Elettroforesi

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Elettroforesi
L’elettroforesi è un metodo di separazione basato sulla diversa velocità di migrazione di particelle
elettricamente cariche attraverso una soluzione, sotto l’influenza di un campo elettrico applicato.
Supponiamo di avere una cella elettrolitica riempita d’acqua e deponiamo all’interno un sottile
strato di una soluzione ionica ed applichiamo una certa differenza di potenziale agli elettrodi.
All’interno della cella si instaura un campo elettrico che favorisce la migrazione delle particelle
cariche verso gli elettrodi opposti. Perché il fenomeno sia rivelabile, è necessario che gli elettrodi
siano abbastanza distanti fra di loro, in modo da non avere una scarica immediata delle specie
ioniche ai rispettivi elettrodi.
I fattori che influenzano la mobilità di una molecola in un campo elettrico comprendono la carica
della molecola (q) e il gradiente di voltaggio del campo elettrico (E) che insieme forniscono la forza
che muove gli ioni, e la resistenza di attrito del mezzo di supporto f, che ne contrasta il movimento.
La mobilità è definita come la velocità di migrazione con un gradiente di voltaggio 1V/cm e viene
misurata in centimetri al quadrato per secondo per volt. Questa grandezza può essere definita per
ogni sostanza, intendendo come misura di essa la distanza in cm che una particella percorre
nell’unità di tempo per unità di campo elettrico, cioè in pratica come rapporto tra velocità della
particella e campo elettrico applicato.
V= velocità in cm/s
E= V/cm
Sostituendo in questa espressione al termine V la velocità di una particella elettricamente carica in
un mezzo viscoso si avrà l’equazione finale:
n= viscosità del mezzo
Q= numero di cariche della specie ionica considerata
= raggio ionico
In un dato esperimento il prodotto
è costante, perciò l’equazione diventa:
Risulta quindi che la mobilità elettroforetica di una particella, cioè la sua attitudine a muoversi in un
dato mezzo è funzione del rapporto fra carica e raggio della particella e perciò è diversa da una
particella all’altra.
L’elettroforesi è difficilmente applicabile alla separazione di particelle di piccole dimensioni, in
quanto queste giungerebbero agli elettrodi in un tempo estremamente breve; al contrario risulta un
mezzo di separazione eccellente per macromolecole ed in particolare per le proteine.
In genere si determina la mobilità relativa delle proteine, Rf, come il rapporto fra la distanza
percorsa da ciascuna proteina rispetto a quella percorsa da una piccola sostanza colorante anionica.
L’elevato rapporto carica/massa del colorante lo fa migrare vicino al fronte elettroforetico e davanti
alle proteine.
Tipi di elettroforesi
Tiselius ha sfruttato per primo il principio di separazione elettroforetica con una tecnica abbastanza
simile al processo descritto prima: tale tecnica impiegata per la separazione delle proteine è
conosciuta come “elettroforesi in fase libera”. Le particelle cariche venivano separate in una
soluzione contenuta in un tubo ad U alla cui estremità era applicata una d.d.p.
Le proteine si disponevano in zone diverse lungo le branche del tubo a seconda dell’attrazione
subita da parte degli elettrodi in funzione della loro carica. Le diverse frazioni erano valutate in
modo complesso, misurando la variazione dell’indice di rifrazione della soluzione in
corrispondenza delle zone di localizzazione delle diverse frazioni.
Questo metodo è stato tuttavia abbandonato e sostituito da uno più semplice e pratico chiamato
“elettroforesi zonale”. Con questo termine si intende un processo di migrazione elettroforetica che
avviene su un supporto solido di natura porosa, imbevuto di una soluzione elettrolitica (tampone) in
modo da permettere il passaggio di corrente.
Usando un supporto poroso come carta da filtro, acetato di cellulosa, gel di agar, agarosio,
acrilamide ecc… si ottiene una migliore risoluzione della separazione delle frazioni anche a causa
contemporanei processi cromatografici; inoltre è ridotto fortemente il fenomeno della diffusione,
con il risultato che le sostanze restano separate in certe zone ben distinte. Quest’ultimo fatto
permette di eseguire con facilità i successivi passaggi analitici.
