Dipartimento di Scienze Politiche Cattedra di Storia delle Relazioni Internazionali LE RELAZIONI TRA LA GERMANIA NAZIONALSOCIALISTA E IL MONDO ARABO RELATORE CANDIDATO Prof.Federico Niglia Davide Montani Matricola.065692 ANNO ACCADEMICO 2012 - 2013 1 INDICE Introduzione ………………………………………………………………………………………3 Capitolo 1 UNO SGUARDO GENERALE - 1.1 Il mondo arabo alla vigilia della seconda guerra mondiale ……………………………4 - 1.2 I problemi del mondo arabo dopo il 1918: Colonialismo, Sionismo e Panarabismo … 5 - 1.3 La percezione del mondo arabo nella Germania Nazista ……………………………...9 Capitolo 2 IL NODO PALESTINESE. SIONISMO, NAZIONALISMO ARABO E LA GERMANIA DI HITLER - 2.1 Il mutevole rapporto della Germania di Hitler con il sionismo ………………………..14 - 2.2 L’interlocutore privilegiato: Muhammad Amin al-Husayni e gli arabi di Palestina …. 16 Capitolo 3 LA GERMANIA E IL MONDO ARABO TRA IL 1936 E LA FINE DELLA GUERRA IN NORD AFRICA - 3.1 Il Maghreb ……………………………………………………………………………...20 - 3.2 L’Arabia Saudita ……………………………………………………………………….22 - 3.3 La rivolta irachena del 1941 ……………………………………………………………24 - 3.4 L’Egitto di re Faruq …………………………………………………………………….30 Capitolo 4 IL TERZO REICH E IL MONDO ARABO. LA COLLABORAZIONE IN EUROPA E IL LASCITO DI QUESTO RAPPORTO - 4.1 Il Mufti a Berlino ……………………………………………………………………….34 - 4.2 Le divisioni arabe e mussulmane nella Wehrmacht e la fine della collaborazione …….36 - 4.3 La permanenza dell’influenza nazionalsocialista nel mondo arabo del dopoguerra …...41 Conclusione ………………………………………………………………………………………..44 Bibliografia ………………………………………………………………………………………...45 2 INTRODUZIONE Questa Tesi di Laurea si propone come scopo quello di analizzare le relazioni intercorse fra la Germania Nazionalsocialista e il mondo arabo e l’influenza reciproca che si è verificata tra questi due mondi. In particolare lo scopo è analizzare le ragioni per le quali la Germania di Hitler appoggiava i movimenti arabi filonazisti a livello ideologico ma non a livello materiale. Chiameremo questo comportamento “l’amicizia con poco impegno”. Gli anni di principale interesse sono quindi quelli compresi fra il 1933 e il 1945, ma ovviamente verrà data anche una breve descrizione della genesi e delle conseguenze del fenomeno. Il metodo utilizzato nello studio del fenomeno consiste nell’analisi di fonti, degli atti ufficiali, delle lettere e dei periodici che evidenziano chiaramente questa relazione al fine di ricostruire gli snodi e i temi centrali della collaborazione tra nazismo e mondo arabo. Il primo capitolo analizza generalmente il mondo arabo e le tematiche principiali all’interno di questo nel primo dopoguerra, oltre ad inquadrare in che modo il mondo arabo venisse percepito dalla Germania dell’epoca. Nel secondo capitolo si focalizza l’attenzione su un nodo centrale, parlando di relazioni con il mondo arabo - la Palestina - e dei rapporti con la massima autorità palestinese dell’epoca, Amin alHusayni. Il terzo capitolo è un analisi areale delle relazioni fra Germania e mondo arabo, intercorse o con i paesi indipendenti o con gruppi non statali. Infine il quarto e ultimo capitolo si concentra sulla collaborazione avvenuta sul territorio europeo, sia sul piano militare che ideologico, nonché sulle conseguenze della relazione tra nazionalsocialismo e mondo arabo. 3 CAPITOLO 1 UNO SGUARDO GENERALE 1.1 IL MONDO ARABO ALLA VIGILIA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE Quando si parla di mondo arabo è bene fare chiarezza distinguendo, in modo netto e conciso, il mondo arabo da quello mussulmano (di cui il primo risulta un sottoinsieme). Per mondo mussulmano intendiamo tutte quelle nazioni dove la maggioranza della popolazione risulta essere di religione mussulmana. Parliamo quindi di quel vasto arco che va dalle coste dell’Oceano Atlantico in Africa fino alle isole Indonesiane (ricordando che l’Indonesia è il paese mussulmano più popoloso al mondo). Il mondo arabo è costituito invece da quei paesi dove la cultura e la lingua araba sono predominanti, indipendentemente dalla religione (visto che in questi paesi persistono minoranze cristiane numericamente non indifferenti), che coincidono oggi con gli stati membri della lega araba: Marocco (includendo in esso anche il territorio conteso del Sahara Occidentale), Mauritania, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Sudan, Gibuti, Somalia, Giordania, Libano, Siria, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrain, Yemen, Oman e l’Autorità Nazionale Palestinese. Quindi la prima suddivisione si basa su un criterio di appartenenza religiosa, la seconda sull’appartenenza etnico-culturale al mondo arabo. La confusione fra i due è spesso conseguenza del fatto che il mondo arabo è il cuore del mondo mussulmano, ospitando le più sacre delle città dell’islam: La Mecca, Medina e Gerusalemme. Inoltre fu il mondo arabo a diffondere la religione islamica, grazie alla sua radicale espansione tra i secoli VII e IX, che solo in seguito si diffuse tra altre culture, come quella Persiana o Turca. 4 Una volta chiarita l’area di nostro interesse e i criteri con cui questa è stata delimitata risulta indispensabile chiarire la situazione geo-politica nel mondo arabo che Hitler si trovò di fronte nel 1933, quando divenne cancelliere della Germania. Gli stati formalmente indipendenti all’epoca erano l’Arabia Saudita (fondata nel 1932, dall’unione dei regni di Hegiaz e Nejd), l’Egitto (che aveva ottenuto un indipendenza formale nel 1922, la quale permetteva comunque ai britannici di mantenere una decisa influenza sia politica che militare nel paese), lo Yemen (nato dal collasso dell’Impero Ottomano nel 1918, e comunque esteso solo al nord del paese, senza quindi il “meridione” e il ricco porto di Aden, all’epoca protettorato britannico) e il regno dell’Iraq (primo stato posto sotto mandato dalla Società delle Nazioni ad ottenere l’indipendenza, nel 1932, dalla Gran Bretagna, se pur in una forma molto simile a quella egiziana). Il resto del mondo arabo era ancora sottoposto alle varie forme di regime coloniale: dai mandato di tipo A1 (come Siria, Libano e Palestina), alle colonie (come la Libia e la Somalia sotto controllo italiano), al protettorato ( ad esempio quello francese in Marocco e Tunisia) ed infine i territori integrati nello stato metropolitano (come l’Algeria Francese). 1.2 I PROBLEMI DEL MONDO ARABO DOPO IL 1918: COLONIALISMO,SIONISMO E PANARABISMO La situazione politica nel mondo arabo negli anni che seguirono la prima guerra mondiale era incandescente. Dopo secoli di dominio della Sublime Porta il mondo occidentale era penetrato violentemente in tutta la mezzaluna fertile, conquistando il 9 Dicembre 1917 la città santa di Gerusalemme. Era la prima volta dai tempi dei crociati che l’occidente ne tornava in possesso. Tre erano le preoccupazioni principali 1 Il mandato è uno strumento giuridico che fu istituito dall’articolo 22 della società delle nazioni, al fine di aiutare le popolazioni che non erano in grado di governarsi. Si dividevano in mandati di tipo A, B e C a seconda del tempo necessario alle popolazioni sotto mandato per ottenere l’autogoverno. 