1 LE ORIGINI DI ROMA (VIII secolo a. C.) IL PERIODO DELLA MONARCHIA (VIII sec. a. C. – VI sec. a. C.) Nei primi secoli della sua storia, Roma fu governata dai re. La tradizione ne annovera sette: quattro di origine sabina e latina (Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio e Anco Marzio), e tre di origine etrusca (Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo). I primi quattro re non si succedettero per via ereditaria, ma vennero scelti di volta in volta dal senato, un’assemblea costituita dai rappresentanti delle principali famiglie romane. Romolo è ritenuto il re leggendario, fondatore della città. Tullo Ostilio, invece, è considerato colui che compì numerose imprese belliche, tra cui la distruzione della città di Albalonga, in seguito alla quale fu Roma ad assumere la guida della federazione latina ossia la lega tra i villaggi latini distribuiti tra i vari colli. Con Anco Marzio, Roma estese il suo territorio fino alla foce del Tevere dove fu costruito il porto di Ostia: in tal modo, la città di Roma si garantì la libera navigazione del fiume fino alla foce e il controllo delle saline. Dopo Anco Marzio, si succedettero sul trono di Roma i tre re di origine etrusca. Durante il periodo della monarchia etrusca Roma estese ulteriormente i propri confini. Tra questi ultimi, una certa importanza ha Servio Tullio perché introdusse l’uso della moneta e attuò una riorganizzazione dell’esercito che ebbe notevoli conseguenze sulla struttura della società romana. 1. STRUTTURA DELLA SOCIETÀ E DEL TERRITORIO ROMANO IN BASE ALL’ ORDINAMENTO «ROMULEO». Vediamo com’era organizzato il territorio e la società romana prima della riforma serviana. Romolo divise la popolazione romana in tre tribù: i Luceri (Etruschi), i Ramnensi (latini) e i Tizii (sabini), ognuna delle quali era suddivisa in dieci curie (dal lat. curiae → co-viria = associazione di uomini) Le curie erano associazioni di famiglie (gens). La gens raggruppava un certo numero di famiglie i cui membri (gentes, gruppi gentilizi) si consideravano discendenti da un antenato comune e l’appartenenza alla gens veniva trasmessa di padre in figlio. 2 Fin dalle origini, infatti, il nucleo fondamentale della società romana è rappresentato dalla famiglia a capo della quale vi era il pater familias. Il pater familias aveva un potere assoluto (patria potestas) su tutto e su tutti coloro che facevano parte della sua famiglia: aveva autorità sulla moglie, sugli schiavi e sui propri figli fino al punto di poterli vendere come schiavi. Egli amministrava le proprietà, celebrava in qualità di sacerdote il culto degli antenati (penati) e delle divinità domestiche (lari), godeva di grande prestigio ed era alla base dell’unità e dell’identità della famiglia. Nell’ambito delle grandi famiglie entrarono a far parte, sia pure in posizione subordinata, anche i cosiddetti “clienti” (dal verbo latino clùere, obbedire) i quali erano uomini liberi ma, vivendo in condizioni economiche disagiate e non appartenendo ad una gens, si affidavano alla protezione di un pater familias che in questo caso aveva la funzione di patronus (patròno), ossia difensore dei suoi clientes. Questi ultimi, in cambio della protezione ottenuta, si impegnavano, mediante un patto ritenuto sacro, a fornire prestazioni di lavoro gratuite e a combattere nella milizia che il patròno metteva a disposizione dello Stato in caso di guerra. Le gentes in qualità di membri appartenenti alle grande famiglie di proprietari terrieri, si riunivano in proprie assemblee che si chiamavano «comizi curiati». Ogni singola curia aveva l’obbligo di contribuire alla formazione dell’esercito fornendo una centuria (cento uomini) e una decuria (dieci cavalieri) cioè un nucleo di soldati Quest’assemblea non aveva un potere decisionale, ma aveva la facoltà di ►ratificare l’elezione del re, ►partecipava alle decisioni relative alla guerra e alla pace, ►poteva accogliere o rifiutare le proposte di legge del Senato. Il Senato era, in questo periodo, il solo organo dotato di potere politicodecisionale. L’origine del suo nome si deve collegare alla composizione dei suoi membri. Esso costituiva, infatti, era formato dai più vecchi e influenti capifamiglia, o patres, che rappresentavano, appunto, il consiglio degli anziani (Il termine “Senato” deriva perciò dal lat. senex, anziano). Originariamente il Senato era formato da cento patres (senatori) ed aveva il duplice compito di eleggere il re e di essere consultato per le decisioni più importanti. La monarchia, infatti, in questo periodo, non è ancora ereditaria ma è elettiva: il re veniva nominato dal Senato e poi riceveva l’investitura per acclamazione da parte delle curie. 