Appunti di BIOLOGIA MOLECOLARE E BIOTECNOLOGIE Docente: Soria Marco A.A. 2010/2011 BIOLOGIA MOLECOLARE I diversi livelli di gerarchia della cellula sono: Monomeri -> polimeri -> macromolecole -> complessi macromolecolari CELLULA L’approccio olistico è un metodo incentrato sullo studio di sistemi complessi: Si oppone alla trattazione puramente analitica, la quale si propone di interpretare i sistemi complessi dividendoli nelle loro componenti e studiandone separatamente le proprietà. Si basa sull’idea che le proprietà di un sistema non possono essere spiegate esclusivamente tramite le componenti. PRINCIPALI CARATTERISTICHE STRUTTURALI DELLE CELLULE EUCARIOTE ◊ NUCLEO Il nucleo contiene quasi tutto il DNA della cellula; piccole quantità di DNA sono presenti anche nei mitocondri e nei cloroplasti. Il nucleo è circondato da un involucro nucleare (composto da 2 membrane) a diretto contatto con il reticolo endoplasmatico rugoso. A intervalli, le 2 membrane si uniscono generando aperture note con il nome di pori nucleari. Ai pori sono associate strutture proteiche e trasportatori specifici che consentono ad alcune macromolecole di passare dal citoplasma alla fase acquosa del nucleo (il nucleoplasma). Il nucleolo è una regione specifica del nucleo, in cui il DNA contiene molte copie dei geni che codificano l’RNA ribosomiale. Prima della divisione cellulare (citochinesi) avviene la divisione del nucleo (mitosi). Il DNA a doppia elica (cromatina), viene replicato, e poi nella prima fase della mitosi le fibre di cromatina si condensano in corpi discreti, i cromosomi, ognuno costituito da 2 cromatidi identici. I cromosomi e la cromatina sono costituiti da DNA e da una famiglia di proteine cariche positivamente, gli istoni. Il DNA e gli istoni si associano in complessi detti nucleosomi (catena di DNA avvolta lungo l’istone). ◊ CITOSCHELETRO È l’elemento che sostiene la cellula ed è responsabile dell’architettura cellulare. Il citoplasma della cellula eucariota è attraversato da alcuni tipi di filamenti proteici che formano un reticolo tridimensionale nel citoplasma; questa struttura prende il nome di citoscheletro ed è paragonabile ad una tensostruttura altamente dinamica. I filamenti citoplasmatici possono essere di 3 tipi: 1. Filamenti di actina o microfilamenti: l’actina (proteina globulare) in presenza di ATP si associa spontaneamente formando lunghi polimeri lineari con andamento elicoidale del diametro di 6-7 nm. Sono i filamenti citoscheletrici più sottili, hanno proprietà contrattili che ne permettono lo spostamento. Hanno una polarità strutturale, ovvero hanno un’estremità con carica elettrica positiva, dove l’aggiunta di G-actina avviene velocemente e contribuisce all’allungamento del filamento e una carica elettrica negativa che influisce poco sull’accrescimento. La polimerizzazione inizia lentamente: 3 molecole di actina si legano tra loro. Nella cellula la concentrazione di actina libera è molto alta, quindi altre molecole di actina si legano a questo polimero ed il processo diventa man mano più veloce fino a che non si raggiunge un punto di equilibrio con l’actina libera nella cellula. 2. Filamenti intermedi: circondano la cellula come un canestro conferendole una certa rigidità. Hanno un diametro di 8-10 nm e si interpongo tra le altre0020due classi. Sono formati da diversi tipi di subunità proteiche monomeriche che si associano reversibilmente. La loro funzione è quella di creare un supporto meccanico (grande resistenza alla trazione) per la cellula e di stabilire la posizione degli organelli. A differenza degli altri filamenti citoscheletrici questi non sono polarizzati e sono più stabili. La polimerizzazione avviene nel seguente modo: 2 molecole si aggregano formando un dimero che va ad unirsi ad un altro dimero formando un tetramero. Infine i tetrameri si aggregano a loro volta fino a che non arrivano a formare un filamento di 32 molecole base molto simili ad una corda. 3. Microtubuli: sono tubi proteici di diametro pari a circa 22 nm in grado di assemblarsi spontaneamente a partire dalle loro subunità monomeriche. I dimeri di α-β tubulina, formano un microtubulo cavo. Sono polari e sono composti da eterodimeri formati da una tubulina-α e una di tubulina-β. La tubulina è una molecola in grado di legare GTP, ma solo le tubuline-β possono idrolizzare GTP in GDP. Durante la divisione cellulare (in particolar modo nell’anafase A e B) contribuiscono a trasportare i cromosomi duplicati in direzioni opposte distribuendoli equamente tra le due cellule figlie. ◊ MEMBRANA PLASMATICA Non solo funge da involucro della cellula ma è anche coinvolta negli scambi di sostanze. La membrana infatti contiene una grande varietà di trasportatori, proteine che attraversano la membrana trasportando sostanze nutrienti all’interno e prodotti di scarto all’esterno. È considerato come un foglietto continuo di molecole e strutture fosfolipidiche spesso circa 4-5 nm che incorpora diverse proteine. Molte proteine disposte sulla superficie della cellula (recettori di segnali) possiedono siti altamente specifici che legano molecole di segnali extracellulari (es. canali ionici). Qualunque sia il sistema di trasduzione del segnale, i recettori sulla superficie agiscono come degli amplificatori: una singola molecola di ligando che si lega a un singolo recettore determina: Un flusso di migliaia di ioni attraverso il canale aperto Sintesi di migliaia di molecole ad opera di un enzima attivato. Il passaggio delle sostanze nella cellula può essere di 2 tipi: 1. attivo: è un tipo di trasporto molto selettivo che richiede consumo di ATP. Un esempio sono le pompe che lavorano contro gradiente di concentrazione. Endocitosi: una regione della membrana plasmatica si invagina, racchiudendo al suo interno un piccolo volume di liquido esterno. L’invaginazione poi si racchiude su se stessa, formando una vescicola rivolta verso l’interno della cellula. i. Fagocitosi: caso particolare di endocitosi in cui il materiale trasportato all’interno della cellula è particolato (frammento o cellula più piccola). Esocitosi: processo inverso dell’endocitosi in cui le vescicole si muovono dal citoplasma verso la faccia interna della membrana plasmatica, dove si fondono con essa, rilasciando all’esterno il materiale contenuto. 2. passivo: per diffusione ovvero si verifica a favore di gradiente di concentrazione. Di solito è più lento di quello attivo. ◊ RETICOLO ENDOPLASMATICO Il RE è un sistema di canali tridimensionali che pervade tutta la cellula. È il sito in cui si producono quasi tutti i componenti delle membrane cellulari, come pure i materiali destinati all’esportazione. Si possono distinguere due tipi diversi di RE: 1. RE rugoso: chiamato così perché vi sono attaccati molti ribosomi (regione delle grandi cisterne) 2. RE liscio: privo di ribosomi è posto in continuità con il RE rugoso. È la sede della biosintesi dei lipidi e di altri processi importanti (metabolismo di farmaci e composti tossici). ◊ APPARATO O COMPLESSO DI GOLGI Consiste in un insieme di tasche membranose disposte in pile ed è strutturalmente e funzionalmente asimmetrico. Il lato cis guarda verso il RE e il lato trans verso la membrana plasmatica. Riceve e spesso modifica chimicamente le molecole prodotte nel RE per poi indirizzarle all’esterno della cellula o a varie altre destinazioni. Intorno all’apparato di Golgi si osservano numerose vescicole avvolte da membrane (50 nm o più). Si pensa che trasportino i materiali fra l’apparato di Golgi e i vari compartimenti della cellula. ◊ LISOSOMI Sono presenti nel citoplasma delle cellule animali. Sono vescicole di forma sferica protette da una doppia membrana (diametro ~ 0.5-1 µm). Contengono molti enzimi idrolitici (pH < 5) impegnati nella digestione intracellulare e operano come centro di riciclaggio cellulare di molecole complesse portate all’interno della cellula mediante endocitosi o fagocitosi. Svolgono quindi un importante ruolo sia per quanto riguarda l’anabolismo che il catabolismo cellulare. Alcuni importanti enzimi da ricordare sono: Nucleasi: enzimi in grado di degradare acidi nucleici Proteasi: enzimi in grado di degradare proteine Lipasi: enzimi in grado di degradare lipidi. Le membrane di tali vescicole pompano all’interno dei lisosomi una grande quantità di protoni in modo da mantenere l’acidità al loro interno. Alcune delle reazioni ossidative della demolizione degli AA e dei grassi producono radicali liberi e perossido di H (H2O2) il quale viene degradato in piccole vescicole circondate da membrane chiamate perossisomi, dalla catalisi, un enzima che catalizza la reazione. 2H2O2 -> 2H2O + O2 I corrispondenti dei perossisomi nelle piante sono i gliossisomi. ◊ MITOCONDRI Possono essere considerati come delle centrali energetiche della cellula. Ogni mitocondrio possiede due membrane: 1. La membrana esterna è liscia e circonda completamente l’organello 2. La membrana interna presenta diversi ripiegamenti (creste) che aumentano la sua area superficiale. Il compartimento interno dei mitocondri è occupato dalla matrice, una soluzione acquosa molto concentrata di enzimi e di intermedi chimici coinvolti nel metabolismo energetico. I mitocondri contengono molti enzimi che nel loro insieme catalizzano l’ossidazione di nutrienti organici mediante l’ossigeno molecolare. L’energia chimica rilasciata dalle ossidazioni mitocondriali viene usata per generare ATP. I mitocondri si riproducono soltanto per divisione di un mitocondrio già preesistente, che contiene un proprio DNA, insieme all’RNA e ai ribosomi. DIFFERENZIAZIONE DEI DIVERSI TESSUTI Dalle caratteristiche morfologiche posso distinguere diversi tipi di cellule: ◊ CELLULE EPITELIALI Sono cellule di forma regolare e quasi geometrica che aderiscono le une alle altre. Il disporsi ordinato delle cellule dipende dal fatto che queste poggiano su una membrana basale formata per lo più da collagene. Questi tipi di cellule così disposte (assenza di sostanza intracellulare) formano dei foglietti cellulari detti epiteli destinati a rivestire le superfici interne ed esterne del corpo. Le cellule sono inoltre strettamente legate le une alle altre per mezzo di numerose giunzioni cellulari che rendono il tessuto compatto e resistente a traumi o strappi. Le cellule epiteliali sono provviste di 2 superfici distinte: 1. Superficie basale: rivolta verso la membrana basale sottostante 2. Superficie apico-laterale: rivolta verso il lato superiore dell’epitelio presenta invaginazioni e protuberanze come microvilli o ciglia. Le cellule di questa parte di superficie sono cellule cheratinizzate ovvero contengono cheratina, una molecola organica che tramite la creazione di ponti disolfuro le rende maggiormente resistenti ai traumi e impermeabili ai liquidi. Gli epiteli, in genere, non sono percorsi da capillari sanguigni e le sostanze utili per il loro mantenimento sono veicolate mediante liquidi interstiziali (passaggio per diffusione). Le cellule epiteliali si possono classificare in: 1. Epitelio di rivestimento: riveste le cavità esterne ed interne del corpo. Va a formare lo strato di protezione esterno detto cute e costituisce l’epitelio delle mucose e la tonaca sierosa che riveste le cavità interne del corpo non comunicanti con l’esterno. 2. Epitelio ghiandolare: forma il parenchima delle ghiandole, strutture atte alla produzione e secrezione di sostanze utili all’organismo. Le ghiandole possono essere a. Esocrine: se il secreto fuoriesce sulla superficie esterna del corpo o in una cavità interna attraverso un dotto escretore (es. salivari, sudoripare, tratto gastrointestinale). b. Endocrine: se riversano il loro secreto direttamente nel corrente circolatorio (pancreas, fegato). 3. Epitelio sensoriale ◊ CELLULE CONNETTIVE Gli spazi che separano gli organi e i tessuti nel corpo sono pieni di tessuto connettivo fatto principalmente di un reticolo di robuste fibre proteiche (collagene e elastina) incorporato in un gel a base di polisaccaridi. Questa matrice extracellulare viene principalmente secreta dai fibroblasti. In generale è possibile effettuare una distinzione tra le cellule del tessuto connettivo in: 1. Cellule deputate alla formazione e al mantenimento della matrice ECM (fibroblasti, osteoblasti e cementoblasti). 2. Cellule deputate alla difesa dell’organismo (macrofagi e leucociti). 3. Cellule deputate a funzioni speciali (cellule adipose come riserva energetica). È possibile anche distinguere le cellule connettive in base al loro ciclo vitale in: Cellule fisse: (fibroblasti) svolgono tutta la loro vita nel tessuto connettivo Cellule migranti: (linfociti, macrofagi) raggiungono il tessuto connettivo dalla circolazione sanguigna. Un caso particolare di cellule connettive è il sangue, composto principalmente da: Eritrociti: o globuli rossi (5000000 per mm3) sono cellule piccolissime prive di nucleo e di membrane interne la cui funzione principale è quella di trasportare ossigeno in tutte le parti del corpo (grazie all’emoglobina). Sono dotate di grande flessibilità che gli consente di passare anche nei più piccoli capillari. Non vanno incontro a mitosi perciò devono essere continuamente rimpiazzate da nuovi eritrociti prodotti dal midollo osseo. Leucociti: o globuli bianchi (1 per ogni 1000 eritrociti) hanno la funzione di protegge l’organismo da infezioni e agenti esterni. Oltre a viaggiare con il circolo sanguigno i leucociti sono in grado di attraversare le pareti dei vasi sanguigni per poter esplicare la loro funzione nei tessuti circostanti. Ve ne sono diversi tipi, tra i quali: o Linfociti: responsabili delle risposte immunitarie quali la produzione di anticorpi. o Macrofagi: cellule che accorrono nei focolai di infezione Piastrine: frammenti di cellule più grandi (megacariociti) molto importanti per il processo di coagulazione del sangue. ◊ CELLULE MUSCOLARI Tali cellule contraendosi producono forza meccanica. In base alla morfologia ne possiamo distinguere 3 tipi diversi: 1. Muscolo striato scheletrico: presentano delle striature trasversali che li rendono subito riconoscibili. Ogni muscolo è costituito da un fascio di fibre muscolari, ciascuna delle quali è costituita da un enorme cellula plurinucleata. Hanno il compito di muovere le giunture mediante contrazioni intense e veloci. 2. Muscolo liscio: è costituito da cellule sottili e allungate (non striate) ciascuna dotata di un solo nucleo. È presente nel tratto digestivo nella vescica urinaria, nelle arterie e nelle vene. 3. Muscolo cardiaco: o miocardio è di carattere intermedio fra quello scheletrico e quello liscio. Presenta diverse tipe di strie (trasversali e intercalari) e si contrae indipendentemente dalla nostra volontà come il muscolo liscio. ◊ CELLULE NERVOSE Sono caratterizzate da un corpo centrale, soma, da cui si diparte una lunga appendice o assone (avvolto da una guaina a più strati costituita dalle cellule di Schwann) che conduce i segnali elettrici generati dal soma e da un’infinità di terminazioni nervose o dendriti responsabili dell’insorgere dell’impulso nervoso. Rilasciano neurotrasmettitori nelle sinapsi tra un neurone e l’altro. Sono per lo più ricoperti da mielina, una particolare tipo di sostanza che funge da isolante. ◊ CELLULE SENSORIALI Cellule del corpo deputate a rilevare gli stimoli esterni. Ricordiamo due importanti esempi: 1. Cellule ciliate: (più precisamente dell’orecchio interno) sono i recettori primari del suono. Quali cellule epiteliali modificate, esse recano alla superficie speciali microvilli (stereociglia). Il movimento di questi ultimi in risposta alle vibrazioni acustiche causa il passaggio di un segnale elettrico attraverso l’encefalo. 2. Bastoncelli: presenti nella retina, sono specializzate nel rispondere allo stimolo luminoso. La regione fotosensibile contiene molti dischi membranosi le cui membrane incorporano il pigmento fotosensibile rodopsina. Il segnale luminoso viene quindi trasdotto in segnale elettrico e trasmesso al cervello. ◊ CELLULE GERMINALI Derivano dal processo della meiosi e sono cellule di tipo aploide che si differenziano nell’uomo (spermatozoi) e nella donna (cellula uovo). CELLULA PROCARIOTE Le loro dimensioni sono dell'ordine di pochi micron, ma possono variare dai circa 0,2 μm. Il genoma cellulare è più semplice di quello delle cellule eucariote ed è costituito da una sola molecola circolare di DNA. È assente la membrana nucleare e quindi non presentano la compartimentalizzazione tipica delle cellule eucarioti. Le cellule procariotiche non risentono del fatto che il microambiente che le circonda sia più o meno controllato per osmolarità, cioè variando la pressione osmotica tali cellule non si riganglieranno e quindi non liseranno come accadeva invece con i globuli rossi. La spiegazione risiede nel fatto che i procarioti oltre alla membrana esterna possiedono anche una struttura rigida che va sotto il nome di parete cellulare che consente la sopravvivenza di procarioti anche in seguito alle grandi variazioni dell’ambiente che li circonda. Analogie con le cellule eucarioti: Sono dotate entrambe di ribosomi. Nel caso delle cellule procarioti i ribosomi si trovano al codice genetico a causa della mancanza della membrana nucleare. Differenze con le cellule eucarioti: Le cellule procariotiche sono dotate di appendici filamentose sulla superficie esterna che hanno diverse funzioni. Le cellule procariotiche fungono da molecole di adesione Le cellule procariotiche presentano dei flagelli fatti di proteine contrattili come quelle incontrate nel citoscheletro (MT e actina). In seguito alla contrazione e al rilasciamento dei flagelli i batteri possono spostarsi, se pur limitatamente. Dalle differenze dell’involucro cellulare dipendono le diverse affinità dei batteri per il colorante violetto di genziana, che rappresenta la base della colorazione di Gram. I batteri Gram positivi sono permeabili al colore e lo trattengono I batteri Gram negativi sono impermeabili al colore e non lo trattengono. Alla base di questo diverso comportamento ci sono differenze strutturali legate alla complessità della parete batterica. Tale parete risulta più complessa nei Gram negativi e più semplice nei Gram positivi. Infatti nei Gram negativi oltre un primo strato di parete ve ne è un secondo molto idrofobico che rende questi procarioti molto impermeabili e questo spiega anche perché non riescano a trattenere il calore. Questo secondo strato deve la sua impermeabilità alla componente lipidica della membrana che prende il nome di membrana lipopolisaccarida. La parete batterica in ogni caso è formata da una struttura proteoglicana composta come dice la parola da una parte proteica e da una porzione formata da carboidrati complessi. Questa struttura è una vera e propria maglia tridimensionale stabilizzata da legami crociati. ◊ VIRUS I virus sono complessi sopramolecolari che si possono replicare in appropiate cellule ospiti. Proprio per questo vengono definiti come parassiti obbligati intracellulari. Parassiti obbligati -> perché non sono in grado di vivere autonomamente e sono sempre costretti a penetrare all’interno di una cellula per sopravvivere. Intracellulari -> perché bisogna considerare di volta in volta la specificità dell’ospite (batterico, cellula vegetale, cellula animale). Sono costituiti da una molecola di acido nucleico (DNA o RNA) racchiusa in uno strato protettivo di molecole proteiche (il capside). Tecnicamente possiamo dire che i virus esistono in due stati diversi: 1. Al di fuori della cellula in cui si replicano, i virus sono semplici particelle non viventi, detti virioni. 