Stretching e prestazione Sportiva

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Stretching e prestazione Sportiva
http://www.sportbrain.it/stretching-prestazione-sportiva.html
Roberto Papaianni, laurea specialistica in Scienze e Tecnica dello sport presso l’università di
Firenze, studente di Osteopatia, ci parla di “Stretching e Prestazione Sportiva”. L’argomento lo
sappiamo tutti, è stato oggetto negli ultimi anni di una decisa revisione, che si è concretizzata grazie
al determinante contributo di “luminari” del nostro ambito come Gilles Cometti e G.N Bisciotti.
Anche sulle pagine di sportbrain l’argomento è stato spesso protagonista di accese discussioni, e
l’articolo che il Prof. Castagna ha scritto in merito appositamente per noi, è da mesi uno dei più
letti.
Ecco il contributo di Roberto, che grazie al suo altruismo, condivide con noi la sua autorevole
opinione in merito.
La mobilità articolare costituisce un aspetto fondamentale per una corretta e sicura pratica
sportiva. Tra i vari sistemi attualmente impiegati per lo sviluppo di questa capacità spicca
indubbiamente lo stretching; ormai largamente utilizzato nello sport di alto livello.
Numerosi studi hanno provato quanto la pratica dello stretching possa influenzare positivamente la
prestazione sportiva se adeguatamente attuata.
Indice
1. Introduzione
2. Caratteristiche fisiologiche dello stretching
3. I metodi dello stretching
4. Lo stretching nella prestazione sportiva
5. Bibliografia
Introduzione
La mobilità articolare rappresenta un presupposto elementare per un’ esecuzione qualitativamente e
quantitativamente efficace di un movimento (Harre 1976). La sua formazione ottimale , rispetto alle
esigenze dello sport praticato, influisce positivamente sullo sviluppo dei fattori fisici della
prestazione ( ad esempio, sulla forza, sulla rapidità, ecc.) o delle abilità motorie di tipo sportivo (ad
esempio, i vari fondamentali tecnici) (Weineck 2001). Se si migliora la mobilità articolare possono
essere eseguiti con maggiore forza, rapidità, fluidità, facilità ed espressività tutti i movimenti di
grande ampiezza (Bull, Bull 1980). Per questo motivo, il suo allenamento costituisce un aspetto
essenziale del processo di allenamento. Tra le varie forme di mobilità articolare spiccano le tecniche
di stretching, le quali hanno rappresentato un progresso fondamentale nel processo di allenamento
legato alla preparazione fisica. Atleti praticanti le più diverse discipline sportive hanno via via
dedicato più attenzione alle differenti sollecitazioni dei vari gruppi muscolari, e imparato ad
esplorare con maggiore sensibilità le proprie capacità di mobilità articolare. Queste tecniche, che
hanno come obiettivo principale il miglioramento della mobilità articolare, trovano un valido
riscontro anche nella fase del riscaldamento, nella prevenzione degli infortuni, passando dal
potenziamento muscolare alla rieducazione dopo eventi traumatici.
Caratteristiche fisiologiche dello stretching
Il processo di allungamento muscolare, può essere interpretato esaminando il muscolo come un
insieme di elementi plastici ed elastico-viscosi posti in parallelo ed in serie (Fig. 1). Quando il
muscolo viene allungato si riduce la sovrapposizione dei filamenti di actina e di miosina.
L’interruzione dei ponti actomiosinici rappresenta un processo che consuma energia. Con
l’aumento dell’allungamento muscolare oltre alle microfibrille contrattili vengono allungate anche
quelle reticolari, i filamenti intermedi ed i filamenti di connettina. Con l’aumento della resistenza
degli elementi elastici si incrementa anche la resistenza globale all’allungamento. In questo caso,
all’interno del sarcomero, assume un’importanza particolare la titina (Fig. 2), che rappresenta un
elemento elastico che fa in modo che i filamenti di miosina siano centrati e che, anche nel
caso dell’allungamento più intenso, resti una minima sovrapposizione fisiologica dell’actina e della
miosina (Billeter, Hoppler 1994).
Con l’aumento dell’allungamento il grado di sovrapposizione dell’actina e della miosina diminuisce
e, quindi, diminuisce la tensione massima sviluppabile dagli elementi contrattili (Stoboy 1984).
