˆ•= 0. Consideriamo la funzione π‘˜ : ℝ → [0, +∞[,
.
π‘˜(π‘Ž) =< π‘Žπ‘₯ + 𝑦, π‘Žπ‘₯ + 𝑦 >= π‘Ž2 βˆ₯π‘₯βˆ₯2 + 2π‘Ž < π‘₯, 𝑦 > +βˆ₯𝑦βˆ₯2
Se π‘Žπ‘₯ + 𝑦 βˆ•= 0 per alcun π‘Ž, allora π‘˜(π‘Ž) > 0 per ogni valore di π‘Ž. PercioΜ€
.
Δ/4 = ∣ < π‘₯, 𝑦 > ∣2 − βˆ₯π‘₯βˆ₯2 βˆ₯𝑦βˆ₯2 < 0.
.
Se invece esiste π‘Ž
˜ tale che π‘˜(˜
π‘Ž) = 0 allora π‘Ž
˜π‘₯+𝑦 = 0 cioeΜ€ , posto 𝑐 = −˜
π‘Ž, valgono
l’uguaglianza 𝑦 = 𝑐π‘₯ e
0 = ∣< π‘₯, 𝑦 >∣ = βˆ₯π‘₯βˆ₯ ⋅ βˆ₯𝑦βˆ₯.
β‹„
Scriviamo la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz per alcuni casi importanti:
βˆ™ (Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz per ℝ𝑛 ):
𝑛
∑
π‘₯𝑖 𝑦 𝑖 ≤ ∣π‘₯βˆ£βˆ£π‘¦βˆ£
(2)
𝑖=1
βˆ™ (Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz per 𝑙2 ):
(
) 21
) 21 ( ∞
∞
∞
∑
∑
∑
𝑖 2
𝑖 𝑖
𝑖 2
(𝑦 )
π‘₯𝑦 ≤
(π‘₯ )
𝑖=1
𝑖=1
(3)
𝑖=1
βˆ™ (Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz per 𝐿2 ([π‘Ž, 𝑏])):
∫
(∫
) 21 (∫
) 21
𝑏
𝑏
𝑏
𝑓 𝑔𝑑𝑑 ≤
𝑓 2 𝑑𝑑
𝑔 2 𝑑𝑑
π‘Ž
π‘Ž
π‘Ž
(4)
Come esempio di applicazione della disuguaglianza di Cauchy-Schwarz dimostriamo che su 𝐢([π‘Ž, 𝑏]) la norma βˆ₯ ⋅ βˆ₯1 eΜ€ dominata dalla norma βˆ₯ ⋅ βˆ₯2 .
Proposizione 2.7 Per ogni 𝑓 ∈ 𝐢([π‘Ž, 𝑏]) si ha
βˆ₯𝑓 βˆ₯1 ≤ (𝑏 − π‘Ž)βˆ₯𝑓 βˆ₯2
(5)
Dimostrazione Applicando la disuguaglianza di Cauchy-Schwarz allle funzioni
𝑓 e 𝑔 = 1 si ottiene
∫ 𝑏
βˆ₯𝑓 βˆ₯1 =
(1 ⋅ βˆ£π‘“ (𝑑)∣)𝑑𝑑 ≤ βˆ₯1βˆ₯2 βˆ₯𝑓 βˆ₯2 = (𝑏 − π‘Ž)βˆ₯𝑓 βˆ₯2
π‘Ž
7
3
Serie
Sia (𝑉, βˆ₯ ⋅ βˆ₯) uno spazio normato (quindi metrico) e sia (π‘Žπ‘› ) una successione a
valori in 𝑉 .
Definizione 3.1 La successione (π‘ π‘˜ ) delle somme parziali, definite, per ogni
π‘˜ ∈ β„•, da
π‘˜
. ∑
π‘ π‘˜ =
π‘Žπ‘– ,
𝑖=1
eΜ€ detta la serie associata alla succesiione (π‘Žπ‘› ), e viene indicata con il simbolo
∞
∑
π‘Žπ‘› .
