Scuola Elementare Anna Frank - Torino
Incontro con la Biologa prof. Maria ARCA' del 23/02/2001
LA COMPLESSITA' IN BIOLOGIA
Il titolo che avete dato a questo seminario non permette di essere troppo banali. Facciamo un
discorso per adulti e cerchiamo perlomeno di renderci conto di come affrontare, noi in primo
luogo, una idea di complessità ; poi, se avremo tempo, penseremo a come far capire cosa
significa "complessità" ai ragazzini.
Io vorrei trattare questi tre punti:
- un'idea di complessità in generale;
- un'idea della complessità in biologia,
- discutere e dire come immaginiamo noi la relazione tra genetica e ambiente, cioè tra due
complessità che si fronteggiano e si parlano tra loro.
Attualmente questa relazione (complessa) sta diventando un argomento terribilmente di moda, ma
anche terribilmente problematico per gli adulti e per i ragazzini . Ci sono discussioni sul progetto
genoma; ci sono discussioni eterne su che cosa è vivo e che cosa non è vivo, su che cosa la ricerca
biologica deve fare e che cosa non deve fare, sui pericoli presenti e futuri.
Se è vero che oggi si possono modificare i genomi, questo rappresenta un nuovo modo di
avvicinarsi al disastro ecologico o porterà alla salvezza di tutti i malati, con conseguente sconfitta
della morte? Mi sembra che da persone adulte, grandi, colte e ragionevoli possiamo approfittare di
questo momento per cercare di tirar fuori i nostri problemi e le nostre non-conoscenze su questo
argomento, sapendo che come andranno veramente le cose non lo sa nessuno. Nemmeno il
professor DULBECCO e la professoressa MONTALCINI sanno esattamente, non solo come
stanno le cose, ma neppure come andranno nel futuro. Per questo io trovo molto colpevole in loro
una sorta di prosopopea esagerata, una sicurezza che, se tende a garantire i loro obiettivi da
ricercatori, dimostra però poca attenzione alla complessità del problema che stanno affrontando.
E' chiaro che abbiamo sempre parlato della complessa varietà del mondo e dei tanti punti di vista
da cui il mondo stesso può essere guardato, ma dovremmo praticare noi, e chiedere ai ragazzini di
praticarla a loro volta, una sorta di modesta consapevolezza dei limiti dei nostri modi umani di
pensare e quindi, come dire, essere un po' cauti nell'affermare che quello che noi pensiamo sia la
vera verità sulle cose. A seconda delle nostre conoscenze e delle nostre ideologie possiamo
affrontare i problemi con sempre maggiore disinvoltura, ma senza la prosopopea di dire:
"Siccome io sono scienziato, io so la verità assoluta sulle cose".
Se io dovessi fare un'indagine, cosa che non farò, su che cosa un insegnante intende per insegnare
scienza, io credo che verrebbe fuori la speranza di una sicurezza garantita sulla vera verità delle
cose di scienza, e c'è una tacita connivenza tra chi cerca sicurezze e chi le propone. Chi è che
pensa che insegnare scienza vuol dire incitare al dubbio? Chi è che crede che insegnare scienza
vuol dire accettare (e valutare) una molteplicità di spiegazioni su uno stesso fatto?
In realtà, oltre alla malriposta sicurezza che le cose vadano come dicono gli scienziati ( o i
giornalisti), vale la pena di aiutare i bambini a capire che anche quello che c'è scritto sui libri può
essere analizzato con un minimo di ragionevolezza; che anche quello che dice la maestra può
essere in qualche modo meditato o rimesso in discussione, validato o confermato dalla esperienza.
Siamo abituati da troppo tempo a pensare che ciò che dice la Scienza è indiscutibile. Dobbiamo
cercare di costruire una sorta di modalità di ragionamento con i ragazzini, in modo che anche le
cose apparentemente più sicure possano essere messe in discussione, magari per arrivare alle
stesse conclusioni da cui si è partiti, ma proponendo argomentazioni convincenti, che portino ad
una appropriazione meditata delle conclusioni stesse. E' diverso spiegare che ci sono delle buone
ragioni per cui gli scienziati pensano che le cose stiano in un certo modo, o spiegare che, siccome
lo hanno detto gli scienziati, le cose stanno esattamente così. E, purtroppo, serve fatica e cultura
per farsi una opinione sensata sui tanti problemi di oggi e non lasciarsi trascinare da paure,
allarmismi o ideologie fondamentaliste.
Per parlare di complessità, guardiamo che cosa è successo in tempi non poi tanto antichi. Mettiamo
a confronto approcci di tipo filosofico e approcci di tipo scientifico. Da una parte la filosofia della
conoscenza si domanda: " Ma le nostre strutture mentali sono veramente capaci di capire la realtà
del mondo così com'è?". Da qui partono tutti i discorsi che voi fate fin dalla scuola dell'infanzia,
sulla percezione come base per organizzare conoscenza. Quello che io percepisco con le mani, con
gli occhi... mi dà la vera verità sul mondo? Ed io, bambino di tre anni, con le mie mani, naso,
bocca, come riesco a capire il mondo?
I lavori sulla percezione hanno senso non tanto per imparare a dire che con gli occhi ci si vede e
con le orecchie ci si sente, ma per capire come queste informazioni, "inviate" dal mondo, ci
permettono di costruire dei modelli più generali di conoscenza, che andranno raffinati e
perfezionati includendo nuove informazioni e considerazioni. I teorici della conoscenza
propongono modelli sempre più complessi sul funzionamento della mente, invocando processi di
memoria, nuclei di conoscenze evolutivamente antiche, meccanismi del funzionamento del
cervello. Ognuno di noi, credo, ha ragione di stupirsi pensando a come il nostro cervello possa
avere accesso alla vera verità sui fatti. Contemporaneamente gli scienziati propongono nuovi
modelli di fatti, cioè cercano di aggiornare in continuazione le teorie che spiegano e interpretano
coerentemente i vari aspetti della realtà.
Credo che, parlando di scienza ai ragazzini, sia importante sapere che, da qualunque punto si
parta, è possibile andare all'indietro per capire come "la vera strada è giusta" (quella di oggi) si
innesti sulle strutture di pensiero e conoscenza che l'avevano preceduta, per vedere la scienza
sempre al passo con la cultura e le esigenze del momento, tutte coinvolte in processi di reciproca
modificazione: per sapere che tutta la nostra conoscenza si costruisce a partire da qualcosa che già
c'è, che il mondo in cui viviamo stimola continuamente nuove conoscenze e che le conoscenze, a
loro volta, costruiscono nuove realtà (anche materiali e tecnologiche). Il punto zero, che sarebbe
così piacevole da raggiungere per poter finalmente partire da capo e costruire la vera verità
scientifica giusta, non c'è.
Questo devono saperlo anche i ragazzini, perché spesso, a loro, manca la consapevolezza della
scienza come processo interpretativo. Complessità vuol dire anche che, secondo me, è inutile
sperare di trovare l'unico modello giusto del mondo. E' inutile sperare di trovare il modello zero o
il modello totalizzante che ci dice come veramente stanno le cose. E' più difficile, ma anche più
fascinoso, accettare una sorta di inseguimento continuo tra quello che si pensa e quello che si
vorrebbe spiegare; perché più si vede e più si pensa, e più si pensa e più si sa vedere… e la
conoscenza è sempre contemporanea al suo tempo, e non ha un principio e una fine in sé. Principio
e fine, per ognuno di noi, coincidono con la nostra nascita e la nostra morte, mentre, nel periodo in
cui siamo vivi, possiamo prendere e fare nostro quello che gli altri hanno capito prima ed insieme
con noi. Solo il Faust di Goethe, in un momento della sua vita, ha potuto dire <fermati, sei bello>
all'attimo in cui pensiero e realtà coincidevano, a quello in cui a lui sembrava di avere trovato il
massimo della comprensione o del proprio essere adeguato al mondo. Di solito, non succede.
