Università degli Studi di Salerno Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Dipartimento di Fisica “E. R. Caianiello” Tesi di Laurea Classificazione spettrale delle stelle Relatore: Candidato: Ch.mo Prof. Valerio Bozza Aldi Giulio Francesco Matr.: 0512600038 Correlatore: Ch.mo Prof. Canio Noce Anno Accademico 2012/2013 Indice Introduzione 2 1. Classificazione spettrale delle stelle 1.1 Formazione delle righe spettrali 1.1.1 La distribuzione di velocità di Maxwell-Boltzmann 1.1.2 L’equazione di Boltzmann 1.1.3 L’equazione di Saha 1.1.5 Combiniamo le due equazioni 1.2 Classificazione spettrale di Harvard 1.3 Diagramma di Hertzsprung-Russell 1.4 Classi di luminosità di Morgan-Keenan 4 4 7 8 9 11 17 18 23 2. Reticolo di diffrazione 2.1 Equazione del reticolo 2.2 Ordini di diffrazione 2.2.1 Sovrapposizione dei raggi diffratti 2.3 Dispersione 2.3.1 Dispersione angolare 2.3.2 Dispersione lineare 2.4 Potere risolutivo 2.5 Efficienza 25 25 28 29 30 30 31 31 33 3. Elaborazione e analisi degli spettri 3.1 Apparato sperimentale 3.1.1 Caratteristiche del telescopio e della CCD 3.1.2 Caratteristiche del reticolo 3.2 Descrizione del processo di elaborazione dei dati 3.2.1 Riduzione delle immagini grezze 3.2.2 Estrazione degli spettri con il software Rspec 3.3Analisi degli spettri 3.3.1 Spettro di Alphecca: classe A0V 3.3.2 Spettro di SAO 101623: classe F0IV 3.3.3 Spettro di Rastaban: classe G2II 3.3.4 Spettro di Unukalhai: classe K2III 3.3.5 Spettro di Yed Prior: classe M1III 3.3.6 Spettro di SAO 184014: classe B0.2IV 3.3.7 Spettro di SAO 34149: classe O6e 3.4 Conclusioni 34 35 35 35 36 37 38 41 41 42 43 45 46 47 48 50 -1- Introduzione <<Un filosofo una volta si chiese: "Siamo umani perché osserviamo le stelle o le osserviamo perché siamo umani?" Quesito sterile. Le stelle poi osservano noi? Questa si che è una domanda! >>1 Fin dalla nascita delle civiltà il genere umano deve essersi chiesto cos’erano quegli irragiungibili puntini luminosi che brillavano in cielo sopra le loro teste, che mutavano con il passare delle stagioni, che apparivano dall’oscurità prendendo il posto del Sole. E cosa poteva essere quest’ultimo se non un’entità superiore che dispensa vita, calore e morte per la siccità. Così sono nati i miti, cosi è nata l’astrologia, che associava ad ogni stella o pianeta una figura divina capace di guidare le vicende umane. Figura divina che, da quella posizione privilegiata, poteva controllarle, modificarle o determinarle, a seconda delle sue simpatie e capricci. Con il passare dei secoli, acuti osservatori alzarono lo sguardo al cielo con menti più critiche e cominciarono a porsi domande su questi oggetti, alcune delle quali ancora oggi non hanno risposta. Iniziò, così, il lungo e difficile sviluppo dell’Astronomia e le stelle da osservatrici invadenti divennero delle osservate speciali. Una delle domande che ha tormentato le coscienze degli astronomi di tutti i tempi è stata: “Di cosa sono composte le stelle? Possiamo risalire a queste informazioni anche se sono infinitamente distanti da noi?” La risposta fu intuita, all’inizio del XIX secolo, dal gesuita padre Secchi, il quale credeva che in quelle strisce colorate solcate da righe scure, quelli che noi chiamiamo spettri stellari, vi era la chiave per capire la composizione chimica e la struttura 1 Citazione tratta dal film “Stardust” (2007) -2- fisica delle stelle. La completa comprensione e interpretazione degli spettri avvenne nel XX secolo con l’avvento della descrizione quantistica dell’atomo. Questo elaborato ha come obiettivo quello di guidare nel percorso che va dalla descrizione dei meccanismi di formazione delle righe spettrali all’analisi degli spettri di sette stelle acquisiti presso l’Osservatorio Astronomico del Dipartimento di Fisica “E. R. Caianiello”. Vengono sviluppate problematiche sia teoriche che sperimentali. E’ descritto il funzionamento di un reticolo di diffrazione, strumento fondamentale per la nostra analisi. Inoltre, gli spettri ottenuti in laboratorio sono confrontati con degli spettri presenti nella libreria del software RSPEC, che è stato utilizzato per l’estrazione degli stessi dalle immagini scientifiche. Si osserva, infine, come l’ottimo accordo tra gli spettri elaborati e quelli di riferimento ha permesso di dedurre interessanti risultati. Giulio Francesco Aldi -3- 1. Classificazione spettrale delle stelle “Gli astronomi potranno ottenere misure sempre più precise della posizione e distanza degli astri, ma non saranno mai in grado di stabilirne la natura fisica e la composizione chimica” Auguste Comte 1.1 Formazione delle righe spettrali Prima di iniziare la trattazione è necessario definire cosa è uno spettro: uno spettro è la scomposizione della radiazione elettromagnetica proveniente da una sorgente, in questo caso una stella, nelle sue componenti in funzione delle loro lunghezze d’onda. Generalmente, sul fondo continuo dello spettro delle stelle sovrappongono si delle righe spettrali o righe di assorbimento (in figura 1 sono le righe scure). Le differenze principali fra gli spettri stellari si basano sul numero e Figura 1 - Fotografia dello spettro visibile del Sole – tratta dal libro"Astronomia generale" di P. Bakulin, E. Kononovic, V. Moroz sull’intensità delle righe spettrali ed anche sulla distribuzione dell’energia nello spettro continuo. Per comprenderne l’origine è necessario studiare la struttura atomica con gli strumenti della meccanica quantistica, ed in particolare consideriamo l’atomo d’idrogeno, l’elemento più semplice presente in natura che è l’unico caso in cui l’equazione di Schroedinger è risolvibile esattamente. Inoltre, è necessario tener conto che la luce -4- interagisce con la materia con scambi di energia discreti, per cui formata da quanti di energia detti “fotoni” che hanno un’energia E pari a: dove è la frequenza dell’onda elettromagnetica. L’atomo d’idrogeno consiste di un protone e di un elettrone che gli ruota intorno. L’equazione di Schröedinger per gli stati stazionari è ( ) ( ) ( ) con E si indicano gli autovalori e con 𝝍(r) le autofunzioni dell’ operatore Hamiltoniano (| |) ( ) dove re , me e rn , e mn indicano rispettivamente il vettore posizione rispetto ad un generico punto di riferimento e la massa dell’elettrone e del nucleo, e V(|re-rn|) è l’operatore energia potenziale di Coulomb. Dopo aver separato il problema con un opportuno cambio di variabili, si ottiene l’equazione per il singolo elettrone ( ) ( ) Dove r rappresenta il vettore posizione dell’elettrone rispetto al nucleo. A rigore nella (3) dovrebbe comparire la massa ridotta µ del sistema definita dalla relazione ( ) Poichè l’elettrone ha una massa 2000 volte più piccola di quella del protone, µ si può approssimare ad me. Risolvendo l’equazione (1) si ottengono gli autovalori E dell’energia in funzione del numero quantico principale n, con n intero positivo, dati dalla relazione -5- ( ) Risolvendo la (1) si può risalire anche alla struttura generale delle autofunzioni del problema, ma non è rilevante ai fini della presente trattazione e non verrà riportata. Il cuore del discorso risiede nella (5) poichè come si può vedere il problema ammette soluzioni discrete, per cui l’elettrone legato al nucleo può assumere solo valori dell’energia discreti permessi dalla (5). Alla luce di questo risultato si può spiegare la discretizzazione delle righe spettrali. Le righe scure corrispondo alla lunghezza d’onda della radiazione elettromagnetica (fotone) assorbita dall’atomo che fa transire l’elettrone da uno stato con energia più bassa ad uno ad energia più alta. Lo spettro ottenuto è detto spettro ad assorbimento, mentre nel processo inverso, in cui si ottengono gli spettri ad emissione, un elettrone transita da un livello energetico più alto ad uno più basso. La lunghezza d’onda del fotone allora dipende dalle energie degli orbitali atomici coinvolti nella transizione. Per esempio, le righe di assorbimento di Balmer dell’idrogeno sono dovute alla transizione dal livello energetico con n=2 ad orbitali con n superiori, si ha l’inverso per le righe di emissione. Figura 2 - In questa figura sono illustrate le serie di righe per l'idrogeno sia in assorbimento che in emissione -6- La lunghezza d’onda λ che corrisponderà alle transizionni è data dalla relazione: ( ) andando a sostituire nella (6) la (5) e ricordando che ( si ha ) ( ) La (7) è nota come equazione di Rydberg e ci permette di calcolare la lunghezza d’onda delle diverse serie spettrali mantenedeno costante nbassa e facendo variare nalta . 