5 dell’élite politico culturale del mondo arabo, in particolare nel Medio Oriente: la fine dell’imperialismo occidentale e del regime coloniale, limitare o interrompere la sempre maggiore immigrazione ebraica in Palestina ed infine la creazione di uno stato arabo unito. Le radici di questi tre problemi vanno ricercate nell’ambiguità della politica estera britannica alla fine della prima guerra mondiale. Da una parte c’era la volontà di proseguire con la logica colonialista e imperialista tipica del XIX secolo. Gli accordi Sykes-Picot del 16 Maggio 1916, che diviserò il Medio Oriente in zone di influenza fra Francia e Gran Bretagna, e che saranno inglobati nel trattato di Sèvres dell’Agosto 1920, si inseriscono nel solco di questa tradizione. Per edulcorare il controllo coloniale, e sotto l’influenza del presidente Americano Woodrow Wilson, si scelse la formula dei mandati. Questo nuovo assetto distrusse un ordine giuridico e politico che durava praticamente da quattro secoli, ovvero dalla conquista ottomana dell’Egitto nel 1517. Una forte pressione veniva poi al governo britannico dalle forte lobby sioniste presenti in patria a cui si diede sfogo con la famosa dichiarazione Balfour del 2 Novembre 1917. Questa è in realtà una lettera scritta dall’allora ministro degli esteri britannico, Arthur Balfour, a Lord Lionel Rothschild, allora considerato il massimo esponente della cultura sionista inglese. La lettera affermava che: "Il governo di Sua Maestà vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico, e si adopererà per facilitare il raggiungimento di questo scopo, essendo chiaro che nulla deve essere fatto che pregiudichi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni". Compaiono nella lettera i due problemi fondamentali del sionismo con cui la Gran Bretagna si dovrà scontrare nell’era del mandato in Palestina: da una parte il sionismo è visto dagli arabi come mezzo attraverso il quale le loro terre vengono colonizzate e rubate da stranieri e da nemici della fede islamica. A questo dobbiamo aggiungere il disagio causato dall’incontro tra la cultura araba e i coloni ebrei, in buona parte rappresentanti della borghesia tedesca, polacca e russa, 6 con i quali vi era senza alcun dubbio un vasto divario culturale ed economico. Dall’altro lato il sionismo faceva paura a molti ebrei occidentali. Era timore di molti che la creazione di uno stato ebraico avrebbe reso gli ebrei non più cittadini che professavano un'altra religione ma un vero e proprio popolo. Quindi molti si sarebbero trasformati dall’essere tedeschi, polacchi, francesi e inglesi di religione ebraica in dei veri e propri stranieri, vivendo cosi nella costante paura di non essere più accettati. Su questo argomento sono molto interessanti le parole di Edwin Montagu, ebreo ed esponente del partito liberale, Segretario di Stato per l’India tra il 1917 e il 1922. Opponendosi alla dichiarazione Balfour afferma che: “Se dichiari che la Palestina deve accogliere un focolare nazionale per gli ebrei, ogni giornale o organizzazione antisemita si chiederà che diritto ha un ebreo inglese, che nel migliore dei casi ha lo status di uno straniero naturalizzato, di assumere un ruolo preminente nel governo dell’Impero Britannico”2. Interessante il fatto che in molte lingue si preferisca utilizzare il termine giudeo (che indica l’appartenenza etnica ad una determinata regione, la Giudea appunto) e non ebreo (che invece indica l’appartenenza a un gruppo religioso). Basti pensare all’inglese “jew”, al francese “juif” e allo spagnolo “judio”. A seguito della dichiarazione Balfour l’immigrazione ebraica in Palestina aumentò drasticamente. Nel 1917, anno della dichiarazione, in Palestina vivevano 60.000 ebrei e 550.000 arabi. Nel 1927 la comunità ebraica arriverà a toccare le 160.000 unità e continuerà a crescere negli anni a seguire fino alle 360.000 unità del 1933, pari al 26% della popolazione totale della Palestina. Per quanto riguarda le terre possedute dai coloni sionisti queste ammontavano, su una superficie totale di 27.027 chilometri quadrati della Palestina mandataria, a 1200 chilometri quadrati di terreno, pari quindi al 4.5% del totale nel 1931. Una cifra che sale ancora se rimuoviamo i 13.000 chilometri quadrati del deserto del Negev, che portando l’8.5% delle terre coltivate sotto proprietà ebraica. 2 Lettera di Edwin Montagu a Lloyd George, 4 Ottobre 1917, citata in Leonard Stein, The Balfour Declaration, Simon & Schuster, New York, 1961, p. 500 7 Infine i Britannici avevano dato vita a un fenomeno prima totalmente assente nel mondo arabo: il nazionalismo. L’idea di nazione non è radicata nel mondo arabo. Fin dalla sua nascita le entità politiche del mondo arabo si erano identificate con le famiglie che le governavano e non con un entità statale “astratta”. Ad esempio mentre nell’Europa medioevale e moderna troviamo i Regni di Francia o di Aragona, nel mondo arabo troviamo i califfati Omayyadi, Abbasidi e Fatimidi. Il nome della dinastia coincide con il nome dello stato. Anche l’impero Ottomano era l’impero della dinastia Osmanli. Quindi quando i Britannici fomentarono il nazionalismo arabo in funzione anti-ottomana, tramite il loro famigerato agente Thomas Edward Lawrence o Lawrence d’Arabia(1888 – 1935), in realtà possiamo dire che lo crearono. I documenti che rappresentano al massimo questo fenomeno furono la corrispondenza tra Sir Henry MacMahon, Alto Commissario britannico al Cairo, e alHusayn ibn ʿAli, sceriffo della Mecca, che ebbe luogo tra il 1915 e il 1916. In questo scambio epistolare i britannici si mantennero comunque molto ambigui, rifiutandosi di definire parti di un futuro stato arabo i territori che “non possono dirsi puramente arabi”, ma senza ben specificare se la Palestina fosse fra questi. È utile distinguere tra il nazionalismo arabo, che ha come progetto la creazione di una federazione che vada dal Marocco alla penisola araba, mentre il panarabismo sostiene uno stato arabo unitario. Quindi, ricapitolando, troviamo un mondo arabo che negli anni venti e trenta del XX secolo è attraversato da una corrente anticoloniale (in particolare anti-britannica), anti sionista in reazione alla dichiarazione Balfour e che cerca di costituirsi come entità statale e nazionale sul modello del mondo occidentale secondo i principi del panarabismo. È quindi un alleato naturale per la Germania di Hitler secondo il principio base della realpolitik: il nemico del mio nemico è mio amico. In questo caso specifico possiamo vedere che il colonialismo e i mandati di Francia e Gran Bretagna nel medio oriente pongono le basi per una salda alleanza contro le democrazie plutocratiche. Il sionismo fa si che gli ebrei, nemici numero uno della razza ariana, siano anche visti come avidi colonizzatori delle terre arabe. Infine sia il mondo arabo 8 che la Germania del Terzo Reich condividono, come vedremo più avanti, la stessa visione di nazionalismo, che accomuna panarabismo e pangermanesimo. 1.3 LA PERCEZIONE DEL MONDO ARABO NELLA GERMANIA NAZISTA La Germania nella sua storia aveva sempre interagito con il mondo arabo con fini esclusivamente economici. Da parte del terzo Reich non vi era sicuramente l’intenzione di colonizzare il Medio Oriente tramite una politica di potenza. La perdita delle colonie nel 1918 era forse il punto meno dolente del trattato di Versailles per il NASDAP. La vecchia politica estera coloniale era definitivamente tramontata, in quanto il luogo di sbocco naturale per l’emigrazione e per l’export della Germania era ora il grande “Lebensraum” dell’ Europa orientale. Molto bene chiaro era su questo Hitler nel “Mein Kampf”: “Noi, nazionalsocialisti, tiriamo una riga sulla politica estera dell’anteguerra e la cancelliamo. Noi cominciamo là, dove si terminò secoli fa. Mettiamo termine all’eterna marcia germanica verso il sud e l’ovest dell’Europa e volgiamo lo sguardo alla terra situata all’est. Chiudiamo finalmente la politica coloniale e commerciale dell’anteguerra e trapassiamo alla politica territoriale dell’avvenire. Una tale politica territoriale non può oggi esercitarsi da qualche parte nel Camerun ma quasi esclusivamente in Europa”. 3 Si guarda alle crociate dei cavalieri Teutonici e non alla Germania Bismarckiana e Guglielmina. Questa “ideologia territoriale” sarà effettivamente alla base della politica estera tedesca, giustificando lo scarso impegno in Nord Africa a scapito dell’invasione dell’Unione Sovietica. Inoltre giustificherà anche quella che potremmo definire “ l’amicizia con poco impegno” con il mondo arabo. Il sostegno ideologico e politico 3 A. Hitler, Mein Kampf, Sentinella d’Italia, Monfalcone 1977, p. 317 9 fu quasi sempre presente, mentre quello materiale e militare era sempre ridotto al minimo. Per quanto riguarda il razzismo biologico, questo non fu mai veramente un problema nelle relazioni fra arabi e nazisti. Questo innanzitutto era dovuto al cambio di posizioni che Hitler aveva già compiuto quando salì al potere. Mentre nel 1925, quando pubblica il Mein Kampf, l’inferiorità del popolo arabo è chiaramente espressa, nel 1933 gli arabi erano già chiaramente amici, e il razzismo si doveva accanire solo contro il vero nemico sociale e biologico della razza tedesca: gli ebrei. Le ragioni per questo repentino cambio di posizione vanno cercate sia nella più pura realpolitik in funzione antifrancese e antibritannica, sia in una sincera riscoperta del mondo arabo e mussulmano da parte delle gerarchie naziste. Tra