2. All’interno della cellula i virus diventano dei parassiti intracellulari. Nella cellula il virus si appropria delle funzioni dei ribosomi e degli enzimi per fabbricare diverse copie della cellula virale. Nel caso di virus animali non sempre si tratta di virus litici, ovvero di virus che parassitano la cellula e la distruggono. Infatti ci possono essere situazioni in cui il virus penetra all’interno della cellula e si moltiplica, ma in tal caso non tutti i meccanismi della cellula ospite vengono dirottati nella riproduzione del fago (come nel caso dei batteriofagi), ma si stabilisce un equilibrio un equilibrio tra sopravvivenza della cellula ospite e la riproduzione fagica che ovviamente sarà più lenta ma comunque continua. I virus oncogeni sono quelli che infettano le cellule animali e provocano tumori. In questo caso non solo il virus è in grado di penetrare nella cellula e distruggerla ma è anche in grado di inserire il proprio genoma in quello della cellula che è stata infettata in modo che questo genoma del virus venga duplicato insieme al genoma della cellula infetta. Il vantaggio dell’inserire il proprio genoma in quello della cellula ospite è che questo processo è reversibile quindi questo genoma che si è andato ad integrare nel corredo della cellula ospite si può estirpare (ovvero si stacca dal cromosoma in cui si era annidato) I virus batterici prendono il nome di batteriofagi o più semplicemente fagi. Si può distinguere nella struttura del fago: Testa del fago: al cui interno è contenuto il genoma del fago ovvero l’archivio genetico per produrre nuovi fagi. Coda: struttura cilindrica, cava all’interno, che permette il passaggio del DNA contenuto nella testa nel momento in cui le fibre della coda del fago interagiscono con il batterio da infettare. Nel caso in cui un virus infetti un batterio, il DNA del virus viene decodificato e verranno lette le informazioni contenute in questo archivio al fine di sintetizzare nuovi fagi risiedenti all’interno del batterio. Tale assemblaggio e sintesi di nuove molecole di fago avviene a spese di meccanismi metabolici del batterio. Il risultato finale è che il batterio diventa un sacco pieno di fagi e quindi non essendoci più dei meccanismi che riescono a mantenere funzionanti le strutture del batterio si ha la rottura della parete batterica e l’immissione di tali cellule fagiche nell’ambiente esterno. ◊ DNA E RNA I nucleotidi sono formati da 3 componenti caratteristici: 1. Una base azotata: le basi azotate sono derivati di due composti, la pirimidina e la purina 2. Uno zucchero pentoso: 3. Un gruppo fosforico: La molecola senza il gruppo fosforico prende il nome di nucleoside. I composti dei nucleosidi sono degli eterociclici. Nei pentosi dei nucleotidi e dei nucleosidi i numeri degli atomi di C hanno tutti il segno primo (‘) per distinguerli dagli atomo di C della base azotata. La base di nucleotide è unita covalentemente all’atomo di C 1’ del pentosio con un legame N-β-glicosidico; il gruppo fosforico è invece esterificato sull’atomo di C 5’. Il legame N-β-glicosidico si forma attraverso la rimozione di una molecola d’acqua. In posizione 2’ e 5’ si trovano gruppi ossidrilici. In particolare l’ossidrile presente in posizione 2’ è importante per diversificare tra loro i due pentosi: Ribosio -> se in posizione 2’ troviamo un gruppo –OH. Desossiribosio -> se in posizione 2’ troviamo un gruppo –H. L’acido che ne deriva è l’acido desossiribonucleico. In posizione 5’ vi è un radicale fosforico e in posizione 1’ si ha la base azotata. Quindi sia nel ribosio che nel desossiribosio, legati covalentemente in posizione 1’, ci sono delle strutture cicliche contenenti azoto: Basi pirimidiniche: o Nel DNA: citosina e tirosina o Nel RNA: citosina e uracile Basi puriniche: adenina e guanina sia nel DNA che nel RNA. Riassumendo possiamo dire che ciascun monomero è costituiti da: 1. Base azotata (purinica o pirimidinica) 2. Pentoso (ribosio o desossiribosio) 3. Gruppo fosfato (ATP, AMP, ADP) attaccato in posizione 5’. Quindi ci possono essere da 1 fino a 3 gruppi fosfato legati in posizione 5’. La posizione dell’OH in 3’ è importante nel momento in cui questi monomeri polimerizzano con formazione di legami fosfodiesterici fra il gruppo OH in posizione 3’ e il gruppo fosfato in posizione 5’. Si forma una catena costituita da una successione di nucleotidi in cui variano le basi azotate. Siccome il polimero è lineare si avrà un inizio e una fine e per convenzione si è stabilito che: Estremità 5’: estremità in cui il fosfato in posizione 5’ è libero. Tale estremità va posizionata in alto a sinistra. Estremità 3’: estremità in cui –OH in posizione 3’ è libero . Il concetto di polarità dipende proprio dalla direzionalità 5’->3’ oppure 3’->5’. Nella doppia elica di DNA ho un autoparallelismo ovvero ho 2 filamenti che hanno polarità opposta, cioè mentre un filamento avrà direzionalità 5’->3’ quello complementare avrà polarità opposta cioè 3’->5’. ◊ UN PO’ DI STORIA Luria (vero nome Salvatore Luria) nacque a Torino da una influente famiglia ebrea italiana. Allievo dell'istologo Giuseppe Levi prese la specializzazione in radiologia all'Università di Roma. Lì fu introdotto alle teorie di Max Delbrück sui geni come molecola e cominciò a formulare metodi per testare le teorie genetiche sui fagi, virus che infettano i batteri. Insieme a Delbruck (e a Hershey), con cui fondò il cosiddetto phage group, portò avanti un importante esperimento, conosciuto come esperimento Luria-Delbruck, in cui dimostrò statisticamente che l'ereditarietà nei batteri segue i principi darwiniani piuttosto che quelli lamarckiani, e che i batteri mutanti che si presentano casualmente possono presentare resistenza virale anche senza la presenza del virus stesso. In base alle informazioni di quel tempo si pensava che l’informazione genetica di ogni cellula potesse essere contenuta o nelle proteine o nelle molecole di DNA e RNA. I primi studi si inidirizzarono verso le proteine poiché essendo queste formate da 20 AA diversi erano in grado di formare molecole più complesse. Invece il DNA e l’RNA avendo solamente 4 basi diverse si pensava che non potessero creare molecole di elevata complessità. Importanti scoperte nel settore furono fatte anche dal chimico austriaco Erwin Chargaff relative al DNA contenuto nelle cellule di diversi organismi. Egli formulò 2 “regole”, così chiamate, riguardanti particolari rapporti tra le 4 basi azotate del DNA. la prima regola mostra l'esistenza di un rapporto 1:1 tra le basi puriniche (A+G) e le basi pirimidiniche (T+C) contenute nel DNA di una cellula. Il rapporto è costante in tutte le specie, ma per specie diverse le % delle varie basi saranno anch'esse diverse. Questo rispecchia la diversità genetica delle diverse specie. la seconda regola mostra che in una molecola di DNA a doppio filamento la % di adenina eguaglia quella di timina; e la concentrazione di citosina quella di guanina (%A = %T; %C = %G). Questo vale per il DNA estratto dalle cellule di tutti gli organismi, anche se considerando organismi diversi le percentuali avranno valori diversi. Questa semplice regola è stata uno degli elementi essenziali che hanno permesso la formulazione del modello di DNA da parte di James Watson e Francis Crick. Grazie anche a questa regola si è dedotto come le corrette forme di appaiamento delle basi tra i due filamenti del DNA. Agli inizi degli anni 50, nacque un’importante collaborazione tra il biologo statunitense James Watson e il cristtallografo inglese Francis Crick, i quali iniziarono a interrogarsi sulla vera struttura del DNA. I due si avvalsero della cristallografia come metodica di lavoro in quanto, qualche anno prima, Linus Pouling era riuscito a dimostrare attraverso tale tecnica che le proteine avevano una struttura elicoidale, più precisamente ad α-elica. Nel creare i loro modelli si basarono sulle regole di Chargaff però solo grazie all’apporto tecnico della chimica inglese Rosalinda Franklin Watson e Crick arrivarono alla formulazione della struttura a doppia elica del DNA (1953). In particolare, Rosalinda Franklin contribuì nell'individuare la funzione dei gruppi fosfato degli acidi nucleici. La ricercatrice chiarì la loro posizione esterna, suggerendone la funzione di supporto. Watson e Crick ne conclusero dunque che l'informazione risiedesse nell'ordine delle quattro basi azotate. ◊ MODELLO A DOPPIA ELICA Questo tipo di modello prevede che i legami fosfodiesterici siano posizionati all’esterno mentre le basi azotate si fronteggiano all’interno della doppia elica rispettando le regole di Chargaff. Quindi se in uno dei 2 filamenti troviamo un’adenina come base azotata il suo corrispondete, nell’altro filamento, sarà certamente una timina; la guanina, invece, sarà sempre accoppiata con una citosina. Ne consegue che: 1. si ha una complementarietà delle basi: A -> T, G -> C. In questa complementarietà risiede la trasmissione dell’informazione genetica. 2. si ha una polarità: ovvero vi è un antiparallelismo tra i filamenti che costituiscono la doppia elica. Abbiamo due direzioni: 5’ -> 3’ e 3’ -> 5’. Questa direzionalità viene mantenuta anche nel momento in cui sullo stampo di DNA viene trascritta una molecola di RNA. L’RNA presenterà quindi direzionalità opposta rispetto alla molecola di DNA. 3. si ha la formazione di legami –H: A – T: forma 2 legami –H. G – C: forma 3 legami –H. Nonostante i legami a –H siano più deboli di quelli covalenti, la molecola di DNA risulta estremamente stabile. Questo è dovuto al fatto che, se considerato singolarmente, un legame di tipo –H presenta una bassa forza di legame, però nel caso di una molecola di DNA, lunga 3 miliardi di coppie di basi, bisogna la forza dei legami –H per 3 miliardi e si ha così il mantenimento di una notevole stabilità. La molecola di DNA risulta carica negativamente in quanto tutti i gruppi fosfato sono disposti all’esterno della doppia elica mentre all’interno sono presenti le interazioni tra basi azotate. Il DNA riesce a duplicarsi mantenendo il medesimo contenuto informazionale poiché la doppia elica può aprirsi grazie all’azione di enzimi (DNA polimerasi), e su ognuno dei due filamenti viene polimerizzata una nuova elica complementare dove vengono mantenute sia la complementarietà delle basi che l’antiparallelismo. Quindi da una doppia elica madre si ottengono due doppie eliche figlie. Per polimerizzare un nuovo filamento di DNA c’è bisogno della presenza di un filamento che funga da stampo. La doppia elica si apre e i 2 filamenti complementari fungono entrambi da stampo per le nuove molecole di DNA sintetizzate. La polimerizzazione inizia a partire dall’unione dei monomeri, ovvero i nucleotidi. I monomeri di partenza sono dei nucleotidi trifosfato (es. GTP, ATP) i quali, una volta che vengono incorporati nella catena perdono due gruppi fosfato diventando nucleotidi monofosfato (es. GMP, AMP). ◊ ESPERIMENTO DI GRIFFITH L'esperimento di Frederick Griffith del 1928 fu uno dei primi esperimenti a suggerire che i batteri sono in grado trasferire informazioni genetiche attraverso un processo noto come trasformazione. In tal modo, esso aprì la strada alla determinazione di quale fosse la natura del materiale genetico. L'ufficiale medico inglese F. Griffith in quegli anni studiava un batterio in grado di causare la polmonite: lo pneumococco (Streptococcus pneumoniae). Nei suoi esperimenti fece uso di due ceppi batterici: Il ceppo S, detto anche liscio dal momento che produce colonie lisce e lucenti (grazie alla presenza di una capsula batterica polisaccaridica che avvolge ogni cellula). Questo ceppo è in grado di provocare la polmonite. Il ceppo R, detto anche rugoso dal momento che produce colonie dall'aspetto "rugoso" (a causa dell'assenza della capsula batterica). Questo ceppo non è in grado di provocare polmonite. Basandosi su questi dati Griffith prelevò un campione da ciascuna delle due diverse specie di colonie e li iniettò in un topolino da laboratorio. Si osservò che se i batteri erano di: S: il topolino moriva R: il topolino sopravviveva. Griffith raggiunse la conclusione che la presenza o meno della capsula del batterio è il fattore responsabile della virulenza, ovvero del fatto che i pneumococchi che possiedo queste capsule uccidono i topolini mentre quelli che ne sono privi risultano non letali. Successivamente Griffith notò che iniettando nel topolino una sospensione di batteri virulenti (S) dopo bollitura (batteri uccisi dal calore) non risultava letale per la cavia. In base a queste ultime osservazioni lo scienziato decise di svolgere tutte le permutazioni possibili a riguardo ottenendo: 1. Caso I: si inietta nel topolino una sospensione di batteri virulenti ma uccisi (S bolliti) e in seguito una sospensione di batteri non virulenti ma vivi (R). Il risultato di questo caso portò alla morte del topo in quanto i batteri R ridiedero vita ai batteri S uccisi. Tutto ciò fu confermato dal ritrovamento di batteri S vivi nel cadavere del topo. Griffith non visse abbastanza per poter concludere i propri studi però diede comunque un contributo significativo agli studi in questo settore introducendo il principio di trasformazione: fenomeno con il quale si tentava di spiegare come era possibile ridare vita ai batteri virulenti uccisi. ◊ PRINCIPIO TRASFORMANTE Le osservazioni di Griffith furono riprese nel 1943 da 3 scienziati statunitensi: Avery, MacLeod e McCarty i quali ripresero il suo lavoro e sottoposero questo principio trasformante a 3 esperimenti in parallelo: 1. Principio trasformante sottoposto all’azione di una proteasi (enzimi che degradano le proteine mantenendo intatti gli acidi nucleici) -> non accadeva niente 2. Principio trasformante sottoposto all’azione di una RNA-asi (enzimi che degradano l’RNA mantenendo intatto il DNA) -> non accadeva niente 3. Principio trasformante sottoposto all’azione di DNA-asi (enzimi che degradano il DNA) -> non è più possibile ripetere le osservazioni di Griffith. Questo dimostrò che il principio trasformante era il DNA, ovvero il DNA era il vero depositario dell’informazione genetica del batterio virulento. Nel caso particolare di Griffith (Caso I) ci deve essere stato un rilascio di DNA da parte di batteri virulenti uccisi che ha trasformato i batteri vivi non virulenti in virulenti. A dimostrazione del principio trasformante alcuni scienziati americani decisero di compiere un ulteriore esperimento a riguardo utilizzando zolfo radioattivo e fosforo radioattivo. L’esperimento consisteva nel prendere dei fagi composti da una testa fatta di proteine al cui interno è custodito il DNA. Quindi fecero crescere delle sospensioni di batteri e le infettarono con dei fagi in 2 esperimenti paralleli. Esperimento 1: viene aggiunto il zolfo radioattivo al fago Esperimento 2: viene aggiunto fosforo radioattivo al fago In questo modo i fagi che derivano da queste due infezioni in presenza di zolfo radioattivo o di fosforo radioattivo possono essere suddivisi in 2 popolazioni radioattive: 1. Marcata con zolfo -> presente solo nelle proteine 2. Marcata con fosforo -> presente solo nel DNA. Hanno poi utilizzato queste 2 diverse sospensioni per infettare dei batteri sapendo che la testa sarebbe rimasta all’esterno mentre il DNA sarebbe stato iniettato all’interno. La sospensione dei batteri viene agitata velocemente e così facendo le teste dei fagi si staccano e rimane solo quello che hanno iniettato all’interno del batterio stesso. A questo punto entrambe le soluzioni vengono centrifugate in modo da ottenere una pellicola sul fondo della provetta costituita da tutte le cellule batteriche e un cosiddetto sopranatante costituito da molecole rimaste in soluzione. Il risultato è stato che: 1. Esperimento 1: tutta la radioattività dello zolfo si trovava nel sopranatante e nessuna radioattività nella pellicola. 