Nella forma più semplice una separazione elettroforetica, per esempio su acetato di cellulosa, consta
delle seguenti operazioni: la striscia imbevuta di soluzione tampone è montata ben tesa in una cella,
il campione è deposto in una determinata posizione e tra i due elettrodi viene applicata una d.d.p.
per un certo tempo, durante il quale le sostanze migrano con diverse velocità. Il successivo
trattamento di rivelazione sulla striscia mette in evidenza il tracciato elettroforetico, ossia la
successione di bande colorate corrispondenti alle varie frazioni separate.
Ciò che avviene è che il tampone che bagna la carta riempie gli spazi tra le fibrille della carta stessa
ed è per questo che le sostanze (per esempio gli aminoacidi) riescono a muoversi secondo la
differenza di potenziale.
Questo sistema ha subito una modifica in quanto la carta è stata sostituita da acetato di cellulosa che
è più resistente e va bagnato con il tampone ma non in eccesso.
Fattori che influenzano una separazione elettroforetica
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Mobilità elettroforetica
Tampone e il suo pH: il tampone ha la duplice funzione di rendere possibile il passaggio
della corrente e di mantenere costante il pH poiché una eventuale variazione di quest’ultimo
produce una variazione nella carica dello ione e quindi una variazione della sua mobilità. La
forza ionica di un tampone assume particolare importanza, in quanto incide notevolmente
sulla velocità di migrazione di una particella carica. Infatti ogni particella carica presente in
soluzione è soggetta ad interazione elettrostatica con i vari ioni presenti, i quali rallentano il
suo movimento verso il polo opposto. Quindi, con tamponi a forza ionica elevata è
necessario un polo opposto. Quindi, con tamponi a forza ionica elevata è necessario un
tempo di migrazione maggiore o una d.d.p. più elevata. Per tali motivi si preferisce usare
tamponi a bassa forza ionica.
Densitometro: è un fotometro a filtri oppure uno spettrofotometro capace di misurare la
trasmissione della luce attraverso una striscia colorata anziché attraverso una soluzione.
Determinazione qualitativa e quantitativa
Una volta avvenuta una migrazione elettroforetica la striscia viene immersa in coloranti adatti o
opportuni reagenti che producano la loro specifica colorazione che consente di distinguere le
diverse frazioni. Per quanto riguarda la determinazione quantitativa si può scegliere fra due
tecniche: l’eluizione e la lettura densitometrica.
La prima prevede di tagliare le frazioni sulla striscia e di porre i frammenti in altrettante provette in
cui volume noto di solvente in cui vengono eluite. Dopo l’eluizione le soluzioni vengono lette ad
uno spettrofotometro contro il bianco della soluzione di eluizione di una striscia priva di bande
colorate. In base all’assorbanza delle singole eluizioni si può determinare la quantità delle frazioni
in percentuale rispetto al totale di tutte le frazioni. Questo metodo presenta l’inconveniente di essere
lento.
Il metodo densitometrico è più rapido e consiste nel far avanzare con velocità costante la striscia di
fronte al fototubo. Dal registratore si ottiene un grafico avente in ordinate l’assorbanza e in ascisse
la posizione delle bande. L’azzeramento dello strumento viene fatto in un’area priva di componenti
colorati. Il grafico sarà costituito da una serie di picchi relativi alle frazioni separate. L’area di
ciascun picco è proporzionale alla concentrazione della corrispondente frazioni. Di solito un
calcolatore elabora ed esprime il dato in percentuale.
Caratteristiche dei supporti per elettroforesi
La scelta del supporto da usare dipende dal tipo di sostanza da separare e dal grado di risoluzione
che si vuole ottenere.
Carta
Presenta alcuni inconvenienti: richiede molto tempo per la separazione, non è molto precisa poiché
tra una frazione e l’altra permangono zone diffuse di colore dovute al fatto che alcune molecole
proteiche denaturano e precipitano, altre vengono rallentate dalla mancanza di uniformità della
carta. Inoltre si può avere adsorbimento di alcune costituenti proteiche sulle fibre di cellulosa. I tipi
di carta più usati sono la Whatman n1 e n3. Le varie frazioni vengono valutate per eluizione.
