STORIA DI CORINALDO di Ass. Turistica Pro Corinaldo

Associazione turistica
Pro-Corinaldo
Vita Corinaldese
1
Collana
Vita Corinaldese
a cura di Ettore Montesi
hanno collaborato alla pubblicazione:
Cristina Baruffi
Luigia Bucci
Denise Costantini
Associazione turistica
PRO - Corinaldo
20 Via del velluto
60013 CORINALDO (AN)
Questo volume e’ stato stampato con il contributo del Comune di Corinaldo
E della Banca di Credito Cooperativo di Corinaldo
Copyright @ 1998
Diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale e con qualsiasi mezzo, riservati
per tutti i paesi.
In copertina cartolina di Corinaldo del 1906 ( panoramica)
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Associazione turistica
Pro-Corinaldo
Corinaldo nel cammino dei secoli
(Cenni storici)
di
D.C. SFORZA
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Casa Editrice
Si ringrazia la famiglia Sforza
per aver messo a disposizione
questo interessante materiale.
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Sommario
@ presentazione Dott. Luciano Antonietti Sindaco di Corinaldo
@ presentazione Dott. Arch. Ettore Montesi Presidente Pro - Corinaldo
@ PRIMA PARTE
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Presentazione
Il sindaco di Corinaldo Luciano Antonietti
Una nuova pubblicazione, un altro tassello della storia di Corinaldo prende vita grazie alla stampa
del volume di storia patrira di Domenico Clemente Sforza a cura della Pro Loco.
L’opera, pubblicata nel lontano 1947 in forma incompleta, era oramai introvabile; ecco perché,
dunque, l’idea e lo sforzo economico sostenuti dall’Associazione Turistica “ Pro
Corinaldo” sono meritevoli di encomio da parte di questa Amministrazione
Comunale, degli studiosi di storia locale e di tutti i corinaldesi.
E’ un vanto per la nostra comunità poter accedere a notizie che ci fanno riflettere sul nostro glorioso
passato, senza tuttavia farci dimenticare gli impegni con il presente e, soprattutto,
con il futuro. Se é vero che la grandezza di un popolo si misura anche
dall’insegnamento che trae dal suo comune passato per avvalorare, significare e,
perché no?, correggere ove del caso il proprio presente per garantire a tutti un futuro
sempre migliore, il volume dello Sforza apporta un ulteriore contributo
all’approfondimento ed arricchimento della nostra conoscenza in merito alle vicende
storiche di Corinaldo e dei corinaldesi.
I filosofici (ma anche estremamente terreni) quesiti esistenzialistici del “chi siamo”, “da dove
veniamo”, “dove andiamo” ci sospingono più o meno coscientemente ad analizzare
la nostra storia, singola e collettiva, alla luce delle esperienze consolidate, delle
presenti necessità e delle aspettative future.
Non pensiamo che un libro possa, da solo, rispondere esaustivamente a quelle domande di fronte
alle quali tanti ingegni, atei e credenti, si sono cimentati nel corso dei secoli con studi e
pubblicazioni anche poderose. Ci farà, però, riscoprire alcuni nuovi aspetti forse poco noti o
addirittura sconosciuti, soprattutto per le nuove generazioni, della vita e della storia della nostra
città, dalle origini a metà circa degli Anni ’50. D’altra parte, senza per nulla sminuire il valore
dell’opera in questione e dell’utilissima iniziativa, soprattutto per la parte antica, va detto anche che,
trattandosi di una ristampa di un’opera non recentissima ed essendo deceduto l’Autore, la ricerca
dello Sforza andrà comprensibilmente e necessariamente confrontata con studi e metodologie della
più recente indagine storiografica.
Questo libro ci accompagnerà in una piacevole e piena lettura, utile per tutti noi ma in particolare,
credo, per i nostri giovani che non devono mai dimenticare la loro origine, la cultura della loro terra,
le tradizioni: l’appartenenza ad una Patria ben precisa.
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IL Presidente della Pro- Corinaldo Arch. Ettore Montesi
Fu una grande sorpresa, nell’agosto scorso, quando come presidente della Pro Corinaldo, mi
presentai a casa Sforza per chiedere la liberatoria per la ristampa del volumetto “Corinaldo nel
cammino dei secoli cenni storici”, sentirmi rispondere dalla famiglia Sforza che quello che volevo
pubblicare era solo il riassunto di una storia di Corinaldo ben più grande e completa, che arriva fino
ai nostri giorni.
Di questo volumetto erano già state corrette le bozze, ma per sopraggiunto decesso dell’autore non
si era più proceduto alla pubblicazione.
La mia voglia di pubblicare una storia di Corinaldo dopo il 1642, periodo in cui Francesco
Cimarelli pubblicò “Istorie dello Stato d’Urbino, Brescia 1642”, era tanta, ma soprattutto mi
interessava conoscere e far conoscere quello che nella nostra piccola comunità è successo nel 1700
e nell’unificazione d’Italia, come si sono comportati i corinaldesi
e poi il grande evento religioso quale la Beatificazione e poi la Santificazione di S. Maria Goretti,
come la comunità corinaldese aveva risposto a questo evento.
Questa curiosità ha finalmente una risposta, forze parziale, forse qualche storico troverà da ridire sui
criteri storiografici di valutazione. Be, non ci importa niente!
Come Pro Corinaldo abbiamo voglia di iniziare con questa una serie di pubblicazioni che hanno
soprattutto lo scopo di documentare particolari momenti della nostra storia.
Abbiamo infatti intenzione di iniziare una serie di pubblicazioni mantenendo lo stesso
atteggiamento cioè quello di tramandare il documento così come l’autore lo ha scritto, senza
commenti nel pieno rispetto del tempo. Facciamo bene?
Non lo sappiamo, ma ci sembra giusto farlo.
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Foto di D.C. Sforza
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Domenico Clemente sforza
Una vita per la storia
Scheda sintetica sulla vita di D.C. Sforza
Domenico Sforza, nato a Corinaldo il 20 Gennaio 1884 da antica nobile famiglia corinaldese, è il
fratello maggiore del capitano Guido degli Sforza, che nella guerra 1915-18 ha
meritato la medaglia d’argento al valore militare, alla memoria, ed al quale
Corinaldo ha ritenuto di dedicare la Scuola
Media Statale.
Trasferitosi a Roma già nel 1908, vi è rimasto con la moglie, Liduina Ciani, anche lei corinaldese,
quale apprezzato funzionario della Direzione Generale del Ministero delle
Comunicazioni, fin quasi al termine dell’attività lavorativa.
Successivamente, pur continuando a non risiedere stabilmente a Corinaldo, si è potuto dedicare con
maggiore impegno all’hobby della pittura e ai problemi della città natia, non
tralasciando occasione per far conoscere, anche fuori delle Marche, Corinaldo, le sue
bellezze artistiche, i suoi cittadini più illustri.
Quanto sopra, sia quando nel 1946 è stato eletto consigliere comunale e vice sindaco, sia
successivamente quando, quale componente dell’apposito comitato, ha operato per
l’acquisto della casa natale di Santa Maria Goretti, per l’elevazione del monumento
alla Santa, collocato davanti alla “Casa Canonica” di Viale degli Eroi, nonché per
l’erezione alla stessa di un apposito Santuario,
mai realizzato.
A lui si devono i seguenti opuscoli: “Corinaldo nel cammino dei secoli (cenni storici)”, pubblicato
nel 1947 e “Cenni storico–artistici riguardanti l’antico Santuario dell’Incancellata che si venerava a
Corinaldo”, pubblicato nel 1949.
Per disguidi editoriali il presente lavoro, già annunciato nella pubblicazione del 1947, viene dato
alla stampa solo ora dopo la sua morte, avvenuta il 28 agosto 1972.
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Restano tuttora allo stato di manoscritti: “I dintorni della città” e “Le mura di Corinaldo”.
PARTE I
PRESTORIA E STORIA ANTICA
(Dalle origini al 476 d.C )
1 Origini leggendarie
Corinaldo ed i suoi abitanti, come continuatori della città di Suasa da cui ebbero
origine, risalgono con le radici della loro storia, al periodo mitico della storia dei
popoli e più propriamente alla origine del popolo Egizio, da cui Suasa si ritiene
fondata.
Infatti, secondo la leggenda (vedasi Catone “Origini”) Osiride il più antico dio
egiziano e primo re dell’Egitto, civilizzò tutto il suo popolo e, volendo poi civilizzare
le altre parti del mondo, partì dall’Egitto, lasciando il trono alla moglie Iside; ma al
suo ritorno fu ucciso dal fratello Tifone, che aspirava ad impadronirsi del regno.
Venuto a conoscenza della morte di Osiride, il figlio Ercole il Libico, re dei Geti,
decise con i suoi compagni Egizi di vendicarlo e partito da Geti, con Ilea sua moglie,
entrò in Egitto ed uccise di propria mano il crudele Tifone ed i suoi principali
seguaci.
Non sembrandogli però di aver completata la vendetta, se non avesse tolto la vita
anche a tutti gli altri congiurati, si diresse con una armata in Fenicia ed uccise
Bosiride; nella Licia uccise Tifeo il giovane; nelle spiagge di Creta uccise il ladrone
Milino; nella Libia uccise Anteo; indi trasferitosi a Cadice, nella penisola Iberica,
combatté ed uccise i tre fratelli Gerioni, donando al proprio figlio Ispalo il regno, che
da lui prese il nome di Spagna e, al comando di una forte armata, si diresse poi ,con
la madre Iside, verso l’Italia per combattere e disperdere nel Veneto i Listrigoni e
Licurgo loro capo, che avevano anche essi cooperato alla morte del Padre.
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2 Colonizzazione Egizia- Contrasti con gli Autoctoni- Fondazione di SuasaDominazione cui fu soggetta- Invasione dei Goti capitanati dal re AlaricoDistruzione di Suasa.
Completata la vendetta e celebratone il trionfo, Ercole navigò poscia lungo le coste
adriatiche; stabilendo colonie egizie nei luoghi più ameni e vi fondò alcune città, tra
cui Ariminum(Rimini) nella valle del Marecchia, Pisaurum (Pesaro) nella valle del
Foglia; Suasa nella valle del Cesano; ed Ostra nella valle del Misa; e più
propriamente nella località oggi denominata Pongelli, da non confondere con la Ostra
attuale. Pur non escludendo che possano essersi stabiliti in tale località alcuni
cittadini dell’antica Ostra,(distrutta nel 409 d.C. dai Goti capitanati da Ataulfo figlio
del re Alarico) la Ostra attuale fu edificata nel 900 d.C. nella regione del Bodio o
Boddo, da cui prese il nome di Montalboddo, dopo che fu rifugio ai senigallesi
sfuggiti all’incendio di Sena, operato da Sabba capitano dei Saraceni.
Giunti gli Egizi nella valle del Cesano (Cimarelli, libro III pag. 176) trovarono le
località coperte di boschi e infestate da orsi, lupi ed altri animali selvaggi, abitata
però da una colonia di giganti ivi stabilitasi secondo il Cimarelli, dopo che, confusi in
Babele, andarono vagando per il mondo.
Combattuti valorosamente i Giganti(alcuni sepolcri venuti alla luce al tempo del
Cimarelli, furono da detto storico descritti con ricchezza di particolari) gli Egizi
costruirono alla maniera libica la città, che dal nome di altra città egizia da cui erano
partiti, chiamarono Suasa e le sue dimensioni, inizialmente limitate, andarono man
mano crescendo, per le ricchezze agricolo - commerciali del luogo, che portarono la
città a grande importanza, come testimoniarono anche i numerosi ritrovamenti
archeologici che vennero alla luce in tempi diversi.
Dopo gli Egizi, come attesta Xante in “De Bello Pelasgico” e come citato anche da
Marsilio Lesbio, ebbero gran tempo la signoria della città i Pelasgi; ma poi
prevalendo su di essi gli Umbri, Suasa rimase in possesso di questi i quali la ornarono
di sontuosi edifici.
Gli Umbri sopraffatti nel tempo dagli Etruschi, Suasa come molte altre città della
regione rimase in loro possesso e venne da essi considerevolmente abbellita.
Confederata di Chiusi, guerreggiò contro i Romani per rimettere i Tarquini sul trono
(520 a.C.).
Gli Etruschi furono vinti dai Galli Senoni e Suasa da questi conquistata, venne
devastata e lasciata in abbandono: ma dopo circa 300 anni i Romani cacciarono i
Galli (295 a.C.) e, trovata la città in completa rovina, la riedificarono adornandola di
splendide costruzioni ed onorandola della loro cittadinanza, la crearono Municipio.
Anche attualmente nella valle del Cesano ove sorgeva Suasa sono visibili i resti
archeologici di un teatro romano.
Nel 184 d.C. essendo imperatore Commodo e Pontefice Eleuterio da Nicopoli,
prevalendo sui pagani l’elemento cristiano, Suasa si diede la nuova religione.
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Discesi i Goti in Italia e vinto Stilicone, capitano di Onorio nel 409 d.C., Suasa fu
saccheggiata, arsa e distrutta dal crudele Alarico, re dei Visigoti, insieme a tante altre
città; gli abitanti che scapparono dall’incendio fuggirono per salvarsi nei colli vicini,
allora tutti boscosi e piangendo il loro doloroso destino, fondarono piccoli villaggi da
cui ebbero origine S. Andrea, Castelleone, Montalfoglio, S. Vito al Cesano,
Montesecco e Corinaldo.
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3 Fondazione di Corinaldo - Inizio della vita di autogoverno
Dapprima i profughi costruirono modeste e rozze capanne organizzandosi in
repubblica indipendente secondo le leggi della distrutta patria ed il
nome di Corinaldo sorse dal “curre in altum”, come credono di
affermare molti storici; ma data la tragicità degli eventi trascorsi è
anche probabile che la parola avesse invece
un significato
incoraggiante (Cor in alto) molto affine al mistico “sursum corda”, per
il senso di sicurezza ispirato dalla località prescelta: Colle più delizioso
in mezzo ad altri colli allora tutti boscosi, solo a tre miglia dalla
distrutta patria.
Nel 410 d. C. Alarico ebbro di gloria per le tante vittorie, nonché per la distruzione di
tante città e tante contrade d’Italia, se ne passò nell’Abruzzo e quindi a Roma, che ai
primi di aprile prese per assedio, saccheggiò e distrusse .
Nel 411 d. C. si diede inizio a fabbricare più decorosi edifici nella modesta nuova
città; (sembra che inizialmente le case di Corinaldo fossero soltanto 700); venne poi
deciso in seguito, di cingerla a protezione, anche di forti ed alte muraglie. I lavori si
protrassero certamente per molti anni, di cui non si ha notizia; ma intanto i nuovi
terreni presi a coltivare, risultarono così feraci, che, come asserisce il Cimarelli
“resero a guisa di cornucopia” e gli abitanti permettendosi una vita molto comoda e
deliziosa , si moltiplicarono in sì gran numero che non essendo più capace a
contenerli il circuito della nuova città, incominciarono a stabilirsi anche in campagna,
formando delle borgate e, per la loro sicurezza, in seguito edificarono forti e bei
castelli che tutti dipendevano dal Magistrato di Corinaldo.
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PARTE II
STORIA MEDIOEVALE
(dal 476 d. C. al 1492)
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1 Fine dell’autogoverno – I Goti vinti da Narsete – I Longobardi
Nel 491 d. C. le cose cambiarono decisamente perché venuto in Italia dalla Tracia
Teodorico re degli Ostrogoti, mandato da Zenone imperatore a combattere
Odoacre re degli Eruli, per le terribili guerre che ne derivarono, gran parte
del territorio delle Marche rimase distrutto e, prevalendo i Goti sugli Eruli,
Corinaldo fu privata di gran parte del territorio fino allora posseduto e cioè
quello che apparteneva alla città di Suasa, nonché della libertà che aveva
dal primo sorgere goduta ( il territorio di Suasa confinava ad est con le
terre di Ostra, a ovest con quelle di Fossombrone, a nord con le terre di
Senigallia, a sud con gli Appennini e con la città di Tufico. Venne lasciato
a Corinaldo soltanto il territorio compreso fra il Cesano e il Misa, nonché
Casalta e Conagrande con quei piccoli castelli che anche oggi si chiamano
Lucerta, Schioppo, Magliano e i due castellari dell’isola, Montirone e
Castellaccia.).
Venne quindi sottomessa ad un principe goto, tanto è vero che, come risultava da una
iscrizione ancora esistente ai tempi del Cimarelli nel 504, d. C. il principe
goto Scriba, signore di Corinaldo, fra tante altre costruzioni di degna
struttura, fece costruire in stile gotico, la Chiesa ed Abbazia di S Maria del
Mercato (ora non più esistente) con il materiale dell’antico tempio della
Dea Bona. L’iscrizione afferma il Cimarelli “era scolpita sul marmo di una
delle due piramidi che ornavano l’altare maggiore di detto Santuario”; ma
poi, per restauri ordinati da Giuliano Della Rovere, quando ne fu Abate,
quelle piramidi furono tolte e trasportate a Pesaro nel palazzo dei Duchi
della Rovere.
Ai Goti subentrarono i Greci nel dominio di tutte le Marche ed anche Corinaldo fu
conquistata a viva forza da Giovanni Vitaliano, secondo il Cimarelli, o da
Giovanni e Vitale , secondo il Machiavelli ,capitani di Belisario e fu posta,
sotto Giustiniano imperatore, con tutte le altre città delle Marche.
Sentirono al vivo in quei giorni i Corinaldesi infinite molestie ed incredibili travagli,
poiché ora vincendo una parte ed ora l’altra, erano divenuti bersaglio di
tutte le disgrazie e dei più ingordi taglieggiamenti che divoravano le loro
rendite nonché le sostanze e se ne liberarono soltanto quando Narsete,
vinto Totila, ebbe completamente sbaragliati i Goti (562 d. C ) e, seguendo
la sorte di questa regione in quei tempi, Corinaldo passò probabilmente
sotto il dominio degli Esarchi di Ravenna.
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2 Invasione dei Saraceni – Signoria della Santa Sede – Tempi calamitosi –
Fervore religioso
Nell’anno 812 d. C. in seguito alla vittoria riportata presso Crotone su Teodorico,
duce dell’armata di Balbo imperatore di Grecia, si ebbero nell’Adriatico
incursioni di Saraceni capitanati da Sabba, i quali saccheggiarono e
distrussero Ancona e Senigallia. I cittadini di questa ultima città si
rifugiarono nella località denominata Bodio o Boddo “ ove di Bodio
Romano erano i campi antichi” dice il Cimarelli, sovrapponendosi a quella
colonia, che prese il nome di Montalboddo (attuale Ostra). Anche
Corinaldo in detta occasione fu seriamente minacciata e subì danni al
territorio; ma l’abitato, mercé il valore dei difensori, resistette a tutti gli
assalti di quei barbari.
Nell’anno 817 d.C. Lodovico il Pio, figlio di Carlo Magno, ratificò le donazioni del
padre al Pontefice Pasquale I e per tanto Corinaldo e le Marche non ebbero
altra signoria che la Santa Sede e se nel periodo che immediatamente seguì,
di cui non si hanno notizie, fu da altri posseduta, fu per usurpazione e
manomissione di quella libertà di cui beneficiava per speciale concessione
della Sede Apostolica, che le consentiva di vivere a guisa di repubblica,
con proprie leggi.
In ogni modo, secondo il Cimarelli, da questa data, Corinaldo riposò fino all’anno
896 d.C. quarto del pontificato di Formoso, dal quale ebbero origine tempi calamitosi
e pieni di sciagure, per l’aspro ed imprudente governo di Astolfo, imperatore tedesco,
nipote di Carlo III, che suscitò in Europa crudelissime rivoluzioni. L’Italia e Roma si
riempirono allora di sangue, di rapine, di adulteri. di tradimenti e di ogni
scelleraggine.
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I Corinaldesi, rinserratisi entro le mura, dovevano uscire giornalmente a difendere la
parte del territorio che era soggetta a furti e devastazioni e vissero in questo stato di
cose fino al 966 d.C., secondo del pontificato di Giovanni XIII, il quale, rimesso alla
Sede Pontificia da Ottone II , imperatore di Germania, riprese possesso di tutto lo
Stato Ecclesiastico, e, castigati gli usurpatori, con l’aiuto dello stesso imperatore,
ristabilì
la
desiderata
pace
Beneficiarono anche i Corinaldesi di questo periodo di tranquillità e felici ne
approfittarono per dedicarsi ai loro campi. Pieni di fervore religioso, introdussero in
città i Padri Agostiniani e quelli di San Francesco, il cui convento fu eretto nel 1214,
tempo in cui viveva il Santo Fondatore, il quale più volte (secondo il Cimarelli)
sembra predicasse a Corinaldo. Nel 1250, sembra che vi abbia predicato anche San
Pietro Martire e nel 1270 San Tommaso D’Aquino.
3 Federico II nemico dell’Apostolica Sede – Raduno a Corinaldo del Parlamento
Provinciale Piceno – La Santa Sede si trasferisce ad Avignone – Nicolò
Boscareto signore di Corinaldo – Distruzione della città da parte di Galeotto
Malatesta
Nel 1244, terzo del pontificato di Innocenzo IV, l’imperatore tedesco Federico II si
dichiarò nemico dell’Apostolica Sede e cercò di farle ribellare tutto lo Stato. Gli
abitanti di Jesi (patria nativa dell’imperatore) assalirono Corinaldo improvvisamente
e con tanto impeto che, con l’aiuto di 500 soldati Tedeschi, dopo un lungo e
sanguinoso contrasto, la conquistarono.
Federico II, scomunicato, deposto dalla dignità imperiale nel concilio di Lione e
sconfitto finalmente dai valorosi Parmigiani, scappò in Puglia, dove morì
miseramente e Corinaldo riacquistò la sua libertà, che godette lungamente.
Verso la fine dell’anno 1299 venne tenuto a Corinaldo il raduno del Parlamento
Provinciale Piceno per redimere le discordie fra le città marchigiane; ma detta
riunione non raggiunse lo scopo; come non lo raggiunsero le “Costituziones” emanate
da Bonifacio VIII, ma anzi si iniziò contro il Papa in tutta Italia una ribellione
generale, che culminò col il famoso insulto di Anagni (1303), dove Bonifacio fu fatto
prigioniero e schiaffeggiato da Stefano Sciarra Colonna e dal francese Guglielmo da
Nogaret.
Nel 1305 la Sede Pontificia si trasferì ad Avignone e le terre della Chiesa rimasero
pertanto quasi abbandonate; ma continuando accanite le lotte fra guelfi e ghibellini,
non seppero e non poterono ricostituirsi a libero governo e caddero per lo più in mano
delle varie Signorie locali.
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Anche Corinaldo finì nelle mani di Nicolò Boscareto (antenato dei Boscarini) suo
cittadino, capo della parte ghibellina, che teneva col titolo di Vicario Imperiale la
città di Jesi, di cui si era impadronito cacciandone la parte guelfa. Egli occupò la
città natale nel 1327 obbligando Pier Benedetto Fontini, della parte guelfa, a ritirarsi.
Fu la stessa epoca in cui Ludovico il Bavaro venne chiamato in Italia dai potenti della
parte ghibellina, per combattere i guelfi e cingere a Roma la corona imperiale.
Il 7 novembre 1328 il Papa Nicolò V nominò Vescovo di Senigallia un certo
Giovanni dei minori conventuali di Ancona, il quale ottenne di trasferire la residenza
a Corinaldo, adducendo a ragione, l’aria cattiva di Senigallia (Dagli annali di Monti
Guarnieri ).
Nel 1352 fu eletto papa in Avignone Innocenzo VI che, nel 1353, mandò a
riconquistare lo Stato della Chiesa il Cardinale spagnolo Egidio Carilla Albornoz .
Nel 1355 detto cardinale venne con un esercito nelle Marche e vi ristabilì il dominio
del Pontefice.
Nicolò Boscareto fu allora costretto a deporre il governo della città ed a ritirarsi a vita
privata in Boscareto, castello di sua proprietà che si trovava (dice il Cimarelli) sui
colli tra il Misa ed il Nevola a tre miglia da Corinaldo o, secondo quanto asserisce
Marcello Pericoli nella storia di Ostra, nella località in cui sorse poi Montenovo,
ovvero Ostra Vetere. Però negli annali di Senigallia viene fatta distinzione fra
Montenovo e Boscareto, ed alcuni ritengono che Boscareto sorgesse invece nei pressi
di S. Vito di Montenovo. Aveva tenuto il dominio della sua città natale per 28 anni e,
sebbene malvisto dalla parte guelfa, furono però quegli anni relativamente felici per i
cittadini corinaldesi, perché godettero la desiderata quiete e lo stesso Cimarelli, non
senza qualche contraddizione, asserisce che infine meritò tanta stima, che da tutti fu
poco meno che adorato.
Però, sempre nemico del dominio papale, non tralasciava di congiurare contro i
nuovi signori, anche per incoraggiamento di Bernabò Visconti duca di Milano e tanto
poterono i suoi maneggi che nel 1360, prendendo occasione dal mal governo del
Cardinale Carilla e dall’obbligo fatto di corrispondere gravi tributi per pagare i
soldati, Corinaldo e Boscareto si ribellarono al Papa.
A sedare l’incendio, prima che si propagasse, il Cardinale Carilla mandò un esercito
al comando di Galeotto Malatesta, il quale giunse sul luogo con tanta prontezza , che
non diede tempo a pensare ad aiuto o difesa; Corinaldo dovette deporre le armi ed
accettare la resa: null’altro salvo che la vita (anno 1360).
Gli abitanti dovettero sgombrare nel termine di un’ora le loro case e, nel termine di
sette ore, il suo territorio; furono tutti avviati, sotto sorveglianza militare, attraverso la
contrada del Traforato (dice il Cimarelli), verso gli Olmi grandi, portando indosso
soltanto la camicia e, dopo fatte saccheggiare dai soldati tutte le abitazioni, venne
dato ogni cosa alle fiamme e raso al suolo. Uguale punizione toccò agli abitanti di
Boscareto il cui signore morì di crepacuore.
