Epistemologia critica. - Università degli Studi di Parma

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C. Marchini - Appunti per la Scuola di Specializzazione per l'insegnamento secondario
Epistemologia critica.
Lezioni di Epistemologia e Storia della Matematica II
Carlo Marchini
1. Scienza nell'antichità e nel Medioevo. Inizio con una notazione linguistica. Nelle lingue italiana,
francese ed inglese, con poche variazioni, esiste la parola Epistemologia, nella lingua tedesca si parla
invece di Wissenschaftslehere, cioè studio della Scienza. Il termine tedesco forse è più trasparente e
dice come si è venuta a connotare nell'età moderna e contemporanea l'Epistemologia.
Ancora una riflessione linguistica su alcuni termini che sono "localmente" sinonimi: conoscenza e
Scienza, Scienza e sapienza. Si deve ai Greci avere dato delle distinzioni che poi si trasmettono a
campi filosofici diversi: in Platone il dualismo tra mondo intelligibile e quello sensibile si esprime
con l'uso di due termini πιστ µη e δ χα. La prima indica la conoscenza certa, relativa al mondo
ideale, la seconda l’opinione, relativa al mondo sensibile.
•
Quindi Scienza è rivelazione del mondo delle idee nella sua unità e molteplicità, possibile
solo attraverso il processo di definizione e divisione (analisi), base della dialettica. Nella
dialettica la mente procede senza adoperare alcuna cosa sensibile, ma soltanto le idee con se
stesse e per se stesse, dunque dialettica è Scienza in senso autentico, il resto è opinione.
•
L’opinione è invece conoscenza della cosa che traduce come ombra la verità della realtà.
Questa dicotomia è sempre presente in Platone, anche se nella Repubblica attenua questa
posizione intransigente cercando di valorizzare la sfera del sensibile, almeno in quanto
immagine dell’iperuranio.
Platone introduce una distinzione tra le conoscenze: l’immaginazione (
(
) e percezione
), relative alla sfera del visibile, la prima genera solo congetture, mentre la seconda,
l’opinione.
Relativamente alla sfera dell’invisibile, Platone colloca la
prefisso
, termine che contiene il
, che significa separazione. Tale termine viene tradotto solitamente con Matematica e
Platone la esalta come preparazione ed allenamento alla Filosofia. Ma egli considera pure la
, anch’essa relativa alla sfera dell’invisibile.
La Matematica, partendo dai numeri, aventi “corpi visibili e palpabili”, è capace di arrivare col
pensiero puro alla contemplazione della natura dei numeri, dei numeri in sé e non nelle cose,
servendosi di un metodo discorsivo e ipotetico.
E’ invece compito della Filosofia, col suo oggetto, l’idea, e col suo metodo, la dialettica, sanare le
“infermità” che gravano sul mondo matematico. Ne discende che il sapere rigorosamente
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scientifico è concepito unicamente come Filosofia e alle sue prerogative e caratteristiche devono
adattarsi tutte le forme conoscitive, per essere valide. Non si ha dunque autonomia al di fuori
della filosofia.
La posizione di Aristotele è invece quella di riconoscere come vera Scienza quella dell'ente
fisico, dell'ente matematico e dell'ente immateriale e questo come risultato dell'immanenza
dell'idea come forma e come ratio nella cosa. Scienza diviene spiegazione e dato che la
spiegazione è nell'idea, si può dare Scienza autentica dell'ente fisico e matematico (e metafisico).
La Scienza si articola in se stessa come Fisica, Matematica e Metafisica. Questo per quanto
riguarda l'aspetto contenutistico della Scienza, l'aspetto formale però è ancora ispirato a quello
platonico dato che anche Aristotele propone un ideale del sapere scientifico secondo una formula
di estremo rigore razionale, come conoscenza dimostrativa organizzata nella introduzione della
Scienza deduttiva. Ne risulta che il sillogismo è lo strumento unico della Scienza: esso da
premesse necessarie conclude in modo necessario:
«Scienza si ha quando si conoscono le cause per le quali una cosa è e [si conosce] che proprio per tal causa tale è
la cosa, in modo che non possa darsi che sia diversamente.» (Analitici Secondi)
La Scienza si può quindi assimilare ad una conoscenza causale. La sua imperfezione dipende dall'imperfezione della dimostrazione. La dimostrazione perfetta segue l'ordine ontologico, è sempre a
priori, dalla causa all'effetto, ci dà il
, il propter quid. Quando si procede a posteriori,
dall’effetto, la dimostrazione è imperfetta, ci dà lo
, il quia. La Fisica, perché rimane nell’ambito
della dimostrazione a posteriori e non può oltrepassare il quia, pur essendo Scienza, è Scienza
infima.
Rispetto all’interpretazione più recente della Fisica, in Aristotele non si trova l’esperimento
progettato e provocato, solo l’osservazione diretta che lo porta a compilare enciclopedie di una
Scienza descrittiva e tassonomica affine alla Biologia.
Nel medioevo si assiste ad un processo di analisi e critica. Il motto Scire per causas, scientia de
universalibus, riassume la posizione di molti pensatori, in particolare S. Tommaso d'Aquino. Egli
fa ancora una classificazione delle Scienze sulla base aristotelica distinguendo tre gradi di astrazione.
L'importanza però dell'Aquinate in campo epistemologico è l'avere sostenuto l'autonomia della
ragione nei riguardi della fede, tesi che lo contrappone ai seguaci di S. Agostino i quali vedevano
invece in modo indistinto ragione e fede, vedendo la natura come simbolo di realtà spirituali e
fornendo un'interpretazione mistica ed allegorizzante della Scienza; esemplare in questo senso è S.
Bonaventura da Bagnoregio che scrive Reductio artium ad theologiam. S. Tommaso rivendica alla
ragione la sfera che le compete, sfera alla quale appartengono la filosofia e più tardi quelle che si
sarebbero configurate come Scienze.