Ognuno, nel suo correre alla ricerca della conoscenza, cerca di capire sempre più e sempre meglio
il mondo che ha intorno; quando si nasce, si comincia questo percorso di corsa ma, quando si
muore, si è ancora lontanissimi dall'aver capito un gran che.
Anche oggi, nel piccolo gruppo, dicevamo che per capire qualcosa, si cerca di oggettivarla. Si fa
finta che non sono più io a percepire le mele e le arance o i dinosauri o quel che è. Si fa finta che
qui sono io e qui io finisco; qui comincia la mela, ed io cerco di conoscerla "oggettivamente",
proiettando su di lei le mie strutture di conoscenza; tento di capirla riferendomi non alla mia
percezione della mela, ma a lei, come se fosse una realtà in sé. E' abbastanza divertente questo
tentativo di staccare da se stessi una parte che era profondamente dentro se stessi, ricostruire
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mentalmente la mela in base a quello che avevamo percepito, toccato, ri-organizzandola in noi
stessi… e poi trasferire "oggettivamente" alla mela le nostre percezioni sulla mela. Il problema
della conoscenza oggettiva è: Che cosa si "rende oggetto" staccandolo da noi? Come facciamo a
farlo? Da chi - da che - bisogna staccare le cose da conoscere? Come riattaccarcele nella mente, in
modo che abbiano una loro autonomia?
Così, per la mela in sé o per il genoma in sé, diamo in realtà delle interpretazioni che risentono
profondamente della nostra umana soggettività, dei meccanismi tipici della nostra mente implicati
nella loro comprensione, nella coerenza che desideriamo.
Questo è un discorso molto complicato, ma sembra che valga la pena di provare a mettere
veramente in discussione il complesso problema della relazione tra conoscenza oggettiva e
soggettiva.
Una volta realizzato il distacco tra il se e l'oggetto della conoscenza, bisogna attivare le strategie
dei procedimenti analitici. Analizzare vuol dire individuare le parti di un insieme e questo
processo, di solito, porta a schematizzazioni che amputano la realtà di tutte le caratteristiche che
non possono essere ricondotte a quelle del suo modello mentale corrispondente.
Questo è un bellissimo giro di parole, ma proviamo a pensare a cosa significa.
Si osserva un certo fenomeno: pensate a Galileo che, dopo aver ben giocato con le palline su un
bellissimo piano inclinato si fa un suo modello del movimento delle palline stesse. Si fa un
modello del fenomeno, ma poi dice: "Perché il mio modello possa funzionare, il piano non
dovrebbe avere attrito". Il piano non è senza attrito, però lui individua le operazioni mentali
necessarie per costringere la realtà ad entrare nel suo modello, immaginando cosa dovrebbe
succedere se l'attrito non ci fosse, o imponendo mentalmente alla realtà delle condizioni non reali.
Si fanno modelli a partire da osservazioni accurate di una realtà sporca, poi tolgono dalla realtà le
sporcizie che impicciano, e si fa sì che il modello e la realtà coincidano, di solito secondo una
regola.
A volte questo processo è abbastanza facile, altre volte è più complicato, ma è una cosa di cui tutti
abbiamo esperienza. Ogni volta che andiamo su un libro a cercare la risposta ad una domanda che
nasce da osservazioni reali, assai raramente troviamo la risposta che ci interessa, perché la risposta
è formulata su modelli e la domanda è formulata su una realtà sporca. Noi non chiediamo al libro
una spiegazione generale, ma una che si attagli ai fatti nostri. Il libro, invece, guarda una realtà già
depilata di tutte le cose che danno fastidio, di solito quelle da cui nasce la nostra domanda.
Questo cambio di punto di vista nasce da un gioco cognitivo molto importante ma noi dobbiamo
aiutare il bambino a saperlo giocare. Quando leggono la striminzita descrizione del corpo umano
sul loro libro, non possono fare riferimento al funzionamento di un vero corpo umano (magari il
loro), ma ad un modello in cui entrano, più o meno stretti, tutti i corpi umani. Nessuno ci combacia
perfettamente, ma tutti, più o meno, ci si possono riconoscere.
Vorrei sapere se su questo siamo d'accordo, perché nella comune idea di progresso, si cerca di
guardare quello che avviene davanti a noi, cercando di trovare le parole giuste per catturarlo, per
farlo entrare di misura nei modelli che già abbiamo, e si guardano meno le parti di realtà che non
entrano bene nel modello. Il lavoro sul linguaggio che accompagna la conoscenza scientifica è
proprio quello di trovare le parole adatte ad acchiappare pezzetti di realtà rendendoli compatibili
con i nostri modelli di conoscenza.
A questo modo di guardare le cose si contrappone quello della complessità, che prende atto di una
sorta di inadeguatezza del pensiero umano a capire la vera verità sul mondo. Molti aspetti di
realtà, che venivano semplificati da modelli di tipo deterministico, stanno presentando tutta la loro
complessità e i modelli risultano inadeguati. Nella conoscenza dei fenomeni complessi, assumono
straordinaria importanza elementi aleatori, imprevedibili, probabilistici.
Ricordate la famosa storia della farfalla che sbatte le ali in Giappone e provoca terremoti in
America.
La metafora è importante, ma potrebbe portare ad accusare le farfalle di fenomeni complessi,
deresponsabilizzando i veri responsabili. La storia della farfalla serve per capire che non tutto
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quello che succede è prevedibile, che non possiamo trovare le cause di tutto quello che capita,
perché il mondo non è un orologio che funziona con rigide strutture di causalità. Ci sono processi
che si incastrano l'uno nell'altro, ed ogni fenomeno è risultato di cause ed effetti non sempre
immediati o vicini. Se io sono un elemento di una struttura complessa, quando faccio una mossa,
quello che sta a fianco a me è costretto a farne un'altra che dipende dalla mia. Quando si parla di
complessità, si parla di sistemi funzionanti costituiti da elementi legati da reciprocità, che tutti
cooperano al funzionamento complessivo. Di solito non sono elementi con funzionamenti
rigidamente automatici ma responsabili di processi che si intrecciano e si coordinano
reciprocamente, adeguandosi a ciò che hanno intorno, risentendo delle condizioni complessive in
cui funziona il sistema.
Provate a pensare, sempre didatticamente parlando, quanto tutto questo porti ad un cambiamento
nel modo di insegnare il corpo umano ai bambini piccoli. Il corpo umano non è un sacco in cui
sono disposti, sia pure in bell'ordine, un fegato, un rene, un intestino e altro; non è un insieme di
organi che si possono incastrare tra loro come nell'omino di gesso che sta in tutti i laboratori
scientifici. Il corpo è un sistema in cui il mio sangue si accorge se io ieri sera ho mangiato la
cioccolata o no, in cui il mio funzionamento complessivo risente del funzionamento delle singole
parti. Non ci sono apparati isolati, ma c'è un organismo in cui gli apparati dialogano tra di loro,
ognuno a suo modo, ognuno con la sua storia, ognuno sensibile alle condizioni ambientali
complessive, e quasi mai al massimo delle proprie potenzialità. Ogni organo porta in sé le tracce
del modo in cui si è sviluppato nel tempo per arrivare a come è ora e a come non sarà domani,
perché domani il suo funzionamento risentirà di quello che sta succedendo ora all'intero insieme e
a ciascuna delle sue varie parti.
La loro intrinseca complessità induce a guardare in modo sistemico l'economia, l'ambiente, il
corpo, l'universo in quanto tale.