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4 Riedificazione di Corinaldo
Nel 1366, tornato in Italia dalla Francia Urbano V, alcuni corinaldesi ne
approfittarono per ottenere dalla sua magnanimità l’autorizzazione a poter ritornare
nel luogo della distrutta patria e di poterla riedificare. Soccorsi anche dai paesi vicini
ed in special modo dai Malatesta, allora signori di Pesaro, ripresero possesso delle
rispettive terre e si accinsero a riedificare la distrutta città, ergendovi forti mura con
baluardi, torrioni, piombatoi, merli, terrapieni, fossati e ponti levatoi, come era in uso
in quei tempi per le più ben munite fortezze e, data la vicinanza con i territori dei
Malatesta, ripresero con questi le più strette relazioni di commercio ed in ogni
circostanza si mostravano scambievolmente stretti amici, però a poco a poco i
Malatesta cominciarono a mostrarsi arbitri nelle decisioni e tennero a sostituirsi
all’autorità dei Sommi Pontefici.
I Corinaldesi invece continuarono a mostrarsi sempre fedelissimi e riconoscenti ai
Malatesta e quando nel 1416 Braccio da Montone, sconfitti i Perugini e fatto
prigioniero Carlo Malatesta, passò nelle Marche per impadronirsi del suo Stato, trovò
che non solo i Corinaldesi non gli aprirono le porte, come fecero altre città, ma si
posero in valorosa difesa e rigettarono dalle mura i soldati di Braccio, sostenendo un
durissimo assedio, finché soccorsi da Pandolfo Malatesta, Signore di Brescia e da
Martino da Faenza, furono gloriosamente liberati.
Dopo questa valorosa resistenza, Pandolfo Malatesta stabilì a difesa di Corinaldo un
forte presidio per premunirlo dalle scorrerie dei bracceschi che occupavano
Montalboddo, ed essendo stato Pandolfo nel 1421 cacciato dalla signoria di Brescia,
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se ne venne nelle sue terre delle Marche, eleggendo Corinaldo per sua residenza e vi
ordinò la costruzione di un superbo palazzo con logge, portici e torri, come si
conveniva alla residenza di un principe.
Mentre detto edificio stava completandosi, Pandolfo Malatesta fu chiamato al soldo
dei Veneziani contro l’imperatore d’Alemagna e contro il re d’Ungheria che avevano
invaso il Friuli e lasciò quindi Corinaldo sperando di ritornarvi presto, ed intanto, a
maggior decoro della città, fece obbligo a tutti i proprietari di terre di fabbricare case
coloniche in campagna per alloggiare i coltivatori ed il loro bestiame, non ritenendo
conveniente che questo fosse concentrato nelle immediate adiacenze delle mura
cittadine.
Pandolfo Malatesta non fece però ritorno e morì nel 1427. I suoi discendenti
rinunciarono per accordo a quasi tutte le terre delle Marche in favore del pontefice
Martino V; mantennero però Corinaldo, il quale ricomperò la propria libertà nel
1429, sborsando una grossa somma di denaro a Gismondo Malatesta figlio di
Pandolfo.
Però i tempi più non comportavano, né i Corinaldesi forse avevano sufficienti forze
per mantenere l’indipendenza e poiché Novello Malatesta, signore di Cesena, fratello
di Gismondo, non volle riconoscere il contratto e con l’aiuto del suocero Antonio
Feltrio di Urbino, si preparava a riconquistare Corinaldo, i Corinaldesi prima
ricorsero a Gismondo perché facesse osservare al fratello i patti conclusi; ma non
vedendosi sostenuti, decisero di mettersi sotto la protezione del Papa.
Il Malatesta però non si mosse e Corinaldo si trovò sotto nuova signoria, magramente
compensato della perduta libertà.
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5 Sante Garelli assedia Corinaldo ed è sconfitto – Dominazione sforzesca –
L’Accattabriga – Bianca Maria Sforza a Corinaldo – Fine del dominio sforzesco
nelle Marche.
Vissero tranquilli i Corinaldesi fino alla morte del Papa Martino V (1431); ma
essendogli succeduto Eugenio IV, furono di nuovo molestati da Sante Garelli, nemico
di detto pontefice e ribelle di Santa Madre Chiesa, che decise di impadronirsi delle
Marche. Venuto alle mura di Corinaldo, tentò di conquistarla a viva forza, ma
trovando grande ardire e valore nei difensori, più volte rigettato dalle mura, si diede a
danneggiare il territorio. Non mancarono i Corinaldesi, con opportune sortite, di fare
ripetutamente strage di nemici; ma dato che simile stato di cose impediva loro di
coltivare i campi e rifornirsi di viveri e munizioni, si videro loro malgrado
nuovamente costretti a chiedere aiuto al Papa ed il Garelli preso fra i fuochi delle due
parti, fu sconfitto disastrosamente ed a mala pena poté salvare la vita.
Celebrata a Corinaldo la vittoria riportata, il Papa fu pronto a trarre profitto
dall’accaduto e col pretesto di meglio garantire la sicurezza pubblica, fece richiesta di
poter mettere in città un presidio di 300 fanti (1432). Ottenne senza sforzo quanto
chiedeva e fu mandato con la sua gente un certo Paolo Tedesco, il quale sembra che
avesse molto tatto e si portasse assai bene di fronte alla popolazione; però vi rimase
breve tempo, perché nel 1433 Filippo Maria Visconti, duca di Milano, mentre il
pontefice Eugenio IV era fortemente travagliato dal Concilio di Basilea, inviò nelle
Marche Francesco Sforza, il più grande e valoroso condottiero dell’epoca, per
toglierle al Papa, ed avendo lo Sforza già preso a viva forza Jesi, Montefilottrano ed
altre terre, meno Ancona, rivolse lo sguardo verso Corinaldo, considerandolo il luogo
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più adatto per portare a termine i suoi disegni. Cercò quindi di averla con
amorevolezza e spontanea esibizione: vi mandò un ambasciatore con lettere autografe
piene di cortesi offerte.
Udito l’ambasciatore dello Sforza, i Corinaldesi lo licenziarono senza risposta e
subito si accinsero a preparativi di difesa. Mandarono intanto oratori a Giovanni
Vitelleschi, governatore pontificio delle Marche, che risiedeva a Recanati, per
chiedere aiuti. Gli oratori trovarono che il Vitelleschi era fuggito a Roma e che quasi
tutte le città si arrendevano senza contrasto allo Sforza, proclamandolo loro Signore.
Ritornati in patria, tutto riferirono ai concittadini, i quali allora a malincuore decisero
fare di necessità virtù e mandarono gli stessi ambasciatori a Francesco Sforza, che
intanto da Jesi si era stabilito a Fermo, per fare atto di spontanea sottomissione.
Dapprima Francesco Sforza mostrò disprezzarli, ma poi gli ambasciatori seppero così
bene placarne l’animo, che, trattenutili come ostaggi, mandò Antonello Accattabriga
da Castelfranco, suo capitano, a prendere possesso di Corinaldo.
L’Accattabriga, giunto a Corinaldo, si compiacque altamente di trovarla così bene
fortificata e considerandola di grande importanza pel mantenimento dell’occupazione
delle terre conquistate, per rendere la località maggiormente inespugnabile, ordinò
che vi si edificasse una forte e capace rocca, chiamata Cassero (dall’arabo Kasr =
castello ), che fu provvista di vettovaglie, di armi offensive e difensive, nonchè di
artiglierie da poco scoperte (dice il Cimarelli) da Bertoldo Tedesco. Francesco
Sforza, lieto di quanto aveva fatto l’Accattabriga a Corinaldo per renderlo
inespugnabile, in considerazione anche dei meriti acquisiti, per la fedeltà da tanto
tempo dimostrata alla sua famiglia, decise di dargli la città in Signoria, insieme al
castello di Barbara.
Nel frattempo il duca di Milano, Filippo Maria Visconti, indispettito che il genero
Francesco Sforza fosse passato al soldo dei Veneziani, nel 1443 seppe indurre il papa
Eugenio IV e Alfonso d’Aragona, duca di Napoli, a riconquistare la Marca: ne dettero
incarico a Nicolò Piccinino. Questi assalì con tanto valore tale regione, che in pochi
giorni la Sede Apostolica riconquistò i suoi domini, eccetto Corinaldo a cui il
Piccinino non ardì avvicinarsi ed assalirlo, quantunque molte volte fosse passato pel
suo territorio, avendo conquistato anche Montalboddo e Montenovo.
Lo Sforza venuto da Cremona in difesa delle sue terre che godeva da dieci anni in
pacifico possesso, si fermò in un primo tempo a Fano, pur giuntigli rinforzi dai
veneziani e fatta trasferire la moglie Bianca Maria Visconti nella rocca di Corinaldo,
che era in mano al fedele Accattabriga, luogo ritenuto eccezionalmente sicuro, rivolse
le armi contro il Piccinino ed il 9 novembre 1443, dopo lunga ed aspra battaglia lo
vinse a Montelauro.
Fatto bandire, il 12 novembre, la notizia della vittoria, fece annunciare
contemporaneamente la costituzione di una lega con i milanesi, i veneziani, i
fiorentini e i bolognesi e ritornarono così al suo dominio terre e paesi che ne avevano
bandita la sudditanza, ed egli interrompendo la marcia, sostò a Corinaldo per
rallegrarsi dei successi ottenuti insieme alla moglie Bianca Maria, la quale da quando
vi era giunta, per la sua bontà, per la bellezza, modestia e dolcezza dei modi, secondo
il Cimarelli, aveva saputo così bene guadagnarsi le simpatie della popolazione, che
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malgrado le angustie procurate dal suo tiranno, tutti accorrevano a riverirla, facendola
quasi segno di venerazione come una Dea e tutti si mostravano ben felici di
manifestarle obbedienza. Montenovo le si dichiarò umilissimo vassallo, ed ella per
mezzo di un agente ne prese possesso.
Ma trattenere le soldatesche, quando appena avevano ripreso ad avanzare e
saccheggiare, sarebbe stato infliggere loro una punizione e poiché un gruppo di
montenovesi era giunto a Corinaldo a chiedere misericordia per i disgraziati paesani,
Bianca Maria pregò il marito di trattenere l’impeto dei soldati, anche perché la
clemenza verso i vinti è senso di gratitudine e buona politica pel vincitore.
Ma le truppe del capitano Serpellone avevano già iniziate le rapine e Francesco
Sforza lasciata la moglie, corse personalmente a Montenovo, ed avviò le truppe verso
bottini più ricchi.
Bianca Maria le fu assai grata della nobile obbedienza e sorridendo soffrì volentieri il
nuovo distacco e la solitudine , più di qualsiasi altra prova d’amore.
Lasciò poco dopo Corinaldo per raggiungere il marito a Fermo, cuore fortificato
delle Marche, dove nel Girafalco il 14 gennaio 1444 dette alla luce il figlio che
portava in grembo, cui fu dato il nome di Galeazzo Maria.
Però il dominio degli Sforza nelle Marche subì nuovamente un grave colpo: quasi
tutte le città si ribellarono tornando alla Chiesa, eccetto Corinaldo.(1446)
Francesco Sforza, pressato da lungimiranti obbiettivi, non poteva però ulteriormente
trattenersi e conclusa la pace col S. Padre venne creato Marchese della Marca e
Gonfaloniere di Santa Madre Chiesa; con i suoi soldati se ne tornò a Pesaro, presso il
fratello duca Alessandro, da dove poi insieme alla moglie Bianca Maria e tutta la
famiglia ripartì il 9 Agosto 1447 dirigendosi verso Milano; dopo breve tempo, in
seguito alla morte del suocero duca Filippo Maria Visconti(1448), senza eredi in linea
maschile, si impadronì di quasi tutta la Lombardia e nel 1450 fu proclamato duca di
Milano.
L’Accattabriga, signore di Corinaldo, anziché cercare di attirarsi le simpatie del
popolo, continuò ad angariarlo in tutti i modi e pertanto i Corinaldesi, dall’esempio
delle altre città delle Marche, confortati dall’allontanamento di Francesco Sforza, e
sempre più esasperati contro il dominatore, incominciarono ad agognare alla libertà,
ed ordita una congiura , verso la fine dell’anno 1447, cacciarono il tiranno,
costituendosi in repubblica indipendente.
Per celebrare l’avvenimento furono fatte grandiose feste; ma poi, stimando che per la
vicinanza a Pesaro, che era in mano agli Sforza, non avrebbero potuto da soli reggersi
lungamente, decisero di chiedere nuovamente la protezione della Sede Apostolica,
invitando ambasciatori al Pontefice Nicola V, succeduto in detto anno ad Eugenio IV.
(1447)
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6 Protezione della Santa Sede – Distruzione del Cassero – Gravi discordie con
Mondavio.
Gli oratori corinaldesi si presentarono alla Corte Romana nell’aprile 1448 e furono
accolti assai favorevolmente e colmati di promesse. Recatisi poi a Tolentino a fare
atto di omaggio al Governatore della Marca, Monsignore Filippo, Vescovo di
Bologna, ottennero per ordine del Pontefice, grandi favori, e fra l’altro, con data 19
gennaio 1452, un Breve da cui ebbero la facoltà di aggiungere allo stemma civico,
fino ad allora costituito da sei monti sovrapposti in campo rosso e le chiavi, emblema
della Chiesa.
Fra le altre concessioni fatte dal Pontefice agli ambasciatori di Corinaldo, vi era
anche la promessa che non sarebbe stato tenuto a ricettare gente d’armi, se non in
caso di guerra nel paese circostante e che non sarebbe mai stato ceduto in signoria ad
alcuno; ma tali condizioni non furono in seguito strettamente osservate.
Infatti, preso possesso di Corinaldo, Nicola V volle che nella rocca soggiornasse un
castellano con soldati, cui il comune pagava un congruo tributo. Scorsero tranquilli
sotto il nuovo dominio i primi sette anni, poi nel 1454 Corinaldo fu funestato da una
terribile peste che imperversò per due anni di seguito; soltanto una piccola parte degli
abitanti restò in vita e molte famiglie rimasero estinte.
I castellani e i soldati, che dapprima mostravano verso i cittadini un contegno corretto
e deferente, con l’andare del tempo si resero insolenti ed insopportabili, ed alcuni
Corinaldesi coraggiosi, approfittando che un giorno il castellano era uscito con
piccola scorta, si ribellarono: lo fecero prigioniero. Il popolo allora al colmo
dell’esasperazione, invasa la rocca, la distrusse completamente (1467).
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Dispiacque assai alla Corte Romana così violenta reazione e, considerandola offesa
alla Maestà della Chiesa, furono emessi contro i Corinaldesi rigorosi decreti, ma poi
essendo stati inviati oratori al Papa Paolo II, vennero notevolmente attenuati (1468).
Distrutto il Cassero, scemò l’alto concetto strategico in cui era precedentemente
tenuta Corinaldo e molti cittadini valorosi nelle armi disapprovarono il violento
impulso popolare e, per compensare il diminuito prestigio militare, proposero di
allargare la città includendo, entro un più vasto recinto di mura, anche la parte in cui
sorgeva la rocca, utilizzando il materiale risultato dalla distruzione di essa.
Infatti nel 1484 vennero spediti oratori al Pontefice Sisto IV ed ottenuto il consenso
ed il concorso, si diede subito con fervore principio all’opera. In pochi anni il nuovo
recinto fu portato a compimento (1490) e tutti i cittadini si diedero con solerzia a
ricoprire di fabbricati lo spazio compreso entro il nuovo recinto di mura, che aveva
restituito alla città l’antica importanza militare, tanto che da Lorenzo dei Medici,
Duca di Urbino, venne eletta piazza d’armi pel ricovero delle sue truppe, nella guerra
che ebbe contro Francesco Maria della Rovere. .
Lo stesso anno 1490 si ebbe a Corinaldo un principio di gravi discordie con
Mondavio, originate da alcune chiuse che gli abitanti di Mondavio avevano costruite
sul fiume Cesano, che come oggi, segnava il confine fra i due Comuni. Ai contrasti
seguirono zuffe sanguinose con varia vicenda, finché il Pontefice Alessandro VI
mandò a comporre il dissidio il commissario Francesco Saltamacchia, che nel 1494
riuscì a stabilire un primo accordo.
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PARTE III
STORIA MODERNA
(dal 1493 al 1789)
1 Rottura dell’accordo con Mondavio – Passaggio per Corinaldo di Cesare
Borgia – Giuliano Della Rovere elevato al Papato – Assedio di Corinaldo da
parte del Duca Della Rovere – Gloriosa difesa – Concessione del Vescovato.
Nel 1497 l’accordo con i cittadini di Mondavio fu rotto e composto quasi subito per
intromissione del duca di Urbino Guido Feltrio, di Giovanna Della Rovere signora di
Senigallia e di Bentivoglio Bentivogli di Sassoferrato, accordo che poté durare fino ai
tempi di Giulio III.
Nulla di notevole accadde a Corinaldo per parecchio tempo dopo aver riconquistata la
sua sicurezza militare, col nuovo recinto di mura e neppure all’epoca di Alessandro
VI e del Valentino (Cesare Borgia ) pur così ricca di torbidi avvenimenti. Rimase
sempre fedele al Papa e sfuggì all’ambizione dei signorotti che pur pullulavano in
quei tempi. Fu visitata dal Valentino, dopo la strage compiuta a Senigallia nel 1502,
in cui vennero uccisi a tradimento Paolo Orsini e Vitellozzo Vitelli, in occasione
dell’andata dello stesso Valentino a Sassoferrato, Gualdo ed Assisi, come fanno fede
le lettere di Nicolò Machiavelli che ne seguiva l’esercito, datate da Corinaldo , alla
signoria di Firenze.
Nel 1503 Giuliano Della Rovere, ex Priore ed Abate in Corinaldo della antica
Abbazia di S. Maria del Mercato e Cardinale di Urbino dal 1471, fu assunto alla
dignità pontificia col nome di Giulio II. Giulio II (1443-1513) Papa guerriero,
recuperò la Romagna dal dominio di Cesare Borgia, combatté contro i veneziani,
promosse la Lega Santa, professò le arti del Bramante, Raffaello e Michelangelo ed
iniziò in Roma la costruzione della Basilica di San Pietro in Vaticano.
Nel 1517 il duca d’Urbino Francesco Maria I Della Rovere, essendo stato privato del
suo stato dal Pontefice Leone X , per darlo al nipote Lorenzo dei Medici, raccolse una
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grande quantità di soldati di tutte le nazioni, ed in gran parte spagnoli, e, formato un
grosso esercito, dopo aver riacquistate quasi tutte le sue terre, desideroso di allargare
il dominio, rivolse la sua cupidigia verso Corinaldo.
Si fece dapprima grande premura, con segnalate offerte, di averla per accordi; ma
visti inutili i suoi tentativi, minacciò la città e gli abitanti d’incendio e di rovine.
I Corinaldesi intimoriti dalla minaccia e dai tragici eventi di altre città della Marca,
promisero di sottomettersi e gli mandarono con le chiavi della città, ricchi doni per
mezzo degli ambasciatori Viviano Brunori ed un certo Ser Sante.
Tale atteggiamento però dispiacque ad una larga maggioranza del popolo,
specialmente ai giovani più coraggiosi, che giudicando di pregiudizio all’amor
proprio della patria, ed una macchia alla candida fede verso la Sede Apostolica, con
grande strepito si sollevarono in armi, corsero ad inchiodare tutte le porte della città
ed a sollevare tutti i ponti levatoi della medesima , lasciando aperta al transito
soltanto la Bianchetta di Porta S. Giovanni, custodita da una forte guardia.
Le due parti in cui si trovò divisa Corinaldo, avrebbero dato luogo senza dubbio a
conflitti sanguinosi, se l’autorità del Magistrato non fosse riuscita ad imporsi.
Radunatisi quindi i più influenti cittadini delle due parti dal Confaloniere, dopo aver
lungamente discusso e dopo ascoltato il parere di un venerando e valoroso patriota,
che godeva la stima di tutti, prevalse il parere di prepararsi alla difesa.
Furono lasciati in città soltanto i cittadini abili alle armi; le donne, i vecchi e i
fanciulli, guidati da G. Benedetto Amati, furono condotti ad Arcevia, dove l’Amati,
assoldata una compagnia di 200 fanti comandata da Michele Corso, immediatamente
la condusse a Corinaldo e, rafforzate le mura con ogni genere di difesa, aspettarono il
nemico.
Ai primi di giugno dello stesso anno 1517, il duca Francesco Maria, dopo aver preso
Jesi e Montenovo, si presentò con l’esercito di 20 mila spagnoli sotto le mura di
Corinaldo e pose il campo sul colle dei Cappuccini vecchi (attuale villa Orlandi Venturoli), da cui più agevole ritenne l’assalto alla città.
Irritato per il modificato contegno dei Corinaldesi, condannò a morte i due
ambasciatori che gli avevano recate le chiavi della città, trattenuti come ostaggi e per
atterrire gli assediati, fece proclamare con lugubre apparato la sentenza, la quale
doveva eseguirsi il giorno appresso.
Però nella notte ai due condannati riuscì di fuggire e dalla Bianchetta di porta S.
Giovanni di rifugiarsi fra i loro concittadini. La cosa, ritenuta di assai lieto
pronostico, entusiasmò ed incoraggiò maggiormente i Corinaldesi, anche perché i due
fuggitivi, non seppero attribuire il loro scampo che al soccorso Divino.
Il terzo giorno dal suo arrivo, il Duca tentò di dare la scalata alle mura, ma ne fu
ributtato, rinnovò il tentativo il giorno appresso con forze maggiori, senza migliore
esito, ed allora ordinò di piantare le artiglierie.
Queste dapprima, per la troppa distanza, ebbero poco effetto e dopo che furono
avvicinate, non ebbero efficacia, oltre che per la solidità delle mura perché impedite
dal convento di S. Francesco, che i difensori avevano terrapienato e
convenientemente munito.
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Dalla parte di levante e mezzodì la città rimase immune da offesa perché le mura
erano ritenute meno accessibili e sembra che il duca si limitasse a mandarvi a far
scorrerie, le quali però venivano combattute, come tra l’altro lo proverebbe il fatto
che, avendo un giorno gli assediati avuto notizia che una numerosa quantità di cavalli
nemici si erano recati a foraggiare verso il Nevola, mandarono contro di essi un
discreto numero di soldati nella Valle delle Nottole(dice il Cimarelli), per tendere ad
essi un’imboscata. Tanto bene fu condotta l’azione, che i cavalli nemici ne rimasero
rotti e dispersi, lasciando grossa preda e, quantunque il nemico avvertito accorresse
con rinforzi, presso la chiesa di S. Anna i Corinaldesi li affrontarono e con
pochissime perdite si ridussero salvi in città con tutta la preda.
In seguito il duca volle tentare un attacco notturno alle mura, nella speranza di trovare
in difetto la vigilanza dei difensori, ma trovò ben apparecchiate le opportune difese e
furono così bene usate all’improvviso, che l’assalitore, che voleva sorprendere, restò
a sua volta sorpreso e fu messo in scompiglio e poi in completa rotta.
Pur continuando ansiosamente nella difesa, i Corinaldesi sollecitarono con ogni
mezzo i rinforzi al Cardinale di S. Maria in Portico (Bibbiena) legato pontificio che
trovavasi con l’esercito a Pesaro ed attendeva il rinforzo di seimila Svizzeri; però
senza l’arrivo di questi non volle sapere di muoversi.
Le condizioni degli assediati si facevano pertanto realmente un pò difficili perché, fra
l’altro, cominciavano a scarseggiare le munizioni da guerra ed occorreva
assolutamente provvedersene.
All’invito che fu fatto dal Magistrato, con promessa di premio, un frate eremitano
della famiglia dei Godicini, si offrì di recarsi a Senigallia a farne ricerca, ed uscito
dalla Bianchetta di porta S. Giovanni al principio della sera, tanta fu la sua accortezza
e tanta la negligenza del nemico, che poté giungere a Senigallia, ottenere da quel
Governatore quattro some di polvere ed altre munizioni e, prima ancora che fosse
giorno, poté rientrare con i muli carichi a Corinaldo.
Questo nuovo favorevole evento fu ritenuto miracoloso e le conseguenze morali di sì
ben riuscita impresa furono per gli assediati indescrivibili. Ne presero incalcolabile
ardire e tanto seppero fare e con ogni mezzo insidiare e molestare l’assalitore, che
questi, incominciando a dubitare del successo, ed impensierito anche di quanto
avrebbe potuto operare il Cardinale. Legato, deciso di abbandonare l’impresa e dopo
23 giorni di inutile aspro e sanguinoso assedio, decise di ritirarsi con l’esercito nel
suo ducato, accordandosi dopo poco tempo con il Papa.
Di questa splendida difesa fa cenno anche il Guicciardini nella sua “Storia d’Italia” e
dalle sue parole si comprende, come il fatto fosse ritenuto di grande importanza.
Corinaldo beneficiò soltanto della fama e di qualche segno di benevolenza da parte
del Pontefice Leone X, tra cui la concessione che vi si erigesse un vescovato, ed
avesse onore e titolo di città. Però il comune avrebbe dovuto provvedere a fabbricare
un decoroso palazzo episcopale e la chiesa; ma per il momento non vi erano i mezzi
necessari, ed in seguito fu lasciato tutto in dimenticanza.
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2 Difesa della possibilità di poter conservare i privilegi – Poderoso attacco di
peste – Giulio III contravviene ai patti – Discordie fra i cittadini – Si riaccende la
lite con Mondavio.
Nel 1521 morì Leone X e dopo breve Pontificato di Adriano VI, saliva al papato, nel
1523, Clemente VII: lo Stato di Urbino, nel quale comprendevasi Mondavio e
Senigallia, fece ritorno, per concessione del nuovo pontefice all’antico duca.
Corinaldo invece rimase alla Sede Apostolica, alla quale dovette inviare l’oratore
Viviano Amati, per difendere la conservazione dei privilegi, indulti e grazie, di cui
aveva sempre goduto, contro le pretese del Legato delle Marche.
Nel 1527 si ebbe a Corinaldo, per la seconda volta, una violenta pestilenza, che
sembra rapisse i quattro quinti della popolazione; a tale flagello seguì una terribile
carestia, anche perché il territorio fu miseramente devastato dalle locuste e molti
dovettero ricorrere alla beneficenza della Abbazia del Fonte Avellana, la quale, come
nel 1458, rimase proprietaria di gran parte dei territori che le vennero offerti nella
circostanza.
