San Leone Magno - Gruppo Famiglie

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PADRI DELLA CHIESA – SAN LEONE MAGNO
San Leone Magno
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PADRI DELLA CHIESA – SAN LEONE MAGNO
PADRI DELLA CHIESA – SAN LEONE MAGNO
È stato grande perché ha saputo reggere con forza ed equilibrio, con saggezza e
lungimiranza la Chiesa cattolica, squassata dalle eresie (monofisismo, pelagianesimo,
manicheismo) e dalla situazione politica difficile, creata dal progressivo sfaldamento del
tessuto politico e sociale dell’Impero Romano in Occidente. Riuscì a lavorare per l’unità della
Chiesa e arginare le forze di disgregazione già presenti e attive all’interno (eresie).
Seppe anche riaffermare con discrezione ma anche con argomenti solidi il Primato di Pietro
e quindi del Vescovo di Roma. Non in quanto vescovo della grande capitale dell’Impero
Romano, argomento politico anche parzialmente contestabile (Antiochia, Alessandria,
Gerusalemme, Costantinopoli), ma in quanto successore di ben due apostoli, anzi super
apostoli, quali Pietro e Paolo, morti martiri per Cristo proprio a Roma, e quindi simbolo di
unità per tutta la Chiesa universale.
Leone fu anche un punto fermo nello sconquassamento generale, non solo per Roma ma
anche per l’Italia, dovuto alle invasioni barbariche. In assenza dell’autorità politica
costituita, fu lui ad adoperarsi per fermare Attila (“il flagello di Dio”) o per limitare i danni
alla città di Roma (con Genserico). Questa sua attività politico-sociale per la popolazione del
territorio attorno a Roma (come farà pure Gregorio Magno) fu in certo senso la base del
cosiddetto Stato Pontificio e del dominio temporale dei Papi su alcune regioni dell’Italia
Centrale che durerà poi per secoli.
Leone è nato a Roma da genitori originari della Toscana. La sua istruzione, di ottimo livello e
di tipo aristocratico, ebbe luogo nella stessa città, dove pure intraprese la carriera
ecclesiastica, raggiungendo ben presto cariche di sicuro prestigio e responsabilità. Già verso
gli anni 430 Leone, ormai diacono, era diventato uno dei personaggi più influenti, consultati
e ascoltati del clero romano. È infatti del 431 la lettera del vescovo Cirillo di Alessandria al
giovane diacono Leone, dove lo supplicava di intervenire presso il Papa contro le mire
espansionistiche del patriarca di Gerusalemme, Giovenale, che voleva la supremazia su
tutta la Palestina. In questi stessi anni Leone è già attivo nel sollecitare iniziative e prese di
posizione contro eresie quali il nestorianesimo e contro il pelagianesimo.
Di questo prestigio e abilità nel campo dottrinale e della disciplina ecclesiastica
riconosciutegli da tutti ne tenne conto anche la corte imperiale di Valentiniano III quando,
per comporre l’increscioso e pericoloso dissidio scoppiato nella Gallia tra i due generali
romani Ezio ed Albino, fu mandato proprio lui. E Leone riuscì nell’intento, evitando così una
pericolosa guerra civile.
Ma proprio durante questa missione così delicata lo raggiunse la notizia che, morto Papa
Sisto III, era stato eletto lui suo successore (440). E così Leone saliva sulla barca di Pietro,
agitata dai venti delle eresie e dalle tempeste delle politiche imperiali. Era diventato
timoniere e guida suprema della Chiesa Cattolica. Non potevano fare scelta migliore, visti i
tempi difficili (le invasioni barbariche) nei quali ebbe ad esercitare il suo ministero di pastore
supremo. Leone incarnò in sé le caratteristiche di moderazione e di equilibrio, derivanti dalla
cultura romana aperta a tutti i popoli, e la spinta innovativa e per certi versi rivoluzionaria
derivante dal cristianesimo.
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La prima grana che ebbe ad affrontare in campo dottrinale fu l’eresia di un certo monaco,
Eutiche, e cioè il monofisismo (un Cristo mutilato cioè portatore di una sola natura, quella
divina). Una eresia sottile, perniciosa quanto dirompente per la fede cristiana. Eutiche
addirittura si era appellato allo stesso Leone, perché era stato condannato dal vescovo
Flaviano di Costantinopoli. Leone scrisse e mandò a quest’ultimo una importante Lettera in
cui prendeva posizione netta a favore delle due nature, divina e umana, in una sola
persona, il Cristo.
È la famosa opera Tomus ad Flavianum. Sembrava tutto risolto. Ma le cose si complicarono
perché l’imperatore Teodosio aveva convocato un sinodo a Efeso (449) nel quale si
riabilitava Eutiche e la sua dottrina. Leone da Roma rifiutò energicamente quell’assemblea,
che egli riteneva scandalosa (un vero “latrocinium”) e scrisse all’imperatore ribadendo la
sua posizione contro il monofisismo. Anzi passava lui stesso al contrattacco ed in maniera
decisa convocando subito un Concilio Ecumenico a Calcedonia (451).
La morte di Teodosio (pro Eutiche) e il suo successore Marciano, insieme alla moglie
Pulcheria (ambedue pro ortodossia cattolica) gli furono di notevole aiuto. Nel Concilio venne
letto ed accolto in pieno il già citato e ormai famoso Tomo a Flaviano. Davanti a quel
documento i padri conciliari riconobbero che “per bocca di Leone aveva parlato Pietro e gli
apostoli avevano espresso la loro dottrina”.