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Si sviluppano così nel pensiero medievale due correnti, talvolta presenti nello stesso pensatore,
quella che riflette sul processo logico e che fornirà gli sviluppi della Logica scolastica, e quella che
in vario modo attua un contatto con l'esperienza.
Pur partendo da una posizione che si rifà a S. Agostino, l'esperienza diviene momento importante per
Roberto Grossatesta (1175 - 1253) e Ruggero Bacone (1214 - 1292), oltre che per S. Alberto
Magno, ispirato piuttosto alla posizione aristotelica. Importante divenne la tesi di Guglielmo di
Occam che sostenendo la tesi nominalistica dell'universale aristotelico, accentuava la tesi tomistica
della separazione e poneva come sola realtà il singolo nella sua concretezza. Si concludeva così il
rovesciamento completo dell'ipotesi platonica: l'unica conoscenza è quella del mondo fisico, ogni
altra è illusoria e ingiustificata come conoscenza razionale, ma giustificata come religione e fede.
Con Occam e i suoi seguaci si può dire conclusa la pars destruens del concetto di formazione
moderno della Scienza, anzi si può dire che in quel tempo siano presenti i germi della pars
aedificans. Ad esempio Grossatesta afferma che senza lo studio della Geometria
«impossibile est sciri naturalem philosophiam»
Ruggero Bacone antepone al conoscere per argumentum il conoscere per experimentum poiché
«argumentum concludit et facit nos concedere conclusionem; sed non certificat neque removet dubitationem…nisi eam inveniat via experientiae.»
Con seguaci di Occam, Buridano (1290 - 1358), Alberto di Sassonia (1351 - 1390), Nicolò di
Oresme (1325 - 1382) si privilegiano quegli sforzi che porteranno alla Scienza moderna, meno
attenti sono però sui temi della riflessione epistemologica, anche se in modo confuso e con
incertezze dalle loro opere e di altri del tempo si delinea a fatica il senso della natura e il valore
dell'esperienza che troverà la sua individuazione come sapere scientifico in senso moderno.
2. Epistemologia moderna. I risultati importanti del Medioevo sembrano
smarrirsi nei secoli XV e XVI in una accozzaglia di pseudoscienze: Astrologia,
Alchimia, Numerologia, Cabala. Forse si è trattato di una crisi di crescenza,
motivata dall'impazienza nel determinare una sorta di unità del sapere
Girolamo Cardano
(1501-1576)
presentita ma realizzata con esperienze sommarie e malsicure. La visione animistica della natura può
avere giocato un suo ruolo. L'opera di Cusano, lo stesso Copernico (1473 - 1543), Agrippa di
Nettesheim (1486 - 1535), Paracelso (1493 - 1541), Agricola (1494 - 1555), Cardano, Giordano
Bruno (1548 - 1600) da una parte apre le porte alla Scienza moderna, dall'altra sembra mettere in
crisi il ruolo dell'esperienza e della sperimentalità del sapere.
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In questo panorama, la figura di Galilei acquista ancora maggiore risalto. La dinamica si può
ritenere la prima Scienza nel significato moderno. Ma Galilei non si può ritenere solo uno
scienziato, forse a causa dal momento storico, è "costretto" a teorizzare sulla Scienza presentandola,
per la prima volta, autonoma dalla filosofia. La ricerca del perché, della essenza, della natura intima
diviene propria della filosofia e Galilei la dichiara estranea alla Scienza affermando che
«la ricerca delle essenze la ho per impossibile».
La Scienza si limita al campo dei fenomeni, ha il compito di descriverne l'esatto comportamento;
questo è ottenuto con la legge. Per ricavare la legge è utile provocare esperimenti, opportunamente
strutturati. Non è dunque l'essenza l'oggetto della Scienza, ma la legge. L'esperimento ripetuto
fornisce la verifica della costanza di rapporti fra gli elementi di un fenomeno o di vari fenomeni; il
rapporto si precisa numericamente e quindi la formulazione matematica della legge è la meta della
indagine scientifica.
Un sapere così diverso dal sapere filosofico, già tanto "consolidato", richiede un processo conoscitivo diverso da quello filosofico-deduttivo. E' merito dell'epistemologia galileana aver articolato il
metodo sperimentale, come metodo della Scienza, nei suoi momenti essenziali: osservazione, ipotesi, verificazione. L'esperienza da sola è inconcludente,
«mi assicura dell' an sit, ma guadagno nessuno mi arreca del quomodo».
La ragione da sola è vuota (polemica con gli aristotelici). La sintesi è difficile, come mostrano i
precedenti, sia che ci si trovi impelagati in fantasiose analisi dell'esperienza, sia nel rifiuto
dell'esperienza. Nell'esperimento, cioè nel funzionamento di un apparato costruito in base ad
opportune ipotesi, si trova la razionalizzazione dell'esperienza: se l'osservazione somministra il dato,
l'ipotesi somministra la ragione, cosicché l'esperimento razionalizza il dato e datizza la ragione. Il
processo che fa passare dall'osservazione all'ipotesi e da questa alla verifica sperimentale è autentico
processo della Scienza in cui si compenetrano ed armonizzano gli aspetti induttivi e quelli deduttivi.
La novità di Galileo è molta rispetto ai suoi predecessori, ma rimangono tracce di meccanicismo e di
soggettivismo che verranno messe in luce dagli epistemologi successivi. Anche il ruolo e le modalità
dell'osservazione saranno criticate perché l'osservazione "pura" è difficile da realizzare e non è detto
sia efficace. A fini scientifici l'osservazione è sempre strutturata su un a priori.
Alcuni commentatori successivi, soprattutto anglosassoni, vedono in Francesco Bacone il padre del
metodo scientifico moderno. Ma attenzione: il Dialogo dei Massimi sistemi è del 1609 ed in
quell'epoca Bacone era occupato in giochi politici che lo porteranno all'allontanamento dalle
pubbliche attività nel 1621 ed al suo successivo interesse per la filosofia e la Scienza.
