CAPITOLO V: IL COLONIALISMO E LA RIVOLUZIONE AMERICANA

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CAPITOLO V: IL COLONIALISMO E LA RIVOLUZIONE AMERICANA
Sul finire del 700 nella parte settentrionale del continente americano, i coloni britannici si ribellarono
all’autorità del sovrano di Londra. Lo scontro si concluse con la nascita di un nuovo continente: Gli Stati
Uniti d’ America. “Nuovo” non solo perché appena nato, ma anche per la sua organizzazione politica e
sociale, inedita rispetto a quella degli stati Europei. Nel XVIII secolo, l’Inghilterra continuò ad espandere
il proprio impero coloniale e commerciale nel mondo. Nell’area indiana, andò progressivamente togliendo
potere commerciale e politico alle due principali concorrenti, Francia e Olanda.
In Nord America si aprì una crisi del sistema coloniale inglese,che per l’Inghilterra finì per tradursi in un
duro colpo sul piano del prestigio politico, le colonie americane avevano chiesto di essere rappresentate nel
Parlamento inglese. Di fronte al netto rifiuto apposto dall’Inghilterra,i coloni scelsero una via fino a quel
momento inesplorata,quella della lotta per l’indipendenza.
La guerra si concluse nel 1781 con la vittoria degli insorti, che proclamarono la nascita degli Stati Uniti
d’America.
L’EVOLUZIONE DEL QUADRO ECONOMICO EUROPEO NEL XVIII SECOLO
Nel XVIII secolo, il comando tra le nazioni passò decisamente a Francia e Inghilterra,a danno
soprattutto dell’Olanda. A questo consolidamento si associava, anche un forte interesse per
l’acquisizione di nuovi territori.
La tensione espansionistica francese e inglese si spiega facilmente se si considera il notevole
sviluppo economico che questi due Paesi avevano ormai raggiunto, l’aumento della produzione
manifatturiera e poi di quella industriale. La rivalità e le occasioni d’attrito tra le potenze
francese e inglese non mancarono di manifestarsi, fin dall’inizio del secolo.
In America settentrionale c’erano colonie della corona francese mentre l’Inghilterra puntava
chiaramente all’egemonia coloniale in Asia.
Dopo una lunga serie di scaramucce tra le compagnie commerciali dei due paesi, gli inglesi,
affermarono la loro netta superiorità e ottennero il controllo totale del continente nordamericano,
mentre i francesi rinunciarono alle loro posizioni.
Da quel momento, il Nuovo Continente cessò di rappresentare l’obiettivo preferenziale
dell’espansionismo europeo.
 L’INDIA, LA CINA, IL GIAPPONE, LA RUSSIA
Nel '700, l'India è una regione assai popolata. E' però vittima di invasioni e in generale si trova in
una situazione di anarchia per cui la vita, assai dura per la popolazione locale , è difficile anche per i
mercanti europei. Nella prima metà del '700 diminuisce l'interesse per questo paese da parte della
Compagnia delle Indie olandese mentre si verifica un crescente rafforzamento di quella inglese
che per altro deve misurarsi con le ambizioni che anche i Francesi hanno nei confronti di quella
regione. I mercanti stranieri, devono confrontarsi con i vari poteri locali via via emergenti, a cui
offrono i loro servizi e anche aiuti militari finché maturano essi stessi l'idea di una conquista
definitiva di quella regione. I primi a prendere questa strada sono i Francesi che, a partire dal 1748,
sostengono due guerre; ma ben presto anche gli Inglesi manifestano gli stessi intenti e per la loro
potenza risultano vincenti. I Francesi rinunciano al progetto di conquista dell'India e rivolgono il
loro interesse verso l'Indocina. Nel 1756, ci sarà una rivolta contro gli Inglesi nel Bengala, ma
fallirà per l'opposizione degli stessi mercanti indiani. I mercanti inglesi si dedicano all'esportazione
del pepe, ma soprattutto delle stoffe di cotone nei mercati europei e anche in quelli asiatici e sono
questi mercati a guidare e a condizionare tutta l'industria tessile indiana. Naturalmente il maggior
sviluppo industriale si verifica nelle zone più vicine al mare.