Figura 1 – Il muscolo come modello di elementi elastici e plastici posti in serie e/o in parallelo
(Huijing 1994). 149)
Figura 2 – visione schematica dell’architettura del sarcomero in funzione dei miofilamenti di
miosina, actina e titina.
Però, contemporaneamente, aumenta l’attività elettromiografica (EMG) che provoca anche essa una
limitazione dell’ampiezza del movimento (Küchler 1983; Dietz et al. 1984). Il significato biologico
di questa stiffness crescente è impedire un eccesso non fisiologico di allungamento, che potrebbe
condurre alla totale eliminazione della sovrapposizione dei filamenti (Wiemann 1994). Ullrich e
Golhofer (1994) partono dal principio che le forze di resistenza che si sviluppano nel caso di
movimenti di massima ampiezza non sarebbero da attribuire ai ponti trasversali actomiosinici attivi, ma alle tensioni passive da trazione a carico del materiale connettivale. Il materiale
connettivale (sarcolemma, tendini) possiede qualità elastico-viscose, cioè il suo comportamento
dipende in misura elevata dalla velocità di allungamento. Tali qualità vengono ascritte non soltanto
alle fibre di collagene, ma anche ai ponti actomiosinici (Hujing 1994). Nel caso di un allungamento
lento o continuo il tessuto connettivo si comporta in modo diverso rispetto ad una aumento rapido
della tensione: si può osservare il cosiddetto fenomeno creeping. Le fibrille di collagene in stato
deteso non sono orientate in linea con la direzione della forza di trazione che agisce su di esse. Con
l’aumento della tensione avviene un allineamento delle fibre, per cui la lunghezza della struttura
aumenta (fenomeno del creeping).Le strutture di collagene si adattano ad un allungamento
prolungato. Da un lato si può osservare una riduzione della tensione a lunghezza costante: cioè
quando una struttura di collagene viene allungata fino ad una certa lunghezza si produce un
allentamento delle tensione. Dall’altro si può osservare un aumento della lunghezza a tensione
costante: cioè nel caso di allungamento senza variazioni di tensione, si produce un aumento
di lunghezza della struttura stirata che ritorna al suo stato iniziale solo molto lentamente dopo
l’allungamento stesso (Ulrich, Gollhofer 1994). Quando vengono allungate fibre isolate di
collagene si possono osservare incrementi di lunghezza di un ordine di grandezza dal 2 al 5% della
condizione iniziale (Zernicke, Loitz 1994). Taylor (1990), basandosi su un modello animale è
riuscito a dimostrare la rilevanza della costanza di lunghezza o di tensione del complesso muscolotendineo nelle tecniche dinamiche o statiche di allungamento abituali. Nel caso di un allungamento
rapido muscolatura e tendini sono in grado di accumulare energia cinetica (Hujing 1994; Komi
1994; Noth 1985). L’incremento della prestazione nel ciclo allungamentoaccorciamento si produce
attraverso un potenziamento dei meccanismi elastici e neuronali. Nel caso di allungamenti poco
ampi e veloci la short range stiffness contribuisce notevolmente ad un migliore andamento della
forza del muscolo. Taylor (1990) è riuscito a dimostrare il cambiamento delle curve di isteresi, cioè
il cambiamento dei rapporti tra lunghezza e tensione, in funzione della velocità di allungamento.
Velocità d’allungamento più elevate producono anche forze più elevate nel complesso muscolotendineo. Qui svolgono un ruolo anche le interazioni tra tendine e muscolatura (Hujing 1994; Noth
1985). Se il muscolo viene allungato in un ordine di grandezza dallo 0,1 allo 0,2% della sua
lunghezza a riposo, nei ponti trasversali può essere accumulata energia. Le qualità di isteresi del
muscolo dipendono anche dalla lunghezza del tendine. Un tendine più lungo migliora il grado di
escursione motoria della muscolatura. Noth (1985) cita un lavoro di Nichols, Houk (1976):
“secondo il quale non sono nè la forza nè la lunghezza del muscolo i parametri che vengono
determinati e controllati dall’organismo, ma il parametro da regolare è l’elasticità del muscolo”.