Un’applicazione dell’elettroforesi su carta è sfruttata nella “fingerprinting” in cui all’elettroforesi è
associata cromatografia in senso perpendicolare alla separazione elettroforetica.
Acetato di cellulosa
E’ il supporto più usato in quanto è maneggevole e rapido. Si ottiene per acetilazione della cellulosa
e a seconda del grado di acetilazione si hanno membrane con spessore e consistenza diverse, e
anche una capacità maggiore o minore di risoluzione delle componenti proteiche. Le strisce possono
essere rese trasparenti per trattamento con acido acetico ed etanolo il che consente di analizzare
facilmente, al densitometro, il risultato della separazione. Alcuni tipi di acetato di cellulosa sono
secchi mentre altri sono gelatinizzati.
Strato sottile
L’elettroforesi può essere eseguita su strato sottile usando come supporto gel di silice o allumina. In
genere si ricorre a questo metodo quando si vogliono separare aminoacidi e peptici. All’elettroforesi
si fa seguire un’altra elettroforesi (elettroforesi bidimensionale) o una cromatografia perpendicolare
all’elettroforesi.
Amido
Viene usato come gel che la proprietà di separare le sostanze in base alla loro grandezza
molecolare. Si usa amido idrolizzato perché l’amido comune è troppo polimerizzato per dare dei
gel. Le separazioni su gel d’amido sono piuttosto lunghe ed è necessario che durante l’elettroforesi
il gel non si surriscaldi e che non si abbia evaporazione del gel, che a questo scopo viene sempre
protetto da un foglio di plastica che aderisca bene alla superficie superiore del gel.
Agar e agarosio
L’agar è un polisaccaride ottenuto da alghe marine, l’agarosio un suo derivato polimero
dell’agarobiosio costituito da due molecole di galattosio unite da un ponte a Ossigeno tra le
posizioni 3 e 6.
Se si porta a ebollizione una sospensione di agar o agarosio all’1-2%, il polisaccaride si scioglie e
successivamente raffreddandosi gelifica. Questi gel hanno un potere di risoluzione inferiore a quello
dell’amido ma sono più pratici: si preparano rapidamente, si colorano e decolorano con facilità e,
portati a secchezza, costituiscono una pellicola trasparente che può essere letta al densitometro e
conservata senza che si alteri.
Questo tipo di supporto è particolarmente utilizzato per la separazione delle lipoproteine. Inoltre
esso è il mezzo di elezione della immunoelettroforesi nella quale si esegue su gel la sparazione
elettroforetica delle sostanze da esaminare e successivamente si depone un antisiero lungo una linea
parallela alla migrazione. Sia le sostanze che si sono separate che l’antisiero diffondono nel gel e in
corrispondenza della zona di equivalenza di ogni antigene col proprio anticorpo si forma un
precipitato visibile. Usando gli antisieri adatti è possibile riconoscere dalla posizione e dalla forma
degli archi di precipitazione un notevole numero di antigeni.
Poliacrilamide
I gel di poliacrilamide si formano per la copolimerizzazione di acrilamide, un monomero solubile in
acqua, e di un agente che forma legami trasversali a formale un reticolo. L’agente che forma tali
legami è l’ N-N’-metilen bisacrilamide (BIS). La BIS contiene due doppi legami che nelle reazioni
di polimerizzazione formano legami trasversali con catene adiacenti di poliacrilamide. La reazione
di polimerizzazione avviene per un meccanismo a catena di radicali liberi i quali sono generati per
fotolisi di un composto labile (es: riboflavina) o per decomposizione chimica di un composto labile.
Con questo ultimo metodo si genera il radicale instabile SO4- a partire dall’ammonio per solfato.
Altro radicale è ottenuto dalla tetrametiletilendiamina o Temed che reagisce con i radicali per
solfato per formare radicali liberi Temed, che a loro volta reagiscono con l’acrilamide a indurre
polimerizzazione.
Le dimensioni dei pori in un gel di poliacrilamide possono essere controllate variando la quantità di
monomero usato o aumentando il grado di legami trasversali per ottenere pori più stretti. Proteine
relativamente piccole migreranno nel gel con un impedimento minimo, mentre la migrazione delle
proteine più grandi sarà ritardata perché non possono passare attraverso tutti i pori del gel. In ogni
dato gel verranno separate soltanto le proteine che sono in un particolare ambito di dimensioni.