La Cina nel '700 si trova sotto gli imperatori manciù, la cui dinastia era succeduta a quella dei
Ming nel 1644. Durante l'impero dei Manciù essa ha un grande sviluppo sia economico che
demografico. L'amministrazione guidata dai mandarini è molto efficiente e ne trae vantaggio
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anche l'agricoltura: aumenta la superficie coltivata a ciò si accompagna il potenziamento della rete
irrigua; accanto alla coltivazione del riso e del frumento appare il mais importato dall'Europa. Gli
imperatori manciù riprendono il progetto di espansione nell'Asia centrale, ma cominciano a
chiudersi nei confronti degli stranieri. Di questo atteggiamento faranno le spese anche i
missionari.
Il Giappone, invece, resta un paese ancorato a un modello feudale. I tentativi degli olandesi di
stabilire contatti commerciali con quelle isole falliscono nel corso del 18esimo secolo. In questo
modo il Giappone si chiude completamente ad ogni rapporto anche culturale proveniente
dall'esterno.
Nel XVIII secolo, la Russia aveva esteso i propri confini verso la Siberia ed aveva esteso e
rafforzato il suo controllo sul Mar Nero e il Mar Caspio.
LE COLONIE INGLESI
In seguito alla guerra dei Sette anni la situazione delle colonie inglesi mutava sensibilmente. Le
colonie del nord avevano una struttura economica basata su piccole proprietà terriere, su un'attività
artigianale e sul commercio. Le colonie del centro, nate su un territorio colonizzato dagli Olandesi
a cui si erano poi sostituiti gli Inglesi, si erano sviluppate per iniziativa di quei governi; la loro
struttura economica era pertanto simile a quella delle colonie del nord. I vincoli imposti dagli
inglesi che, per proteggere i loro prodotti,. non consentivano la nascita di industrie locali e
imponevano tasse cominciarono a suscitare reazioni negative contro la madrepatria Le colonie del
sud, fondate soprattutto da compagnie commerciali e da qualche personaggio ricco e potente,
avevano un'economia caratterizzata da grandi piantagioni Per la loro dimensione risultava
insufficiente la forza-lavoro della popolazione locale; iniziò così la tratta dei negri dall'Africa.
A tutte le colonie l'Inghilterra, per non subire danni economici, impose di produrre solo materie
prime e di commerciare solo con essa.
Le colonie americane erano dunque caratterizzate da notevoli differenze ambientali, economiche
e sociali. Anche sul piano politico mancava una seria motivazione all’unione, a eccezione del
comune legame con l’Inghilterra e della resistenza all’espansionismo francese. Ogni colonia era
amministrata da un governatore di nomina regia, cui si affiancava un’assemblea eletta dai
cittadini locali. Godevano di una certa autonomia amministrativa, ma la loro economia era
condizionata dagli interessi della madrepatria.
Tutte le colonie erano sottoposte dunque, a una rigida legislazione di tipo mercantilista, che prevedeva che
avessero rapporti commerciali solo con la madrepatria e che non producessero autonomamente ciò che
veniva prodotto in Inghilterra.
Quando non esisteva la proibizione esplicita, era il dazio a far desistere i coloni dall'acquisto di
merci provenienti da mercanti non inglesi.
Gli americani comunque non rispettavano sempre queste norme e il contrabbando prosperava,
tollerato dalle autorità centrali.
LA RIVOLUZIONE
Dal 1764 al 1768 il governo inglese, per aumentare le entrate fiscali impose la Legge sul bollo
(Stamp Act): ogni documento legale, contratto, giornale, pamphlet, calendario, sino alle carte da
gioco, veniva gravato di una tassa di bollo.
Lo Stamp Act provocò forte opposizione tra i coloni americani, che non volevano accettare di
essere tassati dal governo britannico senza per giunta avere una propria rappresentanza nel
Parlamento.
