La formazione dei valori nei giovani. La prospettiva della psicologia

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La formazione dei valori nei giovani. La prospettiva della psicologia
Franca Amione
(NPG 1980-7-13)
In questo articolo il mio obiettivo è di arrivare, attraverso una particolare attenzione allo sviluppo
delle relazioni sociali tra mondo degli adulti e mondo degli adolescenti, a chiarire la genesi dei
valori morali dell'individuo e ad approfondire in modo più specifico quei meccanismi che ne
permettono il manifestarsi o lo impediscono.
I VALORI NELLA VITA DELL'INDIVIDUO
Incomincio con una definizione di valore, riprendendola da un lavoro di Kluckhohn (1951):
«concetto, esplicito o implicito, distintivo di un individuo o caratteristico di un gruppo, di ciò che
è desiderabile, che influisce sulla scelta di possibili modi, mezzi e fini di un'azione».
Mi interessa subito sottolineare gli elementi che caratterizzano un valore al suo interno in una
relazione dinamica. Ogni valore è costituito da una componente affettiva (ciò che l'individuo
trova più desiderabile), una componente cognitiva (il fatto cioè di conoscere ciò che è giusto e
ciò che è sbagliato) ed una componente intenzionale (ciò che si vorrebbe fare). Il tener presente
questi elementi del valore permetterà di evitare delle concezioni riduttive non solo a livello
teorico ma anche a livello educativo, ogni volta che si misconosce il ruolo dinamico e
interdipendente di ognuno dei tre elementi.
Occorre introdurre una ulteriore distinzione, quella tra valori in sé e valorizzazioni. Possiamo
intendere i valori in sé come elementi astratti elaborati dalla riflessione filosofica, quali ad
esempio i concetti di pace e di benessere. In questa sede non è assolutamente questo tipo di
valori che ci interessa. Parliamo invece di valorizzazioni, cioè di come questi valori si
concretizzano nella realtà del singolo, pur senza che si riducano a mere soggettivazioni.
Le valorizzazioni possono avere una connotazione meramente soggettiva quando non hanno
più alcun riferimento al valore in sé, ma fanno del valore relativo l'universale. (Da ciò deriva il
grosso problema teorico ed educativo di se e come sia possibile trasmettere i valori senza che
questi scadano nel secondo tipo di valorizzazioni relativizzanti).
La internalizzazione dei valori: dal controllo sociale all'autocontrollo
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Il processo che permette il passaggio dei valori alle valorizzazioni è l'internalizzazione,
processo mediante cui l'individuo acquisisce ciò che è presente come valore nella sua realtà
circostante. L'individuo, secondo gli studi della psicologia dello sviluppo, fin dall'infanzia passa
stadi differenti che culminano nella interiorizzazione dei valori della sua società, ed in un
aumento delle sue capacita di seguire i valori attraverso regole di comportamento.
Gli psicologi si sono a lungo interessati alla internalizzazione dei valori morali; e questo perché
permetteva di spiegare l'annoso problema di come gli individui arrivino a gestire i conflitti
inevitabili tra bisogni personali e obblighi sociali.
Secondo due studiosi, che pure appartengono a matrici culturali diversissime, Freud e
Durkheim, il legame tra bisogni personali e obblighi sociali si fonda sul fatto che la maggior
parte delle persone non vive considerando le norme morali e i valori come esterni, dovuti a
pressioni imposte in modo coercitivo a cui devono sottomettersi. Benché le norme e i valori
siano inizialmente esterni all'individuo e spesso in conflitto con i suoi desideri, essi diventano
gradualmente parte del suo sistema di motivazioni interne e guidano il suo comportamento
anche in assenza di un'autorità esterna. Il controllo altrui è perciò sostituito dall'autocontrollo.
Esempi di tali concetti di internalizzazione sono il «super-io» di Freud e la «coscienza collettiva»
di Durkheim.
