Liberi di integrarsi?

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A14
Il volume è stato sottoposto a peer review.
Lorenzo Ferrante
Liberi di integrarsi?
Espressioni della differenza nella città multietnica
Copyright © MMXV
Aracne editrice int.le S.r.l.
www.aracneeditrice.it
[email protected]
via Quarto Negroni, 15
00040 Ariccia (RM)
(06) 93781065
isbn 978-88-548-8360-4
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: febbraio 2015
A Ruggero,
che vivrà in un mondo
sempre più multietnico
Indice
11
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Premessa
Introduzione
Definire l’integrazione, 21 – Note all’introduzione, 29.
Sezione teorica
33
Capitolo I
La sfera religio-spirituale
1.1. Introduzione, 33 – 1.2. La religione: definizioni e funzioni, 34 – 1.3. Il
carattere indispensabile della religione come fattore identitario, 36 – 1.4. Il
rito estatico del Candomblé brasiliano, 38 – 1.5. Il rito dell’infibulazione,
41 –1.6.Alimentazione halal tra tradizione e rituali, 42 – 1.7. La questione
del velo islamico, 44 – 1.8. Conclusioni, 49 – Note al capitolo I, 51.
53
Capitolo II
La sfera politico-economica
2.1. Introduzione, 53 – 2.2. Gli spazi sociali del confronto: rinunce e
riconoscimento, 54 – 2.3. Sui diritti e i doveri dei migranti: dalla tolleranza
alla reciprocità, 56 – 2.4. Proposte di cittadinanza multiculturale, 59 – 2.5.
Il progetto multiculturale negli spazi urbani, 62 – 2.6. Fenomenologia di un
attentato, 66 – 2.7. Conclusioni, 69.
73
Capitolo III
La sfera identitaria
3.1. Introduzione, 73 – 3.2. Identità etniche: caratteristiche fondative,
riconoscimento dell’alterità, 75 – 3.3. L’incontro di identità diverse:
l’esperienza dello sradicamento, 79 – 3.4. L’identità atipica dello straniero,
80 – 3.5. L’identità trasformata dell’esiliato, 82 – Note al Capitolo III, 83.
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Indice
8
85
Capitolo IV
La sfera culturale. Contagio,imposizioni, interiorizzazione
4.1. Introduzione, 85 – 4.2. “Civiltà” e “Cultura”: appropriazione culturale
e ibridazione delle civiltà, 86 – 4.3. Culture vs. civiltà? Dall’Occidente
all’Oriente, 88, – 4.4. Pregiudizi,stereotipi, identità collettiva, 91 – 4.5.
L’esperienza dell’altro nelle società multietniche ad alta differenziazione,
94 – 4.6. Conclusioni, 96 – Note al Capitolo IV, 97.
Sezione empirica
101
Capitolo V
Il caso di Palermo: integrazione, identità, religione, prassi
quotidiane degli immigrati
5.1. Introduzione, 101 – 5.2. Nota metodologica, 105 – 5.3. Il piano delle
interviste e i dati strutturali, 107 – 5.4. Il fenomeno immigrativo:
movimenti delle comunità etniche nella città, 108 – 5.4.1. Emigrazione,
ricambio demografico, new comers, 111 – 5.4.2. Configurazioni identitarie
nello spazio urbano: prove di nuove mobilità sociale? 113 – 5.5. Tra
gentrification e reverse multiculturalism, 114 – 5.6. Il percorso biografico
degli immigrati: il progetto immigrativo, 117 – 5.7. Sui valori e cultura di
origine, 122 – 5.8. Nulla da difendere. Nulla da esigere, 129 – 5.9. L’Islam
cittadino, 130 – 5.10. Come la religione cambia il volto del
multiculturalismo, 135 – 5.11. Il quotidiano palermitano. E sul perché si sta
bene a Palermo, 139 – 5.12. Il silenzio degli immigrati: un pacifico
immobilismo, 142 – 5.13. Le tensioni dell’assimilazione e
dell’acculturazione. Pratiche di persistenza etnica, 143 – 5.14. Assenza
delle strategie delle Gated Communities, 152 – 5.15. Razzismo,
pregiudizio, indifferenza, 156 – 5.16. L’induismo cittadino, 158 – 5.16.1. Il
furto di S. Rosalia: un sincretismo religioso, 162 – 5.17. Le aspettative di
integrazione: utilitarismi e contraddizioni, 165 – 5.18. Conclusioni. Il
Multiculturalismo urbano, tra fallimenti, libertà e indifferenza: Palermo
come modello, 169 – 5.19. Alcune proposte di governo, 172 – Note al
Capitolo V, 175.