1.1.1 La distribuzione di velocità di Maxwell-Boltzmann La discretizzazione dei livelli energetici nell’atomo di idrogeno ha permesso la comprensione completo del suo spettro. Nelle stelle gioca un ruolo fondamentale la temperatura, infatti la distinzione tra gli spettri di stelle con diversa temperatura è causata dai diversi stati di occupazione dei livelli energetici degli elettroni negli atomi che si trovano nelle atmosfere delle stelle. I dettagli della formazione delle righe spettrali possono essere molto complicati poichè gli elettroni possono trovarsi in qualsiasi orbitale atomico. Inoltre, gli atomi possono trovarsi in vari stadi di ionizzazione generalmente con dei numeri romani che seguono il simbolo dell’atomo. Per esempio, H I e He I sono neutri (non ionizzati) mentre He II è l’elio al primo stadio di ionizzazione. Per descrivere l’andamento delle righe spettrali si deve consocere il numero di atomi ionizzati nell’atmosfera stellare e quali sono gli orbitali più probabili in cui possono trovarsi gli elettroni atomici. Per fare ciò si utilizzano gli strumenti della meccanica statistica, in particolare usiamo la distribuzione delle velocità di Maxwell-Boltzmann che è definita dall’espressione ( ) -7- ( ) La (8) conta la frazione di particelle che ha una velocità compresa tra v e v+dv, dove n e m sono rispettivamente il numero di particelle per unità di volume e la massa delle particelle, kB è la costante di Boltzmann 2 e T è la temperatura del gas in kelvin. Questa relazione vale solo se il gas è all’equilibrio termodinamico. Si può applicare la (8) perchè il gas che forma l’atmosfera è molto rarefatto per cui possiamo trascurare effetti quantistici e trattare le particelle come oggetti classici. Possiamo trascurare anche effetti relativistici poichè le particelle hanno una velocità dell’ordine di kBT che è molto minore della velocità della luce, infatti dalla (8) si deduce che la velocità più probabile è √ ( ) Per avere una stima numerica della velocità media di un elettrone nell’atmosfera stellare si può prendere in considerazione la temperatura efficace del Sole che si può ricavare dalla legge di Stefan-Boltzmann dove L è la luminosità3, R è il raggio del Sole e σ4 è la costante di Stefan-Boltzmann. Teff è la temperatura efficace definita come la temperatura che ha un corpo nero delle stesse dimensioni della stella e con la stessa luminosità. A partire dalla misura del raggio R e della luminosità si ricava la Teff pari a 5777 K. Andando a sostiuire i valori numerici nella (9) si ottiene che è pari al 0.0018 % di c. 2 -23 -1 La costante di Boltzmann KB è pari a 1.3806504 x 10 J K La luminosità è l’energia che emette la stella per unità di tempo 4 -8 -2 -4 La costante di Stefan-Boltzmann è pari a 5.6704 x 10 W m K 3 -8- 1.1.2 L’equazione di Boltzmann Gli atomi che formano il gas possono perdere e guadagnare energia a causa delle collisioni. L’energia guadagnata o persa può tradursi in una transizione degli elettroni tra orbitali con energie differenti. Come risultato, la distribuzione delle velocità di impatto degli atomi data dalla (8) produce una definita distribuzione degli elettroni negli orbitali atomici. Sia Sa un set di numeri quantici che definsice uno stato di energia Ea per un insieme di elettroni atomici . Similmente sia Sb un set di numeri quantici che definisce uno stato di energia Eb . Il rapporto della probabilità P(Sb) che l’elettrone si trovi nello stato Sb e la probabilità P(Sa) che l’elettrone si trovi nello stato Sa è data da ( ) ( ) ( ) dove T è la temperatura comune ai due sistemi. Se la differenza tra i due livelli energetici cresce, oppure la temperatura decresce, l'argomento dell'esponenziale assume valori grandi e negativi, portando gli atomi ad occupare solo lo stato Sa ad energia più bassa. Al contrario, se la temperatura cresce, l'argomento dell'esponenziale tende a zero e la probabilità di occupazione dei due stati diventa identica. Gli atomi, così, si distribuiscono equamente tra gli stati Sa e Sb. Viceversa se Eb < Ea otteniamo i risultati opposti. Tuttavia, è necessario generalizzare la (10a) poichè non tiene conto della degenerazione che i livelli energetici possono presentare. Due stati con diversi numeri quantici si dicono degeneri se hanno la stessa energia. Nel calcolo delle probabilità P(Sa) e P(Sb) dobbiamo considerare tutti gli stati degeneri separatamente, per cui si introducono i pesi statistici che rappresentano il numero di degenerazioni per ogni livello energetico. Definiamo ga e gb i pesi statisitici rispettivamente dei livelli energetici Ea e Eb, allora possiamo riscrivere la (10) come segue -9- ( ) ( ) ( ) Poichè l’atmosfera stellare contiene un enorme numero di atomi, allora, il rapporto tra il numero di atomi che hanno energie differenti tende al rapporto delle rispettive frequenze di probabilità di trovare un atomo con quell’energia, allora la (10b) si può riscrivere ( ) dove Nb e Na è rispettivamente il numero di atomi con energia Eb ed Ea . La (11) è chiamata equazione di Boltzmann. Tuttavia, questa relazione da sola non basta a descrivere gli spettri. Infatti, per un gas di idrogeno neutro è necessaria una temperatura di almeno 85000 K affinchè gli elettroni siano equamente distribuiti tra lo stato fondamentale e il primo stato eccitato, mentre si osserva sperimentalmente che le righe di assorbimento di Balmer hanno un picco alla temperatura di 9520 K e perdono intensità a temperature superiori. Ciò accade perchè la (11) non tiene conto della ionizzazione degli atomi che può verificarsi ad alte temperature. Questo problema viene analizzato nel seguente paragrafo. - 10 - 1.1.3 L’equazione di Saha Consideriamo ora un sistema composto di atomi in differenti stati di ionizzazione. Sia αi l’energia di ionizzazione necessaria per rimuovere un elettrone da un atomo nello stato fondamentale, portandolo dallo stato di ionizzazione i allo stato di ionizzazione i+1. Per effettuare un conteggio degli atomi nello stato i+1 bisogna tener conto di tutte le possibili configurazioni in cui possono disporsi gli elettroni negli orbitali. Per fare ciò si ricorre al calcolo della funzione di partizione canonica del sistema. Il calcolo della funzione di partizione canonica è legittimo poichè si considera il sistema a temperatura costante nello stato inziale i e finale i+1 di ionizzazione. Una definizione di funzione di partizione canonica è ( ∑ ) dove E1 è l’energia dello stato fondamentale, Ej e gj sono rispettivamente l’energia e la degenerazione del j-esimo livello. Se scriviamo la funzione di partizione Zi e Zi+1 dell’atomo nello stato iniziale e finale di ionizzazione, il rapporto del numero di atomi nello stadio i+1 e il numero di atomi nello stadio i è dato dalla seguente relazione ( ) ( ) ( ) dove ne è il numero di elettroni liberi per unità di volume e me è la massa. Questa equazione è nota come equazione di Saha, dall’astrofisico indiano che per primo la derivò nel 1920. Dal secondo membro della (13a) si può vedere che al crescere della densità degli elettroni il numero degli atomi ionizzati ad un livello superiore decresce. Ciò accade perchè ci sono più elettroni che possono ricombinarsi con gli ioni. Il fattore 2 tiene conto dei due valori del numero quantico ms che può assumere l’elettrone liberato dalla - 11 - ionizzazione pari a ± ½. La (13a) si può riscrivere in una forma più comoda introducendo la pressione per libero elettrone Pe definita dall’equazione di stato dei gas perfetti ( ) allora la (13a) diventa ( ) ( ) ( ) Questa equazione ci permette di calcolare il numero di atomi della stessa specie in diversi stati di ionizzazione. 