Non si hanno notizie di avvenimenti importanti verificatisi a Corinaldo fino alla metà
del secolo e cioè fino al pontificato di Giulio III, il quale, contrariamente ai patti
convenuti, in seguito alla dedizione alla Chiesa, dopo la cacciata dell’Accattabriga,
donò Corinaldo al nipote Giulio Della Rovere, Cardinale di Urbino.
Fu questa epoca piuttosto critica per Corinaldo, perché sorsero gravi discordie ed
inimicizie tra cittadini e ne derivarono omicidi, incendi e rapine. Tali discordie
interne portarono alcuni fuorusciti nel 1552, ad entrare di notte tempo nella città e
fare strage degli abitanti colti alla sprovvista nei loro letti. Tornarono inoltre a
scoppiare i dissensi con gli abitanti di Mondavio per motivi dei confini, dissensi che
il Cardinale Giulio non riuscì a comporre che nel seguente anno 1553, con un accordo
solenne stipulato in S. Lorenzo in Campo, che però dava appiglio a dispareri.
Il governo del Cardinale Giulio Della Rovere non soddisfaceva però i Corinaldesi, i
quali chiesero alla Sede Apostolica l’osservanza dei patti inerenti alla dedizione, ed il
Papa, riconoscendo giusto il reclamo, chiamò il Cardinale di Urbino ad altro ufficio.
Durante il pontificato di Paolo IV (1555-1559), Roma corse il pericolo di essere
saccheggiata dalla gente del vice re di Napoli e lo stesso Pontefice di essere
imprigionato come il suo antecessore Clemente VII e tutti i Corinaldesi atti alle armi
accorsero allora in difesa della Santa Sede, eccetto le donne, i vecchi ed i fanciulli.
Durante il Pontificato di Pio V (1566-1572), non vi fu cittadino Corinaldese che non
prendesse parte alla guerra contro i Turchi e molti combatterono anche la gloriosa
battaglia di Lepanto, vinta il 7 Ottobre 1571, da Don Giovanni d’Austria e da
Marcantonio Colonna.
Nel 1573 si riaccese la lite con gli abitanti di Mondavio e dovettero nuovamente
imporsi il Papa Giovanni XIII e Guidobaldo d’Urbino. Altri dissensi, manifestatesi
nel 1589, furono amichevolmente composti da apposita ambasceria mandata da
Corinaldo al Duca d’Urbino, sotto la guida di Benedetto Fontini. Però le discordie
dovevano allora essere in relazione al periodo attraversato, in quanto nel 1582,
Montalboddo corse lo stesso pericolo di Corinaldo e fu salvato per lo opportuno e
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tempestivo soccorso dei Corinaldesi, che amici di quei cittadini, piombarono alle
spalle dei fuorusciti, che si dettero a precipitosa fuga.
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3 S. Carlo Borromeo a Corinaldo ospite della famiglia Brunori – Corinaldo
privato dei privilegi da Marcantonio Colonna – Infausto pontificato di Paolo V –
Claudio Ridolfi pittore emerito – Cessione di Corinaldo a Livia Della Rovere
Verso la fine del 1579 a Corinaldo fu ospite della famiglia Brunori, S. Carlo
Borromeo diretto a Loreto. Da Fossombrone a Loreto fece il tragitto a piedi con
l’Arcivescovo di Urbino; a Senigallia furono ospitati nel Palazzetto Baviera.
Sotto il pontificato di Gregorio XIII (1572-1585) Corinaldo fu privata , da
Marcantonio Colonna, Legato delle Marche, di una parte dei privilegi che così
gelosamente conservava (1582) e contro i quali era stato sempre tentato invano dai
predecessori.
In ogni modo il fatto, sotto il punto di vista dello stato, era pienamente giustificato ed
in armonia con l’organizzazione dell’andamento generale delle cose e pertanto non
produsse disordini, né vi furono reclami od ambascerie come in altri tempi. Si
continuò nel nuovo ordine di cose, fino al pontificato di Paolo V (1605-1621) che per
Corinaldo fu assai infausto.
Detto Pontefice proibì l’esportazione delle biade, del vino, dell’olio e di tutti gli altri
prodotti agricoli di cui il paese aveva in grande abbondanza e ne derivò che il prezzo
di questi generi tanto invilì che ne seguì una miseria generale e, di conseguenza si
ebbero debiti, forzate espropriazioni, liti e soltanto alla morte di Paolo V, avendo
finalmente il nuovo Pontefice Gregori XV permesse le esportazioni, il male
scomparve.
Nei primi anni di questo stesso secolo una armata di corsari Inglesi nell’Adriatico
minacciava di saccheggiare ed ardere il tempio di Loreto ed i Corinaldesi furono i
primi ad impugnare la spada in difesa di quelle Sante mura.
In questo periodo Corinaldo ebbe la gloria di annoverare tra i suoi cittadini, sebbene
veronese di nascita, uno dei maggiori pittori italiani dell’epoca e cioè Claudio Ridolfi
(1574-1644). Le chiese cittadine conservano anche oggi numerosi suoi dipinti di
grande prestigio artistico.
Nel 1631 Urbano VIII, dopo la morte dell’ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II,
avendo incorporato alla Santa Sede quel ducato, concesse in governo Corinaldo alla
vedova Livia Della Rovere, insieme ad Arcevia e Barbara; però la cessione doveva
rinnovarsi di tre anni in tre anni, volendo forse così evitare che si dicesse che era stata
ceduta la signoria di detti paesi. Livia della Rovere (1595-1641) governava al tempo
in cui il Cimarelli scriveva il suo libro “Storie della Stato di Urbino”, edito a Brescia
nel 1642. Abitava in una sua villa presso Castelleone, dove aveva anche risieduto il
Cardinale Giulio suo zio, ed entrambi abbellirono detta villa con molte antichità che
si andavano sempre scoprendo presso Corinaldo e nella valle del Cesano, dove
sorgeva Suasa, ed alcune delle quali furono poi anche trasportate a Pesaro.
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4 Periodo di decadenza – Edificazione di Chiese, Conventi e del Civico Palazzo –
Concessione della qualifica onorifica di Città.
Fino dal tempo del Cimarelli, e forse anche prima, ebbe principio per Corinaldo un
periodo di decadenza, che non si potrebbe fare a meno di attribuire al fatto che il
regime di libera potenza comunale, che nei secoli XV e XVI aveva portato Corinaldo
ad un alto grado di prosperità e d’importanza, andava a poco a poco sostituendosi un
nuovo governo centralizzatore, però affatto avveduto. Le popolazioni risentirono
enormemente di tale stato di cose, poiché private di ogni iniziativa, ebbero
l’impressione di essere abbandonate e di fronte all’incidenza delle nuove leggi che si
prestavano a tutte le interpretazioni, subentrò in tutti una fase sconcertante. In alcuni
si manifestò sotto forma di avvilimento, in altri invece fu stimolo per darsi al mal
fare.
Anche in tutto il 1700 le condizioni economiche e politiche dello Stato Pontificio
continuarono ad essere cattive. Malgrado ciò Corinaldo mostrava ancora linfa vitale
nelle proprie vene, residuo di quella stessa linfa che aveva forgiato tutto il suo
glorioso passato. Aveva ancora un programma da svolgere, doveva cioè completare
di fabbricati quella parte della città risultata dall’ampliamento del recinto di mura.
Infatti, forse nella speranza del ritorno di tempi migliori e potenziata dalla grande
produttività del suolo, eresse in detta epoca tutti i più bei palazzi, venne costruito il
nuovo convento dei Francescani e l’attuale chiesa di S. Francesco(1752-1759), il
nuovo Convento dei Padri Agostiniani ( attuale palazzo delle scuole elementari)
furono restaurate tutte le chiese ed arricchite di preziose tele artistiche di ottimi
autori, venne edificata la chiesa di Maria SS. Addolorata ed abbandonato infine il
vecchio e cadente palazzo Malatestiano, dopo breve occupazione del palazzo Bovi
lungo la via Spiaggia (oggi Rosselli), fu costruito dal 1784 al 1790, su progetto
dell’architetto Francesco Maria Ciarafoni, modificato dall’architetto Brunelli,
l’attuale palazzo comunale, opera architettonicamente meravigliosa e di carattere
monumentale, che potrebbe degnamente figurare anche in qualsiasi grande città.
Nel 1786 il Papa Pio VI, con Breve in data 20 giugno, per le continue numerose
benemerenze di Corinaldo verso la Sede Apostolica e per alto riconoscimento delle
sue elevate istituzioni, tra cui l’incremento dato agli studi per mezzo di quattro
professori, cioè di grammatica , retorica, filosofia e teologia, nonché, come dice il
contenuto dello stesso Breve, per la fama di numerose famiglie ed uomini illustri,
conferì a Corinaldo per maggior onore e decoro, il titolo di città, come, già deciso
anche da Leone X fin dal 1517, su proposta del Legato Pontificio Cardinale di S.
Maria in Portico.
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PARTE IV.
STORIA CONTEMPORANEA
(dal 1790 in poi)
1 Scoppio della rivoluzione in Francia – Lo Stato Pontificio trasformato in
Repubblica dai francesi – Pio VI condotto nel Delfinato – Felice Sforza caduto
sotto le mura di Mosca.
Il 14 luglio 1789 scoppiò la Rivoluzione Francese ed i suoi effetti incominciarono a
farsi sentire qualche tempo dopo. Il 1 maggio 1790, Ancona venne proclamata
capitale del dipartimento del Metauro che comprendeva 15 Comuni. Corinaldo fu
quinto Cantone ed esercitava la sua giurisdizione su 12 Comuni.
Tra il 1797 ed il 1799 per opera dei più accesi patrioti e mercé l’influsso delle idee
francesi, quasi tutti gli Stati italiani si convertirono in repubbliche democratiche,
fondate sul principio della sovranità popolare. Anche lo Stato Pontificio fu
proclamato dai francesi repubblica democratica ed anticlericale (1798) ed il vecchio
Pontefice Pio VI, forzato a rinunciare al potere temporale, venne condotto a Valenza,
nel Delfinato, dove morì nel 1799.
Anche Corinaldo fu occupata dai Francesi e si verificarono allora forti contrasti tra
cittadini a causa delle nuove teorie politiche che inutilmente combattute si
diffondevano entusiasmando specialmente i giovani del medio ceto, oltremodo
sensibili alle idee di uguaglianza, libertà e fraternità. In seguito ai successi
napoleonici, molti dei nostri concittadini si arruolarono nelle file dell’esercito
francese e combatterono contro le diverse coalizioni. Fra essi devesi ricordare Felice
Sforza che, combattuta tutta la campagna di Russia, quale capitano dell’esercito
napoleonico, cadde valorosamente sotto le mura di Mosca nel 1812.
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2 Congresso di Vienna – Epidemia ed istituzione del Civico Ospedale –
Persecuzioni politiche – Inizio del Papato di Pio IX – Nuove persecuzioni –
Martiri delle loro idee – Colera a Corinaldo
Vinto Napoleone (1815), furono sistemati, al Congresso di Vienna, gli interessi delle
maggiori potenze; ma non venne tenuto alcun conto delle aspirazioni dei piccoli Stati,
per i quali fu di massima ripristinata la situazione territoriale e politica della metà del
settecento e cioè venne ristabilito l’assolutismo, soffocando le idee liberali. Lo Stato
Pontificio ripristinato nel suo antico territorio fu assegnato al Papa Pio VII (18001823) .
Nell’anno 1817, in occasione di una epidemia che si verificò nello Stato Pontificio, si
ottenne da detto Pontefice di poter abbandonare gli inadeguati locali, usati quale
infermeria, annessi alla Chiesa di San Rocco che si trovava al Borgo S. Giovanni
(attuale Mazzini) e di istituire l’attuale Ospedale Civico, occupando i locali convento
di S. Francesco, da cui erano stati cacciati i religiosi durante l’occupazione
napoleonica.
Negli anni che seguirono la restaurazione, nonché durante il Papato di Leone XII
(1823-1829), di Pio VIII (1829-1832) e di Gregorio XVI (1832-1846), si ebbe a
Corinaldo, ed in tutto lo Stato Pontificio, un periodo caratterizzato più che altro da
persecuzioni politiche; ma eletto Papa Giovanni Maria Mastai Ferretti di Senigallia
(Pio IX), ritenuto d’idee liberali, si diffuse ovunque grande entusiasmo (1846).
Infatti i primi atti di governo del nuovo Pontefice, fecero concepire immense
speranze, non solo fra i sudditi dello Stato Pontificio, ma in tutta Italia. Causa però il
minaccioso atteggiamento austriaco, il carattere debole del Pontefice restò, in seguito,
grandemente influenzato, e si ebbe per tanto il rifiuto di proseguire in
quell’atteggiamento che aveva tanto lasciato sperare, per il conseguimento delle
aspirazioni nazionali.
I Corinaldesi più che altro delle classi medie (i contadini restarono abulici nelle lotte
politiche), seguirono anelanti e fiduciosi questa fase storica; fra essi si era manifestata
una forte corrente liberale e repubblicana, specie fra l’elemento giovane ed attivo.
Però la polizia pontificia vigilava molto attentamente. Richiami e corrispondenze con
altre polizie italiane ed estere, avvertivano che le cospirazioni si infittivano nelle città
e nei paesi. Tutti i mezzi erano buoni per fare propaganda; le fiere, i mercati ed anche
le feste religiose. Le persecuzioni erano quindi accanite ed in qualche momento
addirittura feroci. Per tale reazione si ebbero arresti, processi, esiliati e condannati
politici. Gli indiziati, per sfuggire alle persecuzioni, presero la campagna, si ebbero
quindi attentati agli esponenti più in vista delle fazioni e la vita per ciascuno divenne
angosciosa e difficile.
Molti corsero ad arruolarsi nell’esercito piemontese, altri con Garibaldi, o nei
battaglioni dei volontari; tra essi Ballanti Gaspare, Battistini Averardo, Ceccarelli
Pietro, Colombaroni Paolo, Gregorini Gioacchino, Gregorini Aristodemo, Panaioli
Zaccheo, Perozzi Tito e molti altri. Una lapide in marmo che si trova sul muro di uno
dei pianerottoli della scala dell’attuale Palazzo Comunale, ricorda quattro nostri
concittadini caduti per la liberazione e l'unità della Patria e cioè Lauretani Alessio e
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Ridolfi Cesare, caduti a Vicenza nel 1848, Lattanzi Engilberto, caduto ad Ancona nel
1849 e Ballanti Mariano, caduto a Milazzo nel 1860.
Fra i martiri dell’indipendenza nazionale furono dal popolo sempre annoverati: Luigi
Angeloni, Francesco Cippitelli, Benedetto Amati, Francesco Ballanti, fucilati il 13
maggio 1854 nei pressi di S. Francesco, dopo una sentenza covata per cinque anni,
più che per colpa, in odio alle loro idee favorevoli all’unificazione nazionale.
Altri due condannati alla fucilazione morirono in carcere prima dell’esecuzione.
Il sacerdote Giuseppe Frigeri fu condannato alla galera perpetua; rinchiuso nel
convento riuscì poco dopo a fuggire e con l’aiuto dei Carbonari, che a Corinaldo
sembra fossero 24, poté riposare in Inghilterra.
Tra i cittadini perseguitati, merita speciale menzione Tommaso Ciani (1812-1889),
esiliato politico quale ex deputato della Costituente Romana nel1849 e quale seguace
delle più pure idealità mazziniane.
Altri esiliati politici di Corinaldo furono: Pasqualini Trifone, Stefanini Aristodemo,
Cesarini Bartolomeo, Cesarini Benedetto e Cesarini Vincenzo.
Nel 1855 alle persecuzioni politiche che depressero tante famiglie, si unì un terribile
attacco di colera, da cui derivarono una sequela di mali d’ogni genere, nonché rovine,
squallore, disagio economico e carestia.
Ma pur rispettosi della fede dei loro padri, ardenti di spirito di libertà, il sentimento
politico rimase intatto e comitati segreti in ogni dove, in perfetta relazione tra loro ed
in armonia con le direttive dei loro capi, ordivano le più significative manifestazioni
che, nel 1859, culminarono nei fatti di Bologna, Ferrara, Rimini, Perugia, Gubbio ed
altre città, che si dichiararono indipendenti e si offrirono al Re di Piemonte.
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3 Operazioni militari per la liberazione delle Marche e dell’Umbria – Assedio di
Ancona.
Il 15 gennaio 1860 gli esiliati politici dell’Italia Centrale riuniti a Firenze, inviarono a
Napoleone III, imperatore dei francesi, un indirizzo per invocare il suo aiuto e fra i
firmatari di detto indirizzo figuravano anche i fratelli Bartolomeo e Vincenzo
Cesarini di Corinaldo.
L’11 settembre 1860 il generale piemontese Enrico Cialdini, secondo ordini ricevuti,
varcava il torrente Tavullo presso Cattolica, che divideva la Romagna dalle Marche e
contemporaneamente il generale Manfredo Fanti da Arezzo entrava nell’Umbria.
Loro scopo era di porre fine alle repressioni per le libere manifestazioni che si
verificavano in tali regioni. I primi scontri con le truppe pontificie ebbero luogo nel
territorio di Pesaro e di Urbino. Secondo un telegramma da Spoleto al “Giornale di
Roma” il tenente colonnello Volgelsang il giorno 11 settembre sarebbe stato a
Corinaldo invece si trovava a Mondavio ed in tale giorno transitò per Corinaldo il
colonnello Kanzler con 1200 austriaci al servizio del Papa.
Appena giunti minacciarono il Gonfaloniere Clemente Rossi, perché non aveva
preparato l’alloggio che per 800 soldati. Fu grande quindi la confusione; ma poi i
soldati partirono diretti verso Fossombrone ed Urbino, congiungendosi a Mondavio
con le truppe del tenente colonnello Vogelsang, ma venuti a conoscenza durante i
fatti di Fossombrone, dell’ingresso ad Urbino delle truppe nazionali, ritornarono a
Corinaldo, dove minacciarono di fucilare l’esattore comunale Costanzo Ciani, se non
avesse consegnate le chiavi della cassa. Ottenutele, la cassa fu vuotata.
Con lo stesso sistema ottennero di vuotare la cassa dell’esattore governativo Adelino
Sandreani, però sapendosi oggetto di caccia da parte del generale Cialdini, che
muoveva loro incontro da Senigallia, dovettero ripartire dopo breve sosta dirigendosi
verso le Bettolelle ed il Filetto e non ebbero tempo quindi di commettere altre
ribalderie a Corinaldo.
Il 13 settembre le retroguardie di tali truppe dirette verso Ancona via Montemarciano,
avvistate dagli avamposti del colonnello piemontese Avogadro, furono attaccate e
sconfitte a S. Angelo e S. Silvestro in territorio di Senigallia.
In seguito ai sopraccennati eventi, fin dal 15 settembre Corinaldo si stava preparando
al trapasso amministrativo della dominazione, ed i cittadini più noti per l’alto
patriottismo, organizzarono una Giunta provvisoria presieduta dal Sindaco
Giambattista Orlandi e formata da Francesco Castellani, Antonio Bartera, Giovanni
Cesarini e Adelmo Sandreani, cui affiancarono un Comitato speciale formato da
Mariano Paris, Luigi Ferreri e Clemente Rossi. Il 17 settembre per l’arrivo da
Senigallia di un reparto di forze armate piemontesi detta Giunta, trovò piena
approvazione e costituito un primo nucleo di Guardia Nazionale, fra il più grande
entusiasmo del popolo, vennero abbattuti tutti gli stemmi pontifici che sovrastavano
le porte d’accesso alla città.
Il 18 settembre le truppe pontificie comandate dal generale francese Lamoriciére,
vennero completamente sbaragliate a Castelfidardo, però i superstiti riuscirono a
ritirarsi ad Ancona.
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La città, cinta d’assedio, minacciata da terra dalle truppe del generale Cialdini e dal
mare dalla flotta piemontese comandata dall’ammiraglio Persano, dopo pochi giorni
di resistenza ai furiosi bombardamenti e dopo lo scoppio della polveriera della
batteria della Lanterna, si arrese il 29 settembre 1860.
Conseguentemente dalla sede provvisoria di Senigallia il Regio Commissario per le
Marche, Lorenzo Valerio, il 30 settembre si trasferì ad Ancona seguito da Gaspare
Finali e da due influenti capi marchigiani: Tommaso Ciani di Corinaldo e Zenocre
Cesari di Urbino.
Col plebiscito indetto dal R. Commissario per le Marche nei giorni 4 e 5 novembre
1860 Corinaldo, in unione alle altre città delle Marche, conferma il desiderio di far
parte del nuovo Stato Unitario Nazionale sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II .
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4 Brigantaggio nelle Marche – Domenico Berardi valente pittore – Il maggiore
Alarico Ciani decorato al valore a Custoza – Costruzione del Teatro Comunale –
Costruzione dell’acquedotto – Nascita di S. Maria Goretti – Guerre coloniali in
Africa.
Durante il periodo in cui regnarono i Papi Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI e Pio
IX, si ebbero in tutto lo Stato Pontificio e così pure nei dintorni di Corinaldo, dolorosi
casi di brigantaggio, che rendendo malsicure le vie di comunicazioni, mettevano in
grave pericolo la vita e gli averi degli abitanti. A tali forti guai, all’inizio della
dominazione piemontese, per l’obbligatorietà della coscrizione militare, si aggiunsero
casi di renitenza. Gli uni e gli altri furono strenuamente combattuti dalla Guardia
Nazionale di cui facevano parte, con grande onore, molti cittadini: fra cui, Giuseppe
Valdrè che, come risulta da autentico brevetto del Ministero dell’Interno datato da
Torino il 4 giugno 1864, meritò onorevole menzione per aver efficacemente
cooperato all’arresto a Montenovo di 5 terribili briganti. Tale anormale stato di cose
cessò però di esistere, man mano che si andò rafforzando il prestigio delle nuove
autorità nazionali.
In quest’epoca Corinaldo ebbe il vanto di avere un cittadino di eccellenti qualità
pittoriche e disegnatore di non comune maestria, cioè Domenico Berardi. Alcuni suoi
quadri si ammirano nel convento e nella chiesa dei PP. Cappuccini, altro quadro
riproducente un episodio della battaglia di ponte Milvio combattuta alle porte di
Roma tra Costantino e Massenzio, che si trovava nel salone Municipale di Corinaldo,
venne seriamente danneggiato in occasione dell’apertura dell’ingresso al corridoio
degli uffici ed un quadro rappresentante la B.V. Immacolata venne dipinto nella
cappella del vecchio seminario di Senigallia, per commissione del Cardinale Mons.
Domenico Lucciardi Vescovo della Diocesi.
Nel 1866 a Custoza e Villafranca, nella terza guerra d’Indipendenza, si distinse per
ardire il nostro concittadino Alarico Ciani, allora Maggiore dei Bersaglieri al Servizio
di Stato Maggiore, meritando di essere decorato al valore militare. Quale ufficiale
d’esercito nazionale seguì poi tutte le vicende dell’epopea risorgimentale,
raggiungendo il grado di Tenente Generale.
Nel 1870 molti Corinaldesi presero parte alla liberazione di Roma con l’esercito
nazionale per il compimento dell’unità politica, suprema aspirazione di tutto il popolo
italiano e tra essi si crede opportuno ricordare i concittadini di elezione sottotenenti,
Domenico Grandi ed Attilio Mattioli che poi raggiunsero i gradi più elevati del Regio
Esercito. Si eseguirono in città solenni festeggiamenti con luminarie ed altre
manifestazioni di giubilo.
Nel 1875 fu edificato il teatro comunale dedicato a Carlo Goldoni, opera riuscitissima
e splendidamente decorata, attualmente in corso di restauri, resi necessari dalla
vetustà.
In quest’epoca i Corinaldesi ebbero nel loro concittadino Giuseppe Cesarini, un
insigne ingegnere idraulico, autore di numerose pubblicazioni e di uno studio speciale
riguardante l’arginatura del Tevere, che gli procurò attestati di onore da parte del
Ministero dei Lavori Pubblici.
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Nel 1880 venne costruito a Corinaldo, su disegno dell’ingegnere conte Alessandro
Pasqui, l’attuale Cimitero, utilizzando il materiale risultanto dalla demolizione della
Chiesa Collegiata di S. Pietro, in cattive condizioni di stabilità.
Nel 1890, essendo Sindaco il conte Pompeo Perozzi, fu iniziata la costruzione
dell’acquedotto comunale, che avendo le sorgenti a Montesecco (Contrafforte del
Catria), dopo un percorso di 25 Km. deposita le sue acque purissime nel serbatoio in
cima al colle S. Maria, da dove poi vengono convogliate verso Corinaldo. Detta opera
venne completata nel 1894. Si ebbero per l’occasione molti festeggiamenti cui
presero parte tutti i paesi vicini e da allora Corinaldo, finalmente disimpegnata dai
vecchi pozzi fatti costruire dall’Accattabriga durante la dominazione sforzesca e dalle
vecchie fonti costruite nel 1603, godette di un ottimo approvvigionamento idrico, che
in questi ultimi tempi venne esteso anche a tutte le contrade del territorio comunale,
immettendo nel serbatoio altra acqua captata nella Valle del Cesano, in un terreno di
proprietà Brunori.
In questo stesso anno 1890, al 16 di ottobre, Corinaldo ebbe la gloria di registrare i
natali di Maria Teresa Goretti, umile fragrante fiore di verginale candore, giglio
immacolato del nostro giardino; rosa del Mistico Cielo. Martire della propria purezza,
per vile aggressione subita a Nettuno il 6 luglio1902, fu elevata agli altari il 27 aprile
1947, canonizzata il 24 luglio 1952 e proclamata da S. S. Pio XII Simbolo
Universale di Cristiana Purezza, protettrice della gioventù.
In quest’epoca Corinaldo ebbe anche un esimo scrittore e poeta nel proprio
concittadino Francesco Turris ed un appassionato cultore di scienze matematiche in
Filippo Paris (1849-1901) autore di speciali pubblicazioni e di una nuova
dimostrazione del Teorema di Pitagora.