2. Esperimento 2: tutto il fosforo radioattivo si trovava sul fondo mentre non compare alcuna radioattività nel sopranatante. Da questi risultati si evince che le proteine marcate con zolfo sono rimaste all’esterno dell’infezione ovvero non penetrano nel batterio. Mentre penetra il DNA marcato con fosforo che si ritrova all’interno delle cellule risultanti dall’infezione. Ancora una volta è stato quindi dimostrato che il DNA è il depositario dell’informazione genetica. ◊ FLUSSO DELL’INFORMAZIONE GENETICA L'informazione genetica viene riprodotta prima che una cellula si divida mediante la replicazione del DNA. L'informazione di un frammento di DNA viene ricopiata in un filamento di RNA con un processo detto trascrizione. In questo caso essa non viene sostanzialmente modificata in quanto i ribonucleotidi sono molto simili ai corrispondenti desossiribonucleotidi. Il tipo più abbondante di RNA è il messaggero (mRNA) che ha la funzione di trasportare l'informazione dal DNA ai ribosomi che producono le proteine. Si tratta di molecole a vita breve che vengono poi degradate. Il ribosoma, nell'attuare la sintesi proteica (traduzione) deve interpretare una sequenza di nucleotidi e produrre una sequenza precisa di amminoacidi. Nelle normali proteine vi sono circa 20 tipi di amminoacidi: ogni amminoacido per essere determinato richiede tra 4 e 5 bit di informazione (in quanto 2 4=16 e 25=32). Per rappresentare un amminoacido serve quindi una sequenza di 3 nucleotidi (tripletta). Il codice genetico è la regola di corrispondenza tra le triplette e gli amminoacidi: è lo stesso per tutti gli organismi terrestri, e ciò è una forte evidenza a favore dell'origine comune di tutte le specie che conosciamo. Poiché le triplette sono 64 (43) vi sono triplette sinonime (che indicano lo stesso amminoacido): si dice perciò che il codice genetico è degenere. Esistono inoltre tre triplette nonsense, che non rappresentano nessun amminoacido e indicano la fine della catena proteica. Tutte le sostanze organiche non semplicissime presenti in un organismo sono proteine o sono prodotte dalle proteine enzimatiche: i geni determinano quindi la composizione dell'individuo. Il seguente schema mostra il flusso dell'informazione genetica: Da osservare che esiste una certa colinearità tra il linguaggio degli acidi nucleici, con le sue estremità 5’ fosfato e 3’ ossidrile, e quello delle proteine con le loro estremità N-terminale e C-terminale. Negli anni '70 si è verificato che esistono eccezioni alla direzione del flusso di informazione. In alcuni virus il genoma è costituito da RNA, che si replica in due modi. Nei retrovirus si ha la trascrizione inversa ossia la produzione di DNA a partire dall'RNA virale. Questo DNA entra a far parte del genoma della cellula ospite e dalla sua trascrizione si ottiene nuovo RNA virale. In altri virus l'RNA virale si replica in modo simile al DNA. Comunque, in tutti gli organismi a base cellulare il DNA è l'unica molecola che garantisce la continuità delle caratteristiche ereditarie. ◊ PLASMIDI Piccoli filamenti circolari di DNA presenti nelle cellule procariote. Sono costituiti da DNA ma non fanno parte del cromosoma batterico però sono comunque parte del genoma batterico e possono essere considerati come elementi extracromosomiali. La presenza dei plasmidi è dovuta alla necessità che i batteri hanno di replicare il loro DNA. Nel corso dell’evoluzione, anche per diminuire il tempo di replicazione del DNA, le cellule batteriche hanno sviluppato questi plasmidi che risultano facilmente mobilizzabili ovvero possono passare facilmente da una cellula batterica all’altra. Possono essere considerati come dei minicromosomi dal contenuto ridotto di DNA che permettono una disseminazione dell’informazione genetica da loro contenuta non in maniera verticale, cioè di generazione in generazione (le cellule devono aspettare la duplicazione cellulare per trasmettere il DNA da loro contenuto). Quindi attraverso questi plasmidi i batteri riescono a passare qualche informazione molto precisa e peculiare che risponde alla legge della sopravvivenza del più forte di Darwin (es. plasmidi contengono l’informazione genetica che permette ai batteri di resistere agli antibiotici) -> fitness batterica (ovvero la sopravvivenza dei batteri aventi dei fenotipi più forti). Questi plasmidi sono simili a dei cerchietti formati da una doppia elica circolare di DNA: Il fatto di avere una forma circolare chiusa implica l’assenza di un’estremità 3’ libera e di un’estremità 5’ libera poiché tutti gli –OH e i fosfati sono impegnati in un legame fosfodiesterico. Risultano essere superavvolti e superspiralizzati e quindi hanno un elevato grado di compattazione. In natura si possono trovare 3 forme diverse di DNA: 1. Supercoil: forma superspiralizzata 2. Forma lineare 3. Forma intermedia: corrisponde alla forma circolare. La si può ottenere a partire dalla forma superspiralizzata rompendo uno solo dei due legami fosfodiesterici (introduzione di un nick) che costituiscono la doppia elica. ◊ REPLICAZIONE DEL DNA In ogni cromosoma, ma anche in ogni plasmide, si può individuare una sequenza di base nota come origine di replicazione, ovvero il luogo fisico dove incomincia ad avvenire la polimerizzazione del nuovo filamento di DNA sullo stampo del vecchio filamento. La polimerizzazione di 2 nuove molecole di DNA può avvenire in due modi: 1. Modo unidirezionale: sempre nella stessa direzione 2. Modo bidirezionale: modo più rapido ed efficiente rispetto all’unidirezionale. Un filamento di DNA, detto a replicazione progressiva (in inglese filamento leading, filamento guida), viene sintetizzato in modo continuo; l'altro, detto a replicazione regressiva (in inglese filamento lagging, filamento lento), è dapprima formato da corti frammenti di DNA (i frammenti di Okazaki) di 1-3 kilobasi. In seguito i frammenti sono uniti dall'enzima DNA ligasi. La sintesi di DNA non può iniziare ex novo, quindi l'enzima primasi sintetizza corti inneschi di RNA complementari al DNA stampo. Nei procarioti gli inneschi dei frammenti di Okazaki sono rimossi dall'enzima RNAsi H e dalla DNA polimerasi I. Negli eucarioti altri enzimi rimuovono i primer e la Polimerasi δ riempie le interruzioni tra i frammenti. Le DNA polimerasi, affinché il processo di replicazione sia efficace, necessitano di proteine che aumentino la loro attività e le stabilizzino sul filamento. Leclamp-loading legano il DNA alla giunzione tra l'innesco e lo stampo, le sliding-clamp si congiungono a queste ultime, caricano la Polimerasi sul DNA e garantiscono la sua stabilità. Lo svolgimento del DNA parentale è catalizzato dall'enzima elicasi, che denatura il filamento sfruttando l'idrolisi dell'ATP. Proteine che si legano al DNA a singolo filamento stabilizzano il DNA denaturato in modo che la Polimerasi possa scorrervi. Per evitare che i filamenti si attorciglino le topoisomerasi introducono tagli singoli (nel caso delle Topoisomerasi I) o doppi (nel caso delle Topoisomerasi II). Queste rotture reversibili fungono da perni, che consentono al DNA di ruotare liberamente. Viviamo in un ambiente in cui sono presenti continui fattori in grado di danneggiare il DNA e i meccanismi del nostro metabolismo: Radiazioni cosmiche Raggi UV Composti chimici pericolose presenti nell’ambiente. Ad ogni duplicazione del DNA ci saranno degli enzimi in grado di riparare eventuali lesioni presenti nel DNA dovute sia ad agenti fisici che chimici. ◊ ORGANIZZAZIONE DEL GENOMA O patrimonio genetico è l’informazione ereditabile contenuta nel DNA di un organismo Mentre nei batteri vi è un solo cromosoma negli esseri umani oltre ai cromosomi che contengono l’informazione genetica generale vi sono anche o cromosomi sessuali che contengono quelle informazioni fenotipiche che distinguono i maschi dalle femmine I cromosomi sessuali sono rappresentati da: Una coppia di cromosomi uguali per la donna (XX) Una coppia di cromosomi diversi per i maschi (XY) Abbiamo perciò un corredo formato da coppie di cromosomi, tale assortimento è dovuto al fatto che ereditiamo ciascun tipo di cromosoma uno dal padre e uno dalla madre, ecco perché si parla di coppie. Il genoma umano è composto da ben 46 cromosomi distinti: 22 coppie di autosomi (cromosomi non sessuali) 1 coppia di cromosomi sessuali (X,Y) che determinano il sesso. La madre sona sempre un cromosoma X mentre il padre può donare un cromosoma X o uno Y A seconda della coppia di cromosomi sessuali l’individuo sarà femmina o maschio. Si può quindi distinguere: 1. CORREDO DIPLOIDE: se si parla di cellule contenenti sia cromosomi paterni che materni 2. CORREDO APLOIDE: se prendo in considerazione ciascun cromosoma (non si parla piu di coppie in questo caso) Quindi in ogni coppia un cromosoma appartiene al corredo aploide dello spermatozoo del padre e l’altro al corredo aploide della cellula uovo della madre. Corredo aploide materno + corredo aploide paterno CORREDO DIPLOIDE Che sarà completato da 2 cromosomi sessuali XY nell’UOMO 2 cromosomi sessuali XX nella DONNA Tutte le cellule del nostro organismo, ad eccezione di quelle del cervello(neuroni), vengono sostituite e quindi sono soggette a duplicazione. Da una cellula madre quindi, si hanno due cellule figlie Si ha il cosiddetto ciclo cellulare che prende in esame tutti i singoli eventi di una duplicazione cellulare ◊ MITOSI (duplicazione delle cellule somatiche) Duplicazione di quasi tutte le cellule => cellule somatiche (soma=corpo) Da una cellula madre 2 cellule figlie Tutte le cellule somatiche contengono un corredo cromosomico diploide, cioè 23 coppie di cromosomi omologhi => 23 di origine materna e 23 di origine paterna Si svolge in varie fasi e la piu drammatica è quella in cui l’architettura della cellula deve organizzare il citoscheletro in modo da disassemblare la membrana nucleare e fare in modo che i cromosomi che si sono duplicati (cioè quelli di nuova formazione) migrino lungo il fuso mitotico, alle due estremità opposte della cellula madre. In tal modo dopo la divisione cellulare ogni cellula figlia sarà dotata del proprio corredo cromosomico. ◊ MEIOSI (duplicazione cellule germinali) Cellule responsabili della propagazione della specie. Spermatozoo nel maschio e cellula uovo nella femmina. Mentre le cellule somatiche sono dotate di un corredo diploide le cellule germinali hanno un corredo aploide, cioè soltanto una copia di ogni cromosoma. Durante la fecondazione lo spermatozoo, contenente il corredo aploide paterno, si unisce con la cellula uovo, contenente il corredo aploide materno, per dare uno zigote (= cellula risultante dalla fecondazione) che è una cellula dotata di corredo diploide. Quindi mentre nella mitosi la cosa importante è quella di mantenere il corredo diploide della cellula madre anche nelle due cellule figlie, nella meiosi una cellula contenente corredo diploide dà origine a 4 cellule contenenti ciascuna un corredo aploide ovvero da una cellula madre si hanno 4 cellule figlie. Quindi al contrario della mitosi nella meiosi si ha la riduzione da corredo in doppia copia a corredo in semplice copia. Poi successivamente nella fecondazione si avrà la formazione dello zigote diploide. Superspiralizzazione: avviene grazie alla presenza di nucleosomi (strutture proteiche che assomigliano alle perle di una collana) attorno ai quali il DNA viene avvolto. I nucleo somi sono formati da particolari proteine: istoni. Ci sono vari tipi di istoni, tutti formati da pochi AA con proprietà molto basiche. I principali AA che costituiscono gli istoni sono L’Arginina e la Lisina che conferiscono un comportamento elettrostatico positivo (ovvero il nucleosoma risulterà carico positivamente e quindi capace di attirare attorno a sé la molecola negativa di DNA e in particolare con i gruppi fosfato negativi posti all’esterno della catena di DNA). Il nucleo soma è un ottamero ovvero costituito dall’assemblaggio di 8 sub-unità circondate da un’ansa di DNA 2 istoni H2A 2 istoni H2B 2 istoni H3 2 istoni H4 Vi è poi un pezzo di DNA detto spaziatore che collega un nucleosoma a quello successivo. Esiste anche l’istone H1 che stabilizza il nucleosoma. Queste proteine istoniche sono soggette ad una grande varietà di modificazioni per esempio l’aggiunta o la rimozione di gruppi metilici. Questa aggiunta/rimozione è responsabile della capacità posseduta da queste proteine istoniche di srotolare e arrotolare il DNA o meglio ancora di compattare e de compattare il DNA. I nucleo somi rappresentano uno dei primi gradi di compattazione del DNA. ◊ TRASCRIZIONE DEL FILAMENTO DI DNA SU UN FILAMENTO DI RNA Sul filamento di RNA al posto della Timina (T) c’è l’Uracile (U) L’ossidrile OH in posizione 2’ compare sul filamento di RNA mentre su quello di DNA nella stassa posizione c’è un H GENE: corrispondenza di una determinata proteina e una determinata regione del DNA. Lo slogan 1 gene-1 proteina è corretto ma non è preciso. Si possono avere più geni che codificano una stessa proteina e ciò si verifica quando la proteina oltre ad avere una struttura terziaria è dotata anche di una struttura quaternaria, ovvero è formata da più sub-unità uguali o diverse tra loro. Può quindi succedere che sub unità appartenenti ad una stessa proteina vengono codificate da regioni diverse di DNA (ovvero da geni diversi). TRASCRIZIONE-> riporta fedelmente un testo. La trascrizione di un filamento di DNA su un novo filamento di RNA è mediata da un complesso enzimatico noto come RNApolimerasi DNA dipendente (lo stampo è cmq il DNA) FILAMENTO DI DNA FILAMENTO DI RNA DNA polimerasi DNA dipendente (anche in questo caso il filamento di stampo è il DNA) Il processo di aggiunta di ogni monomero per formare un nuovo polimero è assolutamente uguale sia nel caso della duplicazione che in quello della trascrizione a parte 2 differenze: 1. Nel filamento di RNA compare l’Uracile U al posto della Timina T 2. I monomeri precursori del nuovo polimero di RNA (nel caso della trascrizione) sono ribonucleotidi e non desossiribonucleotidi come avviene nella duplicazione del DNA Per il resto anche il processo di trascrizione segue le regole della complementarietà delle basidi Watson e Crick ed inoltre l’ossidrile in posizione 3’ si lega con un gruppo fosfato, così come avviene nella polimerizzazione di un nuovo filamento di DNA, rilasciando altri due gruppi fosfatola reazione chimica alla base è la stessa! Nel caso della DUPLICAZIONE del DNA su uno dei due filamenti della doppia elica, quello che funge da stampo, è presente un sito di origine riconosciuto dalla DNApolimerasi da cui ha inizio la polimerizzazione del nuovo filamento. Sull’altro filamento invece la polimerizzazione avviene in modo discontinuo con i frammenti di Okasaki Nel caso della TRASCRIZIONE invece sono presenti sul filamento stampo di DNA delle zone discrete dette siti promotori a cui si lega l’RNApolimerasi dando così inizio alla trascrizione di un nuovo mRNA . Per capire il meccanismo con cui l’RNApolimerasi si lega a questo sito promotore dando così inizio alla polimerizzazione bisogna partire dalla constatazione che tutti i siti promotori sono caratterizzati dall’avere delle regioni (o sequenze) in comune: C’è una regione a 10 nucleotidi di distanza (cioè a monte) dal primo nucleotide che formerà l’RNA messaggero su cui si trova la seguente sequenza: TATA viene definita TATA BOX e si trova su tutti i promotori a 10 nucleotidi di distanza dal primo nucleotide dell’mRNA Una seconda regione si trova a 35 nucleotidi di distanza dal primo nucleotide che costituirà l’RNA messaggero e contiene la seguente sequenza: TTGACA Negli eucarioti la trascrizione avviene nel nucleo mentre la decodifica/traduzione in proteine avviene nel citoplasma e più precisamente nei ribosomi L’mRNA viene trasportato dal nucleo in periferia dal citoplasma che quindi non ha solo il compito di impalcatura statica. Inoltre il DNA è una molecola superspiralizzata sia durante la duplicazione sia durante la trascrizione pertanto ci devono essere dei meccanismi atti a despiralizzare il tratto di interesse dalla doppia elica. Quindi durante la trascrizione oltre alla RNA polimerasi che procede che procede alla trascrizione ci devono essere anche: Un complesso enzimatico a monte della DNA polimerasi atto alla de spiralizzazione del DNA Un complesso enzimatico a valle di questo complesso di trascrizione che provvede alla ricostruzione della superspiralizzazione Di seguito verranno spiegati i meccanismi attraverso i quali si possono avere più proteine a partire da una stessa sequenza di DNA Nel nucleo l’RNA polimerasi muovendosi sulla molecola di DNA crea una nuova molecola di mRNA detta trascritto primario: Contiene delle sequenze di RNA che ricalcano fedelmente il DNA che però non codificano alcuna proteina È soggetto al fenomeno di splicing (in italiano fare a fette e poi connettere) Cioè subisce dei rimaneggiamenti (ovvero modifiche post traslazionali) durante il passaggio dal nucleo al citoplasma attraverso la membrana nucleare. Questi rimaneggiamenti consistono in 3 operazioni fondamentali: 1. Aggiunta di una base modificata all’estremità 5’ dell’mRNA che esce dalla membrana nucleare (ovvero viene modificata la prima base del trascritto primario) 2. Aggiunta di una coda di poliAAA (cioè tante adenine) all’estremità 3’. Non si sa ancora a cosa serva questa aggiunta, che nei procarioti non avviene. 