L'inglese non vede né sospetta il ruolo della legge, né l'importanza della Matematica e neppure il
ruolo dell'esperimento, che tanta parte ha nella teorizzazione di Galileo. Il punto importante
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dell'epistemologia baconiana è porre a fondamento della ricerca scientifica il ritrovamento della
forma immanente nel fenomeno, forma che può essere assimilata alla essenza intima degli scolastici,
pur se concepita in termini più fisici.
Per ottenere ciò propone il metodo induttivo che struttura come una serie ordinata di osservazioni
coadiuvata da una tavola di presenze-assenze e di gradi di presenza. Sostiene inoltre la sterilità del
sillogismo applicato alla esperienza per risolvere questioni fisiche, ma in
questo modo riprende posizioni rinascimentali di Bernardino Telesio (1509 1588) o di Leonardo, probabilmente il più importante precursore di Galileo,
che con i motti
«L'esperienza non falla mai»,
Leonardo da Vinci
(1452-1519)
«intendi la ragione e non ti bisogna l'esperienza»
e
«nessuna umana investigazione si può denominare vera scienza s'essa non passa per le matematiche
dimostrazioni»
avverte sia il valore dell'esperienza sia la sua razionalizzazione, sia il carattere matematico della
sintesi.
Il dopo Galileo mostra una sorta di oscillazione attorno ai capisaldi esperienza e ragione, nonché
attorno al ruolo della induzione e della deduzione. Cartesio, ad esempio, concepiva la fisica come
un ramo del sapere filosofico generale e precisamente come applicazione del concetto di estensione
intelligibile, affermando
«tutta la mia fisica non è che geometria».
Non c'è da stupirsi se i filosofi di impostazione razionalista, ispirati a Cartesio attribuiscono alla
Scienza la rigorosità della deduzione potenziando così l'aspetto matematico.
E' più sorprendente che questo avvenga anche per filosofi empiristi. Però per essi la rigorosità
deduttiva non assume più un connotato ontologico, anzi diventa una sorta di coerenza delle parole tra
loro.
Si distaccano così due correnti, una si potrebbe dire linguistica e l'altra che vede nell'esperienza una
attività priva di significazione razionale e connessione necessaria. Dunque una ragione vuota ed
un'esperienza cieca. Dice Hobbes:
«la conoscenza della conseguenza delle parole è comunemente chiamata scienza»
e Condillac (1715 - 1780)
«una scienza altro non è che un linguaggio ben costruito.».
La valorizzazione contemporanea dell'esperienza e della ragione ricompare in Leibniz. In questo
periodo inizia la separazione, oggi assai conclamata tra l'epistemologia dei filosofi e quella degli
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scienziati. Sono questi ultimi che, a volte, ma non sempre, in modo cosciente, sviluppano ed
evolvono l'approccio galileano. Ad esempio Newton enuncia i canoni di un procedimento metodico
nel quale il momento anticipativo e razionale viene guardato con sospetto
«hypotheses non fingo»,
in favore di un'estensione dell'efficacia orientativa e conclusiva dell'esperimento. Ma Newton è ben
conscio della necessità dimostrativa tanto che riconduce l'analisi degli infinitesimi nel contesto
deduttivo euclideo. Gli illuministi nella loro rilettura di Newton faranno della Scienza una attività di
raccolta e descrizione che è bloccata dalla paura di procedere oltre per non ricadere nelle trappole in
cui si è invischiato il razionalismo cartesiano.
Il problema giunge nelle mani di Kant che con la sua cosiddetta "rivoluzione copernicana" presenta
un nuovo concetto di Scienza, corollario delle premesse gnoseologiche che stanno alla base del suo
sistema. Si può dire che Kant ritrova una sorta di punto di equilibrio galileano, su nuove basi:
autonomia della Scienza dalla filosofia, sintesi tra esperienza e ragione, fondata su una nuova
concezione del conoscere, razionalizzazione dell'esperienza. La Scienza viene identificata con la
teoreticità, la sintesi di ragione ed esperienza diventa qualcosa di strutturale, proprio dell'uomo,
anziché qualcosa di metodico come in Galilei. La razionalizzazione dell'esperienza diventa ad un
tempo universalizzazione e soggettivazione di essa, come conseguenza della nuova proposta di
oggettivo.
3. Epistemologia e Gnoseologia. Come si diceva nel paragrafo 1, conoscenza e Scienza,
Gnoseologia ed Epistemologia, che di esse si occupano, sono intrecciate e può riuscire difficile
identificarne lo specifico, nell'evoluzione storica. Finora si è parlato di Scienza e quindi di Epistemologia, mostrandone varie accezioni, talora tra loro in contraddizione. Lo stesso avviene per la Gnoseologia. Il suo oggetto è la conoscenza e i suoi problemi affrontati in vari modi dai vari pensatori
nel tempo. Una delle questioni principali, riguarda la specificità della conoscenza rispetto ad altre
modalità dell'esperienza o dell'attività mentale, quindi il bisogno di una definizione della conoscenza, definizione come individuazione e separazione da altro. Candidate ad essere considerate come
parte integrante della conoscenza, o in opposizione ad essa, dipende dai pensatori, sono l'opinione, la
credenza, l'immaginazione, la fede. Una seconda questione fondamentale riguarda la giustificazione
del patrimonio comune di conoscenza, patrimonio che può variare in base al dato storico, alla
comunità, alla persona. Spesso le due domande (cosa sia la conoscenza e come giustificare una conoscenza interpersonale) hanno risposte non indipendenti.
•
Se la conoscenza è data in anticipo, prima della nascita, allora il patrimonio comune è
atemporale, stabile, e l'opinione è estrinsecazione della conoscenza stessa.
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•
Se la nascita fornisce una tabula rasa, allora su essa scrivono le sensazioni, ma anche le
convenzioni sociali e l'ambiente e quindi l'opinione comune forma la conoscenza.
