Brindisi nel Tempo - Alberghiero Brindisi

Istituto Professionale di Stato per i
Servizi Alberghieri e della Ristorazione
BRINDISI
Brindisi nel Tempo
Istituto Professionale di Stato per i
Servizi Alberghieri e della Ristorazione
BRINDISI
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BRINDISI
TUTTE LE STRADE PORTANO A BRUNDISIUM
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Istituto Professionale di Stato per i
Servizi Alberghieri e della Ristorazione
BRINDISI
FEDERICO II
A BRINDISI
… TRA CASTELLI
… CULTURA
…CUCINA
ITINERARIO STORICO-CULTURALE
Istituto Professionale di Stato per i
Servizi Alberghieri e della Ristorazione
BRINDISI
MASSERIE TORRI CASTELLI
MONASTERI E CHIESE
vol.
1
TUTTE LE STRADE PORTANO A BRUNDISIUM
Brindisi nel Tempo
Le Origini
….. UN PO’ DI STORIA
3
Le Origini
4
Brindisi nel Tempo
Brindisi nel Tempo
Le Origini
LE ORIGINI
BRINDISI NEL MITO
Ercole
La leggenda narra che Brento, figlio di Ercole
durante un naufragio fu salvato dai delfini
e deposto sul litorale brindisino, dove pensò
d’innalzare due colonne come quelle che il padre
Ercole aveva eretto tra Africa e Spagna per
indicare il limite invalicabile delle navigazioni. Le
colonne di Brento volevano indicare ai mercanti
un posto sicuro. A Brento giunse voce che le sue
colonne erano belle come quelle di suo padre
Ercole.
Allora perché venisse ricordato nei secoli decise
di edificare il territorio a sua immagine: i due
seni del porto interno rappresentavano le sue
braccia, invece la sua testa, la terraferma.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
L’ORIGINE DEL NOME
Da dove derivi alla città e al porto il nome di Brundisium, Brantesium e Brentisium è
ignoto. Secondo alcuni, il nome alla città è venuto dal suo fondatore Brento, secondo
altri dalla conformazione del suo porto, secondo altri ancora, dal termine messapico
Brunda che significa testa di cervo.
Il porto di Brindisi
Nuove ipotesi poi, sono state formulate dopo la scoperta di alcuni bronzi al largo della
costa brindisina.
Queste fanno risalire il nome di Brindisi alla parola “Bronzo” poiché nell’antichità
esistevano molte fonderie e la città era famosa per la lavorazione dei metalli.
Infine, secondo un noto studioso della storia di Brindisi, popoli orientali si sarebbero
stabiliti nell’isola dove oggi sorge Forte a mare e avrebbero chiamato Biranta la rocca
costruita su di essa, da cui, dopo che alcune di quelle genti passarono alla terraferma
derivò il nome Brantisium.
Brindisi pare anche un nome dato alla città da qualche colonia greca. I Greci avevano
infatti l’abitudine di chiamare i paesi abitati con i loro nomi e da qui il nome Brentesion.
Comunque poco importa se i fondatori di Brindisi siano stati Teseo, Minosse coi
Cretesi o dopo la distruzione di Troia, Diomede con gli Etoli o Brento figlio di Ercole.
E’ importante sapere invece che tutta questa regione che si disse Magna Grecia, fu
invasa da popoli greci che cacciarono o assoggettarono gli indigeni. Sorsero così colonie
prospere e potenti che non ebbero un centro né leggi comuni in modo da formare uno
stato o una confederazione. Separate dalla madrepatria, ebbero varie forme di governo,
da quello aristocratico a quello popolare, secondo la provenienza delle stirpi.
La Magna Grecia raggiunse un grado tanto alto di cultura da influenzare in maniera
evidente la messapica Brindisi.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
LA STORIA
BRINDISI PREROMANA
Gli scrittori greci del V secolo a.C. indicavano la penisola salentina con il nome di
Messapia.
Nel Salento, dunque, senza considerare gli insediamenti preistorici, abitavano i Messapi,
di cui si sa poco, anche se è stato accertato che il territorio da essi occupato, corrispondeva
alla striscia di terra comprendente l’attuale provincia brindisina e parte della leccese
e tarantina. Ad occidente questo territorio confinava con le colonie della Magna
Grecia con epicentro Taranto, città militarmente fortissima che tenterà di assoggettare
Brindisi, senza successo grazie alle poderose fortificazioni, alle vedette(specchie) e le
muraglie (paretoni) innalzate dai Messapi; a sud con l’estremo Salento, ad est con il
mare Adriatico.
I Messapi erano certamente di origine greca. Alcuni studiosi li ritengono antichi abitanti
della Beozia; altri dell’Eubea; altri della penisola calcidica; altri ancora di Rodi e di
Creta.
Della civiltà messapica, oltre alle mura e alle opere di difesa, sono rimaste iscrizioni su
pietra e su bronzo, vasi in terracotta, fra cui spicca la tipica “Trozzella”: un’anfora di
forma ovoidale rastremata al piede, con anse a nastro, verticali, che terminano in alto e
all’attacco col ventre, con quattro rotelline, conservata nel Museo della città.
La chiusura dei porti persiani ai Greci provocò, nel sec.VII a.C. la loro emigrazione
verso i lidi dell’Italia Meridionale, in particolar modo verso i paesi della costa ionica,
famosi per il rame. Una volta stabilitisi nelle nostre zone, i coloni greci dettero vita alla
Magna Grecia.
Essi si fusero con le popolazioni indigene di cui rispettarono usi, costumi e tradizioni. In
questo clima sorsero e prosperarono città come Siracusa, Reggio, Metaponto, Crotone,
Taranto. Frattanto Roma procedeva nel suo programma di conquiste.
All’inizio del III secolo a.C., le colonie greche dell’Italia
incontrarono molte difficoltà nel fronteggiare la pressione
delle popolazioni italiche (Sanniti, Lucani) sui loro territori.
Temendo per la loro sopravvivenza, poleis greche come
Turi, Crotone e Reggio chiesero e ottennero la protezione
di Roma, che mandò truppe nella regione e sconfisse
definitivamente, dopo aspri scontri, i Sanniti.
Trozzella
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
BRINDISI DIVENTA COLONIA ROMANA
Roma era penetrata in Puglia: il Tavoliere dauno, ricco di grano, era una abbondante
risorsa per l’approvvigionamento degli eserciti. Cominciò così la non facile impresa di
assoggettamento delle popolazioni.
L’iniziativa allarmò la potente città di Taranto, l’unica città
greca che vantava una economia florida basata sull’allevamento e sulla lana, un esercito e una flotta rispettabile e che, più
volte aveva tentato inutilmente di conquistare Brindisi, il cui
porto era uno scalo importantissimo per il commercio. I Tarantini temevano, però di diventare in breve tempo una delle tante comunità sottomesse al dominio romano. Fu proprio
Roma a porre fine ai continui conflitti. I Messapi, stanchi di
difendersi dagli attacchi di Taranto, si allearono con Romani,
Pirro
con essi, i Peucezi e i Dauni. Fu l’inizio di una guerra.
Taranto chiese allora aiuto a Pirro re dell’Epiro, uno stato piccolo ma combattivo posto
nel nord della Grecia. Assai ambizioso, Pirro sognava di riunire sotto il suo scettro tutte
le città greche dell’Italia meridionale e di sottrarre il Mezzogiorno al dominio romano.
Così, sbarcato in Italia con circa 30.000 fanti e 20 elefanti, rivestiti di pesanti corazze
(gli elefanti erano animali fino allora ignoti ai Romani) egli ottenne subito due importanti successi contro Roma. Perse tuttavia un numero molto alto di soldati che non riuscì a rimpiazzare sia per la distanza dalla madrepatria, sia perché l’Epiro era un paese
poco popolato.
Taranto sperò allora nell’aiuto delle altre città greche, compresa la potente Siracusa.
Ma Roma era riuscita a stringere solide alleanze proprio con queste città in previsione
dell’attacco definitivo contro Taranto. Così Pirro fu definitivamente sconfitto a Benevento e costretto a lasciare l’Italia.