Per ogni sistema si può dire che, in questo momento, sembra che le cose stiano andando in un
certo modo, ma domani saprò se quello che penso oggi era corretto, mentre oggi non posso essere
certa di quello che domani succederà. Questo è molto importante, perché mette l'uomo in una
condizione diversa nei confronti del mondo, togliendogli buona parte del suo cosiddetto dominio
sulla natura, e mettendolo cognitivamente in una condizione di imprevedibilità e fragilità, di
attenzione a quello che succede. Non è che l'uomo sia maligno di natura né è vero che sempre,
come si muove, combina danno; è proprio l'insieme delle cose che non riusciamo a prevedere che
ci tiene in condizione di incertezza, e siamo capaci di chiamare danno tutto quello di cui non
vediamo effetti positivi immediati. Provate però a pensare che ogni tanto in cucina succede che
mettendo insieme degli ingredienti venga fuori un saporino meraviglioso, non è detto che delle
cose mai fatte prima debbano per forza essere negative. Può venire qualche cosa di molto gustoso
che - fuor di metafora - possiamo chiamare anche evoluzione, oppure condizione attuale prodotta
dall'evoluzione; gli ingredienti li conosciamo perché sono attivi fin dalla origine della vita, ma
messi insieme in modo imprevisto e imprevedibile, danno origine a qualche cosa di nuovo, di
eccitante, di positivo che, per una volta, ci dà tanta di quella soddisfazione che vorremmo non si
modificasse mai più.
E' questo l'atteggiamento di sfida verso la conoscenza che bisognerebbe comunicare ai ragazzini,
non tanto un cumulo di nozioni, ma la capacità di domandarsi: con quello che so, come mi figuro il
mondo? come mi figuro le cose che devono ancora succedere? come mi figuro il mio dentro…?
Quando diciamo che ci vuole molta immaginazione per fare scienze, diciamo che non vogliamo
trovare subito la regoletta: la regoletta si trova dopo aver immaginato e vagliato centomila
possibilità, centomila possibili eventi che solo dopo, eventualmente, si vanno a razionalizzare o a
chiudere in uno schema.
Su un libro che stavo leggendo ieri c'è una frase che mi ha colpita: parla di un padre che avrebbe
voluto che suo figlio, ancora piccolo, non imparasse mai a parlare, perché voleva costruire con lui
un linguaggio dove ogni cosa avesse una sua parola, con un significato particolare e importante. Il
figlio impara normalmente a parlare e il padre pensa con tristezza che tutte le volte che il figlio
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pronuncia la parola luce, non avrà più parole per rilevare tutte le sfumature di ombre e penombre;
le variazioni e le sfumature della luce non potranno mai più essere espresse, sommerse in una
parola troppo generica, troppo grande, che le comprende tutte e le ammortizza. Il figlio ha perso
per sempre l'opportunità di parlare delle infinite sfumature di luminosità che chiunque sa
riconoscere nella luce, ma che non sa trovare dentro l'unica parola luce. Mi è sembrata una cosa
molto bella. Certe volte, si sente il bisogno di parole flessibili, adatte alle sfumature, alle idee che
non si riescono a spiegare tanto bene.
Questo ci porta ancora ad affrontare il discorso sulla complessità biologica con maggiore
consapevolezza, per trovare significati alle idee di interazione, di aggiustamento alle circostanze,
di adattamento alle situazioni.
Quindi, pensate da vere maestre a che cos'è la biologia. Gli indici dei libri elencano le nozioni più
disparate.
La biologia nasce come scienza grande, rivolta a comprendere la complessità della vita sulla terra;
ma diventa l'insieme di nozioni e nomenclature più noiose dell'universo appena entra in un testo
scolastico. Allora bisogna farla uscire dai libri e farci parlare sul serio di quello che ha capito.
Sentiremo un racconto che comincia con la storia della vita sulla terra, che ci parla della
trasformazione delle specie, dell'evolversi nel tempo delle strutture viventi organizzate. Ci parlerà
della genetica, della nostra fratellanza con tutte le altre specie esistenti.
Siamo quello che siamo perché la nostra specie ha un suo patrimonio genetico e siamo quello che
siamo perché la nostra specie è stata continuamente modellata dalle condizioni ambientali. Si
comincia a ragionare mettendo insieme due atteggiamenti abitualmente contrapposti. Proviamo a
pensare alle nostre differenze individuali: E' vero il mio genoma sarà un po' diverso dal tuo, o dal
suo, ma non è vero che ho un gene per ogni tratto del mio carattere ( ecco la povertà della
scomposizione analitica). I geni non sono come dei distintivi che si appuntano sulla giacca. Se non
si ha un'idea della complessità del genoma, e non vede come ogni pezzo di genoma non fa altro
che discutere con gli altri ricevendo o non ricevendo il permesso di esprimersi , contrattando con
l'intero sistema per sapere come funzionare e come organizzare i suoi prodotti in una precisa
parte del corpo, è difficile vedere nel suo insieme la potenza dell'azione organizzatrice del
genotipo.
Sapete che cos'è un genotipo? Andiamo ancora indietro e proviamo a pensare a questa strana
molecola chiamata DNA. Come si può immaginare e spiegare ai ragazzini che il DNA contiene le
informazioni per costruire un organismo vivente? Questa è una frase tranello, perché sembra
chiarissima, ma non significa niente. Per arrivare a capire cosa significa, ci vuole tempo
competenza e fantasia. In termini piuttosto riduttivi, nel DNA di ogni cellula sono attive le
informazioni che permettono di costruire le proteine di quella cellula e tutta la strumentazione
molecolare (altre proteine, segnali molecolari ed altro) che consentono di costruirle.
In termini ancora più riduttivi, per ogni cellula una certa sequenza (in nucleotidi) del DNA
(attraverso vari passaggi che coinvolgono altre molecole chiamate RNA) dà luogo ad una precisa
sequenza di aminoacidi (proteina, con o senza funzioni enzimatiche). Il messaggio in nucleotidi
significa per la cellula ( o per certe sue parti specializzate chiamate ribosomi): incolla questi
aminoacidi in questa successione. Questo vale per migliaia di proteine diverse, e si dice quindi,
generalizzando, che il DNA porta le informazioni necessarie per costruire certe proteine, nei
tempi e nelle quantità opportune. Bisogna però ricordare che una parte dei meccanismi (ribosomi)
che permettono di incollare nel modo giusto gli aminoacidi per formare proteine sono a loro volta
composti da proteine e che l'informazione per costruirle si trova nello stesso DNA.. (Il DNA
contiene anche informazione per costruire molte molecole di RNA, ma non è il caso di parlarne)
Proviamo a pensare cosa succede in un uovo fecondato: tutti avrete guardato con i ragazzini lo
sviluppo dell'uovo di pulcino o della rana.
Si dice che quando avviene la fecondazione nell'ovulo, il patrimonio genetico del papà si unisce a
quello della mamma e si forma un organismo (con un suo genoma) completamente differente sia
dal papà che dalla mamma, ma, come tutti i bambini sanno, dall'uovo di gallina nascerà un pulcino
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e dall'uovo di rana nascerà un ranocchio. Provate ad immaginare cosa significa il fatto che una
cellula piccolissima, minuscola, non tutto l'uovo o tutto il tuorlo, ma quella cosetta che i bambini
chiamano "l'occhio del pulcino", quel cerchiolino bianco immerso nel tuorlo, diventi pulcino e
non dinosauro, ma con qualche piccola cosa in comune con i dinosauri. Cosa deve succedere
perché questo processo magico e incomprensibile si realizzi? Immaginiamo come vogliamo lo
scambio di informazioni all'interno di questa cellula che, ad un certo punto, si divide in due;
sappiamo che poi ognuna di queste due cellule formerà una metà di pulcino, e quando ancora
ogni metà si dividerà in due le cellule di sopra formeranno la testa e le ali e quelle di sotto, le
zampe. Come avvenga, passo passo, la moltiplicazione delle cellule ed il loro differenziamento, in
realtà non si immagina neppure, ma guardando come viene rappresentata modernamente una
cellula, si può notare la quantità enorme di canali e canalini che ne attraversano la membrana per
lasciare o non lasciare passare molecole-messaggio di cui la cellula riceve informazioni per
cambiare e differenziarsi.