1.1.5 Combiniamo le due equazioni Nei paragrafi precedenti sono stati presi in esame separatamente due feonomeni che si verificano nelle atmosfere stellari e che determinano la forma e l’andamento delle righe spettrali. In questo paragrafo si considerano i due effetti combinati, in modo da giustificare i risultati sperimentali esposti precedentmente e prevedere la forma e l’intensità dello spettro solare a partire dalla composizione chimica della fotosfera. Consideriamo in un’atmosfera stellare il grado di ionizzazione dell’idrogeno. Per semplicità si assume che la pressione per elettrone sia costante e pari a Pe = 20 N m-2 . Usiamo la (13b) per calcolare la frazione di atomi ionizzati, NII / (NII + NI ). Per far questo, si determinano le funzioni di partizione ZI e ZII. L’idrogeno ionizzato non ha elettroni per cui si ha che il peso statisico gII = 1. L’energia del primo stato eccitato dell’idrogeno è 10.2 eV sopra lo stato fondamentale ed è molto maggiore dell’energia termica kBT poichè la temperatura effettiva è dell’ordine di migliaia di kelvin, per cui l’esponenziale è molto minore di uno. Trascurando i termini successivi della sommatoria, la funzione di partizione ZI = 2 dal momento che gI = 2. Sostituendo questi valori nell’equazione di Saha - 12 - con αi = 13.6 eV otteniamo il rapporto per gli atomi ionizzati NII/NI. Questo rapporto è usato per trovare la frazione di atomi d’idrogeno ionizzati NII/Ntotali, scrivendo Figura 3 - grafico in cui è riportato l'andamento di NII/Ntotali applicata all'idrogeno, in funzione della temperatura Dalla figura 3 si può evincere che a 5000 K nessun atomo di idrogeno è ionizzato e metà dell’idrogeno si ionizza quando si raggiungono i 9600 K. La zona di transizione in cui l’idrogeno è parzialmente ionizzato è detta zona di ionizzazione parziale ed ha una temperatura caratteristica di 10000 K. Applicando l’equazione di Boltzmann si calcolano il numero di atomi che hanno l’elettrone nel livello energetico con n = 2 e l’intensità delle righe di Balmer che dipende dal rapporto N2/ Ntotale , la frazione di atomi di idrogeno che si trovano nel primo stato eccitato. A partire dal risultato ottenuto con la (13) si ha - 13 - ( )( ) ( )( ) ( ) Nella (15) è stata utilizzata l’approssimazione N1+ N2 ~ NI, poichè trascuriamo l’occupazione degli stati eccitati superiori al primo. Il risultato ottenuto nella (15) è riassunto nel seguente grafico Figura 4 - in figura è riportato l'andamento del numero relativo di atomi nel primo stato eccitato (n=2) in funzione della temperatura Il grafico mostra la diminuzione della frazione di atomi di idrogeno nel primo stato eccitato e la conseguente diminuzione dell’intensità delle righe di Balmer in corrispondenza dell’aumento della ionizzazione degli atomi di idrogeno, che avviene in maniera significativa dai 10000 K in poi. Si passa alla fotosfera solare. La temperatura caratteristica della fotosfera è Te = 5777 K. Essa contiene 500000 atomi di H per ogni atomo di Ca con una pressione Pe di 1.5 N m-2 . 5 A partire da queste informazioni possiamo applicare l’equazione di Boltzmann e l’equazione di Saha per determinare l’intensità relativa delle righe di assorbimento dovute all’idrogeno e al calcio. Analogamente al caso precedente si deve calcolare il numero relativo di atomi di H 5 Da Crox (2000), pag.348 - 14 - ionizzati utilizzando la (13b). Una volta noto questo valore, si applica l’equazione di Boltzmann per calcolare il numero relativo di atomi nel primo stato eccitato. Dalla (13b) si ha [ ] ( ) ( ) ( ) Andando a sostituire i valori numeri utilizzati precedentemente si ha [ ] Ciò significa che nella fotosfera vi sono 13000 atomi di idrogeno non ionizzati per ogni atomo di idrogeno ionizzato H II. Ora calcoliamo le frazioni di atomi neutri che sono nel primo stato eccitato. Dalla (11) si ha [ ( ] ) dove N2 , N1 e E1, E2 sono rispettivamente il numero e l’energia degli atomi nel primo stato eccitato e nllo stato fondamentale. Inoltre, g2 è il peso statistico per il primo stato eccitato e g1 è il peso statistico dello stato fondamentale. Poichè la degenerazione dei livelli energetici dell’atomo di idrogeno è 2n2 , g2 = 8 e g1=2. Andando a sostiuire i valori numerici nella (17), si ottiene [ ] Per cui gli atomi che possono produrre le righe di Balmer sono 1 ogni 200 milioni di atomi di idrogeno - 15 - ( )( )6 ( ( [ ] )( [ ] ) ) Da questo risultato si deduce che le righe di Balmer nello spettro solare sono molto deboli. Analogamente s può procedere con il calcio. L’energia di prima ionizzazione β1 per Ca I è pari a 6.11 eV. Valutare le funzioni di partizione dello stato iniziale Ca I e dello stato finale Ca II è molto complicato e i risultati sono tabulati: ZI = 1.32 e ZII = 2.30. Applicando la (13) si ha [ ] ( ) ( ) ( ) Andando a sostituire i risultati numerici si ottiene [ ] da questo si deduce che praticamente tutto il calcio è al primo stadio di ionizzazione. Ora non resta che applicare l’equazione di Boltzmann per stimare quanti di questi Ca II sono nello stato fondamentale e capaci di formare le linee di assorbimento H e K7. Consideriamo le righe K: il primo stato eccitato E2 ha energia 3.12 eV sullo stato fondamentale E1, per cui E2 – E1 = 3.12 eV. La degenerazione dei due livelli e rispettivamente di g2 = 4 e g1 = 2. Applicando l’equazione di Boltzmann si ha [ ] Da questo risultato si ottiene che solo 1 atomo su 265 si trova nel primo stato eccitato. Alla luce del risultato precedente si può dire che quasi tutto il calcio ionizzato è nello stato fondamentale e può produrre le righe K. Infatti, si ha 6 Abbiamo applicato l’approssimazione N1 + N2 = NI come nella (15) Le nomenclatura H e K non si riferisce a transizioni di elettroni tra orbitali con energie diverse, ma sono un retaggio della notazione usata da Joseph Fraunhofer nel suo studio dello spettro solare. 7 - 16 - [ ] ( )( [ ( )( ) ] [ ] ) Le righe H e K del calcio sono molto più intense delle righe di Balmer. In queste condizioni di temperatura e pressione, la maggior parte dell’idrogeno presente nella fotosfera è ionizzato. Questo risalta la forte dipendenza dalla temperatura degli stati atomici di eccitazione e ionizzazione, che influenza fortemente la formazione degli spettri. Infatti, ogni classe spettrale ha un range caratteristico di temperature alle quali corrisponderà una preponderanza di righe spettrali di un composto, come vedremo nel seguente paragrafo. 