𝑖=1
π‘Žπ‘› eΜ€ detto il termine generico della serie.
∑∞
Definizione 3.2 Si dice ∑
che la serie 𝑖=1 π‘Žπ‘› converge ad 𝑆 ∈ 𝑉 , o anche che
∞
𝑆 eΜ€ la somma della serie 𝑛=1 π‘Žπ‘› , se
lim π‘ π‘˜ = 𝑆
In tal caso, si scrive
5
∞
∑
π‘Žπ‘› = 𝑆
𝑛=1
EΜ€ ben noto il seguente fatto, almeno nel caso in cui 𝑉 = ℝ. La dimostrazione
nel caso generale eΜ€ identica.
Teorema 3.3 Il termine generico di una serie convergente eΜ€ infinitesimo. In
altre parole, se esiste 𝑆 tale che
∞
∑
π‘Žπ‘› = 𝑆
𝑛=1
allora
lim π‘Žπ‘› = 0.
∑
innoquo abuso di notazione: in generale la notazione ∞
𝑛=1 π‘Žπ‘› indica l’ oggetto serie,
che non eΜ€ altro che la successione delle somme parziali; d’altra parte, con la stessa notazione
stiamo indicando la somma della serie (supposta quindi convergente!). Il contesto chiarisce,
in ogni caso, il vero significato. L’importante eΜ€ che la distizione sia peroΜ€ chiara a chi legge
(...e deve fare l’esame)
5 Con
8
EΜ€ noto che il viceversa eΜ€ falso: la serie armonica
∞
∑
1
𝑛
𝑛=1
eΜ€ divergente.
PoicheΜ€ una serie eΜ€ una successione (di somme parziali), vi si trasporta in
particolare la nozione di condizione di Cauchy. Traducendo dalla definizione
per le successioni, si ottiene
Definizione 3.4 Una serie soddisfa la condizione di Cauchy se per ogni πœ– > 0
esiste un numero 𝑁 tale che per ogni 𝑛, π‘š per cui π‘š > 𝑛 ≥ 𝑁 si ha
π‘š
∑
(
)
π‘Žπ‘– = βˆ₯π‘Žπ‘›+1 + . . . + π‘Žπ‘š βˆ₯ ≤ πœ–
𝑖=𝑛+1
Per quanto visto sulle successioni, la condizione di Cauchy eΜ€ necessaria per
la convergenza di una serie, mentre l’affermare che essa eΜ€ anche sufficiente eΜ€
equivalente a dire che lo spazio in questione eΜ€ completo.
Veniamo ora ad una nozione specifica per le serie: quella di convergenza totale
(o normale), detta anche convergenza assoluta nel caso lo spazio 𝑉 coincida con
ℝ.
∑∞
Definizione 3.5 Diciamo totalmente convergente una serie 𝑛=1 π‘Žπ‘› per cui
risulti convergente la serie
∞
∑
βˆ₯π‘Žπ‘› βˆ₯
𝑛=1
Una serie puoΜ€ essere convergente senza
∑∞ essere totalmente convergente. Un
esempio elementare, in ℝ, eΜ€ dato da 𝑛=1 (−1)𝑛 𝑛1 .
Al contrario, in uno spazio completo, la totale convergenza implica la convergenza, come stabilisce il seguente risultato:
∑∞
Teorema 3.6 Sia (𝑉, βˆ₯⋅βˆ₯) uno spazio normato completo. Se una serie 𝑛=1 π‘Žπ‘›
eΜ€ totalmente convergente allora essa eΜ€ convergente.
Dimostrazione. Dire che la serie eΜ€ totalmente convergente signica dire che la
serie delle norme eΜ€ convergente. Ma allora la serie delle norme eΜ€ di Cauchy, cioé
∀πœ– > 0 ∃𝑁 tale che per π‘š > 𝑛 ≥ 𝑁 si ha
βˆ₯π‘Žπ‘›+1 βˆ₯ + . . . + βˆ₯π‘Žπ‘š βˆ₯ ≤ πœ–.