3. Splicing ovvero non tutte le sequenze del trascritto primario si ritrovano nell’mRNA maturo nel citoplasma, si verifica una vera e proprio rimozione. Ciò vuol dire che ci sono enzimi in grado di riconoscere e togliere alcune sequenze e grazie alla RNA ligasi di ricongiungere i diversi pezzi (saldatura) Tali enzimi quindi sono in grado di rompere i legami fosfodiesterici in punti precisissimi della sequenza del trascritto primario e poi grazie all’intervento di altri enzimi (quale la RNA ligasi), di effettuare un’operazione di giuntura completando così il processo di splicing Parti verdiESONI: si ritrovano nell’mRNA maturo Parti gialleINTRONI: vengono tagliate quindi non andranno a far parte dell’mRNA maturo e vengono degradate Quindi anche nel DNA ci saranno sequenze corrispondenti agli introni e le sequenze che corrispondono agli esoni dal momento che il trascritto primario è una copia fedele dal filamento stampo di DNA. Esperimenti che hanno permesso di apprendere la presenza di questi esoni e introni sono stati resi possibili perché la doppia elica di DNA è stabilizzata da legami a H Coppia CG 3 legami a H Coppia AT 2 legami a H Fornendo una certa quantità di calore (per esempio portando una soluzione contenente DNA a bollitura a 100°) si riesce a destabilizzare prima e a scindere poi tali legami separando così completamente le 2 catene. Questo processo è completamente reversibile infatti, se dopo aver separato le 2 catene mediante bollitura le sottopongo a raffreddamento posso ottenere 2 possibili risultati: 1. Raffreddando rapidamente la soluzione riesco a mantenere separate le due catene 2. Raffreddando lentamente la soluzione riesco a riunificare la 2 catene infatti si verificano in modo del tutto casuale e in punti diversi delle 2 catene, degli eventi iniziali di nucleazione. Tali eventi sorgono nei punti in cui è soddisfatta la legge della complementarietà delle basi di Watson and Crick Questi eventi di nucleazione (cioè questi punti distribuiti in maniera assolutamente casuale lungo le due catene di DNA) costituiranno i siti in cui sarà possibile ottenere la cosiddetta ibridazione, ovvero la ricostruzione della doppia elica. Ciò si verifica solo se si ha un raffreddamento graduale della soluzione permettendo così alle due molecole di riassemblarsi e di richiudersi come una cerniera lampo partendo proprio da questi siti di nucleazione ed obbedendo chiaramente alla legge della complementarietà delle basi. La nucleazione si verifica non solo tra due catene della stessa doppia elica ma anche tra catene proveniente non solo da doppie eliche diverse ma anche da organismi diversi purché si rispetti la legge di complementarietà delle basi nelle zone in cui avviene tale ibridazione. Chiaramente in tal caso si avrà ibridazione solo fra alcuni frammenti di DNA poiché le due catene non sono del tutto complementari tra loro. Nelle zone in cui non si ha ibridazione si creano delle bolle, o anse, dovute proprio al fatto che in quelle regioni non vi è complementarietà tra le basi delle due catene. Questa procedura può essere applicata anche tra una molecola a singolo filamento di DNA e una molecola a singolo filamento di RNA che è stato trascritto proprio su quel pezzo di DNA. Dal citoplasma mi aspetto che ci sia una completa complementarietà tra la 2 catene e invece si vede che dopo la nucleazione restavano delle anse in cui non avveniva l’ibridizzazione. Tali zone erano dovute alla presenza di introni sul trascritto primario che, come dopo si è capito, vengono tagliate durante il passaggio dal nucleo al citoplasma. Quindi sulla catena di DNA si trovavano zone che non trovavano complementarietà con il corrispondente RNA. Solo la prima unione è casuale, da li in poi si verifica una chiusura lampo che segue la legge delle complementarietà delle basi e quindi diventa un processo non più casuale. Dopo la splicing la catena di mRNA passa nel citoplasma. Tra i trascritti primari che avvengono nel nucleo non c’è solo quello riguardante l’mRNA ma ci sono anche quelli che riguardano il tRNA e l’rRNA anche essi utili nella traduzione dell’mRNA in proteine. rRNA : costituisce circa il 65-70% di tutto l’RNA ed ha un turnover molto lento; è il più abbondante perché le cellule hanno continua necessità di sintetizzare le proteine e quindi hanno bisogno di un gran numero di ribosomi; l’rRNA si associa a proteine ribosomi ali per formare l’architettura dei ribosomi così come nei nucleo somi il DNA si lega a proteine istoniche. tRNA : costituisce circa il 10-15% turnover lento ; porta gli AA giusti, a livello dei ribosomi, per la polimerizzazione delle proteine nei ribosomi stessi. mRNA : costituisce una frazione minore fra tutti di RNA, circa l’1-3% perché ha un turnover elevato e molto rapido, ovvero se ne produce tanto ma se ne distrugge anche tanto. Questo è dovuto al fatto che la proteina che viene tradotta da un mRNA non necessita di una produzione continua però nel momento in cui serve alla cellula deve essere velocemente disponibile. [Se ho un turnover molto basso vuol dire che quel tipo di RNA rimarrà a lungo nel citosol e quindi potrà essere codificato dai ribosomi (e quindi produrre proteine) molte volte prima di essere degradato ] Anche durante la trascrizione dell’rRNA e del tRNA di verificano fenomeni di splicing nel trascritto primario proprio come avviene per l’mRNA. Infatti pure per l’rRNA e per il tRNA vi è la sintesi di precursori o trascritti pre-RNA, i quali subiscono anch’essi dei rimaneggiamenti. Nucleolo: molecola o singolo filamento, di può legare però con un’ altra catena di RNA e formare una doppia elica caratterizzata da ripiegamenti detti forcine e da bolle o anse laddove non si ha complementarietà tra le catene secondo la legge di Watson and Crick. ◊ SPLICING ALTERNATIVO Dovuto al fatto che più proteine possono essere codificate dallo stesso gene Può essere utilizzato da cellule diverse in modi diversi Ci sono enzimi che determinano a livello del trascritto primario quale sia la sequenza di frontiera cioè l’ultima dell’esone e la prima dell’introne che va eliminato Siccome nella cellula ho corrieri enzimatici diversi avrò splicing diversi ovvero gli istoni vengono emiscissi in punti diversi. Esempio: ho 3 esoni e1, e2, e3 intercalati da due introni i1 e i2, la cellula può decidere di eliminare i1 ed i2 oppure può eliminare i1 e i2 insieme all’esone e2 formando così l’mRNA maturo e1-e3. Ciò porterà alla formazione di due proteine diverse splicing alternativo. Il trasferimento verticale avviene quando un organismo riceve il materiale genetico dei suoi antenati, per esempio genitori o da una specie dal quale si è evoluto. Il trasferimento orizzontale di geni, anche conosciuto come trasferimento genico laterale, è un processo nel quale un organismo trasferisce materiale genetico ad un’altra cellula che non è discendente fenomeno che avviene soprattutto nei batteri. Questo processo si considera una causa importante della resistenza ai farmaci, infatti quando una cellula batterica consegue tale resistenza può trasferire rapidamente questi geni ad altre specie proprio mediante trasferimento genico orizzontale. ◊ TRE MECCANISMI COMUNI DI TRASFERIMENTO GENICO ORIZZONTALE: 1. TRASFORMAZIONE: le molecole di DNA vengono acquisite dai batteri direttamente dall’ambiente extracellulare senza l’utilizzo di intermediari quali i virus come invece accade nella trasduzione. Il DNA acquisito dall’esterno può o inseristi nel DNA cromosomiale della cellula ospitante stessa oppure, se si tratta di DNA plasmidico, rimarrà all’interno della cellula ma separato. 2. TRASDUZIONE: la trasduzione batterica consiste nel passaggio di DNA di un batterio ad un altro tramite virus. La trasduzione avviene perché durante il ciclo litico vi è un errore nel meccanismo re plicativo del batteriofago che porta all’inglobamento, nelle particelle virali, di porzioni di genoma batterico. In seguito a quest’errore si verranno a creare particelle virali in grado di infettare altre cellule (ovvero mantengono la loro capacità batteriofaga) le quali possiederanno al proprio interno sia genoma virale che batterico. La trasduzione può essere di due tipi: GENERALIZZATA: In seguito ad infezione di una cellula, il virus provoca la rottura del materiale genetico della cellula stessa e sfrutta i suoi componenti (i ribosomi e talvolta le polimerasi) per produrre molte copie di se stesso. Al termine di questo processo, detto ciclo litico, alcuni frammenti del DNA del batterio possono finire nel capside delle nuove particelle fagiche in via di formazione. Quali è quanti frammenti possono inserirsi è un dato puramente casuale. Le particelle fagiche con DNA virale e batterico escono dalla cellula dopo averne provocato la lisi e in caso di una loro successiva infezione il DNA in esse contenuto e che andranno ad iniettare avrà quindi sia una parte del DNA del batterio precedente, detto frammento trasducente, che una parte di genoma virale. SPECIALIZZATA: Si basa sul ciclo lisogeno del virus. Quando un virus attacca una cellula batterica il suo DNA può inserirsi nel cromosoma del batterio stesso diventando così in grado di duplicarsi con esso. Questa condizione viene detta lisogenia ed il batterio è detto lisogenico. In seguito a molte divisioni cellulari può accadere che il DNA virale lesioni il cromosoma batterico. In tal caso si possono avere 2 possibili situazioni: 1. 2. Se la rescissione avviene negli stessi punti di attacco allora si avrà la stessa molecola di fago Se la rescissione avviene in punti diversi si avrà che la nuova molecola di fago, che conterrà al suo interno anche i geni batterici adiacenti al sito di inserimento, quando infetterà una nuova cellula inietterà in essa anche dei frammenti di DNA cromosomiale del batterio precedente. 3. CONIUGAZIONE: è un processo con il quale una cellula batterica trasferisce porzione di DNA ad un’altra tramite un contatto cellula-cellula. Il fenomeno può così portare al verificarsi di ricombinazione genetica nei batteri. I segmenti di materiale genetico trasferibile che si trovano liberi nel citoplasma del batterio sono detti plasmidi: sono di forma circolare e capaci di replicarsi in modo indipendente dal cromosoma batterico. Tale processo si divide in varie fasi: Cellula produce il pilo coniugativo Il pilo coniugativo aggancia la cellula ricevente e le due cellule si avvicinano I pili rendono possibile il passaggio del materiale genetico mediante la creazione di un poro. Da evidenziare il fatto che un filamento del DNA circolare del plasmide viene tagliato e solo uno dei due filamenti viene trasferito nella cellula ricevente. Si attiva quindi nel donatore il meccanismo di replicazione del DNA che porterà al rimpiazza mento del filamento mancante. Quindi entrambe le cellule sintetizzano il filamento mancante del plasmide e producono un pilo coniugativo. Quindi la cellula ricevente che all’inizio non aveva il plasmide si trasforma dopo questo processo in una nuova cellula donatrice. ◊ RETROVIRUS Virus a RNA Nei retrovirus avviene il processo inverso: si ha la trascrizione del DNA partendo dall’RNA attraverso l’impiego di un enzima che perciò è detto trascrittasi inversa. Il materiale genetico contenuto nel capside del virus è perciò di tipo RNA e non DNA. Quindi l’RNA virale viene iniettato nella cellula e la trascrittasi inversa agendo su di esso sintetizza il corrispondente DNA virale che poi andrà ad interagire con il DNA cromosomiale della cellula stessa. Il DNA virale potrà: Essere trascritto e formare così le proteine del virus Oppure potrà formare nuove molecole di DNA virale dando vita poi a nuove cellule batteriofaghe. TRADUZIONE CELLULARE È il modo in cui l’informazione contenuta nella sequenza lineare di nucleotidi dell’mRNA viene tradotta in una sequenza sempre lineare ma di sub unità molto diverse chimicamente: gli AA delle proteine. Per convertire l’informazione dell’RNA in proteina bisogna proprio tradurre l’informazione in un altro linguaggio espresso in simboli assai diversi. Dato che l’mRNA ha solo 4 nucleotidi diversi e le proteine invece sono formate da 20 differenti AA la traduzione non può avvenire facendo corrispondere direttamente un nucleotide dell’RNA ad un AA della proteina. CODICE GENETICO: l’insieme delle regole usate per tradurre la sequenza nucleotidica del DNA(gene), tramite la mediazione dell’mRNA, in sequenza AA di una proteina. Nella molecola di mRNA la sequenza perciò va letta per gruppi consecutivi di tre elementi. Dato che l’RNA è un polimero lineare di 4 nucleotidi diversi ci saranno 4x4x4=64 possibili tipi di triplette nucleotidiche (AAA, UAG,AUA,…). Tuttavia gli AA delle proteine sono solo 20 ciò vuol dire che il codice è ridondante e che quindi più triplette codificano uno stesso AA. CODONE: ogni gruppo di tre nucleotidi consecutivi nell’mRNA e ciascuno specifica un AA Per convenzione i codoni si scrivono sempre con il nucleotide 5’ terminale a sinistra. Alla maggior parte degli AA corrisponde più di un codone e vi sono alcune proprietà ricorrenti nei gruppi di codoni che specificano ogni AA. Infatti i codoni per lo stesso AA tendono a presentare lo stesso nucleotide in prima e seconda posizione per variare poi in terza. Tre codoni non codificano AA ma fungono da segnale di stop cioè indicano dove finisce la sequenza codificante la proteina. AUG ha una doppia funzione: 1. Codifica una metionina 2. Funge da segnale d’inizio della sintesi proteica Si possono notare due cose: Il codice genetico non viene sovrapposto, ovvero non si verifica mai che l’ultimo AA di una tripletta sia anche il primo di quella successiva In linea di principio una sequenza di RNA si potrebbe tradurre secondo una qualunque dei tre modi di lettura possibili a seconda del punto di inizio del processo di decodificazione. Perciò la stessa sequenza di RNA potrebbe specificare tre sequenze AA completamente diverse. Tuttavia solo uno di questi moduli codifica il messaggio corretto. tRNA i codoni dell’mRNA non riconoscono direttamente gli AA a cui corrispondono. La traduzione dell’mRNA in proteina dipende invece da molecole adattatrici che riconoscono e legano sia il codono che l’AA. Questi adattatori sono piccole molecole di RNA note come tRNA. forma a trifoglio del tRNA Il trifoglio si ripiega ulteriormente in una struttura compatta a L, stabilizzata da altri legami a H in altre regioni della molecola. Nella molecola di tRNA vi sono due regioni cruciali situate alle estremità opposte: 1. Anticodone: una serie di tre nucleotidi consecutivi che si appaiano al codone complementare in una molecola di mRNA 2. Breve tratto a singolo filamento posto al terminale 3’ della molecola: si tratta del sito dove il tRNA lega l’AA che corrisponde al codone Sapendo che il codice genetico è ridondante, nel senso che parecchi codoni diversi specificano un solo AA, e che vi sono solo 31 tRNA differente per combinare i 20 AA al loro 61 codoni si capisce che più tRNA trasportano lo stesso AA ed inoltre che alcune molecole di tRNA sono capaci di accoppiarsi a più di un codone. Da ciò si evince come ci siano alcuni tRNA dotati di ua struttura tale da richiudere un appaiamento accurato solo nelle prime 2 posizioni del codone e da tollerare un appaiamento scorretto (oscillante) in terza posiione. Perciò spesso i codoni alternativi che codificano uno stesso AA e che differiscono soltanto per il nucleotide in 3° posizione possono essere letti da uno stesso tRNA mediante un appaiamento oscillante. AMINOACIL-tRNA SINTETASI Come fa ogni molecola di tRNA a legarsi proprio all’AA che corrisponde al suo codone scegliendolo tra i 20 disponibili? Il riconoscimento e l’attacco sono compiti svolti da enzimi detti aminoacil-tRNA sintetasi, che accoppiano l’AA giusto alla serie dei suoi tRNA Di questi enzimi ve ne sono di 20 tipi diversi in tutto, uno per ciascun AA. Nucleotidi specifici presenti sia nell’ansa anticodonica sia nel braccio recettore rendono riconoscibile alle sintetasi il tRNA appropriato. La reazione con cui la sintetasi catalizza l’attacco dell’AA all’estremità 3’ del tRNA è accoppiata all’energia derivante dall’idrolisi di ATP nella cellula e quindi produce un legame ad alta energia tra il tRNA e l’AA. ATP+H2O AMP+2Pi -> reazione di idrolisi ATP Quindi l’alta energia derivante dalla scissione idrolitica di due fosforo viene utilizzata per formare un legame ad alta energia tra l’AA e il corrispondente tRNA. L’energia di qst legame viene utilizzata durante la sintesi proteica per legare covalentemente l’AA alla catena polipeptidica in allungamento. L’AMP è molto reattivo e reagisce con il tRNA. Tutti i tRNA terminano all’estremità 3’ con un’adenina la quale si lega al gruppo carbossilico dell’AA mediante formazione di un gruppo aminoacil. ◊ COMPONENTI RICHIESTI PER I 5 MAGGIORI PASSAGGI DI UNA SINTESI PROTEICA 1. Attivazione di AA : i 20 tipi di AA I 20 aminoacil-tRNA sintetasi 20 o più tRNA ATP 2. Iniziazione: mRNA tRNA trasportante metionina e i fattori di inizio codone di inizio (IF-1, IF-2, IF-3) GTP Ribosoma 3. Allungamento: tRNA trasportante gli AA richiesti Fattori di allungamento (EF-Tu, EF-Ts, EF-G) GTP 4. Terminazione e rilascio proteina : codone di stop sull’mRNA Fattori di rilascio del polipeptide (RF1, RF2, RF3) 5. Folding e modifiche post-traslazionali : enzimi e cofattori specifici ◊ RIBOSOMA Il riconoscimento di un codone da parte dell’anticodone corrispondente posto sulla molecola di tRNA si basa sullo stesso tipo di appaiamento complementare tra basi che si verifica durante la replicazione e la trascrizione del DNA. Tuttavia la traduzione rapida e accurata dell’mRNA in proteina richiede una grossa macchina molecolare che scorra lungo la catena nucleotidica, catturi le molecole di tRNA complementari, le posizioni correttamente e leghi tra loro gli AA che trasportano. Questa macchina per fabbricare le proteine è il ribosoma, un grande complesso formato da altre 50 proteine diverse (le proteine ribosomiali) e parecchie molecole di RNA dette rRNA. Nell’eucariote le sub unità dei ribosomi vengono costruite nel nucleo dove gli rRNA appena trascritti si associano con le proteine ribosomi ali trasportate nel nucleo dopo