articolo Rogheta

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IL LUOGO DEL SILENZIO
Silenzio. Non c’è nessuno in questo bosco, qui la Natura è la sola padrona e la quiete
regna sovrana con lei. Eppure a pochi chilometri c’è il mare, si vedono Gorgona e
Capraia; più in là nella foschia si scorge anche la Corsica. Ma qui niente, le uniche tracce
di vita sono le impronte dei cinghiali e qualche ghiandaia che scappa gracchiando.
Forse per questo, circa nove secoli fa, dei monaci agostiniani avevano eretto, qui a
Rogheta, nel bel mezzo della foresta di Monterufoli, il loro eremo.
Abbandonata per molti anni e ridotta a un rudere, pochi anni fa, quest’isola fuori dal
tempo è risorta a nuova vita ed è ora un accogliente agriturismo situato in una posizione
strategica all’interno della Riserva. Volterra con le famose “Balze”, i suoi musei e
l’artigianato dell’alabastro sono a quindici minuti d’auto; più vicino ancora sorge il piccolo
borgo di Querceto Ginori che merita la visita e la degustazione dei vini nell’omonima
cantina; poco più a sud ci si può immergere nei misteri della geotermia dell’Aia dei
Diavoli e fare quattro passi tra i soffioni di Monterotondo di Val di Cecina.
Gli amanti del trekking troveranno qui una miriade di itinerari che, attraverso sentieri
segnati, li porteranno alla scoperta delle antiche attività minerarie o ad incantevoli siti di
interesse paesaggistico naturalistico come il famoso Masso delle Fanciulle, nella Riserva
di Berignone. Una buona rete di ampie strade sterrate, agevolmente percorribile in
mountain bike o, perché no, a cavallo, attraversa in tutte le direzioni entrambe le riserve,
collegando l’itinerario dei “Borghi e dei Castelli” a quello delle “Balze e dei Calanchi” e a
quello dei “Due Castelli” regalando momenti esclusivi di pace e di tranquillità tra boschi di
sempreverdi che profumano di muschio.
La Toscana, si sa, è da tempo meta privilegiata del turismo nord europeo ed anche
d’oltre oceano. Anche quest’oasi tra la Riviera degli Etruschi e Volterra non è esente dal
loro interesse: c’è chi viene con la famiglia per qualche giorno, chi si trasferisce
definitivamente dopo una vita di lavoro. Molte sono le targhe automobilistiche tedesche e
olandesi ed è possibile condividere qualche escursione in bici chiacchierando in inglese,
nelle pause di sosta, ovviamente.
Già, perché sostare è indispensabile, in questi luoghi: la Natura ci vuole parlare, non
possiamo udirla distrattamente. Dobbiamo fermarci ed ascoltarla, con calma:
riscopriremo noi stessi.
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COSA VEDERE
Un itinerario al giorno, senza fretta, alternando natura, storia e piaceri della tavola…
Le Balze di Volterra
Se dopo avere visitato le botteghe artigiane nascoste tra i vicoli lastricati di Volterra
volete stupirvi con uno spettacolo mozzafiato, aspettate il tramonto ed uscite dalla Porta
di San Francesco. Superata l’imponente chiesa di S.Giusto, del XVI secolo, vi potrete
affacciare alle antiche mura etrusche ed ammirare la più impressionante forma di
erosione che interessa questa zona: la gigantesca voragine delle Balze, originata
dall’azione delle acque piovane che, infiltrandosi nella parte superiore del colle di
Volterra, giungono ad asportarne le argille sottostanti, impermeabili, provocando
imponenti frane. Questo fenomeno erosivo ha coinvolto, nei secoli, una necropoli etrusca
e ha cancellato, nel XVII secolo, l’antica chiesa di S.Giusto al Botro. Oggi resiste ancora,
affacciata sulle Balze, l’antica abbazia camaldolese del 1030.