Numerosi furono i caduti Corinaldesi nelle guerre coloniali; ma data la concisione di
questi dati storici, non riesce possibile enumerarli; tuttavia si crede opportuno
ricordare il capitano Ciro Cesarini, caduto ad Abba Carima (Etiopia) il I marzo 1896
con la gloriosa colonna del generale Albertone.
Nel marzo 1910 la ditta fratelli Bucci iniziò il servizio automobilistico tra Corinaldo
e Senigallia. In precedenza detto servizio era svolto da insufficiente corriera a
cavallo, con un numero esiguo di posti .
Nel novembre dello stesso anno venne inaugurato anche il servizio telefonico che in
questi ultimi anni venne esteso a tutte le località del territori comunale.
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5 Valorosi caduti nella guerra 1915-18 – Fascismo – Terremoto nelle Marche.
Nel gabinetto governativo dell’Onorevole Salandra, che precedette la guerra
nazionale per la liberazione del Trentino e della Venezia Giulia, dopo essere stato
eletto deputato al Parlamento Nazionale tre legislature nel collegio politico di
Senigallia, fu Ministro della Guerra il Generale d’Armata Domenico Grandi ,
Senatore del Regno, che Corinaldo ebbe l’onore di annoverare tra i suoi più
affezionati cittadini.
Il 24 maggio 1915 primo giorno di guerra la flotta austriaca sottopose Senigallia ed
altre località indifese della Costa Adriatica al più furioso bombardamento marittimo.
Dei valorosi caduti nelle ultime guerre nazionali, si conserva il ricordo marmoreo
nell’atrio del palazzo comunale, nel monumento ai Caduti al viale degli Eroi e nel
sacello in via del Cassero. Comunque si crede opportuno ricordare il capitano Guido
Sforza, poeta e scrittore forbito, autore di liriche , commedie ed epigrammi, caduto a
Fagaré il 18 giugno 1918, meritando la medaglia d'argento al valore militare, nonché
i tenenti Giovanni Brunori, caduto il 25 luglio 1915, ed Amedeo Maiolatesi, caduto il
29 luglio 1916, anch’essi decorati di medaglia d’argento al valore.
Essendo seguito alla guerra 1915-1918, un momento torbido della vita nazionale, per
le intemperanze e gli eccessi dei partiti politici anti regionali miranti al sovvertimento
dello Stato, il programma di rigenerazione sociale, di potenziamento dei valori morali
e di cooperazione di classe, lanciato dal Fascismo, fece vibrare in Corinaldo il forte
patriottismo di gran parte dei cittadini, di cui una larga rappresentanza prese parte alla
marcia su Roma felicemente conclusasi nel 1922.
Però l’entusiasmo andò affievolendosi, quando nella maturata esperienza si poté
costatare che la realtà era troppo diversa dagli sbandieramenti verbali e che la libertà
individuale era manomessa da una camarilla di profittatori politici impunemente
arbitri.
La grave decadenza che già da tempo amareggiava Corinaldo ebbe, nel periodo
fascista, forte aggravamento, in quanto, essendo stato soppresso il Mandamento di cui
era Capoluogo, fu privato della Pretura Mandamentale e degli uffici annessi, con
grave danno del decoro comunale e dei cittadini che per qualsiasi pratica legale o
giudiziaria, da allora furono costretti a recarsi a Senigallia.
Non ebbe Corinaldo per tale abbassamento morale, alcuna contropartita: i dirigenti
del Fascio se ne disinteressarono. Eppure tante città ottennero in detta epoca impianti
di scuole secondarie, potenziamento di attività locali, costruzioni edilizie speciali.
Nulla, proprio nulla ebbe Corinaldo.
Nel novembre 1930 la provincia di Ancona fu scossa da un forte terremoto con
epicentro a Senigallia. Anche Corinaldo ebbe danneggiati molti fabbricati, fra cui la
chiesa Parrocchiale di S. Francesco, nella quale per i forti restauri resisi necessari
all’abside si dovettero coprire d’intonaco le decorazioni pittoriche che nel 1890 vi
aveva eseguito il pittore Maria Lauretani e si dovettero demolire gli splendidi
altorilievi allegorici nelle pennucce alla base della cupola, opera dello scultore
settecentesco Bernardino da Suzzara. Dallo stesso terremoto fu anche lesionato il
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palazzo comunale, che dovette da allora essere rinforzato con tiranti di ferro,
attualmente visibili lungo il porticato.
In quest’epoca Corinaldo ebbe in Valerio Valeri (1851-1934) un interessante poeta
satirico, autore di numerose poesie piene di sarcastico umorismo locale, alcune delle
quali si trovano raccolte in un fascicolo manoscritto nella biblioteca comunale.
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6 Illusioni per la conquista dell’impero – Scoppio della guerra 1938-1946 –
Entrata in guerra dell’Italia – Esodo dalle grandi città per obbiettivi di guerra.
La guerra per la conquista dell’impero, iniziatasi nel 1935 e riuscita vittoriosa
malgrado l’invida coalizione formatasi a Ginevra fra gli aderenti alla Società delle
Nazioni, fu senza dubbio la più grande affermazione internazionale del Fascismo e,
malgrado le deficienze della politica interna, unanimamente deplorate, aprì il cuore di
tutti gli italiani alla speranza di poter finalmente raggiungere un’era di alto benessere
sociale. Vennero subito manifestate tanto da pubbliche istituzioni che da privati,
operose iniziative e trasferitisi nell’impero intrapresero opere di elevazione civile: si
costruirono ponti e strade dove non c’erano che semplici ed inadeguati sentieri; si
edificarono case dove non erano che miseri tukul; si incrementò il commercio; si
costruirono imprese minerarie e di sfruttamento agricolo; sorsero officine e
stabilimenti industriali; non si era insomma mai spiegata, da parte degli italiani, tanta
attività.
Ma un genio malefico congiurava ai nostri danni. La Germania, riavutasi dalla
precedente guerra mondiale, lanciava nuovamente nel 1938 sul tappeto internazionale
il suo programma imperialista, destando l’invido risentimento delle maggiori potenze
europee e degli Stati Uniti dell’America del Nord.
Scoppiò pertanto la seconda guerra mondiale! Per nostra disgrazia, si delineò in
principio, con la così detta guerra lampo, una forte prevalenza tedesca. I dirigenti
fascisti ne restarono conquistati ed ammaliati e, malgrado la più sconcertante
impreparazione morale e materiale, lanciarono l’Italia al fianco della Germania
(1939).
Fu un tradimento verso la Nazione, la quale non incoraggiò spiritualmente in alcun
modo la nuova avventura e quando ad imitazione nazista fu decretata la campagna
antiebraica, gli Italiani dettero le più evidenti manifestazioni di non aderenza alla
politica nazionale fascista.
I Tedeschi, accortisi che non veniva assecondata la politica del regime, a poco a poco
si sostituirono più o meno apertamente, alla autorità nazionali, imponendo la loro
volontà e si dovette così assistere allo sfacelo morale, materiale e finanziario della
nazione, impossibilitati ad esprimere liberamente quel senso di scoraggiamento che si
era diffuso, per le sconfortanti alterne vicende della guerra e per il successivo
delinearsi del disastro finale.
A Corinaldo pervenivano continuamente sfollati da tutte le città più esposte ai
pericoli di guerra e dalle più bersagliate dall’aviazione nemica; non vi erano locali
sufficienti per soddisfare le numerose richieste; eppure parenti, amici, conoscenti
chiedevano asilo in città e in campagna, adattandosi anche in modo disagevole, in
ambienti non mai precedentemente adibiti ad abitazioni. Si dovettero anche istituire
scuole medie di primo e di secondo grado per dar modo ai numerosi ragazzi di
continuare gli studi già iniziati nelle loro città e si dovette organizzare una speciale
assistenza per le famiglie più bisognose, che la guerra aveva lanciate nella più
squallida indigenza.
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7 Colpo di stato del Maresciallo Badoglio – Dominazione tedesca e ribalderie –
Caduta di un aeroplano Alleato.
Il 25 luglio 1943, pur non assolvendo il Maresciallo Badoglio dalle precedenti gravi
responsabilità quale ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, fu salutato con gioia da
quasi tutta la popolazione italiana e corinaldese; si videro madri e spose con le gote
rigate da lacrime di tenerezza, al pensiero della possibilità di poter riabbracciare i loro
cari. Ma il caos che ne seguì per la mancata prevedibile preparazione politico militare, integrante il colpo di stato, tolse presto ogni illusione. I Tedeschi, che in
primo tempo si credettero sopraffatti, ripresero il loro ardire ed anzi raddoppiarono la
tracotanza; il Fascismo, che era ritenuto abbattuto, spalleggiato dai tedeschi, riprese
nuova lena. Vennero giorni terribili, si ebbero processi e vendette! Molti a Corinaldo,
come altrove, per sottrarsi alle persecuzioni, si dettero alla campagna, ingrossando le
già numerose file dei Partigiani. I meno politicamente compromessi, rimasero in città
a controllare l’andamento delle cose, costituendo segretamente Comitati di
Liberazione; ma ciascuno era a sua volta tenuto sotto stretto controllo nazifascista. Fu
distaccato anche a Corinaldo un comando tedesco; prese stanza nel palazzo Ricci in
Piazza Cavour e le autorità locali ne subirono da allora il più completo controllo: le
esigenze tedesche di carattere bellico furono anteposte ad ogni altra necessità.
Per fortuna a detto Comando fu preposta persona assai comprensiva e ragionevole, il
capitano berlinese Schwarz, che si prestò in ogni circostanza a mettere in buona luce i
Corinaldesi, cercando di mitigare e minimizzare qualsiasi contrasto; egli però non
aveva sufficiente ascendente di fronte agli altri comandi della zona e sui militari, che,
scorrazzando per le campagne, facevano man bassa di tutto. Le arbitrarie pretese di
alimenti era quanto meno potessero esigere; i contadini dovevano tenere
prudentemente nascoste le loro donne, verso le quali si manifestava la più oltraggiosa
cupidigia sessuale. Si ebbero arbitrarie perquisizioni di appartamenti con
asportazione di oggetti anche di valore, sequestri arbitrari di automobili e biciclette;
requisizioni di bestiame di ogni genere ed a qualsiasi accenno alla più larvata
resistenza, faceva riscontro la sollecita minaccia con la rivoltella o col fucile.
Per pochi chiodi trovati lungo la cosiddetta strada del Tiro a Segno, in contrada Ponte
Murato, che congiunge Corinaldo con Barbara e Castelleone, interpretati sabotaggio
per le gomme degli autoveicoli, vennero incendiate quattro case coloniche, senza dar
tempo di trarre in salvo mobili e masserizie e ne sarebbero state distrutte dieci se il
Podestà conte A. Cesarini, non avesse fatto intervenire in tempo il capitano
Schwaarz; per attenuare gli ordini impartiti da altri comandi .
Per una risposta ritenuta canzonatoria, un arrogante militare tedesco credette poter
assestare un ceffone ad un noto popolano corinaldese. Però la immediata reazione del
colpito superò ad usura la ricevuta percossa e prima ancora che il tedesco, estratta la
rivoltella, potesse sparare, il giovane corinaldese, saltata una siepe che fiancheggiava
la strada, si sottrasse alla vista dell’avversario dandosi a precipitosa fuga, inutilmente
inseguito da spari. Accorsero altri militari tedeschi sparando essi pure all’impazzata
e, purtroppo rimase ucciso un pacifico ed innocuo cittadino padre di due teneri
bambini, che si trovava casualmente a passare sul posto. Ad un certo Battistini, di
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condizione carrettiere, per rappresaglia in altra futile circostanza, vennero uccisi i
muli, e gli avrebbero incendiata anche la casa se l’intervento delle autorità locali, per
mezzo del capitano Schwarz, non fosse riuscito a minimizzare l’accaduto.
Nel giugno 1944, in contrada S. Isidoro, cadde per mitragliamento tedesco un
aeroplano alleato. I contadini corinaldesi subito accorsi sul posto, seguiti a breve
distanza da alcuni Partigiani, riuscirono a trafugare le armi e soccorrere i feriti, che
opportunamente curati, furono poi occultati alle più solerti ricerche tedesche, fino al
giorno della liberazione. Gli aviatori deceduti, abbandonati sul luogo dai tedeschi,
furono poi sepolti nel Civico Cimitero, soltanto per indiretto interessamento del
Comitato di Liberazione.
8 Ritirata del fronte Tedesco – Avanzata del fronte Alleato – Respinti gli alleati
in contrada Pecciameno – Ingresso a Corinaldo del Battaglione San Marco –
Civica Amministrazione provvisoria.
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Di giorno in giorno il rumore dei colpi di artiglieria, dapprima appena percepibile, si
faceva sentire sempre più distintamente; e una mattina, verso la fine di giugno,
spingendo lo sguardo lungo l’orizzonte, si constatò la scomparsa della torre di S.
Maria Nova; era stata abbattuta. Il fronte alleato dunque si avvicinava e dal
nervosismo dei tedeschi, si desumeva apertamente che le loro cose andavano male.
Durante tutte le notti passavano per le strade adiacenti a Corinaldo numerose truppe
che indietreggiavano. Durante il giorno lunghe teorie di carriaggi d’ogni genere,
ricolmi di cose, le più svariate, sicuramente asportate dalle località della ritirata,
ostacolavano sulle strade ogni altro transito.
Squadre di Tedeschi giravano giornalmente in cerca di uomini, per scavare trincee e
nidi di mitragliatrici; nessuno in città poté sottrarsi al coatto caricamento sugli
autoveicoli, di proiettili, di cui era stato fatto un grande deposito nella Villa OrlandiVenturoli e campi limitrofi, nonché lungo la strada che conduce al Convento dei PP.
Cappuccini. Era necessario rassegnarsi per evitare rappresaglie!
Ai primi di luglio incominciarono a vedersi scoppi di proiettili in direzione di Ostra,
dopo qualche giorno si spostarono verso la valle del Misa ed infine il 20 luglio 1944
circa alle ore 12.30 si ebbero i primi proiettili su Corinaldo, lanciati da una batteria
opposta in direzione di Ostra e da un’altra appostata verso il Vaccarile.
Tutti si affrettarono a ripararsi nelle cantine più riparate dai colpi, i quali
giornalmente assumevano un ritmo ogni ora crescente, non dando tregua nemmeno la
notte.
I tedeschi avevano quasi evacuata la città, lasciando un presidio di pochi militari nella
caserma ove solevano essere alloggiati i carabinieri. Per colmo di scelleratezza, prima
della partenza, sparso di mine alcuni passaggi obbligati della campagna ed alcuni
tratti di strada, avevano danneggiato seriamente la cabina elettrica della pubblica
illuminazione e fatto saltare con alto esplosivo i ponti principali di tutte le strade del
territorio, nonché il serbatoio del civico acquedotto. Al disagio enorme, si unirono per
tanto molte disgrazie per scoppi di mine non conosciute.
Per fortuna i tiri degli Alleati difettavano di precisione e non pochi colpi andavano
oltre l’abitato; comunque molte case della città venivano giornalmente colpite e
fortemente danneggiate; si deploravano anche i morti e i feriti; in alcune case di
campagna intere famiglie avevano trovato la loro tomba; ognuno affrettava in cuor
suo l’arrivo delle truppe di liberazione.
Ai primi di agosto 1944, una ragazza corinaldese, spingendo lo sguardo dalla finestra
della propria abitazione, vide una colonna militare avanzante in direzione della città,
dalla contrada Pecciameno. Intuì che potesse trattarsi dei liberatori e corse piena di
giubilo a farne partecipi i genitori e le amiche: “arrivano gli Alleati!” gridò.
Un soldato tedesco di passaggio, disgraziatamente raccolse la notizia, dette l’allarme
ai commilitoni; furono piazzate mitragliatrici sulle finestre del civico palazzo e
ripetute scariche arrestarono l’avanzata.
Fu un rammarico generale ! Detta avanzata era stata intrapresa senza alcun criterio di
carattere militare; si sarebbero dovute usare maggiori precauzioni e fra l’altro non si
sarebbe mai dovuto utilizzare la pubblica strada, che rendeva i reparti facilmente
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individuabili. Nessuno seppe spiegarsi tanta imprudenza! Intanto gli Alleati
raddoppiarono i colpi di artiglieria contro Corinaldo. Dal Comitato di Liberazione si
inviavano nascostamente ad essi messaggi di sollecitazione: era necessario senza
indugio, occupare la città!
I duelli delle opposte artiglierie si facevano sempre più intensi; i rabbiosi
bombardamenti di tutte le vallate, i sistematici bombardamenti a tappeto delle zone
adiacenti alla città ed il secco scoppiare dei proiettili dei mortai, facevano intravedere
un’avanzata metodica di tutto il fronte alleato. Nella notte dal 9 al 10 agosto 1944,
lasciarono la città anche i pochi tedeschi che fino allora vi erano rimasti e finalmente,
nella mattina del 10 agosto, il Battaglione di S. Marco, preceduto da una pattuglia e
da alcuni reparti di avanguardia faceva il suo ingresso a Corinaldo, salutato con
sollievo dall’intera popolazione.
Da allora, ai venti giorni di bombardamento alleati, si sostituirono, con gravi danni,
dieci giorni di bombardamento tedeschi; ma intanto si era recuperata la libertà
individuale e collettiva e si era svincolata la città dalla insopportabile dominazione
tedesca, che pesava su ciascuno più di una gigantesca cappa di piombo.
La pubblica amministrazione venne immediatamente assunta dal Comitato Cittadino
di Liberazione, capeggiato da un certo Bianchedi, temporaneamente residente per
sfollamento a Corinaldo; ma poi questo venne quasi subito sostituito nella carica di
Sindaco provvisoria dal tenente dei Partigiani corinaldesi avvocato Arnaldo Ciani,
che tanto aveva operato contro i tedeschi nella zona dell’Appennino centrale.
Con unanime dolore che i corinaldesi vennero a conoscenza che fra gli eroi della
liberazione in contrada Pecciameno era gloriosamente caduto il tenente Conte
Alfonso Casati figlio del Ministro della Guerra allora in carica nel gabinetto Bonomi.
Si stabilì, sul luogo sacro al valore della vittima, un immediato spontaneo
pellegrinaggio di riconoscente affetto fra i cittadini e si volle eternare con un ricordo
marmoreo il generoso olocausto della giovane vita, tristemente memori dei tempi
calamitosi, dei bombardamenti subiti e delle distruzioni patite nelle ubertose
campagne.
Qui finisce la pubblicazione di “Corinaldo nel cammino dei secoli” 1947.
9 Corinaldo centro di servizi logistici – Raccolto 1944 completamente avariato –
Elezioni Amministrative 1946 – Riorganizzazione dei Servizi Pubblici.
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Corinaldo, liberata dall’opprimente dominazione tedesca, divenne il ricettacolo di
parte delle truppe di liberazione e così dopo l’arrivo del Battaglione di S. Marco, si
verificò l’avanzata dei battaglioni polacchi, cui seguirono reparti militari inglesi ed
americani con tutti i loro servizi e poiché i tedeschi avevano organizzata la resistenza
sulla cosiddetta linea gotica in Romagna, Corinaldo fu centro del servizio logistico
delle truppe di liberazione, continuando in tale attività per tutto il periodo che
precedette la sconfitta definitiva dell’esercito tedesco (1945).
Nell’annata agricola 1944, malgrado la scarsità di braccia nei mezzadri causata dai
reclutamenti imposti dalla guerra, i raccolti agricoli sarebbero stati abbondantissimi,
ma purtroppo le operazioni belliche, impedirono ai corinaldesi di bearsi di tanta
copiosità perché, causa le operazioni militari, tali raccolti andarono in gran parte
perduti o devastati. Il grano, ad esempio, andò in gran parte disperso, sia perché i
covoni furono usati per schermare appostamenti militari, sia perché non poterono
essere trebbiati che a settembre, traendo un prodotto oltre che deficiente, scadente ed
avariato. L’uva non fu potuta convenientemente custodire, oltre che per impedimenti
militari, per scarsità di anticrittogamici; altri impedimenti si manifestarono per tutti
gli altri raccolti, che furono in completa balia delle operazioni militari di ogni specie
e la popolazione dovette cibarsi con prodotti guasti ed avariati fino al raccolto
dell’anno successivo.
Il Comitato di Liberazione, provvisoriamente auto insediatosi alla dirigenza
amministrativa della città dopo la cacciata dei tedeschi, si dette subito premura della
riorganizzazione generale dei servizi pubblici ed i cittadini che avevano avuti
danneggiati dai bombardamenti le abitazioni provvidero, con encomiabile
sollecitudine, alle necessarie riparazioni, ed in poco tempo Corinaldo riprese l’aspetto
quasi normale, che andò anche maggiormente migliorando con la fine della guerra.
Svoltesi il 10 marzo 1946 le elezioni amministrative, Corinaldo ebbe nuovamente i
suoi legali amministratori, formati da elementi prevalentemente democristiani ed
indipendenti. Eletto sindaco il ragioniere Domenico Cacciani, persona di non comune
attività, l’amministrazione affrontò con risultati positivi i gravi problemi del
momento, ed in circa cinque anni acquistò la fama di una delle amministrazioni più
realizzatrici che Corinaldo abbia avute.
Il ragionier Cacciani, poco prima dello scadere del suo mandato, con suggestiva
cerimonia, dopo i discorsi di un rappresentante della Giunta Comunale e di un
rappresentante del personale impiegatizio del comune, con voto unanime del
consiglio, al canto dell’inno a Corinaldo, musicato dal maestro M. Porfiri ed intonato
dai fanciulli delle scuole, fu acclamato Cittadino Onorario della città (1949).
Le principali realizzazioni conseguite nel quasi quinquennio dell’amministrazione
Cacciani, cioè durante il periodo di assestamento politico nazionale che portò
all’abdicazione del re Vittorio Emanuele III in favore del figlio Umberto II di Savoia
ed al conseguente plebiscito che portò al cambiamento del regime monarchico in
repubblica democratica, furono le seguenti: fu fatto innanzi tutto riparare il serbatoio
del civico acquedotto; furono riparati tutti i ponti e le strade danneggiate dai tedeschi;
furono rimesse in efficienza le scuole elementari del centro e della campagna; fu
49
ampliato il civico ospedale; fu resa statale la scuola media e migliorate le sue
strutture; fu provveduto alla costruzione di case popolari, alla costruzione di alcune
chiese di campagna ed alle più urgenti riparazioni di alcuni torrioni e di parte delle
mura medioevali della città; fu approvato e risolto il problema idrico convogliando
nel civico serbatoio di S. Maria le acque captate nella colonia Brunori della valle del
Cesano, rendendo così possibile dotare di acqua potabile tutte le contrade del
comune; fu interessata l’azienda elettrica U.N.E.S. perché in tutte le contrade fosse
possibile provvedersi di luce elettrica; fu fatto costruire l’Oratorio di S. Maria
Goretti; fu fatto ricostruire il monumento ai Caduti, danneggiato dalla guerra; fu
interessata la provincia perché venisse asfaltata la strada provinciale che unisce
Corinaldo a Senigallia e fu presa viva parte alla beatificazione della santa
Concittadina, preparando e facendo allestire, su disegno dell’architetto A. Dominici,
la Cripta Monumentale del Santuario della Beata Vergine Addolorata, in cui è stata
provvisoriamente sistemata la Reliquia Insigne.
A conclusione della sopra citata cerimonia per le benemerenze unanimamente
riconosciute fu consegnata al ragionier Cacciani un’artistica pergamena finemente
miniata dal Comm. A.E. Villa di Roma.
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10 Beatificazione di Maria Goretti – Teca con la reliquia della Beata a Corinaldo
– Celebrazione corinaldese della Beatificazione.
La Beatificazione di Maria Goretti, preparata dall’emerito postulatore Padre Mauro
dei PP. Passionisti della Scala santa in Roma, in omaggio alle Sacre Disposizioni
Ecclesiastiche, fu promulgata dal S. Padre Pio XII il 27 aprile 1947, nell’immensità
della basilica di S. Pietro in Vaticano, alla presenza della mamma, del fratello, delle
sorelle e dei nipoti della Beata; del Sacro Collegio Cardinalizio e degli altri Mitrati
della Sede Apostolica; dei rappresentanti della Costituente Nazionale del Governo
Italiano; del Corpo Diplomatico e Consolare interessato presso la S. Sede e presso il
Governo italiano; dei Rappresentanti del comune di Roma; del Sindaco e della Giunta
Comunale di Corinaldo e di una innumerevole quantità di fedeli di ogni parte del
mondo cattolico, che gremivano letteralmente l’interno della monumentale basilica.
Le cerimonie riuscirono di una solennità imponente e costituirono una superba
esaltazione di fede e di spiritualità.
La teca contenente la Sacra Reliquia della Beata fu portata da Roma a Corinaldo, per
speciale concessione del S. Padre Pio XII, su automobile della Sede Apostolica, dalla
mamma della Beata.
Accompagnata dalla Rev. Canonico don Giulio Conigli della Diocesi di Senigallia,
percorsero la via Flaminia da Roma a Cagli, proseguirono poi per Pergola e seguendo
la valle del Cesano, attraverso gli abitati di S. Lorenzo in Campo e San Michele al
Fiume, si diressero, oltrepassando il ponte sul Cesano, verso Corinaldo.
Alle barricate del Montale ed a Villa Grandi ne attendeva l’arrivo un imponente
corteo cittadino, con a capo tutti i Sacerdoti di Corinaldo sia dell’ordine dei preti che
dei Padri Cappuccini; le Autorità Civili e Militari, seguite dalle Associazioni
Religiose di tutte le contrade, con i rispettivi labari e musica cittadina.
Il Rev.mo Arciprete di Corinaldo, Mons. don Francesco Bernacchia, devotamente
accolta la Reliquia dalle mani della Madre della Beata, fra preghiere, canti e suoni di
inni sacri, la portò in città dove, dopo una vibrante ed elevata orazione del celebre
oratore don Pietro Damiani di Pesaro, venne benedetto, per la prima volta, il popolo
corinaldese, raccolto nella piazza Ciro Cesarini, in piazza Cavour e vie adiacenti.