177
Capitolo VI
In forma di conclusioni
6.1. Dal presunto fallimento dei modelli multiculturali al governo delle
differenze etniche, 177 – 6.2. Diritti universali e diritti del cittadino: un
Indice 9
cambio di rotta, 179 – 6.3. Contraddizioni e cortocircuiti normativi, 183 –
6.4. Il lavoro: la diversità di passaggio, 183 – 6.5. L’accoglienza, tra
solidarietà, ipocrisia ed egoismi, 184 – Note al Capitolo VI, 187.
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Riferimenti bibliografici
Premessa
Quando una società può essere definita multiculturale? Essa è tale
quando in un medesimo spazio sociale si rinuncia all’ipotesi di una
cultura dominante e si riconosce, altresì, pari dignità e uguale peso
alle diverse culture in esso presenti. Il termine “multiculturalismo”
può descrivere una situazione di fatto: la presenza di una diversa
cultura, confessione, lingua, etnia, in un unico Stato. È multiculturale
la tutela dei diritti multietnici che garantiscono alle minoranze
l’espressione delle loro particolarità culturali, senza subire
discriminazioni. In questo tipo di società è intrinseca la critica alle
relazioni asimmetriche tra minoranze culturali e cultura maggioritaria.
Questa definizione di società multiculturale non è universalmente
accettata nel dibattito scientifico, perché come ogni definizione,
circoscrive l’ambito ma lo pervade di elementi culturali che ne
stabiliscono le declinazioni fattuali, sociali e politiche. In realtà, la
precedente definizione di società multiculturale è quella a cui fa
riferimento il multiculturalismo, concetto prescrittivo che indica un
progetto che ci si propone di realizzare. In tale progetto socio-politico
sono centrali: 1) il problema della gestione della convivenza fra
diverse etnie e diverse culture; 2) la soluzione, da ricercare attraverso
il riconoscimento e la valorizzazione delle differenze culturali,
prevalentemente in una dimensione etnica.
Nell’ottica del multiculturalismo l’incontro tra due o più culture è
visto, infatti, come un arricchimento reciproco nel quale non si
rinuncia alla propria posizione culturale. Secondo un’accezione più
politica, il multiculturalismo può essere inteso come “il pluralismo
delle culture all’interno di una stessa società politica” (Viola2004:83).