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Querceto
Il borgo di Querceto, che risale all’anno Mille, è raggiungibile facilmente sia da Ponte
Ginori che da Micciano, entrambi distanti circa 6 chilometri. Il secondo dei due percorsi si
snoda attraverso i boschi e le strade sterrate che passano vicino a Rogheta ed è noto
come l’itinerario dei “Borghi e dei Castelli”. Ogni angolo del villaggio si imprime nella
memoria: gli scorci medioevali, il castello, la pieve di S.Giovanni del XII secolo, la
piazzetta con la sua locanda…
Da non perdere una visita e una degustazione nelle cantine: qui i marchesi Ginori Lisci
hanno ricavato, nel locale del vecchio teatro, una barriccaia dove riposano, in botti di
rovere francese, un ottimo Montescudaio DOC Cabernet “Macchion del Lupo” e un
altrettanto ottimo “Castello Ginori” IGT fatto di uve Merlot e Cabernet Sauvignon raccolte
manualmente nei vicini vigneti.
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La Riserva di Monterufoli
Quattro sono i punti di accesso, per mezzo di strade sterrate, alla riserva: da Nord, dai
borghi di Querceto, Micciano e Libbiano e da Sud, da Serrazzano (il poggio di Rogheta è
situato su una strada demaniale, chiusa ai non residenti, giusto nel mezzo di quest’area).
Partiamo dunque da Rogheta, con un ideale percorso ad anello in senso antiorario, per la
strada sterrata verso Querceto e da qui, sulla SP. 18, risalendo il torrente Sterza, fino a
Gabella. Saliti all’antico borgo della Sassa del X secolo, ben visibile da Rogheta, dopo
circa un chilometro un belvedere si affaccia sul Mar Tirreno: si può spaziare da Gorgona a
Capraia, all’Isola d’Elba e alla Corsica.
Ritornati sulla SP. 18, proseguiamo per 5 chilometri verso Sud e, lasciata l’auto in località
Poggio Castiglione, imbocchiamo il sentiero natura NMC3 “L’anello del Poggio Castiglione”
che ci porterà a scoprire, dopo circa un chilometro e mezzo, gli arditi ponti sul torrente
Ritasso. Qui passava la piccola ferrovia ottocentesca per il trasporto della lignite dalle
miniere di Villetta a Casino di Terra. Presso gli edifici di Villetta fu scoperto, infatti, uno
dei più importanti giacimenti di lignite della Toscana meridionale; lungo i pendii a monte
della miniera, si possono trovare, in corrispondenza di antichi scavi di pietre dure,
campioni interessanti di calcedonio e quarzo.
La strada provinciale 18, superato il villaggio di Canneto, si immette sulla SS. 329;
svoltato a sinistra, poco prima di Serrazzano, in direzione Sud, ritorniamo a vedere il
mare, dal quale emerge, inconfondibile, il profilo della “misteriosa” isola di Montecristo.
A qualche centinaio di metri rientriamo nella riserva dall’accesso meridionale, lo sterrato
ci porta dopo quattro chilometri al bivio che riporta a Rogheta, proseguiamo, invece, in
direzione Libbiano fino a superare la “Villa di Monterufoli”: sulla destra si apre il sentiero
escursionistico 7 “Linari” che con una ripida discesa tra affioramenti ofiolitici e boschi di
ontani neri ci porta alle antiche miniere di rame sul torrente Linari.
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La Riserva di Berignone
Un interessante primo approccio alla Riserva di Berignone e al suo particolare ecosistema
può essere un’escursione alle rocce ofiolitiche che affiorano presso il Masso delle
Fanciulle: percorrendo la SS.439 da Volterra, in direzione Pomarance, oltrepassato il
ponte sul Cecina si piega a sinistra in direzione Berignone – Lanciaia. Superato il torrente
Possera, tenendo la sinistra, si arriva sul fiume Cecina in località “Mulino di Berignone”.
Guadato agevolmente il fiume, lo si risale per poche centinaia di metri fino a giungere al
“Masso delle Fanciulle” e, più oltre, il “Masso degli specchi”.
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La Rocca di Sillano
Ritornati sulla strada principale e proseguendo in direzione S.Dalmazio, si incontra sulla
sinistra la segnalazione per la Rocca di Sillano: un ampio, quanto ripido, sentiero ci
conduce in una quindicina di minuti alle sue possenti mura. La parte più antica, la torre
centrale, risale al XII secolo ma il resto della costruzione deve la sua architettura alla
metà del Quattrocento, quando i fiorentini la ristrutturarono per resistere ai colpi delle
bombarde e delle colubrine. La fortezza domina la selvaggia valle del Pavone e la vista
spazia dal borgo medioevale di Montecastelli, a Sud Est, fino al mare livornese e alla
Gorgona, a Nord Ovest.
