RICERCA / Gestione faunistica QUANDO I CINGHIALI SONO DI TROPPO Una specie che prolifica per assenza di predatori causando danni all’agricoltura ma una pacifica convivenza è possibile con interventi intelligenti e mirati di Francesco Petretti* Insolito ritrovamento da parte degli agenti del Corpo forestale dello Stato di un giovane esemplare di cinghiale colpito sul collo dal dardo di una balestra, scoccato da un bracconiere. L’ungulato è stato trovato all’interno della Riserva Naturale Statale Duna Feniglia (Orbetello) durante un servizio di controllo del territorio. Seppur ferito, l’animale è stato colpito solo superficialmente senza ledere organi vitali: i Forestali si sono occupati dell'estrazione del dardo. 40 - Il Forestale n. 52 l cinghiale negli ultimi decenni è andato assumendo un ruolo da protagonista nel panorama faunistico italiano, nella gestione venatoria e soprattutto nella conservazione delle aree protette e dei sistemi agro forestali sui quali ha spesso un effetto localmente devastante. Più volte si è accennato ai fattori che hanno consentito a questo animale di per sè prolifico e versatile di diventare così numeroso e nocivo, ma resta il fatto che nella gestione della specie in Italia l’immagine che più di frequente mi viene alla mente è quella di un equipaggio alle prese con il naufragio della propria imbarcazione che si affanni a togliere l’acqua dalla stiva senza preoccuparsi minimamente di chiudere la falla. Nel caso del cinghiale l’acqua nella stiva è ovviamente rappresentata dall’eccessivo numero di capi in circolazione in tutto il territorio nazionale, ma la falla è rappresentata dai ripopolamenti che ancora oggi vengono fatti annualmente a ritmo di decine di migliaia di capi. Inutile pensare di risolvere il problema del sovrannumero dei cinghiali se prima non si tappa la falla, arrestando questo fiume di esemplari liberati ogni anno dalle strutture pubbliche e private per alimentare una crescente domanda venatoria. Detto questo, se da domani non si liberassero più cinghiali in Italia (periodo ipotetico dell’irrealtà), credo che il problema si ridimensionerebbe in poco tempo, poiché anche i cinghiali subiscono l’effetto limitante di alcuni fattori ambientali. I Genesi di un’invasione Il cinghiale ha una distribuzione Paleartica, con una popolazione che dalle estreme regioni occidentali dell’Europa si spinge fino all’Asia centro-orientale. Nell’ambito del vasto areale occupato si distinguono diverse sottospecie che mostrano un cline di variazione con animali progressivamente più grandi procedendo da Ovest verso Est. Per quanto riguarda l’Italia si è soliti distinguere la sottospece maremmana Sus scrofa majori, da quella continentale Sus s. scrofa e da quella sarda Sus s. meridionalis, distinzione che oggi diventa difficile sostenere considerata l’ibridazione frequente che si verifica con gli animali da ripopolamento. La purezza delle popolazioni selvatiche è ormai un fatto raro, non solo per gli accoppiamenti fra esemplari di popolazioni indigene ed esemplari provenienti da altre popolazioni europee, ma anche per l’incrocio con maiali lasciati al pascolo brado. Anche un profano è in grado di distinguere un cinghiale puro da un “porcastro” ibrido, in genere gli elementi distintivi sono rappresentati dalla forma: gli animali ibridi hanno masse muscolari posteriori più sviluppate e parti muscolari anteriori più esigue, il rapporto fra l’altezza al garrese e la lunghezza totale diminuisce (sono animali bassi e lunghi), il cranio si accorcia, la stessa capacità cranica diminuisce in conseguenza di una riduzione delle capacità olfattive. La colorazione del pelame a volte è elemento distintivo, ma non troppo affidabile: di solito animali molto scuri e brizzolati sono più vicini alle forme selvatiche pure di animali con pelame dalle sfumature brune e ruggine. Il cinghiale è una specie a selezione r, in cui ciclo riproduttivo in condizioni “normali” prevede un solo parto annuale. Gli accoppiamenti si verificano di solito dalla fine di novembre ai primi di gennaio e le femmine partoriscono fino a 10 cuccioli solitamente fra aprile e maggio dopo 4 mesi di gestazione. Il periodo che va da agosto a ottobre è il più critico per questo animale a causa della scarsezza d’acqua negli ambienti mediterranei e della limitata disponibilità di cibo. In questi tre mesi le scrofe sono nel periodo dell’estro. Di nuovo alla fine di novembre le femmine tornano in calore e si ha un nuovo ciclo riproduttivo. In condizioni eccezionali determinate da una sovrabbondanza dell’offerta alimentare soprattutto di faggiole e ghiande (anni di “pasciona”) il ciclo riproduttivo del cinghiale accelera il suo ritmo e la scrofa può partorire due volte: in gennaio febbraio e in agosto settembre. La densità della popolazione di cinghiale oscilla fortemente a causa dell’effetto dell’attività venatoria e della disponibilità di risorse alimentari. Un danno per gli agricoltori Nell’analisi della densità di una popolazione di cinghiali in condizioni normali si è soliti distinguere le situazioni in cui il numero di cinghiali ha raggiunto il livello massimo consentito dalla disponibilità delle risorse (densità biologica) Il Forestale n. 52 - 41 © L. Di Battista dalle situazioni in cui il numero è in equilibrio con l’ambiente agro forestale e quindi compatibile con la conservazione di un accettabile livello di qualità ambientale (densità agroforestale). In situazioni localizzate, ma purtroppo frequenti, la densità della popolazione tende ad essere