A questa definizione, in cui il pluralismo non è da confondere con il
multiculturalismo, consegue una differenza tra multiculturalismo e
pluralismo. Con il concetto di pluralismo ci si riferisce ad una società
dove la pluralità di idee, religioni, opinioni, credenze viene ammessa e
11
12
Premessa
tutelata dallo Stato, contrariamente a quanto avviene in
un’organizzazione statale totalitaria. Il pluralismo rimanda, quindi a
una sfera politica che non soffoca la vitalità di quella privata. Come
suggerisce Barbano (1999:8), il pluralismo dà rilievo alle
aggregazioni sociali e ai gruppi sociali, ma non per questo il
pluralismo è multiculturale. Non è un rilievo di scarsa utilità
interpretativa. L’autore sottolinea ulteriormente che il pluralismo non
è quello degli interessi, dei bisogni o delle preferenze. È invece il
pluralismo delle culture, cioè degli universi simbolici che
conferiscono significato alle scelte e ai piani esistenziali di coloro che
li vivono. Le difficoltà di conciliare multiculturalismo e pluralismo
risiedono nella manifestazione delle differenze, nell’accesso alle
risorse di welfare, nella tutela di diritti che tali differenze richiedono
in un’esigenza di parità di trattamento pubblico. Dewing e Leman
(2006) sottolineano l’ampiezza del concetto di multiculturalismo e
come esso spesso resista alle definizioni. Nel tentativo di
circoscriverne le coordinate di definizione, i due studiosi si
riferiscono: ad una realtà demografica che descrive la coesistenza di
popoli con diversi background etnico-culturali, in una singola società
o organizzazione (scuola, azienda, chiesa); ad un’aspirazione
ideologica che celebra la diversità; ad una serie di politiche volte a
gestire la diversità; ad un processo attraverso il quale i gruppi etnici e
razziali tendono al sostegno per realizzare le loro aspirazioni. In una
prospettiva multidimensionale, secondo Collinson (1998) il
multiculturalismo può essere usato per descrivere un’ideologia, la
politica sociale e gli aspetti della struttura pubblica. Il
multiculturalismo è “un insieme di credenze e comportamenti che
riconosce e rispetta la presenza di tutti i gruppi diversi in una
organizzazione o società, riconosce e valorizza le differenze socioculturali, e incoraggia e consente il loro contributo all’interno di un
contesto culturale inclusivo che autorizza tutti all’interno dei
organizzazioni o della società” (Rosado 1996:2 nostra traduzione). La
prima parte di questa definizione comprende tutti gli aspetti del
multiculturalismo ideologico, mentre la seconda parte si riferisce a ciò
che il multiculturalismo dovrebbe consentire sul piano associativo. Ne
consegue un’implicazione politica, ovvero l’assicurazione del
Premessa
13
contributo possibile di ognuno dei consociati alla società, nel suo
contesto più ampio.
In definitiva, il multiculturalismo come termine è usato in tre sensi
distinti: 1) come una descrizione della condizione della diversità
culturale in una società; 2) come ideologia volta a legittimare
l’integrazione della diversità etnica nella struttura generale della
società; 3) come politica pubblica progettata per creare l’unità
nazionale nella diversità etnica (Kallen 1982). La società
multiculturale d’altra parte, è una società in cui le persone
appartenenti a diversi gruppi culturali cioè coloro che si identificano
con un linguaggio particolare, regione, religione, casta, codice di
abbigliamento, abitudini alimentari ecc. vivono insieme come cittadini
uguali di uno stesso Stato. La questione del multiculturalismo ha
acquisito importanza negli ultimi tempi a causa della natura
pluralistica di molte società moderne, che si riflette nella crescente
evidenza della diversità culturale e delle differenze di identità
correlate. L’appeal principale della retorica del multiculturalismo
poggia sulla ricerca e sull’offerta di soluzioni alle sfide della diversità
culturale. Il multiculturalismo nasce per favorire l’armonia etnica e la
comprensione interculturale. Nelle intenzioni, scoraggia l’odio
razziale, tende a ridurre le discriminazioni sociali ma come vedremo
nel corso della trattazione, non è riuscito a eliminare le azioni di
violenza soprattutto urbana che nascono prevalentemente dalla
marginalità economico-culturale degli immigrati. Pertanto, le tensioni
alimentate dal dibattito sulla promozione del multiculturalismo sono
viste come forze che indeboliscono una serie di problemi politici e
sociali come la sicurezza sociale, la distribuzione delle risorse, i valori
identitari. Se i sostenitori del multiculturalismo lo vedono come la
soluzione a questi problemi, i critici lo marcano sia come causa di
instabilità sociale e dell’unità nazionale, che come principale causa di
frammentazione sociale. La retorica si è arricchita in filosofia politica
per i tentativi di definire la natura di una buona società liberale. Una
tale società comporterebbe la garanzia dei diritti delle persone
(Walzer e Miller 1995). Altri studiosi hanno posto un
problema/soluzione, ossia se tali diritti debbano essere estesi a gruppi
di minoranza (prevalentemente etnici). La risposta è che il
riconoscimento del diritto dei gruppi comporterebbe una negazione
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Premessa
dei diritti individuali. Per Taylor, il “riconoscimento” diventerebbe
essenziale per il concetto di diritti degli individui, che potrebbero
essere appunto riconosciuti come membri del gruppo (Taylor 1994).