1.2 Classificazione spettrale di Harvard La classificazione spettrale delle stelle è iniziata molto prima che si spiegasse il meccanismo della formazione degli spettri che abbiamo precedentemente discusso. Tuttavia, si è subito compreso che le particolarità fondamentali degli spettri sono associate a differenze nelle proprietà fisiche delle stelle. La prima classificazione basata su elementi spettroscopici è dovuta al padre gesuita Secchi. Nel 1866 egli divise le stelle in tre classi: classe I: stelle bianche e azzurre con righe dell'idrogeno forti e larghe; classe II: stelle gialle con righe dell'idrogeno meno marcate e con evidenti righe caratteristiche dei metalli (calcio, sodio, ecc.); classe III: stelle rosse, con uno spettro complesso con bande molto larghe. - 17 - Tutte le stelle che non corrispondevano alle caratteristiche appena descritte venivano inserite in una quarta classe. Procedendo empiricamente, Edward C. Pickering negli anni ottanta dell’ottocento cominciò a studiare presso l’Harvard College Observatory gli spettri stellari facendo uso del prisma obiettivo. Nel 1901 Annie Jump Cannon, sulla base dei lavori di Pickering, Williamina Fleming e Antonia Maury suddivise le classi spettrali in sette classi ordinate e denotate con le lettere O, B, A, F, G, K ed M. Questa classificazione è nota come “classificazione di Harvard”. Il criterio quantitativo dell’appartenenza di una stella all’una o all’altra classe spettrale è fornito dal rapporto delle intensità di righe spettrali. La caratteristica principale di questa classificazione è che ogni classe spettrale è definita da un range di temperature. Infatti, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la temperatura è un fattore determinante per la ionizzazione e l’eccitazione degli atomi che influiscono sulla formazione degli spettri. La temperatura decresce dalla classe O alla classe M e ognuna è divisa in 10 sottoclassi individuate da una cifra da 0 a 9 che segue la classe spettrale. Inoltre, le stelle appartenenti ad una classe presentano una preponderanza di righe spettrali relative ad un elemento oppure ad un composto che viene sintetizzato nell’atmosfera stellare come accade per le stelle di classe M che hanno come composto caratteristico l’ossido di titanio TiO (figura 5). Figura 5 - in figura è mostrato l'andamento delle righe dell'elemento preponderante per ogni classe spettrale Di seguito sono riportate le classi spettrali con le loro caratteristiche: - 18 - Classe O Appartengono a questa classe le stelle con temperatura superficiale maggiore di 33,000 K. Gran parte dello spettro è compreso nell’ultravioletto. Compaiono righe di assorbimento e qualche volta di emissione dell’ He II. Sono più forti le righe di assorbimento di He II. Le righe della serie di Balmer dell'idrogeno sono presenti, ma deboli. Appaiono di colore blu. Classe B Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 10,000 K e 33,000 K. Sono più forti le righe dell’He I in particolare per le B2. Cominciano a diventare importanti le righe di Balmer per l’H I. Gli ioni metallici predominanti sono Mg II and Si II. Appaiono di colore blu. Classe A Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 7,500 e 10,000 K. Le righe della serie di Balmer raggiungono la massima intensità. Le righe del Ca II sono ben nette e si osservano anche righe di altri metalli ionizzati come Fe II e Mg II. Appaiono di colore bianco. Classe F Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 6,000 K e 7,500 K. Le righe di Balmer perdono intensità mentre si rinforzano quelle dei metalli ionizzati come il calcio, ferro e titanio. Cominciano ad apparire le righe dei metalli neutri. Appaiono di colore giallastro. Classe G Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 5,200 K e 6,000 K. Le righe di Balmer sono impercettibili, sono presenti metalli ionizzati come Fe II e Mg II. Appaiono di colore giallo. Classe K Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 3,700 K e 5,200 K. Anche in questa classe le righe dell’idrogeno sono impercettibili fra le righe dei metalli, - 19 - molto intense. L’estremità violetta dello spettro continuo è sensibilmente indebolita, il che testimonia un forte abbassamento della temperatura rispetto alle prime classi (O, B, A). Il colore della stella è arancione. Classe M Appartengono a questa classe le stelle con temperatura compresa tra 2,000 K e 3,700 K. Le righe dei metalli si indeboliscono. Lo spettro è tagliato da bande di assorbimento delle molecole dell’ossido di titanio e da altre combinazioni molecolari. Il colore delle stelle è rossastro. - 20 - 1.3 Diagramma di Hertzsprung-Russell All’inizio del ventesimo secolo, gli astronomi accumularono un incredibile quantità di dati relativi alle magnitudini e alle luminosità di molte stelle. Grazie alla raccolta di questi dati, l’astronomo danese Hertzsprung e più tardi l’astrofisico Russell mostrarono che esiste una relazione fra la forma dello spettro e la luminosità delle stelle. Questa relazione è rappresentata da un diagramma nel quale si riportano in ascissa la classe spettrale ed in ordinata la magnitudine assoluta. Tale diagramma si chiama diagramma spettro-luminosità o diagramma di Hertzsprung–Russell. Al posto della magnitudine assoluta si può riportare la luminosità ed al posto delle classi spettrali gli indici di colore oppure la temperatura efficace. Il diagramma di Hertzsprung-Russell ci ha permesso di formulare una prima teoria sull’evoluzione stellare facendo corrispondere ogni stadio evolutivo ad una classe spettrale. Il primo stadio della vita stellare era assegnato alla classe O a cui si pensava appartenessero giovani stelle molto brillanti e con temperature effettive elevatissime. Quest’ipotesi era basata sull’osservazione sperimentale che tutte le stelle di classe O sono molto più luminose e calde di quelle appertenenti a classi successive, in particolare modo di quelle meno brillanti e relativamente più fredde appartenti alla classe M. Inoltre, mostra un andamento regolare in funzione delle classi spettrali anche la legge empirica che collega massa e luminosità ( dove e ) ( ) sono rispettivamente la luminosità e la massa del Sole e “a” è un parametro che dipende dal tipo spettrale e dalla posizione della stella nel diagramma H-R. Attualmente l’evoluzione stellare è basata su dei modelli molto più complessi ed è completamente diversa. La posizione di ogni stella nel diagramma è definita dalla sua struttura fisica e dal suo stadio di evoluzione. Esso consente di individuare i diversi gruppi di stelle associate da - 21 - comuni proprietà fisiche e evidenzia la caretterstica che in prima approssimazione le stelle sono diverse realizzazioni dello stesso sistema fisico. La parte superiore del diagramma riguarda le stelle di alta luminosità e che, per dati valori della temperatura sono molto grandi. La parte inferiore del diagramma è riservata alle stelle di debole luminosità. A sinistra si trovano le stelle calde delle prime classi spettrali mentre a destra si trovano le stelle più fredde delle classi avanzate. Figura 6 - Esempio di diagramma H-R, in basso è riportato l'indice di colore B-V, sull'asse in alto la temperatura efficace con le classi spettrali mentre sull'asse delle ordinate è riportata la magnitudine assoluta relativa alla parte visibile dello spettro elettromagnetico Come si può notare dalla figura vi sono tre zone del grafico particolermente popolate: in alto a destra si trovano stelle con elevata luminosià ma con basse temperature, e per la legge di Stefan-Boltzmann stelle con la stessa temperatura ma con luminosità più alta devono avere un raggio più grande; per questo motivo sono dette giganti o supergiganti rosse. In basso a sinistra si trovano, invece, stelle ad elevata temperatura ma con bassa luminosità, quindi con raggi modesti e sono chiamate nane bianche. La diagonale più ricca che va dall’alto in basso, da sinistra a destra, è chiamata sequenza principale. Al suo estremo superiore vi sono le stelle di classe con 90 masse solari mentre al suo estremo inferiore vi sono le stelle di classe M con 0.08 masse solare. Le stelle che appartengono - 22 - alla sequenza principale sono dette in termini tecnici nane. Il diagramma ci permette di risalire al raggio delle