essere state sintetizzate nel citoplasma. In seguito il tutto verrà riportato nel citoplasma dove avviene la sintesi. I ribosomi si compongono di una sub unità maggiore e di una sub unità minore che combaciano: Subunità maggiore costituita da circa 49 proteine +3 molecole di RNA, catalizza la formazione dei legami peptidici che legano insieme gli AA nella catena peptidica Sub unità minore, circa 33 proteine +1 molecola di RNA. Fa corrispondere i tRNA ai codoni del messaggero Le due sub unità si associano su una molecola di mRNA (generalmente dal suo inizio, ovvero dall’estremità 5’) e scorrendo lungo essa traducono la sequenza nucleotidica in sequenza AA un codone per volta. Quando la sintesi della proteina è terminata le due subunità ribosomiali si separano. Ogni ribosoma contiene 4 siti di legame per molecole di RNA: 1 sito per l’attacco dell’mRNA 3 siti, detti sito A, sito P, sito E , per i tRNA Una molecola di tRNA si associa strettamente ai siti A e P solo se il suo anticodone entra in appaiamento di basi complementari (ovviamente l’oscillazione viene tollerata) con la molecola di mRNA legata al ribosoma. I siti A e P sono così vicini che le 2 molecole di tRNA devono appaiarsi necessariamente con 2 codoni adiacenti sulla molecola di mRNA. FASE DI INIZIO DELLA PROTEOSINTESI Il sito di inizio delle proteo sintesi è cruciale perché stabilisce il modulo di lettura per tutto quanto il messaggio. Un errore anche di un solo nucleotide a questo punto porterebbe a una lettura errata di tutti i codoni seguenti, con produzione di una proteina inattiva formata da una sequenza insensata di AA. La tappa iniziale è importante anche da un altro punto di vista, perché segna l’ultima occasione per la cellula di decidere se l’mRNA va tradotto e la proteina va sintetizzata. La traduzione di un mRNA comincia con il codone AUG e richiede un tRNA particolare corrispondente. Questo tRNA iniziatore reca sempre l’AA metionina per cui tutte le proteine appena sintetizzate hanno una metionina all’estremità amminoterminale. In seguito una proteasi specifica provvederà a eliminare questa metionina. tRNA iniziatore ≠ tRNA che normalmente reca metionina Negli eucarioti il tRNA iniziatore caricato con una metionina si associa alla sub unità minore del ribosoma(quando questa ancora non è legata con nessun mRNA) in compagnia di alcune altre proteine, i fattori di inizio. Di tutti i tRNA carichi di AA solo l’iniziatore è in grado di legare saldamente a sé la sub unità ribosomica minore. In seguito la sub unità così predisposta lega l’estremità 5’ di una molecola di mRNA, riconoscibile in parte dal cappuccio(negli eucarioti). Quindi la sub unità ribosomica minore scorre lungo l’mRNA (in direzione 5’3’) in cerca del primo AUG. Quando lo trova parecchi fattori di inizio si staccano per fare posto alla sub unità maggiore che si associa a completare il ribosma. Nei batteri gli mRNA non hanno il cappuccio al 5’per avvertire il ribosoma da dove può cominciare a cercare il punto di inizio della traduzione. Essi contengono invece sequenze specifiche lunghe fino a 6 nucleotidi per legare il ribosoma, poste pochi nucleotidi più a monte del codone AUG. Il tRNA iniziatore porta con sé la formilmetionina. COME FA IL RIBOSOMA A RICONOSCERE L’INIZIO DELLA TRADUZIONE? L’RNA polimerasi riconosce quale dei due filamenti della doppia elica deve fungere da stampo per la presenza su di esso di un promotore a cui sono legate diverse proteine dette fattori di trascrizione. L’RNA polimerasi si legherà a tali fattori per dare inizio alla trascrizione e sintetizzare l’mRNA. L’rRNA contenuto nella sub unità minore del ribosoma si lega all’inizio dell’mRNA e poi scorre fino a che incontra la prima tripletta AUG che codifica Met da cui inizierà la traduzione. Quindi la sub unità minore del ribosoma si lega all’mRNA all’estremità 5’ mediante una complementarietà di basi tra il proprio rRNA e l’mRNA. In tal punto si formerà un filamento a doppia elica di RNA. Nel ribosoma l’ordine di ingresso dei tRNA che portano gli AA dipende dalla sequenza delle basi che sta scorrendo nel ribosoma. Primo tRNA porta Met modificata (formilmetionina) e rilascia i fattori di inizio IF1 e IF3 viene portato dentro al sito P del ribosoma dal fattore di inizio IF2 Affinché abbia inizio la sintesi proteica vera e propria si ha il rilascio dei fattori d’inizio IF1- IF2- IF3 e la sub unità maggiore si lega all’mRNA sopra la sub unità minore. La molecola di GTP che era legata si idrolizza a GDP per fornire l’energia necessaria. FASE DI ALLUNGAMENTO Il primo tRNA, ovvero quello iniziatore che portava la Met modificata, si è legato al ribosoma nel sito P, il successivo che porterà un AA che è in accordo con la sequenza nucleotidica che è presente sull’mRNA si andrà a legare al sito A. Come durante l’iniziazione c’era il fattore IF2 che portava il tRNA contenente la Met modificata nel sito P, così in questa fase ci sono i fattori di allungamento che trasportano i successivi tRNA nel sito A. Il t-RNA si lega al sito A solo se ha legato a sé l’EF-Tu. EF-Tu : proteina che trasporta il giusto t-RNA nel sito A. Ha attaccato una molecola di GTP che poi verrà idrolizzata lungo il processo di allungamento. EF-Ts: distacca il GTP ormai scarico (ovvero GDP) e si lega al suo posto permettendo così il riciclo del fattore EF-Tu che potrà di conseguenza legarsi ad un altro t-RNA. OSSERVAZIONE: Nel sito A possono entrare a caso tutti i 31 tipi di t-RNA però se entra quello sbagliato non avviene l’idrolisi del GTP . Al distacco dell’EF-Tu l’amminoacido che porta non si lega alla catena polipeptidica e quindi il t-RNA esce senza che si sia verificato alcun processo. L’allungamento non consiste solo nel trasporto dell’amminoacido nel ribosoma da parte del t-RNA ma anche nella formazione del legame peptidico tra l’amminoacido trasportato e la catena in fase di allungamento. Tale reazione avviene sotto la guida di una proteina ed in particolare di uno degli enzimi che costituiscono il ribosoma stesso ovvero la PEPTIDIL TRANSFERASI . Tale enzima è quindi in grado di formare un legame peptidico tra il gruppo carbossilico dell’ultimo amminoacido della catena e il gruppo amminico dell’amminoacido libero situato nel sito A dove vi è stato trasportato dal t-RNA. Esso infatti catalizza la formazione dei legami peptidici tra amminoacidi adiacenti usando il tRNA durante il processo di traduzione della sintesi proteica. L’ultima fase dell’allungamento consiste nello spostamento del ribosoma di una tripletta di basi (ovvero di un codone) in avanti. Ciò provoca lo spostamento delle catene nascenti dal sito A al sito P, il t-RNA che prima stava nel sito P e che teneva legata la catena polipeptidica passa nel sito E dove verrà espulso dal ribosoma per poter essere di nuovo riutilizzato. Così facendo viene liberato il sito A che è pronto per essere occupato da un nuovo t-RNA che è in accordo con il nuovo codone presente sull’ m-RNA. Questo processo è catalizzato dall’ultimo fattore di allungamento EF-G, il quale ha legato a sé un GTP che si va a legare con il t-RNA scarico (ovvero privo di amminoacidi) posto nel sito E (exit). L’energia derivante dall’idrolisi del GTP in GDP permette la fuoriuscita del t-RNA dal sito E. Quindi dopo un ciclo di allungamento siamo ritornati alle condizioni iniziali (sito A libero, catena nascente attaccata ad un t-RNA nel sito P e il sito E libero). TERMINAZIONE Non finisce quando finisce l’m-RNA perché come detto in precedenza questo termina con una sequenza detta terminatore che però non serve per la codifica della proteina e quindi non va tradotta. Il ribosoma deve sapere perciò che ad un certo punto della sequenza dell’m-RNA da codificare deve stoppare la traduzione senza aspettare la fine di tutta la sequenza di basi. Ciò accade quando il ribosoma incontra una delle seguenti triplette : -UAA -UAG-UGAEsse non codificano nessun amminoacido e quindi nessun t-RNA si può legare , in tal modo il sito A rimarrà libero e verrà occupato da proteine di terminazione. I fattori di terminazione sono 3 ovvero RF1,RF2,RF3 ma in realtà ne servono 2. RF1 o RF2 Riconoscono questi codoni di terminazione e hanno legato a se una molecola di GTP. RF1 riconosce le triplette UAA e UAG mentre RF2 riconosce il codone UGA. Vi sono dunque 3 triplette di stop riconosciute da 2 fattori di rilascio. Nel complesso finale si troveranno quindi RF1 o RF2, una molecola di GTP e RF3. Nel sito A non essendoci più nessun t-RNA , come nella fase di allungamento, la catena peptidica non può più passare dal t-RNA nel sito P a quello posto nel sito A e quindi ciò che avviene è un’idrolisi , in H2O, tra la catena peptidica e il t-RNA a cui era attaccata nel sito P con conseguente rilascio della proteina nella cellula. Infine si ha il rilascio dei fattori RF1 o RF2 , e RF3 dal sito A accompagnati da idrolisi del GTP in GDP. Le due subunità del ribosoma si staccano dal m-RNA che può così finalmente ritradotto, se necessario, oppure essere degradato. A sua volta il ribosoma si divide nelle due subunità ed è pronto a riprendere la traduzione. Ci sono antibiotici che hanno struttura mimetica, ovvero simile al t-RNA e ai fattori di rilascio, che quando si legano al sito A del ribosoma bloccano la sintesi proteica. - Qual è il destino delle proteine all’interno della cellula una volta che sono uscite dal ribosoma? La sintesi proteica avviene nei ribosomi che possono trovarsi o liberi o nel citoplasma, o legate in maniera non covalente alle membrane del reticolo endoplasmatico rugoso (RER) a seconda della destinazione della proteina una volta che è stata sintetizzata. - - - Le proteine sintetizzate nel citoplasma o rimangono nel citoplasma stesso oppure possono finire nel nucleo o nei mitocondri (nel caso delle cellule vegetali possono andare nei cloroplasti). Le proteine sintetizzate nel RER di solito non rimangono all’interno della cellula o se vi rimangono, vanno a formare i lisosomi (organelli intracellulari limitati da membrana che contengono enzimi digestivi) Ci sono sequenze di amminoacidi nella proteina nascente che guidano il ribosoma su dove indirizzare la proteina. Tali sequenze si trovano vicino all’N-terminale proprio perché è da lì che inizia la sintesi . Quindi è giusto che il segnale, o sequenza target, si trovi all’inizio in modo da poter indirizzare subito il ribosoma verso la destinazione finale della proteina. Se i ribosomi sono siti sul RER le proteine sintetizzate vengono immerse nel RER stesso, dove si formano delle vescicole che le conducono all’apparato del Golgi( porzione CIS –interna alla cellula verso il nucleo e la porzione TRANS- esterne alla cellula verso la membrana citoplasmatica) ove avvengono modifiche post-traduzionali, ovvero le proteine vengono modificate attraverso la formazione di legami covalenti. Un esempio è la GLICOSILAZIONE dove molecole di zucchero vengono attaccate agli amminoacidi. Le proteine che vengono dal RER si fondono nelle parte CIS del Golgi e poi passando da una cisterna all’altra, sempre mediante la formazione de vescicole, possono arrivare nelle parti TRANS del Golgi. La sintesi proteica inizia sempre nel citoplasma indipendentemente dal tipo di proteina. In particolare l’attacco della subunità minore dell’m-RNA e le prime sequenza dell’allungamento avvengono nel citoplasma. Man mano che la proteina viene sintetizzata incomincia a protrudere dal ribosoma. Nel caso in cui la proteina non debba rimanere nel citoplasma ma debba andare nel RER per subire le modifiche posttraduzionali nel Golgi oppure debba essere espulsa nello spazio extracellulare, allora questa proteina presenterà una sequenza di target all’N-terminale. Man mano che la proteina viene sintetizzata la sequenza di target protrude sempre di più verso l’esterno finché non viene riconosciuta da una proteina particolare detta : SRP(SIGNAL RECOGNITION PARTICLE) - Si lega alla catena nascente perché riconosce la sequenza di target Quando essa si lega, la sintesi si blocca (si mette in pausa) finché il ribosoma non raggiunge il RER. Funge da ponte tra il ribosoma e le proteine site sul RER che sono dei recettori per l’SRP in modo da bloccare il ribosoma, e con esso la proteina nascente, sul RER. Quando si forma questo complesso la sintesi proteica riprende e la proteina viene spinta verso il lume del RE. Man mano che la proteina cresce può fungere essa stessa da ancoraggio del ribosoma al RER. A questo punto una proteasi taglia l’SPR poiché non serve più con conseguente idrolisi di GTP in GDP. La sequenza di target serve per indicare la destinazione. Una volta che il ribosoma è giunto sul luogo e la proteina è in via di sintesi tale sequenza viene tagliata da una proteasi (quindi non si aspetta nemmeno la fine della sintesi della proteina stessa). L’attacco di SRP blocca la sintesi altrimenti la proteina in via di formazione potrebbe risultare troppo grande per entrare nel RER. PROTEINE TRASPORTATE NEI MITOCONDRI - - - I mitocondri sono le centrali di energia della cellula e hanno al loro interno del DNA, ribosomi e tutto il necessario per la trascrizione e traduzione. Alcune proteine infatti vengono sintetizzate all’interno dei mitocondri stessi, altre invece vengono codificate nel nucleo della cellula e iniziano la loro sintesi nel citoplasma della cellula. Queste proteine possiedono un MTS (Mitocondrial Target Sequence), sequenza sempre vicina all’N-terminale riconosciuta dalla proteina segnale che la trasporta ai mitocondri. In questo caso non c’è alcun blocco della sintesi , come avveniva per le proteine trasportate nel RE, ma la proteina nascente si lega ad un’altra proteina Hsp70 che la mantiene unfolded (ovvero in forma allungata e non ripiegata) affinché sia in grado di entrare nel mitocondrio ove si lega all’Hsp60 che invece aiuta la proteina a ripiegarsi correttamente. Anche in questo caso, una volta che la proteina arriva nel mitocondrio la sequenza di target non serve più e quindi viene tagliata. Se non avviene un folding corretto della proteina , essa rimane inattiva e può essere degradata. PROTEINE NUCLEARI - Sono codificate nel nucleo, sintetizzate nel citoplasma e poi trasportate nuovamente nel nucleo. NLS (Nuclear Localization Sequence) costituita da amminoacidi basici e può trovarsi anche più spostata rispetto all’N-terminale. È una sequenza di target che viene riconosciuta da proteine dette importine (proteine nucleari) che attraverso l’interazione con altre proteine del poro nucleare - (riconoscimento specifico tra proteine) permettono il passaggio della proteina già foldata nel nucleo. Una volta all’interno, il complesso si stacca e le importine (subunità α e β) vengono ributtate fuori e riutilizzate. L’energia utilizzata per il trasporto viene in ogni caso dall’idrolisi del GTP. PROTEINE CITOPLASMATICHE - - Proteine destinate all’ECM e vengono legate in sequenza da SecB che le riconosce e le accompagna alla membrana. Qui si distacca e la proteina si lega a SecA la quale le permette il passaggio attraverso i pori. Sec sta per Secreton , quindi tutti i fattori sono fattori per la secrezione della proteine La proteina viene sintetizzata e foldata ma prima del passaggio attraverso la membrana viene unfoldata (processo inverso). La maggior parte delle proteine sintetizzate nel RER vanno nel Golgi, ove subiscono modifiche posttraduzionali e la più comune è la GLICOSILAZIONE. L’aggiunta di zucchero rende: - più stabile la proteina rendendola meno attaccabile da parte delle proteasi più solubile perché gli zuccheri sono molto solubili più funzionali nel riconoscimento Tale fenomeno può avvenire anche durante la traduzione della proteina stessa: in tal caso si parla di cotraduzione cioè la proteina e lo zucchero vengono sintetizzati insieme. I dolicolati (acidi grassi) forniscono supporto per sintetizzare la catena degli zuccheri. L’oligosaccaride viene quindi trasferito in un blocco alla proteina mentre viene sintetizzata. Sono le Asn (aspragine) contenute nella proteina a venire glicosilate, in presenza di ulteriori fattori. N.B Inizialmente la catena degli zuccheri viene sintetizzata verso il citosol in un secondo momento avviene il trasferimento dall’esterno verso l’interno e la sintesi continua nell’apparato del Golgi. Si tratta di un meccanismo molto particolare poiché gli zuccheri sono molto polari mentre la membrana che attraversano è invece molto apolare. ◊ MODIFICAZIONI POST-TRADUZIONALI: - alcune proteine vengono attivate mediante modificazioni post-traduzionali. L’aspetto importante è che in seguito all’attivazione si ha proprio un cambiamento della forma e della struttura dei residui che costituiscono la proteina. FOSFORILAZIONE - - - solo alcune proteine vengono fosforilate. È necessaria la presenza di amminoacidi con gruppi –OH (Ser,Thr, e soprattutto Tyr). Il significato della fosforilazione è quello di marcare e segnalare se una proteina è attiva o meno. Alcune proteine infatti dopo la fosforilazione diventano attive. La fosforilazione è una modificazione covalente della proteina ma è anche un processo reversibile. Questo è molto importante perché mi permette di attivare e inattivare enzimi o proteine e quindi è un meccanismo di regolazione da parte dell’organismo. MODIFICA COVALENTE : formazione di legami covalenti. La modifica covalente si traduce nel legame tra l’ossigeno di un amminoacido e un gruppo fosforico. I legami covalenti sono generalmente irreversibili, poiché questi tipi di legami sono energicamente sfavoriti. La fosforilazione invece è reversibile tanto che una proteina fosforilata può essere defosforilata. La defosforilazione è catalizzata da enzimi diversi. Le proteine chinasi catalizzano la fosforilazione. Lo zucchero viene immagazzinato nelle cellule sotto forma di glicogeno. Nei mammiferi costituisce una riserva di energia a medio termine. Sintesi del glicogeno GLICOLISI energia L’attivazione o meno della glicolisi dipende dalla concentrazione nel sangue di due ormoni : Viene secrete INSULINA – se non c‘è bisogno di degradare glicogeno Viene secreto GLUCAGONE- se c’è bisogno di degradare glicogeno. In tal caso l’ormone arriva all’esterno della cellula, viene a contatto con il corpo recettore, presente sulla membrana cellulare e innesca una serie di reazioni. Per prima cosa viene attivata una proteina chinasi che è in grado di fosforilare altre proteine. La sua attivazione consente la fosforilazione e l’attivazione della fosforilasi chinasi A che a sua volta va a fosforilare un’altra proteina in grado di degradare il glucosio. L’aumento di concentrazione di glucagone nel sangue viene percepita dalla cellula grazie ad alcuni barocettori con conseguente attivazione delle proteine chinasi (enzimi) atte a catalizzare la reazione di degradazione del glicogeno. TAGLIO PROTEOLITICO - Avviene mediante rottura di almeno uno dei legami peptidici formati durante la sintesi. Taglio mediante proteasi. Esse devono essere attivate solo quando sono in presenza della proteina da modificare perché se fossero sempre attive mangerebbero anche le proteine appena uscite dalla sintesi proteica. Quindi vengono sintetizzate inattive. La loro stessa attivazione consiste in un taglio proteolitico: chimotripsinogeno - π – chimotripsina L- chimotripsina I frammenti derivanti dai tagli della catena non è detto che siano separati, ma ci possono essere dei ponti S-S a tenerli uniti, oppure possono essere tenuti assieme da interazioni non covalenti come ad esempio legami –H. Queste reazioni, differenza delle fosforilazioni, non sono reversibili, cioè una volta attivata una proteasi non si può tornare indietro. ATTACCO DI UN LIGANDO - L’attivazione di una proteina si può avere anche mediante l’attacco di un ligando specifico della proteina stessa (cioè vengono sintetizzate 2 proteine che sono inattive singolarmente ma che si attivano quando si accoppiano). ATTACCO AD UN INIBITORE - Staccando l’inibitore si attiva la proteina. ◊ MUTAZIONI Ci possono essere mutazioni della sequenza del DNA e queste sono le più pericolose perché rimangono per sempre. Le mutazione dell’RNA sono meno pericolose. Due regole del codice genetico: 1. Il codice genetico non è sovrapposto. 