Poco più in basso rispetto alla fortezza la strada scorre quasi a fianco delle vestigia
prestigiose della pieve di San Giovanni Battista a Sillano, la cui facciata del XII secolo,
unica parte conservatasi, mostra nettamente l’influenza del romanico pisano.
A poche centinaia di metri si adagia il pittoresco villaggio di San Dalmazio, fra le cui mura
Carlo Cassola ambientò, nel 1954, il suo romanzo "Il taglio del bosco"; interessanti il
campanile e la chiesa dell’XI secolo, con un tabernacolo in maiolica robbiana, e un
bassorilievo di epoca arcaica, detto “la bestia di S.Dalmazio”, murato sulla facciata di una
casa nella piazza del borgo.
La strada verso Montecastelli scende ora nella valle del Pavone e risale sull’altro versante
offrendo la vista della Rocca circondata dai boschi. Il borgo, anch’esso in posizione
elevata e panoramica, ha una struttura urbanistica medioevale ben conservata. Molto
bella la chiesa romanica dei santi Filippo e Giacomo, della metà del XII secolo, e la coeva
torre castello dei Pannocchieschi.
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Castelnuovo val di Cecina
Superata la tomba etrusca del VIII a.C. detta “Buca delle Fate”, prima di Castelnuovo,
risalendo la valle del Pavone verso Sud, una piccola deviazione fino al greto del torrente
ci permette di ammirare i resti medioevali del Ponte Alto e del Ponte del Defizio.
La strada in salita ci mostra la struttura dell’abitato antico di Castelnuovo, aggrappato ad
uno sperone roccioso immerso nei boschi di castagni. Nel centro storico, a pianta
circolare e non accessibile alle automobili, si snodano vie tortuose che conducono fino
alla sommità del borgo ove sorge la chiesa di S.Salvatore, originaria del XII secolo e
restaurata alla forma attuale nella prima metà del XVIII.
Il territorio del comune è noto per i fenomeni geotermici: verso Nord si stende la “Valle
dei Diavoli” o “Aia dei Diavoli”, che comprende Larderello e Montecerboli (probabilmente
da mons Cerberi, esplicito riferimento a Cerbero, il guardiano dell’Ade).
Emozionante il sentiero che da Sasso Pisano, ai confini meridionali del comune, si spinge
verso Monterotondo tra soffioni, biancane, ribollire di fanghi e odore di zolfo.
Chissà se Dante Alighieri ha trovato qui l’ispirazione per descrivere alcuni passi della
cantica dell'Inferno nella sua Divina Commedia?
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CURIOSITÁ
Volterra è una città di pietra, dalle mura etrusche alle torri medievali, dalle Balze alle sue
strade lastricate, ma la pietra certamente più famosa è l’alabastro volterrano: ossia
solfato di calcio bi-idrato, una varietà di gesso microcristallino.
L’alabastro si trova in blocchi di forma spesso ovoidale, detti per questo ovuli, distribuiti
irregolarmente in strati di roccia gessosa, detta “panchina”, dove sono inclusi. I banchi di
pietra si trovano a profondità variabili da 2 fino a 280/300 metri e, a seconda delle
differenti composizioni chimiche del terreno, il materiale che si trova presenta un aspetto
e una colorazione molto differenziata. L’alabastro di Volterra è considerato il più pregiato
d’Europa per le sue caratteristiche di compattezza, trasparenza, venatura e durezza.
Dobbiamo agli etruschi insediatisi qui lo sfruttamento delle cave di alabastro nelle
vicinanze della città. Le prime testimonianze risalgono, infatti, alla fine dell’VIII secolo
a.C., ma il fiorire dell’arte funeraria etrusca, ben documentata al Museo Guarnacci, è tra
il III ed il I secolo a.C.. Dopo secoli di declino, e potremmo dire addirittura di oblio
durante il medioevo, l’alabastro viene “riscoperto” attorno alla metà XVI secolo; di questo
periodo è il famoso ciborio della chiesa di S.Andrea.