I processi di internalizzazione possono servire alla funzione di controllo sociale nel produrre
conformità alle norme morali che si ricompensano in se stessi, fatto questo particolarmente
importante quando le ricompense per il comportamento adeguato e le punizioni per una
trasgressione non sono coerentemente sostenute dalla società. Ritorneremo più avanti alla
funzione che la società svolge nei processi di internalizzazione.
I MECCANISMI DI INTERNALIZZAZIONE DEI VALORI
Esistono posizioni differenti tra gli psicologi riguardo a quali siano le esperienze di
socializzazione più significative per i processi di internalizzazione. Mi propongo, in questo
articolo, di riprendere alcuni lavori significativi apparsi in questo settore e di valutarli in rapporto
al concetto teorico guida: «quale funzione svolge il valore nell'individuo e quali sono i processi
di internalizzazione dei valori?».
La relazione dinamica tra i tre elementi (cognitivo, affettivo, intenzionale) che caratterizzano il
valore viene trasferita dall'adulto al bambino e all'adolescente mediante una serie di processi
che mirano alla internalizzazione. Tali processi si attuano nella educazione familiare, nella
identificazione e assunzione di modelli di comportamento e nel superamento del disequilibrio
cognitivo. Vediamo ora separatamente ciascuno di questi tre processi, così come è stato
studiato dagli psicologi che si sono occupati della trasmissione dei valori.
Il ruolo della educazione familiare
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In prima istanza studiamo l'educazione da parte della famiglia, che ha come scopo di portare
l'adolescente ad aderire ai modelli di comportamento parentali assunti come valori validi in
assoluto. Molti sono i modi con cui un genitore (ma il discorso può ampliarsi più in generale a
chiunque svolga una funzione educativa) può indurre l'acquiescenza ad un valore nel bambino
e nell'adolescente.
L'uso del potere e del condizionamento
Il modo più semplice pare essere l'affermazione della forza che l'adulto ha in virtù del fatto
stesso che è adulto, di controllare le risorse materiali dell'adolescente: «se fai questo ti
punisco...»; «se non fai questo non ti do quest'altro...».
Tale modalità determina una certa rabbia nel ragazzo in quanto spesso inibisce un'azione volta
al raggiungimento di uno scopo quasi sempre per lui gratificante. E origina tanto più rabbia
quanto più è applicata senza una spiegazione, perché sottolinea drammaticamente il fatto che
l'azione è sottoposta ai superiori ed alle risorse del mondo degli adulti. La reazione di rabbia
viene spesso inibita nei confronti dell'oggetto frustrante, e scaricata all'esterno della famiglia o
sui coetanei.
L'attenzione in questo caso non è rivolta tanto alla internalizzazione, quanto alle conseguenze
della non assunzione di un valore: si accentua perciò la percezione della fonte degli standards
morali come esterna. L'esperienza di una subordinazione dei desideri, che devono accordarsi
alle pressioni esterne aiuta il perpetuarsi del senso di opposizione tra desiderio e realizzazione
in un comportamento. E la modalità di trasmissione dei valori si esprime in un condizionamento
percepito come esterno a sé.
Il metodo della sottrazione dell'affetto
Altra via che l'educatore può utilizzare è la sottrazione di affetto, che contempla una tecnica per
cui egli esprime in modo verbale il suo disappunto per un comportamento contrario ai valori
sostenuti. Questo, come il precedente, è un modo altamente punitivo di trasmissione dei valori:
non si ha la paura di una punizione fisica, ma piuttosto la minaccia di un abbandono o di una
separazione. Sorge come conseguenza di questo aspetto, un bisogno di approvazione e
l'attenzione dell'adolescente viene diretta alle conseguenze emotive punitive che il suo
comportamento ha di per sé e origina una forte ansia per la paura di perdere l'affetto.
L'adolescente può accondiscendere ai valori proposti semplicemente per ristabilire l'armonia.
Non si basa su considerazioni interne, e nel contempo non evidenzia il conflitto tra educatore e
adolescente in modo esacerbato come avviene per il modelli della asserzione di potere.
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Il metodo della induzione
Infine, l'induzione rappresenta il modo più adeguato, per quanto compatibile con una situazione
non autonoma, in cui l 'educatore fornisce una spiegazione dei motivi per cui chiede di aderire
ad un certo valore, o fa appello direttamente a valori che già possono esistere nell'adolescente.