Mentre i cambiamenti morfologici a breve termine non sono interpretabili in modo univoco,
esperimenti su animali forniscono un quadro molto unitario per quanto riguarda i cambiamenti
morfologici a medio termine. In un esperimento su animali si è riusciti ad osservare un aumento
del numero dei sarcomi nel muscolo in direzione longitudinale già dopo un
allungamento prolungato di una settimana, mentre l’aumento di spessore si produceva
solo successivamente (Holly et al 1980). Tabary et al. (1972) sono riusciti a stabilire un aumento
reversibile del numero dei sarcomeri a seconda del grado di allungamento. Secondo Williams,
Goldspink (1978) il muscolo cerca, continuamente, di mantenere una sovrapposizione ottimale tra
actina e miosina, in modo da garantire una tensione ottimale del muscolo stesso. La lunghezza dei
singoli sarcomeri perciò resta costante ed ammonta in tutti i muscoli degli animali omeotermi a
circa 2,2 μm (Penzlin 1977). Se anche nell’uomo si produca un aumento del numero dei sarcomeri,
continua ad essere oggetto di discussioni controverse (Taylor et al. 1990; Gajdosik 1991;
Ullrich, Gollhofer 1994; Wiemann 1994). Nell’uomo, diversamente dai modelli di sperimentazione
animale non sono possibili esperimenti invasivi con conteggio finale dei sarcomeri. Per cui, in
questo caso è possibile soltanto trarre conclusioni indirette sui cambiamenti morfologici interni,
basandosi sull’osservazione esterna. Wiemann (1994), nelle sue analisi, parte dalla considerazione
che la forza massimale di un muscolo dipenderebbe dal grado ottimale di sovrapposizione
dell’actina e della miosina (Fig. 3). L’entità della forza e l’angolo ottimale per produrre la
forza massima possono essere misurati.
Figura 3 – rappresentazione grafica della forza esplicata dal muscolo in rapporto al grado di
lunghezza del sarcomero.
Se, attraverso un programma di stretching, si riuscisse a produrre un aumento di lunghezza del
muscolo, cambierebbe in modo negativo il grado di sovrapposizione tra actina e miosina. “Secondo
questa ipotesi nel diagramma forza-lunghezza del muscolo dopo un trattamento di allungamento la
forza massimale dovrebbe essere raggiunta con un angolo articolare maggiore, cioè con una
lunghezza momentanea maggiore, che in precedenza” (Wiemann 1994). Nel suo programma
di allenamento, durato dieci settimane, Wiemann non è riuscito ad osservare cambiamenti
corrispondenti nel diagramma forza-lunghezza, per cui ne deduce che migliore mobilità non può
essere spiegata da cambiamenti morfologici intesi in termini di un aumento della lunghezza del
muscolo. Edman (1994) fa osservare che sarebbe difficile trarre conclusioni sul comportamento del
singolo sarcomero dal rapporto lunghezza-tensione dell’intero muscolo, in quanto, anche all’interno
di una stessa fibra muscolare, i sarcomeri si potrebbero comportare in modo molto diverso (Roy,
Edgerton 1994). Edman parla di una “eterogeneità intrafibrillare”, che potrebbe fare sì che,
all’interno di una fibra le differenze di forza massima tra i sarcomeri potrebbero essere della stessa
grandezza di quelle tra le varie fibre. Inoltre la lunghezza ottimale delle singole fibre muscolari
non necessariamente deve coincidere con la lunghezza ottimale dell’intero muscolo (Huijing 1994).