Taranto ed i territori di altre popolazioni meridionali come quello dei
Bruzi(odierna Calabria), dei Lucani
(odierna Basilicata) furono incorporati nei domini di Roma. Stessa sorte
toccò ai Salentini cui fu tolto il territorio di Brindisi, che divenne poi,
colonia romana.
Elefanti a seguito di Pirro
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
DALLA REGINA VIARUM
ALLE COLONNE ROMANE DI BRINDISI
La via Appia
Divenuta Brindisi
colonia e municipio romano, si
cercò di rendere
più agevole il cammino tra Roma e
questa città,nel cui
porto erano pronte le navi per l’imbarco delle legioni
per l’Oriente. Così
la via Appia, in- La via Appia
terrotta a Venosa,
poté essere prolungata fino a Brindisi.
Sappiamo che fu Appio Claudio il Censore, nel 312, ad iniziare la costruzione di questa
prima grande strada romana.
Per la prima volta una via di comunicazione non prendeva il nome dalla sua funzione
(es. la Salaria come via del sale) ma dalla persona che l’aveva costruita. La “regina viarum”, ovvero la regina delle strade, determinante per l’espansione romana collegava
inizialmente Roma a Capua, la città più importante della Campania e grande alleata di
Roma. Essa fu la prima delle grandi strade romane che vennero costruite con tecniche
innovative che rappresentavano dei veri capolavori d’ingegneria e, superando grosse
difficoltà naturali. Tutte le più importanti vie di comunicazione erano costruite in una
posizione rialzata così da permettere un buon controllo del territorio circostante ed
essere più sicure dagli attacchi nemici o dei banditi.
Seguivano quasi sempre una linea retta e gli ostacoli naturali venivano superati con ponti
e terrapieni. La costruzione avveniva con uno scavo nel terreno riempito poi con altri
materiali ricavati sul posto. L’ultimo strato era costituito dal selciato che veniva sistemato
in modo da consentire lo scolo sui lati dell’acqua piovana. I vari strati assicuravano un
buon drenaggio, rendendo le strade praticabili anche in caso di abbondanti piogge.
Le misure di una strada erano per legge larghe 2,33 metri nei rettilinei e 4,66 nelle
curve. Tali misure dovevano consentire il passaggio contemporaneo di due carri che
procedevano in senso opposto.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
Carro da trasporto
Anche la via Appia fu costruita con queste caratteristiche, ma fu la prima via pavimentata. Nel suo primo tratto, fino a Terracina era un lunghissimo rettifilo di circa 132 miglia ottenuto rettificando il tracciato di una precedente via, che doveva chiamarsi presumibilmente “Albana” che, partendo dall’Isola Tiberina, attraversando la valle del Circo
Massimo, congiungeva Roma ad Albalonga e ad altri centri dei colli Albani. Gli ultimi
tratti della via erano fiancheggiati da un canale di bonifica che consentiva di alternare il
tragitto in barca a quello sul carro o a cavallo. Dopo Terracina, la strada deviata verso
Fondi, attraversava le impervie gole d’Iri e scendeva a Formia e Minturno. Superata poi
Sinuessa, (l’odierna Mondragone) con tratto sempre rettilineo, puntava sul Volturno e
raggiungeva l’antica Capua.
La via Appia
Il percorso totale si effettuava
normalmente con cinque, sei
giorni di viaggio.
Dopo la fondazione di Venusta (l’odierna Venosa) nel 291
a.c. al confine tra Irpinia,
Lucania, Apulia, la strada fù
prolungata di circa 322 miglia, da Capua a Benevento.
Quando Roma, padrona di
quasi tutta la penisola, cominciò a guardare al porto di
Brindisi come alla più como10
Brindisi nel Tempo
Le Origini
da testa di ponte per l’Oriente e al Salento come un territorio indispensabile per la
sicurezza, prolungò la via Appia da Benevento a Taranto. Dopo la conquista romana
di Taranto e della penisola Salentina, nel II sec.a.C. la via fu condotta fino a Brindisi,
divenuta colonia di Roma.
Dopo la prima guerra punica, quando crebbe in Roma l’interesse per i collegamenti rapidi con la Magna Grecia e con i porti del Mediterraneo, ci fu la costruzione dell’ultimo
tratto dell’Appia che attraversò l’istmo della salentina,
toccando Oria. Da questo momento Brindisi inizierà la
sua rapida ascesa che la porterà a soppiantare Taranto
nei traffici e interessi commerciali con la Grecia.
Marciando lungo la via Appia fino al porto di Brindisi, i Romani poterono intraprendere la conquista della
Macedonia e dell’Asia. Per la sua importanza strategica i Romani potenziarono la via Appia, lastricandola.
Nel 191 a.C. la strada era talmente efficiente che Catone poté percorrerla con il cocchio fino a Roma in soli
5 giorni.
Malgrado la sua importanza vitale per Roma, la via
Appia non subì sostanziali modifiche fino all’epoca
dell’imperatore Traiano (II secolo d.c.). Questi potenziò non solo i due porti di Ancona e di Brindisi, ma
anche la via. Tagliando alla base, lungo la costa di Terracina, il promotorio del Pisco
Montano creò una variante al percorso originario: la via Traiana. Questa si staccava
dall’Appia a Benevento, toccava Troia, Canosa, Ruvo di Puglia e Bitonto, raggiungeva
la costa a Bari e proseguiva per Egnazia lungo il litorale fino a Brindisi. Un percorso
dunque alternativo più veloce, comodo e sicuro.
La via Appia-Traiana era in parte lastricata con grandi lastroni (basoli) di pietra
basaltica.
La carreggiata aveva una larghezza di circa 4 metri, sufficienti a consentire il passaggio contemporaneo di due carri nel
doppio senso di marcia. Due marciapiedi
in terra battuta, delimitati da un cordolo
di pietra e larghi ognuno almeno un metro
e mezzo fiancheggiavano la carreggiata.
Ogni 7 o 9 miglia erano dislocate, proprio
11
Le Origini
Brindisi nel Tempo
come le moderne autostrade, le stazioni di posta che servivano per il cambio dei cavalli,
i luoghi di ristoro e alloggi per i viaggiatori. Lungo il percorso massicci cippi miliari in
pietra, sistemati lungo i bordi della strada, indicavano la distanza. In prossimità dei centri abitati la strada era fiancheggiata da ville e soprattutto tombe e monumenti funerari
di vario genere. A segnare poi il tratto terminale della via Appia furono erette a Brindisi
sulla rupe che domina il porto, due colonne: le famose Colonne romane.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
IL PORTO DI BRINDISI NELL’ANTICHITA’
…Passeggero se non ti reca molestia,
fermati e leggi
...qui è la mia ultima tappa
...qui ho deposto i miei affanni,
qui non temo le stelle,
il mare insidioso...
(anonimo navigante)
Planimetria del porto
Il mare ha sempre avuto nel tempo un ruolo insostituibile come via di comunicazione
tra i popoli. Ciò ha privilegiato le città marinare e in modo particolare quelle dotate di
porti naturali, come Brindisi.
La fama della nostra città è legata alla singolarità del suo porto che, sin dai tempi più
remoti ebbe una funzione militare e mercantile di primo piano e fu un importante scalo
di collegamento tra l’Italia, la Grecia e il Mediterraneo orientale.
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Le Origini
Brindisi nel Tempo
Brindisi ha come coordinate geografiche: 46° 15’(latitudine) e 15° 25’(longitudine). Il
navigante proveniente dall’Oriente, poteva scorgere all’imboccatura del porto, poco
sopra il livello del mare, un gruppo di isolette irte di scogli. Parallele ad esse vi era un’
altra isola rocciosa, bassa e lunga. Tanto le une quanto le altre sembravano dapprima
confondersi da lontano con le alture retrostanti.
Man mano che il navigante si avvicinava al porto invece si distinguevano chiaramente
dalla terraferma. Tutte le isolette erano inapprodabili. Gli antichi non tramandarono i
loro nomi, tranne che della più grande che chiamarono Bara.
I bassi fondali coperti di scogli che, dalla costa si dilungavano verso la prima delle
isolette, facevano sì che neanche le barche piccole potessero passare tra queste e la
costa. Le bocche per cui i bastimenti potevano anticamente entrare nel porto di Brindisi
erano due: una grande ed una piccola.