Un gel a gradiente è una forma speciale di gel in cui il grado di porosità varia continuamente dal
basso in alto creando un gradiente nella percentuale di acrilamide e può separare una vasta gamma
di proteine.
Elettroforesi su gel di poliacrilamide in SDS di proteine
La separazione di proteine mediante elettroforesi in gel di poliacrilamide è influenzata sia dalla
carica delle proteine al pH scelto, che dalle dimensioni e dalla resistenza di attrito durante la
migrazione. Per semplificare l’analisi di miscele di proteine è possibile fare in modo che la
separazione si basi solo sulle dimensioni delle catene polipeptidiche. Ciò si ottiene denaturandole
con il detergente sodio dodecil solfato (SDS) che si lega con forza alle proteine in media ogni due
aminoacidi. Le catene rivestite di SDS avranno una carica molto più negativa di quelle non rivestite,
inoltre il rapporto carica/massa sarà identico per proteine diverse poiché il rivestimento di SDS
domina la carica. Pertanto la separazione sarà dovuta quasi esclusivamente alle dimensioni delle
catene polipeptidiche.
Apparati da elettroforesi
Per la separazione di proteine su gel di poliacrilamide è stata usata una varietà di apparati, ma
quello più comune utilizza gel che hanno la forma di tubi o lastre.
Le lastre di gel vengono formate fuori dall’apparato fra due lastre di vetro separate fra loro da
spaziatori di Teflon, e lo spazio viene sigillato in un letto di agarosio fuso. Dopo la sua gelificazione
si versa il gel liquido di poliacrilamide fra le lastre e lo si fa polimerizzare. Lo stocking gel viene
versato sul gel di risoluzione ed ha la proprietà che fanno concentrare le proteine del campione in
una zona sottile sopra il gel di risoluzione, permettendo una separazione per dimensioni efficace e
riproducibile, delle proteine rivestite da SDS di risoluzione.
Disc elettroforesi
Si impiega una colonna di vetro alta 12cm, chiusa in fondo da uno strato di parafilm (specie di
pellicola resistente agli agenti chimici) nella quale si inserisce la miscela (poliacrilamide,
bisacrilamide al 2%, temed e per solfato di ammonio) che si sta trasformando in gel di
poliacrilamide.
Oppure si può impiegare un contenitore dal quale si ottengono lastre di dimensioni 12x14 e di 23mm di spessore (lastra elettroforesi). Sulla “forma” di gel si sovrappone un altro pezzo di gel con
pH inferiore rispetto all’altro gel (pori a 9 circa) e vicino al pI degli aminoacidi, e che ha delle
maglie meno strette (contiene una quantità minore di bisacrilamide).
Ponendo quindi sul gel posto in testa alla colonna alla miscela di proteine da separare avrò
inizialmente una migrazione pressoché uguale alle stesse fino al punto di separazione tra i due tipi
di gel. Da qui in poi la migrazione avviene secondo le dimensioni e le proprietà specifiche di ogni
proteina.
Tecniche di rivelazione
Esistono molti modi per visualizzare la presenza di bande proteiche dopo elettroforesi su gel di
poliacrilamide in SDS. La tecnica più usata è quella di colorare le proteine con coloranti che si
legano con forza. A questo scopo sono stati usati numerosi coloranti ma il più usato è il Comassie
Brilliant Blue R-250.
Per colorare le bande il gel viene rimosso dalle lastre di vetro e le bande proteiche fissate. La
maggior parte dell’SDS viene rimosso immergendo il gel in una soluzione contenente acideo
acetico diluito e metanolo. Il gel viene quindi immerso in una soluzione contenente Coomassie
Brilliant Blue R-250 sciolto in acideo acetico diluito e metanolo. Per visualizzare le bande
proteiche, in genere si colora il gel fino a che non è uniformemente blu rimuovendo il colorante in
eccesso. Un altro metodo più sensibile ma più laborioso è quello di colorare le proteine con argento,
proteine diverse reagiscono diversamente con il nitrato d’argento così che la quantificazione è
anche in questo caso solo approssimativa. Se le bande proteiche sono marcate con isotopi radioattivi
di energia sufficiente, queste possono essere rivelate direttamente con autoradiografia.