stelle a partire dalle misure di luminosità o magnitudine assoluta, utilizzando la legge di Stefan-Boltzmann Se riportiamo i valori della temperatura e della luminosità in scala logaritmica, le stelle aventi lo stesso raggio giacciono su rette di pendenza 4. In alcune zone del diagramma si trovano stelle variabili a causa delle pulsazioni regolari dell’inviluppo. La zona più importante occupata dalle Cefeidi e dalle RR-Lyrae si trova in corrispondenza dei 7,000 K. Il fatto che in quella precisa zona del diagramma tutte le stelle abbiano una pulsazione del loro inviluppo esterno è una conferma del fatto che le stelle siano realizzazioni dello stesso sistema fisico regolato dagli stessi principi fisici e da pochi parametri. - 23 - 1..4 Classi di luminosità di Morgan-Keenan Quando le stelle escono dalla sequenza principale e diventano delle giganti aumentano considerevolmente il loro volume e di conseguenza diminuiscono la loro densità. Questo influisce sugli spettri di stelle che appartengono alla stessa classe spettrale poichè l’allargamento collisionale, cioè la larghezza di ogni riga spettrale, dipende dalla pressione superficiale che a sua volta dipende dall’accelerazione di gravità superficiale g dove MS e R sono rispettivamente la massa e il raggio della stella. All’aumentare della gravità superfciale l’allargamento collisionale aumenta, quindi, a parità di classe spettrale, gli spettri delle giganti rosse presentano una larghezza delle righe spettrali minore rispetto alle stelle della sequenza principale. Il parametro osservabile che risente di questo cambiamento è la luminosità che, per la legge di Stefan-Boltzmann, dipende dal raggio. Per tener conto di questa variazione nel 1943 fu introdotto da Wiliam W. Morgan e Phillip C. Keenan un ulteriore classificazione, in aggiunta alla classificazione di Harvard, costituita da classi di luminosità, cioè classi definite da un range di luminosità. Le classi di luminosità vengono usualmente denotate con numeri romani; per esempio la numero “I” è riservata alle supergiganti rosse, mentre la “V” denota le stelle che appartengono alla sequenza principale. La figura 7 mostra come queste classi dividono il diagramma H-R. In conclusione, una volta fissata classe spettrale e classe di luminosità possiamo risalire a tutte le caratteristiche chimiche e fisiche di una stella, come il raggio, la luminosità, la temperatura senza conoscerne la distanza. Anzi, le informazioni spettrali possono consentire di stimare la distanza con il metodo della della parallasse spettroscopica data dall’equazione - 24 - ( ) che deriva dalla definizione di magnitudine apparente, data dalla relazione ( ) una volta dedotta la magnitudine assoluta M dal diagramma H-R e misurata la magnitudine apparente m. La sua accuratezza è limitata poichè non c’è una ben definita correlazione tra la magnitudine assoluta e la classe di luminosità. Se si considera ± 1 l’errore sulla magnitudine assoluta per una specifica classe, l’incertezza su d è 101/5 = 1.6 . Figura 7 - in figura è mostrato un diagramma H-R in cui appaiono chiare le classi di luminosità indicate con numeri romani con le relative sottoclassi, sull'asse delle ascisse sono riportate le classi spettrali e sull'asse delle ordinate la luminosità rispetto a quella solare. - 25 - 2. Reticolo di diffrazione Nel capitolo precedente sono stati illustrati i meccanismi della formazione degli spettri. In questo capitolo si vuole illustrare come si ottengono sperimentalmente, in particolare si analizzeranno le caratteristiche più importanti di un reticolo di diffrazione che permette la dispersione delle onde elettromagnetiche su un rivelatore come una lastra fotografica o una camera CCD. 2.1 Equazione del reticolo Un reticolo è un componenete ottico costituito solitamente da una lastra di vetro sulla cui superficie è incisa una trama di linee parallele, uguali ed equidistanti, a distanze confrontabili con la lunghezza d'onda della luce che si sta studiando. La caratteristica principale del reticolo è la modulazione spaziale dell’indice di rifrazione. Quando un raggio monocromatico incide sulla superficie del reticolo è diffratto in direzioni discrete. La luce diffratta da ogni scalanatura si combina formando un set di forme d’onda diffratte. L’utilità del reticolo sta nel fatto che, assegnata una spaziatura d tra una scalanatura e l’altra, tutte le componenti diffratte sono in fase tra loro facendo interferenza costruttiva. Figura 8 - reticolo di diffrazione e un fascio di luce incidente con un angolo a - 26 - In figura 8 è mostrato un reticolo ed un fascio di luce monocromatico di lunghezza d’onda λ che, incidendo con un angolo a su di esso, viene diffratto lungo un set di angoli {βm}. Tutti gli angoli sono misurati rispetto alla normale del reticolo. Inoltre, la normale divide il piano in due semipiani, in figura 8 sono denotati con + e −. Il semipiano + è quello in cui giace il raggio incidente. E’ attribuito il segno meno agli angoli riferiti a raggi diffratti o riflessi che non appartengono al semipiano +, il segno più agli altri. Il principio di interferenza costruttiva impone che la differenza di cammino ottico tra due raggi di deve essere un multiplo intero della loro lunghezza d’onda λ . Figura 9 - due raggi 1 e 2 in fase tra loro (fronte d'onda A) incidono sul reticolo di passo d e vengono diffratti. Dopo la diffrazione ricostruiamo il fronte d'onda B tra i raggi che escono paralleli e ancora in fase tra loro. La figura mostra che la differenza di cammino ottico tra due raggi che incidono sul reticolo con un angolo α è pari a d sin α + d sin β. Questa relazione definisce l’equazione del reticolo ( ) ( ) dove β è la direzione del raggio diffratto, che regola le posizioni angolari dei picchi d’intensità quando un fascio di lunghezza con lunghezza d’onda λ è diffratto da un reticolo di passo d. Nella (21) m è detto ordine di diffrazione ed è un intero. Per una - 27 - particolare lunghezza d’onda λ, tutti i valori interi di m per i quali | | corrispondono ad ordini di diffrazione permessi. Per m = 0 si ottiene la legge di riflessione, β = - α. Di solito la (21) è riportata nella forma ( ) ( ) dove G = 1/d è la densità di reticolo. La (21) e la (22) sono forme equivalenti dell’equazione del reticolo, ma la loro validità è ristretta al caso in cui i raggi incidenti appartengono al piano ortogonale al piano del reticolo. Se i raggi non sono perpendicolari al piano del reticolo, l’equazione va modificata nel modo seguente ( ) ( ) dove e è l’angolo tra la proiezione del raggio sul reticolo e la direzione perpendicolare ai solchi giacente sul reticolo stesso. Se quest’angolo è zero la (23) si riconduce alla (22). Per un reticolo di passo d, si può ricavare una relazione tra la lunghezza d’onda e gli angoli d’incidenza e di rifrazione. Fissato l’ordine di diffrazione m, un’onda policromatica che incide sul reticolo con un angolo α è separata nelle sue componenti con angoli dati dalla relazione ( ) ( ( ) ) Quando m = 0, il reticolo agisce come uno specchio, e le onde non vengono separate; questo fenomeno è detto riflessione speculare. Un caso speciale ma comune è quello in cui la luce è diffratta indietro nella stessa direzione della luce incidente. Questo configurazione è detta configurazione di Littrow, la (21) diventa ( - 28 - ) 2.2 Ordini di diffrazione Per un fissato passo reticolare d, lunghezza d’onda λ, e angolo di incidenza α, la (21) è generlamente soddisfatta da più di un angolo di diffrazione β. Ciò accade perchè per avere interferenza costruttiva si richiede semplicemente che la differenza di cammino ottico sia un multiplo intero della lunghezza d’onda. Questa condizione è rispettata se la differenza di