Abbiamo a che fare con vari tipi di informazioni: quelle che provengono dall'ambiente, cioè da
altre cellule e quelle "contenute" nel DNA. Ci dobbiamo occupare di quelle che servono per fare
proteine e di quelle che controllano il modo in cui vengono fatte le proteine, che a volte sono
proteine esse stesse, a volte sono molecole d'altro tipo, a volte sono formate da sequenze di
nucleotidi sul DNA, a volte sono piccole molecole che entrano nella cellula per modificarne il
funzionamento.
L'informazione non ce l'ha o non la contiene il DNA in sé; piuttosto c'è informazione (nel DNA),
se i meccanismi interni alla cellula stessa la usano (o la leggono - formando dei prodotti), e se i
prodotti di altri DNA in altre cellule attivano o bloccano questa lettura, il funzionamento di quella
cellula ( per quanto riguarda la lettura del messaggio) ne viene modificato. La biblioteca di Babele
contiene informazioni nei libri, ma se nessuno viene a leggerli, i libri sono solo di carta da
riciclare.
Per messaggio genetico, quindi, s'intende una informazione molecolare; e per informazione si
intende, fattualmente, questo: se c'è e viene letto un certo messaggio, la cellula fa una cosa
(proteina), se il messaggio non c'è o non è attivato, non la fa; se arrivano da fuori messaggi di un
certo tipo, la cellula cambia il suo funzionamento molto velocemente; se è di un altro tipo, lo
cambia lentamente. Più in generale, un segnale è una "cambiamento" di qualcosa che, cambiando,
induce cambiamento in qualcos'altro. Così il DNA "contiene" informazione se e solo se ci sono le
strutture in grado di leggerle, ed i segnali per il DNA , che regolano il modo in cui viene letta
l'informazione, ne modificano in parte la forma o il comportamento in maniera conseguente,
eventualmente modificando il comportamento di qualcos'altro che a sua volta agirà su quel DNA.
E' proprio il trasferimento continuo di informazioni (cambiamenti che producono cambiamenti…)
che rende possibili i funzionamenti complessi ( oltre a qualcosa chiamata energia, legata a
strutture di materia). Il DNA in sé non avrebbe alcun significato (e in una provetta smette di
averne) se non ci fosse un apparato di lettura continuo che racconta e mette in opera, momento
per momento, il significato del messaggio.
Se una proteina-segnale si attacca ad una certa struttura del DNA, succede una cosa, se una
proteina può scorrere sul DNA succede una cosa; se non può scorrere, la cosa non succede; se
scorre in fretta, la cosa succede rapidamente, e se scorre piano, la cosa succede poco. Indichiamo
metaforicamente come "lettura dell'informazione" i vari tipi di interazione tra proteina e DNA ,
ricordando che questa informazione permette di costruire una specifica proteina ma che
l'informazione perché questa informaziojne porti al suo prodotto è, a sua volta, contenuta nello
stesso DNA.
Pensiamo al nostro uovo che si comincia a dividere. Immaginate che ad un polo dell'uovo ci siano
i cromosomi di mamma e papà, pronti ad accoppiarsi e a mescolarsi insieme. Rapidamente i due
nuclei si fondono e, una volta che si sono fusi, si ridividono (ma in modo diverso da prima) e
l'intero uovo si divide in due metà, e poi ciascuna ancora si divide a metà. Ora ci sono quattro
cellule che hanno già il destino segnato: quello che c'è dentro l'uovo (nel citoplasma) ancora prima
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della fecondazione non è omogeneo; al polo superiore ci sono delle sostanze che non sono
presenti nel polo inferiore. Quindi le quattro parti sono già differenti, e mano a mano che le
cellule si continueranno a dividere, anche se il loro DNA è uguale, i loro citoplasmi saranno
diversi e il messaggio del DNA sarà letto in maniera differente nell'una o nell'altra cellula. Tutti
sanno, e sta scritto sui libri, che tutte le cellule di un organismo hanno DNA identico, ma è molto
importante sapere che lo stesso DNA trasmette informazioni differenti (è letto in modo differente)
a seconda del sistema che ha intorno; la lettura delle informazioni è condizionata da quello che c'è
nel citoplasma e da messaggi che arrivano dall'esterno della cellula stessa.
Ogni cellula può dividersi in altre due, ciascuna poi comincia a differenziarsi, cambiando forma e
funzione. Per esempio, immaginiamo che una piccola cellula rotonda dovrà diventare un cellula
muscolare, e deve fare questo in un posto preciso, guidata da messaggi molecolari che le arrivano
dall'esterno, e che sono messaggi in quanto attivano funzionamenti e messaggi interni. Se la cellula
diventa fibra muscolare senza controllo, in un posto sbagliato e in un momento sbagliato
l'organismo non funziona più bene. Ogni cellula deve migrare nel posto giusto, crescere, diventare
adulta , differenziarsi nel posto giusto e morire quando è il suo tempo.
Ci sono delle relazioni strettissime tra le informazioni contenute nel DNA per fare le proteine e le
molecole-segnale che passano attraverso la membrana cellulare, e che vengono trascinate
all'interno. Qui trovano una rete delicatissima di fibre e tubuli che costituiscono l'impalcatura del
citoplasma cellulare. Bisogna immaginare, all'interno della cellula,
un continuo vibrare di
molecole grandi e piccole, in contatto l'una con l'altra, circondate da acqua e ioni, senza spazio
vuoto. Ci saranno molecole proteiche pieghettate a organino, ci saranno molecole a forma di elica,
ci saranno ioni carichi elettricamente, piccole molecole neutre… tutto sarà comunque
un'agitazione termica che tiene l'interno di ogni cellula in continuo movimento. Le molecole si
urtano, si spingono, reagiscono l'una con l'altra con una certa energia. Ma chi si immagina il DNA
come una scala a pioli può poi immaginarsi la molecola che si attorciglia, che si svolge e si
avvolge su se stessa? Chi immagina che il DNA abbia questa incredibile dinamica funzionale?
Come immaginare la precisione con cui momento per momento ci costruiamo e funzioniamo?
Entriamo più specificamente nel Progetto Genoma Umano. Sapete cosa hanno fatto gli studiosi del
genoma umano? Che vuol dire decifrare un genoma? Cosa può essere successo?
- Maria Arcà fa passare delle fotocopie del nucleo di una cellula.
Qui è rappresentato il nucleo di una cellula in cui si vedono le varie porticine per il passaggio delle
molecole, e dentro la grande molecola del DNA che in questo caso e in questo momento non sta
facendo duplicazione.
Tutte le donne che hanno fatto l'amniocentesi hanno visto la mappa cromosomica del loro
bambino: prelevando una piccola quantità di liquido amniotico, in cui ci sono cellule fetali, si
mettono in evidenza i cromosomi del feto per individuare anomalie. Ma il DNA della figura non è
in forma di cromosoma. E' una molecola a forma di doppio filamento avvolto su se stesso,
talmente lungo che ogni cellula umana ne contiene circa 3 metri.
Nel nucleo a riposo, il DNA si trova ravvolto intorno a dei "rocchetti" di proteine chiamati
nucleosomi.