Comunque fissato un criterio, è immediato constatare che attività o modalità della conoscenza non
rientrano in modo completo in tale criterio, forse perché di fatto ciascuna proposta di inquadramento
di una realtà così complessa è solo riduttiva. Ciò può avvenire per l'opinione, oppure, all'estremo
opposto per la fede.
Per Kant la conoscenza è giustificata solo dall'applicazione delle strutture formali dell'intelletto ad
un materiale che ha origine dalla sensazione e dall'esperienza, seguendo opportuni principi. E' ovvio
che cambiando modello di conoscenza, cambia il condizionamento da fenomeni culturali o
intellettuali.
Storicamente sono prevalsi due modelli di conoscenza, e la loro presenza è percepibile ancora oggi
nei lavori di ricerca didattica:
•
il modello iconico
•
il modello proposizionale.
Secondo il modello iconico la conoscenza è un'immagine (di natura mentale) adeguata all'oggetto
della conoscenza. Per contro nel modello proposizionale una conoscenza è una proposizione vera.
Nel primo modello sono prototipi di conoscenza la percezione e la memoria. Di tale modello si
possono trovare le radici nello stoicismo e il secondo modello prevale nella filosofia europea fino a
Kant e all'idealismo che ne discende. Oggi ha ripreso vigore l'interpretazione iconica, data
l'importanza dei mezzi di comunicazione di massa, per cui ci può essere conoscenza anche senza
esperienza diretta. Così un bambino può dire di conoscere il camaleonte (come specie) pur non
avendone visto dal vero uno. Resta però il problema di decidere di individuare cosa proviene
dall'oggetto della conoscenza e cosa dal soggetto conoscente. A questo si riallaccia la moderna
contrapposizione tra apparenza e realtà che si applica agli oggetti della percezione sensoriale
immediata ed a quelli di cui è possibile solo una conoscenza strumentale: neutrini, quark. La
situazione è oggi "peggiorata" dall'irruzione della realtà virtuale che ha riportato in auge l'ipotesi
pitagorica che tutto sia numero o spiegabile con esso. Il virtuale permette una conoscenza di oggetti
ancora diversi da quelli "reali" direttamente o indirettamente rilevabili coi sensi, dato che si tratta di
costruzioni umani date e "confezionate" a priori. Ad esempio: non si riesce a vedere ad occhio nudo
un asteroide gravitante nel sistema solare. Potenziando i sensi con un telescopio o altro strumento
astronomico si può giungere ad identificarlo visivamente. Ciò fornisce un'esperienza diretta. Oppure
se gli attuali telescopi non sono sufficienti, si possono determinare le caratteristiche di massa e forma
dell'asteroide mediante la presenza di un'anomalia dell'orbita di un altro corpo celeste più facilmente
individuabile.
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In questo modo la conoscenza dell'asteroide non è diretta. Se poi si usa il computer per un
videogioco di ambiente spaziale, si può avere esperienza che dopo avere distrutto 7 astronavi aliene,
ci si deve guardare dall'asteroide che "spunta" dal bordo dello schermo in una certa posizione ed ha
un aspetto ed un orbita che forse riesco anche a prevedere.
Per un ragazzo forse l'asteroide più "reale" è proprio quest'ultimo, quello virtuale, almeno finché non
sarà a bordo di una "vera" astronave in direzione di Giove.
Il modello proposizionale ha origine aristotelica ed ha influenzato lo sviluppo del pensiero razionale
dall'antichità ad oggi. Il prototipo della conoscenza è l'enunciato scientifico, mescolandosi così ad
aspetti epistemologici; oggetto della conoscenza non sono le cose, ma le loro relazioni, quindi non i
fenomeni, ma i fatti. Il fine della conoscenza consiste nella conformità ai fatti e la sua giustificazione
è identificata con la derivabilità da principi. In questo approccio non si eliminano i sensi, dato che
comunque ci deve essere un riscontro nel mondo esperienziale, ma si attribuisce loro un ruolo di
strumenti di verifica, in sostanza un ruolo non conoscitivo.
Dopo Kant, e in particolare con l'idealismo, si assiste ad un declino della Gnoseologia. Il motivo,
attribuibile a Hegel, è l'osservazione che l'esame della facoltà del conoscere può avvenire solo
conoscendo, quindi usando la stessa conoscenza che si vuole esaminare.
La posizione del positivismo di Comte è quella di considerare la gnoseologia in termini di "Fisica
sociale", facendola quasi sparire dalle considerazioni filosofiche. Per contro è proprio del
positivismo l'apprezzamento della Scienza e del suo studio. Il sapere univoco e la sua
oggettivizzazione nella Scienza, dovrebbe essere una sorta di esempio cui deve conformarsi la Filosofia che così viene ad avere un oggetto quasi identico a quello della Epistemologia. La Filosofia si
può salvare solo come sintesi delle Scienze o come metodologia delle stesse. Dice infatti Spencer
(1820 - 1903):
«la scienza [è] il sapere parzialmente unificato, la filosofia il sapere totalmente unificato.»
L'intero universo si offre allo strumento scientifico che è l'unico che può permetterne l'intera
conoscibilità, spostando l'inconoscibile (Spencer) nell'ambito religioso. Una voce dissonante nel
coro positivista è quella di Emile Du Bois-Reymond (1818 - 1896) che nell'opera I sette enigmi del
mondo del 1880, pone come ignorabimus: l'origine di
•
materia,
•
sensibilità,
•
forza,
•
coscienza,
•
movimento,
•
pensiero,
•
vita,
•
linguaggio
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(sono otto!). Tra tali argomenti sono molti quelli che spostano l'inconoscibile nell'ambito scientifico,
altri temi che forse in quel momento storico non avevano connotati scientifici, coscienza e pensiero,
li hanno acquisiti poi per opera di Sigmund Freud (1856 - 1939).
La lotta positivista contro la metafisica iniziata da Comte lo porta ad affermare che
«tutta la scienza consiste […] nella coordinazione dei fatti»
e che
«ogni scienza ha per fine la previsione».