3 2. LE RIFORME DI SERVIO TULLIO. LA RIFORMA CENSITARIA E L’ORDINAMENTO CENTURIATO. Abbiamo visto come, secondo l’ordinamento “romuleo”, Roma era governata con un sistema «gentilizio» caratterizzato dall’ordinamento curiato. Il potere era nelle mani delle gentes, i clan familiari che formavano le curie e che fornivano l’esercito per la difesa della città. Vediamo ora le due riforme attuate da Servio Tullio. 1) LA RIFORMA CENSITARIA Secondo la tradizione storiografica, Servio Tullio trasformò questo sistema attuando una riforma censitaria basata cioè sul censo (patrimonio, reddito, ricchezza): fece cioè un censimento dei cittadini e dei loro averi riorganizzando su nuove basi la struttura politica e amministrativa della città. Servio Tullio divise la città in quattro zone corrispondenti a quattro tribù «urbane» che sostituirono le originarie tribù gentilizie. Accanto a queste quattro furono create altre sedici tribù «rustiche» cioè poste al di fuori del confine tracciato dal «pomerio» (lo spazio di terreno consacrato, lasciato libero da costruzioni all’interno e all’esterno delle mura, che nessuno poteva varcare in armi pena la morte). Anche i cittadini furono ripartiti in sei classi di censo in base alle quali anch’essi contribuivano alla formazione dell’esercito in funzione della propria ricchezza: ogni cittadino partecipava alla guerra armandosi ed equipaggiandosi in base alle proprie possibilità economiche. In questo modo Servio Tullio intese inquadrare l’intera cittadinanza per definirne la partecipazione alla vita non solo militare, ma anche politica. La diversa contribuzione fiscale, infatti, corrispondeva ad un diverso utilizzo dei cittadini nell’esercito e ad una diversa attribuzione delle cariche politiche. 2) LA RIFORMA DELL’ESERCITO Servio Tullio riorganizzò l’esercito adottando armature e tecniche militari proprie della falange di tipo oplitico. Le prime tre classi erano quelle più ricche e fornivano la fanteria pesante con la costosa armatura oplitica; le ultime due classi fornivano la fanteria leggera. Al di sopra della prima classe vi erano i cavalieri (equites) tanto ricchi da mantenere un cavallo da guerra; al di sotto della quinta classe vi erano gli inermi (inermes), quelli senza armi: fabbri, falegnami, suonatori di tromba e di corno che accompagnavano l’esercito. Una tale organizzazione era funzionale sia alla nuova politica di egemonia dei re etruschi nel Lazio, che rendeva necessario un esercito più numeroso, sia a dare 4 spazio, nella vita della città, a nuovi ceti sociali (artigiani, mercanti, piccoli proprietari terrieri etc.) Il ruolo del cittadino non era dunque più determinato esclusivamente dalla nascita, ma anche dalla ricchezza, mentre i nullatenenti rimanevano sostanzialmente esclusi dalla vita politica e militare. 3. EFFETTI DELLA RIFORMA DI SERVIO TULLIO. La riforma attuata da Servio Tullio produsse alcuni effetti determinanti per Roma. Innanzitutto si sviluppò un esercito di cittadini in cui tutto il popolo dei liberi (e non più solo gli aristocratici) contribuiva alla difesa della città. Il numero degli armati aumentò e ciò accrebbe la forza militare di Roma. Tra l’altro il combattere in difesa della propria città contribuì ad amalgamare una popolazione caratterizzata dalla convivenza di Etruschi, Sabini e Latini e a creare un maggiore spirito civico. Inoltre, sottraendo la guerra al monopolio delle gentes, si riduceva anche il peso dell’aristocrazia nelle decisioni militari nonché il suo prestigio, a vantaggio delle classi