La triremi
La grande era situata fra la prima delle cinque isolette e l’estremità dell’isola di Bara, la
piccola fra quest’isola stessa e la terraferma. Il terreno, che circondava il porto esterno,
era ricco di fonti di acque dolci, di collinette poco elevate, coltivabili, leggermente
digradanti. L’antemurale era formato dal gruppo delle cinque isolette, che vennero in
seguito chiamate Pedagne, e distinte con i nomi di Pedagna grande, Giorgio Treviso, La
Chiesa, Monacello, e Traversa.
L’isola di Bara, divisa ora in Forte a mare e Isola di S.Andrea o del Lazzaretto, impediva
alle mareggiate di penetrare nel porto, mentre le circostanti colline lo riparavano dal
vento, per cui i bastimenti vi trovavano asilo sicuro.
Il porto esterno dunque, prima della repubblica romana, era molto più angusto di
quello attuale; successivamente l’azione erosiva del mare produsse l’attuale insenatura.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
Le acque del porto esterno s’internavano nella costa esposta a mezzogiorno, in due
seni, chiamati dagli antichi, Delta e Luciana ed oggi detti Fiume grande e Fiume
piccolo. Questi due seni erano stati formati forse dal mare che, nelle forti mareggiate
irrompeva con veemenza nell’uno, dalla grande imboccatura, tra le cinque isolette e
Bara, e nell’altro,dalla piccola, fra questa isola e la terraferma. Man mano che le acque
del porto esterno si avvicinavano alla città, si andavano sempre restringendosi da una
parte e dall’altra della costa, sino a formare un canale di passaggio al porto esterno.
Entrando le acque per questo stretto si biforcavano in altri due seni che, a loro volta,
davano luogo a seni secondari nell’interno della città. Così Brindisi, circondata quasi
per intero da questi due seni sembrava situata sopra una piccola penisola. La città
costruita sopra due collinette era soggetta al dominio dei venti che rendevano il clima
variabile. La fertilità di questo luogo, e la configurazione del porto dovettero attrarre
molte popolazioni a stabilirvisi.
La leggenda vuole che i primi abitanti di Brindisi fossero orientali. Nulla di più ovvio che
codesti popoli orientali, capitati in questa nostra terra, trovandovi un porto naturalmente
sicuro e un terreno fertile, abbiano deciso di stabilirvisi. Alla fertilità del terreno seguiva
l’abbondanza del pesce del porto. Il sarago brindisino fu dichiarato “eccellente” da
Ennio e Plinio definiva le ostriche brindisine, “saporite”.
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Le Origini
Brindisi nel Tempo
LE COLONNE ROMANE
Sopra la collina prospiciente l’imboccatura del porto, sulla quale sorge la città, furono erette dai Romani due colonne che, per chi veniva dal mare, si
presentavano gigantesche ed enormi.
Assunte da sempre a simbolo della città, sulle loro
origini sono state fatte varie ipotesi.
Per molti si tratta di un monumento fatto innalzare
Le Colonne Romane
nel 110 a.C. dall’imperatore Traiano, per celebrare
col potenziamento del porto, il prolungamento della via Appia da Benevento a Brindisi,
strada che fu detta Traiana.
Per alcuni è un monumento eretto in onore di Ercole, dio dalla forza proverbiale e dal
quale la città Brindisi si vantava di trarre origine.
Per altri, innalzare queste due colonne al punto dove la strada usciva sul mare, era fare
allusione alle leggendarie Colonne d’Ercole situate sull’attuale stretto di Gibilterra e
che indicavano la fine del mondo allora sconosciuto. Per altri ancora, le colonne sarebbero state volute dai Romani per premiare la lealtà dei Brindisini che, nel 214 a.C.
non si erano arresi ad Annibale oppure a testimonianza del valido aiuto fornito a Silla,
a Cesare ad Ottaviano in occasione della guerre civili che li videro vincitori su Mario,
Pompeo, Marco Antonio.
Un’ altra ipotesi attribuisce alle colonne la funzione di faro: tra un capitello e l’altro fu
posta una robusta traversa di bronzo con un fanale dorato al centro, per dare ai naviganti un punto di riferimento e la possibilità di trovare riparo dalle tempeste per le quali
era famoso l’Adriatico. Purtroppo, nel 1528 una delle due colonne crollò e uno dei pezzi che la componevano, rimase trasversalmente sulla base, come oggi ancora si vede.
La colonna superstite è alta circa 20 metri. Il capitello, alto circa mt. 1,85 ha la parte
inferiore decorata con foglie di acanto; la parte superiore, adornata con quattro coppie di tritoni poste agli spigoli e con quattro busti di deità che reggono l’abaco, è alta
mt. 1,05; il pulvino che sta sopra il capitello ha tre ordini di fregi. I resti della colonna
crollata invece, furono riutilizzati a Lecce nella colonna innalzata a Sant’ Oronzo che
aveva preservato il Salento dalla peste, scoppiata nel 1656.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
…. QUANTO RESTA DELLA
BRINDISI ROMANA ….
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Le Origini
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Brindisi nel Tempo
Brindisi nel Tempo
Le Origini
I MONUMENTI DELLA BRINDISI ROMANA
SAN PIETRO DEGLI SCHIAVONI
Nel centro storico di Brindisi, tra Piazza Vittoria e Via Duomo, è ubicato il parco archeologico di San Pietro degli Schiavoni. L’area, venuta alla luce in seguito all’abbattimento di vetuste abitazioni, racchiude un quartiere abitativo riferibile ad età romana
medio-imperiale; esso e’ attraversato per la lunghezza da una strada lastricata, orientata a nord-est, larga mt.4,75 e costeggiata da alti marciapiedi formati da massi che
recano incisi vari simboli (pesci, uccelli ecc.) da collegarsi probabilmente alle cave di
appartenenza; lungo la carreggiata sono visibili i solchi lasciati dai carri.
Sulla strada si affacciano edifici pubblici e privati, ambienti coperti da pavimenti a
mosaico o marmo o da semplici mattoncini in terracotta disposti a spina pesce.
A est della strada è stato rinvenuto un grande ambiente, forse il peristilio di un’abitazione
patrizia, circondato da un grande portico a colonne. Sicuramente questo ambiente
rappresentava la parte più ricca della casa, il luogo dove si raccoglievano le opere d’arte
e i dipinti.
Di notevole interesse è l’impianto termale portato alla luce nelle immediate vicinanze
della DOMUS patrizia. Il rinvenimento poi, di elementi architettonici in marmo e in
terracotta dipinta, appartenenti ad edifici, nonché di pavimenti a mosaico, di sculture,
ci fanno dedurre che nelle vicinanze del centro urbano, cioè del foro, (forse nei pressi di
Piazza Vittoria) sorgesse un quartiere abitativo elegante.
VIA CASIMIRO
Poco distante da San Pietro degli Schiavoni, fra via Casimiro e via De Muscettola, sono
visibili ulteriori testimonianze della Brindisi romana di età tardo imperiale: pavimenti a
mosaico e in cocciopesto, stucchi parietali, elementi architettonici in marmo, rocchi di
colonne da collegare forse, alla presenza di edifici pubblici nelle vicinanze.
L’ACQUEDOTTO ROMANO
Nei primi due secoli dell’impero romano, Brindisi fu arricchita, con il favore e con
l’interessamento personale di alcuni imperatori, con grandiose opere di pubblica utilità
come il foro, l’anfiteatro, gli acquedotti, le vasche limarie, i templi, le statue in marmo di
cui, purtroppo, rimangono pochissime tracce. Sotto l’imperatore Claudio fu costruito un
19
Le Origini
Brindisi nel Tempo
magnifico acquedotto che traeva origine da una falda acquifera situata nella contrada
Pozzo de Vito sulla sponda orientale del canale di Lapani, a poca distanza dalla statale
Adriatica. E’ ancora visibile una gora cilindrica, posta a 20 metri dal livello del mare,
del diametro di 6 metri, internamente foderata con una muratura di calcestruzzo e
di quadretti tufacei ad opera reticolata. Questi rivestimenti erano indispensabili per
contenere gli strati sabbiosi e argillosi dello scavo.