2. Il codice genetico non è punteggiato ovvero non vi è nulla tra un codone e il successivo. Dei tre possibili moduli di lettura di un mRNA , come già detto precedentemente, solo uno è quello giusto mentre gli altri due daranno origine a mutazioni o a proteine inattive. Normalmente non vi sono di questi problemi perché come spiegato nella traduzione, il ribosoma si lega sull’mRNA e quando incontra la prima AUG inizia la codifica, ma ci possono essere delle mutazioni. La direzione di lettura del DNA su entrambi i filamenti della doppia elica è sempre 5’ – 3’. Invece per stabilire quali dei due filamenti deve fungere da stampo, l’RNA polimerasi sceglie quello su cui è presente un promotore. Nell’analisi di un frammento di DNA quindi, posso avere 6 possibili sequenze: - 3 quadri di lettura per il primo filamento 3 quadri di lettura per il secondo filamento Se le mutazioni non ci fossero non esisterebbe l’evoluzione della specie. Le mutazioni di alcune proteine fondamentali come l’Hb o i fibrinopeptidi (ruolo strutturale nel collagene) sono alla base delle divergenze che si riscontrano nella diverse specie. Basta pensare che tra l’uomo e lo scimpanzé c’è solo lo 0,5% di basi diverse se si confrontano i 2 DNA. Durante l’evoluzione alcune proteine sono cambiate e altre invece sono nate ex novo. L’evoluzione è un processo molto lento che richiede milioni di anni. Durante la replicazione invece di un singolo gene viene trasferita una coppia di geni e ciò ha 2 effetti: - accelerazione dell’evoluzione formazione di nuove proteine. La DNA polimerasi benché alla fine del processi controlli che tutto sia andato bene, è statisticamente possibile che commetta qualche errore. a) SOSTITUZIONE DI BASE : al posto di una G ho una A errore commesso dal DNA polimerasi durante la replicazione di RNA errore che rimane per sempre perché l’mRna trascritto su tale filamento sarà mutato. b) DELEZIONE O INSERZIONE DI NUCLEOTIDE : errore più grave Significa che la DNA polimerasi durante la trascrizione aggiunge o elimina una base. È un errore molto più grave perché mi modifica da quel punto in poi l’intero modulo di lettura. In questo modo viene alterato l'ordine di lettura di tutti i codoni successivi nell'ordine a quello inserito o deleto. Provocano le cosiddette mutazioni frameshift o mutazioni a spostamento dello schema di lettura. a) Mutazione silente: ho il cambiamento di una base ma la tripletta codifica lo stesso AA b) Mutazione missenso: quando un codone viene sostituito con uno che codifica per un altro amminoacido. Se quest'ultimo avrà le stesse caratteristiche chimiche (dimensione, carica...) allora la sostituzione sarà conservativa altrimenti non conservativa. È chiaro che il secondo caso rende più probabile una variazione nella funzionalità del prodotto. c) Mutazione nonsenso: quando la mutazione determina la formazione di un codone di stop all'interno della sequenza. Questo provoca, se il prodotto è una proteina, un'interruzione precoce della sua sintesi nella traduzione. In generale maggiore sarà il frammento non tradotto maggiore sarà il rischio di una mutazione svantaggiosa. d) Mutazione frameshift : la sola aggiunta (o rimozione) di una lettera causa il cambiamento del messaggio dall'inserzione (o delezione) in avanti quindi un modificazione del quadro di lettura dell'intero RNA. A differenza di quello che si può pensare si è scoperto che l’attività enzimatica non viene svolta solo dalle proteine ma anche dai ribozimi (termine composto da acido ribonucleico ed enzima), anche noto come enzima a RNA o RNA catalitico, è una molecola di RNA in grado di catalizzare una reazione chimica. Numerosi ribozimi sono in grado di catalizzare il taglio dei legami fosfodiesterici presenti su altre molecole di RNA, così come sul ribozima stesso. Il ribozima più conosciuto è il ribosoma che catalizza la formazione del legame peptidico. Nel corso di ricerche sull'origine della vita sono stati prodotti ribozimi in grado di autocatalizzare, in condizioni specifiche, la loro stessa sintesi. Come viene attivata e disattivata la sintesi proteica? Per far avvenire la traduzione ho bisogno di: Tripletta di inizio AUG Sequenza di codoni che costituiscono il registro Una o più triplette di stop Una tale sequenza viene definita una trama aperta di lettura. In caso di mutazioni missenso o frameshift ho uno spostamento del frame di lettura. GENE : luogo fisico del DNA dove è presente : Un ATG che verrà trascritto in AUG e darà inizi alla traduzione Una trama aperta di lettura ovvero una successione di codoni tutti in registro Un gene dopo esser stato trascritto vien sottoposto a delle modifiche post-traduzionali quali lo splicing. Un esempio è lo splicing alternativo in cui cellule diverse applicano modifiche diverse ed uno stesso trascritto primario dando vita a proteine diverse. Questa è la giustificazione per cui a milioni di proteine corrispondono un numero modesto di geni. Un’altra spiegazione è dovuta alle modifiche post-traduzionali: Aggiunta di gruppi carboidratici : GLICOPROTEINE Aggiunta di gruppi fosfato : FOSFORILAZIONE Aggiunta di gruppi lipidici: LIPOPROTEINE Viceversa, una proteina può essere codificata da più geni? Se la proteina è costituita da una sola catena polipeptidica allora sarà codificata da un solo gene, se invece è costituita da più catene o più subunità allora è possibile che le diverse subunità siano codificate da geni diversi. ◊ REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENICA Poiché la quantità di proteina all’interno di una cellula sia sempre adeguata alle necessità della cellula stessa, 7 processi devono coordinarsi tra loro attraverso sistemi di regolazione specifici. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Sintesi del trascritto primario di RNA Modificazioni post-traduzionali del m-RNA Degradazione del m-RNA Sintesi proteica (traduzione) Modificazioni post-traduzionali delle proteine Degradazione proteica Localizzazione e trasporto delle proteine È evidente che la trascrizione del gene è un eccellente punto di partenza per la coordinazione delle tappe successive. Quindi la regolazione dell’espressione genica ha un ruolo fondamentale nel controllo delle varie attività cellulari. 1) La regolazione può avvenire a moltissimi livelli e uno di questi è quello che controlla quanto m-RNA viene prodotto, quanto viene trascritto e quanto degradato. Allo stato stazionario se ne produce quanto se ne degrada. Si sa inoltre che l’r-RNA costituisce circa il 70% di tutto l’RNA cellulare, mentre l’m-RNA arriva al 3%. La principale differenza sta nel turnover: r-RNA molto più stabile m-RNA hanno un turnover molto più rapido Questo perché mentre l’r-RNA che costituisce l’impalcatura dei ribosomi viene utilizzato per fabbricare le proteine e ve n’è bisogno dunque in grandi quantità, l’m-RNA serve per codificare una proteina specifica quindi hanno una funzione limitata nel tempo. Infatti le proteine hanno un’emivita media diversa a seconda delle proprie caratteristiche: immunoglobuline: emivita media molto lunga proteine atte ad inviare dei segnali molto rapidi : emivita molto breve, perché il segnale non deve durare più del tempo necessario, quindi hanno bisogno di un elevato turnover e con esse anche gli m-RNA che le codificano. 2) La regolazione dell’espressione genica può avvenire sia a livello trascrizionale che a livello traduzionale. Un sistema molto semplice da analizzare è quello del batterio di escherichia coli. Si tratta di un batterio non patogeno ed è possibile coltivarlo in modo che cresca utilizzando come unica fonte di atomi di carbonio gli zuccheri. Questo perché le cellule procariotiche non hanno bisogno di svilupparsi in un microambiente ottimale come invece necessitano le cellule eucariotiche. Tra questi zuccheri , fonte di atomi di carbonio per la crescita dei batteri, c’è un disaccaride: ◊ LATTOSIO Formato da 2 monosaccaridi che sono il GALATTOSIO e il GLUCOSIO legati tra di loro tramite un legame β galattosidico. L’enzima che scinde tale legame si chiama β galattosidasi (detto anche lattasi). Un modo semplice per capire come funziona questo enzima è quello di utilizzarlo in laboratorio fornendo al batterio di coli come unica fonte di nutrimento il lattosio e quindi costringendolo a sintetizzare grandi quantità di mRNA che codifichino tale enzima. Quindi l’escherichia coli è in grado di sintetizzare grandi quantità di lattasi che gli permettono di utilizzare il lattosio presente come unica sorgente di carbonio, all’esterno delle proprie cellule. Per fare ciò ha bisogno di un sistema di trasporto per questi disaccaridi. Tale sistema esiste e si trova all’interno della membrana batterica ed è un canale specifico per il trasporto di queste sostanze. La galattoside permeasi è la pompa che permette il passaggio di lattosio dall’esterno all’interno della cellula. Una volta entrato il lattosio viene scisso dalle grandi quantità di β galattosidasi prodotte dall’E.coli stessa e gli atomi di carbonio derivanti dalle due molecole verranno utilizzati per costruire tutte le altre molecole di cui ha bisogno il batterio. Andando ad analizzare il DNA batterico si è visto il luogo fisico dell’m-RNA (dell’enzima) viene trascritto. Tale luogo viene chiamato promotore perché costituisce il sito di attacco dell’RNA polimerasi. Come tutti i promotori ha: -10 coppie di basi da tale punto troveremo una sequenza particolare TATAAT denominata TATAA box -35 coppie di basi troveremo un’ altra sequenza particolare TTGACA proprio a conferma del fatto che stiamo arrivando nella regione del promotore. Chiaramente ci deve essere un modo per far capire all’RNA polimerasi quando incominciare la trascrizione o quando arrestarla a seconda delle necessità del batterio. Questo sistema per accendere e spegnere l’inizio della trascrizione avviene con la partecipazione di un altro sito localizzato nelle immediate vicinanze del promotore ed è denominato sito operatore. Posto accanto al promotore è una regione del DNA che viene riconosciuta specificatamente da un’altra proteina che va sotto il nome di repressore , che legandosi al sito operatore impedisce la polimerizzazione da parte dell’RNA polimerasi e con essa la trascrizione dell’m-RNA. Ergo in una stessa regione di m-RNA troveremo sia le regioni atte alla codifica della galattoside permeasi (canale per il passaggio del lattosio) che le regioni che codificano la β galattosidasi. Quindi le regioni di DNA che permettono sia l’ingresso del disaccaride all’interno della cellula che la sua degradazione sono codificate le une vicino alle altre e trascritte come un unico pezzo di m-RNA. Naturalmente sull’m-RNA saranno presenti: Codone d’inizio e di terminazione per la permeasi Immediatamente dopo, codone d’inizio e di terminazione β galattosidasi. Quindi il messaggero contiene più di un gene proprio perché il batterio ha bisogno delle β galattosidasi ma anche della galattoside permeasi per poter trarre energia dal lattosio. Possiamo avere dunque due possibili situazioni: 1) Non c’è lattosio disponibile all’interno della cellula : la cellula si procura energia in altri modi. Non ha bisogno di sintetizzare β galattosidasi perché si nutre di altre sostanze. Sito operatore occupato dal repressore. 2) Presenza di lattosio come unica fonte di nutrimento: in tal caso bastano poche molecole di lattosio che si legano al repressore (tale legame avviene in un sito diverso dal sito operatore). Il legame tra lattosio e repressore provoca un cambiamento conformazionale nel repressore stesso tale da non permettergli più il riconoscimento del sito operatore. L’RNA polimerasi può incominciare con la trascrizione e verrà sintetizzata sia la β galattosidasi che la galattoside permeasi. Questo è un esempio di regolazione negativa dell’espressione genica perché la presenza delle molecole di lattosio induce in una depressione del sito operatore da parte del repressore che in condizioni normali gli è attaccato. Questo è anche un esempio di sistema catabolico poiché c’è bisogno della degradazione di una sostanza, in tal caso il disaccaride, per ricavare i costituenti più semplici che poi verranno reimpiegati. Ci sono anche attività di tipo anaboliche avvero situazioni in cui bisogna sintetizzare nuove molecole partendo da costituenti più semplici. È il caso della sintesi degli amminoacidi i quali sono sintetizzati a partire da precursori più semplici con delle catene di enzimi che funzionano in cascata (il secondo enzima riconosce come substrato il prodotto del primo). Si è visto, come nel caso dei batteri, che anche queste catene di enzimi, sono codificate da geni posti nelle immediate vicinanze. Questo insieme di geni va sotto il nome di operoni. Quindi il sito operatore dove si lega il repressore fa parte di un operone. In ogni operone sono distinte 2 regioni: Regione strutturale: regione di codifica dove avviene la codifica delle proteine e gli enzimi necessari al funzionamento dell’operone. Regione di regolazione: nelle immediate vicinanze della regione strutturale, contiene le sequenze di regolazione. Anche nel caso della sintesi di amminoacidi ho un sito promotore posto vicino al sito operatore e anche in tal caso ho una regolazione di tipo negativo nel senso che anche in questo caso ho la presenza di un repressore che previene l’attacco dell’RNA polimerasi impedendo cosi la trascrizione. Nel caso dell’operone di amminoacidi si ha la situazione inversa rispetto a quella del lattosio, nel senso che le cellule batteriche dal punto di vista energetico, se hanno grande abbondanza di nutrimento possono sintetizzare le proteine altrimenti se hanno scarsità nutrizionale non possono investire risorse energetiche in tale processo. In tal caso la piccola molecola segnale è l’amminoacido stesso (prima era il lattosio) che interagendo con il repressore ne modifica la conformazione non consentendogli più di riconoscere il sito operatore e quindi dà la possibilità alla RNA polimerasi di dare inizio alla trascrizione. REGOLAZIONE POSITIVA Attivazione della trascrizione semplicemente mediante l’attacco di una molecola segnale, non ad un repressore, come accade nella regolazione negativa, ma ad un attivatore che incoraggia e facilita il processo di trascrizione. Un esempio di tale regolazione deriva dal sistema del lattosio e della β galattosidasi. Come già detto in precedenza tale enzima viene sintetizzato quando la cellula ha bisogno di trarre atomi di carbonio dal lattosio, ma se ad un certo punto la cellula produce troppo glucosio e galattosio, allora significa che siamo arrivati al limite dell’incameramento e quindi si passa ad una successiva modulazione dell’attività della β galattosidasi. Questo serve per dire all’operone del lattosio di fermarsi perché la cellula ha raggiunto la quantità di glucosio di cui aveva bisogno. Nelle vicinanze dell’operone del lattosio c’è un sistema che effettua la cosiddetta regressione cataboliti . C’è una proteina denominata CAP che in presenza di questo segnale si attiva spegnendo l’attività di tale operone. Negli eucarioti la situazione è molto più complessa. La differenza principale è che mentre nei procarioti la regione strutturale è posta vicino alla regione di regolazione nell’operone, negli eucarioti queste due regioni possono essere posti anche a grande distanza. In analogia c’è il fatto che