meno abbienti. All’ impegno militare dei cittadini, corrispose un ruolo politico rappresentato da una nuova assemblea istituita da Servio Tullio: i «comizi centuriati». Ma siccome all’interno di quest’assemblea la votazione non avveniva pro capite, ma sulla base del numero delle centurie organizzate e fornite dalle classi più ricche, queste di fatto controllavano i voti e l’assemblea avendo un peso politico maggiore rispetto alle classi più povere, anche se queste ultime erano in netta maggioranza. Basti pensare che solo la prima classe forniva 98 centurie su un totale di 193 mentre la quinta classe ne forniva soltanto 5. 4. LA FINE DELLA MONARCHIA E IL PASSAGGIO ALLA REPUBBLICA CONSOLARE. A parte le lotte interne tra i capi etruschi per contendersi il trono di Roma, furono proprio i patrizi a causare la caduta della monarchia, intimoriti dall’atteggiamento degli ultimi re troppo favorevoli al popolo. Con la riforma serviana, infatti, tutto il popolo dei liberi (e non più solo gli aristocratici) contribuiva alla difesa della città. In tal modo, sottraendo la guerra al monopolio delle gentes, si riduceva anche il loro peso nelle decisioni militari nonché il loro prestigio, a vantaggio delle classi che non appartenevano all’aristocrazia. Con la riforma censitaria l’importanza dei singoli cittadini era 5 data dalla loro ricchezza e ciò indeboliva non poco il tradizionale potere delle famiglie nobili. I provvedimenti di riforma attuati da Servio Tullio rimasero in vigore anche durante il periodo della repubblica. Il popolo, che votava, che combatteva nell’esercito e che contribuiva all’ascesa di Roma, avrebbe presto cominciato a rivendicare una maggiore giustizia e l’abolizione di molti privilegi che erano esclusivo appannaggio dei patrizi. 5. PATRIZI E PLEBEI Fin dalle sue origini la vita della città di Roma era stata dominata da un numero limitato di famiglie che rappresentavano il patriziato. Durante il periodo della monarchia, infatti, i patrizi, discendenti dai patres (patricium→patrizi) che Romolo aveva scelto per formare il Senato, si erano affermati come ceto dominante e con Tarquinio Prisco, il loro numero era raddoppiato. Essi erano grandi proprietari terrieri, vivevano di rendita e godevano di molti privilegi. Tutti gli altri abitanti di Roma, sia i più poveri, sia quelli che con l’attività commerciale o artigianale avevano raggiunto una certa ricchezza, appartenevano alla classe dei plebei: anch’essi erano cittadini romani ma non avevano gli stessi diritti dei patrizi e non godevano di alcun privilegio. Si delineò così una netta divisione tra patrizi e plebei, destinata ad avere un notevole peso nella futura storia di Roma. IL PERIODO DELLA REPUBBLICA (VI sec. a. C – I sec. a. C.) 1. LA REPUBBLICA CONSOLARE E LE SUE ISTITUZIONI. Dopo il 509 a. C., Roma non avrà mai più un re. I nobili che avevano guidato la rivolta contro la monarchia etrusca fecero in modo che il potere non fosse affidato ad un solo uomo ma a due magistrati eletti annualmente. Si tratta comunque di una repubblica con una forte impronta aristocratica perché il fulcro del suo potere era costituito dal Senato, i cui membri appartenevano alle antiche famiglie gentilizie. I due magistrati erano denominati “consoli” (dal lat. consules, ‘coloro che si consultano’) e rappresentavano la suprema autorità civile e militare che derivava loro dall’imperium ereditato dagli antichi sovrani 1. Nessuno dei due consoli poteva prevalere sull’altro e avevano il diritto di veto in base al quale 1 Con il termine latino imperium si indica l’insieme dei massimi poteri conferiti ai magistrati sia in campo civile che militare. Originariamente esso spettava soltanto al re, ma in età repubblicana fu conferito ad alcuni magistrati, tra cui consoli e dittatore. 