Nella Scienza di oggi si ritrovano spesso considerazioni generate da un positivismo ingenuo ed
anche posizioni più problematiche. D'altra parte la Gnoseologia, quasi scomparsa dalla scena
filosofica, ha ritrovato vigore sotto le vesti di aspetti sociologici e psicologici. Inoltre molte attuali
posizioni della ricerca didattica, vuoi per influenze dirette, vuoi per influenze indirette, risentono di
posizioni gnoseologiche e questo talvolta crea come si vedrà, conflitti tra Didattica ed
Epistemologia.
Un merito del positivismo è consistito in un'epurazione critica dei procedimenti scientifici e nella
delimitazione dei campi di ricerca, favorendo l'eliminazione, dai significati delle parole usate nel
linguaggio specifico, di tutti i significati meta-empirici o approssimativi che le parole stesse inconsapevolmente portano o suggeriscono. Per questo motivo, il problema epistemologico maggiore del
positivismo era incentrato sulla giustificazione del fondamento dell'induzione sperimentale, dato che
la finitezza dell'esperienza non permette una generalizzazione di essa alla legge.
4. Epistemologia contemporanea precedente la relatività. Si può dire che la nascita dell'Epistemologia contemporanea sia dettata da una reazione al Positivismo. I nomi più significativi
sono quelli di Boutroux, Mach, R. Avenarius (1843 - 1896) e con essi l'Epistemologia assume una
forte componente critica. Il primo dei tre pensatori citati contesta il carattere deterministico delle
leggi scientifiche ed il deduttivismo con cui vengono presentati gli argomenti e mostra che nel cuore
stesso della Scienza è riscontrabile l'idea di contingenza. Per lui non è legittimo applicare concetti e
formalismi ai fenomeni empirico-naturali. La stessa nozione di legge riflette esigenze intellettuali (e
non solo) dell'osservatore di ridurre il diverso e all'identico, il mutevole all'immutabile, in altri
termini alla assunzione di relazioni di equivalenza ed alla astrazione dal tempo in cui i fenomeni si
svolgono, in una sorta di atemporalità che ne permette la ripetizione.
Gli altri due pensatori vengono solitamente accomunati nel termine di Empiriocriticismo. Essi misero in luce che il meccanicismo deterministico e materialistico della Scienza positivista nasconde
una forte componente metafisica, in quanto il fondamento delle Scienze, l'esperienza pura, viene ricondotta ad un tessuto indistinto di sensazioni. A partire da esse vengono organizzate rappresenta-9-
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zioni, concetti, leggi, teorie e sistemi scientifici, solo a fini pratici, con una sorta di teleologia della
conoscenza. Ma accettata questa posizione, il positivista affida alla Scienza la scoperta di ipotetiche
strutture definitive ed ultime della realtà. E' in questa la pretesa che si annida il germe della metafisica, sia che la Scienza si orienti verso il materialismo, sia che si orienti verso lo spiritualismo.
Per Mach:
«la scienza si forma per un continuo processo di adattamento del pensiero ad un determinato campo di
esperienze».
La Scienza assume così un carattere pragmatico, anzi per Avenarius un
carattere economico, basandosi sul suo Principio di minimo sforzo, influenzato
dal Principio di minima azione proposto da Fermat.
Queste posizioni influenzeranno le correnti di pensiero francese che
assumeranno aspetti anti-intellettualistici. Se per Bergson la Scienza ha ancora
una presa sul mondo della pura materialità, altri pensatori della stessa corrente,
Pierre de Fermat
(1601-1665)
hanno una posizione assai diversa. Ad esempio E. Le Roy (1870 - 1954) pone il fatto o dato come
una creazione arbitraria dello scienziato e Paul Duhem (1861 - 1916) riassume la sua epistemologia
assumendo la Scienza come un simbolismo convenzionale ed economico, anche se si tratta di una
sorta di convenzionalismo che si basa su una certa corrispondenza tra simboli e realtà, vista la sua
estrazione di fisico.
In Matematica (e non solo) ha avuto spazio il convenzionalismo (moderato) di Poincaré che
distingue tra leggi, verificabili, principi, inverificabili, i quali ultimi, appunto perché inverificabili, si
reggono sull'atto della volontà che li stabilisce. Poincaré alla luce delle "vicissitudini" della Geometria nel suo tempo con la comparsa dei modelli delle Geometrie non euclidee (uno è appunto di
Poincaré) riconosce alla Geometria euclidea un primato di "comodità", dato che
«una geometria non può essere più vera di un'altra, può essere soltanto più comoda».
Questi aspetti pragmatici della Scienza vengono ad ispirare la filosofia anglo-americana. Per James
Dewey (1859 - 1952), i concetti scientifici sono
«mezzi, strumenti, applicabili agli eventi storici per regolarne il corso.»
La posizione di Poincaré è quella di comporre in un quadro unitario l'apparente contraddizione
presente in Matematica, anzi in Geometria, intesa come teoria matematica adeguata alla realtà. La
contemporanea presenza di assiomatizzazioni verificabili e con assiomi in contraddizione, porta a
chiedersi se poi la realtà è così univocamente verificabile. Anche la classificazione delle Geometrie
dovuta a Klein pone lo stesso problema, sempre fornendo un quadro unitario di chiarimento. Queste
analisi e soluzioni di apparenti paradossi, riguardando il campo della Matematica non hanno sull'immaginario comune (o filosofico) lo stesso impatto che avranno invece le poco successive teoriz- 10 -
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zazioni fisiche, una almeno delle quali, la teoria della relatività, per detta del suo artefice, Einstein,
molto deve allo studio della geometria intrinseca su superficie in contesto non euclideo.
5. Epistemologia post-relativistica. In realtà bisognerebbe parlare sia della teoria
della relatività che di quella dei quanti, perché quasi contemporanee. Max Planck
(1858 - 1947) inizia a presentare nel 1900 l'idea che l'energia sia discontinua.