Nella gora confluivano, attraverso 5 gallerie, le acque di altri pozzi situati nel sabbione
tufaceo in diversi punti della città.
Da Pozzo de Vito, l’acquedotto si dirigeva verso est-sud-est, sottopassava masseria Restinco, attraversava la ferrovia Bari-Brindisi, tagliava il canale di Cillarese e dopo una
svolta a sinistra, proseguiva verso la città, parallelamente alla ferrovia e alla strada statale Appia. A circa duecento metri dalla Chiesa dei Cappuccini, formava un angolo retto,
deviava a sud-est e, seguendo l’andamento di via Settimio Severo, all’altezza dell’attuale viale Commenda, sottopassava la ferrovia per innestarsi nei pressi del bastione San
Giorgio con la condotta realizzata nel 1618, dal governatore De Torres per alimentare
le fontane cittadine. Il percosso complessivo dell’acquedotto era di mt. 11.935. Tutta
l’acqua poi, convogliata nelle Vasche Limarie situate nei pressi di Porta Mesagne, era
lasciata a decantare per far depositare le sostanze sabbiose, accumulate durante il tragitto prima di farla defluire nelle fontane.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
Acquedotto romano (galleria)
LE VASCHE LIMARIE
I resti romani che si osservano a lato
di Porta Mesagne, sulla destra per chi
entra, sono da collegare all’acquedotto
di Pozzo de Vito. L’acqua potabile
depositava la sabbia e i detriti che
trasportava con sé in queste vasche
prima di defluire nelle fontane.
La lunghezza delle cinque vasche è
di mt.51, la larghezza di mt.11,20,
l’altezza è di mt.3,50. Le pareti e le volte
sono di “Opus incertum” alternato ad
“Opus Listatum”, il pavimento è in
lastroni di argilla cotta.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
IL POZZO TRAIANO
Un’ altra riserva idrica e dei cunicoli filtranti furono ritrovati sotto il piano stradale
della via Pozzo Traiano, prima della salita S. Dionisio. L’imperatore romano Traiano,
del quale porta il nome che, si trovava a Brindisi con l’esercito, in attesa del tempo
favorevole per imbarcarsi per le sue campagne orientali contro Armeni e Parti, ne
avrebbe ordinato la costruzione per provvedere di acqua i soldati e i cavalli. Il grande
deposito (conserva) d’acqua, collegato all’acquedotto alimentava le fontane della
città. Sino alla fine del 1800 era detto dai Brindisini il “pozzo della città”. Altra acqua
giungeva in città dal fiume di Celano, chiamato nell’uso popolare Cerano perché per
buona parte, scorreva “celato” sottoterra.
LE TERME
La costruzione delle Terme risale all’età imperiale. Di esse sono visibili nella zona
Apollinare tracce della tubazione in terracotta, del fridario, della vasca natatoria, del
tepidario e lastre marmoree che, forse, erano
il rivestimento delle pareti interne dell’edificio. Ma cosa erano le Terme? Esse erano un
luogo di ritrovo, con piscine, palestre, giardini. L’orario di apertura andava dal mattino al
tramonto.
Inizialmente, esigenze di pudore spinsero a
riservare la mattina alle donne e il pomeriggio
agli uomini. Col tempo questa separazione
tra sessi fu sempre meno rispettata: donne e
uomini si mescolavano normalmente.
Le terme avevano “anzitutto” una funzione
igienica. Sappiamo che le abitazioni della
gente comune erano abbastanza malsane,
prive di acqua corrente e di servizi igienici.
Le terme erano invece ampi spazi, puliti e
pieni di luce dove l’acqua scorreva a profusione. Ma erano edifici molto complessi. Da22
Brindisi nel Tempo
Le Origini
gli spogliatoi si passava a tutta una serie di ambienti, diversi per forma e dimensioni: il
sudatorium, sala riscaldata con aria calda, oppure con vapore, per i bagni di sudore; il
calidarium, per i bagni caldi; il tepidarium, per i bagni tiepidi; il frigidarium, per i bagni
freddi; la natatio, una vera e propria piscina per il nuoto, di solito scoperta.
Vicino a questi locali era la palestra, costituita da un vasto spazio aperto, circondato
da portici e da locali coperti per i giochi e per le attività atletiche: corsa, sollevamento
pesi, scherma. Ad un’abbondante sudorazione seguivano immersioni alternate in
acqua calda e fredda; il tutto si concludeva con una buona nuotata in piscina. Queste
operazioni agivano beneficamente sull’ organismo. Dopo le abluzioni, seguivano i
massaggi con oli e unguenti profumati. I cittadini ricchi avevano propri massaggiatori;
essi potevano servirsi del personale delle terme pagando un supplemento, oppure si
aiutavano a vicenda.
I grandi complessi termali disponevano anche di ambienti per gli spettacoli, auditori e
biblioteche, sale di ristoro dove era possibile consumare cibi e bevande. Le terme erano
per gli abitanti della città che trascorrevano la maggior parte del tempo fuori casa: “il
salotto cittadino” dove incontrare amici, fare nuove amicizie, concludere affari.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
IL FORO
Come tutte le città dell’impero anche Brindisi ebbe il Foro; pur non avendo notizie
certe sulla reale ubicazione, alcuni storici locali ritengono che sorgesse o nei pressi
dell’attuale piazza Duomo o in piazza Della Vittoria.
Foro romano
Di sicuro, sappiamo che i processi avvenivano in un apposito edificio, chiamato “basilica” divenuta in seguito il modello delle maggiori chiese cristiane. Essa era costituita
da una navata centrale sulla quale si aprivano diverse stanze:i processi avvenivano nelle
stanze che si affacciavano sulla navata; lungo le balconate si accalcava il pubblico dei
curiosi perché i processi erano molto teatrali: gli accusati piangevano, si strappavano
le vesti, portavano con sé moglie e bambini per impietosire il
giudice; pagarsi un avvocato di grido significava spendere una
fortuna.
Dopo il dibattimento, il giudice emetteva la sentenza che poteva comportare un risarcimento in denaro, la morte, l’esilio, il
remo sulle galere. I condannati non erano tenuti in prigione, se
non in attesa dell’esecuzione capitale. Alcuni venivano esiliati
in lontane terre dell’Impero, altri venivano puniti con la perdita
della cittadinanza e la confisca dei beni. E’ necessario dire che
le punizioni non erano uguali per tutti.
A loro piacere i giudici dividevano gli accusati in “i più
Oratore
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
rispettabili” e “i più poveri”. Quest’ultimi ricevevano pene molto più severe: condannati
a morte venivano gettati in pasto alle fiere nei giochi del circo. Una sorte ancora
peggiore toccava agli schiavi, chiamati a fare da testimoni in un processo contro il loro
padrone: la loro testimonianza non poteva essere accettata se non sotto tortura. Le
leggi civili e penali a cui il giudice faceva riferimento erano le Dodici Tavole, il primo
codice scritto del Diritto Romano. Le norme erano molte dure, addirittura crudeli,
tuttavia in questa raccolta stavano già alcuni principi di altissimo valore umano. Uno
di questi fu la “curatela” cioè la cura, la protezione offerta dal diritto alle persone
deboli, malate, indifese, compreso il malato di mente o il bambino non ancora nato.
La loro curatela veniva affidata al parente più prossimo o a quello ritenuto più adatto.
Su queste basi il diritto romano perse nel tempo quegli elementi di incivile durezza che
l’avevano caratterizzato all’inizio. Ma la grande innovazione per la quale i Romani sono
considerati i fondatori del diritto, consiste nel fatto che ogni sentenza veniva registrata
e commentata per iscritto dal giudice che l’aveva emessa e che questi documenti
costituivano i precedenti per i nuovi processi e nuovi giudizi. Nacque così la “scienza
giuridica” che i Romani applicarono in modo pratico e concreto. Ogni giudice, infatti,
poteva dire che la questione non si poteva risolvere in quel modo, perché un’altra volta
si era fatto diversamente.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
I TEMPLI
Non solo la storia, ma anche i numerosi resti di monumenti di epoca romana ci
tramandano del culto in onore di molte divinità come Nettuno, Ercole, Apollo e Diana.