6 uno dei due magistrati poteva opporsi alle iniziative dell’altro se queste non erano condivise. I loro compiti erano: ■guidare l’esercito in guerra, ■convocare il senato e presiedere alle assemblee popolari (comizi) per l’elezione dei magistrati o per la votazione delle leggi; ■controllare ogni aspetto della vita cittadina per mantenere l’ordine pubblico. I consoli rimanevano in carica un anno ed erano assistiti dal Senato. Non erano immediatamente rieleggibili e scaduto il loro mandato diventavano senatori. In momenti particolarmente difficili dal punto di vista politico o militare, e di pericolo gravissimo per la città (invasione nemica, tentativi rivoluzionari), i consoli potevano nominare un dittatore cioè un magistrato unico con poteri assoluti, che durava in carica sei mesi. Queste cariche erano a termine e non vitalizie perché nel passaggio dalla monarchia alla repubblica vi era stata una forte volontà di impedire il consolidarsi di poteri personali, facendo prevalere quello collettivo delle grandi famiglie. Il Senato aveva, infatti, una funzione consultiva: tutti i magistrati principali, prima di prendere iniziative riguardanti la vita politica della città, dovevano sottoporle al giudizio dei senatori che esprimevano il loro pareri (senatus consulta). Il senato prendeva le decisioni sulla pace e sulla guerra e autorizzava le spese dei magistrati. Ai senatori, considerati cittadini di altissimo prestigio, era proibita qualsiasi attività commerciale, vivevano di rendita e restavano in carica tutta la vita. Il senato era la sede della discussione politica e il principale organismo di governo. Oltre ai consoli, un’altra importante autorità della Roma repubblicana erano i pretori: anch’essi duravano in carica un anno, anch’essi detenevano l’imperium, ma le loro competenze erano limitate all’ambito civile. 2. L’ORGANIZZAZIONE E LE RIVENDICAZIONI DEI PLEBEI. Nei primi due secoli della repubblica (VI – IV sec. a. C.), le troppe disuguaglianze e ingiustizie, provocarono violente lotte fra patrizi e plebei. Questi, infatti iniziarono a pretendere una maggiore uguaglianza e il riconoscimento di un maggiore peso politico. 7 Il tribunato della plebe. I plebei, infatti, si organizzarono dandosi delle proprie istituzioni. Già nel 494 a.C. essi si radunarono ed elessero per la prima volta dei propri rappresentanti, i tribuni della plebe, eletti annualmente e che, a partire dal 457 a. C., quando tale istituzione si consolidò, furono dieci. I tribuni della plebe avevano il compito di difendere i plebei dalle prepotenze e dalle ingiustizie o da eventuali soprusi commessi contro di loro dai magistrati patrizi. Per rafforzare il potere dei tribuni, la plebe aveva decretato che essi fossero sacri e inviolabili: chi avesse oltraggiato la loro persona rischiava di essere condannato a morte o alla confisca dei beni. I tribuni potevano anche proporre all’assemblea della plebe, di votare dei plebisciti 2, cioè delle delibere che avevano originariamente valore soltanto per la plebe, ma che poi vennero accettate come leggi dello Stato. Essi avevano anche il potere di veto con cui potevano bloccare le iniziative dei magistrati ritenute lesive dei diritti dei cittadini: per questo i tribuni della plebe divennero uno dei cardini della repubblica romana. Che cosa rivendicavano i plebei? Tra le rivendicazioni dei plebei, alcune erano di carattere economico, come l’annullamento dei debiti, l’abolizione della schiavitù per debiti e, soprattutto, un’equa distribuzione dell’ager publicus 3 tra i cittadini; altre erano di carattere politico come quella di consentire anche ai plebei l’accesso alle magistrature. I patrizi avversavano queste richieste ma quando nel 456 a. C. i plebei si ritirarono sull’Aventino provocando la paralisi della vita economica della città, i patrizi avvertirono la necessità di un compromesso e fecero loro alcune importanti concessioni. Una importante rivendicazione che accomunava i plebei riguardava la necessità di dare alle leggi di Roma una formulazione scritta e pubblica. Fino a quel momento, infatti, la legge era stata caratterizzata dalla consuetudine e dall’arbitrio dei magistrati che, essendo patrizi, l’applicavano a vantaggio del proprio ceto. Così, nel 451 a.C. fu istituito un collegio di dieci magistrati 2 Plebiscito (dal lat. plebs, ‘della plebe’ e scitum ‘ordinanza’), indica una decisione presa dall’assemblea della plebe su proposta di un tribuno. 