“Il mio nome è nessuno”, spettacolo teatrale - IIS Scarpa

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“Il mio nome è nessuno”, spettacolo teatrale
di Valerio Massimo Manfredi
Trama
Ulisse, Odysseo, Nessuno: l’uomo dal multiforme ingegno, il mito che solca i mari, l’eroe più formidabile e
moderno di tutti i tempi ci parla in prima persona, raccontandosi con tutta l’umanità e il coraggio che lo
hanno reso, lungo ventisette secoli, più immortale di un dio. Dalla nascita nella piccola, rocciosa Itaca alla
formazione di uomo e di guerriero al fianco del padre Laerte, dalle braccia materne della nutrice Euriclea al
vasto mare da navigare sino a Sparta, dalla abbagliante e pericolosa bellezza di Elena all’amore per
Penelope, dal solenne giuramento tra giovani principi leali al divampare della tremenda discordia. Fino alla
resa di Troia, grandiosa e terribile, e il viaggio di ritorno a Itaca, da Circe alle Sirene, da Polifemo a
Penelope, fino all’ultimo, misterioso viaggio dell’eroe che ha attraversato i secoli.
Note di regia
“Ulisse diventa pop, diventa colui che si fa portatore di un racconto e l’attore torna ad essere aedo, portatore
di una storia che insegna, che si fa maestra di vita; in questo senso l’antico, il contemporaneo si sposano sul
palcoscenico per interagire in una dimensione che è sospesa e che rivela la magia di un teatro che si rende
magnificamente semplice, comunicativo e portatore di una riflessione su quanto siamo capaci di negare di
noi stessi, di quanto siamo capaci di perderci presi dall’insensatezza della violenza.”
Alessio Pizzech
Spettacolo ispirato all’omonimo romanzo dello scrittore, archeologo e topografo di fama internazionale
Valerio Massimo Manfredi. Come suggerito dal titolo, lo spettacolo racconta la celeberrima storia di Ulisse
dall’incoronazione in qualità di re di Itaca e dal matrimonio tra Elena e Menelao alla riconquista del trono
della sua isola. Gran parte della rappresentazione teatrale mette in scena avvenimenti riguardanti l’Iliade,
l’Odissea o addirittura precedenti ai poemi omerici dal punto di vista di Ulisse, un personaggio che tuttavia
non sempre li ha vissuti in qualità di protagonista.
Non volendo realizzare uno spettacolo dalla durata eccessiva, Manfredi ha trattato solamente alcuni episodi;
non è immediatamente comprensibile il criterio con il quale li ha selezionati. Almeno metà dello spettacolo
verte sugli eventi principali dell’Iliade e su quelli che li precedono, ponendo in risalto anche avvenimenti che
solitamente vengono trascurati, come l’incontro tra Penelope e Ulisse o l’innamoramento di Elena per il re di
Itaca. Un aspetto singolare dell’opera è che vengono solo rapidamente menzionati episodi che in altre opere
hanno avuto ampio spazio, come le vicende di Polifemo, Scilla e Cariddi, Circe, Calypso, Nausicaa e i Feaci.
Le ultime scene sono ovviamente dedicate all’uccisione dei Proci (anzi, del Procio presente in scena) e al
ricongiungimento tra Ulisse, Penelope e Telemaco. Gli eventi non sono rappresentati in ordine cronologico
ma si susseguono dei sapienti flash back che vivacizzano il ritmo della rappresentazione.
Ulisse ha il volto di Sebastiano Lo Monaco, che non abbandona il palcoscenico per l’intero svolgimento dello
spettacolo e mette a nudo l’interiorità del personaggio confidandone i pensieri direttamente agli spettatori.
Molti eventi sono messi in scena con altri attori, altri invece vengono solamente evocati dalle parole di
Ulisse, ricordando la consuetudine secondo cui i miti greci venivano raccontati oralmente ad un pubblico
prima di essere trascritti.
Nel corso dell’intera rappresentazione viene ripetuta la parola “Nessuno”: Ulisse ha affermato di chiamarsi
così per beffarsi di Polifemo in modo tale che, quando il ciclope ha dichiarato ai compagni di essere stato
ingannato da Nessuno”, non è stato preso sul serio. Il nome del titolo suggerirebbe che tale episodio avesse
un ruolo centrale nella rappresentazione, invece lo scontro con Polifemo non viene nemmeno accennato e il
soprannome di Ulisse si carica di significati aggiuntivi, espressi medianti astuti giochi di parole. Qualche
esempio? “Nessuno sarebbe mai stato in grado di compiere tali imprese”, “Nessuno sopravvivrà al viaggio”.