Infine Kymlicka ha sollevato questioni analoghe nel tentativo di
circoscrivere una forma di cittadinanza multiculturale (Kymlicka
1995). In realtà il multiculturalismo attuato attraverso le politiche
relative adottate nei principali paesi europei di ispirazione liberale
(Francia e Inghilterra soprattutto) ha fallito nei risultati. Declinare
secondo l’ideologia politica liberale le differenze identitarie è stata la
premessa del fallimento. Tutti uguali davanti alla legge, la libertà di
espressione se questa non è contraria alla legge, la dimensione
pubblica che non entra in quella privata. Intenzioni che alla prova dei
fatti non si sono mai totalmente realizzate. È stato chiesto agli
immigrati di vivere come i nativi, di parlare bene la loro lingua, di
condividere i loro valori, di dismettere i loro abiti. Ma il
multiculturalismo non relega l’espressione delle differenze nella
dimensione privata. Piuttosto le fa emergere anche nella sfera politica.
Il problema politico che ne consegue è come sia possibile - in una
società multiculturale - individuare una base culturale unitaria, quale
elemento richiesto da ogni comunità politica. Il principale effetto
dell’applicazione delle politiche multiculturali è stato è
l’esasperazione delle differenze, che ha innescato il sorgere di conflitti
e determinato processi di disgregazione sociale.
Il multiculturalismo che si era sviluppato come risposta
all’immigrazione di massa in Europa, voleva celebrare la diversità dei
gruppi religiosi ed etnici. Voleva convincere la nazione ospitante che
quei gruppi facevano parte di un nuovo ordine della società. Si diceva
che questi gruppi avrebbero arricchito la vita sociale, dalla cucina alla
letteratura, dal linguaggio agli usi. La monotonia si sarebbe
trasformata in un’affascinante varietà. In parte questo si è avverato. In
molti paesi la cucina è migliorata, i più raffinati chef cinesi o coreani,
dei centri città più cool, ci hanno offerto nuovi gusti. Ma molti
vantaggi si sono visti in altri settori; con l’apporto di lavoratori nei
settori dell’edilizia, agricoltura, trasporti, o nei mestieri che gli
autoctoni svolgono con riluttanza. Nel tempo saranno una classe
media che si affermerà e espanderà sempre più. Il multiculturalismo
ha però inaugurato nuove lotte identitarie. È fonte di accuse e pratiche
Premessa
15
razziste. Impone un caro prezzo a chi vuole preservare le diversità, e
porta a vedere con sospetto l’integrazione. La questione non è
diventare italiani, francesi, tedeschi… bensì rimanere cinesi, o
marocchini. Ad esempio, dirsi britannici vuol dire forzare un concetto
difficilmente definibile, ma lo stesso vale per gli americani, o meglio
per gli statunitensi. In entrambi i casi sono identità composte da
diverse nazioni. Britannici, ad esempio vuol dire comporre insieme
Scozia, Galles,Irlanda, Inghilterra. Statunitensi, poi, vuol dire
richiamare una cinquantina di Stati. Cosa integrava allora queste
identità se non un collante religioso (quello protestante), o il sogno di
un benessere economico offerto in un luogo in cui si può avere la
propria chance, un posto dove ha trovato espressione e realizzazione il
“self made man”. Il collante religioso e quello economico si sono
spesso saldati ed intrecciati ad un sistema di regole e valori liberali,
dando luogo ad una declinazione identitaria ormai radicata nella
cultura locale come i sentimenti di appartenenza, l’orgoglio per la
propria bandiera, la sacralità del territorio, il protagonismo
internazionale nelle vicende storiche che hanno determinato gli
scenari economici, politici ed economici mondiali. Oggi però sia il
collante religioso che quello economico sono svaniti o sono in crisi.