9
Dalla disuguaglianza triangolare otteniamo che
βˆ₯π‘Žπ‘›+1 + . . . + π‘Žπ‘š βˆ₯ ≤ βˆ₯π‘Žπ‘›+1 βˆ₯ + . . . + βˆ₯π‘Žπ‘š βˆ₯ ≤ πœ–,
∑∞
vale
∑∞ a dire, la serie 𝑛=1 π‘Žπ‘› eΜ€ di Cauchy. Poiche 𝑉 eΜ€ completo ne segue che
𝑛=1 π‘Žπ‘› eΜ€ convergente.
4
Serie di funzioni
Se specializziamo la nozione di totale convergenza al caso dello spazio 𝐢([π‘Ž, 𝑏])
con la norma del sup βˆ₯ ⋅ βˆ₯∞ , allora il Teorema 3.6 diviene:
∑∞
Teorema 4.1 Sia
𝑛=1 𝑓𝑛 (⋅) una serie di funzioni appartenenti∑a 𝐢([π‘Ž, 𝑏]).
∞
Allora, se essa converge totalmente –vale a dire la serie numerica 𝑛=1 βˆ₯𝑓𝑛 βˆ₯ eΜ€
convergente– allora, per il Teorema 3.6, essa converge anche uniformemente.
Esercizio. Studiare la convergenza uniforme in [0, 1] della serie di funzioni
∞ (
∑
𝑛=1
)
1
sin ( ) arctan(𝑛𝑑 + 𝑑).
𝑛
2
Soluzione. Sia 𝑓𝑛 ∈ 𝐢([0, 1]) il suo termine generico. Si ha, per ogni 𝑑 ∈ [0, 1] e
ogni numero naturale 𝑛,
πœ‹
βˆ£π‘“π‘› (𝑑)∣ ≤ 2 ,
2𝑛
da cui
πœ‹
βˆ₯𝑓𝑛 βˆ₯ ≤ 2 .
2𝑛
∑∞
∑∞
PoicheΜ€ la serie 𝑛=1 π‘›πœ‹2 converge, anche 𝑛=1 βˆ₯𝑓𝑛 βˆ₯ converge, vale a dire, la
nostra serie di partenza converge totalmente. Dunque, essa converge anche
uniformemente.
Consiglio:PoicheΜ€ la convergenza totale eΜ€ una convergenza di serie numeriche
a termini positivi, saraΜ€ utile ripassare quest’ultime...
4.1
Passaggio al limite sotto il segno di integrale(Ovvero,
per le serie: integrazione termine a termine)(v. DM §1.6)
Sia 𝐽 un intervallo limitato di ℝ e 𝑓 ∈ 𝐢(𝐽). Fissato 𝑐 ∈ 𝐽, si consideri la
funzione integrale
∫ π‘₯
.
𝐼𝑐 (𝑓 )(π‘₯) =
𝑓 (𝑑)𝑑𝑑.
𝑐
10
L’operatore
𝐼𝑐 : 𝐢(𝐽) ∩ 𝐡(𝐽) → 𝐢(𝐽) ∩ 𝐡(𝐽),
che manda la funzione 𝑓 (⋅) nella funzione 𝐼𝑐 (𝑓 )(⋅), eΜ€ chiaramente lineare (cioeΜ€:
𝐼𝑐 (𝛼𝑓 + 𝛽𝑔) = 𝛼𝐼𝑐 (𝑓 ) + 𝛽𝐹𝑐 (𝑔)). Il seguente teorema dice che esso eΜ€ anche
continuo, quando su dominio e codominio di consideri la norma βˆ₯ ⋅ βˆ₯∞ . (Detto
in breve: se 𝑓 e 𝑔 sono vicine nella norma βˆ₯ ⋅ βˆ₯∞ , allora lo sono anche le loro
funzioni integrali)
Teorema 4.2 (Passaggio al limite sotto il segno di integrale) L’operatore
𝐼𝑐 eΜ€ continuo rispetto alle convergenze uniformi.