anche negli eucarioti è presente la regione TATA box posta a -10 dal sito promotore solo che questa volta l’RNA polimerasi non si lega direttamente al sito promotore. Infatti negli eucarioti l’RNA polimerasi è un complesso di proteine con tante subunità e una di queste si lega al promotore. Altri componenti di questo complesso sono i fattori di trascrizione ovvero proteine che cooperano con l’RNA polimerasi ma che inoltre sono in grado di riconoscere sequenze di regolazione poste magari a 10000 coppie di basi di distanza. Anche se ricordando l’ultra spiralizzazione del DNA si può immaginare come anche regioni poste a 10000 coppie di basi di distanza possano trovarsi, dal punto di vista spaziale, molto vicine tra loro. Questi complessi possono obbedire sia alle leggi della repressione, che dell’attivazione. Un esempio può essere la molecola dell’emoglobina (2 catene L e 2 catene β), che è una proteina da più geni. ◊ EMOGLOBINA Proteina in grado di adattarsi alle diverse fasi della vita di un individuo Nella vita embrionale: la diffusione dell’ossigeno avviene direttamente (catena ε). Qui ho sintesi di emoglobina embrionale. Repressione di emoglobina fetale ed adulta. Nella vita fetale: presenza della placente (catena γ). Grande sintesi di emoglobina fetale, repressione di quella embrionale. Dopo la nascita si ha un’ulteriore declassificazione del modo di captare l’ossigeno. Grande sintesi di emoglobina adulta. Viene repressa gradualmente emoglobina fetale e totalmente quella embrionale. L’emoglobina modifica, anche se poco, la sequenza di amminoacidi delle sue catene. Quello che succede è che queste diverse catene, i cui geni sono tutti in una stessa regione. Nell’età adulta le catene di cui sopra sono diventate catene β. C’è un altro sistema di regolazione dell’Hb, non più temporale come quello precedente, ma di tipo spaziale. Questo perché l’Hb fa parte dei globuli rossi (eritrociti) i quali sono sintetizzati in età adulta, dalle cellule del midollo osseo. Si avrà quindi che la trascrizione dei geni dell’Hb sarà attivata solo dalle cellule del midollo osseo. Durante la vita fetale però l’Hb viene prodotta nel fegato , da ciò si intuisce che non solo c’è la necessità di accendere o spegnere questo gene piuttosto che un altro, ma c’è anche la necessità di accendere o di spegnere questo gene in quel luogo, in quelle cellule e non in altre a secondo della fase della vita in cui ci troviamo. ◊ ENZIMI DI RESTRIZIONE Uno degli enzimi usati in tecnologie di ricombinazione di DNA è l’Endomielasi di Restrizione. Questi enzimi altro non sono che delle forbici molecolari che riconoscono una sequenza di basi specifica del DNA e la tagliano, indipendentemente dal fatto che sia DNA naturale o artificiale. Il sito di taglio può essere diverso: - Taglio simmetrico provoca estremità piatte. - Taglio asimmetrico provoca estremità sfalsate e la rottura del legame fosfodiesterico tra i nucleotidi. 5’ 3’ 3’ 5’ 5’ 3’ 3’ 5’ Vengono quindi generate delle estremità che non sono più completamente a doppio legame ma c’è un estremità che sporge al 5’ e una al 3’. Si formano quindi dei tratti alle estremità che sono a singolo filamento. Queste estremità sporgenti si potranno appaiare solo con estremità totalmente complementari e perciò vengono chiamate estremità coadesive. Posso quindi usare queste forbici molecolari per tagliare un DNA qualsiasi ottenendo un frammento del DNA chiamato passeggero, e poi utilizzare sempre lo stesso enzima per tagliare un vettore. Un VETTORE è un qualunque frammento di DNA che possiede un’origine di replicazione. I PLASMIDI sono frammenti di DNA extracromosomiali di forma circolare e di dimensioni molto ridotte aventi un sito di replicazione. Può essere che su un plasmide ci sia una sequenza di basi riconosciute dalla steso enzima di restrizione, utilizzato per un DNA qualunque, e che quindi generi delle estremità coadesive. Se c’è un unico sito di restrizione dove si può attaccare l’enzima allora avrò un unico taglio a livello del mio enzima. Il plasmide dopo il taglio passerà da una forma circolare ad una lineare con estremità coadesive che saranno complementari con quelle del frammento passeggero di DNA qualunque (questo perché ho utilizzato lo stesso enzima di restrizione). Posso quindi far avvenire l’ibridazione tra il frammento di DNA qualunque e il mio segmento plasmidico. La saldatura delle estremità avverrà ad opera dalla DNA-ligasi. Posso cosi ottenere un plasmide ricombinato, ovvero un plasmide che contiene al suo interno una sequenza di DNA estranea, che è in grado di penetrare una cellula batterica e di replicarsi poiché è dotato di un sito di replicazione. Dopo il taglio Polilinker: zona in cui risiedono i siti di attacco degli enzimi di restrizione Se voglio ottenere un plasmide con un solo sito di attacco devo ingegnerizzarlo. Infatti se avessi più di un sito il plasmide verrebbe tagliato in più punti e non sarei più in grado di ricombinarlo con il messaggero desiderato. ◊ CLONE È una qualunque cellula che deriva da un’altra cellula, e quindi se tutti i cloni derivano da una cellula che presenta del DNA ricombinante avrò tanti cloni ricombinati. Usando questa tecnica si è riuscita ad ottenere dei frammenti di DNA che corrispondono a dei geni specifici. Gene frammento di DNA una o più triplette di stop tripletta d’inizio sequenza di basi (registro) Dopo aver fatto queste manipolazioni ci sono delle procedure che mi dicono se sono andate a buon fine. ◊ PROCEDURA DI INATTIVAZIONE INSERZIONALE Inserisco cioè un pezzo di DNA estraneo nel plasmide. Gene resistente alla ampicillina Gene resistente alla tetracillina Origine di replicazione Nella figura il plasmide ingegnerizzato ha, oltre un’origine di replicazione, 2 geni i quali conferiscono ai batteri che ricevono questo plasmide una resistenza sia all’antibiotico della tetracillina che alla ampicillina (o penicillina). Ci sono degli enzimi che tagliano questi geni come la penicillasi. Quest’ultima è una proteina il cui compito è quello di tagliare il gene resistente alla penicillina. Il DNA che codifica questa proteina è sito proprio all’interno del gene che la proteina deve tagliare. Facendo penetrare questo plasmide all’interno di un batterio riesco a renderlo immune sia alla penicillina che alla tetracillina, proprio grazie ala presenza sul plasmide dei due geni specifici. Riesco così a trasformare un batterio da sensibile a resistente. Se sul gene resistente alla ampicillina /tetracillina c’è un unico sito per un enzima di restrizione, allora si può aggiungere tale enzima, il quale riconoscendo il sito e andando a tagliare la sequenza specifica, linearizza il plasmide. Il risultato del taglio è che la sequenza del gene per la resistenza alla ampicillina sarà interrotta. Se al posto della sequenza che è stata tagliata inserisco un pezzo di DNA passeggero e poi aggiungo DNA-ligasi, ottengo un plasmide ricombinato. Si è così fatta una mutazione per inserzione. I batteri che riceveranno i plasmidi ricombinati, non saranno più immuni alla ampicillina /tetracillina e quindi saranno sensibili a tale antibiotico proprio perché il gene è stato interrotto dall’inserzione di un passeggero. Ciò si chiama inattivazione inserzionale. Dopo questa procedura descritta si avranno due colonie di batteri: - Una colonia contenente batteri che non hanno captato plasmidi e quindi saranno sensibili alla tetracillina - Una colonia i cui batteri hanno captato i plasmidi e quindi saranno resistenti alla tetracillina. I plasmidi captati potranno essere di due tipi: - Plasmidi le cui estremità coadesive dopo il taglio si sono legate con le estremità di un passeggero. Saranno quindi resistenti alla tetracillina ma in aggiunta contengono anche una sequenza di DNA estraneo (plasmidi ricombinati). - Plasmidi le cui estremità coadesive dopo il taglio si sono richiuse su se stesse. Risulteranno quindi resistenti alla tetracillina ma al loro interno non contengono nessun frammento di DNA estraneo, ovvero nessun passeggero. Quindi una prima selezione mi serve per evidenziare quei batteri che non hanno captato plasmidi e che quindi sono sensibili alla tetracillina. Una seconda selezione mi permette di dividere in due colonie i batteri che risultano resistenti alla tetracillina. In una ci metto i plasmidi le cui estremità dopo la linearizzazione si sono richiuse su se stesse e in un'altra i plasmidi ricombinati. Posso utilizzare un trucco per evidenziare l’inattivazione inserzionale. Impiego stuzzicadenti sterilizzati per prelevare i batteri dalla piastra 1 e depositarli in due piastre in parallelo in posizioni che posso facilmente identificare. È quindi una deposizione ordinata: dopo aver toccato la piastra 1 tocco la piastra 2 e poi la 3 in punti facilmente individuabili, poi butto via lo stuzzicadenti e ripeto la procedura. Dopo di che pongo le piastre 2 e 3 a incubare a 37° C e osservo se cresce qualcosa. Piastra 1 In tale piastra ci sono tutte le colonie dei batteri che hanno captato i plasmidi, quindi risultano tutti resistenti alla tetracillina. Piastra contenente tetracillina. Piastra 2 Piastra 3 Piastra di controllo contenente solo tetracillina. Unica differenza con la piastra 1 è che le colonie sono state deposte in modo ordinato Piastra contenente tetracillina e ampicillina. Bisognerà quindi confrontare se ci sono batteri che crescono in presenza di sola tetracillina (piastra 2) ma non crescono con tetracillina e ampicillina. I batteri che crescono in presenza sia di tetracillina che ampicillina sono batteri che o hanno ricevuto un plasmide che non è stato tagliato oppure che è stato tagliato e linearizzato ma che non è stato inserzionato con alcun passeggero, ovvero le estremità si sono ricircolarizzate su se stesse. Quelli che invece sono ricombinati ovvero quei batteri che contengono plasmidi in cui è avvenuta l’inattivazione mediante inserzione, non potranno crescere in presenza di ampicillina perché hanno perso il gene che li rende immuni. Posso quindi andare ad analizzare, nella posizione corrispondente sulla piastra 2, la colonia cresciuta solo con tetracillina e prelevarne dei campioni, poiché questi avranno al loro interno sicuramente dei plasmidi ricombinati. A questo punto ho una collezione di plasmidi ricombinati, ciascuno con al loro interno un frammento di DNA estraneo, ma non ho ancora ottenuto la clonazione di un gene. Per identificare all’interno della collezione di plasmidi quello che contiene il frammento di DNA che mi interessa (ad esempio codifica per una particolare proteina), c’è bisogno di un enzima che sia in grado di retrotrascrivere ovvero polimerizzare una copia di DNA partendo da uno stampo di RNA. Tale enzima ci serve poiché, servendoci di una genoteca (ovvero una collezione di frammenti di DNA già codificati) possiamo far ingerire al nostro plasmide anziché un DNA qualunque il DNA che corrisponde al gene che voglio clonare. Per far ciò bisogna isolare e purificare la componente di mRNA dal citoplasma di una cellula che è specifica per la sintesi di quella proteina. Devo quindi seguire la seguente procedura: - Individuare le cellule in cui è presente in abbondanza l’mRNA che mi interessa. - Attacco alla coda di poliAAA, sita all’estremità 3’ dell’mRNA, un oligonucleotide di TTTTTT. Questo oligonucleotide si ibridizzerà facilmente con la coda di poliAAA presente nell’mRNA. Inoltre se io attacco l’oligonucleotide di timina alla cellulosa (matrice inerte) questo mi isolerà tutti gli mRNa dai restanti tipi di RNA. Avrò quindi un 1-3% di mRNA isolato. - In tal modo riesco poi a selezionare l’mRNA di mio interesse. - Su questo mRNA faccio agire l’enzima, che è una trascrittasi inversa, in modo da polimerizzare una copia di DNA partendo da uno stampo di RNA. In questo modo si riesce ad ottenere una collezione di DNA a doppio filamento che, attraverso la procedura analizzata, posso inserzionare, tramite inattivazione, nei plasmidi che ho a disposizione. Riesco così ad ottenere dei plasmidi ricombinati non più con pezzi di DNA qualunque, ma con pezzi di DNA che ho precedentemente sintetizzato. Ottengo così una collezione di cloni. ◊ PROCESSO A RITROSO Un'altra strategia di clonaggio prevede di applicare un processo a ritroso: - Parto dalla sequenza amminoacidica della proteina di cui si vuole clonare il gene. - La sequenza di AA è ottenuta tramite la degradazione di Edman che determina vari frammenti di peptidi ottenuti in seguito a scissione con proteasi o con cianuro di bromogeno. - Ottenuta la sequenza di AA, devo cercare nel codice genetico la corrispondente sequenza di triplette nucleotidiche che posso avere. Questo perché il codice genetico è ridondante quindi ad un AA può corrispondere più di un codone e quindi a seconda delle triplette che scelgo ho delle sequenze finali diverse. - Se sulla mia sequenza AA ho molte Met e Trp sarà facile identificare la sequenza genetica di mio interesse poiché questi AA hanno un solo codone che li codifica. - Con questo procedimento a ritroso posso identificare 8, 16 , 32 oligonucleotidi, di cui uno identifica sicuramente un frammento di DNA che codifica per la proteina di interesse. - Dopo aver ottenuto gli oligonucleotidi sintetici devo ripetere la procedura di inattivazione inserzionale per ottenere dei plasmidi ricombinati contenenti dei frammenti di DNA appartenenti alla mia genoteca. - Dopo aver diviso i cloni ricombinati dalle restanti cellule batteriche si provvede all’amplificazione e purificazione del DNA plasmidico ricombinante. Dopo aver ottenuto la piastra con le colonie batteriche contenenti segmenti clonati di DNA estraneo, passo alla setacciatura delle colonie stesse. Nella sacchetto contenente il filtro di nitrocellulosa aggiungo una soluzione contenente la sonda da DNA, ottenuta marcando gli oligonucleotidi sintetici con fosforo32 in modo da renderli radioattivi. Dopo aver sigillato il sacchetto faccio avvenire l’ibridazione. Soluzione contenente la sonda Traferisco la colonia su un filtro di nitrocellulosa e inserisco il filtro in un sacchetto trasparente per congelare i cibi. Durante tale trasferimento, denaturo completamente il DNA plasmidico, ovvero separo i 2 filamenti della doppia elica. Taglio poi un pezzo del sacchetto, butto via la soluzione sonda contenente gli oligonucleotidi marcati con fosforo32, lavo il filtro cosi da ripulirlo dalle sequenze di oligonucleotidi che non si sono appaiate e così rimarranno solo quelle sequenze di oligonucleotidi che hanno incontrato un frammento di DNA con cui c’è complementarità secondo Watson e Crick. Aggiungo una lastra autoradiografica al filtro che contiene il DNA ibridizzato con la sonda. Solo pochissime colonie della mia genoteca impressionano la lastra radiografica. Sonda di DNA Gene di interesse DNA a filamento singolo proveniente dai plasmidi ricombinati Confrontando l’autoradiografia con la piastra originaria riesco a capire quali sono le colonie che contengono dei plasmidi che hanno al loro interno una sequenza che corrisponde alla sequenza della proteina di mio interesse. Tali colonie corrispondono a quelle in cui è avvenuta l’ibridazione con la sonda e che quindi hanno impressionato la lastra radiografica. Ottenuto almeno un frammento di DNA della sequenza della proteina di interesse, ripeto il processo andando a marcare non più gli oligonucleotidi sintetici ma proprio il frammento di DNA appena ottenuto e cercando di individuare un frammento ancora più grande della sequenza della mia proteina e cosi via.. Osservazioni: 1. Tutte questa procedura mi consente di trovare il cDNA ossia il DNA corrispondente al messaggero che codifica la mia proteina. Tale cDNA tuttavia differisce dalla sequenza di DNA originale per la mancanza degli introni. Ciò è dovuto al fatto che il DNA è stato copiato, mediante trascrittasi inversa, direttamente dall’mRNA sintetico in cui sono già stati eliminati gli introni. 2. I plasmidi possono contenere al loro interno inserzioni lunghe al massimo un centinaio di coppie di basiche è un po’ poco se si pensa a proteine lunghe 100-150 AA. Entrambi questi due problemi si sono risolti ricorrendo all’uso dei fagi: 1. Mescolo una sospensione di batteri con una di virus e aggiungo il tutto al così detto agar molle (sostanza gelatinosa) e poi lo rovescio in una piastra di agar duro e lo lascio solidificare. 2. Se si mantiene la piastra in un termostato, per un tempo non troppo lungo, riuscirò ad estrarla quando ognuno degli eventi di penetrazione di un virus dentro un batterio ha dato origine ala lisi dei batteri stessi. Questa lisi sarà stata bloccata in un punto del mio agar molle dando luogo alla così detta placca di un fago (zona trasparente mentre quelle circostanti saranno torbide). Contando tali placche ho il numero di virus presenti all’interno della mia piastra. 