Nel 1791 Marcello Inghirami Fei segna una svolta nell’artigianato dell’alabastro: convinto
di un approccio più metodico e artistico, oltre che commerciale, fonda l’Officina Inghirami
alla quale associa una scuola di disegno e scultura per i suoi cento operai. Alterne fortune
portano alla chiusura della fabbrica dopo solo una decina d’anni ma i lavoranti, divenuti
esperti ed acquisita sensibilità artistica, aprono le loro prime botteghe.
Da questo momento in poi, con il rifiorire dei commerci internazionali, le opere degli
artigiani volterrani iniziano a viaggiare in Europa e nel mondo, dall’Estremo Oriente al
Sud America. Oggi sono poche le botteghe rimaste nel centro storico a tenere viva
questa tradizione plurimillenaria.
Quattro sono le principali categorie di lavorazione: scultura, animalistica, ornato e
tornitura, ciascuna di esse necessita di una specifica preparazione della pietra.
Si parla di segatura dell’ovulo, nel caso della scultura, di contornatura nell’animalistica e
di scandagliatura e spartizione rispettivamente per la tornitura e per l’ornato.
A seconda dei casi, quindi, dopo avere preparato un disegno od un modello, l’ovulo viene
segato e sgrezzato con strumenti dedicati e rifinito fino a prendere la forma definitiva,
infine viene levigato e lucidato o reso trasparente applicando un poco di olio di vaselina.
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LE RISERVE DI MONTERUFOLI-CASELLI E DELLA FORESTA DI BERIGNONE-TATTI
Situate al centro delle Colline Metallifere pisane, la Riserva di Monterufoli-Caselli e la
Riserva della Foresta di Berignone-Tatti sono di notevole interesse naturalistico.
La loro ragguardevole estensione, oltre 7000 ettari, la quasi totale copertura forestale e
la scarsa presenza dell’uomo fanno, infatti, di quest’area una delle zone selvagge più
importanti della Toscana.
Entrambe si sviluppano nel territorio del comune di Pomarance (PI) e di quelli limitrofi: la
prima è delimitata ad ovest dai rilievi di Caselli e dal corso del torrente Sterza e ad est
dal bacino del torrente Trossa; la seconda si estende dal bacino del fiume Cecina e dei
torrenti Sellate e Fosci a sud e a ovest fino alla valle del torrente Pavone e al confine con
la provincia di Siena ad est.
Una morfologia più dolce caratterizza le colline di Berignone, a nord-est di Pomarance,
mentre a sud-ovest il territorio di Monterufoli si fa accidentato: qui il paesaggio è
dominato da alture isolate costituite da rocce ofiolitiche (dal greco òphis = serpente e
lithòs = pietra), le “rocce verdi” o serpentino, antico fondale oceanico di 180 milioni di
anni fa, che affiorano più raramente nel territorio meridionale di Berignone, nel tratto del
Cecina compreso tra il Masso delle Fanciulle e la Bocca del Pavone.
Proprio quest’ultima caratteristica geomorfologica, particolarmente ostica alla vita dei
vegetali, ha caratterizzato la diversità biologica del sito. Oltre all’unicità dei boschi di
rovere su serpentino, presenti in Italia solo a Monterufoli, sono notevoli gli endemismi e
le modificazioni genetiche dovute alla mancanza di elementi nutritivi, alla presenza di
metalli tossici ed alle elevate temperature del suolo: nanismo, maggior sviluppo delle
radici, riduzione delle dimensioni delle foglie. Oltre alla flora specializzata, in tutta l’area
sono presenti boschi sempreverdi di leccio che cedono, nelle zone più umide, a quelli di
latifoglie decidue, prevalentemente di rovere. Nelle zone più aride la vegetazione è quella
tipica della gariga: arbusti radi, sempreverdi, tra cui domina il ginepro rosso.
Dalla primavera è possibile osservare, tra le altre, la fioritura delle circa trenta specie di
differenti orchidee e di una rara liana: la Periploca Greca.
Anche se la bassa densità delle specie non facilita l’incontro con la fauna, non è raro
incontrare tracce di ungulati, in particolare cinghiali e caprioli, mentre più difficile notare
la presenza del lupo. Nei boschi nidificano diversi rapaci diurni, quali il biancone e lo
sparviero, che estendono le loro zone di caccia alle più aperte aree coltivate limitrofe.
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