Così come si assiste ad una revisione critica degli ideali liberali che
hanno costruito gli assetti sociali e politici dell’Occidente, soprattutto
a seguito di alcuni eventi spartiacque che hanno segnato un passaggio
tra un prima e un ora. Si tratta di eventi che hanno alimentato una
retorica sociale, culturale e politica sugli effetti dell’immigrazione
nelle società di arrivo, il cui punto di arrivo tende ad una revisione dei
modelli di integrazione.
Il primo di tali eventi è stato l’attacco alle Twin Towers di New
York. In quel momento, la retorica culturale si è sintetizzata in “da
oggi il mondo non sarà più lo stesso”. A partire dall’11 settembre
2001 sono cambiate le coordinate dell’ordine e della sicurezza
mondiale. Più recentemente la paura del nemico in casa nostra si è
concretizzata con il caso dei foreigner fighters. Nel 2014 la strategia
mediatica dell’ISIS ha inteso dimostrare come i valori occidentali
siano incerti, deboli, rinnegabili, perfino da chi è originario da questa
parte di mondo. I boia ripresi nei video nel momento in cui giustiziano
i prigionieri occidentali, sono giovani francesi, inglesi, che hanno
16
Premessa
sposato la causa jihadista e che sopprimono non solo simbolicamente
la loro stessa identità. La stima di 10 mila miliziani europei reclutati
non solo tra i musulmani europei di seconda generazione, ma anche
tra i non musulmani, ha alimentato la suggestione che nella
disperazione delle periferie occidentali si concentrasse il pericolo
musulmano terrorista. La retorica della guerra santa e la sua
propaganda in rete ha catturato l’interesse dei delusi dal sogno
occidentale e i soggetti orfani di ideologie e incapaci di cogliere il
cambiamento che il loro mondo gli chiedeva. Soggetti maschi molto
giovani, musulmani di origine o convertiti, spinti da malessere
esistenziale, spesso poco integrati e attratti da una vita completamente
diversa da quella sognata dai padri o vissuta da loro stessi.
A seguito degli attentati nelle metropolitane londinese e,
madrilena, le società occidentali si sono scoperte più insicure. La
scossa è venuta non solo dall’estremismo islamico importato, ma
anche in quello radicato nei musulmani residenti. Nel 1991 la
percentuale di immigrati residenti in Inghilterra era il 6.7%, dopo 10
anni era cresciuta al 8,3%. Nel 2010 arriva all’11,4%. Nel 1991 i
fedeli musulmani erano 2,4 milioni ed avevano a disposizione circa
1500 luoghi di culto per pregare. La Cool Britannia di Tony Blair in
cui etnie e culture diverse si mischiavano mantenendo la propria
specificità è svanita. La diffidenza verso tutti i musulmani è cresciuta,
così come è cresciuta l’idea che nelle comunità musulmani covi l’odio
verso l’occidente.
Dal punto di visto politico, l’evento più rilevante si è verificato
quando alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco nel 2011, con una
singolare sincronia, due dei principali leader Europei, (Cameron e
Merkel) hanno dichiarato il fallimento del multiculturalismo nei loro
paesi: Inghilterra e Germania, paesi nei quali si pensava, se non di
aver risolto, almeno di tenere sotto controllo le tensioni sociali
derivanti dalla convivenza tra culture diverse nello stesso territorio.