Applicazioni dell’SDS-Page
L’SDS-Page è comunemente usata per la stima della purezza e della quantità delle proteine. Può
essere utile esaminare i campioni proteici in SDS-Page durante la purificazione della proteina
perché l’elettroforesi permette di visualizzare i contaminanti. Si può distinguere se la
contaminazione è dovuta a piccole quantità di molte proteine o a una quantità elevata di una
proteina particolare. L’SDS-Page è anche usata per stimare la massa molecolare di catene
polipeptidiche. Per calibrare l’esperimento elettroforetico si fanno correre alcuni polipeptidi di
massa molecolare nota simultaneamente al polipeptide sconosciuto e si determina la mobilità
relativa all’Rf di ciascuna specie.
Immunoblot
Questa tecnica si usa per rivelare e quantificare proteine che reagiscono con un anticorpo specifico.
In questa tecnica si esegue un frazionamento delle proteine di un campione in SDS-Page. Il gel
viene quindi rimosso dai vetri e steso su di una membrana di nitrocellulosa. Un campo elettrico
trasversale forza le proteine a migrare fuori dal gel sulla membrana a cui aderiscono. Poiché sulla
membrana rimangono dei siti liberi, essa viene rivestita con una miscela di proteine non specifiche
per bloccarli. Spesso a questo scopo si usa del latte. La membrana viene quindi immersa in una
soluzione che contiene un anticorpo contro la proteina che interessa (tale anticorpo è detto
primario). Poiché tutti i siti che legano proteine sulla membrana sono bloccati, l’anticorpo può
aderire alla membrana solo se interagisce con il suo antigene specifico. Dopo aver lavato via
l’anticorpo che non ha aderito, la presenza dell’anticorpo può essere rivelata in vari modi. Il modo
più usato è quello di introdurre un altro anticorpo (secondario) che reagirà con qualunque anticorpo
della stessa fonte biologica del primario (specie animale). L’anticorpo secondario è generalmente
accoppiato ad un enzima che catalizza una reazione cromogena e la sua presenza può pertanto
essere provata immergendo la membrana nel substrato dell’enzima accoppiato.
Purificazione di proteine denaturate
Le proteine risolte con elettroforesi in SDS-Page sono rivestite da detergente e svolte, quindi prive
di attività enzimatica. Per alcune applicazioni, tuttavia, le proteine denaturate sono utili e l’SDSPage può essere usata come metodo di purificazione per queste applicazioni. Nella maggior parte
dei casi in cui si cerca un’attività, non si usa l’SDS-Page come metodo di preparazione, perché sono
denaturate e prive di attività enzimatica.
Elettroforesi su gel semplice
Un metodo alternativo all’SDS-Page è l’elettroforesi su gel nativa o non denaturante, in cui non si
usa detergente e le proteine mantengono la loro struttura e attività nativa. L’elettroforesi semplice
può essere eseguita in tubi o lastre in cui ai gel di risoluzione vengono sovrapposti stacking gel tutti
privi di detergente. La migrazione delle proteine in questi gel è dovuta sia alla carica che alle
dimensioni delle stesse. Le bande proteiche sono visualizzate usando coloranti dopo aver fissato le
proteine alla matrice con acido acetico e metanolo.
Elettroforesi a pori limite
La mobilità delle proteine nell’elettroforesi su gel non denaturante è determinata dalla carica delle
proteine al pH scelto e dalla resistenza di attrito del mezzo di supporto. Una varietà speciale di
elettroforesi su gel semplice è l’elettroforesi a pori limite in cui non c’è bisogno di uno stacking gel
e il pH del sistema è in genere sufficientemente alcalino da assicurare che la maggior parte delle
proteine si muovano verso l’anodo. Le proteine migrano attraverso il gel fino a raggiungere un
punto in cui le dimensioni del gel sono troppo piccole. Mediante standard inclusi nel gel si può
stimare la massa molecolare delle proteine soconsciute.