Le celebrazioni corinaldesi inerenti alla Beatificazione, organizzate dai sacerdoti
locali, presieduti dal Vescovo della Diocesi e da un Comitato Cittadino presieduto dal
Sindaco rag. Cacciani, ebbero luogo nella chiesa parrocchiale di S. Francesco,
fastosamente addobbata, dove venne trasportata la Reliquia Insigne, fra ripetute
solenni funzioni officiate dai Vescovi intervenuti per l'occasione, alla presenza della
Mamma della Beata, dei Fratelli, delle Sorelle, (la sorella della Beata, suora
carmelitana, era accompagnata dalla Madre Superiora principessa Massini) e di altri
Congiunti, di altissime Rappresentanze religiose, civili e militari e di una
numerosissima affluenza di popolo intervenuto da quasi tutte le regioni d’Italia.
Alla fine delle sacre cerimonie la Reliquia Insigne, venne riportata nella Cripta da
S.E. il Vescovo della Diocesi, mons. Umberto Ravetta il giorno 11 maggio 1947, con
solenne processione dalla Collegiata, attraverso tutta la città, fra un gettito incessante
di fiori dalle finestre e dai balconi.
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Presero parte alle cerimonie sopra accennate, oltre alla Mamma gli altri Congiunti
della Beata e le autorità di Corinaldo, l’Eminentissimo Cardinale Clemente Micara,
allora Vescovo di Velletri, in rappresentanza del S. Padre e della Curia Romana; gli
Eccell.mi Arcivescovi di Ancona e di Urbino; gli Eccell.mi Vescovi di Pesaro, Fano,
Jesi, Fossombrone, Urbania e Senigallia; l’Onorevole avvocato Umberto Tupini, Vice
Presidente della Costituente Nazionale, in rappresentanza del Governo e della
Costituente; altri Onorevoli e Deputati della Costituente; S.E. il Prefetto di Ancona
Dott. M. Carta, insieme al Sottoprefetto ed altri funzionari della Prefettura in
rappresentanza della Provincia; il Comandante della Divisione Militare di Ancona
attorniato da altri Ufficiali; il Questore di Ancona con altri funzionari di P. S.; il
Provveditore agli Studi; il Presidente della Provincia, Onorevole Avv. Ranaldi ed
alcuni amministratori provinciali; altre altissime autorità religiose, civili, militari
della Regione, numerosi gruppi di rappresentanza delle Associazioni Cattoliche delle
Marche, Umbria, Abruzzo e Toscana ed una moltitudine di popolo pervenuta da tutta
la regione marchigiana, e da molte altre parti d’Italia.
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11 Nomina del Rettore della Cripta – Acquisto della Casa Nativa della Beata.
Dopo le importanti celebrazioni della Beatificazione, il capo della Diocesi, aderendo
alle insistenti richieste del Comitato Civico, nominò un Rettore della Cripta, per
degnamente ricevere i numerosi pellegrinaggi e pellegrini isolati che fino dai primi
tempi si dirigevano verso Corinaldo in venerazione della Beata. Primo Rettore fu il
sacerdote don Adriano Rocchetti.
Lo stesso Comitato Cittadino avendo avuto poi conoscenza che la casa nativa della
Beata in contrada Pregiagna, assunta moralmente e spiritualmente alla dignità di
Sacrario, correva il rischio di essere demolita per utilizzare il materiale in altra
costruzione, prevedendo il danno che sarebbe derivato dalla scomparsa di un così
importante cimelio, decise di acquistarlo e, pubblicato un manifesto alla popolazione,
la invitava a contribuire alle spese necessarie.
Tutti i corinaldesi risposero largamente all’invito, ed il 10 febbraio 1950 fu possibile
stipulare l’atto di acquisto del Sacro Luogo, che dopo essere stato recinto di rete
metallica ed adornato di piante decorative e fiori fu consacrato ed aperto alla pubblica
venerazione, con un appropriato discorso del Dott. G. Tonnini ed una elevata omelia
del Vescovo della Diocesi, nel settembre 1950; Al ricordo venne inaugurata una
lapide in marmo con epigrafe dettata dal Dott. A Tonnini del seguente:
QUI NACQUE IN UMILTA’
MARIA GORETTI
ANIMA ELETTA
CHE
SI NUTRI’ DELLA GRAZIA
SI PLASMO’ NEL SACRIFICIO
SI ESALTO’IMMACOLATA NEL MARTIRIO
OGGI
BRILLA SUGLI ALTARI
NELLA LUCE DI CRISTO
(11.10.1890)
(5-7-1902)
Avendo chiesti l’Arciprete di Corinaldo, l’esonero per vecchiaia dalla direzione della
parrocchia, venne sostituito dalla Diocesi con il Rev. don. Umberto Rocchetti, che
sebbene non ancora ufficialmente in funzione nella nuova carica, esordì stabilendo un
pellegrinaggio della statua della Beata, in tutte le Cappellanie della Parrocchia, quasi
a manifestare il gradito compiacimento per il ricordo e gli onori a Lei tributati dai
cittadini. Fu una gara di manifestazioni e di tripudio fra le diverse Cappellanie, una
gara di commovente esaltazione della Beata, in cui lo spirito di ognuno si sentì
altamente edificato.
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12 Pubblicazione del Giglio di Corinaldo – Monumento statuario in marmo –
Canonizzazione della Beata.
Sostituito il Rettore della Cripta, col sacerdote don Carlo Fornaciari fu iniziata la
pubblicazione del bollettino mensile. “Il Giglio di Corinaldo” e per l’interessamento
dell’apposito Comitato, pro Beata Maria Goretti formato da religiosi e laici
corinaldesi, con mezzi ottenuti dalla Civica Amministrazione, di cui allora era
sindaco il cav. Dino Poeta, ed il contributo di tutti i cittadini, fu eretto alla Beata il
monumento statuario in marmo che si trova nel viale degli Eroi di fianco all’ingresso
dell’oratorio dedicato alla Beata stessa; eseguito, su indicazione della ditta Piazza
Roma, dal valente scultore Guido Vinchesi di Carrara. Tale monumento statuario
venne consacrato il 7 settembre 1952 da S.E. Rev. Mons. Giacomo Lercaro, allora
Arcivescovo di Bologna, alla presenza della Mamma della Beata e di altri Congiunti;
di S.E. il Vescovo della Diocesi ed altri Presuli della Regione, di tutte le Autorità
Provinciali, Civili e Militari; di tutte le Civiche Autorità di Corinaldo, dopo una
elevatissima orazione dell’Onorevole Prof. Enrico Medi.
Il 24 luglio 1952 con cerimoniale di eccezione, nella Piazza di S. Pietro in Roma,
ebbe luogo la Canonizzazione della Santa Corinaldese, con l’intervento della Mamma
e dei più diretti Congiunti della Beata, alla presenza del Presidente della Repubblica
Italiana Luigi Einaudi con la Corte e famiglia, di quasi tutti i Ministri e i
Sottosegretari di Stato al Governo; di moltissimi Onorevoli, Senatori e Deputati dei
Corpi Legislativi Nazionali; di quasi tutto il Corpo Diplomatico e Consolare
interessato presso la S. Sede e presso il Governo Italiano; di tutti gli alti Dignitari del
Vaticano; delle Autorità Provinciali di Ancona delle Autorità cittadine di Roma,
Corinaldo e Nettuno; delle Rappresentanze di moltissime Associazioni Cattoliche
d’ogni parte d’Italia, di cui alcune con musiche e bandiere; di una moltitudine di
Religioni Nazionali ed Estere e di una Rappresentanza cosmopolita di popolo che
gremiva letteralmente l’intera piazza di S. Pietro e gran parte di via della
Conciliazione. Il Santo Padre Pio XII, attorniato da tutto il Sacro Collegio
Cardinalizio e dai Presuli intervenuti per l’occasione da ogni parte d’Italia, dagli Alti
Dignitari della Sede Apostolica e dalle milizie vaticane, dopo la elevata esaltazione
della Beata Corinaldese e la lettura de rituali Decreti di Canonizzazione, in omaggio
alle risultanze del Processo di Santificazione, la proclamò:
SIMBOLO UNIVERSALE DI CRISTIANA PUREZZA
PROTETTRICE DELLA GIOVENTU’
Un applauso unanime scoppiò nell’immensa piazza da tutti i presenti; ed al suono di
tutte le musiche, fu intonato in coro l’inno a S. Maria Goretti.
VERGINE MARTIRE ........................................
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13 Onoranze corinaldesi per la Santificazione – Lettera del Santo Padre a
Mamma Assunta.
Corinaldo visse, in piazza S. Pietro in Roma, momenti di sublime entusiasmo e di
perfetta esaltazione spirituale; ma volle tributare alla Figlia Diletta grandiose
onoranze anche nella patria nativa e a Lei tanto cara. Il S. Padre iniziò tali onoranze
con la seguente lettera a Mamma Assunta, trasmessa tramite Mons. Vescovo della
Diocesi: Alla Diletta Figlia in Gesù Cristo Cristo – Assunta Goretti – Corinaldo << Alla Tua Corinaldo, diletta figlia, all’umile casa che vide i natali della Tua
Marietta e, dove oggi esulta come in un tempio la commossa pietà dei visitatori,
viene nel cinquantesimo anniversario del suo glorioso martirio il Nostro paterno
pensiero.>>
<< E come rinnoviamo a Dio la benedizione e la lode per il miracolo della grazia che
Egli si è compiaciuto di operare nella Tua Eroica figlia, così vogliamo partecipare a
Te la letizia santa in cui Ci sentiamo compresi in questa solenne ricorrenza,
rievocatrice di tanto esempio, offerto da Dio in Maria Goretti, al fragile mondo
giovanile.>>
<< A questo mondo che pur sente la sovrumana bellezza della virtù cristiana,
trionfatrice del male, del sesso e dell’età, la invitta Martire insegna di che cosa è
capace la debolezza, quando l’avvalora la grazia e come la più breve vita, se Gesù
Cristo la riempia, è luce di sapienza in mezzo alle tenebre del mondo, corrotto e
corruttore, è invito irresistibile alla virtù, è servigio reso nei secoli all’intera
umanità.>>
<< Con la tua innocente creatura il Nostro memore pensiero non può non associare
te, fortunata madre, che, obbedendo allo Spirito di Dio, amico degli umili, e aiutata
dalla povertà e dall’arduo calvario della vita, trovasti nel santo timore di Dio, nella
quotidiana preghiera, nell’esercizio delle virtù domestiche, i sicuri strumenti di una
educazione cristiana, adeguata a tutte le prove, pronta a tutte le rinunzie, agguerrita a
tutte le lotte con lo spirito del male.>>
<< Grati al Signore che in tal modo conforta la Chiesa nelle alterne vicende del suo
duro pellegrinaggio, e, confondendo la superbia del mondo, tutti ammaestra alla
scuola dei piccoli e degli umili. Ci piace ancora una volta additare ai Nostri figli, ai
piccoli e ai grandi, alla gioventù femminile soprattutto, come alla più insidiata dal
mondo di Satana, il nome e gli esempi di questa Vergine Martire, che Iddio preparò
fulgido modello ai nostri giorni e tu custodisti come giglio fra le spine.>>
<< Alla tua, alla nostra Santa Maria Goretti chiediamo il suo aborrimento del
peccato, il suo amore per Gesù, lo Sposo dei puri. E mentre in particolare modo La
invochiamo confortatrice della tua longevità, impartiamo di gran cuore a te, diletta
figlia, a tutti i tuoi cari, a quanti in occasione di questo cinquantenario La celebrano
nella tua Corinaldo e nei luoghi santificati dal Suo martirio, il conforto
dell’Apostolica Benedizione.- Dal Vaticano il 3 luglio 1952 – Pius PP. XII>> .
Il Comitato Cittadino per le Onoranze, composto di sacerdoti e di laici, confortato dal
consenso entusiasta della intera popolazione, organizzò molte cerimonie religiose e
civili, cui oltre la Mamma ed altri Congiunti della Santa presero parte tutte le Autorità
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locali; S. Em. Rev. il Cardinale Adeodato Piazza, allora Patriarca di Venezia, in
rappresentanza del S. Padre e della Curia Romana; quasi tutti gli eccellentissimi
Presuli della Regione Marchigiana, con S. E. il Vescovo della nostra Diocesi, S.E. il
Ministro Tupini in rappresentanza del Governo Nazionale; Onorevoli Senatori e
Deputati in rappresentanza dei Corpi Legislativi Nazionali; S.E. il prefetto di Ancona
ed altri Dignitari in rappresentanza politica della provincia; il Comandante del
Presidio Militare di Ancona; il Questore di Ancona ed altri alti funzionari d P. S.; il
Preside della provincia in rappresentanza dell’amministrazione provinciale, nonché
altri alti dignitari Religiosi, Civili e Militari.
Le solenni cerimonie religiose si svolsero nella Chiesa Parrocchiale di S. Francesco
alla presenza dei sopra accennati Presuli che celebrarono sontuose funzioni che
culminarono con una solenne processione per le vie della città, cui presero parte tutte
le rappresentanze sopra descritte e si conclusero con un elevatissimo discorso di un
celebre oratore pubblicista dell’Avvenire d’Italia, e con solenne benedizione papale
impartita dall’Eminentissimo Cardinale Piazza, dalla terrazza del palazzo Torelli in
piazza Cavour.
A maggiore solennità delle cerimonie, il grande tenore di fama mondiale Beniamino
Gigli ed altri artisti, offrirono in serata , nella piazza Cavour eccezionalmente
pavesata a festa, saggi locali di ricercatissimo repertorio, cui presenziò una
innumerevole quantità di spettatori di ogni parte d’Italia.
La musica cittadina, diretta per l’occasione dal valente maestro concittadino cav.
Guglielmo Montevecchi, diede un applauditissimo concerto, conclusero i
festeggiamenti dei riuscitissimi fuochi d’artificio.
Non pago però fu il popolo corinaldese delle sopra accennate onoranze perché la
proclamazione a Simbolo Universale della loro Santa, aveva aperto nel cuore di tutti i
cittadini un giustificabile orizzonte di implacabile universalità e desideravano quindi
per la Santa una esaltazione a carattere imperituro nella propria patria, cui avrebbe
dovuto aderire tutto il mondo Cattolico.
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14 Auspicato un tempio a Corinaldo – Caposaldo del programma
dell’Amministrazione Comunale, ma come tutte le cose belle durano quanto la
vita d’un fiore.
Fin dal periodo di feste corinaldesi che seguirono la beatificazione di S. Maria
Goretti, dopo colloqui avvenuti in proposito tra le autorità locali e gli autorevoli
Presuli che vi presero parte, nacque la prima idea che a Corinaldo dovesse sorgere un
grande Santuario dedicato alla Santa concittadina, ed il sindaco rag. Cacciani ne parlò
fino da allora a S.E. il Vescovo della Diocesi Mons. Umberto Ravetta; ma purtroppo
da allora S.E. non si mostrò affatto propenso. Dopo la canonizzazione e la
conseguente proclamazione di S. Maria Goretti a Simbolo Universale, si accese più
che mai vivo il desiderio dei corinaldesi di erigere un tempio alla Santa a carattere
universale cattolico, con annessa opera caritativa a favore della gioventù femminile.
Alcuni esponenti della volontà cittadina, sostenuti anche dall’affluenza a Corinaldo di
circa 250 pellegrini all’anno, presero a cuore la cosa e ne mantennero vivo desiderio
nella popolazione, che salvo qualche rarissima apatica eccezione, mostrò ardente
entusiasmo.
Per erigere un tempio a carattere universale, era necessario senza dubbio ricorrere al
concorso finanziario di tutte le parti del mondo cattolico e poiché i PP. Cappuccini
hanno i loro conventi sparsi in ogni luogo, avrebbero potuto assolvere tale compito
con abbastanza facilità; sorse così l’idea di proporre al Capo della Diocesi di cedere
l’ufficiatura della Cripta dedicata provvisoriamente in Corinaldo a S Maria Goretti, ai
PP. Cappuccini (i sacerdoti per le attività del culto locale nella diocesi sono forse più
indicati dei frati, ma per altre attività i frati sono vincolati ad una organizzazione che,
per mezzo dei conventi, permette di estendere la loro attività in tutto il mondo
cattolico). In tal senso erano stati avviati anche i precedenti contatti con elementi
responsabili di detti Padri, i quali se ne mostrarono entusiasti; ma S.E. il Vescovo
della Diocesi, fece presente ai postulatori, che non intendeva creare<<uno stato entro
lo stato>> (testuali).
Da allora il sacro desiderio trovò sempre ostacoli proprio ove non si sarebbe mai
pensato. Venne inviato anche un esposto con la narrazione di quanto sopra a
S.S. Pio XII, sperando di volgere la cosa in favore di quanto desiderato dal popolo
corinaldese; ma invece fu lasciato tutto alla decisione del Capo della Diocesi, il quale
dopo qualche perplessità credette opportuno continuare a contrariare l’iniziativa,
perché incredulo sul pieno consenso dei cittadini. Dal Vescovo c’è poco da sperare.
Con le elezioni comunali della primavera 1956, l’amministrazione democristiana,
presieduta dal Sindaco, prof. Sergio Mineo, fece, con plauso generale, quale
caposaldo del programma amministrativo l’erezione del Santuario alla Martire
corinaldese.
Il Capo della Diocesi ne restò vivamente contrariato, ma di fronte al sindaco, quando
si recò ad ossequiarlo non fece conoscere il disappunto, anzi l’assicurò che avrebbe
seguito volentieri l’esito dell’iniziativa, la quale però limitata, contrariamente a
quanto desiderato dai membri del Comitato appositamente costituito, ai meschini e
unici mezzi di propaganda locale, non riuscì come era prevedibile ad affermarsi.
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Detto Comitato cittadino, ufficialmente costituito per iniziativa delle Autorità
Comunali (pur ammettendo la collaborazione e l’alta vigilanza delle locali Autorità
Religiose), era formato dal Sindaco, dal Vice Sindaco, da alcuni membri della Giunta
Comunale, da due membri del Consiglio Provinciale e da alcuni Devoti della Santa;
tutti avrebbero desiderato trovare da parte delle Autorità Religiose e dai relativi
organi di propaganda una certa collaborazione attiva , per il conseguimento della
meta programmata; ma invece nessuna attività fu spiegata da esse e non una parola fu
stampata sul bollettino mensile <<Il Giglio di Corinaldo>>.
Si ignora quali ordini possano essere pervenuti dalle Autorità Religiose di Corinaldo,
dopo il colloquio del Sindaco con il Vescovo della Diocesi; ma poiché il Rettore della
Cripta venne mandato con incarico speciale per diversi mesi a Fossombrone,
lasciando scoperta la sua mansione a Corinaldo che, dato i numerosi pellegrinaggi era
senza dubbio preziosa, se ne trassero poche buone deduzioni e si é permesso quindi
alla pubblica opinione di parlare di ostruzionismo e di fare poche buone
considerazioni.
In tutte le riunioni del Comitato con le Autorità Religiose di Corinaldo, non fu mai
possibile stabilire un indirizzo unico per il conseguimento del fine per il quale fu
istituito il Comitato stesso; le esigenze del culto hanno avuto sempre il sopravvento,
ed è sempre affiorato un poco simpatico dualismo, che ha dato luogo a deplorevoli
interferenze e la vita del Comitato è stata resa impossibile ed inoperante; un nuovo
tentativo presso S. Ecc. il Vescovo della Diocesi , perché incaricasse del culto della
Santa di Corinaldo i PP. Cappuccini, ha avuto ancora esito negativo.
Il culto stesso a Corinaldo rimane quindi tuttora affidato unicamente al Rettore della
Cripta, il quale disimpegna anche insegnamento al seminario di Senigallia. Egli
stesso asserisce di essere direttamente responsabile soltanto verso il Vescovo della
Diocesi; ma il desiderio corinaldese di erigere un Santuario alla Santa Concittadina,
rimane sempre immutato, perché essendo stati eretti templi alla loro Santa in tutte le
parti del mondo cattolico, è cosa ritenuta illogica, oltre che irriverente, non debba
sorgere un Santuario nella terra natia, dove tutto parla della Santa stessa, dove vivono
i suoi più diretti congiunti, dove riposano le spoglie mortali della Sua veneranda
Madre, dove al fine i numerosi pellegrinaggi che annualmente vi convengono,
attestano l’universale riconoscimento di quella grandezza spirituale di cui per divina
ispirazione l’ha gratificata S. S. Pio XII.
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15 Attivazione in Corinaldo di un Osservatorio Grafico
Dopo un precedente accurato studio tecnico di tutte le località più elevate del
territorio del comune di Corinaldo, venne creato dall’Istituto Nazionale di Geofisica,
che ha la sede in Roma nella città universitaria, un Osservatorio Magnetico in
contrada S. Vincenzo, acquistando all’uopo, col concorso finanziario della provincia
di Ancona e dello stesso comune di Corinaldo, un’area di oltre sei ettari di terreno,
già di proprietà Benni, situata presso la “Croce del Termine” al confine con il
territorio di Castelleone di Suasa, ed erigendovi, con mezzi prefabbricati, un
padiglione in cui vennero collocati numerosi sensibilissimi apparecchi.
Dopo l’istallazione di tali strumenti magnetici, avvenuta nel 1952, l’Istituto
Nazionale di Geofisica, ritenne opportuno dotare l’Osservatorio stesso, anche di
impianti per l’osservazione fotografica continuata del campo elettrico atmosferico,
nonché degli strumenti tradizionali per le osservazioni meteorologiche, (barografi,
termoigrografi , plaviometri, ecc.) e tuttora è in fase di realizzazione il progetto di
sistemazione di apparecchiature sismografiche da collocarsi in un padiglione
sotterraneo.
In questa località inizialmente priva di qualsiasi vegetazione arborea, ora arricchita di
una lussureggiante vegetazione di pini ed altre conifere, perviene giornalmente uno
speciale incaricato a prelevare le registrazioni degli apparecchi, per trasmetterle alla
direzione centrale di Roma.
Dirigente locale dell’Osservatorio è il prof. Sergio Mineo, aiutato dall’assistente
Quattrini, sotto l’alta direzione dell’On. Prof. Enrico Medi, scienziato di grande
valore.
In occasione dell’eclisse totale di sole, che ebbe luogo il 15 febbraio 1961,
pervennero in detta località molti scienziati nazionali ed esteri, che insieme all’On.
Prof. Medi poterono assistere all’isolato avvenimento astronomico, prendendo
appunti per le rispettive osservazioni praticate.
Molte speranze ha concepito Corinaldo dall’esistenza di tale Osservatorio Geofisico,
anche perché ebbe occasione di intravedere speciali disegni di future progettazioni;
è quindi da augurarsi che da dette prime opere già attuate, si passi, in un futuro non
lontano a più consistenti e definitive realizzazioni in tutti i rami degli studi geofisici,
per i quali l’Osservatorio di Corinaldo si è rivelato particolarmente adatto.
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16 Franamento di parte delle mura cittadine – Costruzione del nuovo mattatoio
– Visita del Cardinale Coppello.
Durante una notte di settembre dell’anno 1957 a Corinaldo sono franate verso
nord - est una considerevole parte delle mura cittadine, con le soprastanti costruzioni
per fortuna non abitate. Dopo l’intervento dei vigili del fuoco di Senigallia, giunsero
per l’occasione sul luogo del disastro, che non arrecò vittime umane, S.E. il Prefetto
della provincia, insieme con le maggiori autorità del Gerico Civile, le quali fecero
stabilire sul luogo un temporaneo rafforzamento delle mura stesse ed ordinarono
riparazioni che dovevano essere eseguite in parte subito e parte negli anni successivi.
Nel 1958 e nel 1959, oltre alla costruzione di nuove case popolari eseguite a sud - est
della città, per dare modo a molte famiglie di abbandonare i vecchi appartamenti privi
delle più elementari comodità e degli impianti igienici, fu ampliato il mattatoio
comunale e munito di impianti moderni con frigoriferi elettrici, tanto da poterlo
utilizzare anche a scopo industriale.
Il 29 ottobre 1960 giunse a Corinaldo, in breve visita di devozione a S. Maria Goretti,
accompagnato dal Vescovo della Diocesi di Senigallia, il Cardinale americano
Giacomo Luigi Coppello, nativo di La Plata, scortato da un plotone di carabinieri in
motocicletta al comando di un tenente dell’arma.
Sua Eminenza fu ricevuto dal Sindaco del Comune di Corinaldo con la Giunta
Comunale ed il Gonfalone affiancato dalle guardie urbane, presenti tutte le Autorità
cittadine Religiose e Civili, nonché la rappresentanza di tutte le scuole e numerosi
cittadini. Dopo la visita di adorazione alla Cripta Monumentale dedicata alla Santa,
accompagnato da un immenso seguito, Sua Eminenza si recò alla residenza
municipale, dove il Sindaco, cav. Sartini, in un saluto ufficiale si dichiarò altamente
lieto ed onorato della visita. S. Eminenza rispose gentilmente ringraziando il Sindaco
e la Cittadinanza della fervida accoglienza tributatagli, esaltando
contemporaneamente il valore spirituale della nostra Santa, Simbolo Universale di
Cristiana Purezza, che ha fatto conoscere Corinaldo a tutto il mondo cattolico.
Le autorità cittadine, hanno quindi offerto un rinfresco d’occasione durante il quale S.
Eminenza ha ricevuto il rispettoso ossequio della Sorella della Santa, con la quale si è
trattenuto affabilmente.
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17 Istituzione della Cantina Sociale Val Di Nevola.
Pur senza stabilire un confronto coi nettari propinati agli dei dai celesti coppieri Ebe e
Ganimede, o con i prodotti destinati alle prelibazioni dal grande Patriarca Noè, si può
senza esagerazione affermare per unanime riconoscimento, che i vini formati con le
uve dei colli di Corinaldo, per la loro fragranza, delicatezza e amabilità, sono sempre
imposti all’attenzione di tutti gli intenditori anche più scrupolosi ed i più solerti
accaparratori li hanno sempre potuti rimettere in commercio senza sofisticazioni,
come vini di lusso delle più rinomate qualità nazionali ed estere.