cammino è pari a λ (m = 1), oppure per il second’ordine di diffrazione (m = 2) o per il second’ordine negativo di diffrazione (m = -2), casi in cui la differenza di cammino è due volte la lunghezza d’onda. Dall’equazione del reticolo si deduce che solo gli ordini che rispettano la condizione | | possono esistere, poichè | | non ha significato. Questa restrizione garantisce che la luce venga diffratta solo in un numero finito di ordini. La riflessione speculare (m = 0) è sempre permessa. Nella maggior parte dei casi, l’equazione del reticolo permette alla luce di lunghezza d’onda λ di essere diffratta sia in ordini positivi che negativi. Ricapitolando, esistono tutti gli ordini di diffrazione per i quali vale Per λ/d << 1, esisteranno molti ordini di diffrazione. La convenzione dei segni per m richiede che m > 0 se il raggio diffratto giace a sinistra dell’ordine zero (m = 0), e m < 0 se il raggio diffratto giace a destra dell’ordine zero. Questa convenzione è illustrata in figura 10. Figura 10 - convenzione per i segni degli ordini di diffrazione - 29 - 2.2.1 Sovrapposizione dei raggi diffratti L’aspetto più delicato del comportamento degli ordini successivi è che si sovrappongono, come mostrato in figura 11. Figura 11 - la luce con lunghezza d'onda di 100 nm, 200 nm, e 300 nm viene diffratta al second’ordine nella stessa direzione del raggio che lunghezza d'onda di 200 nm, 400 nm, 600 nm nel primo ordine Dall’equazione del reticolo, un raggio di lunghezza d’onda λ diffratto nella direzione β sarà accompagnato dalle frazioni λ /2, λ /3, ecc.; ciò accade in ogni configurazione: la luce di linghezza d’onda λ diffratta al prim’ ordine (m = 1), coinciderà con il raggio luminoso di lunghezza d’onda λ /2 diffratta al second’ordine (m = 2). In figura 11, il color rosso (600 nm) diffratto al prim’ordine si sovrapporrà all’ultravioletto (300 nm) diffratto al second’ordine. Un rivelatore sensibile a entrambi gli ordini vedrà entrambi simultaneamente. Quest’ambiguità nei dati spettroscopici è risolta inserendo opportuni filitri chiamati filtri d’ordinamento, capaci di selezionare un ordine per volta. - 30 - 2.3 Dispersione La principale applicazione di un reticolo di diffrazione è quella di scomporre spazialmente la luce nelle lunghezze d’onda componenti. Un fascio di luce bianca che incide su un reticolo di diffrazione verrà seperato nelle lunghezze d’onda che lo compongono, ognuna diffratta in direzioni diverse. La dispersione è la misura della separazione (lineare o angolare) tra i raggi diffratti di lunghezza d’onda differente. 2.3.1 Dispersione angolare L’intervallo angolare Dβ di uno spettro di ordine m con lunghezze d’onda comprese tra l e l + dl può essere ottenuto derivando l’equazione del reticolo, assumendo costante l’angolo d’incidenza α. L’intervallo angolare Dβ per unità di lunghezza d’onda è ( ) dove β è dato dalla (24). La quantità Dβ è detta dispersione angolare. Se la densità di righe G aumenta, la dipersione angolare aumenta. Sostituendo l’equazione del reticolo nella (26a) si ottiene una relazione ancora più generale ( ) Per una data lunghezza onda la dispersione angolare può essere considerata solo funzione degli angoli d’incidenza e di diffrazione. - 31 - 2.3.2 Dispersione lineare Per un raggio di lunghezza d’onda λ diffratto nell’ordine m, a cui corrisponde un angolo di diffrazione β, la dispersione lineare di un reticolo è il prodotto della dispersione angolare Dβ e la lunghezza focale del sistema ottico f(β) ( ) ( ) ( ) ( ) Per molte applicazioni è utile definire il reciproco della dispersione lineare o plate factor ( ( ) ) P è la misura della variazione in lunghezze d'onda corrispondente alla variazione della posizione sullo spettro. 2.4 Potere risolutivo Il potere risolutivo R del reticolo è la misura della sua capacità di separare righe spettrali adiacenti di lunghezza d’onda media λ . Si esprime come il rapporto ( ) qui dλ è il limite di risoluzione, la differenza in lunghezze d’onda tra due linee di intensità uguale che può essere distinto. Il potere risolutivo teorico di un reticolo di diffrazione piano, riportato in tutti i testi di ottica, è ( - 32 - ) dove m è l’ordine di diffrazione e N è il numero di scalanature illuminate dalla radiazione. Per ordini di diffrazione negativi si prende il valore assoluto. Sostituendo nella (29) l’equazione del reticolo si ha ( ) ( ) Se il reticolo ha un passo costante ed il substrato è planare la (30a) si scrive ( ) ( ) dove W = Nd. Dal momento che | sin α + sin β| <2, il massimo potere di risoluzione RMAX è Questa condizione di massimo corrisponde alla configurazione di Littrow. Il potere risolutivo può essere determinato a partire dalla misura del massimo ritardo di fase agli estremi dei raggi diffratti dal reticolo, misurando la differenza in cammino ottico tra i raggi diffratti ai lati opposti del reticolo. Dividendo questa quantità per la lunghezza d’onda del raggio diffratto si ottiene il potere risolutivo. L’accordo tra il valore teorico è quello reale non solo dipende dagli angoli di diffrazione e di incidenza, ma anche dalle condizioni, dalla qualità del sistema ottico, dall’omogeneità del reticolo e da molti altri fattori. Inoltre, possono interferire notevolmente nella misura anche vibrazioni e correnti d’aria. - 33 - 2.5 Efficienza La distribuzione di energia per una data lunghezza d’onda diffratta nei vari ordini di diffrazione dipende da molti parametri come l’angolo d’incidenza, la polarizzazione e l’indice di rifrazione dei materiali sulla superfice del reticolo. Tuttavia si posso fare delle stime facendo alcune approssimazioni. La più semplice condizione usata frequentemente è la nota condizione di fiammata (blaze) ( ) dove θB è l’angolo di fiammata, cioè l’angolo compreso tra la faccia del reticolo e il piano in cui è contenuto il reticolo. Figura 12 – sono mostrati gli angoli di incidenza e di diffrazione in relazione dell’angolo di fiammata Quando è soddisfatta questa condizione, il raggio incidente e diffratto seguono le regole di riflessione rispetto al piano della superficie del reticolo e, come si può vedere dalla figura, si ricava Quando si verifica questa condizione il reticolo si comporta come un piccolo specchio, per cui esso funziona con la massima efficienza. Allontanandosi dalla configurazione di fiammata, l’efficienza del reticolo diminuisce. - 34 - 3. Elaborazione e analisi degli spettri In quest’ultimo capitolo si affronterà l’analisi degli spettri di sette stelle, ognuna appartenente ad una delle sette classi principali di Harvard, acquisiti presso l’Osservatorio Astronomico del Dipartimento di Fisica “E. R. Caianiello”. L’Osservatorio è situato sul tetto del Dipartimento di Fisica, alle coordinate geografiche (40° 46’ 16” N, 14° 47’ 26” E, 300 m). E' costituito da una cupola Sirius di 6.7 m di diametro, che ospita il telescopio e il PC dedicato all'acquisizione delle immagini. 3.1 Apparato sperimentale In questa sezione verrano elencate le caratteristiche tecniche principali degli strumenti utilizzati per l’acquisizione delle immagini grezze 3.1.1 Caratteriste tecniche del telescopio e della CCD Il telescopio utilizzato per effettuare le misure è un Celestron C14 in configurazione Schimdt-Cassegrain, 356 mm di apertura con riduttore di focale e rapporto di focale equivalente f/8. All’epoca delle nostre osservazioni, il tubo ottico era posto su una montatura CI-700, ora sostituita da una più robusta e precisa GM4000HPS. La CCD è una SBIG ST-2000XM con una risoluzione di 1600 x 1200. 