le molte religioni l’islam appariva sicuramente la più vicina all’ideologia pagana dei nazionalsocialisti, i quali disprezzavano apertamente la dottrina cristiana di “porgere l’altra guancia”, vista come debole e passiva. Al contrario vedevano di buon occhio il concetto dello “jihad” (ricordando che questo termine non significa guerra santa ma sforzo, sia interiore contro le forze tentatrici dell’animo, sia esteriore contro i nemici della fede), un concetto “attivo” e non passivo, visto come una manifestazione di forza. Questo cambiamento di posizione è bene espresso da un’intervista fatta ad Hitler da un giornale egiziano, “Al-Muqattam”, dell’ Agosto 1933: “Colgo questa occasione per dire ai vostri fratelli, gli egiziani e gli arabi, che io li amo e che non nutro sentimenti ostili nei loro confronti”.4 Anche le limitazioni razziali imposte agli ebrei non venivano applicate agli arabi residenti in Germania, che anzi erano guardati con favore. Ad esempio già nel 1933 i bagni pubblici erano interdetti ai “Fremdrassigen”, le razze straniere. Il 23 Maggio 1933 la legazione del re d’Egitto inviò una nota dove chiedeva se anche gli egiziani erano da considerarsi “Fremdrassigen”. Il 26 Maggio arrivò la risposta di Konstantin Hermann Karl Freiherr von Neurath, il quale rassicurava che il termine era inclusivo solo degli ebrei. 4 “al-Muqattam”, 18 Aprile 1933 10 Anche dal punto di vista dello stile di governo il mondo arabo e il nazismo trovarono molti punti in comune. In entrambi i casi la responsabilità di governare spettava ad un leader unico e assoluto, il quale nominava i propri consiglieri e ministri, ma le opinioni di questi avevano solo parere consultivo e non vincolante. Il Fuhrer era l’unico responsabile della politica del suo paese, come allo stesso modo erano stai i quattro califfi succeduti a Maometto. Per entrambi, nazionalsocialisti e islam radicale, inoltre, la democrazia era un’enorme truffa dove non era il più capace a vincere ma solo il più ricco e il più abile a manipolare gli altri. Il nazionalismo di stampo tedesco inoltre era più vicino all’idea di nazionalismo che stava nascendo nel mondo arabo. Pangermanesimo e panarabismo non si riconoscevano in una certa entità politica, definita territorialmente con frontiere precise. Entrambi rimandavano l’identità nazionale alla cultura e alla lingua comuni. Condividevano inoltre una grande frammentazione etnica, che non era invece presente in paesi come la Francia o la Gran Bretagna. Nel mondo arabo Hitler sarà infatti acclamato come Abu Ali, “il redentore”, colui che avrebbe liberato le genti arabe permettendogli di edificare uno stato unitario come quello che il Fuhrer stava costruendo in Europa fra tutti i tedeschi. Da un punto di vista economico il mondo arabo era visto, negli anni della guerra in particolare, come un importantissima riserva di petrolio a cui la Germania doveva aver accesso se voleva proseguire il conflitto vista l’importanza dei mezzi corazzati e della Luftwaffe per la realizzazione della Blitzkrieg. In Europa, oltre a piccoli giacimenti in Austria ed Ungheria, gli unici grandi pozzi petroliferi sotto controllo diretto del Reich erano quelli di Ploiesti in Romania. Per il resto la Germania dipendeva dalla produzione lenta e costosa del petrolio sintetico, che veniva ricavato dal carbone tramite un processo ideato dal chimico Friedrich Bergius, premio Nobel nel 1931. L’acquisizione di nuove fonti petrolifere era quindi essenziale, e i paesi arabi erano ben disposti a concedere l’oro nero in cambio del riconoscimento della propria indipendenza. 11 Inoltre le fondamenta dell’amicizia fra Germania e mondo arabo erano state già gettate dal Kaiser Guglielmo II e dalla sua alleanza con l’impero Ottomano. Nel 1898 questo infatti aveva fatto un lungo viaggio nell’impero Ottomano, facendo tappa a Istanbul e a Gerusalemme, definendosi amico di tutti i mussulmani e annunciando la costruzione della famosa ferrovia Berlino-Baghdad. Inoltre durante la prima guerra mondiale numerosi ufficiali tedeschi si erano recati nell’impero Ottomano per addestrare e guidare le truppe del califfo, tra cui molte di provenienza araba. Un ultimo aspetto che bisogna considerare nel rapporto tra Germania nazista e mondo arabo è l’alleanza fra il Reich e l’Italia di Mussolini. L’amicizia con poco impegno” era dettata anche dal fatto che era indispensabile tenere vicino l’alleato italiano, al quale era sempre stato garantito il Mediterraneo come area di influenza esclusiva e quindi anche il mondo arabo. Era quindi utile fomentare i nazionalismi in chiave antibritannica, ma senza mai slanciarsi troppo in là, onde non indispettire Roma. Gli arabi d’altro canto ebbero sempre paura che l’Italia potesse sostituirsi alla Gran Bretagna, paura che invece non era presente nei confronti della Germania. Utile per comprendere questo è un documento inviato dal ministero degli esteri tedesco alle sue sedi diplomatiche in oriente, che recita: “La Germania non persegue interessi politici nell’area mediterranea, la cui parte meridionale e orientale è costituita dal mondo arabo. Essa lascerà quindi all’Italia la precedenza nel riassetto dell’area araba. Nei territori arabi, tra i quali annoveriamo la penisola arabica, l’Egitto, la Palestina, la Transgiordania, Siria, Libano e Iraq, non vi sarà questione nè di una pretesa di egemonia tedesca nè di una spartizione dell’egemonia con l’Italia”.5 Come vedremo, ovviamente, questo non significò certo l’interruzione di qualunque influenza economica (in particolare in relazione ai campi petroliferi) e ideologica. Verso la fine della guerra, dopo le deludenti azioni dell’alleato italiano nel conflitto, Hitler si penti di aver riposto cosi tante fiducie nel duce a scapito dei popoli arabi. Nel suo testamento del 17 Febbraio 1945 il Fuhrer afferma: “La nostra alleata italiana è stata causa di imbarazzo per noi ovunque. Fu questa alleanza, ad esempio, a impedirci di 5 “Circolare del ministero degli affari esteri” 20 Agosto 1940, p. 225 12 perseguire una politica rivoluzionaria nell’Africa settentrionale… Se fossimo stati soli, noi avremmo potuto emancipare i paesi mussulmani dominati dalla Francia e ciò avrebbe avuto ripercussioni enormi nel Vicino Oriente, dominato dall’Inghilterra, e in Egitto. Ma essendo le nostre sorti legate a quelle degli italiani il perseguimento di una simile politica non fu possibile. Tutto l’Islam fremeva alle notizie delle nostre vittorie. Gli egiziani, gli iracheni e l’intero Vicino Oriente, tutti erano pronti a sollevarsi in rivolta. Si pensi semplicemente a quel che avremmo potuto fare per aiutarli, anche soltanto per incitarli, come sarebbe stato al contempo il nostro dovere e il nostro interesse! Ma la presenza degli italiani al nostro fianco ci paralizzò, creò una sensazione di malaise tra i nostri amici dell’islam i quali ,inevitabilmente, videro in noi dei complici, volenti o nolenti, dei loro aggressori.” Con queste parole Hitler sicuramente non volle vedere le proprie “colpe”, in quanto gli aiuti materiali al mondo arabo in rivolta, quando vi furono le occasioni per sostenerlo, furono sempre ridotti al minimo. Questo fu sì in parte dovuto al fatto che l’area era di competenza degli italiani ma anche alla ossessione che Hitler nutriva verso la conquista del Lebensraum orientale, vero obiettivo delle forze armate tedesche. 