Infatti si ebbe nel tempo conoscenza che una ditta piemontese, con acquisti fatti a
Corinaldo, poté mettere in vendita, senza organiche variazioni, vini che vennero
qualificati della provincia di Asti; che un commerciante veneto, acquistato a
Corinaldo vino rosso, poté esitarlo in bottiglie come autentico Bordeaux e che altro
speculatore, acquistato vin comune frizzante, poté offrirlo in fiaschette come
autentico Chianti e naturalmente ognuno può comprendere di quale tesoro, nei suoi
vini fosse in possesso Corinaldo e come fosse stato sempre desiderato, che dei
vantaggi speculativi che vi trovarono ognora i diversi acquirenti, si fossero potuti, a
buon diritto, avvantaggiare i produttori.
Fino dai tempi del Fascismo, alcuni proprietari riuscirono sommariamente ad
organizzarsi, ed acquistata una macchina gassatrice ed altra imbottigliatrice, misero
in vendita in bottiglie, con il nome VINCOR, il vino delle loro botti; però detto vino
non poté avere una caratteristica costante di sapore, perché riusciva diverso da una
botte all’altra e pur non escludendo che al diverso sapore potesse a volte aggiungersi
anche qualche difetto, dopo pochi anni l’iniziativa dovette segnare il fallimento.
Altra iniziativa, fin dal 1946, si insabbiò per la pretesa di alcuni proprietari di fare
perno principale di una cantina sociale i propri impianti.
Poi sorse l’iniziativa di mettere insieme le uve di pochi proprietari in una unica
cantina, per avere un prodotto a caratteristiche omogenee; ma pur essendo già stato
abbozzato lo statuto, l’iniziativa non poté concretizzarsi, causa la morte di uno dei
maggiori interessati.
Però, date le difficoltà sorte nel tempo per la vendita individuale dei prodotti vinicoli,
l’idea della cantina sociale giunse finalmente a maturazione e nel 1959 il dott.
Giuseppe Venturoli, coadiuvato dal dott. Giovanni Brunori, entrambi laureati in
scienze agrarie e quindi di sicura competenza, oltre che di indiscutibile affidamento,
presero a buon punto occasione di proporre la creazione di una Società per Azioni tra
proprietari corinaldesi e dei paesi limitrofi allo scopo di costruire un Cantina Sociale.
Ottenuto il consenso ed il concorso del Ministero per l’Agricoltura e Foreste, superate
tante difficoltà, che non era inizialmente possibile prevedere, la Cantina Sociale fu
finalmente costruita in Val di Nevola, sull’angolo formato dall’inserzione della strada
cosiddetta Tiro a Segno (Pontemurato) proveniente da Ostra Vetere, Barbara e
Castelleone di Suasa, con la strada che da Corinaldo conduce a Senigallia.
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Tale impianto, munito delle attrezzature più moderne, fornite dalla ditta Pieralisi di
Jesi, fu inaugurato nel settembre 1960 alla presenza di quasi tutti i soci e di numeroso
pubblico, con la speciale benedizione del canonico mons. don. Papalini della Diocesi
di Senigallia ed i discorsi di occasione del dott. G. Brunori e del comm. Montanari
del Ministero dell’Agricoltura. Nel successivo mese di ottobre non solo ricevette le
uve dei soci, ma anche di numerosi semplici conferenti e come primo anno, sebbene
di scarso raccolto, la Cantina Sociale poté immettere nei suoi serbatoi circa
undicimila quintali di uva.
Pur plaudendo alla riuscitissima iniziativa, si osserva che Corinaldo con l’istituzione
della Cantina Sociale, immolò all’interesse collettivo della zona gli alti pregi dei suoi
prodotti vinicoli, perché mescolando le uve con quelle dei vicini paesi non riuscirà
certamente a conservare ai suoi vini le pregiate qualità di cui ha il vanto. Comunque i
vini della Cantina Sociale Val di Nevola sono riusciti di ottimo gradimento ed
ognuno a pienamente fiducia nell’affermazione definitiva, anche dal lato economico e
commerciale.
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18 Suggestiva cerimonia in onore di due valorosi caduti.
Nel mese di agosto 1961 iniziò a Lecce il 28° Corso Allievi Ufficiali di
Complemento al cui comando venne designato il Colonnello di Stato Maggiore, di
origine corinaldese, Cav. Mario Cippitelli.
I battaglioni di quel Corso, con alto intendimento patriottico e spirito di corpo,
vennero intitolati alla memoria degli Ufficiali Superiori Maggiori di Fanteria
Giacomo Venezian, Giovanni Randaccio e Luigi Cigersa, le compagnie assunsero il
nome di importanti fatti d’arme delle guerre nazionali ed i plotoni il nome glorioso di
alcuni ufficiali, decorati di medaglia d’argento o d’oro al valore militare.
Con felice ispirazione, alto senso di affetto verso la propria città natale e dignitoso
pensiero d’omaggio verso le famiglie dei Caduti, il Colonnello Comandante ha
desiderato che due plotoni di quel Corso, fossero dedicati alla memoria di due
ufficiali di Corinaldo decorati di medaglia d’argento al valore e così il III plotone,
della 3° compagnia (Goito), del I battaglione (Giacomo Venezian), ha assunto il
nome del tenente, decorato al valore, Amedeo Maiolatesi, caduto sul Monte Cimone
(Alpi Tridentine) il 29 luglio 1916; il IV plotone della 5° compagnia (Dosso Faiti),
del II battaglione (Giovanni Randaccio), ha assunto il nome del capitano, decorato al
valore, Guido Sforza, caduto a Fagarè di Piave il 18 giugno 1918.
Avendo poi il Comando del Corso desiderato, con fine sensibilità, che una
rappresentanza dei reparti costituiti tributasse omaggio alla memoria dei valorosi
ufficiali di cui si è voluto ricordare il nome, la mattina del 13 agosto 1961, giunse a
Corinaldo un gruppo di ufficiali del 28° Corso, il Colonnello Cav. Mario Cippitelli, il
Tenente Colonnello Cav. Salvatore Lochi, il Capitano degli Alpini Aiutante
Maggiore in prima Matteo Ansaldi, il Capitano Luigi Burgos, il Sottotenente Otello
Tarquini, il Cappellano Militare don. Bruno Muffatti.
Il Reverendo, alla presenza di tutti i Sigg. Ufficiali, dei rappresentanti delle famiglie
Maiolatesi e Sforza, del Sindaco di Corinaldo, di numeroso pubblico, celebrò la
Messa nella Cripta S. Maria Goretti, in suffragio dei due valorosi caduti. Al Vangelo,
con alata parola, esaltò il sacrificio morale della Santa ed il sacrificio patriottico dei
due caduti, sacrifici entrambi vincolati ad una fede che nobilita altamente per l’alto
fine per il quale hanno saputo immolarsi.
Al termine della funzione religiosa, la Rappresentanza Militare con il suo Colonnello,
seguita dalle famiglie dei due Caduti, si recò a deporre un cestino di fiori sul ricordo
marmoreo del tenente Maiolatesi che trovasi nell’atrio del palazzo comunale, ed altro
cuscino di ugualmente splendidi fiori fu portato al Cimitero di Corinaldo, dove sono
rinchiusi nella tomba di famiglia, i resti mortali del valoroso capitano Sforza.
Poi in forma privatissima tutti gli ufficiali ed i rappresentanti delle due famiglie dei
Caduti si riunirono nel gabinetto del Sindaco, dove dopo elevate parole del
Comandante, fu consegnato dal Comando stesso ai rappresentanti delle sopra citate
famiglie un attestato con il fac - simile del guidoncino dei plotoni cui i due Caduti
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hanno dato il nome, nonché una medaglia d’argento del 28° Corso Allievi Ufficiali,
recante sul davanti lo stemma del Corso stesso e sul retro lo stemma di Lecce.
Al termine della cerimonia il Sindaco Cav. Giuseppe Scattolini ha gentilmente offerto
un vermout d’onore.
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19 Invito al Sindaco di Corinaldo
per assistere alla cerimonia del Giuramento dei Componenti il 28°Corso
Allievi Ufficiali di Complemento di Lecce.
Il solenne giuramento dei Componenti il 28° Corso Allievi Ufficiali di Complemento
di Lecce, ha avuto luogo il 1° ottobre 1961 (nel cortile della caserma Terizio) nel
radioso clima autunnale di una magnifica giornata, alla presenza del Sottosegretario
alla Difesa On. Italo Giulio Caioti; del generale Massaioli comandante della regione
militare di Napoli; del generale Materassi comandante la caserma militare di Bari; del
comandante il Presidio di Lecce; del comandante la locale base aerea; del
comandante militare di Taranto e di altre autorità militari e civili, tra cui diversi
Deputati e Senatori.
Per speciale invito del Comando del Corso, assistettero inoltre alla cerimonia il
Prefetto dott. Cuomo e tutte le autorità civili di Lecce con le rispettive famiglie, il
Sindaco di Corinaldo cav. Giuseppe Scattolini, con una rappresentanza della Giunta
Comunale; una rappresentanza delle famiglie dei Gloriosi Caduti nelle ultime guerre
nazionali che hanno onorato con il loro nome i reparti del Corso stesso, nonché le
famiglie degli stessi allievi.
Tutte le finestre dei quattro fabbricati in cui si inserisce l’immenso cortile, erano
gaiamente adorni di drappi tricolore; una grandiosa tribuna d’onore lussuosamente
adornata con panneggi e nastri tricolori, era stata eretta lungo il lato destro di chi
entra nel cortile stesso, di fronte ad essa erano stati sistemati i guidoncini dei diversi
reparti del Corso ed in fondo alla tribuna, un poco da lei discosto, un altare per la
funzione religiosa che avrebbe avuto luogo all’inizio della cerimonia stessa.
Dopo che gli Allievi al comando dei rispettivi ufficiali allora assunta la prevista
formazione dei battaglioni; di fronte alla tribuna d’onore, il Colonnello Cav. Mario
Cippitelli ne assunse direttamente il comando e dopo gli onori tributati alla bandiera,
ebbe inizio la messa al campo celebrata dal cappellano militare tenente mons. don.
Bruno Muffatti.
Subito dopo la messa il Colonnello comandante il Corso rivolse agli Allievi calde ed
entusiasmanti parole, in cui tra l’altro ricordò la regola del soldato: Fede, Onore,
Obbedienza, Amore, Abnegazione, Spirito di Sacrificio ed Altruismo; disse che il
giuramento impegna per tutta la vita, che si tratta di un impegno assoluto, che deve
essere adempiuto ad ogni costo, a prezzo anche del più elevato sacrificio; disse che il
giuramento è dedizione totale all’ideale di libertà e di giustizia; che è il senso stesso
della disciplina e della responsabilità del comando, invitando poi gli Allievi a
prendere esempio dagli eroi che li hanno preceduti nella strada del dovere, ai quali
sono gloriosamente intitolati i loro reparti.
Letta poi la formula del giuramento, si elevò dagli Allievi altissimo il grido:
Lo giuro! E contemporaneamente fra un crepitio di mitragliatrici, al suono dell’Inno
Nazionale, si elevò un magnifico effetto coreografico, sorvolando i reparti schierati,
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una grande nube tricolore che invase tutto il cortile, nonché una corona di alloro
veniva deposta sul monumento ai Caduti della caserma.
L’On. Caioti, che aveva assistito fino ad allora a tutte le cerimonie dalla tribuna delle
Autorità, scese sul piazzale antistante, dove erano stati sistemati alcuni microfoni;
rivolse agli Allievi la sua autorevole parola, dichiarandosi lieto dell’impegno, solenne
nella forma ed ardente nella passione, che si era elevato risonante di vero entusiasmo,
aggiungendo che per personali contatti ha sempre riportato in ogni occasione positiva
impressione del sano ambiente delle Forze Armate e nella odierna circostanza nutriva
motivo di ulteriore soddisfazione e di tranquillante certezza per l’avvenire della
Patria.
Se sulla vita civile, ha proseguito il Sottosegretario, insegnamenti positivi dovete
riportare dalla complessa esperienza di questi primi mesi del corso, essi vanno
inquadrati in questa moderna concezione della responsabile azione di cooperazione
dei singoli verso gli obbiettivi generali, sia che essi riguardino settori specifici, sia
che si attengano a mete i cui riflessi riguardino la più larga generalità.
Consideratevi fortunati, non soltanto per essere stati scelti ad un compito di alta
responsabilità e destinati al fascinoso prestigio del comando, ma anche e soprattutto
per aver acquisito nozioni ed esperienze che ravvivate, con il passare degli anni nel
vostro sano e consapevole ardore, rimarranno patrimonio di un periodo che si
identificherà, non solo con i vostri verdi anni, ma con la parte migliore di voi stessi.
In mezzo a voi, anche noi veterani di guerra avvertiamo l’ansia della parte sana del
popolo italiano, che alla luce di luminosi esempi, fa fede sui grandi ideali e se
momenti di stanchezza e di deprecabile perplessità incomberanno su di voi,
ricordatevi di quest’ansia per riprendere più sicuri la via del dovere.
Ha poi avuto luogo un lieve carosello storico: hanno sfilato davanti al Sottosegretario
On. Caioti ed alle altre Autorità, gruppi di allievi sulla divisa del secolo scorso. Gli
Allievi del 28° Corso hanno quindi impeccabilmente sfilato fra scroscianti applausi,
segnando così la fine della solenne cerimonia.
E’ seguito un rinfresco e un pranzo ufficiale per le Autorità, cui prese parte anche il
Sindaco di Corinaldo.
Per gli amici e conoscenti della famiglia del Colonnello comandante il Corso, fu
approntato un pranzo nei locali della sala convegno ufficiali, presieduto dalla gentile
Signora del Colonnello Donna Agnese Bonci e dalla Mamma Guglielmina ed ad esso
presero parte tutti i corinaldesi presenti.
Il Colonnello Cav. Mario Cippitelli fu da tutti vivamente complimentato per l’ottima
riuscita della solenne cerimonia, ed egli ha desiderato riservare agli amici e
conoscenti di Corinaldo uno speciale trattamento. Infatti insieme alla sua distinta
Signora ed a tutta la sua famiglia, si sono recati tutti in visita su tre automobili fino ad
Otranto, ammirando vivamente le bellezze di gran parte delle località della penisola
salentina, con le numerose torri aragonesi ed i tempi monumentali, apprezzando oltre
ogni dire il loro valore storico, artistico ed archeologico.
La serata del 1° ottobre 1961 fu chiusa con un lauto banchetto offerto dal Sig.
Colonnello, in un grande ristorante di Gallipoli.
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Santuari attualmente esistenti nella città di Corinaldo
1 Chiesa parrocchiale di S. Francesco
L’antica chiesa di S. Francesco, col relativo convento, fu fatta costruire nel 1214 dai
PP. Minori Conventuali, vivente il Serafico Padre di Assisi che (secondo il Cimarelli)
sembra l’abbia onorata della sua preziosa predicazione.
Di dimensione allora molto piccola fu una prima volta accresciuta, assicura il
Cimarelli, nell’anno 1538 dopo che il popolo corinaldese si riebbe dagli effetti
disastrosi del contagio pestifero e dalla carestia, allora provocata dall’invasione delle
cavallette che distrussero tutti i raccolti.
Avanzi di tale costruzione tra cui elementi del timpano e del frontone della facciata si
possono osservare nell’interno dell’attuale torre campanaria ed alcuni resti del muro
perimetrale sono ancora visibili da una apertura di fianco al passaggio che immette
nel corridoio verso il civico ospedale.
Per interessamento degli stessi Padri, fu poi praticato un ulteriore ampliamento, (il
Cimarelli assicura di aver veduto, entusiasmato, il disegno fino dal 1640) su progetto
dell’architetto Andrea Vici di Arcevia dal 1752 al 1759 e decorato di stucchi dallo
scultore Bernardino da Suzzara e, pur rimanendo incompleta nella facciata, fu
consacrata ed aperta alla pubblica devozione il 22 settembre 1765 dal Vescovo della
Diocesi mons. Ippolito de Rossi.
Dopo la napoleonica soppressione degli ordini religiosi, restò ad officiare questa
chiesa soltanto un Padre Conventuale.
Nel 1817 la chiesa fu ceduta dal Governo Pontificio all’ospedale, nel 1838 fu poi data
al Capitolo Parrocchiale di S. Pietro Apostolo che la officiò e nel 1872 vi stabilì la
Parrocchia.
Nel 1900 per interessamento dell’arciprete don Gherardo Evangelisti fu ornata
nell’abside di decorazioni dal pittore Mattia Lauretani, ma poi, essendo rimasta
fortemente danneggiata nel 1930 dal terremoto, le decorazioni e gli stucchi dovettero
cedere il posto ai notevoli restauri che si resero necessari.
E’ in dotazione di questa chiesa un preziosissimo crocifisso artistico seicentesco,
scolpito in legno, con ottima maestria dallo scultore Donnino da Urbino, per
commissione di Francesco Brunori Rettore della ex Collegiata di S. Pietro Apostolo,
nonché una preziosa reliquia della Sacra Spina della corona che cinse il capo di N.S.
Gesù Cristo, prelevata dai Sacri Luoghi e portata a Corinaldo il 24 maggio 1786 da
S.E. mons. Antonio Marcucci, Patrizio di Ascoli, Patriarca di Costantinopoli,
Vescovo di Montalto, Abate di Monte Santo degli Abruzzi, Vice Gerente in Roma.
Tale reliquia legittimamente riconosciuta ed autenticata da S. Em. il Cardinale
Honorati Vescovo di Senigallia, fu confermata nella autenticità da Sua Emin. il Card.
Testaferrata il 19 settembre 1876.
Le pale di questa chiesa sono tutte di ottimi autori e due di esse ( L’annunciazione del
primo altare a sinistra di chi entra in chiesa e la Madonna col Bambino e Santi in
fondo all’abside) sono opera del concittadino di elezione Claudio Ridolfi. Il coro
settecentesco in noce massiccia con doppio ordine di stalli e colonnine tortili limitanti
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gli stalli superiori, fu trasportato in questa chiesa dalla demolita collegiata di S. Pietro
Apostolo, insieme con gli armadi della sacrestia e alla cosìddetta Panca dei
Magistrati, con riferimento all’uso pel quale era riservata.
L’altare maggiore è completamente rivestito di marmi pregiati, tra cui il serpentino, il
giallo antico, il paonazzetto. Gli scalini di detto altare sono in rosso antico di Verona,
con le acquasantiere in fondo alla chiesa.
Nel Battistero ebbe le acque lustrali della fede nel 1890 la Santa Concittadina Maria
Goretti; esso è oggetto di venerazione di tutti i pellegrinaggi che annualmente
convengono a Corinaldo, come pure il ricordo marmoreo dedicato alla stessa Santa,
opera dello scultore Scrivio di Roma, eretto nel 1910 per iniziativa delle locali figlie
del S. Cuore presieduta dalla N.D. Rosa Sforza. Ne fu solerte zelatore l’avv. Carlo
Marini; ebbe la generosa elargizione e benedizione di S. S. Pio X; ne assunse l’alto
patronato l’Em. Cardinale Antonio Agliardi e la presidenza mons. Tito Cucchi
Vescovo della Diocesi. Pervennero offerte da parte di tutto il mondo cattolico.
Sono in dotazione in questa chiesa anche se bellissimi reliquari con teste argentate e
semibusti dorati, nonché una collezione completa di quadri rappresentanti la Via
Crucis, con cornici di forma ellissoidale e cimase dorate.
Nel Campanile di questa chiesa, assicura il Cimarelli, esistevano a suo tempo tre
campane antichissime di cui una portava l’anno di fabbricazione 1281; ciò premesso,
si suppone che all’atto della costruzione della prima antica chiesa (1214) la sua torre
campanaria dovesse avere soltanto due campane (quelle senza data) e che la terza sia
poi stata aggiunta nel 1281. Però in seguito alla demolizione della Collegiata di S.
Pietro Apostolo una delle campane fu sostituita con la squilla del campanile e fu
dotata per una chiesa di San Lorenzo in Campo.
Sono attualmente in corso in questo Sacro Luogo importanti restauri intrapresi per
l’iniziativa dell’attuale arciprete di Corinaldo don. Umberto Rocchetti.
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2 Chiesa di S. Agostino
La prima chiesa di S. Agostino col suo convento, fondati nel 1200, sorgeva, in
Corinaldo, secondo quanto asserisce il Cimarelli, a mezzogiorno della città vicino alle
mura. Ma dopo la morte del Papa Nicolò IV (1292) tale località divenne poco sicura,
perché non accordandosi i Cardinali in Conclave per la elezione del nuovo Pontefice,
rimase sede vacante per due anni, tre mesi e diciotto giorni, durante i quali lo Stato
Pontificio, lasciato nel più completo abbandono, fu teatro delle più inqualificabili
turbolenze. Il Vescovo della Diocesi, mons. Todino, sensibile a tale stato di cose,
autorizzò allora i PP. Agostiniani ad entrare in città ed abbandonando il loro convento
(1294) furono ammessi ad officiare la Chiesa che prima di allora, era dedicata a S.
Nicola da Bari e nel 1410, da Papa Gregorio XII, vi furono definitivamente
confermati.
Fin dai tempi del Cimarelli (1644) non era stato possibile ampliare il convento allora
troppo angusto, perché compreso fra due vie con dietro molti edifici privati e soltanto
nella prima metà del settecento tanto la chiesa che il convento furono costruiti con
l’aspetto attuale e cioè dopo la demolizione dell’ex palazzo malatestiano ed altre
abitazioni private di minore importanza.
Con la cessazione del Governo Pontificio e con la confisca dei beni delle
Congregazioni Religiose, I PP. Agostiniani dovettero cedere chiesa e convento al
municipio di Corinaldo e da allora il convento venne adibito per uso delle scuole.
Dal 1920 questa chiesa fu data in uso alla Confraternita del Gonfalone, a compenso
della chiesa di S. Maria del Gonfalone, che trovavasi in piazza X agosto e con senso
di assai discutibile opportunità o necessità ed in dispregio al rispetto dell’arte, venne
ridotta ad uso di civile abitazione, distruggendo pregevolissime opere d’arte, tra cui
sei bellissime statue in stucco raffiguranti i biblici profeti. Molte cose d’arte che
pertanto fu possibile asportare da detta chiesa, attualmente si trovano in questo
santuario, tra cui L’Annunciazione dal Cimarelli attribuita a Federico Barocci ed il
transito di S. Giuseppe di autore ignoto di non comune maestria.
Altre pale di valorosi pittori si trovano in questa chiesa, tra cui il martirio di S.
Bartolomeo Apostolo, fatto eseguire su ordinazione di fra Bartolomeo Orlandi, da
Cesare Mageri di Urbino; S. Nicola da Tolentino che con la preghiera debella la
mondanità, la carne ed il demonio; la Vergine con S. Caterina, S. Domenico,
S. Nicolò e S. Agostino; la Vergine col Bambino e i Santi e tanti altri quadri di autori
ignoti.
Lo stesso fra Bartolomeo Orlandi nel 1613, ha dotato questa chiesa anche di preziose
reliquie che si conservano per la maggior parte in due splendidi reliquari
settecenteschi e nelle alzate degli altari. Furono portate da Saragozza di Sicilia nel
1617, furono riconosciute autentiche ed approvate da mons. Antaldo Antaldi,
Vescovo di Senigallia.
E’ in dotazione di questa chiesa un antichissimo e miracoloso crocifisso che
attualmente trovasi in fondo alla chiesa presso l’ingresso principale; una statua di
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S. Nicola che trovasi dalla parte opposta e molti splendidi arredi sacri in seta pesante.
Dalla chiesa di S. Maria del Gonfalone è stata portata in questa chiesa anche una
felice riproduzione della S. Casa di Loreto, che trovasi nei locali retrostanti l’abside.
L’altare maggiore di questo Luogo Sacro è tutto rivestito di marmi pregiati tra cui il
giallo antico, il serpentino, il verde antico, il portoro, il paonazzetto ed il prezioso
alabastro orientale.
L’organo callidiano, con la sua cantoria, nonché i coretti della chiesa, costituiscono
una meraviglia dell’arte scultorea e lavorazione artistica del legno e tutto l’interno di
questa chiesa tanto dal lato decorativo come dal lato architettonico, è quanto di più
interessante possa trovarsi nelle chiese di Corinaldo, in quanto ornata da bellissime
colonne in stucco con splendidi capitelli corinzi e base attica sostenenti insieme con
alcuni pilastri, una ricchissima trabeazione, con mensole rinascimentali a sostegno
del cornicione intercalate negli spazi, da splendidi rosoni. Il soffitto è completamente
costruito a volta reale.
La facciata della chiesa con il piazzale antistante sapientemente studiato ed il portale
settecentesco sormontato dallo stemma degli Agostiniani, ha un aspetto dignitoso
come si conviene al Sacro Luogo.
Il campanile, pure settecentesco, è alto circa 50 metri, ha la forma di torre con linea
elegantissima, cui fa riscontro un alto senso di proporzione ed una sobria
distribuzione chiaroscurale: si slancia snello e vibrante verso il cielo, per diffondere
l’armoniosissimo suono delle sue campane, che nelle ricorrenti solennità, imprimono
note di giocondo lirismo osannante esso.
Si erge a quattro ripiani, a sezione orizzontale quadrata, con angoli smussati, diviso
da una cornice alla sua metà e da cordoli tra gli altri ripiani. I primi due ripiani verso
terra, sono privi di aperture, al terzo è sistemato un grande orologio, con quadrante in
pietra, unica sfera e numeri arabi; nel quarto ripiano si hanno le celle campanarie con
aperture sormontate da arco a tutto sesto. Detto ripiano è caricato, in ogni lato della
parte superiore, da un timpano decorativo su lesene laterali sormontate da capitello di
stile toscano.
Sopra, nei quattro angoli smussati del ripiano, si elevano, in direzione dei quattro
punti cardinali, quattro coppie di eleganti ed artistici vasi in arenaria con fiamme,
uniti da riparo in ferro battuto. Dalla porta superiore del ripiano, balza verso il cielo
un elegante cuspide, formata da tre tamburi concentrici di dimensioni gradualmente
inferiori terminanti con cilindro festonato in arenaria, sul quale poggiano i sostegni in
ferro di una grande sfera in rame, sormontata da una croce latina con bandieruola.