Se sul piano strettamente dottrinale Leone aveva vinto pienamente, non così però nel
campo politico-ecclesiale. C’era una questione di potere ecclesiastico, di supremazia,
insomma. Il canone 28 elevava Costantinopoli al rango gerarchico numero due, dopo Roma
(voleva diventare la “Seconda Roma”), solo perché era una capitale imperiale, e questo a
spese di altre sedi patriarcali quali Antiochia ed Alessandria (che potevano risalire alla
predicazione degli apostoli stessi). Leone, attraverso i suoi legati, rifiutò il canone ribadendo
che doveva essere il legame con gli apostoli stessi (come Roma con Pietro e Paolo) e non il
peso strettamente politico a dare preminenza e supremazia ad una Chiesa sulle altre.
Ma Leone non dovette solo combattere contro i nemici dell’ortodossia cattolica, armati di
sillogismi, di filosofia e teologia (e di fantasia), ma anche contro nemici armati... di armi
vere e proprie. Le invasioni barbariche.
Girava già un nome che incuteva terrore: Attila e i suoi Unni. Dove passava lui e le sue orde
di guerrieri “non nasceva più erba” tanta era la distruzione che portavano. Questo era
possibile ormai perché sembrava inarrestabile il lento declino di quella che era stata la Roma
imperiale, sicura della forza delle proprie legioni, un tempo invincibili. Fu lo stesso
imperatore Valentiniano III a pregare Leone di guidare lui l’ambasceria incontro ad Attila e
ai suoi Unni.
Questi avevano ormai già iniziato la devastazione del Nord Italia e puntavano,
naturalmente, su Roma. L’incontro ed il faccia a faccia Leone-Attila avvenne vicino a
Mantova. E fu positivo. Leone aveva risparmiato Roma da un altro saccheggio (dopo quello
del 410 dei Visigoti di Alarico). Gli storici ci dicono che non furono solamente le forti parole e
il prestigio politico di Leone a fermare Attila e a fargli invertire la rotta. C’erano anche
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considerazioni politico-militari. Un’altra versione (immortalata da un quadro di Raffaello)
afferma che Attila vide in visione, dietro Leone a difenderlo gli apostoli Pietro e Paolo,
armati... di armi vere e proprie!
Minore successo ebbe tre anni dopo con Genserico alla guida dei suoi Vandali. Insediatisi
questi a Roma, il Papa Leone ottenne almeno che non ci fossero torture, uccisioni sommarie
e incendio della città, ma non riuscì ad impedire il saccheggio (455) e la deportazione di
tanti prigionieri. Da notare che ormai il potere politico e militare a Roma era completamente
assente, essendo stati uccisi l’imperatore Valentiniano e il generale Ezio.
Non dimentichiamo che Leone non solo è stato un grande vescovo di Roma, ma che è anche
Dottore della Chiesa, cioè maestro di vita spirituale per tutta la Chiesa. Fu infatti autore di
97 Sermoni (o Trattati) e di 143 Lettere, oltre al già citato Tomo a Flaviano, e altri scritti
minori. Dai suoi scritti si evince la preoccupazione del pastore di anime di istruire,
ammonire, esortare i suoi fedeli (e noi) a vivere la propria fede cristiana.
La sua predicazione aveva una doppia funzione: la prima di catechesi vera e propria, istruire
e preparare alla ricezione delle verità di fede. La seconda funzione era mistagogica, cioè con
i suoi interventi (omelie varie, esortazioni ai fedeli) egli intendeva aiutare nella graduale
scoperta del mistero salvifico che professavano, scoprire le meraviglie della grazia e
l’incessante opera di Dio, anche per vie misteriose, a beneficio dei fedeli.
Punto di partenza per Leone è la fede nel mistero dell’Incarnazione e cioè il Cristo che opera
la nostra salvezza: egli è lo strumento, il segno efficace (sacramento) della volontà salvifica
del Padre per ciascuno di noi, specialmente con la sua Passione e Morte. Cristo quindi è il
vero “sacramentum et exemplum” di salvezza per il cristiano. Ogni festa (ma possiamo dire
ogni giorno) che celebriamo è un vero “dies salutis” o giorno di salvezza, una vera occasione
per ripensare e interiorizzare le grandi certezze salvifiche. Celebre è rimasta la sua omelia
per il Natale in cui esorta il singolo fedele a svegliarsi dal sonno e dalla pigrizia spirituale, e
ripensare con intensità al mistero di un Dio che si fa uomo per noi (Sermone 21,3).
Leone ci invita anche alla vita ascetica. Se non si vuole fallire nella “sequela Christi” bisogna
darsi anche una disciplina, fatta di preghiera, di digiuno e di elemosina, un modo questo per
educare la nostra natura umana (assunta da Cristo) ad essere più ricettiva delle esigenze
della sua salvezza. Questa ascesi quotidiana è mirata al rafforzamento della nostra fede, che
illumina la nostra speranza e irrobustisce la nostra carità.
Leone parla proprio di lotta per la santità, parla di superamento del nemico invisibile e di
superamento di tutti gli ostacoli che lui ci pone nel nostro cammino verso Dio. Egli usa
spesso nei suoi sermoni queste immagini di lotta continua e dura contro il male e contro il
Maligno. E questo addentrarsi sempre più nel mistero della salvezza, con l’aiuto della grazia,
produrrà nell’anima il “gaudium” cioè la gioia. Essa sarà come il segno di questa lotta per la
sequela di Cristo, che rimane sempre “sacramento ed esempio” per ogni cristiano.
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