13 CAPITOLO 2 IL NODO PALESTINESE. SIONISMO, NAZIONALISMO ARABO E LA GERMANIA DI HITLER 2.1 IL MUTEVOLE RAPPORTO DELLA GERMANIA DI HITLER CON IL SIONISMO Per comprendere il rapporto con i paesi arabi e con il loro mondo è importante vedere cosa il ministero degli esteri tedesco pensava del sionismo. Nonostante quello che si può pensare questo fu, in principio, uno dei pochi punti di attrito fra gli arabi del Vicino Oriente e la Germania. Nel 1933 la Germania si sentiva di gran lunga inferiore all’ impero britannico. Qualsiasi azione avesse potuto indebolire o infastidire il grande colosso era ben vista. Una di queste azioni era favorire l’immigrazione ebraica in Palestina. Nonostante il mondo nazista fosse l’incarnazione dell’antisemitismo, nel 1933 si era arrivati ad un patto fra l’agenzia ebraica e la Germania denominato “Haavara” che permetteva agli ebrei tedeschi di abbandonare il Reich per recarsi in Palestina. L’atto era osteggiato da molti politici tedeschi i quali, come abbiamo visto, avevano una decisa tendenza filoaraba e filoislamica. Inoltre forte era l’opposizione dei 2000 tedeschi residenti in Palestina che si vedevano invasi dalla concorrenza ebraica. In ogni caso questo gesto non va interpretato come un atto di avallo alla costruzione di uno stato ebraico come invece fece il Gran mufti di Gerusalemme, Hajji Muhammad Amin al-Husayni, il quale vide nel “Haavara” un tradimento della causa araba. In realtà lo scopo dei nazionalsocialisti era tutt’altro che filo ebraico. Nella loro visione l’accordo era un mezzo per rendere la Germania “judenfrei” senza per questo doversi sporcare le mani (come poi brutalmente fece) visto che i sionisti lasciavano il paese di loro spontanea volontà. Una volta arrivati in Palestina, nella visione tedesca, gli ebrei non sarebbero 14 mai stati in grado di fondare un entità statale autonoma, anzi sarebbero finiti vittime proprio degli amici arabi che avrebbero svolto il lavoro sporco. I sionisti erano sempre un gruppo di delinquenti ma favorirli sarebbe stato permettergli di autodistruggersi visto che il loro progetto era inattuabile. Nelle parole scritte da Schwarz von Berk a von Hentig, capo dell’ufficio del Vicino Oriente al ministero degli esteri, questo concetto risulta chiaramente: “È bene che gli ebrei della Germania vengano in Palestina e spendano qui le loro fortune… Essi non metteranno radici qui, le loro fortune saranno dilapidate e gli arabi li liquideranno. Gli ebrei in Palestina sono condannati, la loro fine sarà di cadere dalla padella nella brace”6 Questa posizione verso il sionismo cambiò radicalmente nel 1937. La Commissione reale britannica di lord Peel nel Luglio 1937 apriva per la prima volta all’idea che la Palestina potesse essere divisa in due, uno stato arabo e uno ebraico. Questo a Berlino significava che la comunità ebraica di Palestina non stava venendo lentamente distrutta da quella araba, anzi l’immigrazione che la Germania permetteva la stava rafforzando. Inoltre la creazione di uno stato ebraico era qualcosa di inaccettabile per Hitler e i suoi gerarchi in quanto si sarebbe trasformato in una base e in un “campo di addestramento” per il giudaesimo globale. Un porto sicuro dove gli ebrei avrebbero potuto rifugiarsi usando la sovranità statale come scudo, ma allo stesso tempo operando per il controllo dell’economia globale. In un memorandum datato 1 Giugno 1937 (poco prima che la Commissione Peel pubblicasse il proprio lavoro), che Konstantin Von Neurath invia all’ambasciata tedesca a Londra, alla legazione di Baghdad e al consolato a Gerusalemme, possiamo leggere che: “La formazione di uno Stato ebraico o di una struttura a guida ebraica sotto mandato britannico non è nell’interesse della Germania dato che uno Stato palestinese non assorbirebbe l’ebraismo mondiale ma creerebbe, sotto leggi internazionali, un ulteriore posizione 6 D. Yisraeli, The third reich and Palestine, in “Middle east studies”, Ottobre 1971, 7, p. 346 15 di potere all’ebraismo internazionale, qualcosa come lo Stato del Vaticano per il cattolicesimo politico o Mosca per il “Comintern”.7 Andare contro il sionismo comportava, come naturale conseguenza, di rafforzare ancora di più l’alleanza, in buona parte intrecciata, con il suo nemico principale, il mondo arabo. In particolare quel mondo arabo che fin dal 1920 aveva lottato in maniera violenta per impedire l’immigrazione ebraica. Il massimo esponente di questo mondo era il già citato Hajji Muhammad Amin al-Husayni, gran Mufti di Gerusalemme. 2.2 L’INTERLOCUTORE PRIVILEGIATO: MUHAMMAD AMIN AL-HUSAYNI E GLI ARABI DI PALESTINA Come abbiamo visto il mondo arabo con cui entrò in contatto la Germania nazista era in buona parte dipendente per le proprie relazioni estere da potenze terze. Anche le poche nazioni indipendenti (Iraq, Egitto, Yemen e Arabia Saudita) erano enormemente influenzate dal foreign office britannico. Quindi analizzando questa relazione è importante tenere in conto anche attori non statali che comunque ricoprivano ruoli preminenti nella società araba durante il periodo dei mandati. In particolare le figure legate al mondo religioso islamico costituivano l’élite e la guida spirituale e culturale della società araba. Hajji Muhammad Amin al-Husayni, gran Mufti di Gerusalemme fu senza alcun dubbio una delle figure di spicco dell’Islam radicale, nonché quello che potremmo definire l’interlocutore privilegiato tra il mondo arabo e la Germania di Hitler. In più occasioni si troverà ad essere il mediatore tra le forze del mondo arabo e il Reich. La Palestina in cui questi viveva era, senza ombra di dubbio, la parte del mondo arabo che maggiormente vedeva come comune nemico al nazionalsocialismo il giudaismo globale (nella forma del 7 C. Weizmann, Trial and Error, Harper & Brothers, London 1949, p.193 16 sionismo) alleato con le democrazie plutocratiche (in questo caso il mandato britannico). Per capire l’importanza della figura del Mufti è utile citare le parole dello storico John Marlowe: “la figura dominante in Palestina durante gli anni del mandato non fu un britannico né un ebreo, ma un arabo, Hajj Amin Muhammed Effendi alHusayni… Abile, ambizioso, senza paura, serio e incorruttibile, egli era fatto con l’identica stoffa con cui sono fatti i dittatori”8 Nacque in una data ancora incerta agli storici, comunque compresa fra il 1893 e il 1897, in una delle famiglie più importanti di Gerusalemme, gli Husayni appunto. Il fatto di appartenere ad una famiglia ricca e ben conosciuta gli avrebbe sempre spianato la strada nel corso della sua carriera. Studiò prima a Gerusalemme, poi al Cairo. Sembra che durante questi studi venne a contatto con la cultura islamica antisemita. Nel 1913 compie il viaggio alla Mecca, potendosi così fregiare del titolo di Hajji (titolo attribuito appunto a coloro che hanno compiuto l’Hajj, il viaggio nella Città Santa per eccellenza del mondo mussulmano, uno dei cinque pilastri dell’Islam). Molti storici concordano sul fatto che non terminò mai gli studi all’università al-Azhar in Egitto, e che quindi non sarebbe stato idoneo a ricoprire la carica di Mufti. Durante la prima guerra mondiale militò nell’esercito ottomano per fare poi ritorno a Gerusalemme nel 1916, dopo essersi congedato per le sue cattive condizioni di salute. Durante la sua militanza nell’esercito ottomano era diventato un convinto panarabista e panislamista. Vide nella dichiarazione Balfour e nel mandato britannico un pericolo mortale per tutti gli arabi di Palestina. Nel 1920 contribuì ad organizzare la grande rivolta antiebraica, meglio nota come Moti di Nabi Musa (in quanto coincise con la processione in onore del profeta Mosè), esortando tutti gli arabi a prendere le armi contro i nemici del profeta. Nel 1921 moriva Kamil al-Husayni, fratello di Muhammad Amin, nonché Mufti di Gerusalemme fino a quella data. L’istituto del Mufti era stato creato nel XVIII secolo dal sultano ottomano con lo scopo di creare una figura giuridica che governasse 8 J. Marlowe, The Seat of Pilate; an Account of the Palestine Mandate, Cresset Press, Londra 1959 17 giustamente i propri sudditi, indipendentemente dalla propria fede. I suoi compiti consistevano nell’interpretare la Sharia (la legge coranica) e nella possibilità di emettere una Fatwà, ovvero un parere giuridico vincolante, emesso da un esperto di diritto islamico. Fino al 1918 era stato il Sultano a scegliere fra una rosa di 3 canditati il prossimo Mufti. Nella Palestina mandataria si scelse di operare in continuità con questo pratica, sostituendo il Sultano con Sir Herbert Samuel, Alto commissario per la Palestina, nonché ebreo e sionista. Fu proprio lui a scegliere Hajji Muhammad Amin al-Husayni per la carica, sotto fortissime pressioni da parte della famiglia di quest’ultimo, nel tentativo di avvicinare le correnti più estreme dell’Islam. Grazie alla sua nuova carica Husayni, oltre al prestigio, ottenne una cospicua rendita annuale pari a 200.000 sterline. Nel 1929 fu responsabile di una nuova ondata di moti antiebraici, partiti da una disputa sull’utilizzo del Muro del Pianto, che culminarono con la distruzione della comunità ebraica di Hebron. La salita al potere di Adolf Hitler il 30 Gennaio 1933 fu accolta con immensa gioia dal