Per quanto riguarda i lavori di Wiemann occorre anche dire che il suo campione era composto da
soggetti giovani, che non mostravano limitazioni funzionali e che svolgevano le attività normali
della loro vita quotidiana tra le unità di allenamento. Probabilmente gli effetti di tali attività hanno
prevalso sugli effetti dell’allungamento. Si deve supporre che l’optimum del numero di sarcomeri
sia regolato in modo tale da essere garantito per quella lunghezza del muscolo con quale viene
sviluppata la massima tensione attiva e passiva possibile nelle condizioni normali della vita
quotidiana” (Goldspink 1994). Goldspink (1994) parte dall’ipotesi che anche negli adulti il numero
dei sarcomeri non sia fisso, ma che in caso di bisogno possa variare in pochi giorni. Gajdisik (1991)
ha scelto un altro approccio al problema. Nel suo studio ha introdotto non soltanto il criterio della
massima escursione di movimento raggiungibile, ma anche quello dell’escursione del movimento
raggiungibile fino al limite della comparsa di cambiamenti nell’EMG. Egli ritiene che i
miglioramenti osservati di mobilità massima e di trazione massima tollerata senza che si presentino
cambiamenti dell’EMG, corrispondano ai cambiamenti di lunghezza del muscolo che si possono
osservare in esperimenti su animali. Ullrich, Gollhofer (1994) sono sicuri che gli effetti a lungo
termine di un programma di allungamento, in primo luogo, sarebbero di tipo strutturale e che
sembrerebbe molto più plausibile spiegare un aumento dell’escursione del movimento con il
cambiamento di plasticità del tessuto connettivo che con meccanismi nervosi. Rispetto alle varie
modalità di mobilità articolare, il metodo dello stretching cerca di ridurre al massimo il riflesso da
stiramento indotto dai fusi neuromuscolari (Riflesso miotattico). Per questo, in questa tecnica di
allungamento, il rischio di infortuni è ridotta al minimo. Inoltre, nello stretching, viene sfruttato il
riflesso inverso da stiramento dei fusi neuro-tendinei del Golgi, che si trovano sull’inserzione
muscolo-tendinea.
Quest’ultimi sono, primariamente, recettori della tensione e proteggono il muscolo dal suo sviluppo
eccessivo. Tuttavia, reagiscono anche a stimoli di allungamento. Però, la loro soglia di eccitazione
agli stimoli di allungamento è notevolmente più elevata dei fusi neuromuscolari. Per questa ragione,
è necessario un allungamento notevolmente intenso dell’unità funzionale muscolo-tendinea, perché
entrino in funzione come recettori dell’allungamento. Quando lo stato di allungamento del muscolo
supera una certa soglia, improvvisamente, per azione dei fusi neurotendinei, si interrompe la
tensione muscolare di protezione del muscolo( che fino a quel momento era stata indotta dai fusi
neuromuscolari in misura proporzionale all’allungamento) e, quindi, il relativo muscolo si rilassa.
Si parla di inibizione autogena, un processo che deve servire a proteggere il muscolo o
l’inserzione muscolare. In realtà, il riflesso inverso da stiramento può essere innescato attraverso
due modi: Da un lato attraverso una contrazione molto intensa (massimale), dall’altro attraverso un
forte stimolo di allungamento. A seconda dei 6 metodi di stretching, si ricorre in modo più o meno
accentuato all’utilizzazione di ambedue i meccanismi (Weineck 2001). Infine, la fisiologia della
mobilità articolare, e quindi anche dello stretching, presenta importanti differenze di genere ed età.
Come riportato dagli studi di Cotta (1978), i soggetti giovani presentano una maggiore plasticità
strutturale, favorita dal maggiore potere idrofilo dei tessuti. Con l’ aumentare dell’ età, la
progressiva disidratazione dei tessuti decrementa la loro capacità di allungamento e quindi le loro
proprietà elastiche. Koinzer (1978) ha dimostrato la differenza di mobilità articolare tra i maschi e
le femmine. Questa tesi è stata avvalorata da Ganong (1972) il quale ha sostenuto che tale
differenza di genere, sarebbe da ricondurre a differenze ormonali. Nello specifico, al maggior tasso
di estrogeni presente nel sesso femminile il quale da un lato, provoca una maggiore ritenzione
idrica, dall’altro è responsabile dell’ aumento di tessuto adiposo a scapito della massa muscolare.
I metodi dello stretching
Come nell’allenamento delle varie qualità fisico-organiche, anche lo stretching si avvale di varie
metodologie per lo sviluppo della mobilità articolare. Tra i metodi più diffusi si distinguono:

Trazione passiva od allungamento permanente
Questo metodo di stretching, consiste nel raggiungere e mantenere una posizione estrema di
allungamento. Generalmente viene suddiviso in due fasi: l’allungamento “Facile” e quello
“intensivo”. Nel primo (easy stretch) si rimane per 10 s nella posizione quasi estrema, nel
secondo (development stretch), ci si allunga ancora un po’ restando altri 10-30 s nella posizione
finale (Fig. 4) (Weineck 2001).

Metodo della contrazione – rilassamento – allungamento con utilizzazione dell’
autoinibizione (CR)
In questo metodo, il muscolo che deve essere allungato prima viene contratto al massimo.