3 L’ager publicus, ‘terreno pubblico’, era la terra di proprietà dello Stato, perlopiù derivante dalle conquiste militari, che veniva concessa in uso ai contadini dietro il pagamento di un canone. 8 (decemviri), incaricati di redigere un codice di leggi, le Leggi delle XII tavole che furono promulgate dai consoli nel 449 a. C. In seguito a queste leggi, anche i plebei furono ammessi a ricoprire le più alte cariche dello Stato e l’elezione, nel 366 a. C., del primo console plebeo segnò la pacificazione tra i due ordini della società romana. Nel 445 a. C. fu anche abolito il divieto di matrimonio fra patrizi e plebei. Le magistrature repubblicane. Nel corso del V e del IV sec. a. C., furono create tutte le magistrature della Roma repubblicana. Oltre ai due consoli, ai senatori e ai pretori, c’erano i questori (quaestores) che amministravano l’erario (finanze dello Stato); gli edili (aediles) che si occupavano della cura della città (lastricare e pulire le strade, stato di costruzione delle case e dei templi, traffico cittadino e trasporto delle merci per l’approvvigionamento di Roma). Un’altra istituzione repubblicana è quella dei due censori che erano eletti ogni cinque anni e avevano l’incarico di organizzare il periodico censimento dei cittadini romani, iscrivendoli in liste a seconda del loro patrimonio. Per fare carriera politica bisognava intraprendere il cursus honorem (percorso degli onori): tribuno della plebe►questore►edile►pretore►console►censore. Coloro che erano stati pretori o consoli, alla fine del loro incarico, se ritenuti idonei, venivano ammessi in senato. 3. ESPANSIONE NEL MEDITERRANEO E CRISI DELLA REPUBBLICA. La storia della repubblica romana è una storia di progressive conquiste: tra il IV e il I sec. a. C., Roma estese il suo controllo prima sulla penisola italica e quindi, a poco a poco sull’intero bacino del Mediterraneo. Nel corso del V e del IV sec. a. C., le vittorie sugli Etruschi e sui Latini, avevano sancito il potere di Roma sull’ Italia centrale. I Romani, sconfiggendo i Sanniti e la potente Taranto, avevano raggiunto l’estremità meridionale della penisola, presentandosi come diretti concorrenti di Cartagine. Le guerre contro la ricca e importante colonia fenicia furono tre. Con la I g. punica (264-241 a. C.) Roma si trasformò in potenza navale e creò in Sicilia e Sardegna le sue prime province. Tra la II g. p. (219-201) e la III g. p.(149-146) Roma assunse progressivamente il controllo del mondo greco: i Romani si scontrarono soprattutto con i due Stati che apparivano più pericolosi per i propri disegni egemonici: la Siria che venne ridimensionata, e la Macedonia che fu annientata. Tuttavia il mondo ellenico, 9 sottomesso militarmente e politicamente, “conquistò” con la sua cultura gran parte dei ceti dirigenti romani. 4. L’ESPANSIONISMO INCIDE ISTITUZIONALI DI ROMA. SULLE STRUTTURE SOCIALI E Progressivamente andò scomparendo la figura del contadino-soldato poiché esso, a causa delle prolungate guerre in territori remoti, si era ormai trasformato in militare di professione, e le proprietà nobiliari si andavano allargando con l’acquisto delle terre abbandonate da chi andava a combattere e che venivano coltivate sfruttando il lavoro degli schiavi le cui condizioni di vita andavano sempre più peggiorando. Nel contempo si era sviluppato il ceto dei cavalieri che basava la propria ricchezza sulle attività economiche legate alle nuove conquiste. 5. TENTATIVI DI RIFORMA DI TIBERIO E CAIO GRACCO. Tra il III e il II sec. a. C., la nobiltà senatoria si era quindi impossessata di gran parte della terra di proprietà pubblica e, ai terreni che già possedeva aveva, infatti, potuto aggiungere anche quelli abbandonati dai contadini che andavano in guerra arrivando a possedere, in questo modo, enormi latifondi coltivati dagli schiavi. Uno dei mezzi impiegati dai ricchi per aumentare i propri possessi era il prendere in affitto lotti di ager publicus, cioè i terreni di proprietà dello Stato romano, che le conquiste avevano incrementato. Chi aveva mezzi per pagare un canone poteva richiedere queste terre e sfruttarle. Poi, col