Organismi transgenici, di Edoardo Boncinelli

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Animali Transgenici e chimere
Approfondimento tratto dal Dizionario di Biologia – UTET 2004; voce
curata da Edoardo Boncinelli
ORGANISMI TRANSGENICI
Un organismo transgenico è un organismo il cui genoma è stato alterato sperimentalmente:
a) aggiungendovi un gene (esogeno), spesso detto transgene oppure
b) modificando o distruggendo uno specifico gene (endogeno) già presente in esso.
Gli scopi possono essere molto diversi, anche se sempre correlati con l’analisi in vivo della
funzione di geni specifici.
Aggiungendo un gene esogeno al genoma un organismo, si può osservare che cosa accade
all’organismo portatore del nuovo gene. Poiché il gene viene inserito in un sito genomico
casuale, non sempre sarà in grado di esprimersi. Per compiere le osservazioni occorrerà allora
selezionare quegli organismi nei quali il transgene si esprime.
Prima di essere introdotto, il transgene può essere modificato in vari modi e/o può essere
posto sotto il controllo di regioni regolative (anch’esse esogene) allo scopo di aumentare la
probabilità di una sua apprezzabile espressione oppure, al contrario, per saggiare in vivo il
ruolo di tali regioni.
L’aggiunta di un transgene al genoma di un organismo può avere anche scopi terapeutici o
economici. Nel primo caso si tenta di surrogare una funzione genica mancante. Nel secondo si
cerca di far produrre all’organismo transgenico in questione una sostanza che normalmente
non produrrebbe. Questa può essere un farmaco raro, un nuovo farmaco o più in generale un
prodotto biochimico che si ritenga di qualche utilità.
Si può inserire un frammento di DNA in un sito predeterminato del genoma dell’organismo
transgenico, che in genere è rappresentato da uno specifico gene. Questa operazione ha un
nome particolare: modificazione genica mirata o gene targeting. A seconda del frammento di
DNA che si introduce, si possono contemplare varie situazioni:
1) Si può inattivare un determinato gene endogeno, cioè sopprimerne completamente l’azione.
In questo caso viene inserito all’interno del gene da inattivare un frammento di DNA la cui
natura non é rilevante. La sequenza codificante del gene endogeno viene così interrotta con il
risultato di sopprimerne l’azione: non può quindi essere sintetizzata la corrispondente proteina.
Se si sta studiando il topo si dice che si è prodotto un topo knock-out per quel determinato
gene.
La funzione primaria di un numero enorme di geni è stata studiata attraverso l’analisi del
fenotipo di topi nei quali è stata soppressa l’attività di specifici geni. La produzione di topi
knock-out per i geni più diversi è divenuta oggi una vera e propria industria.
2) Si può modificare un gene endogeno, introducendovi delle alterazioni mirate, senza
necessariamente inattivarlo. Si tratta di una variante molto feconda della procedura
precedente, la cui messa in pratica non si presenta però altrettanto agevole. Introdurre un
certo numero di mutazioni mirate in un gene mette a disposizione la maniera più conveniente
e rigorosa di studiare la funzione di un gene. La sua inattivazione totale porta infatti in primo
piano spesso solo un suo aspetto che non è necessariamente il più istruttivo anche se
certamente è quello più importante. Questo sarebbe quindi un metodo ideale se la sua
esecuzione non fosse troppo lunga e impegnativa.
3) Si può inserire la regione codificante di un transgene nella regione genomica di un gene
endogeno. Questa procedura, detta spesso di knock-in, comporta l’inattivazione del gene
endogeno bersaglio ma nello stesso tempo permette l’analisi delle conseguenze
dell’espressione del transgene secondo le modalità, spaziali e temporali, del gene bersaglio. Si
tratta di una metodologia sviluppata in tempi recenti, ma che già ha doto risultati molto
interessanti soprattutto nel campo della biologia dello sviluppo. Così facendo infatti si può
cambiare a piacimento il dominio d’espressione di un gene e osservarne gli effetti. Una
variante di questa procedura, che in verità è stata messa a punto in precedenza diversi anni fa,
è la cosiddetta ablazione genetica (genetic ablation). In questo caso il transgene che si
inserisce nella regione gnomica di un determinato gene endogeno codifica un prodotto tossico
per la cellula che lo ospita. Le cellule nelle quali si esprime il gene endogeno muoiono perché si
trovano a contenere il prodotto tossico. Si tratta di uno strumento adatto a studiare il dominio
di espressione di un determinato gene che si è rivelato utile in alcune circostanze particolari,
soprattutto se si fa in modo che l’espressione del transgene tossico avvenga solo in specifiche
circostanze controllabili dallo sperimentatore.
Si possono rendere condizionali quasi tutti i mutanti creati con i metodi precedenti. I fenotipi
prodotti con i metodi suesposti sono costitutivi, cioè seguono necessariamente dalla
produzione dell’organismo transgenico. In certi casi è invece utile poter osservare un fenotipo
indotto a comando dallo sperimentatore. Questo si può ottenere producendo un organismo
transgenico che alberghi un transgene che si attiva solo se gli vengono somministrate alcune
sostanze inducenti, come steroidi o tetraciclina. Oppure si può costruire un organismo
transgenico in cui uno specifico gene endogeno viene inattivato solamente in certe circostanze,
ad esempio in presenza di un particolare enzima che é parte integrante del normale processo
di ricombinazione. In condizioni normali non succede niente, ma se si somministra l’enzima in
questione si registra un evento di ricombinazione e la regione implicata viene eliminata.
Per quanto concerne le metodologie specifiche per la produzione dei topi transgenici, queste
sono essenzialmente di due tipi e dipendono dall’obbiettivo che si vuole raggiungere. Se non si
mira ad un evento di integrazione specifica del transgene nel genoma dell’animale è sufficiente
iniettare il DNA del transgene in uno dei due pronuclei, in genere quello maschile, di uno
zigote, cioè di un uovo fecondato, e far poi sviluppare l’embrione risultante nell’utero di una
cosiddetta madre putativa. Una certa percentuale di topi nati da questi embrioni albergherà in
alcune cellule il transgene integrato casualmente in qualche sito del proprio genoma. Se invece
è importante che il transgene si vada ad inserire in un sito genomico predeterminato, è più
conveniente inserire il transgene in certe cellule particolari, dette cellule staminali embrionali o
ES, scegliere quelle in cui il transgene si è inserito nel sito desiderato e usare quelle e solo
quelle per produrre il topo transgenico.
Nell’uno come nell’altro caso si otterranno in prima battuta dei mosaici: alcune cellule di questi
animali conterranno il transgene, mentre altre no. Quello che interessa è che il transgene sia
presente in almeno parte delle cellule della linea germinale di questi primi animali e venga così
trasmesso alla prole. È necessario quindi ripetere la procedura diverse volte fino a quando non
si trovano alcuni topi capaci di trasmettere stabilmente il transgene alla prole.
Transgenico, organismo: definizione completa riportata nel Dizionario di Biologia – UTET 2004
Gene: unità elementare, contenuta nei cromosomi, cui si devono i caratteri ereditari.
Genoma: complesso dei geni presenti nei cromosomi di un organismo.
DNA: sigla che definisce l’Acido DesossiriboNucleico, composto chimico macromolecolare
(presente in tutte le cellule) portatore dell'informazione genetica.
Fenotipo: il complesso delle caratteristiche fisiche di un essere vivente che concorrono a
costituire il suo aspetto.
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