Attraverso questa tecnica viene sfruttata l’azione del riflesso inverso da stiramento prodotto dai
corpuscoli tendinei del Golgi. Prima di iniziare l’allungamento di un determinato gruppo muscolare,
i muscoli interessati vengono contratti isometricamente per circa 6-10 s poi vengono rilassati
completamente per 2-3 s ed infine allungati per altri 10-30 s (Fig. 5) (Sölveborn 1983).
Figura 4 – Esempio del metodo della Trazione passiva
Figura 5 – Esempio del metodo della contrazione – rilassamento – allungamento con
utilizzazione dell’ autoinibizione (CR)

Metodo della contrazione – rilassamento – allungamento con utilizzazione dell’
inibizione reciproca (CRS)
Il presente metodo, sfrutta la cosiddetta inibizione reciproca: se si contrae un muscolo, per via
riflessa si provoca un rilassamento dei suoi antagonisti. L’ inibizione reciproca viene sfruttata nel
senso che l’antagonista del muscolo che deve essere allungato viene contratto al massimo, per cui
l’agonista, rilassato per via riflessa, può essere inserito in modo ottimale nel processo di
allungamento (Fig. 6) (Weineck 2001).
Figura 6 – Esempio del Metodo della contrazione – rilassamento – allungamento con
utilizzazione dell’ inibizione reciproca (CRS)

Combinazione tra contrazione – rilassamento – allungamento con contemporanea
contrazione degli antagonisti (CRAC)
In questo metodo combinato, si cerca di unire i vantaggi di un maggiore rilassamento, per via
riflessa, di due meccanismi di contrazione e di rilassamento della stessa direzione (Weineck 2001).
Nello specifico, i muscoli interessati vengono inizialmente condotti in una posizione
di allungamento parziale, successivamente si produce una contrazione isometrica dei suoi
antagonisti per 6-8 s seguita da un periodo di rilassamento dalla contrazione di 2-4 s, concludendo
con il massimo allungamento dei muscoli in oggetto per 20- 60 s (Fig. 7).
Figura 7 – Esempio del metodo della Combinazione tra contrazione – rilassamento –
allungamento con contemporanea contrazione degli antagonisti (CRAC)
Nell’ esecuzione delle tecniche di stretching, indipendentemente dalla tipologia di metodo
utilizzato, risulta di fondamentale importanza il processo respiratorio. Infatti, l’azione di
diminuzione del tono, prodotta dallo stretching, viene ulteriormente rafforzata, se si fa attenzione a
respirare regolarmente e tranquillamente. Nello stretching, va completamente evitata la
respirazione “compressiva” che si osserva così spesso nel normale allenamento della
mobilità articolare, in quanto essa produce un aumento non voluto del tono muscolare.
L’aumento della pressione interna polmonare, prodotta da un respirazione “compressiva”, attraverso
il cosiddetto riflesso pneumomuscolare, modifica lo stato funzionale della muscolatura scheletrica
in direzione di un aumento della tensione o della forza, auspicabile nelle prestazioni di forza, ma
non nell’ allenamento della mobilità articolare (Zaciorkij 1977). Infine, merita una particolare
attenzione anche la struttura applicativa dei vari metodi di stretching.
Dato che l’efficacia di un’ unica esecuzione di un esercizio o di singoli esercizi di allungamento
massimo è insufficiente per ottenere un effetto di allenamento, sarebbe utile stabilire il numero delle
ripetizioni a circa 15, quello delle serie a circa 3-5 ( Harre 1976; Senneiew 1964). Tuttavia
l’efficacia delle tecniche di stretching dipendono in misura notevole anche dalla temperatura interna
ed esterna e da tutti i meccanismi che possono influenzarle ( Riscaldamento, bagni caldi, ecc.).
Grosser (1970), studio gli effetti delle varie forme di riscaldamento sull’organismo e giunse alle
seguenti conclusioni in ordine di efficacia: 1. bagno in una vasca ( 5 min. a 40°); 2. 15 min. di
riscaldamento speciale; 3. 20 min. di massaggio manuale; 4. riscaldamento mentale; 5. 15 min. di
riscaldamento generale; 6. 15 min. di riscaldamento attraverso un gioco; 7. nessun riscaldamento, a
20°; 8. nessun riscaldamento a 10°.