Mufti, che vide l’evento come “l’avvento di una nuova era di libertà per i mussulmani di tutto il mondo”. Due mesi dopo egli spedì un telegramma, al consolato tedesco di Gerusalemme, che fu la prima di molte offerte di collaborazione, dove affermava: “I mussulmani dentro e fuori la Palestina danno il benvenuto al nuovo regime tedesco e si augurano che il sistema di governo nazionalsocialista e antidemocratico si affermi in altri paesi”. Il 21 Luglio 1934 si recò in visita ad Hans Dohle, nuovo console tedesco a Gerusalemme, dove ribadì il proprio sostegno alla causa nazionalsocialista, ma chiese anche cosa questa fosse disposta a fare per il mondo arabo. Nel 1936 il Mufti sarà tra i principali promotori della Grande rivolta araba che durerà fino al 1939. Per questo motivo le autorità britanniche chiederanno il suo arresto nel Luglio del 1937. Definito da alcuni “l’Houdini di Hitler”, il gran Mufti fu sempre un gran maestro nella fuga. Dopo i moti del 1920 era riuscito a fuggire all’arresto spacciandosi per suo fratello quando la polizia britannica venne a cercarlo a casa sua 18 (in seguito ricevette comunque un amnistia per il suo coinvolgimento in quei fatti). Nel 1937 fuggì prima nell’Haram, la sacra spianata delle moschee che i britannici non osavano invadere, ed infine in Libano, travestendosi da donna. Infine nell’Ottobre del 1939, per via di numerosi contrasti con le autorità francesi, troverà finalmente riparo in Iraq, dove nel 1941 aiuterà l’attuazione del colpo di stato antibritannico. Le altre sue fughe rocambolesche saranno dopo il fallimento del colpo di stato iracheno e nel 1945, quando fuggì dalla Germania nazista, ormai al collasso, in Svizzera. Il ministero degli esteri tedesco fu sempre molto attento all’attività del Mufti in questo periodo, ricevendo continui aggiornamenti dal proprio console a Gerusalemme. Dopo il 1937 in particolare l’Abwher, il servizio di intelligence militare tedesco, e le Waffen SS iniziarono a pensare al suo reclutamento come collaboratore. Fino alla conferenza di Monaco, però, la Germania mantenne sempre una grandissima prudenza nel trattare con elementi arabi antibritannici come il Gran Mufti. Questo per non inimicarsi in maniera eccessiva il governo di sua maestà britannica che era ancora visto come un valido interlocutore nei disegni del Fuhrer. Qualsiasi contatto andava quindi operato nel massimo segreto. Nel Settembre 1937 il Mufti entrerà in diretto contatto con l’SS Hauptscharfuehrer Adolf Eichmann, che viaggiò fra Settembre e Ottobre di quell’anno in Libano e Iraq, per constatare lo stato effettivo delle vari gruppi armati che si opponevano alle potenze mandatarie, Francia e Gran Bretagna. Nel 1938 al-Husayni ricevette armamenti, finanziamenti e consiglieri provenienti dall’unità Judenreferat. Da quell’anno il Mufti risulterà inoltre sul libro paga dell’Abwher II, il quale, sempre nello stesso periodo, darà vita ad un piano che prevedeva di inviare in Palestina, tramite navi con bandiere neutrali che sarebbero sbarcate nel porto di Jedda in Arabia Saudita, armi, munizioni e consiglieri militari delle SS, destinati agli insorti arabi. Il piano fu poi annullato su decisione di Hitler, il quale, come abbiamo visto, preferiva non far degenerare i rapporti con la Gran Bretagna. 19 CAPITOLO 3 LA GERMANIA E IL MONDO ARABO, TRA IL 1936 E LA FINE DELLA GUERRA IN NORD AFRICA 3.1 IL MAGHREB Il Maghreb è la parte più occidentale del mondo arabo, comprendente la Tunisia, il Marocco l’Algeria. Negli anni 30 i primi due erano protettorati francesi, mentre l’Algeria era integrata nello stato metropolitano francese. L’attività tedesca nel Maghreb si concentrò principalmente tra il 1937 e il 1940, visto che in seguito alla caduta della Francia e all’avvento al potere del governo Pétain a Vichy, la Germania cerco sempre di non inimicarsi lo Stato Francese. Nel 1937 tre città marocchine, Fès, Meknès e Khemisset, furono travolte da una forte ondata di rivolte, incidenti e sommosse, dirette contro il colonialismo francese. La stampa tedesca si schierò apertamente a favore dei rivoltosi, giudicando oppressivo e violento il modello coloniale di Parigi. In Europa era poi attiva l’Associazione dei giovani mussulmani di Berlino, fondata molto prima dell’avvento del nazismo, nel 1922, che fungeva da cassa di risonanza da parte di Berlino per alimentare il nazionalismo arabo nel Maghreb. Il già citato giornale egiziano “Al-Muqattam”, in un articolo del 6 Ottobre 1936, dà questa descrizione del rapporto tra l’Associazione e il Reich: “L’Associazione, per tutto quello che desidera pubblicare, incontra benevola accoglienza presso tutta la stampa tedesca e alta considerazione all’interno del governo”. All’interno di questa i leader dei vari movimenti nazionalisti potevano tranquillamente incontrarsi e coordinarsi sotto l’ala protettiva tedesca. Nel 1938 Berlino vedrà nascere ben tre comitati dei nazionalisti arabi maghrebini: il Comitato per la difesa della Tunisia, il Comitato dei rifugiati politici del Nord Africa e il Comitato per la difesa del Maghreb. 20 I rapporti con il Maghreb resteranno poi congelati per tutto il tempo in cui queste regioni resteranno fedeli a Vichy. Si scongeleranno dopo l’8 Novembre 1942, quando una massiccia forza alleata sbarcherà sulle spiagge di Orano, Casablanca e Algeri, avviando cosi l’operazione Torch, il primo massiccio sbarco anfibio dei governi alleati. Nel giro di tre giorni tutte le forze francesi leali a Vichy o seguirono gli ordini dell’ammiraglio Darlan e si unirono agli anglo-americani, o si arresero dopo brevi scontri. L’asse rispose occupando il protettorato francese di Tunisia. Le popolazioni locali accolsero le truppe tedesche in modo spesso caloroso ed entusiasta. Il Mufti (che come abbiamo visto dal 1941 era in Germania) fece forti pressioni sul governo tedesco affinché per il governo di questi territori si appoggiasse sui nazionalisti tunisini detenuti ancora nelle carceri francesi e promettesse l’indipendenza per i paesi del Maghreb. I francesi infatti, durante l’operazione Torch, si erano dimostrati inaffidabili e quindi non più in grado di collaborare con le autorità tedesche. Berlino era però impossibilitata ad avallare una simile dichiarazione per tre motivi: il primo è che, nonostante lo smacco subito dallo sbarco anglo-americano, il governo Pétain era ancora necessario alla Germania come collaboratore e annunciare l’indipendenza di tre dei suoi più importanti possedimenti avrebbe certamente fatto perdere ogni possibilità di collaborazione. Il 27 Novembre 1942 infatti Hitler aveva promesso a Pétain che l’autorità francese sarebbe stata ristabilita sul suolo tunisino. In secondo luogo era necessario mantenere buoni rapporti con la Spagna di Franco, la quale controllava la costa settentrionale del Marocco. Questo viene espresso in una nota del ministero degli esteri tedesco datata 3 Dicembre 1942: “Non è possibile promettere libertà e indipendenza agli arabi dell’Africa del Nord. Ciò sarebbe in contraddizione con la lettera del Fuhrer a Pétain e si rivela impossibile tenuto conto delle nostre relazioni con la Spagna”9. Infine un'altra ragione per cui la Germania non poteva garantire l’indipendenza del Maghreb era che l’intera area rientrava da tempo nella zona di influenza Italiana, e quindi Berlino non aveva molto da dire in materia. Furono proprio i progetti coloniali italiani a ridurre in buona parte la simpatia verso le 9 AA, Bonn, Politisches Archiv, USTS, “Nordafrika”, II 1942-1943 f. 303025 21 forze dell’asse in Tunisia. Al contrario le forze tedesche, che non nutrivano alcun progetto coloniale, apparivano più facilmente come liberatori. Dal Gennaio 1943, quando la situazione militare iniziò a degenerare, i tedeschi spostarono la loro fiducia dalle autorità francesi a quelle arabe. Il bey di Tunisi, Muhammad VII al-Munsif, nutriva delle decise simpatie verso l’asse, anche se cercò sempre di mantenere una posizione neutrale data l’ormai inevitabile avanzata delle forze anglo-americane. Il 12 Aprile 1943 decorava con onorificenze membri delle SS e della Gestapo. Sarebbe stato deposto dagli alleati con l’accusa di collaborazionismo e inviato nel deserto algerino. Hitler e i suoi si appoggiarono molto in Tunisia sui membri del partito Neo Destur, i cui leader furono liberati dalla carceri di Vichy e mandati in Tunisia (dopo una lunga diatriba con l’Italia, che vedeva minata l’idea della Tunisia come colonia italiana). Qui questi assunsero le tre cariche civili del governo prima detenute dai francesi facendo venire meno cosi Hitler alla lettera che aveva inviato a Pétain. Il 13 Maggio 1943 ciò che restava della forze italo-tedesche in Africa, agli ordini del generale Messe, si arrese alle incalzanti forze alleate. Negli anni successivi gli alleati avranno sempre difficolta nel reclutare manodopera dalla popolazione locale, la quale ospiterà anche molti soldati dell’Afrika Korps sfuggiti alla cattura. Al passaggio delle truppe anglo-americane molti tunisini erano soliti rispondere con il saluto nazista. 