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3 Santuario della Beata Vergine Addolorata (descrizione della Cripta)
Dall’elenco degli edifici monumentali della provincia di Ancona, edito in Roma nel
1932 a cura del Ministero dell’Educazione Nazionale, a pag. 83 si rileva che la
facciata di questo Santuario venne rifatta nel 1530, mentre nelle notizie storiche
pubblicate nel 1924 dall’Arciprete di Corinaldo, don Alessandro Marinelli, l’erezione
di questo tempio, viene fatta risalire al 1555.
Né l’una né l’altra asserzione si ritiene però che sia esatta, perché tanto la parte
architettonica, che la parte decorativa di detto Santuario, sono indubbiamente di
epoca posteriore. Lo stesso Cimarelli, pur avendo descritto storicamente tutte le
chiese di Corinaldo, nessuna esclusa (anche le più modeste di campagna) , non fa
alcun cenno di questo Santuario artisticamente pur tanto interessante, quindi si ha
ragione di ritenere che quando il sopra citato storico nel 1642 pubblicò il volume
“Istorie dello Stato di Urbino” in cui al libro III è compresa la storia di Corinaldo,
questa chiesa ancora non esistesse.
Nel 1555 secondo lo storico sopra citato, venne eretto sulle fondamenta del cassero
sforzesco, il monastero delle suore di S. Benedetto; ma non si ha nessuna conoscenza
che contemporaneamente fosse anche costruito il tempio in parola. Forse la data di
costruzione del Monastero, ha tratto in errore il Marinelli, presumendo che il
santuario fosse stato costruito contemporaneamente, ma si ritiene invece che le suore
benedettine avessero avuto, fino alla costruzione di questo tempio, altro oratorio ed il
campanile senza campane che ancora si ammira al di sopra del magazzino Brunori ne
offre la conferma.
Si ha peraltro un buon riferimento circa l’epoca in cui questa chiesa può essere stata
edificata nella pala una volta esistente sull’altare maggiore, dipinta da Claudio
Ridolfi, deceduto nel 1644. La costruzione del tempio deve per tanto aver avuto
luogo tra il 1642 ed il 1644 e cioè tra l’epoca in cui lo storico Cimarelli pubblicò il
suo libro e l’anno in cui decedette il pittore Ridolfi, cioè negli ultimi anni di vita del
rinomato artista.
Comunque questo Santuario, dal giorno della sua edificazione, fu anche oratorio delle
suore benedettine dell’attiguo convento, che comprendeva i locali dell’attuale
magazzino Brunori, il vicino palazzo degli eredi Benni ed i locali di cui è proprietario
il Municipio di Corinaldo, per il recente acquisto fattone dal Conte Augusti. Ha per
fondamenta della facciata le mura della città e, data la vicinanza ai ruderi dell’antico
cassero sforzesco venne originalmente chiamato Chiesa di S. Anna alla Rocca, per
distinguerla dall’altra chiesa, pure dedicata a S. Anna, esistente al Borgo Garibaldi.
Però la bufera napoleonica, che portò alla soppressione di alcuni ordini religiosi,
travolse anche il monastero delle Suore Benedettine, che fu chiuso nel 1800. Nel
1816, con l’autorizzazione governativa, detta chiesa, secondo il Marinelli, venne
assunta in custodia dalla Confraternita del Sacro Cuore, che la dedicò a S. Andrea
Avellino; ma poi, avendo dovuto la Confraternita di S. Spirito trasportare da via
Cimarelli altrove la propria sede perché pericolante, il 18 settembre 1859 si trasferì
nella chiesa in parola trasportandovi tutti i suoi Santi, tra cui la magnifica statua del
morto Redentore e quella di Maria SS. Addolorata, che dal 1786 era oggetto di
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grande venerazione da parte del popolo corinaldese e da allora questo tempio venne
chiamato Santuario dell’Addolorata.
La facciata di detto Santuario, incompleta dall’edificazione, venne sistemata nel 1925
su disegno dell’architetto A. Dominici; la lunetta soprastante all’ingresso del tempio
venne modellata di recente dal sacerdote don E. Paniconi e le campane già rinnovate
nel 1891, vennero sostituite nel 1930 con quelle della chiesa di S. Maria del
Gonfalone.
L’interno del Santuario è a base circolare, con interruzioni nell’ingresso e nelle parti
in cui sorgono gli altari esistenti. Otto bellissime colonne in laterizi, con capitelli
compositi e base attica, elevatesi da terra su alti plinti, sostengono con ampi archi una
trabeazione, sopra la quale da una fascia che ne forma il tamburo si spicca una
elegante cupola con lucernario esternamente borrominiano nel cui centro interno di
copertura, in mezzo ad una esuberante raggiera, si staglia la mistica colomba.
Nella cupola si aprono in direzione degli altari e della cantoria dell’organo quattro
finestroni rettangolari artisticamente decorati di stucchi e lo spazio intercorrente fra
essi è intramezzato da lesene con base e plinti in direzione delle colonne e da quattro
medaglioni decorativi, contenenti all’interno dei putti in bassorilievo, con in mano
oggetti sacri di culto.
Gli altari sono anch’essi ornati di stucchi e cornici di stile barocco attorno alle
soprastanti nicchie che hanno sostituite, ai tempi di mons. Bernacchia, le pale dipinte,
ivi originalmente esistenti. Nella parte inferiore dell’itercolunnio si aprono artistici
portali che mettono in comunicazione con la sacrestia ed altri locali al servizio del
tempio. Detti portali, le cui ante di chiusura sono finemente decorate con modanature
e sculture ornamentali dei primi del settecento, sono sormontati da riquadrature
barocche di stucco, con medaglioni ellissoidali, in cui figurano dipinti a olio su tela
quattro Dottori della Chiesa (S. Agostino, S. Girolamo, S. Tommaso
e S. Bonaventura).
Nella parte superiore dell’intercolunnio esistono quattro coretti; sopra gli altari vi
sono tre grate artistiche e tanto dagli uni che dalle altre le Suore Benedettine
assistevano alle funzioni religiose del tempio .
Tutto l’interno di questo Santuario è una preziosissima opera di arte barocca, che
venne restaurata nel 1891 per iniziativa dell’arciprete don Gherardo Evangelisti, di
cui conservasi grata memoria in una lapide in marmi pregiati a destra dell’ingresso;
l’attuale sistemazione dei Santi nelle nicchie fu fatta eseguire nel 1938 dall’arciprete
mons. Francesco Bernacchia, coi denari inviati dai corinaldesi emigrati
nell’America del Nord, come risulta da una lapide esistente nell’ingresso, a sinistra di
chi entra nel tempio.
L’organo di cui era dotato inizialmente questo Santuario, fu ceduto nel 1930 per la
chiesa rurale della Madonna del Piano e venne sostituito con l’organo callidiano della
ex chiesa di S. Maria del Gonfalone.
I coretti, le grate e la cantoria dell’organo, ottimamente scolpiti, intagliati e traforati
con splendidi motivi ornamentali settecenteschi, costituiscono una rarità di
incalcolabile pregio artistico e decorativo.
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Immediatamente sopra l’altare maggiore, in apposita nicchia orizzontale, trovasi in
venerazione una statua del morto Redentore eseguita con buon gusto d’arte, con la
quale si celebra ogni anno una solenne processione la sera del venerdì Santo. Nel
dignitoso abbandono del viso di detta statua e nella costruttiva immobilità in cui si
compongono tutti i lineamenti, può ammirarsi l’impeccabile plasticità d’insieme e la
sua perfetta atonia muscolare.
La statua di Maria SS. Addolorata è situata nella nicchia soprastante a quella del
Divino Figliulo; si tratta di una copia perfetta della statua qui trasportata dalla chiesa
di S. Spirito, sostituita per cattivo stato di conservazione ed ogni anno si celebra con
essa una grande festa con processione, in una domenica verso la metà di settembre.
Altra statua completamente in legno massiccio, di notevole espressività, si trova nella
nicchia dell’altare a sinistra di chi entra nel tempio: è quella di S. Andrea Avellino;
ma è stata nel tempo poco felicemente restaurata e rivestita di paramenti sacri,
associandola ad un inserviente di nessun pregio artistico.
Nella nicchia soprastante all’altare di destra, si trova in venerazione la statua di S.
Anna che fino al 1938 si trovava nella chiesa Parrocchiale di S. Francesco.
Le tele dipinte che si trovavano inizialmente al posto delle attuali nicchie dei Santi, si
conservano nei locali di accesso alla cantoria dell’organo, esse rappresentano: “La
Sacra Famiglia, con S. Benedetto e S. Andrea Avellino” del Ridolfi, “Gesù con la
Madonna ai suoi piedi” e “ S. Teresa che offre il cuore alla Vergine” di pittori ignoti.
In questa chiesa, asserisce il Marinelli, nel 1693 Suor Maria Rosa Brunori, vide
pregare, cinto di aureola divina, il venerabile Antonio Maria Sandreani. Nel 1886 in
occasione delle feste centenarie in onore della Vergine Addolorata, predicò in questo
santuario mons. Tito Maria Cucchi, più tardi creato Vescovo della Diocesi.
Nel centro del pavimento di questa chiesa esiste, dal 1947, una lapide scolpita in
marmo bianco, contornata da porfido rosso, dettata dal canonico mons. don. Morici,
del Duomo di Senigallia, in cui si fa presente che la sottostante cripta è dedicata, per
volere dei cittadini corinaldesi, a S. Maria Goretti.
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4 Descrizione della cripta.
Si scende alla cripta da un ingresso immediatamente a destra di chi entra nel
Santuario all’apice di una scala ricurva.
Dal lato opposto trovasi invece l’uscita che però è aperta soltanto nei giorni di grande
affluenza dei devoti.
La cripta è una pregevole opera architettonica del XVIII secolo, sistemata in stile
medioevale su disegno dell’architetto A. Dominici ed è luogo di alto raccoglimento
mistico e spirituale.
La planimetria della cripta ha la forma di croce greca. Tutto l’ambiente è illuminato
da un razionale impianto di luce elettrica e da una quadrifora tipo medioevale.
Nella parte superiore del pilastro centrale, in cui convergono tutti i costoloni degli
archi della volta in laterizi, trovasi la cella che custodisce il Sacro Reliquario. Anche
la cella planimetricamente ha la forma di croce greca, con apertura alla quattro
estremità della croce, in modo da permettere la visione del Reliquario da qualsiasi
parte dell’ambiente.
Tanto l’altare che i costoloni degli archi, sono di travertino di Ascoli, il Tabernacolo
in marmo di Carrara e giallo antico, fu regalato al Sacro Luogo dalla Mamma della
Santa.
Il Reliquario, eseguito dalla ditta Tecchi di Fano, fu donato dalla Gioventù Cattolica
Marchigiana. E’ costituito da un cofano monolitico d’onice di forma prismatica e
sezione esagonale, gemmato superiormente, con la parte antistante di apertura,
incastonata in riquadrature d’argento, nel cui centro sono applicati fiori di giglio.
Altri fiori di giglio, pure in argento, sono applicati alla parete opposta del Reliquario,
mentre nelle altre quattro facce laterali sono sbalzate foglie di palma. Nella base,
costituita da un pesante lastra quadrangolare di candidissimo marmo (purezza)
sovrapposta ad altra di porfido rosso (martirio), figurano scolpiti lo stemma di
Pio XII, del Vescovo della Diocesi, della Gioventù Cattolica ed il civico stemma di
Corinaldo.
La Teca contenuta nel Reliquario fu eseguita dalla ditta Brandizzi di Roma, ed è
costituita da un cilindro di cristallo leggermente violaceo, incastonato su piedistallo
d’argento a base poligonale, sormontato da calotta argentea, con croce greca.
La Reliquia Insigne contenuta nella Teca è costituita dal RADIO dell’avambraccio
destro, che ha respinto l’abiezione dell’insidiatore.
Nella parte prospiciente l’altare si trova un grande quadro della Santa, eseguito per
ordinazione del Rev. Canonico don Giulio Conigli dal pittore Pisanitti di
Castelferretti nel 1947, montato su cornice antica finemente sbalzata in foglie di
acanto, donata dal comune di Corinaldo.
Nella parte dietro l’altare, che limita il ramo superiore della croce greca, è internata la
cassa scolpita in noce, che racchiude le spoglie mortali della Mamma della Santa.
Sulla lastra esterna di marmo di Carrara si legge in caratteri lapidari in bronzo
MAMMA ASSUNTA. Fu desiderio della ottima Donna, essere sepolta in prossimità
della Reliquia della Santa Figlia.
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In un piccolo ambiente a destra si trova la sacrestia della cripta, mentre in altro
piccolo ambiente a sinistra, limitato da un artistico cancello in ferro battuto, si può
osservare la statua in legno della Santa scolpita nel 1952.
Nello stesso piccolo ambiente si trova anche un blocco di pietra contenente
all’interno in apposita custodia metallica una pergamena firmata dal Vescovo della
Diocesi e dalle Autorità cittadine di Corinaldo.
Detto blocco sarà la prima pietra da interrare, quando per aderire al desiderio di tutta
la popolazione corinaldese, sarà dato inizio alla costruzione di un grande tempio a
carattere universale cattolico, da dedicare alla Santa concittadina. (Campa cavallo !)
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5 Chiesa del Suffragio
Fu costruita nel seicento in una rimanenza del cassero sforzesco, fatto costruire nel
1433 da Antonello Accattabriga capitano di Francesco Sforza e che occupava tutta la
zona di piazza Ciro Cesarini, del palazzo Romaldi, del palazzo Ricci, e parte del
palazzo eredi Benni di cui fino a poco tempo fa erano ancora visibili, lungo il vicolo
del Terreno, un pozzo e le fondamenta dell’antica costruzione.
Fu chiamata Chiesa del Suffragio, perché fondata per speciale donazione del
Capitano Pier Agostino Orlandi della Confraternita del Suffragio, cui appartenevano i
cittadini più nobili e più ricchi della città.
Questa chiesa è di notevole valore artistico architettonico, in quanto ornata di
splendide colonne scanalate in laterizio, con capitelli di stile corinzio e base attica,
sostenenti una magnifica trabeazione, su cui appoggia uno splendido soffitto a
cassettoni, con bellissimi rosoni decorativi al centro di ogni riquadratura.
Il pavimento, opera della stessa epoca, riproduce sostanzialmente il disegno del
soffitto e costituisce una pregevole caratteristica di tale chiesa.
In questo tempio è in venerazione una statua, in legno massiccio, del Risorto
Redentore, modellata con non comune maestria artistica, da uno scultore del seicento
di cui non si conosce il nome ma è stata nel tempo deturpata da successivi restauri.
Comunque si può ammirare in tale statua la plastica proporzione e armoniosità delle
parti, nonché la naturalezza dinamica, che ne costituisce il maggior pregio artistico.
Questa statua si suole portare in solenne processione la domenica in Albis di ogni
anno.
La pala dell’altare maggiore, rappresentante la Madonna con Gesù e cinque Santi è
opera del pittore, corinaldese di adozione, Claudio Ridolfi. Si conserva ancora
completamente intatto in questa chiesa, il corpo di una suora dell’antica famiglia
Bovi, fatta oggetto di ripetute esplorazioni da parte di una speciale commissione
diocesana.
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6 Chiesa di S. Anna
Questa chiesa, secondo la storia Cimarelli, é molto antica, ma non se ne conosce con
precisione l’epoca a cui risalga la costruzione; le sue pareti all’interno sono ornate da
lesene con capitelli di ordine ionico, dalle cui volute pendono festoni rinascimentali
che ne definiscono, si crede, l’epoca approssimativa in cui può essere stata edificata.
Tanto all’interno che all’esterno, principale caratteristica della chiesa in parola è la
semplicità.
Nei pressi di questa chiesa nel giugno 1517, i corinaldesi reduci da una riuscitissima
imboscata contro i soldati del duca Francesco Maria I Della Rovere che assediavano
la città, affrontarono vittoriosamente i soldati nemici inviati in rinforzo, riuscendo a
rientrare in città con tutto il bottino e con pochissime perdite.
In questa chiesa è oggetto di grandissima venerazione da parte del popolo
corinaldese, ed in specie dalle donne prossime a diventare madri, l’immagine della
Santa che sovrasta l’altare maggiore.
Si conserva in questa piccola chiesa una antichissima reliquia di S. Biagio, che,
secondo il Cimarelli, era in dotazione al Santuario di S. Maria del Mercato, che
trovavasi poco lontano, nella stessa zona.
Il 26 luglio 1944 nel giorno sacro alla Santa, di cui porta il nome il campanile a vela,
fu colpito da proiettili di artiglieria anglo - polacca che distrussero completamente le
campane e sfondarono il tetto del Sacro Luogo.
Terminata la guerra questa chiesa fu restaurata completamente, furono rifatti i
danneggiati altari e le attuali campane dotarono il nuovo campanile, per iniziativa
dell’Arciprete Mons. Don Francesco Bernacchia, a spese del popolo corinaldese.
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Alcuni cittadini corinaldesi degni di postumo ricordo.
(disposti per data di nascita)
PICCINO Nero – da Corinaldo – Mise tutte le sue ricchezze ed il suo valore nella
difesa della Apostolica Sede, contro le persecuzioni dei Ghibellini e degli imperatori.
Nominato capitano dei Guelfi si oppose con ardire e coraggio a Manfredi re di Puglia,
che con violenza e frode cercava di occupare lo Stato Ecclesiastico. Morì nel 1308
senza eredi in linea maschile, estinguendosi così la nobile casa dei Piccino, che,
secondo la tradizione, aveva tratto origine dalla distrutta città di Suasa (dal
Cimarelli).
BONI Giovanni – da Corinaldo – Fu eccellentissimo matematico e per la sua fama
venne chiamato al loro servizio da Ferdinando dei Medici Granduca di Toscana e da
Alfonso d’Este Duca di Ferrara. Tornato in patria nell’età matura, si diede all’arte
scultorea, dove raggiunse particolare eccellenza, lasciando tracce non comuni nel
tempio della fama. (dal Cimarelli).
FRANCESCHINI Giovanni (detto Carabotta) – da Corinaldo – Discepolo nell’arte
scultorea del compatriota Giovanni Boni, la sua fama tanto salì, che dei suoi lavori
non si discuteva il prezzo. Alcune sue opere possono ancora ammirarsi nella cappella
Sacra di Caramanico (Abbruzzo). Questo grande artista morì ad Aquila, dove aveva
scolpito il tabernacolo ed i celebri ornamenti della sontuosa Cappella dell’Ara
Maggiore della Chiesa dei PP. Cappuccini. (dal Cimarelli).
BOSCARETO o BOSCARETI Nicolò – Cittadino corinaldese della fazione
ghibellina che, per il grande valore, venne nominato capitano dall’imperatore
d’Alemagna, ed insieme al Conte Chiaromonte siciliano, inviatogli da Lodovico il
Bavaro, l’8 marzo 1327 prese a viva forza Jesi istallandovisi con il titolo di Vicario
Imperiale. Cresciuto in potenza si impadronì anche di Corinaldo, sua patria,
cacciando i Guelfi e cedette di fronte alle forze soverchianti del Cardinale Carilla,
morendo di crepacuore al vedere ardere Corinaldo e Boscareto suo castello, ad opera
di Galeotto Malatesta, inviato a sedare la ribellione al Pontefice nel 1360.
(dal Cimarelli).
CIMARELLO DI GUALTIERO MAUSULIO – Nacque a Corinaldo nel 1430.
A 25 anni fu da Callisto III quale capitano di 200 fanti, sotto il comando del
Cardinale S. Angelo, contro Maometto Imperatore dei Turchi, che aveva assediato
Belgrado. L’anno seguente fu mandato con Giovanni Conte di Ventimiglia, al
soccorso di Siena, contro Giacomo figlio di Nicolò Piccinino e, dopo la vittoria di
Orbetello, tornò in patria accolto da grandi onori. Da Pio II venne inviato poi alla
Badia di Chiaravalle, per sedare le controversie fra jesini ed anconetani e vi riuscì
adoperando la spada, oltre che le Sante Leggi.
Confermato nella carica da Sisto IV, morì nel 1519. Dal suo nome derivò la nobile
casata dei Cimarelli.
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FATA Simone – da Corinaldo – Dottore in legge, ebbe molti incarichi dai Sommi
Pontefici e fu presente al Concilio di Trento, cooperando nelle determinazioni della
cristiana riforma. Quale auditore e consigliere del Cardinale Delfino, seguì questo in
Alemagna coadiuvandolo nella lotta contro gli eretici luterani. (dal Cimarelli).
CAMILLO Giovanni – da Corinaldo – Nel 1442 fece in Magonza con Giovanni
Gutemberg, i primi esperimenti di stampa. Nello stesso anno passato a Napoli
impiantò all’Annunziata il primo torchio tipografico fra l’ammirazione di tutti. Fece
molti allievi ed impresse molti libri, tra cui una prima grammatica. Fu altamente
onorato da Alfonso d’Aragona, che, dopo la morte, lo fece seppellire con grande
pompa in una chiesa presso il Mercato, ed in marmorei caratteri i suoi elogi scolpire.
( dal Cimarelli).
ORLANDI Panfilo – da Corinaldo – Valoroso capitano di cui il Ruscelli nel
supplemento alla storia del Giovio, racconta che Francesco, Re di Francia, lo tenne in
grande considerazione per avergli conquistato nel Friuli la piazza di Marano, fortezza
di eccezionale importanza. In seguito ebbe il comando, quale Tenente Generale, di
alcune legioni italiane, comportandosi valorosamente in ogni impresa, in tutta la
grande guerra tra Carlo Imperatore ed il suo nominato Re di Francia. (dal Cimarelli).
ORLANDI Angelo – da Corinaldo – Non meno esperto nelle armi che nelle patrie
leggi, militò gran tempo con Federico da Montefeltro, Duca di Urbino, cui servì da
consigliere, condottiero in guerra e poi Giudice e Governatore dei suoi popoli.
Trovatosi in Gubbio quale giudice alla morte del Duca Federico (1482), prese
possesso della città a nome del figlio Guidobaldo, dal quale vi fu confermato; ma poi
chiamato da Sisto IV al servizio del nipote Giovanni, Generale della Chiesa, Prefetto
di Roma e Signore di Senigallia e Mondavio, venne nominato Luogotenente
Generale. Fu confermato in tale funzione anche dal Papa Innocenzo VIII e dette ai
popoli soggetti alla Signoria di Giovanni, preziosissime leggi confermate anche da
Urbano VIII: erano raccolte in un volume, nel cui frontespizio si leggeva:
<<Angelus de Orlandi de Corinalto, Illustrissimi Domini Praefecti Sancte Romane
Ecclesiae Cap. Generalis Locumtenens>>. Morì in Corinaldo l’anno 1503.
(dal Cimarelli).
SANDREANI Pietro – da Corinaldo – Glorioso Capitano al servizio dei Veneziani,
che acquistò grande fama nell’assedio di Dulcigno. Trovandosi con la compagnia
nelle Ville di Zorzi della Brianza, si oppose vittoriosamente alle schiere dei Turchi
che cercavano di espugnare la piazzaforte e venuto a conoscenza che vicino a Sautari
venivano contro ai cristiani una grande quantità di nemici, si spinse contro di essi e
postosi in agguato con le sue genti, li assalì con tale impeto che, secondo la
tradizione, neppure uno ne rimase in vita e fece esporre le teste dei comandanti sulla
porta principale di Dulcigno. Per questa e per le altre azioni gloriose, il Serenissimo
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Senato Veneziano lo volle innalzare ai primi gradi dell’esercito; ma egli già vecchio
volle tornare in patria, dove morì ricevendo solenni onoranze. (dal Cimarelli).
PANTA Lodovico – da Corinaldo – Minore conventuale, singolare maestro di
filosofia, teologia e lettere. Data la fama non comune, Stefano Bettori, Principe di
Transilvania e Valacchia, poi re di Polonia, lo chiamò alla sua corte quale teologo,
consigliere e confessore. Nella sua vecchiaia desiderò tornare in patria, ma non
essendovi posto nel convento dei minori di Corinaldo, si stabilì in Recanati, dove
riedificò un convento quasi distrutto e vì morì carico d’anni.
FATA Giovanni Andrea – da Corinaldo – Esimo giureconsulto di cui molti principi
ne disputarono il servizio. Da Giulio II fu mandato Governatore a Rimini il 15 marzo
1511 e, dopo la morte del pontefice, venne chiamato dal Duca di Genova al servizio
di quella Repubblica, quale Vicario di prima sala. L’anno 1515 il Serenissimo Senato
della Repubblica lo mandò ambasciatore presso la corona di Francia, dalla quale
venne onorato di preziosi doni, privilegi ed insignito dell’abito di Cavaliere Aurato
per sé e per i suoi discendenti, con patente autografa di Re Francesco, datata da Lione
il 10 luglio 1515.
Il 6 maggio 1518, avendo terminata la sua missione, fu chiamato dal Cardinale
de’ Medici del titolo di S. Calisto, al servizio Apostolico, e nominato Commissario
delle Marche. Nel 1519, durante l’assenza del Cardinale Bibbiena legato dell’Umbria,
fu nominato Governatore di Foligno. Nel 1521 fu mandato da Leone X ad Urbino,
quale Luogotenente Generale, restandovi poi dopo la morte del pontefice col titolo di
Governatore, come da patentali in data 22 gennaio 1522. Investito da Francesco
Maria Della Rovere di tale ducato, nel 1528 venne mandato come Luogotenente a
Gubbio e più volte inviato ambasciatore a Federico Gonzaga, fratello di Eleonora
Duchessa di Urbino. Richiamato infine alla Sede Apostolica, fu nominato Avvocato
Concistoriale, ritornato poi a Corinaldo per trascorrervi un’estate, finì con unanime
rimpianto, per mano di empio sicario. (dal Cimarelli).
ORLANDI Silvio – da Corinaldo – Famoso dottore in legge da tutti molto onorato.
Da Leone X venne mandato Governatore a Spoleto (1521); da Adriano VI alla Città
di Terni (1522); da Clemente VII a Faenza nel 1524; a Jesi nel 1525; a Fabriano nel
1527; da Paolo III a Foligno nel 1535. Finì la sua vita a Norcia, con unanime
rimpianto, dove trovavasi Governatore per la seconda volta. (dal Cimarelli).