In quasi tutte le monete brindisine dell’epoca citata v’è coniata la testa di Nettuno, e
ciò è facilmente spiegabile, col fatto che una città che doveva la sua importanza e i suoi
traffici commerciali al mare, dovesse venerare sommamente il possente dio del mare
e tutte le altre divinità marine. La figura di Nettuno, del resto, compare scolpita sul
capitello della Colonna.
Il culto di Ercole viene attestato dalle medesime colonne terminali della via Appia, che,
come la leggenda narra sono state erette proprio in suo onore. Pare che l’adorazione
degli astri sia stato anche il culto predominante della Brindisi pagana. Particolare venerazione si aveva per il Sole e per la Luna, personificati in Apollo e Diana.
Planimetria di un tempio di Apollo
Un tempio ad Apollo fu eretto su una spiaggia del porto che, per questo fu chiamata
Apollinaria e in seguito S.Apollinare. Al Sole fu consacrato un tempio di cui si
scoprì qualche rudere nelle vicinanze del
passaggio livello di Porta Mesagne, mentre
una gigantesca statua mutilata della dea
Diana è visibile nel Museo civico della
città. E che Brindisi pagana venerasse il dio
Pan, Minerva, Marte, Cerere e Proserpina
lo si può dedurre dalle molte statuette
frammentarie in marmo e in terracotta,
recentemente rinvenute in vari punti della
città.
Ipotetica ricostruzione del Tempio di Diana
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Le Origini
….ED ORA CAMMINIAMO
PER BRUNDISIUM
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Le Origini
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Brindisi nel Tempo
Brindisi nel Tempo
Le Origini
L’URBANISTICA DELLA BRINDISI ROMANA
Delle principali strade della Brindisi romana rimane traccia solo dell’antico decumano
superiore, via principale che attraversava la città in lunghezza, mentre il decumano
inferiore è nascosto da nuove strade ed edifici; l’asse stradale del decumano superiore
è oggi costituito dalla Via Santabarbara e Tarantini e dalle vie ad esso perpendicolari
e tra loro parallele. Il decumano inferiore comprendeva, invece, la lunga strada che,
partendo da via Carmine terminava in via Casimiro e i due cardini di cui, uno percorreva
gli orti che si trovano in via Armengol e SantaBarbara, mentre l’altro giungeva in via
Duomo.
Furono i Greci i primi a progettare in modo razionale i centri urbani; essi influenzarono
non solo i Messapi, grandi costruttori di città nel Salento, ma anche i Romani: mentre in
precedenza si edificavano le case e lo spazio tra esse diventava strada,i Greci adottarono
uno schema planimetrico regolare con strade che si intersecavano ad angolo retto.
Questo schema fu confermato dai Romani; lo spazio urbano fu così attraversato da
due decumani, strade larghe, lunghe e parallele, procedenti in direzione est-ovest e
dai cardini, vie di dimensioni ridotte e perpendicolari alle prime, orientate da nord
a sud. Le case venivano distribuite in isolati, dette “insulae” al cui interno vi erano
gli “ambitus”, passaggi larghi appena una sessantina di centimetri. Una via romana
di Brindisi, ancora oggi percorribile da tutti, è via Lata. Essa fu costruita dai Romani
sulla collinetta del Seno di Ponente, zona esposta a sud ed occupata unicamente dalle
legioni romane in attesa di imbarco per l’oriente.
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Le Origini
LA DOMUS
Da qualche ricostruzione storica ed illustrazione si può dedurre che la “domus”
corrispondeva soltanto a uno dei tipi di casa allora esistenti e nemmeno la più comune.
Infatti, proprio come oggi,non c’era un modello unico per le abitazioni che, invece,
differivano notevolmente a seconda del livello economico e sociale di chi li abitava.
La “domus” era una residenza che oggi chiameremmo “unifamiliare” e “signorile”.
Domus vista prospettica e pianta
Possiamo immaginare che vi abitassero personaggi illustri e facoltosi, mentre la
maggior parte della plebe viveva in affitto, in una sorta di condominio a più piani che
si chiamavano “insulae”.
Oltre a questa tipologia di abitazione, c’era la villa in campagna che, a sua volta poteva
essere di due generi: una, quella dei piccoli e medi proprietari, attrezzata per le varie
esigenze della vita agricola, un po’ come la casa colonica o fattoria; l’altra, la vasta e
ricca villa padronale, che corrispondeva invece alla scelta di conservare gli agi e i lussi
della vita cittadina negli spazi più ampi di una grande proprietà terriera.
La “domus” aveva una disposizione planimetrica interna ben precisa, in cui le varie
stanze avevano una funzione e un posto fisso. Era di norma a un solo piano ed abitata
come già detto, da una sola famiglia. La porta d’ingresso non dava sulla strada ma si
trovava a metà di un corridoio. Uno schiavo, addetto alla porta, introduceva i visitatori
nell’atrio vero e proprio centro della casa, quello di rappresentanza: esso riceveva la
luce da un’apertura del soffitto al di sotto della quale c’era una vasca che raccoglieva
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Le Origini
l’acqua piovana. Sull’atrio davano diverse stanze, riservate di norma alla vita sociale o
adibite a stanze di servizio; soprattutto l’atrio era il luogo dove si celebravano i “culti
domestici” e, per questo ospitava anche l’altare per i Lari e divinità della famiglia.
Per la sua funzione di rappresentanza, l’atrio era la sala più curata nelle decorazioni,
con affreschi, mosaici e soffitti a cassettoni: dal tipo e dal livello delle decorazioni ci si
poteva fare idea della condizione sociale del proprietario. La stanza del paterfamilias
e la biblioteca concludevano questa parte della casa. Si accedeva, poi, alla parte più
interna, in cui tutte le stanze si aprivano su un cortile, decorato con cura e ornato
di statue e fontane, delimitato da un colonnato. Trovavano spazio in questa zona le
camere da letto, la cucina, il bagno, la sala da pranzo e quella dei ricevimenti. Questa
parte poteva terminare in un giardino
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Le Origini
LE INSULAE
Le “insulae”, case a quattro o cinque piani potevano ospitare numerose famiglie. Ne
erano proprietari i ricchi patrizi che affittavano alla plebe, a prezzi piuttosto elevati, i
loro appartamenti. Le insulae potevano svilupparsi fino a tre, quattro piani e anche di
più. Le loro basi erano ridotte rispetto allo sviluppo in altezza per risparmiare terreno e
le strutture portanti spesso non erano solide, in quanto si economizzava sul costo e sulla
quantità del materiale utilizzato. Per tali motivi le insulae erano soggette a crolli.
Il piano terra era occupato dalle botteghe di artigiani e commercianti che abitavano nel
retrobottega. Gli appartamenti erano spesso formati da una sola stanza che fungeva sia
da cucina che da camera da letto.
La vita all’interno di questi caseggiati era piuttosto disagevole: erano mal riscaldati
d’inverno, poco illuminati, privi d’acqua, che doveva essere attinta dai pozzi o dalle
fontane e dai bagni. Tuttavia, con pochissima spesa e sovente gratis,a cura dei cittadini
più influenti in cerca di popolarità, la plebe poteva frequentare i bagni pubblici e le
terme.
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LE TABERNAE
Lungo la via Appia e nella città di Brindisi v’erano le taberne di vari livelli.
All’origine erano dei luoghi oscuri, depositi di legna poi divennero le piccole botteghe
dell’artigiano, aperte sulla strada e situate a pian terreno o seminterrato di una domus
o di un’ insula. In seguito, finì col diventare le taverne per eccellenza cioè luoghi in cui
si beveva e si mangiava.
La parola taverna ebbe fortuna non solo a Roma ma anche nelle province, ed è giunta
fino ai nostri giorni, senza mutare alcunché del suo significato, tanto è vero che anche il
nome italiano ”taverna” è sinonimo di osteria. Molte taberne erano specializzate nella
vendita di piatti già preparati come: salsicce pronte, carni bollite, verdure, lardo, prosciutto, cibo sotto sale, latte e formaggi.