3.2 L’ARABIA SAUDITA L’Arabia Saudita, nata ufficialmente nel 1932 dall’unione dei regni di Hejiaz e Nejd, era negli anni 30 uno dei pochi paesi arabi che potremmo definire libero da influenze esterne. Al contrario degli altri paesi indipendenti sul suo suolo non stazionavano truppe britanniche, come invece avveniva in Egitto ed in Iraq. Nonostante ciò il paese nutriva forti timori che la sua integrità territoriale potesse essere messa in discussine dalla Gran Bretagna. Il paese si sentiva, ed in effetti era, completamente circondato da truppe britanniche. Oman e Yemen meridionale a sud erano protettorati del 22 governo di sua maestà, Bahrein e Emirati arabi ad est allo stesso modo. Ad ovest, oltre il Mar Rosso, l’Egitto era presidiato da truppe britanniche, come l’Iraq e il Mandato di Palestina e Transgiordania a nord. Nel 1937, come conseguenza delle decisioni della commissione Peel sulla creazione di uno stato ebraico in Palestina, il regnate saudita Ibn al-Sa’ud decise di avviare relazioni diplomatiche stabili con la Germania di Hitler fino a quel momento assenti. La prima richiesta avvenne il 5 Novembre 1937 a Baghdad durante un incontro fra il segretario privato del re, lo sceicco Yusuf Yassin, e l’ambasciatore tedesco in Iraq. Nel Settembre 1938 la richiesta venne accettata e Fritz Grobba divenne ambasciatore accreditato sia a Gedda che a Baghdad. In questo periodo il sovrano saudita collaborò anche con l’Abwher per far sbarcare armi destinate ai ribelli arabi in Palestina in uno dei suoi porti, piano poi che venne annullato. Nel Gennaio-Febbraio 1939 Fritz Grobba operò una serie di viaggi diplomatici, prima al Cairo, poi a Baghdad, e infine a Gedda, dove incontrò il re saudita più volte tra il 12 e il 18 Febbraio. Durante questi colloqui i sauditi ribadirono come il loro paese fosse circondato dalle forze inglesi, e come pertanto era categorico mantenere un buon rapporto con i britannici per preservare la propria integrità territoriale. I sauditi espressero chiaramente ai tedeschi che questo non significava che il re e la sua corte fossero amici dei britannici e nemmeno strumenti di questi. Lo scopo di Ibn al-Sa’ud era quello di rafforzare il proprio paese internamente onde renderlo sempre più autonomo dai britannici. Al fine di mantenersi indipendente da Londra il re Saudita chiese ai tedeschi l’invio di forniture di armi a prezzi modici, in cambio di una quanto meno benevola neutralità nel caso fosse scoppiato un conflitto con la Gran Bretagna (come poi avvenne in Settembre). Altro scopo dell’incontro era far sì che la Germania comunicasse all’alleato italiano che atti come gli accordi di Pasqua del 16 Aprile 1938, nei quali sia la Gran Bretagna che l’Italia si erano proclamati garanti dell’indipendenza dell’Arabia Saudita, avevano scosso la fiducia del mondo arabo verso il Duce. Questo rapporto doveva mantenersi nella più assoluta segretezza onde evitare possibili ripercussioni da parte del governo di Londra. In un primo periodo l’accordo non si trasformò in nulla di 23 sostanziale a causa dell’ostilità verso di esso da parte della sezione politica del ministero degli esteri. Hitler riuscì in Giugno a rabbonire il ministero e ad incontrare Khalid-al Hud, inviato del re saudita, nella sua villa a Berghof. Hitler assicurò in quest’occasione che la Germania avrebbe collaborato alla creazione di un esercito saudita. Il reich stanziò sei milioni di marchi a favore del governo saudita, che sarebbero stati utilizzati per acquistare fucili, postazioni di artiglieria contraerea e carri armati. Lo scoppio della guerra non permise a queste forniture di giungere a destinazione. Sotto forti pressioni da parte dei britannici l’Arabia Saudita ruppe le relazioni diplomatiche con la Germania l’11 Settembre 1939. 3.3 LA RIVOLTA IRACHENA DEL 1941 La rivolta irachena dell’Aprile-Maggio 1941 fu l’evento di maggior rilievo di tutta la relazione della Germania nazionalsocialista con il mondo arabo. In quel periodo le attenzioni dell’asse agli occhi del mondo arabo sembravano finalmente rivolgersi seriamente verso lo scenario mediterraneo e quindi mediorientale. L’offensiva del generale Rommel e dei suoi Afrika Korps, dopo le umilianti sconfitte italiane nella prima parte dell’anno che avevano portato alla perdita di tutta la Cirenaica, era riuscita a riportare il fronte di guerra alla città di Bardia, al confine con l’Egitto, anche se l’importante porto strategico di Tobruk resisteva ancora. Nel mese di Maggio i Fallschirmjäger (paracadutisti) dell’esercito tedesco conquistavano l’isola di Creta, ultima roccaforte dello stato greco. Agli occhi del mondo arabo era il momento ideale per unirsi alla lotta, visto che questi non erano a conoscenza che l’intera azione balcanica di Hitler aveva come scopo principale quello di coprire il fianco meridionale del grande fronte che poco dopo si sarebbe aperto contro l’Unione Sovietica che ,lo ripetiamo, era sempre stato l’obiettivo principale del Fuhrer, ossessionato dal suo Lebensraum orientale. Gli aiuti quindi alla rivolta di al-Husayni e a Rashid Ali al-Giliani (il golpista che assunse la carica di primo ministro iracheno) 24 furono molto limitati. Hitler e il suo alto comando riterranno inopportuno un coinvolgimento eccessivo in un teatro cosi lontano alla vigilia dell’operazione Barbarossa, nonostante le ricchezze petrolifere dell’Iraq facessero molta gola alla Wehrmacht. L’Iraq aveva covato sentimenti antibritannici fin dalla fine della prima guerra mondiale, quando la Gran Bretagna ottenne il mandato da parte della Società delle Nazioni per l’area della Mesopotamia. Nell’estate del 1920 una folla inferocita, composta da arabi e curdi, marciò nelle strade di Baghdad contro il passo indietro fatto dal governo di sua maestà che non aveva permesso la creazione di uno stato arabo unitario. La folla invocava il principio di autodeterminazione, cardine dei quattordici punti del presidente americano Woodrow Wilson. La rivolta fu repressa nel sangue dai britannici con l’utilizzo, anche, di armi chimiche e bombe incendiarie. Nel 1932 scadde il mandato britannico. Questo fatto rese necessario stipulare un nuovo trattato fra i due paesi. Questo prevedeva che la Gran Bretagna avrebbe mantenuto due basi aeree sul territori iracheno, una ad Habbaniya (88 chilometri da Baghdad) e l’altra a Shaibah, nei pressi di Bassora. Oltre a questo le truppe inglesi avevano il pieno accesso militare a tutto il paese in caso di guerra. Fritz Grobba, che come abbiamo visto era ambasciatore sia a Baghdad che a Gedda, lavorò molto su questo trattato, esponendo ai membri del nazionalismo iracheno come, finché la Gran Bretagna avesse mantenuto questa forma di controllo sul paese, l’indipendenza rimaneva un qualcosa di meramente formale. Il 19 Settembre del 1939 l’Iraq, governato dal primo ministro filo britannico Nuri Said, venne spinto dalla pressione degli inglesi ad interrompere le relazioni diplomatiche con la Germania. Abbiamo visto come nell’Ottobre 1939, poco dopo lo scoppio delle ostilità fra Francia, Gran Bretagna e Germania, Hajji Muhammad Amin al-Husayni fosse fuggito da Beirut in Iraq. Giunto quì aveva subito iniziato ad utilizzare i soldi che gli provenivano dall’Abwher per finanziare il partito nazionalista iracheno di Rashid Ali al-Giliani, che nutriva grandi simpatie in particolare negli ambienti militari. Tra il 25 1940 e il 1941 molti membri della polizia e dell’esercito iracheno presero contatto con il Mufti. Nel Marzo 1940 al Giliani divenne primo ministro dell’Iraq per la seconda volta (la prima