Lo stile di tale accompagnamento musicale è quello della banda da parata, che trasmette all’intera opera
un’energia originale e contagiosa. Molte scene sono accompagnate dall’orchestra Sax in Progress dal
Conservatorio Perosi di Campobasso: i sassofonisti calcano la scena e recitano come dei veri propri
personaggi, realizzando delle brevi e coinvolgenti colonne sonore o commentando gli avvenimenti come i
cori della tragedie greche, usando la musica anziché parole.
La scena è minimalista, infatti è composta da una pedana inclinata color sabbia al cui centro è posta una
piccola barca, l’imbarcazione con cui Ulisse è sbarcato ad Itaca prima di iniziare a narrare. I costumi non
sono sempre realistici: Penelope indossa una tunica che evoca un peplo tradizionale e Ulisse un costume da
sovrano usurato dai lunghi viaggi, ma Elena esibisce un abito rosso privo di connotazioni temporali, Achille
recita in pantaloni e torso nudo per trasmettere il suo vigore di guerriero acheo e il procio, immaginato da
Manfredi come un personaggio dall’ambiguo orientamento sessuale, indossa boxer, un vistoso mantello
marrone e zeppe da rockstar anni 70.
L’opera è apprezzabile per gli adulti quanto per i più giovani ed ha riscosso uno straordinario successo non
soltanto per l’illustre nome dell’autore, il regista Alessio Pizzech di straordinaria bravura.
Pensando a questo nuovo spettacolo molteplici sono le immagini che mi coinvolgono come regista perché
tanti sono gli stimoli che una materia così viva e carica di sensi e significati mi trasmette.
Voglio quindi enucleare alcuni punti di lavoro che mi sono utili per immaginare cosa sarà questo spettacolo.
Innanzitutto: il racconto popolare di una storia che attraversa i tempi e ci parla dell’insensatezza della guerra
e delle sue follie. Un uomo, reduce da una guerra senza fine approda nella sua terra. Anzi, “ritorna”. Il mito
del Nostos agisce ancora, a distanza di millenni e lui, disorientato, senza più punti di riferimento, con la testa
piena di immagini di sangue e orrore sente il bisogno, l’urgenza di raccontare ciò che ha vissuto, per trovare
il senso di una scelta di violenza che non è stata sua. Qualcuno (gli Dei, il destino?) ha scelto per lui; da
uomo di pace si è tramutato in uomo d’armi, e questo passaggio lo ha snaturato. Il reduce torna quindi, e lo
fa anche per cercare le ragioni di tanta crudeltà.
Ulisse ha capito che la guerra non è una risposta, ma un labirinto in cui si è perso; il ritorno a casa lo spinge
a ritrovarsi. Le immagini e i personaggi di questa storia si susseguono nelle sue parole come fantasmi, e i
vari incontri che egli ha fatto, prendono forma.
Un teatro di Pupi, di Armature che scendono dall’alto di una graticcia teatrale posata sulla spiaggia,
prendono forma con un carattere quasi di rappresentazione popolare, antica, ancestrale. Il teatro si fa
racconto epico con questo cimitero fantastico di feticci, di oggetti, di teste e corpi meccanici che sono ombre
di anime sepolte nella memoria del protagonista.
Gli altri interpreti sono coloro che come un coro greco, muovono questa macchina teatrale attorno a Ulisse e
sono loro che danno voce e pensiero a queste icone/personaggi della storia. Il protagonista si trova in
mezzo, stupito e inconsapevolmente regista di questo mondo, che affonda le radici in una sorta di
rappresentazione antica come l’uomo.
La banda di un vecchio paese siciliano accompagna e celebra questo racconto con il suo suono, con il suo
rumoreggiare; celebra la festa religiosa del Teatro. Sono quattordici sassofoni, quattordici voci umane che
contrappuntano il racconto, quattordici uomini di una banda adagiata forse in uno spazio di aperta campagna
o in mezzo alle onde del mare; quattordici uomini che vanno alla guerra, quattordici uomini che salutano il
ritorno, quattordici uomini che celebrano la morte, vittorie e sconfitte, apparizioni e ritorni delle figure di
questo teatro antico.