La protesta culminò nella convocazione dello Stamp Act Congress, assemblea di delegati di nove
colonie americane, nella quale i commercianti decisero di bloccare le importazioni dalla Gran
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Bretagna finché non fosse stata abolita la legge contestata. Lo scontro scatenato da questa legge
rappresentò uno dei principali episodi che portarono alla guerra d'indipendenza americana.
La causa scatenante che portò alla fase acuta della crisi fu la ribellione di Boston.
Il Boston Tea Party fu un atto di protesta compiuto da parte degli abitanti di Boston contro il
governo inglese che aveva affidato il monopolio del commercio del tè alla Compagnia
britannica delle Indie orientali, nel tentativo di arginare le difficoltà finanziare della compagnia
stessa. Gli inglesi reagirono isolando il porto di Boston: la città fu sottoposta a embargo
commerciale e le truppe britanniche imposero il coprifuoco.
La notte del 16 dicembre 1773 alcuni radicali bostoniani travestiti da pellirosse salirono su tre navi
appartenenti alla British East India Company ancorate nel porto, gettando in mare tutto il carico,
ben 343 casse contenenti tè, al grido di <<Niente tasse senza una rappresentanza politica>> (No
taxation without representation). A questo speciale "party" ne seguirono altri analoghi a Filadelfia e
New York.
Alcuni mesi dopo per contrastare queste proteste il Parlamento inglese approvò le famose "Leggi
intollerabili" (denominate così dai coloni), una delle quali portava il nome di Boston Port Act. ,
che stabiliva che il porto di Boston dovesse rimanere chiuso al traffico fintanto che la città di
Boston non avesse ripagato la East India Company per il danno subito con il Boston Tea Party.
Gli animi divennero roventi e, su proposta dell'assemblea della Virginia, nel settembre del 1774 si
riunì il Congresso di Filadelfia dove veniva confermato il blocco della merce proveniente
dall'Inghilterra e lanciato un appello al sovrano inglese affinché intervenisse contro il Parlamento
a favore delle colonie.
Intanto cominciarono i primi scontri tra esercito britannico e i soldati della colonia del
Massachusset che si trovavano a Boston. L'Inghilterra iniziò i preparativi per un invio di un
esercito.
In un secondo congresso a Filadelfia, nel maggio del 1775, si stabili di costituire un esercito
nazionale al comando di George Washington.
Non si arrivò però subito alla guerra, in quanto molti coloni, accanto all'insofferenza nei confronti
del Parlamento, nutrivano ancora una forma di lealismo verso la Corona britannica. Il re non seppe
tuttavia approfittare della situazione, ma incitò il parlamento ad irrigidirsi sulle sue posizioni.
Intanto nell'aprile del 1776, le colonie aprirono il loro commercio a tutte le altre nazioni e, nello
stesso anno le colonie dichiararono l’indipendenza. Il congresso, nuovamente riunito a Filadelfia
il 4 luglio del 1776, emanò la “ Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti ”, con la quale si
proclamava la nascita del nuovo stato.
La Dichiarazione segnò il vero inizio della Rivoluzione Americana, che 7 anni dopo si sarebbe
conclusa con la vittoria dell'" Esercito continentale " di George Washington sulle forze di re
Giorgio III d'Inghilterra.
Il conflitto tra le colonie e la madrepatria ebbe le caratteristiche di una guerra civile: le posizioni
non erano unanimi, né tra gli Americani, né tra gli inglesi. Molti dei coloni offrirono aiuti
all'Inghilterra.
La guerra all'inizio ebbe alterne vicende. Poi l'esercito americano, in cui erano arruolati anche
stranieri, ottenne nel 1777 una grande vittoria a Saratoga, vittoria che ebbe soprattutto l'effetto di
convincere le grandi potenze europee a schierarsi contro l'Inghilterra.
Francia e Spagna così entrarono in guerra a fianco degli Stati Uniti.
La sconfitta a Yorktown nel 1781 segnò la resa per l'Inghilterra. Nel 1783 si concluse il trattato
di Versailles, con il quale veniva riconosciuta l'indipendenza delle 13 colonie americane.