L'induzione porta ad una più chiara consapevolezza delle conseguenze sociali dell'azione
dell'adolescente, tenendo conto nel contempo delle risorse motivazionali che esistono in lui e
che sono presenti in specie in situazioni in cui egli realizza che la sua non assunzione di un
valore rappresenta una minaccia per un'altra persona.
L'induzione porta più facilmente ad una internalizzazione dei contenuti del valore, nella misura
in cui l'adolescente la sente come interna a sé e non come imposta dagli altri. Questo fatto può
originare una interiorizzazione di norme e valori con il conseguente riconoscimento di
appartenenza ad un valore.
Internalizzazione dei valori mediante identificazione
Mi sembra importante sottolineare che gli aspetti affettivi, cognitivi e intenzionali trovano una
risposta soddisfacente nel porsi dell'adulto come «propositore» e non come «impositore» di
modelli di comportamento. È possibile perciò anche un processo di identificazione specie
quando l'adulto si pone lui stesso come modello di comportamento coerente con i valori di cui è
portatore.
Secondo Freud l'identificazione è un processo fondamentale dello sviluppo messo in atto sia
dall'ansia del figlio di perdere l'amore dei genitori, sia dalla paura di un attacco fisico. Perché
l'identificazione parentale determini una internalizzazione morale, sempre secondo queste
teorie, è necessario che esista una coerenza tra i due momenti, oppure una stretta relazione
con la paura di perdere l'affetto parentale. Le ricerche sperimentali, però, non confermano
nessuna di queste due spiegazioni in modo causale come Freud li pone. Esperimenti condotti
da Hoffmann dimostrano come né con il padre né con la madre l'identificazione sia collegata
significativamente agli indici di internalizzazione morale. L'identificazione può contribuire ad
adottare certi attributi morali che sono visibili e non richiedono complesse funzioni cognitive, ma
non a creare un valore nel soggetto.
La internalizzazione dei valori attraverso il disequilibrio cognitivo
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Altri studiosi ancora, Piaget in particolare, sostengono che l'internalizzazione dei valori si attua
secondo una serie di stadi fissi, qualitativamente distinti, che producono alla fine un senso di
giustizia o di reciprocità di comportamento. Ogni stadio è un tipo omogeneo di strategia di
ragionamento morale, una cornice concettuale volta a rispondere a problemi morali; il
ragionamento morale all'interno di uno stadio è coerente nei diversi problemi e situazioni. Ogni
stadio congloba i precedenti ed è quindi più ampio e comprensivo.
Sia lo sviluppo cognitivo sia l'esperienza sociale giocano un ruolo importante nel passaggio
dallo stadio della morale eteronoma (sentita come imposta dagli altri) a quello della morale
autonoma (sentita come propria).
L'adolescente è nella condizione mentale di possedere la capacità cognitiva di stabilire una
morale autonoma e di formulare i valori come propri, anche se la sua immaturità emotiva
spesso lo porta a non saper mantenere a lungo valori stabili. In questa situazione di
disequilibrio cognitivo, tra la possibilità e la costanza, l'adolescente scopre se stesso come
valore. Mediante la fuga dal concreto, mediante il ragionamento, mediante il concentrarsi in se
stesso, mediante tentativi ed ipotesi, egli realizza l'incontro con se stesso. È un momento
fondamentale della sua crescita ed è ugualmente importante che l'adulto sia consapevole di
questa attenzione che l'adolescente ha per se stesso, in modo da partire dai valori di cui il
giovane è portatore per trasmettergli quelli a cui fa riferimento.
È evidente che trasformazioni interessanti della sfera intellettiva portano il giovane a porsi
domande su se stesso, a volersi riconoscere. I valori che l'adolescente sta collaudando non
senza paradossi e sofismi, le opinioni che egli difende a spada tratta non sono altro che
altrettanti modi di ricerca di sé, di autodefinizione, tentativi di divenire se stesso.
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