Ulisse diventa pop, diventa colui che si fa portatore di un racconto e l’attore torna ad essere aedo, portatore
di una storia che insegna che si fa maestra di vita; in questo senso l’antico, il contemporaneo si sposano sul
palcoscenico per interagire in una dimensione che è sospesa e che rivela la magia di un teatro che si rende
magnificamente semplice, comunicativo e portatore di una riflessione su quanto siamo capaci di negare di
noi stessi, di quanto siamo capaci di perderci presi dall’insensatezza della violenza.
Ulisse ci dice che tornati da quell’inferno non si è più Se Stessi e che il rumore delle armi ci lascia un silenzio
assordante. L’immagine del sangue e di un corpo ferito resteranno sempre nella memoria di chi ha
attraversato l’orrore. Ma nel nostro racconto il teatro si fa atto di speranza, di creazione; nel teatro finalmente
i morti sono Eroi in quanto hanno un nome, portano con sé un destino che Ulisse celebra con la sua
rappresentazione. Il teatro dà nome alle cose, alle anime. La storia diventa materia di trasmissione e il mito
diventa strumento di insegnamento e monito per il futuro.
Affrontare così la straordinaria e immane vicenda di Ulisse, in un modo così popolare e così immediato
credo sia una possibile risposta per un Teatro d’Arte. Una grande occasione per riflettere sul presente, su di
un mito che sta alla radice della nostra civiltà e al tempo stesso spunto per possibili riflessioni intorno a ciò
che sta accadendo sulle sponde del Mediterraneo.
I temi ripresi da Valerio Massimo Manfredi (scrittore, storico, archeologo e giornalista esperto nella storia del
mondo antico nonché divulgatore attraverso soggetti e sceneggiature per cinema e televisione) in ben due
volumi dai quali Francesco Niccolini ha tratto il suo adattamento per il teatro conservando la struttura del
racconto in prima persona da parte di Ulisse.
Operazione non facile quella di sintetizzare in modo equilibrato in un unico testo teatrale il contenuto dei due
poemi epici sforbiciandoli senza togliere l'essenziale e lasciando vis e pathos in modo da non correre il
rischio di costruire un buon riassunto per chi ne sa poco o nulla. Si aggiunga che la presenza dell'orchestra
Sax in Progres pur rendendo in modo icastico il tumulto degli scontri bellici rischia di soverchiare il racconto
e il vibrare delle parole.
Sebastiano Lo Monaco cui è affidato il ruolo di Ulisse - mito del passato ed emblema di un presente difficile
e tormentato e di un'umanità da sempre lacerata tra male e bene - rappresenta quindi con la sua maestria e
la sua carica passionale un efficace e valido fulcro dello spettacolo. Sebastiano Lo Monaco, con tutta la sua
maestria e passione, dialoga con i molti fantasmi dell’Odissea di Omero, un’intensa narrazione delle donne e
degli eroi che Ulisse ha incontrato nel suo faticosissimo viaggio.
Avvenimenti e avversità si dipanano nel flash back di Ulisse senza averne leso la psicologia portata alla
pace e tetragona alla sfortuna e a un fato che lo rende tra i protagonisti di una guerra assurda e dissennata
e di un ritorno connotato da peripezie fino alla dolorosa scoperta di una casa insidiata e in pericolo.
Un uomo che non si lamenta, ma parlando con i fantasmi del passato ricorda con ferma convinzione di non
essere un eroe, ma Nessuno come tutti gli uomini che compiono il viaggio esistenziale su una malsicura
barchetta che porta segni delle tempeste e memoria di magnifiche visioni di una natura trionfante: dolori e
gioie per ciascuna persona in ogni tempo.
Uno spettacolo che trascina i giovani e non sempre 'chi ha qualche anno in più' che se apprezza gli abiti
senza tempo fa più fatica ad accettare l'abbigliamento moderno, pur se simbolico, di Telemaco, ma ben
vengano rappresentazioni che servono a non dimenticare i classici e a riflettere sulla nostra precarietà che ci
rende tutti oscuri eroi del vivere.
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