3. In seguito a numerosi studi condotti sui fagi si è capito che ci sono dei tratti del genoma virale che hanno importanza secondaria e che possono quindi essere tagliati con l’aiuto di opportuni enzimi di restrizione. Posso quindi sostituire queste regioni non essenziali per la sopravvivenza del fago con pezzi di DNA estraneo e seguendo una procedura analoga a quella impiegata per i plasmidi, ottenere dei fagi ricombinati. Il vantaggio consiste nel fatto che la porzione di DNA estraneo che posso inserire è di gran lunga maggiore di quella che potevo inserire nei plasmidi. FAGO RICOMBINATO: fago contenente al suo interno un pezzo di DNA estraneo ottenuto mediante digestione di un DNA purificato dal nucleo della cellula. Non si parla più quindi di genoteche di cDNA ma di genoteche genomiche (collezioni di frammenti di DNA derivanti dal nucleo delle cellule contenenti al loro interno anche le sequenza introniche). Ottengo così la clonazione di un frammento di DNA che corrisponde al gene. AGENTI EZIOLOGICI: sono quei fattori causa di una determinata patologia e nella maggior parte dei casi sono rappresentati da virus, batteri o funghi. L’eziologia in medicina, è lo studio delle cause di una malattia. Le cause possono essere di natura: - Chimica - Fisica (radiazioni possono indurre mutazioni nella sequenza di DNA) - Microbiologica (dovuto al fatto che viviamo in un mondo ricco di batteri e virus) - Genetica (patrimonio genetico ricevuto dai genitori, mutazioni che si trasmettono da generazione in generazione) L’insieme di queste cause comporta delle conseguenze che inducono dei meccanismi patogeni. ◊ MUTAZIONI Anemia falciforme (HbS): è provocata da una sostituzione nella catena della globina, ovvero una valina (Val idrofobico) va a sostituire una acido glutammico (Glu idrofilico). Se la globina è difettosa l’emoglobina non riuscirà a trasportare l’ossigeno in modo efficiente e ci sarà uno stato anemico. Nelle persone che hanno questa mutazione quando vanno in debito di ossigeno, le molecole di globina hanno la tendenza a raggrupparsi all’interno dei globuli rossi provocando una deformazione della membrana degli eritrociti (aspetto a falce). Ciò causa una minor deformabilità dei globuli rossi da non permettere l’arrivo di ossigeno nei capillari più piccoli. Vi può essere anche un’anemia puntiforme. L’anemia può essere causata anche per delezione, infatti la globina ha più di un gene che codifica le proprie catene α e β, quindi si possono avere diverse mutazioni. Anemia mediterranea o Talassemia: è causata da una delezione e vi possono essere due tipologie di talassemia. La talassemia eterozigosi dove solo uno dei due genitori presenta la delezione, il paziente ha il 50% di catene di globina sane. Questo è lo stato minore e più blando della malattia. Nella talassemia omozigosi il paziente eredita da entrambi i genitori il gene mutato. È la forma più grave e in questo caso manca il gene che codifica la catena β della globina. Anemia fetale (HbF): è diversa da quella neonatale e da quella adulta (HbA). Mutazione che riguarda il processo temporale, cioè la persistenza della HbF con il conseguente ritardo nello switch con l’HbA. HbF HbA α γ α β γ α β α Variano anche i luoghi dove vengono sintetizzate. Il risultato è un tetramero (α γ, α γ) che funziona ma non è ottimizzata per il funzionamento nell’età adulta in quanto il suo funzionamento è ottimale nell’età fetale dove gli scambi gassosi avvengono tramite la placenta e non attraverso i polmoni. Le diverse tipologie di mutazioni comportano conseguenze diverse. Queste anemie anche se comportano un solo gene modificato possono comportare conseguenze diverse anche in relazione ai prodotti genetici generati dai geni modificatori in gioco. Influenza molto anche lo stile di vita condotto dal paziente, il tipo di ambiente che lo circonda e i farmaci assunti. Queste mutazioni portano a infiammazioni e proliferazioni anomale, malattie monogeniche e multigeniche. Notevole influenza viene esercitata anche sulle cellule e sulle loro capacità di adattarsi, di trasdurre segnali. I cambiamenti morfologici più comuni sono: - Atrofia: decrescita delle cellule - Ipertrofia: incremento delle dimensioni delle cellule, si associa molto spesso all’ipertrofia. Può dipendere sia da un maggior utilizzo delle cellule sia da un fattore ormonale. - Mitoplasia: cambiamento dell’architettura cellulare. ◊ MORTE CELLULARE Morte cellulare: evento non solo patologico ma può essere anche fisiologico. Un esempio può essere il timo. Il timo è un organo immunologico che serve solo nel primo periodo di vita dopo la nascita. Successivamente subisce un’involuzione ovvero una specie di atrofia. Ci sono dei segnali capaci di attivare di percorsi all’interno della cellula che provocano la morte della cellula stessa. Morte cellulare programmata va sotto il nome di APOPTOSI ed è il risultato di una catena di eventi attivati mediante l’invio di segnali o cascate di proteasi oppure mediante taglio proteolitico o tramite l’utilizzo di farmaci. Il risultato finale è la demolizione di struttura quali le membrane, gli acidi nucleici, le proteine, gli organelli citoplasmatici e del nucleo della cellula. Normalmente una cellula in fase di apoptosi si raggrinzisce ma soprattutto si formano delle vescicole che racchiudono proprio questi organelli e che perciò vanno sotto il nome di corpi apoptotici. L’apoptosi fa quindi parte del processo di rimodellamento cellulare che avviene all’interno dell’organismo. Morte cellulare o NECROSI subentra a seguito di traumi o malattie. La differenza principale tra necrosi e apoptosi è che nella necrosi avvengono dei veri e propri danni fisici alle membrane delle cellule per cui il oro contenuto viene rovesciato all’esterno. Ciò porta a una lisi poiché tutti gli enzimi che sono compartimentalizzati all’interno dopo la necrosi vengono liberati e quindi possono svolgere la loro azione dannosa. Nell’apoptosi, vista la formazione dei corpi apoptotici in cui le membrane rimangono integre, non si verifica la fuoriuscita del contenuto intracellulare. I corpi cellulari vengono poi riconosciuti dai macrofagi i quali si attaccano alle membrane apoptotiche e le ingeriscono demolendole. La degradazione del DNA e quindi di tutto il corredo genetico, durante la necrosi è del tutto casuale invece nell’apoptosi c’è un meccanismo selettivo di taglio tra nucleosoma e nucleosoma. Se si sottopone ad elettroforesi su gel di agarosio DNA che proviene da cellule apoptotiche si nota un tipico profilo a scala a pioli. In caso di necrosi l’organismo mostra una tipica risposta infiammatoria articolata nel seguente modo: - Chemiostasi: migrazione dei globuli bianchi verso lo stimolo. Il sensore che rileva un’anomalia invia un segnale alle cellule dell’endotelio (cellule che ricoprono i vasi e capillari) le quali mostrando delle molecole di adesione riescono a perturbare il flusso laminare dei leucociti e così facendo fanno rotolare i globuli bianchi verso la periferia dei vasi. I globuli bianchi rotolano proprio perché sono trattenuti dalle molecole di adesione esposte dalle cellule endoteliali. - Diabetasi: dopo il rotolamento i globuli bianchi passano attraverso le cellule endoteliali riuscendo così a raggiungere le zone sede di infiammazione. Lo stimolo può essere causato sia dalla presenza di un batterio che di cellule morte. I così detti segni cardinali dell’infiammazione sono: 1. Calore: zone infiammate tipicamente sono calde perché vi è in atto una vasodilatazione dei capillari che permette una maggior afflusso di sangue. 2. Rumor (rosso): zone più arrossate. 3. Tumor: distensione, ingrossamento. Travaso dei liquidi nelle zone colpite perché c’è un’alterata permeabilità dei capillari. 4. Dolore: zona più sensibile e dolorosa La differenza tra plasma e siero è dovuta alla presenza di fibrinogeno (proteina che serve per la coagulazione del sangue). GRANULOCITI: sono cellule che accorrono i globuli bianchi e sono in grado di rilasciare enzimi (perossidasi) in grado di formare radicali liberi dell’ossigeno che sono capaci di distruggere qualsiasi struttura lipidica, proteica o acido nucleico. Arrivano tramite diabetasi prima e chemiostasi dopo. ◊ PROLIFERAZIONE CELLULARE Durante i tumori si ha una proliferazione anomale dalle cellule. Una caratteristica che si è potuta osservare anche coltivando le cellule in vitro è che queste perdono l’inibizione da contatto. Dalle cellule coltivate in vitro si può capire la presenza o meno di cellule tumorali: - Se le cellule, dopo aver formato un unico strato, che ricopre l’intera superficie della piastra su cui sono state coltivate, fermano la loro crescita allora si tratta di cellule sane. - Se invece sono presenti delle cellule tumorali si verranno a creare delle passerelle multistrato. Questo perché le cellule interessate hanno perso l’inibizione da contatto ovvero le molecole di adesione (proteine transmembrana), che dovrebbero inviare dei segnali alla cellula nel caso di contatto reciproco per far arrestare la proliferazione, perdono questa capacità. ◊ MITOSI Fase culminante del processo proliferativo delle cellule. Fase G0: le cellule che vanno incontro a differenziamento terminale escono per sempre dal ciclo. È anche il punto di rientro. Fase G1: vi è la sintesi di RNA e delle proteine ma non del DNA. Fase S: sintesi del DNA cioè raddoppio le quantità di DNA nella cellula duplicando i cromosomi. Fase G2: continua la sintesi di RNA e di proteine ma non quella del DNA. Fase M: mitosi ossia divisione nucleare e citochinesi (divisione cellulare) generano due cellule figlie. Punto di restrizione: una cellula che supera questo punto è destinata a entrare nelle fase S Punto di restrizione 6-8 h 6-12 h 1h 3-4 h La mitosi è preceduta da tre fasi preparatorie. La più importante è la fase S. Tra mitosi e la fase S ci sono due fasi intermedie ossia Gap1 (G1) e Gap2 (G2). RITMO PROLIFERATIVO Non tutte le cellule hanno lo stesso ritmo proliferativo. Per esempio le cellule cerebrali e del fegato hanno un ritmo proliferativo lentissimo cioè proliferano solo se hanno subito delle perdite. Questa differenza nel ritmo proliferativo si estrinseca nella fase G1. Quindi le cellule che hanno un ritmo proliferativo più veloce hanno una fase G1 più veloce e viceversa. Le cellule cerebrali e del fegato non hanno una fase G1 bensì una fase G0 che si potrebbe dire infinitamente lunga. La fase M è lunga più o meno uguale in tutte le cellule. PUNTO DI RESTRIZIONE La durata della fase G1 dipende dal punto di restrizione ossia quel momento della cellula in cui avvengono tutte le verifiche e i controlli per permettere alla cellula stessa di completare la fase G1 e entrare nelle fase S. Se le cellule hanno una fase G1 lunga vuol dire che prolungano il tempo di attraversamento di tale punto. La cellula quindi prima di duplicare il DNA si assicura che tutti i processi metabolici siano a posto. Se si devono riparare eventuali danni o correggere sequenze di DNA, lo si deve fare durante la fase G1 prima di attraversare il punto di restrizione. Le osservazioni sulla durata della fase G1 furono fatte dall’epidemiologo Knudson il quale sapeva che in genetica si possono distinguere due situazioni: - Un gene acquista o aumenta una funzione dopo aver subito una mutazione - Un gene perda la sua funzione dopo una mutazione Quindi ci possono essere mutazioni che accelerano il ritmo proliferativo (permettono l’acquisto di una funzione) e mutazioni che fermano il ritmo (causano la perdita di una funzione). I principi della genetica affermano che noi riceviamo due copie di uno stesso gene (allele materno e allele paterno). Se uno solo dei due alleli è mutato e si hanno delle mutazioni acceleranti queste possono causare tumori. Nel caso delle mutazioni frenanti si può avere il caso di eterozigosi, cioè soltanto uno dei due alleli è mutato e questa situazione non provoca tumori, oppure il caso si omozigosi in cui tutti e due gli alleli sono inattivati e causa tumori. Knudson osservando un particolare tumore che colpisce i retinoblasti, vide che si poteva presentare in due forme: - Forma familiare che ha quindi una base genetica e la si ritrova di generazione in generazione. - Forma sporadica non ereditaria molto meno frequente di quella familiare. Sulla base di queste osservazioni Knudson enunciò la TEORIA DEI DUE COLPI: - Primo colpo: mutazione di un allele a livello delle cellule germinali, quindi tutte le cellule avranno un allele mutato. Ciò non è molto grave perché ne avranno un altro sano. - Secondo colpo: alla nascita vi è un distretto, quello dell’occhio, che è meno protetto rispetto agli altri dalle radiazioni (a livello dei retinoblasti) e ciò può causare le mutazioni anche nel secondo allele (situazione di omozigosi). Vi è quindi la perdita totale dell’attività di un gene frenante comportando la proliferazione incontrollata. Può succedere anche se in rari casi, che, seppur mancando il primo colpo, una radiazione possa colpire entrambi gli alleli e quindi comportare la perdita totale dell’attività del gene (forma sporadica). ◊ GENE RETINOBLASTOMA (Rb) Proteina che sta alla base del retinoblastoma, controlla la trascrizione dei geni che sono coinvolti nel passaggio del punto di restrizione. È il freno che dice alla cellula di aspettare che i meccanismi di riparazione siano completati prima di passare alla fase S. Se Rb non riceve i giusti segnali la cellula non può passare alla fase S. I meccanismi di controllo della proteina Rb sono soggetti a delle cicline (proteine) che sono delle componenti dei sistemi di modifica post-trasduzionale specifici nella fosforilazione e defosforilazione. Quindi l’azione più importante nel controllo del ritmo proliferativo è svolta dalle kinasi cicline dipendenti (CDK). Dalla distruzione ritmata di subunità di queste CDK, si ha il passaggio da una fase alla successiva del ciclo. Si associano con le chinasi che sono enzimi fosforilanti. Se Rb non è fosforilata è in grado di prelevare questo fattore di trascrizione E2F il cui scopo è quello di trascrivere quei geni che controllano il passaggio attraverso il punto di restrizione. Questo è un esempio di regolazione negativa. Normalmente quindi Rb interagendo con E2F frena, cioè blocca, la trascrizione di questi geni e il processo proliferativo si ferma alla fase G1. Quando però Rb viene fosforilata da parte di CDK l’interazione con E3F è bloccata provocando una depressione e quindi E2F può attivare la trascrizione dei geni che servono per passare attraverso il punto di restrizione. In realtà anche il meccanismo della chinasi è sottoposto a regolazione, infatti questa attività è normalmente bloccata da un inibitore della chinasi (INK). La p53 Il tumore oltre che da radiazioni e mutazioni può essere provocato anche da virus a DNA e retrovirus chiamati virus tumorali. Una famiglia di questi virus che può provocare anche tumori benigni ha permesso di scoprire un altro freno cellulare ossia la p53. La p53 ha peso molecolare 53000 Da e agisce a livello della proteina INK. All’inizio non si riusciva a capire come dei virus a DNA con un genoma estremamente piccolo riuscissero a scatenare un tumore nelle cellule. La spiegazione è data dal fatto che il genoma di questo virus è in grado di codificare un antigene T che non solo è in grado di complessare e inattivare la p53, ma contemporaneamente è in grado di inattivare anche la proteina Rb. Quindi questi virus sono in grado di far inceppare quei meccanismi regolatori che tengono frenati i meccanismi proliferativi della cellula. La p53, oltre la funzione di freno, fa parte di un importante sistema antivirale atto al controllo della sequenza di DNA prima che la cellula possa attraversare il punto di restrizione e passare alla fase S. La p53 è una sorta di guardiano del genoma. Ci sono anche dei sistemi sensoristici che hanno il compito di prendere la difficile decisione, qualora i danni siano irreparabili, di degradare la cellula. Questo è dovuto anche al fatto che la permanenza in G1 della cellula per i controlli di qualità non può prolungarsi oltre un ragionevole limite. In tal caso la p53 invia dei segnali alla cellula per mandarla in apoptosi (la morte della cellula non provoca una risposta infiammatoria). La p53 è una proteina e come tale ha un gene che la codifica. Anche questo gene può subire delle mutazioni generando una proteina mutata. Si può avere sia il caso che solo uno degli alleli che codificano sia mutato, ma si può avere che anche entrambi i geni siano mutati. Il risultato è che la p53 non funziona pù e quindi mancando questo meccanismo di sorveglianza ad ogni duplicazione cellulare ci possono essere delle mutazioni. Il cancro quindi è una malattia genetica perché non funzionando più questi meccanismi di regolazione e controllo, si crea il così detto accumulo catastrofico di mutazioni, cioè le cellule che si moltiplicano di generazione in generazione non saranno più sottoposte a controlli di qualità e quindi accumuleranno delle mutazioni. Si è visto che certe mutazioni della p53 sono più frequenti di altre, cioè certi codoni del gene che codifica la p53 sono più a rischio di mutazioni. Questi codoni sono colpiti da cancerogeni conosciuti quali quelli provenienti dal fumo di sigaretta come il benzochirene. Ci sono anche altri cancerogeni che possono provocare mutazioni della p53 quali l’Aflotossina. Deriva da aspergillo giallo che è una muffa gialla che cresce nei paesi tropicali e contamina soprattutto i silos. L’aflatossina ha permesso di spiegare la presenza tra i virus a DNA che causano tumori, del virus che causa l’epatite B. L’epatite B è una malattia grave ma non tumorale che provoca continue stimolazioni infiammatoria delle cellule del fegato. Nella popolazione del sud est asiatico c’è una percentuale maggiore di ammalati di epatite B. Ciò si spiega con il fatto che queste popolazioni si alimentano con derrate alimentari contenute nei silos contaminati dall’aflotossina. Quindi nel distretto del fegato si possono verificare prima un’infiammazione dovuta alla presenza del virus dell’epatite B e poi a causa delle derrate contaminate una mutazione di alcuni codoni del gene della p53. A questo punto non c’è più la possibilità da parte del guardiano del genoma di controllare l’insorgere di eventuali mutazioni nel DNA delle cellule e ciò porta all’insorgere di tumori del fegato. Quindi per la loro funzione svolta la Rb e la p53 sono stati chiamati geni oncorepressori. Gli oncogeni agiscono mediante il primo meccanismo visto di guadagno di funzione ossia da acceleratori. Va di pari passo con la scoperta dei retrovirus e ha a che fare con le tecniche di ibridazione del DNA già discusse.