Einstein pubblica i primi lavori sulla relatività nel 1905. La Scienza dopo queste
teorie si presenta mutata in modo sostanziale. I criteri validi per il passato, perdono
Albert Einstein
(1858-1947)
di valore e richiedono una ricostruzione dell'intera "enciclopedia" della fisica e del
mondo della natura, su nuove basi. La relatività pone in discussione il concetto di
tempo e di spazio. La fisica quantistica, nella cosiddetta Scuola di Copenaghen, pone in discussione
l'esperimento ed il suo valore probatorio, nonché la causalità. Dice W. Heisenberg (1901 - 1976) a
commento del Principio di indeterminazione, del 1927, che nella microfisica i fenomeni studiati non
possono prescindere dall'effetto provocato dall'osservatore, da cui deriva l'impossibilità di una
«rigorosa separazione del mondo in soggetto e oggetto»
da cui discende una impossibilità teorica (e non solo pratica) di una descrizione rigidamente
deterministica dei fenomeni naturali. Diviene così impossibile portare a termine il programma
meccanicistico di P.S. Laplace (1749 - 1827) di comprendere sotto un'unica forma matematica i
movimenti degli astri del cielo e delle particelle elementari. Contemporaneamente alla presentazione
del principio di indeterminazione, N. Bohr (1865 - 1962) formulò il Principio di complementarità,
in base al quale l'aspetto ondulatorio e quello corpuscolare sono due diverse descrizioni parimenti
legittime dei fenomeni della microfisica. E. Schrödinger (1887 - 1961) affermò che tale principio è
solo un mascheramento verbale di una sconfitta teorica, per Bohr, invece, si tratta di un principio
epistemologico di spiegazione di varie forme di dualismo estensibile alle altre Scienze.
Le nuove teorie fisiche, viste come fenomeni rivoluzionari (T. Kuhn (n. 1922)) nel campo scientifico, esse portano a rivoluzioni anche in campo epistemologico. La rottura tra fisica classica e moderna porterebbe una rottura tra la concezione classica della ragione scientifica ed una nuova concezione di essa. Nascono di qui varie epistemologie, che pur con diverse argomentazioni, possono
essere comprese sotto il nome di nuovo razionalismo. C'è però un forte cambiamento: la ragione che
costruisce la nuova Scienza non è quella cartesiana, ragione assoluta che aveva ispirato le idee di
Platone, le nature semplici di Cartesio o le categorie di Kant. Questo tipo di ragione non appare più
adeguata alla realtà. Ma la "nuova" ragione e l'esperienza sono più intimamente connesse e così la
ragione non impone più gioghi all'esperienza, né la ragione si disperde nell'adeguarsi all'esperienza,
ma convivono in modo intrinseco per la costruzione della Scienza. Questa forma di razionalismo
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aperto viene proposto da G. Bachelard (1884 - 1962) ed adottato anche da altri, in particolare F.
Gonseth. Questi però incentra la sua epistemologia sulla contrapposizione tra concezione eidetica e
concezione dialettica della Scienza, cioè tra modello iconico e modello proposizionale. Il ritorno agli
aspetti critici è opera soprattutto di L. Brunschvicg (1869 - 1944). Egli vede l'intera filosofia come
coscienza della conoscenza, non pensando che il sapere sia un sistema chiuso; egli propone un'analisi che si avvalga anche dello sviluppo storico. Il suo idealismo storico propone la struttura del
pensiero scientifico e filosofico si identifichi con un Principio di produttività, inserito in una evoluzione storica. La sua opera è ispirata anche a Pascal, di cui curò un'edizione critica dei Pensieri.
L'importanza di Gonseth è che, a differenza degli altri studiosi citati, egli è meno interessato alla
rottura tra fisica nuova e classica, ma rivolge la sua attenzione maggiormente alla Matematica. In
questo senso Gonseth in un certo senso anticipa altri movimenti che prenderanno ampio rilievo in
ambito epistemologico.
Nell'Epistemologia del nostro secolo la conoscenza come situazione subordina a sé la conoscenza
archetipica asserita dalla Gnoseologia. Nucleo della situazione conoscitiva, la Scienza della natura,
viene vista come vittoriosa emergenza storica e viene fatta consistere nell'oggettività intersoggettiva,
ad esempio da M. Schlick (1882 - 1936), oppure nel convenzionalismo (Poincaré ed anche Carnap
(1891 - 1970)), nell'inferenza probabilistica di H. Reichenbach (1891 - 1953), o ancora nella delimitazione dell'esprimibile dall'inesprimibile (L. Wittgenstein (1889 - 1951) nel Tractatus logicophilosophicus).
In vario modo i nomi citati si possono far confluire nel cosiddetto Circolo di Vienna, espressione del
neopositivismo, da alcuni studiosi chiamato anche col termine di empirismo logico. Semplificando
molto, per questa scuola di pensiero in cui si collocano molti pensatori, la Scienza è costruzione
coerente su un gruppo di postulati, concepiti però come decreti ricavati non necessariamente
dall'esperienza. E' da tali decreti che i postulati assumono il loro valore, per cui le Scienza si trasforma o si riduce alla sole regole linguistiche richieste per l'uso dei postulati. La Scienza così diviene una costruzione di puri segni non interpretati, segni che non recano in sé nessuna informazione. Il linguaggio scientifico deve tendere alla purezza rigorosa, eliminando ogni riferimento all'intuizione, al dato, all'esperienza e privilegiando gli aspetti sintattici, ciò perché l'unico ambito che
costituisce la Scienza è all'interno della ragione che presceglie i decreti arbitrari.