Secondo Cameron sotto la dottrina del multiculturalismo si sono
incoraggiate culture differenti a vivere vite separate, staccate l’una
dall’altra e da quella principale. Ritenendo così che fosse tempo di
abbandonare la “tolleranza passiva” del Regno Unito verso le diverse
culture esistenti sul territorio nazionale per rimpiazzarla con un
liberalismo attivo, muscolare, ed evidenziando così che la vita in Gran
Premessa
17
Bretagna ruoti intorno a certi valori chiave come la libertà di parola,
l’uguaglianza dei diritti e il primato della legge: una società
passivamente tollerante rimane neutrale tra valori differenti, un paese
liberale fa molto di più. Crede in certi valori e li promuove
attivamente. Nel discorso della Merkel, il termine Multiculturalismo è
spacciato per sinonimo di una ideologia che giustifica pratiche
violente come il matrimonio coatto o la mutilazione dei genitali e
l’amputazione delle mani ai ladri o la lapidazione per le adultere. Il
fallimento è stato dunque giustificato dall’impossibilità di condividere
valori comuni. Inoltre è sono stati sottovalutati alcuni elementi: il
primo, è l’atteggiamento che popolazioni povere , consapevoli dello
sfruttamento storico di un passato coloniale o dovuto ai mercati
globalizzati potesse generare sentimenti risarcitori; il secondo, è il
ruolo della religione come fattore marcatore delle identità. La risposta
delle politiche migratorie è stata di sfruttare la paura dello straniero
per adottare misure più stringenti verso gli immigrati e verso le loro
forme di espressione religiosa. Una riflessione merita l’evento
dell’attentato a Parigi nella sede di Charlie Ebdo nel Gennaio 2015,
perché successivo alle dichiarazioni di consapevolezza del fallimento
delle politiche multiculturaliste, prima esposte. In un clima sospeso di
governance dell’integrazione, l’Europa ha risposto in modo
schizofrenico a quello che è stato definito non solo come atto
terroristico, ma anche come un atto di guerra nello scontro tra civiltà.
Finito il “politicamente corretto” tra nativi e immigrati, specialmente
musulmani, l’occidente europeo nelle varie sfere culturali e politiche
ha espresso da un lato la necessità di costruire valori, regole,
convivenza basata sulla legalità e sul rispetto reciproco; dall’altro si è
colpevolizzata di essere stata troppo debole e tollerante.
Caduto il velo della tolleranza si è fatta avanti l’intolleranza come
una delle possibili risposte a quella che si è preannunciata come una
prova di convivenza lunga e difficile tra differenti. La colpa principale
del mondo islamico è sembrata risiedere sulla mancata condanna
pubblica delle autorità religiose islamiche, dell’attentato. Autorevoli
analisti1 hanno interpretato questi fatti come un problema di
inconciliabilità di concezioni di vita tra Occidente e Islam.
Quest’ultima avrebbe un modo di concepire i rapporti sociali diverso
dalla scelta di distinzione e separazione tra religione e politica, che
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Premessa
invece l’Occidente ha operato nel ’600 e nel ’700 con l’uscita dal
Medioevo. In sintesi, questa retorica dell’intolleranza relega l’Islam in
un medioevo da cui fatica ad uscire, almeno fino a quando la
concezione teocratica islamica della vita sociale e politica non
sposterà il primato della politica su quello della religione, attraverso
una separazione dei poteri. In questa costruzione della differenza tra
civiltà, non sarebbe l’Occidente a dover riconosce le ragioni
dell’Islam che gli sono estranee storicamente, culturalmente ed
eticamente, ma l’Islam a riconoscere e accettare le ragioni
dell’Occidente. La sua laicità, in primis. La paura di un mondo
ipotizzato da Hoellbecq, in cui la Francia governata da un musulmano
arretrerà in un contesto di donne velate, fa il paio con la paura di un
totalitarismo che attraverso l’immigrazione l’Islam tenta di imporci. Il
rischio della profezia auto avverante è di una guerra di religioni in un
mondo ancora incapace a livello globale di costruire efficaci modelli
di integrazioni.
Introduzione
Ma qual è il peso della religione di origine degli immigrati e dei valori
ad essa associati, nei processi di integrazione? E soprattutto che
influenza hanno, se ce l’ hanno, nei contesti locali, in cui le differenze
tendono ad essere amplificate dalla cultura e dall’identità collettiva
che è presente da più tempo, forse da sempre, e che conferisce
significati, funzioni, simboli, allo spazio urbano occupato, dove si
intessono trame relazionali, scambi, interessi da mantenere e privilegi
da non disperdere con chi è estraneo o non integrato alla propria
comunità. Questi sono gli interrogativi a cui soprattutto la parte
empirica del lavoro intende dare risposte.