Un altro luogo di ristoro era la popina: qui la bevanda veniva portata a tavola solo
per accompagnare i piatti del pasto. Essa era rinomata per i grassi arrosti e gli ottimi
bolliti.
Altri locali più poveri erano i gurgustium (bettole) e la guinea (cantine sotterranee).
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…. UN PO’ DI
LETTERATURA ANTICA
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LA VIA DELLA CULTURA
Brindisi è una città ricca di storia e di cultura. Gli uomini celebri che
vi sostarono più o meno a lungo, furono molti. Cicerone, ospite di
Marco Lenio Flacco scrisse le famose “Lettere brindisine”.
Il poeta Orazio amava tanto sostare nella nostra città che, una
volta giuntovi, non desiderava andare altrove. Si crede anche che il
poeta Virgilio abbia non solo dimorato nelle vicinanze del porto di
Brindisi, ma che sia stato acclamato cittadino e che Cicerone vi sia
morto all’età di 58 anni, il 28 a.C..
Brindisi, punto d’incontro tra la civiltà greca e la cultura romana,
accolse un gran numero di Greci che, come schiavi e ostaggi, i “greculi”, come li chiamavano ironicamente i romani, confluirono a Roma e diedero impulso all’attività letteraria e artistica
di Roma.
Cicerone
E, forse percorrendo la via Appia o Traiana, giunse a Roma il
prigioniero di guerra tarantino, di origine greca, Livio Andronico
che organizzò il primo spettacolo “teatrale” a Roma recitando e
cantando l’Odissea.
Il pubblico e governo rimasero così compiaciuti che da quel
momento consentirono agli attori di costituirsi in “corporazione” e
di organizzare per le feste dell’anno, i cosiddetti “ludi scenici”.
Dopo di lui, un altro pugliese di padre italiano e di madre greca,
Quinto Ennio, giunse a Roma e portò con le sue tragedie, un soffio
di originalità al teatro romano che, fino a quel momento aveva
scopiazzato da quello greco.
Orazio
E che dire del brindisino Marco Pacuvio, il tragediografo per
eccellenza: egli, nipote di Ennio portò a vette mai raggiunte la
tragedia latina ed è, senza dubbio, una delle antiche glorie di cui
Brindisi va superba.
A questo punto nasce spontaneo chiederci cos’è la tragedia, la
commedia, dove e perché nacquero, qual è la loro importanza,
insomma è necessario tracciare una breve storia del teatro greco e
romano perché solo in questo modo potremmo capire il significato
delle famose parole di Catone: “La Grecia conquistata conquistò il
barbaro vincitore”.
Virgilio
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
breve storia del teatro
Il teatro, sia come luogo di rappresentazioni, sia
come genere letterario, ha una vecchia storia che si
perde nella notte dei tempi.
Si sa anche che in epoche lontane, le rappresentazioni erano costituite solo da imitazioni (mimi) e danze
a carattere religioso.
Il teatro che noi conosciamo ha avuto però origine
nella Grecia antica, esattamente nell’Attica; esso si
ricollegava alle feste in onore di Dionisio, dio della
vite, del vino e della gioia, simbolo del mistero della
vita, della morte e dell’avvicendarsi delle stagioni.
In Atene si davano quattro feste all’anno in onore
del dio, figlio di Zeus, ucciso, smembrato, divorato
dai Titani suoi nemici e resuscitato dalla volontà del padre. Durante queste feste, avveniva il sacrificio di un capro, accompagnato dal canto di un inno, intonato dal coro dei
fedeli. In un’epoca successiva, uno dei partecipanti al rito, fingendo di essere lo stesso
Dionisio, rispondeva e dialogava con i fedeli. Nacque così il personaggio e, con esso la
possibilità di rappresentare una storia che, in un primo momento ebbe per oggetto solo
le vicende del dio.
In origine tra tragedia e commedia non vi fu differenza;successivamente si diversificarono per il contenuto.Le tragedie trattarono temi morali e religiosi,le commedie, criticando vivacemente i costumi e la corruzione di certi personaggi pubblici, insegnarono
una morale spicciola e offrirono spunti al dibattito civile. Da qui è facile capire l’importanza del teatro presso i Greci.
Inteso come un vero “servizio pubblico” fu la polis, cioè la collettività, a costruire i teatri
che potevano ospitare dal 75% al 100% dei cittadini e a sovvenzionare l’attività teatrale con un sussidio dato a coloro che non potevano permettersi la spesa dell’ingresso a
teatro.
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Teatro greco
Il teatro greco era costituito da un gradinata di forma semicircolare spesso addossata
ad un’altura, dove prendeva posto il pubblico; dall’orchestra che era lo spazio riservato
alle danze del coro e dalla scena sopraelevata, costituita da una piattaforma sulla quale
recitavano gli attori. Il bordo esterno del palco si chiamava proscenio. Si accedeva
all’orchestra mediante due ingressi laterali, le scene erano molto semplici e il fondale
era formato da colonne e pannelli. Le onde sonore, amplificate dalle correnti d’aria,
garantivano allo spettatore il massimo ascolto da qualsiasi punto della gradinata.
L’attore si imponeva al pubblico con atteggiamenti solenni; portava una maschera dalla
fronte prominente, talvolta parrucca e barba, e indossava i coturni, calzari con parecchie
suole, che gli davano una statura anormale. Gli abiti erano costituiti da lunghe tuniche
drappeggiate, colorate e ricamate, con ampie maniche e una cintura, posta sopra la
vita, che rendeva più imponente la figura. La mancanza di posti privilegiati o più
precisamente l’altissimo numero di posti destinati al pubblico di qualsiasi classe sociale,
facevano dell’edificio greco il modello di insuperabile funzionalità che rispecchiava il
carattere democratico della società greca.
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Le Origini
IL TEATRO ROMANO
Il teatro romano trasse origine dalla tradizione greca, trasmessa a Roma attraverso
le colonie della Sicilia e dell’Italia meridionale. Va detto che i Romani, inizialmente
erano ostili ad ogni forma di cultura a loro estranea, specialmente a quella greca.
Col passare del tempo però,a Roma si iniziò ad assistere a commedie, tragedie,a scrivere
in greco, e a non curare solo l’arte della guerra.
I Romani, a differenza dei Greci, non amarono molto il teatro “serio”: le tragedie
riscuotevano successo soltanto presso un pubblico colto.
Più amato fu invece il teatro comico specialmente nelle sue forme popolari: il fescennino (rozza rappresentazione improvvisata, dal tono licenzioso, legato alle feste agricole)
e l’atellana. Questa era giunta a Roma dalla Campania ed era una rappresentazione
improvvisata.
Gli attori incarnavano personaggi fissi stabili e, sulla trama di un semplice canovaccio
(futuro copione) tessevano la loro rappresentazione.
Teatro romano
Grande successo ebbero a Roma le pantomime, un nuovo tipo di spettacolo in cui un
unico attore, con una maschera a tre volti interpretava da solo differenti personaggi.
Più tardi queste esibizioni furono proibite, ma nulla cambiò; esse erano diventate un
bisogno per la popolazione, che le reclamava accanto alle corse dei cavalli, al pugilato,
agli spettacoli dei gladiatori ed alle battaglie navali ricostruite negli anfiteatri.
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Le Origini
Brindisi nel Tempo
Teatro romano
A partire dalla seconda metà del III sec.a.C., si diffuse un teatro comico,con una
produzione di commedie che venivano dette “palliate”, perché l’azione era ambientata
in Grecia e i personaggi vestivano il “pallium”, l’abito nazionale greco.
Il fatto che le azioni comiche venivano ambientate in Grecia era richiesto dal costume
romano che non ammetteva che si mettesse in ridicolo sulla scena un proprio
cittadino.
Autori di palliate furono Plauto e Terenzio. I Romani amarono in modo particolare
Plauto che seppe calare trame e personaggi greci in un contesto squisitamente romano.
Terenzio fu amato più dalle persone colte che dal popolo;la sua comicità era più
sottile e raffinata,priva di volgarità e non si addiceva a un pubblico piuttosto grossolano,
desideroso solo di divertirsi.
Il popolo romano che andava a teatro aumentò sempre più, anche perché non pagava
il biglietto d’ingresso.