Probabilmente ricorderete che il filamento di DNA è composto dalla successione di soltanto
quattro nucleotidi, (una parola lunghissima scritta componendo soltanto quattro lettere: ATGC)
attaccati l'uno all'altro, in una fila lunga quanto tutto il DNA. Gli studiosi del genoma hanno
identificato l'ordine in cui sono disposti i nucleotidi lungo tutto il filamento di DNA, e hanno
riportato su computer una fila lunghissima (3 miliardi di lettere) di CAGCATTCCA … seguendo
l'ordine in cui questi nucleotidi si susseguono nel genoma umano. Ma cosa vuol dire umano?
Hanno preso il DNA di un uomo normale? No, il genoma umano è un genoma "medio", non è un
vero genoma umano di una persona. Il materiale utilizzato sono cellule in coltura, prelevate da un
uomo vero tanti anni fa. Quando io parlo di genoma o di genotipo non parlo di un singolo gene,
ma dell'insieme di tutti i geni che determinano un preciso individuo, l'insieme di tutte le
informazioni presenti in ogni sua cellula, sia che vengono lette, sia che non vengono lette, sia se
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vengono espresse sia se non vengono espresse, e quando parlo di genotipo, intendo le
caratteristiche genetiche di quella persona. Il genoma umano è ancora una schematizzazione di
genotipo, per cui assomiglia in buona parte a quello di tutti gli uomini, però non è precisamente di
nessuno ed è compatibile con un'idea media di informazione genetica tipica di un umano. Quindi
la sequenza di nucleotidi decifrata dal Progetto Genoma assomiglia in media alla sequenza del
DNA di ciascuno di noi, ma non è identica a quella di nessuno di noi. Trovare l'ordine di tre
miliardi di nucleotidi è stato lungo e faticoso; ma basta conoscere questa sequenza per farsi una
idea di come funziona un organismo, o anche soltanto una cellula? Basta individuare gli elementi
della struttura a doppia elica per avere accesso alle informazioni contenute nella molecola? Tutti
sanno che c'è una relazione funzionale tra un gene e una proteina; ma basta individuare i geni e le
proteine per sapere come funziona un organismo?
La sequenza di basi è importante, ma è ancora più importante decifrarne il significato. La doppia
elica è importante, ma il DNA cambia forma nel nucleo anche a causa del continuo movimento
molecolare. Il DNA è formato da due filamenti avvolti ad elica su se stessi: ma cambiando forma o
conformazione, cambia anche il suo significato. E' come una faccia: fino a che una faccia ha una
stessa espressione significa una stessa cosa, ma se ne storci un pezzo, ne significa un'altra. La
sequenza di nucleotidi resta identica, ma il modo con cui si dispone nello spazio (avvolta o no sui
nucleosomi, aperta o chiusa..) dà informazioni differenti. Le informazioni per costruire proteine
vengono chiamate messaggi, ma come sapere quando un messaggio molecolare comincia e
quando finisce? Come sapere se il DNA di questa cellula, uguale al DNA di quest'altra , manda
informazioni per fare proteine da muscolo, da capello, da collagene? Come si bloccano le
informazioni che non servono e come si attivano quelle che servono? Le informazioni ci sono
sempre tutte, ma non è facile capire quali messaggi sono bloccati e quali sono attivi in ogni cellula,
come cominciano e come finiscono i diversi messaggi, come vengono attivati o bloccati da
esigenze/messaggi esterni.
Si capisce la problematicità di questo? Non sappiamo come, quando, e perché un DNA inizi a fare
proteine muscolari, portando una cellula "normale" a differenziarsi come cellula muscolare. E
questo deve succede in un momento molto preciso dello sviluppo, mentre altre cellule si
differenziano nello stesso modo (diventano cellule muscolari) ed altre in modo diverso, (per
esempio formando tessuto osseo); nel luogo e nel posto appropriato, in relazione ad informazioni
che devono venire dall'interno e ad altre che devono venire dall'esterno, da cellule vicine che
devono accordarsi per formare una struttura complessa. E' come se le cellule si dicessero: "Sai,
noi stiamo insieme e stiamo facendo il braccio, io faccio un po' di tessuto osseo, tu fai un po' di
tessuto muscolare, voi fate la pelle, perché lei che sta arrivando da lontano farà un po' di tessuto
sanguigno". Tutte hanno lo stesso patrimonio genetico come informazione base, ma ognuna ha il
suo modo di leggerla e di utilizzarla per esserne funzionalmente organizzata.
Pensate ai vostri ragazzini che fanno riassunti diversi di uno stesso testo, letto da ciascuno in modo
diverso.
Quelli che hanno decifrato il genoma, hanno trovato soltanto 30.000 geni invece dei 100.000 che si
aspettavano. Si sono accorti, con grande sorpresa, che la complessità era tale per cui uno stesso
frammento poteva dare origine a più informazioni. Mettendo vicini dei pezzi originati da un unico
frammento di DNA si poteva costruire un'informazione e mettendone insieme altri si otteneva una
informazione diversa. Questo porta ad un'immagine di vivente costruito per moduli, il cui
funzionamento complessivo è determinato non tanto dalla presenza dei vari moduli bensì dalla
loro organizzazione. E' come se mettendo insieme un sotto-lavello, un pensile, uno sgabello
venisse fuori una cucina funzionale ma, mettendoli insieme in un altro modo si ottenesse un
arredamento funzionalmente diverso. E' importante fare capire ai bambini che il DNA ha
significato solo se sta all'interno di una cellula che comunque è sensibile alla sua presenza e che lui
esprime significati diversi a seconda di ciò che ha intorno.
Quando si danno ormoni della crescita ad un ragazzino basso, per bocca o per iniezioni, cosa
vuol dire? Cosa succede? L'ormone è una molecola molto particolare che di solito viene secreta
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dall'ipofisi e mandata in giro nell'organismo; ma se l'ipofisi non funziona molto bene, si
sopperisce somministrando l'ormone come terapia.
L'ormone di crescita entra nel sangue con i meccanismi ben noti, arriva dove ci sono le cellule
sensibili al suo messaggio e ne attiva la proliferazione. Si può immaginare che le cellule stanno sul
punto di dividersi e stanno pensando: "Mi divido o non mi divido? Sarà forse il caso o no?
Nessuno mi sta dicendo se lo devo fare o no." L'ormone entra attraverso la membrana cellulare e
viene spinto fino dentro il nucleo, passa attraverso la membrana nucleare, viene spinto ancora
finché arriva sul DNA, entra in contatto con questa molecola e vi aderisce, magari modificandone
la struttura.
Quando l'ormone lo "tocca", il DNA inizia a muoversi e appena il DNA cambia conformazione
un enzima si accorge che in un certo punto la doppia elica si sta svolgendo, si attacca in questo
punto e avvia l'intero processo di duplicazione della molecola del DNA; quando l'operazione è
conclusa, ecco che la cellula è pronta per dividersi in due…Se questo processo succede nelle
cellule appropriate, il bambino cresce: perché il DNA si duplica, le cellule si duplicano nel posto
giusto, una volta che sono duplicate, si differenziano e assumono le connotazioni di cellule adulte.
L'ormone funziona facendo crescere la persona al livello macroscopico; a livello microscopico la
molecola di ormone-farmaco va a smuovere una struttura che non veniva stimolata dall'ormone
(non) prodotto dalla sua ipofisi, attivandone il funzionamento.
Questo è una spiegazione rudimentale di meccanismo comune a molti farmaci. Queste sostanze
entrano nell'organismo e raggiungono attraverso il sangue le cellule che si stanno dividendo,
entrano dalla membrana e raggiungono il nucleo, modificando direttamente il DNA o stimolando
gli enzimi che attivano la lettura dei messaggi e costruiscono le molecole che permettono
duplicazione cellulare, o altri particolari funzionamenti.
Le parti di DNA che non portano informazioni per la costruzione di una proteina (o degli RNA), di
solito, possono invece avere altri significati per la cellula. Per questo il computer cerca di mettere
in evidenza nel DNA le parti con evidente significato e quelle che apparentemente non ne hanno.