In questo lavoro sarà ricorrente il termine “Multiculturalismo”. Al
fine di circoscrivere l’ambito di analisi, questo termine sarà da
considerare nell’ottica del “multiculturalismo etnico” per qualificare
cioè una società in cui la compresenza di differenti etnie pone istanze
identitarie e culturali da parte degli attori sociali, sia ai nativi che agli
immigrati. Pertanto verranno tenuti distinti i concetti di etnicità e di
nazionalità. Il primo riferendosi a quell’insieme di credenze comuni
che costituiscono una comunità, e i cui soggetti sostenendole, ne
ricevono sostegno identitario. La nazionalità è un concetto che
ricomprende l’accezione delle credenze comuni, e che si riferisce più
specificamente all’ambito dell’organizzazione politica. Smith
(1998:52), nella sua ormai classica proposta, identifica i fattori che
costituiscono e distinguono le etnie:un nome, i miti di discendenza,
una storia, una cultura, un senso di solidarietà tra gli appartenenti, il
riferimento ad un territorio, anche se diverso da quello in cui si vive.
In realtà, il significato moderno di etnia si rifà alle minoranze che,
seppur condividendo la comunanza nello stato in cui vivono, si
differenziano da altre etnie e dalla maggioranza dei nativi, organizzati
e costituiti a livello statale, in quanto nazione. Comunanza non vuol
dire integrazione, rifacendosi più che altro alla discendenza, e agli
19
20
Introduzione
elementi religiosi, linguistici, culturali, che costituiscono un
complesso simbolico identitario volto a definire e rendere visibili i
confini tra gli insiders e gli outsiders. In questa accezione, è
sociologicamente rilevante la dimensione culturale dei valori e delle
tradizioni, che tramandate e trasmesse nei rapporti di discendenza,
alimentano un controverso percorso di identità e di integrazione nelle
comunità ospitante, ossia in quei contesti in cui i fattori ambientali
spingono gli outsiders a rafforzare i fattori distintivi della propria
etnia.
Per un rilevante numero di immigrati, provenienti soprattutto da
paesi musulmani, non solo l’etnicità ma anche la religione è uno dei
pilastri sui quali costruiscono la propria identità soggettiva e collettiva
di immigrati (Saint Blancat 2002: 138–151). In un processo di auto
definizione che si realizza nelle pratiche quotidiane e nella logica
delle appartenenze, più è forte il valore culturale della propria etnia,
più difficile sarà il percorso di integrazione degli immigrati. In
un’ottica assimilazionistica, si rivelerebbe un aspetto critico di questa
ipotesi. Cioè che il processo descritto tende a indebolirsi e diluirsi nel
tempo, soprattutto nelle seconde e terze generazioni, quando, le
differenze culturali si contagiano e si modificano per adattarsi anche
con modalità ed espressioni inedite, a quella del contesto ricevente.
Del resto sarebbe ingenuo pensare ad una modalità culturale di
appartenenza e di essere, immutabile, seppur profondamente radicata.
Ma paradossalmente questa idea dinamica dell’etnicità, porterebbe ad
un superordinamento delle etnie di appartenenza, aumentando gli
ostacoli nei percorsi di integrazione.
La rilevanza di condurre una ricerca empirica in ambito locale,
soddisfacendo i requisiti di validità e di attendibilità, nei limiti di una
ricerca qualitativa, nasce dalle considerazioni che i localismi si
contrappongono al globalismo. Questa contrapposizione è spesso
usata in Sociologia come chiave di lettura delle differenze. In
particolare del differente da sé, in uno spazio territoriale che viene
vissuto come esclusivo per sé ed escludente gli altri. Il localismo è un
elemento di composizione sociale che evidenzia l’illusione della
regolazione sociale a cui le moderne società si sono proiettate, cioè la
convivenza con gli stessi diritti di cittadini di diversa origine razziale,
convinzione politica, orientamento religioso. Il localismo, obbligato a
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