In altre parole, se (𝑓𝑛 ) eΜ€ una successione di funzioni definite in 𝐽, continue
e limitate,e tali che
lim = 𝑓 uniformemente,
𝑛→∞
allora la successione delle funzioni integrali converge uniformemente alla funzione integrale di 𝑓 :
lim 𝐼𝑐 (𝑓𝑛 ) = 𝐼𝑐 (𝑓 )
uniformemente
𝑛→∞
(6)
La tesi eΜ€ (6) talvolta scritta nel seguente modo, forse piuΜ€ espressivo:
∫ π‘₯
∫ π‘₯(
)
lim
𝑓𝑛 (𝑑)𝑑𝑑 =
lim 𝑓𝑛 (𝑑) 𝑑𝑑 uniformemente
𝑛→∞
𝑐
π‘Ž
𝑛→∞
Per la dimostrazione, v. ad esempio DM, Proposizione 1.6.1 (dove eΜ€ scritto
𝐢𝑏 (𝐽) al posto di 𝐢(𝐽) ∩ 𝐡(𝐽)).
Sia π‘Ž < 𝑏, e si consideri ora il funzionale reale ”Integrale su [π‘Ž, 𝑏]”
𝐼 : 𝐢([π‘Ž, 𝑏]) → ℝ
che possiamo denominare ”Integrale su [π‘Ž, 𝑏]”.
Corollario 4.3 Il funzionale 𝐼 eΜ€ (lineare e ) continuo. Altrimenti detto:
se (𝑓𝑛 ) eΜ€ una successione di funzioni definite in [π‘Ž, 𝑏], e continue, e tali che
𝑓𝑛 → 𝑓
uniformemente,
lim 𝐼(𝑓𝑛 ) → 𝐼(𝑓 ).
𝑛→∞
La tesi (7)eΜ€ talvolta scritta nel seguente modo, forse piuΜ€ espressivo:
∫
lim
𝑛→∞
𝑏
∫
𝑓𝑛 (𝑑)𝑑𝑑 =
π‘Ž
π‘Ž
11
𝑏
(
)
lim 𝑓𝑛 (𝑑) 𝑑𝑑 .
𝑛→∞
(7)
Esercizio 1. Con un esempio, mostrare che l’ipotesi di limitatezza dell’intervallo
𝐽 nel Teorema 4.2 eΜ€ essenziale. (Suggerimento: una piramide (s’intende disegnata, bidimensionale, un triangolo insomma) sempre piuΜ€ bassa ma sempre piuΜ€
larga –quanto piuΜ€ larga?– richiede la stessa quantitaΜ€ di materiale da costruzione)
Esercizio 2. Mostrare che il Teorema 4.2 non vale con la sola assunzione
di convergenza puntuale.(Suggerimento: piramidi sempre piuΜ€ strette e alte che
si muovono verso un estremo di dell’intervallo 𝐽....)
Esercizio 3 Enunciare il Teorema 4.2 e il Corollario per le serie. 6
4.2
Passaggio al limite sotto il segno di derivata(Ovvero,
per le serie: derivazione termine a termine)
Vediamo ora come si comportano le successioni (e quindi le serie) rispetto alla
derivazione.
.
Esempio 4.4 (in cui le cose vanno male.) Se 𝑓𝑛 = 𝑛−1 sin(𝑛π‘₯), 𝑓𝑛 ∈ 𝐢 1 ([0, 1])
∞
(in realtaΜ€ 𝑓𝑛 ∈ 𝐢 ([0, 1])), e
lim 𝑓𝑛 = 0,
𝑛→∞
𝑛
uniformemente in [0, πœ‹]. Tuttavia, la successione 𝑑𝑓
𝑑π‘₯ non solo non converge alla
𝑑𝑓
derivata di 𝑑π‘₯ ≡ 0 – ma non converge ad alcuna funzione, neppure puntualmente.
Esempio 4.5 (in cui le cose vanno meglio (percheΜ€?))
.