tempo, i canoni cadevano in disuso e il possesso abusivo si trasformava di fatto in proprietà. In questa situazione si colloca il tentativo di riforma di Tiberio Gracco, che, eletto tribuno della plebe che nel 133 a. C., di fronte al bisogno di terre dei ceti più bassi della società, tentò di riequilibrare la distribuzione delle terre e di mettere fine a questo meccanismo. Egli propose una legge agraria che prevedeva una diversa divisione del suolo pubblico. Nessuno avrebbe potuto possedere più di 125 ettari di terra e la terra tolta ai latifondisti sarebbe stata ridistribuita ai cittadini romani meno abbienti. Questi appezzamenti di terre non erano cedibili e potevano solo essere lasciati in eredità. In questo modo i piccoli contadini non avrebbero potuto cederli ai grandi proprietari neanche in caso di gravi difficoltà economiche. Tiberio voleva così evitare che si costituissero gli enormi latifondi che la legge intendeva limitare. 10 I senatori e gli aristocratici, grandi latifondisti, si opposero e fecero uccidere Tiberio. Il progetto di riforma fu ripreso nel 123 a. C. da Caio Gracco, fratello di Tiberio, che, eletto tribuno della plebe in quello stesso anno, riconfermò la legge agraria del fratello, e promosse una legge frumentaria in base alla quale i cittadini presenti a Roma, potevano prelevare mensilmente una certa quantità di grano dai granai pubblici, a prezzo ridotto. Propose inoltre che anche ai socii italici, che avevano sempre combattuto a fianco di Roma, fosse concessa la cittadinanza romana e il godimento di quei privilegi che erano riservati ai soli cittadini romani. Questa iniziativa gli costò la vita: facendo leva sull’orgoglio e sulle paure dei cittadini romani, i ricchi senatori accusarono Caio di aspirare alla tirannide e spinsero la folla a massacrarlo in un tumulto (121 a. C. ). I socii e le loro rivendicazioni. I socii erano gli alleati italici, quelli che partecipavano a tutte le campagne militari della repubblica e rappresentavano una parte consistente dell’esercito romano. Proprio grazie al loro apporto, infatti, Roma aveva potuto contare su un esercito numeroso e vincere le proprie guerre di conquista nel Mediterraneo. La condizione politica dei socii rappresentava, tuttavia, un altro dei problemi che Roma doveva affrontare. Anche i socii pur essendo indispensabili dal punto di vista militare, ■non godevano degli stessi diritti dei Romani, ■non avevano la piena cittadinanza e ■non beneficiavano degli stessi provvedimenti che Roma adottava per i suoi cittadini più poveri. Così, per garantirsi un consenso più vasto, Caio cercò di accattivarsi le simpatie dei socii proponendo che anche ad essi venisse estesa la piena cittadinanza romana e i provvedimenti di riforma agraria. Questo gli costò la vita: l’oligarchia senatoria lo fece uccidere. La proposta di Caio Gracco non fu senza conseguenze perché qualche anno dopo le popolazioni italiche ( socii ), avendo preso coscienza della loro importanza militare, si ribellarono e iniziarono una guerra (guerra sociale) che ebbe fine soltanto quando il Senato promise di concedere la cittadinanza romana a tutti coloro che avessero deposto subito le armi. Conseguenze populares. del fallimento dei Gracchi: divisione tra optimates e Negli anni successivi alla morte dei Gracchi le legislazione agraria da essi proposta venne totalmente ignorata dall’oligarchia senatoria, che in questo modo manifestò la propria incapacità politica nel gestire il disagio sociale e nel comprenderne la sua pericolosità conflittualità. 