Non è facile, perché non si può sapere se ci sono nella cellula altri "lettori" che, invece, usano
queste sequenze come punti di inizio per le loro attività, o come segnali di stop, o come veicolo di
altri tipi di informazione. La decifrazione di DNA è il primo passo per riuscire a capire quali parti
del DNA sono messaggi per proteine (o per RNA) e quali parti hanno la funzione di controllori del
messaggio, responsabili del modo in cui vengono letti i messaggi, cioè della quantità , del luogo e
del tempo corretto con cui vengono prodotte le molecole appropriate.
Quando si parla di terapia genetica, si parla di inserire dentro le cellule dei geni funzionanti che
sostituiscano quelli che determinano la formazione di prodotti non funzionali
Per realizzarla concretamente, bisogna in primo luogo identificare in un sistema cellulare un gene
responsabile di una proteina funzionante, isolarlo, e inserirlo nella cellula in cui lo stesso gene non
è funzionante, in modo tale il gene sano si vada ad inserire vicino a quello malato, o si sostituisca
ad esso disponendosi nel posto giusto e sotto il sistema di controllo giusto. Non sarebbe bene che
la proteina "sana" venisse prodotta in gran quantità da una cellula che non deve produrla per
niente. La terapia genica induce a sperare che dei geni isolati, relativi a prodotti considerati
indispensabili per la vita e lo sviluppo della cellula, possano essere isolati, purificati, identificati
nel loro messaggio e collocati nel posto giusto, accanto o in sostituzione di quello non funzionante,
in modo che al momento giusto possano sintetizzare la proteina giusta.
La ricerca non è molto avanti su questo, perché non molto tempo fa, per introdurre geni "nuovi" in
cellule vegetali si prendevano delle palline di plastica ultramicroscopiche, si bagnavano di DNA in
modo che vi aderisse, e si sparavano a caso nel nucleo della cellula e chi si è visto si è visto. Il
DNA si staccava dalle palline e stava lì in giro nel nucleo. Se c'era qualcuno (qualche enzima) che
lo tagliuzzava e lo degradava, non succedeva niente. Poteva essere il caso però, che qualche
pallina andasse nel posto giusto e, con una probabilità bassissima il nuovo gene poteva essere
incorporato nel genoma della cellula in cui era stata sparato, per funzionare grosso modo come se
ci fosse sempre stato. Questa è una tecnica che si usa ancora adesso, un po' più perfezionata.
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Adesso si cerca prendere da un organismo dei pezzi di DNA che corrispondono a geni abbastanza
ben individuati per trasportarli nel posto dove più o meno dovrebbero andare, affiancandoli al gene
da correggere o modificare; e si cerca di rendere questa procedura più precisa e affidabile
possibile.
Bisogna chiedersi qual è l'immagine di vivente che si vuole dare ai ragazzini, perché i geni
portano informazioni per fare proteine, non per determinare comportamenti come l'amore per
l'ambiente, la solidarietà o la pietà per i poveri… Queste idee sono devastanti e false. Non ci sarà
mai il gene per l'intelligenza o per l'aggressività, che potrebbero forse essere il prodotto
complessivo del funzionamento correlato di una grande quantità di geni.
A volte l'ingegneria genetica può essere pensata come la pratica di prendere da un testo una parola
corretta e cercare di inserirla in un altro testo, al posto della stessa parola scritta male. Il difficile è
metterle proprio al posto di quelle mal scritte. Ci sono parole bellissime che, però, messe in un
testo significano una cosa e messe in un altro, hanno un significato diverso. Inserite nel posto
giusto, possono far pensare ad una bellissima storia, altrimenti no. Messe in un posto diverso da
quello "mirato" possono cambiare il significato della frase in modo devastante, ma anche,
talvolta, in modo originale, creativo o prorompente. Quando questo succede spontaneamente - ed
in forma un po’' più complessa- si assiste a fenomeni di evoluzione. Noi, spesso, abbiamo del
sistema genetico un'idea deterministica e pensiamo che dato un gene (giusto o sbagliato che sia)
ne consegue inesorabilmente un certo risultato nell'organismo. Invece, dobbiamo riuscire ad
entrare con lo spirito in una idea di complessità, dove le cose significano solo se il loro ambiente
intorno è idoneo a far esprimere il loro significato. Per un gene, l'essere idoneo è un processo
abbastanza delicato, che riguarda la coerenza funzionale tra il messaggio e il contesto che lo
accoglie e se ne serve nel tempo. Come le piante, in un ambiente non idoneo, non riescono a
sopravvivere o sopravvivono male, così un gene, se non è organizzato nel suo posto, con i suoi
sistemi di controllo, con prodotti di altri geni che regolano quando lui deve o non deve essere
espresso, quando deve essere espresso tanto e quando poco, allora potrebbe comportarsi in modo
"maligno", "autistico", scombinando il funzionamento della cellula in cui è inserito o quello delle
cellule vicine che sono/non sono dipendenti dal suo funzionamento corretto. Il funzionamento
anomalo di un gene corretto, in certi casi, si verifica naturalmente, e si cerca di correggerlo
intervenendo artificialmente.
Tutta la biologia contemporanea diventa comprensibile attraverso questa visione dinamica e
continuamente in evoluzione
di funzionamenti correlati, dove le cellule aggiustano
reciprocamente le loro attività, sottomesse all'organismo ma a loro volta, spesso, "padrone"
dell'organismo. Con i ragazzini, dunque, non è molto importante parlare di una cellula isolata,
perché una cellula che non sia funzionalmente correlata alle altre, non ha significato per
l'organismo.
Non è la struttura della cellula in quanto tale che bisogna conoscere, ma bisogna sapere che i
vostri modelli di cellula sono soltanto delle schematizzazioni: i ragazzi devono sapere che le
cellule non sono solo rotonde (cerchi, o almeno palline?) ma hanno una molteplicità di forme a cui
corrispondono molteplici funzioni.
Una cellula muscolare deve potersi contrarre, cioè formare proteine contrattili, ed anche se nel suo
nucleo ci sono esattamente le stesse informazioni che in quello di una cellula nervosa, le
informazioni che la determinano come cellula muscolare sono attive, ma sono inattive quelle che
la determinerebbero come cellula nervosa.
Adesso si sente parlare di coltivare cellule staminali, che sono cellule non ancora differenziate, di
tipo embrionale, non prelevate da embrioni ma trattate in modo tale che in esse, messe in
condizioni opportune, si possano attivare dei geni e non degli altri, producendo tessuti di un tipo o
di un altro. Nel nostro corpo ci sono depositi vari di cellule staminali, ma quelle di cui si parla
dovrebbero essere prelevate dal cordone ombelicale del bambino alla nascita e coltivate per
eventuali trapianti.
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Ma cosa si considera patologico o malato a livello di DNA? Che cosa è un gene "malato"?
certamente quello che non produce una proteina standard: ma purtroppo non esistono proteine
standard. Accettando questo punto di vista, corriamo il rischio morale, non biologico , di
identificare un patrimonio genetico giusto, ammettendo che quindi ci siano i patrimoni genetici
sbagliati. Qualunque "diversità" potrebbe essere considerata un errore, ed essere attribuita alla
propria genetica, cominciando col dire: <è colpa del DNA che è malato, io non posso farci niente,
sono malate le mie cellule>. A parte le facili aberrazioni di tipo nazista, questa è una visione
deterministica che potrebbe essere corretta da una visione sistemica, evitando le facili
colpevolizzazioni. Infatti tutte queste affermazioni perdono il peso se uno dice: "Considera il tuo
organismo intero, guardalo nel suo insieme, guarda come funziona complessivamente
compensando l'attività di un singolo gene con quella di altri geni, guarda i processi di
riorganizzazione complessiva che ti permettono di vivere autonomamente, sia pure in modo un po’
diverso dagli altri…" Diventa troppo comodo dire che si può essere solo quello che c'è scritto nei
geni. Anche se ci fosse "scritta" una malattia grave, non è detto che la malattia si debba
necessariamente manifestare perché quello che succede in un tessuto o in alcune cellule può essere
compensato da quello che succede nell'insieme dell'organismo. E ritornano le idee di complessità.