I primi locali teatrali erano rudimentali e si approntavano soltanto in occasione delle
feste, dopo le quali venivano rimossi.
Consistevano in una sorta di impalcatura di legno che sorreggeva il palcoscenico,
davanti al quale c’era un’”orchestra” circolare per i balletti che accompagnavano lo
spettacolo.
Solo nel 145 fu costruito un teatro stabile, di legno anch’esso e senza tetto, con sedili fissi
disposti circolarmente intorno al palcoscenico, secondo lo stile greco. Erano ammessi
tutti, anche gli schiavi, che erano costretti a stare in piedi per tutta la durata dello
spettacolo e le donne confinate in fondo.
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Le Origini
La recitazione comunque, veniva spesso interrotta con
battute grossolane. Gli attori erano in genere schiavi
greci, tranne il protagonista che poteva essere un
cittadino romano, il quale però dandosi alla carriera,
perdeva i suoi diritti politici. Erano gli uomini a
interpretare anche le parti femminili.
Essi, finché il pubblico fu limitato, si accontentarono
di una sommaria truccatura. Ma, quando le platee
diventarono strabocchevoli, fu introdotto l’uso delle
maschere che si chiamavano “personae”.
Gli attori che le incarnavano, quando si trattava di
tragedia, portavano i “coturni”, ch’erano le scarpe a
stivaletto; quando si trattava di commedia, portavano
il “soccus”, cioè la scarpa bassa.
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Le Origini
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MARCO PACUVIO UN BRINDISINO ILLUSTRE
Marco Pacuvio è senza dubbio, una delle antiche glorie di cui Brindisi ne
va orgogliosa. Nacque nel 220 a.C. da padre osco, da madre rudina e sorella del poeta Quinto Ennio. Fu iniziato agli studi letterari dallo zio che lo
portò con se a Roma, quando fu chiamato, non solo a dirigere il collegio
degli scrittori e dei poeti, ma, a tenere anche scuola di grammatica e di
poesia. Lo stesso zio Ennio lo introdusse nel circolo letterario filellenico
degli Scipioni, dove strinse amicizia con Emilio Paolo, il vincitore della
Macedonia, per il quale compose l’unica praetexta “Paulus”, che celebra la
battaglia di Pidna (168 a.C.). Di Pacuvio, conosciamo i titoli di 13 tragedie
delle quali sono giunti a noi soltanto i frammenti per circa 450 versi. Sappiamo anche che egli scrisse un numero imprecisato di satire, di cui non
possediamo nulla, e che fu un buon pittore. Egli fu giudicato da Cicerone,
il maggiore tragico latino. Vecchio abbastanza, Pacuvio lasciò Roma per
ritirarsi a Taranto, dove all’età 90 anni si spense il 130 a.C.. Sulla sua tomba
che pare fosse non lontano dall’antica Porta Temenide (in prossimità del
Mar Piccolo) si poteva leggere questo epitaffio: “O giovinetto, sebbene tu
abbia fretta, questo sasso ti invita a guardarlo e poi a leggere ciò che vi è
scritto. Qui giacciono le ossa del poeta Marco Pacuvio. Ciò voleva che tu
sapessi. Addio”.
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Le Origini
…. IMPARIAMO CON
ALLEGRIA
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Le Origini
IL BRINDISINUS A TAVOLA
Cosa mangiava e come si comportava
Lucius Phasulus, dopo aver chiuso la porta della sua bottega
si dirigeva come al solito verso le scale che portavano al suo
appartamento. La sua insula era distante dal centro e, sebbene
non fosse delle migliori, era abbastanza carina: i muri erano pieni
di affreschi. Lì lavorava, e il suo appartamento era sopra il suo
negozio, al primo piano. Il quartiere era tranquillo, dato che era in
periferia e vicino alla domus; gli unici due problemi erano la puzza
della sua via (infatti davanti alla sua bottega vi erano un conciatore
ed un pescivendolo) e le grida di festa che, quasi ogni sera, venivano
dalla villa vicina del ricco Marcus Horatius Patricius.
Lucius poteva solo immaginare quali prelibatezze venivano servite
nella ricca residenza vicina; a lui spettava la solita polenta di farina di
farro. Certamente al patrizio Marcus Horatius, sdraiato sul triclino,
l’ancella serviva cibi con abbinamenti che a noi sembrerebbero
impossibili e disgustosi, come coppe di gustatium, vino col miele
per aperitivo; primi piatti di uccelli cotti in un umido composto
di aceto, miele, olio, uva passa, vino, menta, pepe e un’infinità di
erbe dal sapore acuto e ancora, arrosto di maiale con il garum,
un condimento disgustoso ricavato dal pesce disfatto e fermentato
in acqua molto salata. Il tutto accompagnato da calici di Merum
Casinum o Brundisium, cioè vino puro, tanto esaltato dal romano
Plinio il Vecchio.
Lucius
Marcus
Cosa mangiava il plebeo Lucius Phasulus a tavola?
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Le Origini
Brindisi nel Tempo
I piatti più comuni erano a base di cereali. Con la cicerchia,
un cereale che cresceva quasi spontaneo Lucius Phasulus
gustava una poltiglia impastata nel latte di pecora, mentre con
il miglio, una specie di focaccia che mangiava calda con pezzi
di formaggio di capra, fichi e miele.
Sulla sua tavola compariva anche il pane: una schiacciata
di farina d’orzo, fatta seccare per farla durare a lungo e
ammorbidita nell’acqua prima di essere consumata (forse la
famosa “frisedda”!?).
E, sicuramente, utilizzando la farina di grano, Drusilla, moglie
di Lucius creò la prima “Puddica” la cui fraganza convinse
Virgilio ad abbandonare, sia pure momentaneamente, i suoi
eroi e a cedere ai piaceri della tavola. In qualche particolare
ricorrenza compariva qualche piatto a base di carne suina o di
agnello dal momento che il consumo della carne in generale
era riservata ai ceti più abbienti, cioè al padrone della domus,
vicino di casa del nostro plebeo.
Lucius Phasulus e famiglia, per sopperire alle scarse proteine
Drusilla
contenute nella loro alimentazione mangiavano spesso legumi
come fagioli, fave, piselli, lupini, messi a cuocere nel “caccabus”, una specie di pentola con un coperchio in terracotta per cottura di cibi a fuoco
lento. Altre “prelibatezze” gustate dal nostro “amico” e consorte erano le cipolle selvatiche, “li cipudazzi”, le verdure selvatiche (forse le famose fogghie ammusckate), fiori,
radici che si consumavano la sera come cena e che li preservavano dai malanni. Poi, un
venerdì, esplose nella famiglia Phasulus la mania del pesce (solo perchè poco costoso!!):
sulla tavola comparve il famoso sarago brindisino, cotto e condito con olio e limone, e
non solo… anche molluschi e ostriche, gustate crude o con l’aggiunta di qualche salsa.
Il tutto accompagnato da un semplice calice di “vinum alterum” (vino rosso) o “vinum
candidum” (vino bianco) sempre allungato con l’acqua.
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
Colazione, pranzo e cena: nulla è cambiato
Anche a Brindisi, come a Roma, si facevano tre pasti al giorno:
appena alzati una colazione piuttosto sostanziosa con uova,
miele, frutta, olive, formaggio e pane. In tarda mattinata
si pranzava spesso con gli avanzi della cena precedente ed
anche questo era un pasto molto frugale. La cena era il pasto
principale: sulla tavola abbondavano molte “prelibatezze”
(naturalmente il tutto in base alla posizione sociale) e si
consumava a metà pomeriggio e, nelle case dei ricchi andava
avanti fino a tarda sera.
Strumenti e galateo a tavola
Una tavola apparecchiata in una domus o in un’ insula non
era molto differente da una dei giorni nostri: c’erano al
centro la saliera, un recipiente per il vino e uno per l’aceto
e diversi piatti contenenti le vivande. Sicuramente in una
domus circolavano molti tovaglioli e asciugamani perché
i commensali e gli ospiti sempre numerosi, non usando la
forchetta, attingevano dal piatto di portata con le mani, per
poi mettere il cibo sul proprio piatto. Spesso si sciacquavano le
dita in una ciotola contenente dell’acqua. Se era sconosciuta
la forchetta si conoscevano i coltelli e i cucchiai per le varie
salse. A tavola si assumevano spesso strani comportamenti:
in un banchetto di lusso era concesso persino ruttare o
emanare gas intestinali da qualche altra fonte, e tutto ciò
veniva visto come un gradimento del pranzo. E, alla fine del
pasto, gli ospiti erano soliti portarsi a casa gli avanzi, avvolti
in un tovagliolo.