Potrebbe venire il sospetto che in tal modo la Scienza si riduca ad un gioco, ma i neopositivisti affermano che l'unico criterio per discernere una proposizione significativa da una che non la sia è la
verificazione. In questo senso le proposizioni metafisiche sono insignificanti, mentre quelle relative
alla Scienza della natura sono verificabili e significative. Resta però sempre da decidere se la verifica
si basa solo su aspetti logici (teorema di completezza di Gödel) o su quelli empirici. Per alcuni la
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verificabilità consiste nella coerenza dei protocolli (enunciazioni elementari) che rimandano a una
situazione extralinguistica. Il problema della verificabilità non si può dire risolto soddisfacentemente
e minaccia la coerenza interna del neopositivismo. Ad esempio Wittgenstein identifica la
Matematica e la Logica in tautologie, escludendo la necessità dell'apriori e indica nelle tautologie lo
strumento per la sistemazione rigorosa dell'esperienza. Schlick e Carnap si possono vedere come i
punti estremi: il primo nega, il secondo afferma l'eliminazione di ogni riferimento extralinguistico
nella costruzione di una Scienza.
Accanto alle posizioni del Circolo di Vienna ve ne sono altre più o meno contemporanee, a testimonianza della ricchezza del dibattito culturale sul tema della Scienza, dibattito che oggi pare molto
affievolito. Ad esempio in America P.W. Bridgman (1882 - 1961), fisico (premio Nobel 1946) e
filosofo, sostiene che il rifiuto della fisica moderna è legato ad una indebita attribuzione di universalità e assolutezza a concetti quali lunghezza, tempo, ecc. Per evitare errori di questo tipo, ogni
concetto fisico deve essere identificato tramite le effettive operazioni di misura eseguite per
accertare se sussistono le proprietà del concetto stesso: al variare delle operazioni di misura,
cambiano anche i concetti in gioco. Egli sostiene che
«l'aspetto più importante di una teoria è quello che essa fa, non quello che dice di fare o quello che il suo autore
pensa che essa faccia.».
Il punto di vista operazionista è stato accettato anche al di fuori della Fisica, in Sociologia e in
Psicologia.
Dalla importanza attribuita al linguaggio, discende la più recente filosofia del linguaggio, la cosiddetta Scuola analitica, che tende ad identificare tutta la filosofia con lo studio del linguaggio.
E. Meyerson (1859 - 1933) vede nella Scienza la spiegazione, cioè l'identificazione del molteplice
con l'uno mediante il principio di identità che a suo dire sta alla base del principio di causalità
(equivalenza tra causa ed effetto), dal principio di inerzia (permanenza del moto), del principio di
conservazione dell'energia. La Fisica di Einstein viene vista dal Meyerson come la riduzione della
Fisica alla Geometria. I fenomeni che non accettano questa identificazione sono detti irrazionali,
primo fra tutti il Principio di Carnot e tutti quelli che parlano di irreversibilità o di mancanza di simmetrie, perché sono enunciati di mutamento e non di conservazione.
Come si vede in queste riflessioni ed in altre hanno trovato molto spazio i fisici, anche perché si
sono confrontati con problemi nuovi che sono sorti dalla disciplina. Il ruolo della Fisica nel panorama filosofico è divenuto rilevante, dall'introduzione della Fisica "moderna" in poi, rovesciando di
fatto la situazione venutasi a creare nei secoli precedenti dei problemi importati dalla Filosofia alle
discipline scientifiche.
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Altri epistemologi pur riconoscendo il ruolo delle convenzioni e della soggettività fanno presente
che nella Scienza c'è un aspetto ineliminabile: il riferimento ad un conoscibile, che però non definiscono in modo appropriato, senza fare ricorso a considerazioni metafisiche.
In generale le epistemologie contemporanee convergono su alcuni punti:
a) riconoscimento più ampio ed approfondito all'iniziativa del soggetto conoscente nella costruzione della Scienza.
b) Discernimento più accurato della natura diversa dei vari elementi che si riscontrano in ogni
sistemazione scientifica (metodici, simbolici, sistematici, ontologici, ecc.)
c) Più chiara coscienza della peculiarità del conoscere scientifico rispetto sia al conoscere, che
al conoscere filosofico.
d) Più critica esigenza e più illuminato sforzo per una Scienza schiettamente scientifica, in
un'ottica di approfondimento della conquista fondamentale dell'epistemologia di Galilei,
circa l'autonomia della Scienza.
C'è però un rischio, che questo tipo di approfondimento porti ad un distacco tra Epistemologia e
Filosofia, distacco che sarebbe di nocumento ad entrambe.
Alcuni di essi hanno cercato di non spezzare il legame tra Epistemologia e Filosofia. Ad esempio M.
Bunge (n. 1919) ha proposto una ricerca il cui compito fondamentale sia il mettere in evidenza quei
principi generali e quelle categorie filosofiche che sono il sottinteso di ogni ricerca scientifica,
ricerca che nelle intenzioni dell'autore (in opposizione dichiarata all'anti-metafisica dei neopositivisti) dovrebbe sfociare in una metafisica esatta, i cui strumenti d'indagine sarebbero logica, matematica e semantica formale.
6. Epistemologia critica in Matematica. Tutto quanto precede tende a dare un quadro della
complessa situazione cui si fa riferimento oggi con la parola Epistemologia. L'aggiunta dell'aggettivo
"critico" merita qualche commento. Si può ritrovare in Matematica uno spirito critico, anzi una
"tradizione", che risale ben addietro. In base a questa tradizione lo studioso si interroga sempre sul
sapere già formato, riuscendo a metterlo in crisi.
Un primo esempio di questo atteggiamento può essere trovato in Pitagora e nella sua scuola: in un
universo ben organizzato sulla conoscenza dei numeri naturali e dei rapporti tra essi, mediante il
teorema sui triangoli rettangoli, si introduce una "crepa", la scoperta degli incommensurabili, che
provoca la prima crisi (di cui abbiamo documentazione) che mette in luce i limiti di una conoscenza
ben stabilita.
Viene così a cadere anche un'idea con origini "atomistiche" della infinità dei punti di un segmento,
infinità data in atto. Un'altra crisi, quella sulla nozione di spazio e di infinito, è provocata da Zenone.
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La risposta a tutto ciò è una Scienza che rifiuta la contemplazione dell'infinito, che nega la natura
"insiemistica" del segmento, non più "quantità", ma "grandezza", vale a dire "qualità", dicotomia
questa con forti connotati filosofici.