Non sono il genoma in sé o l'ambiente in se a determinarci, ma l'insieme complessivo di una
interazione dialettica tra quello che c'è dentro e quello c'è fuori che organizza la struttura e il
comportamento della persona. Dare giudizi di valore che non seguano la moda del momento è
difficile: come sapere se è meglio avere i capelli neri e gli occhi marroncini oppure è meglio avere
i capelli biondi e gli occhi azzurri, oppure avere la melanina sulla pelle oppure saper digerire il
lattosio? Meglio perché e per chi? Non c'è un genoma giusto, c'è una varietà di condizioni
genetiche in interazione con l'ambiente, che sono tutte giuste ciascuna a modo suo. Se non fossero
abbastanza giuste, la persona morrebbe o almeno non avrebbe discendenza; se funziona, si parla di
evoluzione. Il manifestarsi dei geni nell'aspetto esterno ci porta alla parola: Fenotipo.
E' vero che c'è un genoma Umano, ma ogni persona ha anche una sua faccia, una sua fisionomia,
una sua apparenza esterna e ognuno ha la sua perché riflette il modo con cui il suo particolare
genoma, fin dal primo momento della divisione dello zigote, ha risposto agli stimoli dell'esterno e
ha costruito un corpo che è quel corpo e nessun altro, il fenotipo. Sul prodotto dell'interazione tra
genoma e ambiente nessuno può "comandare", perché non ci sono modi facili di intervenire sul
funzionamento del genoma, ed è difficile intervenire anche sul proprio fenotipo, cioè sulle
apparenze del corpo, determinate dalle informazioni provenienti dal genoma interno. La
rispondenza tra genotipo e fenotipo non solo tiene conto delle informazioni genetiche, ma tiene
conto, a tutti i livelli, dell'ambiente e del contesto, macro e micro, cellulare ed esterno, in cui il
genotipo si è sviluppato.
Noi ci guardiamo tutti in faccia e ci vediamo tutti diversi; ma quanto siamo diversi
geneticamente? Quanto le nostre differenze dipendono da differenze interne e profonde del
genoma? Si sa che le differenze genetiche tra l'uomo e la scimmia più vicina, sono solo del 5% , su
3 miliardi di nucleotidi un piccolo 5% di differenza porta a due organismi abbastanza diversi.
Come agisce questo piccolo 5% di differenza? Se proviamo a pensare ad un semplice cuneo di
legno lasciato in mezzo ad una strada, vediamo che non succede niente, se è messo sotto una porta
funziona da blocco, messo sotto un tavolo lo sbilancia, tirato in testa ad un signore fa un danno,
lanciato sopra un castello di sabbia, lo distrugge. Un 5% di differenza su tre miliardi di nucleotidi
sembra una piccola cosa, ma se questa differenza incide su un segnale di attivazione bloccandolo,
cioè impedendo che nell'uomo accada un processo che invece accade nella scimmia, ecco che
questa semplice differenza fa sì che certi messaggi non vengano letti, o che altri vengano letti,
cioè che alcune sostanze non vengano prodotte ed altre invece vengano prodotte. Queste
differenze hanno cause non necessariamente proporzionali agli effetti, e il 5% di differenza, che
numericamente sembra una differenza irrisoria, in realtà, nei fatti, da luogo a processi e a prodotti
molto diversi. Anche una parola messa in un certo posto può essere una bomba, ma se è messa in
un angolino dove nessuno la sente magari non fa effetto. Il punto non è sapere quanto siano
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diversi, ma dove siamo diversi, e come siamo qualitativamente differenti. Anche tra umani ci sono
differenze piccolissime ma fondamentali, fortunatamente. Però, se io mi dovessi fare un trapianto
di reni forse nessuno di voi potrebbe essere un donatore geneticamente compatibile con me
- Intervento insegnante:
Questa conoscenza del genoma, quanto ha a che fare con la clonazione?
- M. Arcà:
Per cominciare, in biologia si dice clonaggio e non clonazione. Il caso della pecora Dolly (il primo
esempio di clonaggio) si riduce a questo. E' stata presa una cellula (A) della ghiandola mammaria
della pecora Dolly, ne è stato tolto il nucleo con il suo DNA, e questo nucleo (diploide) è stato
messo in un ovulo (B) di un'altra pecora da cui era stato precedente tolto il nucleo. Questo
prodotto (nucleo di ghiandola in citoplasma di ovulo) è stato inserito nell'utero di una terza pecora
(C) che ha portato a termine la gravidanza facendo nascere la pecora Dolly che era figlia di tre
madri; una che aveva dato il nucleo, l'altra il citoplasma, e la terza l'utero; ed era un clone perché
il suo genoma era identico a quello della pecora che aveva fornito il nucleo. Questa operazione
può essere molto utile se nel nucleo impiantato nella cellula poi impiantata in utero, è presente un
qualche gene che porta l'informazione per sintetizzare una proteina importante, per esempio un
farmaco. Così si può ottenere un intero individuo dalle cui cellule si può ricavare questo farmaco
importante. Con i batteri questo si è fatto da tempo, praticamente dagli anni trenta del secolo
scorso, in modo naturalmente meno complesso. La procedura è molto facile perché dentro i batteri
si possono impiantare dei geni che permettono loro di sintetizzare proteine importanti per l'uomo.
Dal punto di vista della possibilità di clonare individui umani il costo e gli insuccessi sono enormi,
e a parte la voglia di sperimentare il procedimento sull'uomo a nessuno poi importa granché di
farlo. Nell'uomo si ottengono facilmente cloni (cioè individui identici ad altri) non con
l'inserimento di nuclei, ma dividendo una cellula fecondata allo stadio di quattro blastomeri, in
modo che ognuno di questi desse un bambino completo, ed impiantando i blastomeri in uteri di
madri diverse. I gemelli monocoriali cioè quelli che nascono per separazione delle prime cellule
dell'ovulo che si divide sono in realtà dei cloni; da un altro punto di vista tutti noi siamo dei cloni
cellulari, tutte le cellule hanno in realtà lo stesso patrimonio genetico della cellula uovo da cui
abbiamo avuto origine. Tu sei un bellissimo clone cellulare perché tutte le tue cellule sono
geneticamente identiche, pur essendosi differenziate variamente nel corso dello sviluppo. Dal
punto di vista pratico, si ha la sensazione che la clonazione umana non abbia senso, anche se forse
qualche scienziato ci proverà, ma non potrà pubblicare i risultati perché è illegale. Non è questo il
problema che adesso ci può turbare, ma quello delle tecniche di ingerizzazione genetica delle
cellule, cioè quelle che modificano geneticamente le cellule per ottenere prodotti che loro
naturalmente non produrrebbero (tipo OGM). Si può anche tentare di ottenere cellule differenziate
provenienti da un preciso individuo, prelevate e conservate in modo appropriato per eventuali
futuri trapianti di organi.
Questi sono problemi più realistici rispetto a quelli della clonazione umana. E' probabile che si
lavorerà sulle cellule staminali non differenziate, che non hanno ancora un destino istologico
segnato, e che possono essere indotte a differenziare in qualche modo e quindi a produrre dei
tessuti specifici. Sapete che per curare per i grandi ustionati, sono state prelevate delle cellule da
parti sane e fatte crescere su un supporto di plastica in modo tale da poterle trapiantare sulle parti
lese, curando le ustioni.
Ci sono altre domande?