FATA Marco Antonio – da Corinaldo – Eminente dottore in legge, che, dopo
espletate importanti missioni in molte parti d’Italia, dal Viceré di Napoli venne
proposto a Filippo II re di Spagna per Commissario Regio di quel Regno,
ricevendone la suprema autorità, contro le scorrerie dei ladroni che lo infestavano.
Nominato in seguito Avvocato Fiscale del Vicariato di Napoli ed assunto al supremo
grado di Consigliere del Regno, dopo aver servito fedelmente per lunghi anni, fu
nominato Reggente. Morì in seguito al malore da cui venne colpito, mentre stava per
imbarcarsi sopra una galea preparatagli per una missione affidatagli dal Viceré.
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(dal Cimarelli).
BRUNORI Viviano II – da Corinaldo – Per interessamento della Corte Romana,
studiò alla Sorbona a Parigi ed in pochi anni acquistò fama di grande letterato.
Il 10 giugno1540 fu assunto al dottorato ottenendo una delle più importanti cattedre.
Fu consigliere di Giulio Della Rovere Cardinale di Urbino fino al 1573. Durante la
permanenza alla Corte Romana, venne più volte inviato ambasciatore a diversi
principi da Papa Gregorio XIII e da Sisto V, specialmente al Battori principe di
Transilvania. Fu profondo filosofo, teologo ed insigne cosmografo. Fu autore di
speciali studi sull’Iliade di Omero e scrisse in lingua greca “D’atene, di Corinto, di
Creta e di Sparta il miserevole fine”, “D’Idione la morte”, “I vizzi e le virtù di
Alcibiade”, “La Espulsione di Dionisio”, “La crudeltà di Falere”, “La sorte di
Agatocle”, “La pena di Perillo”, “Il caso di Arione”, “Di Segesta e di Imera gli
incendi atroci”, “Di Eraclea e di Agrigento le ruine”.(dal Cimarelli).
BUONOMO Giovanni – da Corinaldo – Fu medico celeberrimo di grande fama. Dai
Veneti fu nominato lettore dell’Università di Padova, dove insegnò nella cattedra di
Medicina, con il plauso e concorso di numerosissimi allievi. (dal Cimarelli).
ALESSANDRI Biagio – nativo di Corinaldo – Eruditissimo nelle lettere greche ed
ebraiche, fu anche filosofo e valentissimo medico esercitando a Jesi, Città di Castello
ed Ancona. Nel 1550 Giulio III lo mandò quale prontomedico nell’Emilia; fu poi
chiamato in Roma quale prontomedico di Paolo IV e confermato nella stessa carica
da Pio IV e da Pio V. (dal Cimarelli).
AMATI Pierleone – da Corinaldo – Militò in Alemagna contro i Luterani e fu molto
amato da Ottavio Farnese duca di Camerino col quale combatté contro Filippo
Longravio d’Assia, ribelle di Carlo V, restando gravemente ferito. Ristabilito
combatté nuovamente agli ordini di Carlo V nelle guerre d’Italia ed a Montalcino
l’anno 1553 diede prova di grande ardire. (dal Cimarelli).
FONTINI Cristoforo I – da Corinaldo – Celebre professore in legge, fu giudice
della Santa Sede in molti luoghi dello Stato Ecclesiastico e specialmente in Rimini,
Cesena e Macerata, ove coprì anche mansioni di Luogotenente Civile e Criminale.
Ebbe suo ospite Padre Antonio da Monteciccardo, commissario della riforma
francescana. Morì in Macerata l’anno 1558 e la sua salma, trasportata a Corinaldo,
venne sepolta nella Chiesa di S. Francesco. (dal Cimarelli).
TARDUCCI Pier Antonio – da Corinaldo – Da Cosimo de’ Medici, Duca di
Firenze, fu spedito all’età di 18 anni, quale capitano di 200 fanti, alla guerra di Siena,
dove acquistò fama di saggio e di valoroso. Da Ferdinando Imperatore venne
chiamato poi al proprio servizio col grado di Capitano e Consigliere di Guerra. Dopo
la morte di Ferdinando, venne confermato nella carica dal successore Massimiliano,
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che lo colmò di onori e privilegi di nobiltà, con patetali datate da Praga nell’anno
1562. Tornato in Italia fu da Guidobaldo Duca di Urbino trattenuto alla Corte;
nell’anno 1571, gli venne affidata la scorta del figlio Francesco Maria. Nella battaglia
navale di Lepanto contro i Turchi, cui prese parte col Principe stesso, fece sentire a
quei barbari la violenza dei colpi del proprio braccio. Morì vittima dello stesso Duca
Francesco Maria, che credette ravvisare in lui, un aspirante alla successione.
(dal Cimarelli).
SIMONETTI Camillo – da Corinaldo – Servì per lunghi anni Emanuele Filiberto di
Savoia e fu colmato di onori raggiungendo il grado di Luogotenente Generale di tutto
l’esercito. Nell’agosto 1567 aggredito proditoriamente, per invidia, da Francesco
Birago, Signore di S. Albino con buon numero di servi, si difese gagliardamente, ma
essendo solo non poté schivare tutti i colpi nemici e rimase gravemente ferito al
braccio destro. Sanate dopo qualche tempo le ferite, sfidò in campo aperto
l'avversario, ed avendolo fiaccato con molti colpi mortali, venne dichiarato vincitore.
Accolto dal Duca di Savoia e dalla Corte con incredibile plauso, fu nominato maestro
di camera del duca stesso e confermato anche da Carlo Emanuele, fino alla sua
vecchiaia. Tornato in patria carico di onori e privilegi, vi morì ricevendo solenni
esequie e fu sepolto in S. Francesco, nella cappella di famiglia, che allora fu ornata
degli stendardi tolti ai nemici in guerra. (dal Cimarelli).
SANTARELLI Mario – da Corinaldo – Militò quale capitano in tutte le guerre dei
Veneziani contro gli Ottomani in Albania, Dalmazia e Romania, comportandosi
sempre valorosamente. Da Pio V fu chiamato alla Corte Romana; nel 1571 prese
parte, quale capitano di 200 fanti sotto il comando di Marcantonio Colonna, alla
battaglia di Lepanto, ove, combattendo virilmente, fece strage di barbari.
(dal Cimarelli).
TARDUCCI Achille – da Corinaldo – Fu capitano e matematico eminente; chiamato
dal Battori Principe di Transilvania nella guerra contro i Turchi, coprì la carica di
Supremo Ingegnere e Tenente Generale delle Artiglierie. Chiamato alla stessa carica
da Ridolfo Imperatore con il grado di Consultore di guerra, chiuse al fiero Trace con i
suoi disegni, il passo in Ungheria, fortificandosi sugli argini del Danubio. Diede alle
stampe un volume intitolato: “Il Turco vincibile in Ungheria” ed altro libro intitolato:
“Le macchine antiche e moderne”. Morì da valoroso nella fortezza di Luano, mentre
designava i posti in cui dovevano collocarsi le artiglierie. Fu compianto da tutta la
Corte Imperiale. (dal Cimarelli).
RANIERI Filippo – da Corinaldo – Minore conventuale maestro di Sacra Teologia;
fu sottile scolastico, predicatore celeberrimo ed eminente nella prudenza politica.
Venne mandato quale Generale Commissario in Puglia e Ministro Provinciale in
Dalmazia. Fu coetaneo e compagno amatissimo di Felice da Montalto (SistoV) il
quale, non appena eletto pontefice, avrebbe voluto innalzarlo alla suprema dignità
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cardinalizia; ma essendo venuto a conoscenza, che soltanto da pochi giorni era
passato all’altra vita, ne pianse amaramente la scomparsa. (dal Cimarelli).
SANTARELLI Andrea – da Corinaldo – Prode guerriero che si distinse in modo
particolare alla battaglia di Lepanto, meritando di essere promosso Capitano delle
Milizie. Passato ad Avignone, combatté al comando del Cap. Alessandro Amici di
Jesi. Conosciuto per il suo coraggio dal Duca di Pernon, combatté per la Corona di
Francia fino al 1587. Tornato in Italia nel 1589, da Sisto V fu nominato comandante
delle milizie di Jesi e, da Gregorio XIV, Comandante del Presidio con patentali in
data 10 luglio 1591 firmate da Paolo Sforza Tenente Generale di Santa Chiesa; venne
mandato poi contro Marco Sciarra, sul quale riportò numerose vittorie. Morì a
Corinaldo assai vecchio e fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Gonfalone.
(dal Cimarelli).
FONTINI Giacomo – da Corinaldo – Valoroso capitano che militò molti anni in
Savoia nelle guerre contro i francesi. Chiamato poi alla Corte del Granduca di
Toscana, ebbe da questo molti incarichi militari, tra cui il comando della fortezza di
Pistoia. Richiesto infine dal Pontefice Sisto V, venne inviato contro i banditi che
allora infestavano le Marche. Morì nel 1588 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco
a Pistoia. (dal Cimarelli).
FONTINI Cristoforo II – da Corinaldo – Chiamato il 20 dicembre 1588 dal
Pontefice Sisto V a sostituire il valoroso cugino Giacomo, si accinse subito alla difesa
di S. Severino, Tolentino e Montecchio seriamente minacciate dai banditi, ristituendo
la calma alla regione, dalla cui popolazione venne acclamato liberatore. Gregoria
XIV lo onorò di ambiti incarichi militari, ma poi ritornato volontariamente in patria,
gli venne conferito il comando delle Milizie Corinaldesi, che esercitò per molti anni.
Morì a Foggia nel 1611. (dal Cimarelli).
TARDUCCI Panta – da Corinaldo – Figlia di Pier Antonio, si sposò nel 1589 con
Andrea Ebradi di Ramberin, Barone di Talberg, Frichperch e Reinach nella Stiria.
Accortasi, dopo alcuni anni di matrimonio, che il marito nutriva idee luterane ed era
sprezzante della fede cattolica, con virile risoluzione si separò da lui e con l’aiuto di
altri italiani, ritiratasi in una fortezza, poco lontano da Vienna, che era sotto il
dominio del marito, vi si fortificò in guisa che, non solo si difese dalle continue
molestie, ma fece al marito così aspro contrasto, che questi ne morì in Zagabria dalla
disperazione. Restata vittoriosa vendette la fortezza ed alcuni molini, ripigliandosi
per Decreto Imperiale la dote e se ne tornò a Corinaldo, dove si rimaritò al Capitano
Orazio Orlandi. (dal Cimarelli).
CIMARELLI Cristofore – da Corinaldo – Valorosissimo guerriero affermatosi nel
1603 nella armata del Granduca di Toscana, assaltando la fortezza di Prevesa
(Grecia) ove fu con nobile vanto uno dei primi ad entrare. Nel 1605, incontratasi la
stessa armata nel mare d’Egitto, vicino ad Alessandria, con 5 grosse navi greche,
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attaccò battaglia, e vedendo che nessuno pensava ad assalire la nave principale, dal
suo legno S. Maria staccatosi come un fulmine, si spinse entro la nave nemica, nella
quale per disavventura disgiungendosi per bordata, rimase solo contro tutti i nemici e
da solo, come Orazio Coclite, sostenne con la spada, diverso tempo la pugna, sebbene
ferito. Intanto i suoi, nuovamente accostata la nave, poterono irrompervi e sopraffare
vittoriosamente i nemici. Tornato in patria, il Granduca, in premio di tanto valore gli
assegnò, vita durante, una piazza forte, registrando in patentali tanta fama. In seguito,
rinunciato al comando della piazza, si distinse con Diego della Luna all’assedio di
Vercelli. Tornato in patria carico di onori e di gloria, venne vilmente ucciso a
tradimento da un nemico personale. (dal Cimarelli).
CLEMENTE Cinzio – da Corinaldo – Fu un grande scienziato e medico insigne che
raccolse moltissimi onori alla Corte dei Pontefici Paolo V, Gregorio XV ed Urbano
VIII che lo nominarono medico personale. (dal Cimarelli).
MAGINI Cesare – da Corinaldo – Minore conventuale di eccezionale ingegno,
dottissimo in teologia. A soli 18 anni spiegava nell’Università di Bologna, con fiumi
di eloquenza, la dottrina di Scoto (filosofo irlandese) con incredibile seguito di allievi
e di professori. Attirato da tanta fama Giulio Magnani di Piacenza, Generale dello
stesso Ordine, volle presenziare ad una lezione e ne rimase talmente entusiasta, che lo
nominò sull’istante maestro di Sacra Teologia, con infinito plauso di tutti i presenti.
Fu soppresso a 25 anni in condizioni misteriose, con unanime compianto.
(dal Cimarelli).
RIDOLFI Claudio – nato a Verona nel 1574 – Vissuto sempre a Corinaldo fu uno
dei più grandi pittori del seicento. Le chiese cittadine di Corinaldo e molti privati
conservano tuttora numerosi suoi dipinti. Altre opere di questo illustre cittadino
corinaldese di adozione, sono sparse in gran parte d’Italia e cioè a Verona,
Colbordolo, Ripatransone, Montefano, Fossombrone, Cantiano, Fabriano, Arcevia,
Mondolfo, Padova, Urbino, Fano, Morro d’Alba, Ostra, Ostra Vetere ed anche il
museo di Dresda conserva un’Annunziata del grande artista. Una Madonna col
Bambino si conserva a Corinaldo in casa Sforza. Morì nel 1644.
SPADONI Paolo – Nato a Corinaldo nel 1746, si dedicò con tanto amore alle scienze
naturali, studiando prima all’Università di Bologna, poi a quella di Pavia sotto il
celebre Spallanzani al quale divenne carissimo. Insegnò botanica e storia naturale a
Macerata. Visitò per studio le Alpi, l’Appennino, l’Isola d’Elba, i litorali Ligure,
della Toscana, di Napoli, dell’Adriatico e tutto il suolo Piceno, facendo pazienti e
preziose osservazioni ed anche scoperte zoologiche, che lo resero famoso in Italia ed
all’estero. Lasciò molti scritti tra cui: “Lettere adoperiche sulle montagne lingustiche”
edito a Bologna nel 1783; “Peregrinazione alle gessaie di S. Angelo e S. Gaudenzio”
edito nel 1812; “Di alcune zanne elefantine fossili” edito nel 1816; “Xilogia applicata
all’arte” opera postuma edita a Macerata nel 1828 in tre volumi. Morì nel 1826.
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Il “Nuovo Giornale dei Letterati” di Pisa nel 1838 pubblicò un importante articolo
esaltando la fama dell’illustre scienziato. (dal Cimarelli).
CIANI Tommaso – ( 1812-1889) – Nobile corinaldese, esattore comunale, figura
caratteristica del movimento democratico delle Marche. Nominato dapprima capitano
della Guardia Civica, dopo che Pio IX abbandonò Roma, fu eletto deputato di
Corinaldo alla Costituente Romana (1849) e come tale votò l’istituzione della
Repubblica e sottoscrisse la vivace protesta del 4 luglio 1849 contro la prevaricazione
compiuta dalle armi francesi a danno della Repubblica Romana. Rifiutò le indennità
che l’assemblea aveva votato a favore dei suoi componenti e tornò a Corinaldo,
donde una intimazione di esilio del Pontefice lo costrinse nell’agosto a recarsi prima
a Firenze poi a Genova ove fu segretario del Comitato di Soccorso per l’emigrazione.
Passato poi a Torino collaborò ai giornali “Piemontese” e “Risorgimento”. Avendo
sdegnosamente rifiutato di chiedere la grazia al Governo Pontificio, ritornò nelle
Marche solo nel 1860 al seguito del Commissario Governativo Lorenzo Valerio
insieme a Gaspare Finali ed a Zenorate Cesari. Nel 1878 fu consigliere di Prefettura a
Macerata; poi fu Commissario Distrettuale a Mirano e a Mestre; nel 1882 fu
Commissario Distrettuale ad Ostiglia e Revere, poi fu Consigliere di Prefettuara a
Pesaro, dove lo colsero i primi sintomi del male che doveva condurlo al sepolcro. La
sua salma riposa a Corinaldo nella tomba di famiglia.
CIANI Alarico – ( 1842-1929) – Figlio di Tommaso fu personalità di alta cultura.
Nato a Corinaldo ed arruolatosi nell’esercito piemontese durante l’esilio paterno, si
distinse per ardire e coraggio quale Maggiore al servizio di Stato Maggiore
nell’azione di Montecroce nel 1866, nella battaglia di Custozza e Villafranca, durante
la terza guerra d’Indipendenza, meritando di essere decorato al valore. Proseguendo
nella carriera militare, raggiunse il grado di Tenente Generale, insignito di alte
decorazioni nazionali ed estere che, per modestia, non esibì mai nella sua città natale.
E’ sepolto a Corinaldo nella tomba di famiglia.
SFORZA Guido – (1885-1918) – Nativo di Corinaldo, fu conoscitore profondo delle
lingue tedesca e francese ed anche traduttore, poeta e scrittore forbito. Fu autore di
liriche, commedie e di arguti epigrammi.
Cadde gloriosamente a Fagaré il 18 giugno 1918, quale Capitano Comandante di
Battaglione nella Prima Guerra Mondiale, meritando di essere decorato di medaglia
d’argento al valore con la seguente motivazione:
<< Alla testa dei suoi soldati, li guidava valorosamente nell’avanzata.
Occupata una posizione, su di essa resisteva con grande ardimento e con salda
tenacia, finché, colpito a morte, cadeva gloriosamente, incitando ancora i dipendenti
alla più fiera resistenza >>. I suoi resti mortali si conservano a Corinaldo nella tomba
di famiglia.
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Bianca
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Indice:
PARTE I : PRESTORIA E STORIA ANTICA (dalle origini al 476 d.C.)
1 - Origini leggendarie .......................................................................................................... pag. 13
2 - Colonizzazione Egizia- Contrasti con gli Autoctoni- Fondazione di SuasaDominazione cui fu soggetta- Invasione dei Goti capitanati dal re AlaricoDistruzione di Suasa ....................................................................................................... pag.14
3 - Fondazione di Corinaldo- Inizio della vita di autogoverno ............................................ pag.16
PARTE II : STORIA MEDIOEVALE (dal 476 d.C. al 1492)
1 - Fine dell’autogoverno- I Goti vinti da Narsete- I Longobardi ...................................... pag. 17
2 – Invasione dei Saraceni- Signoria della Santa Sede- Tempi calamitosiFervore religioso ........................................................................................................... pag. 19
3 - Federico II nemico dell’Apostolica Sede- Raduno a Corinaldo del
Parlamento Provinciale Piceno- La Santa Sede si trasferisce ad
Avignone- Nicolò Boscareto signore di Corinaldo- Distruzione
della città da parte di Galeotto Malatesta ....................................................................... pag. 20
4 – Riedificazione di Corinaldo ............................................................................................. pag. 22
5 – Sante Garelli assedia Corinaldo ed é sconfitto- Dominazione sforzescaL’Accattabriga- Bianca Maria Sforza a Corinaldo- Fine del dominio
sforzesco nelle Marche .................................................................................................... pag. 24
6 – Protezione della Santa Sede- Distruzione del Cassero- Gravi discordie
con Mondavio .................................................................................................................. pag. 27
PARTE III : STORIA MODERNA (dal 1493 al 1789)
1- Rottura dell’accordo con Mondavio- Passaggio per Corinaldo di Cesare BorgiaGiuliano Della Rovere elevato al Papato- Assedio di Corinaldo da parte
del Duca Della Rovere- Gloriosa difesa- Concessione del Vescovato ......................... pag. 29
2 - Difesa della possibilità di poter conservare i privilegi- Poderoso attacco
di peste- Giulio III contravviene ai patti- Discordie fra i cittadiniSi riaccende la lite con Mondavio ................................................................................. pag. 32
3 – Carlo Borromeo a corinaldo ospite della famiglia Brunori- Corinaldo privato
dei privilegi da Marcantonio Colonna- Infausto Pontificato di Paolo VClaudio Ridolfi pittore emerito- Cessione di Corinaldo a Livia Della Rovere .............. pag. 34
4 – Periodo di decadenza- Edificazione di Chiese, Conventi e del Civico PalazzoConcessione della qualifica onorifica di Città ................................................................. pag. 35
PARTE IV : STORIA CONTEMPORANEA (dal 1790 in poi)
1 – Scoppio della Rivoluzione in Francia- Lo Stato Pontificio trasformato
in Repubblica dai francesi- Pio VI al confino nel Delfinato- Felice Sforza
caduto sotto le mura di Mosca ....................................................................................... pag. 37
2 – Congresso di Vienna- Epidemia ed istituzione del Civico OspedalePersecuzioni politiche- Inizio del Papato di Pio IX- Nuove persecuzioniMartiri delle loro idee- Colera a Corinaldo ....................................................................pag. 38
3 – Operazioni militari per la liberazione delle Marche e dell’UmbriaAssedio di Ancona .......................................................................................................... pag. 40
4 – Brigantaggio nelle Marche- Domenico Belardi valente pittore- Il maggiore
Alarico Ciani decorato al valore a Custoza- Costruzione del Teatro comunaleCostruzione dell’acquedotto- Nascita di S. Maria Goretti- Guerre coloniali
in Africa .......................................................................................................................... pag. 42
5 – Valorosi caduti nella guerra 1915/18- Fascismo- Terremoto nelle Marche .................... pag. 44
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6 – Illusioni per la conquista dell’impero- Scoppio della guerra 1938/1946Entrata in guerra dell’Italia- Esodo dalle grandi città per obbiettivi di guerra ............... pag. 46
7 - Colpo di stato del Maresciallo Badoglio- Dominazione tedesca e ribalderieCaduta di un aeroplano Alleato ....................................................................................... pag. 48
8 – Ritirata del fronte Tedesco- Avanzata del fronte Alleato- Respinti gli alleati
in contrada Pecciameno- Ingresso a Corinaldo del battaglione S. MarcoCivica Amministrazione provvisoria ............................................................................... pag. 50
9 – Corinaldo centro di servizi logistici- Raccolto 1944 completamente avariatoElezioni Amministrative 1946- Riorganizzazione dei servizi Pubblici ........................... pag. 52
10 – Beatificazione di S. Maria Goretti- Teca con la reliquia della Beata a CorinaldoCelebrazione corinaldese della Beatificazione ................................................................ pag. 54
11 – Nomina del Rettore della Cripta- Acquisto della Casa Nativa della Beata ..................... pag. 56
12 – Pubblicazione del Giglio di Corinaldo- Monumento statuario in marmoCanonizzazione della Beata ............................................................................................. pag. 57
13 – Onoranze corinaldesi per la Santificazione- Lettera del Santo Padre
a Mamma Assunta ........................................................................................................... pag. 58
14 – Auspicato un tempio a Corinaldo- Caposaldo del programma Amministrativo
Comunale, ma come tutte le cose belle durano quanto la vita d’un fiore ....................... pag. 60
15 – attivazione in Corinaldo di un Osservatorio Grafico ...................................................... pag. 62
16 – Franamento di parte delle mura cittadine- Costruzione del nuovo mattatoioVisita del Cardinale Coppello ......................................................................................... pag. 63
17 – Istituzione della Cantina Sociale Val Di Nevola ............................................................. pag. 64
18 – Suggestiva cerimonia in onore di due valorosi caduti .................................................... pag. 66
19 – Invito al Sindaco di Corinaldo per assistere alla cerimonia del Giuramento
dei Componenti il 28° Corso Allievi ufficiali di Complemento di Lecce ....................... pag. 68
SANTUARI ATTUALMENTE ESISTENTI NELLA CITTA’DI CORINALDO :
1- Chiesa parrocchiale di S. Francesco .................................................................................. pag. 71
2- Chiesa di S. Agostino ........................................................................................................ pag. 73
3- Santuario della Beata Vergine Addolorata ....................................... ................................ pag. 75
4- Descrizione della Cripta .................................................................................................... pag. 78
5- Chiesa del Suffragio .......................................................................................................... pag. 80
6- Chiesa di S. Anna .............................................................................................................. pag. 81
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Segue indice o indice dei nomi
ALESSANDRINI Biagio ...................................................................................................... pag. 86
AMATI Pierleone .................................................................................................................. pag. 86
BONI Giovanni ...................................................................................................................... pag. 83
BOSCARETO Nicolò ............................................................................................................ pag. 83
BRUNORI Viviano ................................................................................................................ pag. 86
BUONOMO Giovanni ........................................................................................................... pag. 86
CAMILLO Giovanni .............................................................................................................. pag. 84
CLEMENTE Cinzio ............................................................................................................... pag. 89
CIMARELLI Cristofore ......................................................................................................... pag. 88
CIMARELLI Mausulio .......................................................................................................... pag. 83
CIANI Alarico ........................................................................................................................ pag. 90
CIANI Guido .......................................................................................................................... pag. 90
FRANCESCHINI Giovanni ................................................................................................... pag. 83
FATA Giovanni Andrea ......................................................................................................... pag. 85
FATA Marco Antonio ............................................................................................................ pag. 85
FATA Simone ........................................................................................................................ pag. 84
FONTINI Cristoforo I ............................................................................................................ pag. 86
FONTINI Cristoforo II ........................................................................................................... pag. 88
FONTINI Giacomo ................................................................................................................. pag. 88
MAGINI Cesare ...................................................................................................................... pag. 89
ORLANDI Angelo .................................................................................................................. pag. 84
ORLANDI Panfilo .................................................................................................................. pag. 84
ORLANDI Silvio .................................................................................................................... pag. 85
PANTA Lodovico..................................................................................................................... pag. 85
PICCINO Nero ....................................................................................................................... pag. 83
RANIERI Filippo .................................................................................................................... pag. 87
RIDOLFI Claudio ................................................................................................................... pag. 89
SANDREANI Pietro ............................................................................................................... pag. 84
SANTARELLI Andrea ............................................................................................................ pag. 88
SANTARELLI Mario .............................................................................................................. pag. 87
SFORZA Guido ....................................................................................................................... pag. 90
SIMONETTI Camillo .............................................................................................................. pag. 87
SPADONI Paolo ...................................................................................................................... pag. 89
TARDUCCI Achille ................................................................................................................ pag. 87
TARDUCCI Panta ................................................................................................................... pag. 88
TARDUCCI Pier Antonio ....................................................................................................... pag. 86
90
Bianca
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Finito di stampare
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nel mese di ……..
presso la
………………
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