3.1.2 Caratteristiche tecniche del reticolo Il reticolo Baader Planetarium ha un passo di 207 righe per millimetro e un diametro di 26 mm per un totale di 5400 scalanature. La zona di blaze è posta sul primo ordine di diffrazione, il suo potere risolutivo teorico è di 0,1 nm. - 35 - 3.2 Descrizione del processo di elaborazione dei dati Sono stati elaborati gli spettri delle stelle riportate in tabella 1 ognuna appartente ad una classe spettrale diversa. Nome stella SAO 34149 SAO 184014 Classe spettrale O6e Magnitudine apparente 5.05 B0.2IV 2.29 Alphecca A0V 2.22 SAO 101623 F0IV 3.80 Rastaban G2II 2.79 Unukalhai K2III 2.63 Yed Prior M1III 2.73 Coordinate equatoriali α δ α δ α δ α δ α δ α δ α δ 22 h 11 min 31 sec + 59° 24’ 52” 16 h 1 min 20 sec – 22° 37’ 18” 15 h 34min 41sec +26° 42’ 53” 15 h 34 min 48 sec +10° 32’ 20” 17 h 30 min 26 sec + 52° 18’ 5” 15 h 44 min 16 sec + 6° 25’ 32” 16 h 14 min 21 sec - 3° 41’ 40” Tabella 1 - in questa tabella sono riportate la classe spettrale a cui appartiene la stella, la sua magnitudine apparente e le sue coordinate equatoriali Nella ruota portafiltri delle CCD è stato selezionato il reticolo di diffrazione. Sono state acquisite 20 immagini per ogni stella con un tempo di esposizione di 1 secondo, solo per SAO 34149 è stato necessario un tempo di esposizione di 5 secondi poichè la sua magnitudine apparente è più alta rispetto alle altre stelle. Inoltre, per rimuovere il contributo del rumore termico dalle immagini sono stati acquisiti 10 Dark (immagini riprese con l’otturatore chiuso), 5 dei quali sono stati acquisiti con un tempo di esposizione di 1secondo e i rimanenti 5 con un tempo di esposizione di 5 secondi. - 36 - 3.2.1 Riduzione delle immagini grezze Per ottenere le immagini scientifiche, da cui sono stati determinati gli spettri, è stata effettuata la riduzione delle immagini grezze con un software in cui è stata implementata la seguente operazione. Dai due gruppi di immagini di Dark con diversi tempi di esposizione, sono stati ricavati due Master Dark effettuando la mediana pixel per pixel di ciascun gruppo di immagini. Poichè la CCD può essere schematizzata come una matrice di pixel, possiamo identificare il singolo pixel, che forma l’immagine, univocamente con i due indici i e j. Con l’indice i si indica la riga e con l’indice j la colonna. Sia Sij il generico pixel che compone l’immagine scientifica, Dij il generico pixel che forma il Master Dark e Rij il generico pixel che compone l’immagine grezza, l’operazione implementata è la seguente Per ottenere l’immagine scientifica è stato sottratto al generico pixel dell’immagine grezza il corrispondente pixel del Master Dark. Per le immagini di SAO 34149 è stato utilizzato il Master Dark con un tempo di esposizione di 5 secondi, mentre per le immagini delle altre stelle il Master Dark con un tempo di esposizione di 1 secondo. Il risultato ottenuto è il seguente Figura 13 – immagine scientifica di Alphecca - 37 - A titolo di esempio è mostrata un’immgine scientifica di Alphecca, dalla quale possiamo trarre informazioni scientifiche. Nell’immagine si possono osservare l’ordine zero di diffrazione, che corrisponde proprio alla stella, il primo ordine di diffrazione, per il quale il reticolo è in condizione di blaze e si intravedono anche il second’ordine e il prim’ordine negativo di diffrazione. 3.2.2 Estrazione degli spettri con il software Rspec L’estrazione degli spettri dalle immagini scientifiche è stata svolta con il software RSpec e consta di varie fasi. Per prima cosa si ottengono dei profili in cui sull’asse delle ascisse sono riportati i pixel, mentre sull’asse delle ordinate è riportato il flusso, espresso in unità arbitrarie, ottenuto sommando il flusso della colonna relativa ad un pixel compresa in un riquadro contenente l’immagine di diffrazione. In figura 14 viene mostrata la situazione appena descritta. Figura 14 - in figura è mostrata la figura di diffrazione di Alphecca, le righe arancioni orizzontali identificano il riquadro, la linea bianca verticale indica la colonna corrispondente ad un pixel, e il tratto giallo identifica la parte della colonna selezionata su cui è effettuata la somma dei flussi dei singoli pixel - 38 - In figura 15 è mostrato un primo profilo digitalizzato, in cui sull’asse delle ascisse sono riportate le posizioni dei pixel e sull’asse delle ordinate il flusso. Si può osservare il picco con massimo sul pixel 531, che corrisponde all’ordine zero di diffrazione, mentre si può osservare la zona relativa al primo ordine di diffrazione dal pixel 700 al 1200. Figura 15 - profilo ottenuto con il processo descritto a cui è stato sottratto il background A questo punto è necessario effettuare la calibrazione del profilo passando da una scala in pixel ad una in angstrom. Per fare ciò si prende un punto di riferimento, come l’apice dell’ordine zero, a cui si assegna una lunghezza d’onda nulla e si sceglie un plate factor, cioè quanti angstrom corrispondono ad ogni pixel. In questo modo si è realizzato l’allineamento ad un punto e sull’asse delle ascisse saranno riportate le lunghezze d’onda in angstrom. In alcuni casi, per ottenere una calibrazione più accurata, è necessario effettuare un’allineamento a due punti, che si realizza prendendo come punti di riferimento due punti del profilo a cui si assegna una lunghezza d’onda nota. Ad esempio, se al suo interno si riconoscono le righe di assorbimento di un certo elemento, nota la lunghezza d’onda si possono impostare come riferimenti i baricentri delle buche corrispondenti. Il grafico che si ottiene è il seguente. - 39 - Figura 16 - profilo calibrato Il profilo ottenuto non è lo spettro vero, ma si deve tener conto della risposta quantica della CCD. Il flusso, per ogni lunghezza d’onda, infatti, è moltiplicato per la risposta quantica della CCD, quindi il profilo della Fig. 16 deve essere diviso per il profilo strumentale. Il profilo strumentale, ottenuto da accurate calibrazioni in osservazioni precedenti alla nostra tesi, è mostrato in Fig. 17 con la linea blu. Una volta effettuate la divisione per il profilo strumentale, otteniamo il risultato finale, che mostreremo nella prossima sezione. Figura 17 - in questo grafico è rappresentato il profilo della stella (rosso) insieme al profilo strumentale (blu) - 40 - 3.3 Analisi degli spettri In quest’ultima sezione verranno analizzati gli spettri delle stelle riportate precedentemente in tabella 1. Tutti gli spettri, ottenuti con il procedimento illustrato nella sezione precedente, verranno confrontati con quelli riportati nella libreria di RSpec. 3.3.1 Spettro di Alphecca: classe A0V Alphecca è un sistema binario, il suo periodo è di 17,36 giorni. La principale ha massa e raggio tripli di quelli del Sole. Il suo spettro è mostrato in Fig. 18 in rosso, sovrapposto ad uno spettro, mostrato in blu, della stessa classe spettrale estratto dalla libreria di spettri stellari contenuta nel programma RSPEC. Non è possibile separare gli spettri delle due componenti, ma quello che domina è quello della principale, visto che la secondaria è molto meno luminosa. Le righe di Balmer della serie dell’idrogeno sono molto marcate, come accade per ogni stella appartenente a questa classe spettrale. Il buon accordo con lo spettro in libreria ci permette anche di apprezzare l'impatto del seeing atmosferico nel contrasto delle righe spettrali quando si fa spettroscopia senza fenditura. Infatti, rispetto allo spettro in libreria, le nostre righe appaiono meno profonde e più larghe, ma ancora ben distinguibili. Il picco dello spettro è nel vicino ultravioletto, fuori dall’intervallo di sensibilità della nostra CCD. Figura 18 - spettro di Alphecca ottenuto (rosso) e spettro di riferimento preso dalla libreria (blu) - 41 - 3.3.2 Spettro di SAO 101623: classe F0II Nello spettro di SAO 101623 si possono osservare le righe di Balmer Hα e Hβ e, inoltre, cominciano a formarsi le