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Lisia e la professione di logografo
Tra il V e il IV secolo ad Atene il cittadino, che era tenuto per leggere a
pronunciare personalmente i discorsi nella causa che lo riguardava, si
rivolgeva ad un professionista (il logografo) per la stesura del discorso.
La consulenza del logografo era molto costosa e per questo il cliente aveva
tutto l’interesse ad appendere la tecnica di elaborazione dei discorsi per
successive occasioni.
I discorsi, poi, una volta terminata la causa, finivano nel mercato librario,
dove gli ateniesi potevano trovare il discorso che più degli altri si
adattavano al loro scopo
Dal canto loro i librai, per vendere meglio, potevano attribuire grandi
oratori discorsi di comuni cittadini senza che nessuno si preoccupasse di
rivendicarne la paternità.
Il mestiere di logografo infatti non era considerato troppo onorevole, come
ci insegna il caso di Isocrate che cercava di nascondere questo aspetto della
sua attività di oratore. E si può aggiungere che molti dei più celebri
logografi, tra i quali lo stesso Lisia appunto, non erano cittadini di pieno
diritto, ma meteci.
I logografi più bravi guadagnavano grandi somme di denaro, ma venivano
guadagnati con diffidenza. A questo si aggiunga anche all’accusa di avidità
rivolta a chi praticava questo professione. Insomma nessuno si vantava di
fare il logografo né, tanto meno, cercava di difendere la paternità dei suoi
scritti da false attribuzioni.
Sotto il nome di Lisia perciò potevano circolare sia discorsi scritti in
collaborazione con il cliente sia discorsi scritti da Lisia per intero, ma
ovviamente adattati al cliente sia, infine, discorsi scritti da altri e attribuiti a
Lisia dai librai.
Aristotele, che conosceva bene il mercato librario dell’Atene del IV secolo
a.C., pur citando passi di orazioni tramandate sotto il nome di Lisia, non lo
menziona mai come autore, sapendo certamente che le attribuzioni
poggiavano su basi inattendibili.
Così, secondo la tradizione, la sua attività in questo campo fu prodigiosa: si
credevano autentici ben 233 dei 425 discorsi attribuitigli (ma a noi ne sono
pervenuti, oltre un certo numero di frammenti, solo 34, non tutti di
indiscussa paternità) e si diceva che due volte sole avesse perso la causa
affidatagli.
Giustamente celebrate per la chiarezza del dettato, la vivacità e la finezza
psicologica con cui sono presentati i vari personaggi, le orazioni di Lisia (Per
l'invalido e Per l'uccisione di Eratostene) restano in Grecia insuperato
esempio di quel "genus dicendi" tenue che, presso i Romani, Cesare doveva
portare alla più grande altezza.
Dei discorsi conservati e databili con sicurezza, l'ultimo, frammentario (Per
Fereníco) cade tra il 382 e il 379: la morte di Lisia, accettando nella
controversa questione dei limiti cronologici l'informazione di Dionigi
d'Alicarnasso che sia deceduto a 80 anni, si colloca verso il 360.
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