era stata nel 1933), riavvicinando il paese alla Germania di Hitler. Questi dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia a Francia e Gran Bretagna (10 Giugno 1940) si rifiutò di rompere le relazioni diplomatiche con questa. Anzi, inviò Naji Shawkat, ministro della giustizia nel suo governo, ad incontrare Franz Von Papen, ambasciatore tedesco ad Ankara, per ottenere sostegno da parte dei tedeschi al suo governo. Rashid Ali assicurava alla Germania la fornitura del petrolio iracheno, in cambio chiedeva che Berlino riconoscesse l’indipendenza e l’unità del mondo arabo, oltre al diritto di poter agire liberamente nei confronti delle comunità ebraiche residenti in Iraq e negli altri paesi arabi. Sul finire del 1940 la Gran Bretagna, estremamente preoccupata per la ripresa dei contatti tra Iraq e Germania, esercitò enormi pressioni sul reggente Abd al-Ilah (il re Feisal II aveva poco più di cinque anni) al fine di far dimettere al-Giliani. Nel Dicembre di quell’anno ci riuscì. Il generale Taha el Hashimi prese il posto di al-Giliani. Nella primavera del 1941 le vittorie della Wehrmacht in Nord Africa riaccesero i sentimenti antibritannici. Rashid Ali doveva cogliere quest’occasione per cacciare i britannici dal proprio paese. Il primo Aprile 1941, sostenuto dall’esercito, da rappresentati del partito nazionalista, del partito Baath (tra i quali possiamo trovare Khairallah Tulfahl, zio del futuro dittatore Saddam Hussein) e dalle cellule del Mufti stanziate in Iraq, diede vita a un colpo di stato, che obbligarono re, reggente e primo ministro in carica a lasciare il paese. Si creò cosi un governo dichiaratamente filogermanico. L’insurrezione fu chiamata dai golpisti Golden Square (Blocco d’Oro). Il piano era però mal congegnato e mal organizzato, in quanto sia al-Giliani che il Mufti si coordinarono male con l’Abwher e con la Wehrmacht, la quale come abbiamo visto era occupata nei Balcani e nella preparazione dell’operazione Barbarossa. La mossa di al-Giliani era stata troppo rapida e senza i dovuti accorgimenti tra le due parti (Germania e Iraq), ma certamente era vista di buon occhio da parte dell’Abwher. Le forze dell’asse non disponevano inoltre in quel 26 periodo delle infrastrutture necessarie a raggiungere l’Iraq. L’aeroporto più vicino sotto controllo dell’asse era quello di Rodi, nel Dodecaneso. Hitler si schierò pubblicamente a favore degli insorti: “Fornirò all’esercito di Rashid Ali armi, munizioni, e mezzi aerei di prima qualità”, ma questa come si vedrà era più propaganda che realtà. Hitler operava secondo i principi di quella che abbiamo chiamato “l’amicizia con poco impegno”. Impegnarsi in Medio Oriente, area sotto la sfera di influenza italiana, lontana e di scarso interesse, alla vigilia della conquista del vero e unico Lebensraum (l’Europa orientale) appariva inutile. Nella visione di Hitler il petrolio iracheno non era cosa da disdegnare, ma entro la fine dell’anno era sicuro di avere accesso ai ricchi pozzi petroliferi del Caucaso, sottraendoli ai sovietici. Subito dopo il golpe i britannici decisero di riportare la situazione sotto controllo. A Rashid Ali venne comunicato dagli inglesi, tramite il loro ambasciatore a Baghdad Sir Kinahan Cornwallis, che due numerosi contingenti di truppe indiane sarebbero arrivate in Iraq tra il 18 e il 29 di Aprile. Ufficialmente le truppe avrebbero dovuto solo transitare per il paese (in base al trattato del 1932) per poi recarsi in Egitto, sotto attacco da parte dell’Afrika Korps di Rommel. Ovviamente nei piani di Churchill e i suoi quelle truppe dovevano rendere Rashid Ali inoffensivo e riportare l’Iraq sotto il controllo britannico. Pochi giorni dopo la comunicazione di Cornwallis circa 200 soldati britannici furono trasportati in aereo a Bassora per mettere il porto in sicurezza. Solo il 30 Aprile al Giliani si decise ad operare militarmente, facendo circondare la base aerea di Habbaniya, dando cosi il via alle ostilità con i britannici. Venne inoltre chiuso l’oleodotto che andava da Kirkuk ad Haifa, dirottando il greggio verso la Siria, controllata dalle forze di Vichy. Questa si era dichiarata fin da subito favorevole ad aiutare i golpisti. Il governatore francese, Henri Fernand Dentz, si dichiarò disponibile ad offrire gli aeroporti siriani all’asse, oltre ad inviare aiuti in armi e munizioni a al Giliani e i suoi. 27 Al momento dello scoppio delle ostilità numericamente l’esercito iracheno era in buone condizioni. Esso era costituito da 49.237 soldati e 2.177 ufficiali, 30 cingolati leggeri e 116 aerei da combattimento. Nella base aerea assediata di Habbaniya invece erano presenti 49 velivoli e circa 1000 piloti e 1550 soldati (inclusi alcuni rinforzi giunti da Karachi). Nonostante la superiorità gli attacchi iracheni si risolsero in una completa disfatta. Il 6 Maggio le truppe irachene erano già state messe in rotta verso Al Falluiya, grazie ai continui attacchi da parte della RAF. Dopo questa umiliante disfatta Rashdi Ali intensificò le sue richieste nei confronti di Berlino perché gli inviasse aiuti. Gli iracheni nel frattempo, presi dalla disperazione, fecero saltare gli argini del Tigri e dell’Eufrate, allagando le vaste pianure della Mesopotamia, cosi da guadagnare tempo e spostare il grosso delle truppe a nord, verso Mosul, dove sarebbero dovute atterrare le forze aeree tedesche. I primi ad inviare aiuti furono i francesi fedeli a Vichy stanziati in Siria, che sotto richiesta di Berlino invieranno il 13 Maggio tre convogli ferroviari carichi di fucili Lebel, mitragliatrici Hotchkiss, proiettili, caricatori e granate. Il giorno seguente arriveranno, tramite scalo a Rodi, i primi aerei della Luftwaffe a Mosul. Gli arei inviati dai tedeschi erano: sette bimotori da bombardamento Heinkel He 111 H6, quattordici bimotori Me Bf 100, venti aerei da trasporto Ju 52 e Ju90 B, per un totale di 41 velivoli. Gli episodi avvenuti in questa fase mostrarono la totale impreparazione sia dell’esercito che della logistica irachena, nonché la scarsa coordinazione fra iracheni e tedeschi. Il carburante messo a disposizione dei velivoli dell’asse infatti non era adatto ai motori degli aerei. Per di più durante la fase d’atterraggio nell’aeroporto di Mosul l’aereo del maggiore Axel von Blonberg, l’ufficiale inviato da Herman Goering a coordinare la Luftwaffe in Iraq, venne centrato in pieno dalla contraerea irachena. A corto di carburante gli aerei tedeschi riuscirono comunque a compiere una serie di missioni in supporto delle truppe irachene in ritirata. Tra il 16 e il 22 Maggio le forze britanniche e irachene si scontrano nei pressi di Al Falluja; al termine della battaglia gli iracheni si ritirarono verso Baghdad. Il 28 Maggio cadde il forte di Khan Nuqta, le cui linee telefoniche erano ancora collegate alla capitale irachena. Questo permise ai britannici, tramite 28 interpreti arabi, di diffondere il panico a Baghdad comunicando catastrofiche notizie sul corso della guerra. Il 30 Maggio, mentre la città era nel caos, Rashid Ali decise di fuggire insieme al Mufti, prima in Iran, poi in Turchia, fino a ricongiungersi agli alleati dell’asse in Italia in Ottobre. Hitler nel corso della sua azione irachena ridusse gli aiuti al minimo questo, come abbiamo visto, sia per motivi logistici che di realpolitik. La Luftwaffe venne lasciata nelle mani della logistica irachena, cosa che ne limitò enormemente l’utilizzo. La decisione di non impegnarsi nel teatro mediorientale eccessivamente continuerà ad essere applicata nei mesi successivi alla caduta del governo di al-Giliani, quando gli alleati invaderanno e occuperanno i mandati sotto il controllo dello État Français, Siria e il Libano, che avevano dato manforte agli iracheni, e li metteranno sotto il controllo della Francia Libera. Stesso copione si ripeterà nell’Agosto-Settembre del 1941 quando inglesi e i sovietici invaderanno l’Iran, per paura che l’eccessiva vicinanza dello Scià Reza Pahlavi (da non confondersi con il figlio Mohammad Reza Pahlavi, ultimo Scià di Persia deposto nel 1979) alla Germania potesse chiudere un fondamentale corridoio per i rifornimenti alleati all’Unione Sovietica. In questo modo la Germania aveva perso ben tre possibili alleati nel teatro orientale. 