11 Alla fine del II sec. a. C., infatti, le tensioni sociali non saranno più rappresentate semplicemente dalla contrapposizione tra patrizi e plebei, ma ci sarà una conflittualità sociale che metterà a confronto due ben distinte fazioni politiche: gli optimates e i populares. Questa contrapposizione tra i due partiti caratterizzerà la vita politica romana sino alla fine della repubblica. ►Gli optimates (i migliori), erano i cittadini delle classi più elevate, appartenenti all’oligarchia senatoria che intendevano mantenere i propri privilegi e il controllo politico dello Stato ed erano quindi ostili alla politica di ridistribuzione delle terre. ►I populares, erano anch’essi aristocratici o cavalieri, ma si presentavano come difensori dei diritti del popolo, facendosi portavoce di provvedimenti più democratici come, ad esempio, la riforma agraria. In realtà, facendo leva sull’appoggio e sul favore del popolo, entrambe le fazioni portavano avanti il proprio programma politico e miravano a ottenere la gestione del potere. La plebe romana continuava quindi a rimanere una massa indistinta e disomogenea, sempre vittima della demagogia 4 e manovrata da chi ne sfruttava opportunisticamente l’appoggio. Gli anni successivi alla morte di Caio Gracco, furono inizialmente segnati da un clima di guerre e di violenza in cui l’esercito e le doti militari dei capi assunsero grande importanza nella vita della repubblica. Soprattutto vi fu la necessità di controllare e consolidare un territorio divenuto enorme, con un esercito numericamente limitato. 6. CAIO MARIO E LA RIFORMA DELL’ESERCITO. Una delle guerre che Roma dovette affrontare, fu quella, in Africa, contro Giugurta, il re della Numidia che aveva fatto massacrare i commercianti italici che avevano parteggiato per i suoi nemici nella lotta di successione al defunto re Massinissa. Contro l’atteggiamento esitante dei senatori, la plebe di Roma era insorta chiedendo di dichiarare guerra a Giugurta. In questo contesto si fece strada Caio Mario, di umili origini contadine che, divenuto console, fece le sua scalata agli onori e alla fama per le sue doti militari riuscendo ad imporsi sulla scena politica. Mario, infatti, si fece porre a comando dell’esercito contro Giugurta e riportò una grande vittoria. Ma decisivo in questa vittoria era stato soprattutto il reclutamento di truppe di volontari e riportò altri successi militari grazie alla riforma dell’esercito che egli attuò. 4 Demagogia: ricerca del consenso politico ottenuto strumentalizzando le passioni e i pregiudizi delle masse 12 Fino ad allora, infatti, i nullatenenti erano stati esclusi dalla milizia. Mario, per avere un esercito numeroso e fedele, diede ad essi la possibilità di arruolarsi, stabilendo che lo Stato avrebbe corrisposto ad ogni soldato uno stipendium e la dotazione di armi: inoltre promise loro, in caso di vittoria, anche la spartizione del bottino e l’assegnazione di terre. Ciò è molto importante nella Roma di questo periodo: il vero cittadino romano è colui che possiede un proprio appezzamento di terreno, e promettere l’assegnazione di terra significava anche restituire la vera dignità di cittadini a quei proletari che l’avevano perduta. La riforma di Mario trasformò l’esercito romano in un esercito di professionisti fedeli al capo militare e combattere divenne un mestiere con il quale migliorare la propria condizione economica, grazie alle elargizioni dei generali. In questo esercito di professionisti il rapporto di fedeltà dei soldati si spostò progressivamente dallo Stato al singolo capo militare (generale) dalle cui capacità dipendeva il successo in guerra e il miglioramento economico dei soldati. Per i generali l’esercito diventava uno strumento per l’affermazione del proprio potere personale. 7. L’ASCESA DI LUCIO CORNELIO SILLA: RESTAURAZIONE DELL’OLIGARCHIA SENATORIA. DITTATURA E Un'altra guerra che Roma dovette fronteggiare fu in Oriente, contro il re del Ponto Mitridate VI. Questa guerra diede occasione a Silla, di famiglia aristocratica e già luogotenente di Mario, di affermarsi sulla scena politica e di prendere il potere: egli, infatti, marciando su Roma non solo ottenne che gli fosse affidato il comando dell’esercito, ma dimostrò anche quale strumento di potere personale fosse ormai diventato l’esercito. Ma, mentre Silla si trovava in Oriente, in città era scoppiata una vera guerra civile (88 a. C.-82 a. C. ) tra la plebe e la fazione aristocratica riportata al governo da Silla. Approfittando della situazione, Mario riacquistò il potere alimentando il clima di violenza e di conflittualità civile. Silla rientrò a Roma con l’esercito in armi e dopo aver sterminato i seguaci di Mario con le terribili liste di proscrizione, si fece proclamare dittatore a vita, rafforzò il potere dell’oligarchia senatoria e indebolì, invece, il tribunato della plebe privandolo del potere di veto e escludendolo dal cursus honorum. 