Focalizzazione isoelettrica
L’isoelettrofocalizzazione è una tecnica che consente di separare le proteine in base ai loro valori di
pI. E’ eseguita in genere in tubi sottili di gel in cui si stabilisce un gradiente di pH e in cui vengono
inseriti gli anfoliti che sono elettroliti anfoteri. Questi, come le proteine, hanno molte cariche
positive e negative e vari valori di pI. Durante la fase di “precorsa” ciascun anfolita migra ad una
posizione in cui il pH è uguale al suo pI, stabilendo un gradiente di pH attraverso il gel. Il campione
viene quindi introdotto e si continua l’elettroforesi fino a che la corrente netta è vicina a zero. A
questo punto ciascuno dei componenti avrà migrato alla posizione del gel in cui il pH è uguale al
suo pI e quindi non esistono specie presenti con una carica netta. L’isoelettrofocalizzazione è utile
per determinare il pI delle proteine.
Elettroforesi bidimensionale
Consiste nella combinazione di isoelettrofocalizzazione e SDS-Page: le proteine vengono quindi
separate secondo il loro pI nella prima dimensione e secondo la loro massa molecolare nella
seconda. Poiché entrambe queste tecniche hanno un alto potere risolutivo, la risoluzione
complessiva risultante della loro combinazione è eccezionale. Questo metodo ha avuto un ruolo
importante nell’identificazione di proteine il cui livello di espressione è influenzato da una
condizione fisiologica o da una mutazione.
Una qualunque matrice può contenere delle cariche. Se prendiamo un capillare di silice fusa, questo
presenta cariche negative. Quando dentro il capillare metto un tampone avrò che le cariche positive
verranno attirate dagli OH- del capillare. Quindi sulla parete si crea uno strato di cariche positive e
più all’interno ci saranno quelle negative. Nel momento in cui applico una differenza di potenziale,
le cariche positive migreranno trasportando anche tutto il resto creando un flusso elettro-osmotico.
Nel flusso le cariche di segno opposto si muoveranno tutte nello stesso verso ma quelle che vanno
verso il polo di segno opposto si muoveranno più velocemente di quelle che si staranno spostando
verso il polo di segno uguale.
Le proteine del plasma vengono separate proprio grazie all’elettroforesi. In generale, le proteine
hanno una carica netta a qualunque pH diverso dal loro pI e quindi poste in un campo elettrico
migreranno verso l’elettrodo di carica opposta. Poiché la maggior parte delle proteine ha un pI<8, a
pH uguale o maggiore esse avranno carica negativa e migreranno verso l’anodo (elettrodo positivo).
Per impedire la perdita di risoluzione si deve utilizzare un supporto che ha anche funzione di
setaccio. L’effetto setaccio nell’elettroforesi su gel è diverso da quello della cromatografia per
filtrazione su gel perché in quest’ultima le molecole sono escluse dai granuli in modo che le più
grandi fluiscono per prime, mentre nell’elettroforesi il supporto è una sostanza reticolata perciò le
sue dimensioni (dette maglie) ostacolano le molecole più grandi che viaggeranno più lentamente.
Dunque nell’elettroforesi delle proteine plasmatiche si pone una certa quantità di plasma sulla
striscia di supporto, vicino al polo negativo e poiché il pH è 9 le proteine migreranno verso il polo
positivo. Poiché però le proteine non sono visibili, verrà aggiunto del colorante che avendo
dimensioni piccole si muoverà velocemente verso il polo positivo e, una volta raggiunto, verrà
interrotto il campo elettrico. Anche qui come in cromatografia posso usufruire di un Rf come fronte
del solvente, cioè il punto cui è arrivato il colorante. Quindi la striscia di acetato di cellulosa è posta
in alcool etilico, la cui polarità mantiene la separazione evitando l’ulteriore diffusione delle
proteine. Si mette poi la striscia in una soluzione di lavaggio che fa staccare il colorante, tranne
quello adeso alle proteine che così restano visibili. A questo punto trattando la striscia di acetato di
cellulosa con alcool puro, si ha la diafamizzazione della stessa per perdita delle molecole di acqua
legate alla struttura. Ponendo la striscia in un densitometro ottengo un grafico con 5 picchi non
perfettamente separati ma specifici.
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