- Intervento insegnante:
A proposito di quell'intervento che hanno detto che hanno ricostruito ad una persona il naso sul
polso, l'hanno modellato sul braccio e poi glielo hanno impiantato… una cosa impressionante.
- M. Arcà:
Può essere che il corpo sia un buon terreno di cultura per tessuti, ma non ho mai sentito parlare di
questo e non so dire nulla in proposito.
- Intervento insegnante:
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Volevo proporre un momento di attenzione sui prodotti transgenici, una questione presente nei
supermercati di casa nostra.
- M. Arcà:
Non si possono ottenere dei buoni risultati in terapia genica se non si impara a farlo su altri
organismi, per esempio sui vegetali, per ottenere sicurezze tecniche. Di ogni iceberg si vede bene
la cima, ma non si riesce a vederne la base enorme: non si può fare ricerca finalizzata solo ad una
certo scopo, senza considerare i necessari sottoprodotti o le conseguenze "lontane" della ricerca,
come non si può avere una Ferrari vincente senza accurati studi sui materiali delle carrozzerie,
sulla potenza dei combustibili, sugli attriti o altro. Gli OGM sono una conseguenza di quello che
si sa e si cerca di sapere sul genoma. I punti su cui si discute sono: gli effetti sulla salute umana, gli
effetti sull'ambiente e la biodiversità, gli effetti sulla politica economica.
Il DNA in quanto tale si può trovare nella cellula in due forme, una come filamento disperso nel
nucleo, l'altra, ben condensato in strutture chiamate cromosomi.
Quando la cellula si deve dividere, il DNA si avvolge su delle proteine chiamate istonie a formare
quei bastoncelli che tutti voi vedete nell'amniocentesi e che si separano nelle due cellule figlie,
quando la cellula è in divisione. Nella cellula a riposo, il DNA è praticamente invisibile, è un
filamento molto lungo ed oltre ai messaggi specifici, cioè alle informazioni per le proteine,
contiene una quantità di siti di controllo, cioè dei posti dove sia proteine specifiche sia altre
molecole-segnale si possono staccare o attaccare per modularne le attività (per segnalare cosa si
deve o non si deve trascrivere, cosa deve succedere adesso, etc)
I sistemi di controllo stanno assumendo molta importanza mentre, fino a qualche anno fa, non
erano neanche presi in considerazione. Mentre è molto facile individuare e isolare il gene per
un'emoglobina giusta, è più difficile inserire artificialmente un gene per l'emoglobina giusta nel
posto giusto e sotto i controlli giusti; se la cellula fa emoglobina in quantità sbagliate o quando non
la deve fare, è un problema.
Con la diagnosi precoce delle malattie genetiche, si possono vedere alcune alterazioni
cromosomiche e si può decidere per esempio se ci sono delle alterazioni genetiche che possono
essere curate funzionalmente, per esempio con delle diete appropriate. Identificando il gene che
provoca la malattia chiamata fenilchetonuria, si riesce a consigliare alla madre e al bambino una
dieta adatta, in modo da rendere inutile il prodotto - non funzionante - del gene ed evitare i
conseguenti ritardi mentali. I casi di terapia genica (sostituzione del gene 9 effettuati con successo,
fino ad oggi sono pochissimi, anche perché i geni innestati dopo un po' si perdono o non
funzionano bene. Per questo serve ancora molta sperimentazione. La difesa della ricerca fatta da
Dulbecco e Montalcini è stata un po' volgare, però porta a riflettere sulle conseguenze della ricerca
stessa, in campi molto più vasti. Non si riesce bene a separare la politica dalla ricerca, perché
avere soldi per fare ricerca riguarda la politica.
a) La salute umana. Inserire un gene appropriato in un organismo vegetale non mi sembra
pericoloso in sè, certo dipende dal tipo di gene, cioè dal prodotto che questo gene codifica ed
esprime. Io, per mia opinione, non credo che dei geni ingeriti possano modificare il nostro corpo,
perché continuamente ingeriamo senza danno geni di lattuga o di arance, piselli, carne, pollo o
pesce. Non si è mai visto che i geni introdotti per via alimentare possano modificare genomi altrui
inserendosi nel DNA in modo mirato o a caso. Se fosse così facile, non ci sarebbe bisogno di tanta
ricerca. Inserire in vegetali dei geni purificati è oggi abbastanza facile, le tecniche sono
abbastanza sicure e se una ventina di anni fa potevano esserci delle difficoltà, adesso si sono
superate. A volte si inseriscono nelle piante geni più o meno modificati in laboratorio, mirati ad
ottenere un certo prodotto (delle proteine), a volte si prendono da un organismo e si spostano in un
altro, a seconda delle esigenze differenti. E' importante ricordare che la dizione "organismo
transgenico" è molto generica perché si può essere transgenici per una tossina estremamente
pericolosa o si può essere transgenici per il colore giallo del mais. I primi transgenici naturali sono
stati trovati sulle spighe di granoturco vedendo che in una stessa spiga si trovavano chicchi gialli,
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rossi, bianchi. Erano chicchi naturalmente transgenici, ma si può essere transgenici per un
pigmento o per altre caratteristiche.
Bisogna sapere per che caratteristiche un organismo è transgenico, sapendo che eventualmente,
non è dannoso il gene ma il suo prodotto, cioè la proteina da lui codificata. Per questo sono
possibili le allergie (provocate da proteine che funzionano da antigeni, sviluppando anomale
produzioni di anticorpi); le allergie sono aumentate anche perché si è esposti a proteine (non solo
transgeniche) che provengono da tutte le parti del mondo. I prodotti formati dalle proteine
transgeniche (che funzionano da enzimi modificando i metabolismi cellulari) non dovrebbero
essere dannosi.
b) Biodiversità e ambiente E' estremamente improbabile che ci sia "naturalmente" impollinazione
non specifica tra vegetali. Un gene inserito nel polline del mais non andrà mai a fecondare ovuli di
erbacce, ( né se è naturale né se è transgenico) perché c'è mai fecondazione tra specie differenti;
nel peggiore dei casi potrebbe fecondare un ovulo di mais coltivato, trasmettendogli le sue
caratteristiche e sottoponendolo alla normale selezione naturale. Di solito, inoltre, le sementi degli
organismi transgenici non sono fertili.
Anche qui si può fare del moralismo, ma bisogna fare delle scelte. Noi vogliamo sementi fertili, in
modo che le piante transgeniche possano diffondersi o sementi sterili, in modo che le piante non si
diffondono e restano confinate lì dove sono state piantate? Ma se scegliamo questa seconda
opzione, dobbiamo accettare che gli agricoltori comprino ogni anno sementi transgeniche,
restando dipendenti dalle multinazionali che le vendono. Purtroppo dobbiamo scegliere tra due
svantaggi, non possiamo avere solo vantaggi neppure dalle tecnologie avanzate.
c) Politica E' molto importante non confondere la politica con la genetica, perché le due cose sono
legate, ma l'una e l'altra si fondano su informazioni e non su ideologie. Affrontando il discorso
politico, si vede che gli alimenti geneticamente modificati (GMF) vengono presentati da chi li
produce come rimedio per la fame nel mondo. Funzioneranno o no a questo scopo? I geni ingeriti
difficilmente fanno male all'umano che li ingerisce, ma dietro l'industria che produce il
transgenico c'è una potente speculazione economica e bisogna raccogliere dati non truccati per
capire se porta (o se non porta) nella direzione di diminuire la fame nel mondo. Se si vuole lottare
contro le multinazionali, ci sono migliaia di buone ragioni per farlo, sapendo che si tratta di lotta
politica ed economica e non di un (improbabile) rischio per la nostra salute.
La registrazione è stata sbobinata dall'insegnante Rosanna Rafeli e trascritta al computer dall'insegnante Angela Termine
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