8. LA CRISI DELLA REPUBBLICA Il clima di violenze e di guerre civili inaugurate da Silla continuò anche dopo la sua morte, nel 79 a. C. Mentre si inaspriva il conflitto tra ottimati e popolari, la vita politica rimase in mano ai capi militari che si servivano dei loro successi 13 militari e dell’appoggio del proprio esercito per affermare il proprio potere personale. Più volte, infatti, in situazioni particolarmente difficili (guerre esterne, lotta contro la pirateria, sedizioni di rivolte degli schiavi), furono concessi poteri straordinari a questi capi militari. In questo modo si fece strada Pompeo, ex luogotenente di Silla, con i successi riportati in Oriente e con la repressione della rivolta degli schiavi, condotta insieme a Crasso. I due generali furono eletti consoli e Pompeo, sostenuto dai popolari, ottenne il comando dell’esercito per combattere contro i pirati che danneggiavano i commerci nel Mediterraneo. 9. L’ ASCESA DI GIULIO CESARE E IL PRIMO IL TRIUMVIRATO (60 a. C., Pompeo, Crasso e Cesare) Ritornando dall’Oriente, Pompeo rientrò trionfante in Italia nel 62 a. C. e, sciolto l’esercito, fece una duplice richiesta al Senato: 1) chiese la conferma della sistemazione da lui data ai territori orientali; 2) chiese la distribuzione di terre ai suoi soldati. Ma Crasso si oppose alla ratifica dell’operato di Pompeo in Asia. Il Senato, infatti, sobillato da Crasso, respinse le richieste di Pompeo perché accettarle avrebbe rappresentato un pericoloso riconoscimento del potere di singoli capi in materie così delicate come la distribuzione delle terre e la politica estera. In questo clima di tensione che si generò tra Crasso e Pompeo, intervenne il giovane Caio Giulio Cesare, membro dell’antichissima gens Iulia ma esponente del partito dei populares. Cesare, sfruttando le tensioni fra Crasso e Pompeo, si presentò come mediatore tra i due e propose un accordo per la spartizione del potere fra i suoi tre membri: primo triumvirato (60 a. C.). In realtà, Cesare era spinto dal desiderio di arrivare al consolato e di assicurarsi una ricca provincia. Il primo triumvirato rappresenta, infatti, un accordo personale in cui Pompeo e Crasso avrebbero appoggiato la candidatura di Cesare per il consolato. L’anno seguente, 59 a. C., Cesare ottenne il consolato e iniziò la sua scalata al potere. Con il patto del triumvirato, Cesare ebbe anche il proconsolato 5 quinquennale delle Gallie che fu rinnovato per altri cinque anni. Dopo la morte di Crasso, sempre più allarmato dai successi militari di Cesare che aveva conquistato l’intera regione delle Gallie spingendosi fino alla Britannia, il senato cercò l’appoggio di Pompeo e impose a Cesare di sciogliere l’esercito e di rientrare a Roma come privato cittadino. 5 Nella Roma repubblicana, magistrato scelto tra i consoli, al quale il senato affidava per uno o più anni il comando militare e l’amministrazione politica di una provincia. 14 Cesare rifiutò e, attraversando il Rubicone, avanzò in armi su Roma (49 a.C) mentre Pompeo fuggì in Egitto dove fu ucciso. Dopo le vittorie sui Galli e sui pompeiani Cesare rientrò trionfante in Italia nel 46 a. C. e ricevette la dittatura a vita col mandato di ristabilire la pace e l’ordine civico dopo un lungo periodo di guerra civile. Con questa carica, che gli venne conferita a vita nel 44 a. C., Cesare riuniva in sé tutte le cariche pubbliche. Intraprese un programma di riforme e limitò il potere del senato. Ma era soprattutto necessario ristabilire la concordia fra i cittadini e adeguare il sistema politico romano alle esigenze di un dominio divenuto vastissimo e profondamente diversificato. Nel 44 a. C., Cesare cadde vittima di una congiura ordita da alcuni senatori che vedevano nel suo potere una minaccia per le istituzioni repubblicane. L’uccisione di Cesare aprì la lotta per la successione al trono di Roma.