vicina ai limiti superiori della densità biologica e ciò determina un impatto sugli ecosistemi agro forestali non trascurabile. Nel corso della loro attività alimentare i cinghiali frequentano colture, pascoli, ecosistemi forestali, tanto che nelle zone dove la densità di questi suini è elevata il terreno appare spesso arato e molte specie animali e vegetali soffrono per l’invadenza di questo peloso, adattabile, grossolano elemento della fauna italiana. I danni alle attività agricole sono elevati; in alcuni casi, come nelle piccole colture di collina e di montagna circondate da boschi, si tramutano in veri e propri disastri e rendono necessario predisporre indennizzi economici agli agricoltori con un costo non trascurabile per la collettività. La difesa delle colture con recinzioni è pratica42 - Il Forestale n. 52 bile solo in caso di superfici modeste; le soluzioni possibili sono tre. Come difendersi La prima prevede sistemi di dissuasione chimica o acustica con sostanze repellenti o emettitori di suoni e scoppi regolati da timer. Studi ed esperienze pratiche hanno dimostrato che il cinghiale, animale dotato di una certa intelligenza, si abitua in brevissimo tempo al botto prodotto dai cannoncini sistemati nei campi, mentre le sostanze chimiche, anche le più efficienti fra le venticinque sperimentate, sono repellenti al gusto e all’odorato per non più di quattro o cinque giorni. La seconda mira a precludere definitivamente l’accesso ai campi coltivati con una recinzione del tipo utilizzato per la volpe, alta almeno un metro. Più economica ed efficace si rivela invece la chiusura con filo percorso da corrente elettrica. Essa si compone di due fili elettrificati posti rispettivamente a 25 e 50 centimetri dal suolo e fissati a sostegni in plastica, in fibra di vetro o in legno. i due fili sono percorsi da impulsi molto brevi ad alto vol- Il selecontrollo nelle aree protette Invece nelle aree protette e nei territori limitrofi il conflitto non può essere risolto allo stesso modo perchè il cinghiale, in quanto animale selvatico, è protetto e può liberamente comportarsi da cinghiale. Nè sono in grado i predatori naturali di controllarne il numero, anche se la predazione del lupo su questo animale comincia a farsi regolare e frequente in zona appenninica. Da qui deriva l’insistente richiesta di aprire la caccia al cinghiale nei parchi e nelle altre aree protette dove si pensa che l’animale sia troppo numeroso, ma la soluzione non può essere cosi “semplice”. Che ci si trovi nel parco del Ticino, o in quello della Maremma, dei Sibillini o del Gargano, il cinghiale è un animale da “gestire” attraverso un intervento attivo dell’uomo per controllarne il numero e renderne sempre più pura, almeno dal punto di vista fenotipico, la popolazione indigena. Ma è fuor di dubbio che la gestione del cinghiale in territorio protetto è un affare tecnico che deve essere seguito da tecnici su base scientifica e non può essere affidato ai cacciatori per quanto istruiti e seguiti. Vanno controllate accuratamente le popolazioni, studiate e censite, se ne devono valutare l’andamento demografico, i fattori limitanti e solo successivamente decidere se e in quale misura si è raggiunto un livello talmente alto da imporre operazioni di contenimento. Queste non sono battute di caccia ma operazioni selettive svolte direttamente dal personale del parco con sistemi incruenti che consentano di catturare un numero elevato di esemplari da passare poi al vaglio di una vera e propria selezione: quelli che presentano le migliori caratteristiche morfologiche possono essere di nuovo liberati nella zona, gli altri vanno avviati ad altre destinazioni come il ripopolamento di riserve di caccia e l’alimentazione umana. Nè è da trascurare l’ipotesi del ricorso alla sterilizzazione , pratica ormai universalmente adottata nei parchi nazionali stranieri per controllare animali numerosi (come l’elefante) senza dover più ricorrere a cruente campagne di abbattimento. Si è ben lontani quindi dal legittimare la caccia al cinghiale nei parchi e soprattutto dal consentire ai cacciatori di esercitare quella che deve rimanere un’ operazione di wildlife management. * Università degli Studi di Camerino © L. Di Battista taggio (5-6 mila volt), in modo tale che la chiusura resti efficiente anche in caso di contatto con erbe o con rami. La validità di questo sistema dipende soprattutto dalla manutenzione che si è in grado di fornire. Secondo uno studio condotto in Francia il costo medio di investimento per la protezione di un campo di 5 ettari con un chilometro di recinzione corrisponde al valore di 30 quintali di mais, spesa che si può ammortizzare in cinque anni. Va da sé che anche nel caso della recinzione elettrica bisognerebbe limitarsi a difendere solo le colture di grande pregio. Recinzioni elettrificate sono state utilizzate con successo per difendere gli allevamenti delle api dalle incursioni degli orsi nel parco nazionale d’Abruzzo. Il parco ha fatto una vera e propria politica di incentivazione dell’apicoltura e allo stesso tempo ha fornito agli apicoltori gratuitamente recinzioni elettrificate per difendere le arnie dagli orsi che erano arrivati a spingersi alle porte dei paesi per conquistare il miele, il loro alimento preferito. Nel territorio aperto alla caccia si pensa che il problema possa essere risolto attraverso la pratica venatoria che si esercita per almeno tre mesi: le vittime fra i cinghiali sono numerosissime, nell’ordine delle centinaia di migliaia di capi.