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LO SPORT
A Brindisi si svolgevano i ludi gladiatori. Erano seguiti
da un pubblico impressionante di spettatori, tra cui il
nostro plebeo Lucius Phasulus, che, seduto su uno scalino della gradinata, non perdeva un passaggio dello
scontro e scaricava nel tifo le sue amarezze, depressioni
e frustrazioni. Bisogna sottolineare che gli imperatori
offrivano al popolo con sempre maggior frequenza, tali
spettacoli per svago. I ludi gladiatori erano interpretati
per lo più da una ristretta cerchia di persone, quasi sempre provenienti da classi e ceti
subalterni che, scendendo nell’arena, cercavano di emanciparsi dalla loro condizione
servile confidando nelle proprie doti fisiche e atletiche. Il patrizio Marcus Horatius invece, facendo suo il detto famoso “mens sana in corpore sano” frequentava le palestre
racchiuse nel foro di Brindisi e si esercitava nella corsa, nel getto del peso, nel salto in
alto e in lungo e in quanto era più conveniente o adatto al suo “robusto”fisico.
Il momento tanto atteso per il nostro plebeo Lucius
Phasulus era il giorno dedicato a Saturno, quando si
disputavano incontri di harpastum o detto in volgare
il  piede-palla cioè il nostro calcio. Incurante delle
proteste della moglie Drusilla, si allontanava da casa
a stomaco vuoto per vedere scendere in campo la
squadra di harpastum “Brundisium” i cui giocatori
erano gli idoli di tanti tifosi. E fu sempre un giorno
dedicato a Saturno (Ahimè nefasto giorno!!) quando
il numero uno della squadra, il beniamino del nostro
plebeo, pronto a segnare il tanto atteso gol, viene atterrato dall’avversario. Lucius,
insieme con altri plebei reagisce con parole e gesti “violenti” e non solo ….. invade il
campo. La partita viene sospesa ed i facinorosi tifosi vengono prelevati dai pretoriani e
condannati al pagamento di una multa di venti sesterzi. Il nostro Lucius, per pagare la
multa, preleva il denaro dal misero fondo cassa gestito dalla moglie per il vitto.
Gli toccherà mangiare “cipudazzi” per un mese….
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Le Origini
…. UN PO’ DI FOLKLORE
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Le Origini
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DAL PASSATO AL PRESENTE
LA FESTA DI SANT’ ANTONIO ABATE
Una festa popolare che ha nel fuoco il vero protagonista
è quella che si svolge il 17 gennaio nella ricorrenza
di sant’Antonio Abate, popolarmente noto come
“S.Antonio ti lu fuecu”. Secondo la credenza popolare
cristiana, il santo rubò il fuoco dall’Inferno per farne
dono agli uomini. E’ chiaro il legame con il mito pagano
di Prometeo, dio del fuoco, figlio del titano Giapeto
e fratello di Atlante, il gigante condannato a reggere
sulle spalle il mondo. Secondo gli antichi miti pagani,
Prometeo, genio del fuoco, plasmò il primo uomo con
terra e acqua; poscia, per dargli vita, rubò il fuoco a Giove, padre di tutti gli dei. Per
punirlo del furto, Giove lo fece legare ad uno scoglio, ove un avvoltoio gli divorava
continuamente il fegato che rinasceva. Il santo monaco, raffigurato con un maiale ed
un rametto di ebano in mano, è considerato non solo il protettore degli animali, tant’è
che viene onorato anche come “S. Antonio di lu puercu”, ma principalmente il custode
del focolare, difesa contro gli incendi. Ecco perché la sera del 17 gennaio a Brindisi e
nei paesi limitrofi, come una volta, si usa dare fuoco alle “focare”: grandi falò di rami
d’ulivo caduti dalla rimonda e accatastati a mò di pagliata.
In passato, la raccolta della legna per i falò iniziava per tempo e diventava una gara
in cui non erano impegnati solo i ragazzi ma interi rioni; nessuno si tirava indietro
nell’approntare la fascina più grossa e i cipponi più vecchi che
facessero più fuoco o fiamma; addirittura ogni famiglia offriva
per devozione al santo, un fascio di rami secchi per il falò anche
con grande sacrificio, viste le ristrettezze economiche.
Anche oggi, uomini donne e bambini si accalcano sul sagrato
della chiesa dedicata al santo per l’annuale benedizione degli
animali, prima di accendere i falò. Un tempo, intorno alle focare si aprivano anche i balli, le danze, la pizzica con chiaro e
palese richiamo alla ridda infernale dei diavoli danzanti e irati
attorno al perpetuo fuoco dell’Averno, di cui il dio Plutone era
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Brindisi nel Tempo
Le Origini
sovrano. Quando poi a tarda sera, le fiamme avevano consumato le ramaglie secche, le
anziane donne devote del santo raccoglievano in capaci bacili di rame e ottone la brace
per distribuirla per devozione in tutte le case. La cenere, ritenuta benefica, invece veniva sparsa al vento per placare l’ira del mare e consentire ai pescatori un rientro tranquillo. Oggi, presso il mondo agricolo si usa ancora raccogliere le ceneri e disperderle
nei campi nella convinzione che esse possono tenere lontano dal raccolto grandine e
uragani.
E come dice un antico proverbio: “A Sant’Antuono maschere e suoni” infatti, da questo
momento, inizia il Carnevale per proseguire di domenica in domenica fino al martedì
grasso.
Il significato della festa è duplice. Il primo è il desiderio di scacciare gli spiriti maligni e
l’inverno. Il secondo celebra la rinascita della terra e l’arrivo della primavera che viene
festeggiata con maschere e balli. La festa si conclude con il funerale di Carnevale.
Con il mercoledì delle Ceneri inizia la Quaresima, il periodo di quaranta giorni prima
della Pasqua. Nei tempi passati, nel territorio brindisino faceva la sua triste comparsa
sulle terrazze delle case oppure appesa in aria al centro di qualche via, la Quaremma:
un fantoccio di paglia con abiti neri o scuri da vecchia, che raffigurava una donna brutta e sdentata. La Quaremma equivalente a Quaresima, aveva in mano la “cunucchia
e lu fusu” e nell’altra una patata o un’arancia in cui erano conficcate sette penne di
gallina, una per ogni settimana di Quaresima.
Ogni settimana se ne toglieva una,l’ultima penna veniva sfilata a Pasqua, quando finalmente il fantoccio veniva bruciato tra l’allegria di tutti.
La Quaremma era presente anche nel mondo pagano greco-romano; rappresentava
infatti una delle tre parche, Cloto, che teneva in mano la conocchia e filava il destino
degli uomini. Assorbita, poi dalle credenze cristiane servì a ricordare agli uomini che la
Chiesa attraversava un periodo di penitenza e di lutto, per cui le feste e i divertimenti erano banditi. Si dovevano affrontare giorni di
pentimento e di digiuno dopo la festa e la baldoria
del Carnevale. Quella della Quaremma è un’usanza ormai del tutto scomparsa. Peccato!
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Istituto Professionale
Servizi Alberghieri
di
e della
Stato
per i
Ristorazione
BRINDISI
Alla stesura di questo lavoro molto ha contribuito sia la collaborazione dei docenti del consiglio di classe della I°L sia l’impegno, la determinazione e la volontà degli studenti del corso.
Guidati dalla docente Gatti Maria e dall’esperto arch. Paolo Capoccia gli studenti hanno stilato un itinerario storico-culturale della Brindisi romana, attingendo tutta la relativa
documentazione storica ed architettonica da testi e da ricerche telematiche.
Il Dirigente Scolastico
Vladimiro Caliolo
Progetto relativo alle aree a rischio art. 9 CCNL comparto scuola 2002-2005
Progetto grafico Francesco Zarcone