Lo stretching nella prestazione sportiva
È possibile elencare gli effetti degli esercizi di stretching rispetto a tre diverse situazioni:


Prima della performance, per una “preparazione” più efficace alla gara;
Dopo la performance, per un migliore “recupero”;


Come tecnica per migliorare la mobilità articolare;
Per la prevenzione od il recupero dagli infortuni.
L’ importanza della pianificazione di un programma regolare di stretching, dopo un allenamento di
forza, di sprint e di rapidità, è evidente solo se si considera che questi tipi di allenamento, inseriti in
una prospettiva a lungo termine, conducono ad un notevole aumento del tono muscolare e, quindi,
viene ancora più rafforzata la tendenza ad accorciarsi della muscolatura interessata alla
prestazione (Weineck 2001). Infatti, già dopo un unico allenamento della forza, la mobilità o la
capacità di allungamento del muscolo che viene allenato diminuisce dal 5 al 13%. Si tratta di una
riduzione che si mantiene fino a 48 ore dopo la fine dell’allenamento. Se, invece, l’allenamento
della forza viene concluso da un allenamento della mobilità articolare, si produce un miglioramento
della mobilità articolare, che dura anche esso 48 ore (Sölveborn 1983). Per la
prassi dell’allenamento, ne consegue che non deve essere svolto alcun allenamento della forza,
dello sprint o della forza rapida che non sia accompagnato o concluso da un programma di
stretching. Tuttavia, non tutti i metodi di stretching sono ugualmente adatti ad un recupero rapido
nella fase successiva al carico. Secondo Shobert et al. (1990), l’allungamento intermittente
(alternanza di allungamento e rilassamento ogni 10 secondi) è quello che contribuisce meglio ad un
rapido recupero dopo un carico, in quanto questa alternanza favorisce il ritorno alla normalità delle
condizioni dell’irrorazione sanguigna, l’eliminazione delle scorie dei processi metabolici e la
ricostruzione delle riserve energetiche. Ad esempio, nel caso del recupero, il metodo dell’ easy
stretch (ES), eseguito per un periodo prolungato (fino a due minuti), è simile ad un lavoro
isometrico ed influisce negativamente sull’irrorazione sanguigna, danneggiando la
trasformazione d’energia per via ossidativa. Inoltre, per fare in modo che la rigenerazione inizi
il più rapidamente possibile, il programma di stretching, sotto forma di allungamento intermittente,
deve essere immediatamente successivo al carico di allungamento o di gara (Weineck 2001). Un
alto impiego delle metodologie di stretching è durante la fase di riscaldamento pregara o preallenamento. In questi casi però, è necessario prestare una particolare attenzione all’ applicazione
delle varie tecniche di stretching. infatti, un utilizzo di quest’ultimo in misura prolungata e
soprattutto intensiva, può risultare controproducente per la prestazione a causa di quei fenomeni
microtraumatici, a carico delle strutture muscolo-connettivali, tipiche delle manovre di stretching di
tipo intensivo (development stretch, DS). Di conseguenza, per evitare che ciò possa accadere, sarà
fondamentale applicare delle manovre di allungamento submassimali e non massimali, come ad
esempio l’ easy stretch (ES). Un fattore fondamentale che va tenuto conto nella somministrazione
degli esercizi di stretching, è il processo di affaticamento muscolare che si instaura durante una
prestazione sia di gara che di allenamento. Tale condizione, conduce ad una progressiva riduzione
delle capacità di allungamento muscolare, in particolare in seguito ad una eccessiva acidificazione
che, di conseguenza, induce una maggiore rigidità della struttura muscolare e quindi un calo della
mobilità articolare. Anche una riduzione delle riserve di ATP muscolare provocano una riduzione
dei processi di allungamento (Weineck 2001). In conclusione, lo stretching sia prima (Preparazione
al carico, prevenzione intensa dagli infortuni) come anche dopo i carichi di allenamento e di gara (
accelerazione della rigenerazione) rappresenta un importante strumento che permette di migliorare
l’ allenamento. Però deve essere affermato che lo stretching non può essere applicato a tutte le età e
non dovrebbe essere l’unico metodo che viene utilizzato per migliorare la mobilità articolare
(Weineck 1990).
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Autore: Dott. Roberto Papaianni
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