In tal modo i problemi erano superati e per circa 2000 anni potranno restare sopiti. Ma la critica
continua: Ruggero Bacone prima, Galilei poi si ritroveranno alle prese con l'infinito e le argomentazioni di quest'ultimo saranno improntate alla critica del concetto.
Ben più lunga ed articolata è la storia della critica al postulato delle parallele. Le critiche a Euclide
sono sostanzialmente di due tipi: il primo è stato quello dell'analisi del postulato, ricerca conclusasi
con l'introduzione delle geometrie non euclidee e la sistemazione della Geometria di Klein, organizzata sulla base di paradigmi del tutto inattesi ed apparentemente "lontani" dall' ésprit de géométrie. Il
secondo tipo di critica, una volta sistemata la questione del postulato stesso, è stato l'approfondimento delle lacune logiche che il testo di Euclide presenta. Di qui sono sorte diverse proposte di assiomatizzazione della Geometria, tra le quali importante e fondamentale l'opera di Hilbert, a sua
volta rivisitata da Tarski.
Ancora alla tradizione critica si può far risalire la posizione di G. Berkeley (1685 - 1753), che ne
L'Analista: discorso ad un matematico infedele, pone in dubbio le idee astratte, quali gli infinitesimi
in atto, anzi per lui i risultati dell'Analisi del suo tempo sono assai sospetti, dato che non è possibile
l'esistenza al di fuori della percezione. Gli infinitesimi non possono essere percepiti, proprio per la
loro stessa natura, utilizzarli per la costruzione della conoscenza non ha quindi alcun senso.
Questa tradizione critica continua nel XX secolo con i risultati limitativi in Logica dovuti a Gödel,
Church, Skolem, che mostrano come una "fiducia" positivista nelle capacità umane di spiegare fenomeni anche semplici (proprietà dei numeri naturali) sia mal riposta.
Uno dei risultati della critica è spesso quello di obbligare lo studioso a distaccarsi dalla teoria corrente, per osservarla dal punto di vista metateorico, insomma per osservare dall'alto quello che veniva proposto dalla Scienza "normale" (nel senso di Kuhn).
Tra i risultati più interessanti della tradizione critica, dal punto di vista delle applicazioni didattiche,
vi è l'opera di Lakatos. Nel suo testo Dimostrazioni e confutazioni, mostra come affermazioni che
apparentemente hanno tutta la dignità di teoremi, nascondono una serie di proprietà implicite che
non reggono ad una critica serrata. Il tema viene svolto così con un confronto tra ciò che si vorrebbe
provare e ciò che di fatto si assume in modo implicito e che viene confutato da controesempi e da
argomentazioni inoppugnabili. Il tutto in uno stile di presentazione ben lontano dal formale cui ci
hanno abituati i testi universitari di Matematica, lontani dal paradigma ipotetico deduttivo, che
comunque è presente sullo sfondo, col ruolo di evidenziare la retrotrasmissione del falso, anziché la
trasmissione della verità dalle ipotesi alla tesi.
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Ovviamente la critica fine a se stessa non svolge un ruolo molto produttivo, sulla base dei risultati
individuati dall'analisi approfondita, bisogna avanzare proposte costruttive. Ciò è avvenuto nell'antichità ad opera di Eudosso prima, di Euclide poi. I Paradossi dell'Infinito, di B. Bolzano hanno
trovato la loro risposta organica nella teoria degli insiemi evolutasi da Cantor ai sistemi assiomatici.
Il risultato della Epistemologia critica è stato però la presa di coscienza che l'atteggiamento critico
non è una evenienza occasionale, ma deve fare pare costante della costruzione teorica. Quindi non si
tratta più di "salvare" la conoscenza certa, ma assumere che è proprio in questo gioco continuo di
falsificazione che risiede il carattere scientifico della conoscenza. Di fatto dobbiamo renderci conto
che quelli che oggi ci sembrano gli standard più rigorosi di presentazione e le acquisizioni teoriche
ultimative, sono di fatto elementi di teorie in evoluzione nel tempo.
Per questo insegnare in modo da fare acquisire una fissità di idee e stereotipi culturali, può risultare
ampiamente dannoso nel futuro.
Con ciò non si vuole favorire un atteggiamento di rinuncia alla conoscenza o un pericoloso relativismo per cui in fin dei conti tutti i risultati hanno lo stesso valore conoscitivo o culturale. L'attenzione critica è sempre pronta a mostrare come e qualmente si faccia riferimento a esperienze
estranee alle teorie.
Un esempio per tutti. Si pongano delle caramelle in un sacchetto. Si estraggano una a una tutte le
caramelle dal sacchetto e si contino trovando che sono 12. Si rimettano le caramelle nel sacchetto
(senza mangiarne). Quante sono le caramelle ora presenti nel sacchetto. La risposta "banale" è 12,
ma molti sarebbero in difficoltà a dimostrare la cosa (non a mostrarla, vuotando il sacchetto). In
questa risposta si utilizza il principio (psicologico) della conservazione della quantità, principio che
viene usato anche nelle Scienze, ma non è un postulato della teoria dei numeri.
Eppure questa attività di solito viene usata nella scuola elementare per "costruire" il concetto di
numero, evidentemente basandolo su concetti extramatematici. D'altra parte un risultato
(dimostrabile) relativo alla teoria degli ordinali afferma che ad un cardinale finito si può associare un
unico ordinale (cosa che non vale se il cardinale è infinito), questo risultato è equivalente al principio
di induzione. Il principio di conservazione della quantità è quindi utilizzato in alternativa al
principio di induzione, rivelando così un inatteso legame tra induzione (matematica) basata sull'induzione sperimentale e i principi di conservazione (si veda quanto detto sopra a proposito di Meyerson).
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C. Marchini - Appunti di Epistemologia e Storia della Matematica II - Scuola di Specializzazione per l'insegnamento
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