righe di metalli neutri come il ferro e il silicio. Sono visibili le righe telluriche (cioè formate dall'assorbimento da composti nell'atmosfera terrestre e non intrinseche all'atmosfera stellare) dai 7000 Angstrom in poi. Lo spettro ottenuto mostra un ottimo accordo con lo spettro di riferimento presente in libreria. Figura 19 - spettro di SAO 101623 ottenuto (rosso) e spettro di riferimento preso dalla libreria (blu) - 42 - 3.3.3 Spettro di Rastaban: classe G2II Rastaban appartiene alla stessa classe spettrale del Sole, ma, a differenza della nostra stella, è una gigante brillante di classe di luminosità II. E’ la terza stella più luminosa della costellazione del Dragone. E’ sei volte più massiccia del Sole. Ha una debole compagna, una nana rossa di quattordicesima magnitudine che dista dalla principale almeno 450 U.A., e ha un periodo di rivoluzione di almeno 4000 anni. Notiamo le righe di Balmer dell'idrogeno, che però sono molto deboli. Dai 7000 Angstrom in poi, lo spettro acquisito da noi si discosta da quello in libreria poiché in quest'ultimo è stato sottratto l'effetto dell'assorbimento atmosferico, importante nell'infrarosso. Si osservano le righe telluriche del potassio e dell’acqua. Figura 20 - spettro di Rastaban, lo spettro elaborato è riportato in rosso, mentre lo spettro presente in libreria è riportato in blu - 43 - 3.3.4 Spettro di Unukalhai: classe K2III Unukalhai appartiene alla classe spettrale K, ha una massa 1,8 volte quella del Sole ma con un raggio 15 volte maggiore. Si può ancora osservare una debole riga dell’Hα, sono presenti le righe del Fe I, del Mg I e del Na I e infine del Fe ionizzato. Anche qui sono evidenti le righe telluriche del potassio e dell’acqua. Dagli spettri precedenti si osserva lo spostamento del picco verso lunghezze d’onda maggiori in accordo con il fatto che le classi spettrali costituiscono una sequenza in temperatura, e le stelle di classe K sono più fredde di quelle G. Dalla legge di Wien dove T è la temperatura assoluta della stella e λMAX è la lunghezza d’onda corrispondente al picco dello spettro, si ricava che all’aumentare della temperatura il picco si sposta verso lunghezze d’onda minori. Una volta determinato il valore della lunghezza d’onda a cui corrisponde il picco si può fare una stima della temperatura della stella. Lungo le classi spettrali da O a M, λMAX cresce dall’ultravioletto al vicino infrarosso. Figura 21 - spettro di Unukalhai, lo spettro elaborato è riportato in rosso, mentre lo spettro presente in libreria è riportato in blu - 44 - 3.3.5 Spettro di Yed Prior: classe M1III Figura 22 - spettro di Yed Prior (rosso) e spettro di riferimento (blu) Yed Prior è una gigante rossa, ha 1,5 masse solari, ma ha un raggio 58 volte più grande. Si suppone che sia variabile, in quanto pare avere una variazione di luminosità di ±0,03 magnitudini. Come si può notare della figura lo spettro è solcato dalle bande dell’ossido di titanio, che è una caratteristica delle stelle appartenenti alla classe M. Lo spettro elaborato è in perfetto accordo con quello presente in libreria fino a 7000 Angstrom. Da questo valore in poi si osservano righe telluriche dovute all’atmosfera, infatti, sono particolarmente evidenti le righe del potassio e dell’acqua. Si osserva, inoltre, l’assorbimento di gran parte della radiazione infrarossa da parte dell’atmosfera. Per poter studiare gli spettri nell'infrarosso occorrono CCD appositamente studiate. Dallo spettro in Fig. 20 si può vedere che il picco è spostato più a destra rispetto allo spettro di Unukalhai. Da ciò si deduce che le stelle di classe M sono più fredde rispetto a stelle che appartengono ad altre classi spettrali. - 45 - Per evidenziare che le righe osservate sono proprio quelle dell’ossido di titanio, si riporta un grafico tratto dall’articolo di A. Lançon e P. R. Wood del 2000. Nella parte superiore della figura è riportato lo spettro dell’ossido di titanio, se si confronta con lo spettro ottenuto si può riscontrare lo stesso andamento tra i 4000 e 7000 Angstrom. Figura 23 - spettro di TiO - 46 - 3.3.6 Spettro di SAO 184014: classe B0.2IV Fino ad ora sono stati analizzati gli spettri di stelle a partire dalla classe A e proseguendo con le classi successive, corrispondenti a stelle con temperature più basse. Adesso ci spostiamo verso temperature più alte, esaminando una stella di classe B. Questa stella in particolare è un oggetto molto complicato che è ancora oggi in fase di studio. A quanto pare, è un sistema binario con la primaria di 13 masse solari e la secondaria di 6. La primaria ha un disco di accrescimento caldo che dà origine ad alcune linee di emissione, in particolare la Hα. Poiché il picco dello spettro capita nell'ultravioletto, nel nostro spettro osserviamo solo la coda della distribuzione di corpo nero. Nel nostro spettro è perfettamente visibile la riga di emissione della Hα. Questo risultato è davvero notevole, considerando che questa stella è molto particolare e tutt’ora oggetto di molti studi. Figura 24 - spettro di SAO 184014 ottenuto (rosso) e spettro di riferimento (blu) - 47 - 3.3.7 Spettro di SAO 34149: classe O6e SAO 34149 è una superigante blu, la sua massa è 30 volte maggiore di quella del Sole, mentre la sua luminosità è 2800 maggiore quella del Sole nella luce visibile, ma sale a 370000 volte se si considera anche l’ultravioletto. La lettera “e” nella classificazione vuole indicare la presenza di righe di emissione nello spettro. Si registra un andamento fedele allo spettro presente in libreria, tuttavia non sono visibili righe di alcun elemento poichè, la CCD utilizzata non è sensibile all’ultravioletto, range nel quale la stella emette maggiormente. Lo spettro ottenuto rappresenta la coda della distribuzione di energia di Rayleigh-Jeans per il corpo nero. Con questa scala non sono apprezzabili le righe telluriche. Figura 25 -- spettro di SAO 34149 O6e ottenuto (rosso) e spettro di riferimento (blu) - 48 - 3.4 Conclusioni Nella presente trattazione, sono stati affrontati sia l’aspetto teorico che sperimentale della spettroscopia stellare. Nel primo capitolo sono state descritte e applicate le leggi che ci permettono di descrivere, predire la forma degli spettri e da questi trarre delle informazioni sulla composizione chimica delle fotosfere stellari. Successivamente è stata esposta la classificazione spettrale di Harvard che ha portato alla scoperta del diagramma H-R, uno degli strumenti più potenti di cui l’Astrofisica dispone. Negli ultimi capitoli sono state affrontate delle problematiche sperimentali che hanno permesso l’elaborazione di sette spettri e la loro analisi. Grazie all’analisi di questi spettri si è avuto un riscontro sperimentale di quanto detto nel primo capitolo. Tutti gli spettri elaborati risultano conformi alle previsioni teoriche, in quanto per ogni spettro si sono riscontrate le righe corrispondenti agli elementi o ai composti caratteristici di ogni classe. Inoltre, fra gli spettri elaborati e quelli di riferimento si riscontra un accordo estremamente soddisfacente. - 49 - Bibliografia 1. Bradley W. Carroll and Dale A. Ostlie, “An Introduction to Modern Astrophysics”, Person Addison-Wesley, 2007; 2. J. D. Griffiths, “Intoduzione alla Meccanica Quantistica”, Casa Editrice Ambrosiana, 2005; 3. Bakulin, Kononovic, Moroz, “Astronomia generale”, Editori riuniti, 1984; 4. Diffraction Grating Handbook, Newport grating Publications; 5. R. Eisberg and R. Resnick, “Quantum Physics: Of Atoms, Molecules, Solids, Nuclei, and Particles”, Wiley and Sons, 1985; 6. A. Lançon and P. R. Wood, “A library of 0.5 to 2.5 µm spectra of luminous cool stars”, Astronomy and Astrophysics Supplement Series 146, Ottobre II 2000, pag. 217. - 50 -