ISTITUZIONI E PROBLEMI DELLA CONFEDERAZIONE
Nonostante la dichiarazione di indipendenza, non si formò uno stato unitario. Molte colonie si
diedero autonome costituzioni, furono approvati articoli di confederazione.
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Gli Stati Uniti nacquero così come una confederazione di stati. Molti però sentivano l'esigenza di
un governo centrale forte. Nacque così la richiesta di trasformare la confederazione in una
federazione.
Una confederazione è un'unione tra stati che restano indipendenti ma si propongono obiettivi
comuni. Una confederazione ha un organo centrale il quale non può prendere decisioni che non
siano accettate da tutti gli stati. Una federazione è un'unione tra stati che stabiliscono tra di loro
rapporti più stretti di quelli che esistono in una confederazione. L'organo centrale di una federazione
può prendere decisioni senza prima consultarsi con i governi degli stati federali.
La convenzione federale si riunì, così, a Filadelfia nel maggio del 1787.
Nel settembre del 1787 il progetto di costituzione federale venne sottoposto all'approvazione di
tutti gli stati.
• il potere legislativo fu assegnato al Congresso, composto dal Senato e dalla Camera dei
Rappresentanti, eletti a suffragio diretto; il Congresso aveva il potere di imporre i tributi in ambito
nazionale, di provvedere alla difesa e dichiarare guerra, di regolare i rapporti commerciali interni e
con l'estero e di fissare ed emettere la moneta.
• Il potere esecutivo fu attributo al Presidente, eletto a suffragio indiretto ogni 4 anni; egli aveva
il comando delle forze armate, la facoltà di nominare i giudici della corte suprema e di firmare i
trattati internazionali;
• Il potere giudiziario era affidato alla Corte suprema e ad altri tribunali minori nominati dal
congresso;
Nel 1789 Washington fu eletto presidente e nel 1792 fu rieletto. Nel 1789 Washington ottenne 69
voti contro 34 andati a John Adams, che fu nominato vicepresidente. Anche nel 1792 Adams fu
sconfitto, ma nel 1796 riuscì a prevalere su Thomas Jefferson, diventando così il secondo
presidente degli Stati Uniti.
Una caratteristica del nuovo Stato fu la sua Costituzione aperta, arricchita di nuovi emendamenti.
La Costituzione aveva assicurato la libertà ai cittadini americani, ma aveva lasciato aperto il
problema della schiavitù e il problema degli indiani.
Ogni stato adottava in materia di schiavi una propria politica per cui solo gli Stati del Sud restarono
favorevoli alla schiavitù perché la loro agricoltura era fondata sulle piantagioni di cotone che erano
coltivate dagli schiavi.
La schiavitù era stata riconosciuta ufficialmente nel 1661. A metà Seicento vivevano in Virginia
solo alcune centinaia di servi neri, ma nei decenni successivi il numero degli schiavi crebbe in
proporzioni uguali a quello degli uomini liberi. Fu così che Thomas Jefferson cominciò a sostenere
che la massiccia presenza di stranieri, dovuta sia alle esigenze economiche sia al desiderio degli
americani di produrre un rapido popolamento con la maggiore importazione di stranieri possibile,
potesse mettere a rischio la struttura istituzionale degli Stati Uniti.
Nel 1794, fu vietato il traffico di schiavi dagli Stati Uniti a paesi stranieri e nel 1807, fu proibita
l’importazione di schiavi in tutti i porti che si trovavano sotto la giurisdizione statunitense. Queste
decisioni furono prese, oltre per motivi umanitari, anche perché era cessata l’esigenza economica.
Anche gli indiani erano rimasti fuori dalla formazione del nuovo stato. I pionieri che si spingevano
verso il lontano occidente occupavano parti sempre più vaste della riserva che era stata loro
assegnata dal Governo britannico, riducendola sempre più. Questa avanzata non solo costrinse i
pellirosse a ritirarsi, ma distrusse anche le basi della loro economia, fondata principalmente
sull’agricoltura e sulla caccia.
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