𝑓𝑛 = 𝑛−2 sin(𝑛π‘₯)
Vale invece il seguente teorema di passaggio al limite sotto il segno di derivata,
che eΜ€ in realtaΜ€ una sorta di riformulazione del Teorema 4.2.
Teorema 4.6 (Passaggio al limite sotto il segno di derivata) Sia (𝑓𝑛 )
una successione di funzioni 𝑓𝑛 ∈ 𝐢 1 ([π‘Ž, 𝑏]) e si supponga che:
i) la successione delle derivate (𝑓𝑛′ ) converga uniformemente a una funzione
𝑔 ∈ 𝐢([π‘Ž, 𝑏]);
ii) esista 𝑐 ∈ [π‘Ž, 𝑏] tale che la successione reale (𝑓𝑛 (𝑐)) sia convergente.
6 Soluzione
in breve:
∞
∑
𝑓𝑛 = 𝑓
unif. ⇒
𝑛=1
e
∞
∑
𝑛=1
∞ ∫
∑
𝑛=1
𝑓𝑛 = 𝑓
unif. ⇒
π‘₯
∫
π‘₯
𝑓𝑛 (𝑑)𝑑𝑑 =
𝑐
∞ ∫
∑
𝑛=1
𝑓 (𝑑)𝑑𝑑
unif.
𝑐
𝑏
π‘Ž
∫
𝑏
𝑓𝑛 (𝑑)𝑑𝑑 =
𝑓 (𝑑)𝑑𝑑.
π‘Ž
Enunciare rigorosamente queste due implicazioni, dette genericamente integrazione termine a
termine.
12
Allora:
a) la successione (𝑓𝑛 ) converge uniformemente a una funzione 𝑓 ;
b) per ogni π‘₯ ∈ [π‘Ž, 𝑏] si ha
𝑓 ′ (π‘₯) = 𝑔(π‘₯)
(
)
= lim 𝑓𝑛′ .
7
𝑛→+∞
In particolare 𝑓 ∈ 𝐢 1 ([π‘Ž, 𝑏]).
Riferito alle serie il teorema diventa:
Teorema 4.7 (Derivazione termine a termine) Sia (β„Žπ‘› ) una successione
di funzioni appartenenti a 𝐢 1 ([π‘Ž, 𝑏]) e si supponga che:
i) esista una funzione (continua) π‘˜ tale che, si abbia, uniformemente,
∞
∑
β„Ž′𝑛 = π‘˜;
𝑛=𝑖
ii) esista 𝑐 ∈ [π‘Ž, 𝑏] tale che
∞
∑
β„Žπ‘› (𝑐) < +∞
𝑛=1
(cioeΜ€ la serie reale
∑∞
𝑛=𝑖
β„Žπ‘› (𝑐) sia convergente).
Allora, esiste una funzione (continua) β„Ž tale che:
a) Si ha
∞
∑
β„Žπ‘› = π‘˜,
𝑛=𝑖
uniformemente;
b) La funzione β„Ž eΜ€ derivabile per ogni π‘₯ ∈ [π‘Ž, 𝑏],
β„Ž′ (π‘₯) = π‘˜(π‘₯) .
8
In particolare β„Ž ∈ 𝐢 1 ([π‘Ž, 𝑏]). In modo suggestivo9 , si puoΜ€ esprimere b)
scrivendo
(∞
)′
∞
∑
∑
β„Žπ‘› =
β„Ž′𝑛
𝑛=𝑖
𝑛=𝑖
f’(a) = g(a) significa qui limπ‘₯→π‘Ž+ 𝑓 ′ (π‘₯) = 𝑔(π‘Ž); in modo analogo si deve
interpretare
= 𝑔(𝑏).
8 Vale un’osservazione analoga a quella delle successioni per gli estremi π‘Ž e 𝑏
9 Suggestivo rispetto al sogno del matematico pigro: trasportare le proprietaΜ€ degli insiemi
finiti a quelli infiniti.
7 Naturalmente
𝑓 ′ (𝑏)
13
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