29 MAPPA DELL’INVASIONE BRITANNICA DELL’IRAQ10 3.4 L’EGITTO DI RE FARUQ L’Egitto era diventato formalmente indipendente nel 1922 ma l’influenza britannica sul paese rimaneva molto forte, sia a livello di presenza militare che di influenza politica, per via della presenza nel paese del canale di Suez indispensabile per collegare rapidamente la madrepatria con il gioiello dell’impero britannico, l’India. Nel 1936, a seguito dell’impresa italiana in Etiopia, era stato siglato un nuovo trattato tra i due paesi, che permetteva comunque alla Gran Bretagna di lasciare 10.000 uomini di guardia al canale di Suez oltre a poter operare liberamente nel paese in caso di guerra (questo in maniera analoga al trattato con l’Iraq). I sentimenti antibritannici e nazionalisti erano quindi forti nel paese, anche in seno alla casa reale guidata dall’Aprile 1936 da Faruq I. 10 Jonathan Trigg, Hitler’s Jihadis: Muslim Volunteers of the Waffen-SS, The History Press, Briscombe Port 2008, p. 7 30 Negli anni che precedettero il conflitto la propaganda tedesca lavorò molto nel paese al fine di ottenere le simpatie della borghesia e dell’élite culturale egiziana. Nel 1936 membri del partito Gam’iyyat Misr al-Fatat (“Giovane Egitto”) e del Partito Nazionale avevano preso parte all’annuale raduno del Partito Nazionalsocialista a Norimberga, che quell’anno si chiamava Reichsparteitag der Ehre (Raduno dell’Onore) a seguito della rimilitarizzazione della Renania. I giovani cercavano un modello politico a cui ispirarsi e da poter esportare in Egitto. La situazione però divenne paradossale dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale e in particolare dopo l’entrata in guerra dell’Italia. Nel 1939, sotto fortissime pressioni da parte dell’opinione pubblica, il governo egiziano decise di non dichiarare guerra alla Germania anche se fu costretto dagli inglesi ad interrompere le relazioni diplomatiche il giorno stesso in cui Francia e Gran Bretagna si schierarono a favore della Polonia (3 Settembre 1939). La situazione non mutò nemmeno quando nel Settembre 1940 il generale Graziani diede il via all’invasione dell’Egitto, avanzando però solo di pochi chilometri. Il paradosso consisteva nel fatto che mentre gli inglesi e le forze del Commonwealth si impegnavano per difendere l’Egitto dalle forze dell’asse, le truppe egiziane, circa 40.000 uomini, si mantenevano strettamente neutrali. Questo atteggiamento più che sospetto aveva spinto i britannici a disarmare le truppe del governo egiziano. Una scelta saggia visto che tra le loro fila si inneggiava a Abu Ali, “il redentore” (il Fuhrer), e a Mussa-Nili, “il Mosè del Nilo” (il Duce). Nel Febbraio 1941 a Berna, in Svizzera, si incontrarono l’incaricato d’affari egiziano Assal Bey e l’ambasciatore tedesco nel paese elvetico. Assal Bey chiese quale sarebbe stato il ruolo del suo paese nel caso di vittoria dell’asse. Egli agiva sotto richiesta personale di re Faruq. La risposta arrivò sempre per via indiretta (essendo state interrotte le relazioni diplomatiche) il 30 Aprile 1941, tramite un telegramma inviato da Ribbentrop all’ambasciatore tedesco in Iran. Il Fuhrer ribadiva il totale disinteresse della Germania nella conquista di colonie o territori nel mondo arabo, ribadiva piuttosto che il futuro dell’Egitto era quello di una nazione indipendente. 31 La situazione cambiò nei primi mesi del 1942. La guerra nel deserto della Cirenaica era stata caratterizzata dall’”effetto pendolo”. Ogni qual volta un avversario avanzava e allungava troppo le proprie linee di rifornimenti, l’altro le accorciava potendo cosi lanciare una controffensiva contro un nemico debilitato. Nel Gennaio-Febbraio 1942 il pendolo era a favore di Rommel e dei suoi Afrika Korps, che giunsero fino alla cittadina di El-Alamein, 100 chilometri circa da Alessandria d’Egitto. Nel paese scoppiarono numerose proteste contro la scarsezza dei generi alimentari, nelle quali si levavano slogan come “Hidha Faruq fawqa ra’sak ya George” (La scarpa di Faruq sulla tua testa,George!) o “Ila l aman y Rommel!” (Avanza Rommel!). La volpe del deserto in particolare esercitava un certo fascino sulle genti arabe grazie alla sua fama di abile combattente. Nei primi mesi del 1942 il governo egiziano terminò anche le relazioni diplomatiche con l’État Français (la Francia di Vichy) senza informarne preventivamente re Faruq che, urtato da ciò, obbligò il gabinetto a dimettersi il 2 Febbraio. Si avvio allora una breve ma intensa crisi fra gli egiziani e gli inglesi. Questi ultimi volevano che tornasse ad essere primo ministro Mustafà al-Nahhas Pascià, noto filo britannico, leader del partito Wafd e che aveva concluso con i britannici il trattato del 1936. Al contrario re Faruq era intenzionato a nominare Ali Maher, che era sospettato di essere in combutta con l’asse poiché aveva dichiarato che l’invasione dell’Egitto da parte dell’asse non era un atto diretto contro lo stato egiziano, ma contro un altro attore (l’Inghilterra) che occupava il suolo egiziano. Questa affermazione riassumeva ciò che l’opinione pubblica araba pensava della campagna in Nord Africa. Gli inglesi accerchiarono, la mattina del 4 Febbraio 1942, il palazzo del sovrano con le proprie truppe, obbligando il sovrano a nominare al-Nahhas. Nello stesso periodo alcuni esponenti del nazionalismo arabo presenti nell’esercito egiziano stabilirono un contatto con l’Abwher per coordinare le azioni di insurrezione con l’avanzata di Rommel e delle sue forze. Tra questi vi erano i futuri presidenti egiziani, Gamal Abd Nasser (1918-1970) e Muhammad Anwar al-Sadat (1918-1981). 32 Affermerà in seguito Sadat “Approfittare di queste circostanze così favorevoli era per l’Egitto un dovere. Prendemmo contatto con il quartier generale tedesco in Libia e ci muovemmo in completa armonia con esso nella speranza di cacciare gli inglesi dalla valle del Nilo”. L’intesa prevedeva di far marciare in rivolta i volontari arabi presenti nell’Ottava Armata britannica. Il piano fallì perché venne scoperto in tempo dai servizi segreti inglesi. A seguito di questo evento vennero creati quattro tribunali speciali che arrestarono circa 5.900 tra nazionalisti e fratelli mussulmani, con l’accusa di collaborazionismo. Un documento di notevole rilevanza per capire come si presentasse l’asse alle popolazioni egiziane e la dichiarazione italo-tedesca per l’indipendenza dell’Egitto, pubblicata il 4 Luglio 1942, proprio mentre i carri armati dell’Afrika Korps sembravano inarrestabili. Questa recita: “Il Regio Governo Italiano e il Governo del Reich dichiarano: Le Potenze dell’Asse, nel momento in cui le loro Forze Armate avanzano vittoriosamente in territorio egiziano, riconfermano solennemente la loro precisa intenzione di rispettare e assicurare l’indipendenza e la sovranità dell’Egitto. Le Forze dell’Asse non entrano in Egitto come in un Pase nemico, ma con lo scopo di espellere gli Inglesi dal territorio egiziano e di proseguire contro l’Inghilterra le operazioni militari che dovranno liberare il Vicino Oriente dal dominio britannico. La politica delle Potenze dell’Asse è inspirata al concetto che l’Egitto è degli Egiziani. Liberato dai vincoli che lo legano alla Gran Bretagna- e che lo hanno portato a soffrire le conseguenze della guerra –l’Egitto è destinato a prendere il suo posto tra le nazioni indipendenti e sovrane.”11 Le potenze dell’asse avevano in mente di utilizzare l’Egitto come trampolino di lancio verso il Medio Oriente, sogno questo che verrà infranto quando tra l’Ottobre e il Novembre 1942 le forze del generale Bernard Montgomery infliggeranno all’asse la sua prima grande disfatta. Il pendolo tornava a favore degli inglesi, ma questa volta non avrebbe cambiato più verso. 11 E. Rossi, Documenti sull’origine e gli sviluppi della questione araba (1875-1944), Istituto per l’Oriente, Roma 1944, p. 228 33 CAPITOLO 4 IL TERZO REICH E IL MONDO ARABO. LA COLLABORAZIONE IN EUROPA E IL LASCITO DI QUESTO RAPPORTO 4.1 IL MUFTI A BERLINO Abbiamo visto come, dopo l’avventura irachena, sia Hajji Muhammad Amin alHusayni che Rashid Ali al-Giliani si erano dati alla fuga per sfuggire alle carceri britanniche; passando prima per l’Iran e poi per la Turchia erano giunti in Italia. Il Mufti in particolare aveva compreso che necessitava maggiore aiuto da parte delle potenze a lui alleate se la sua grande rivolta araba voleva avere successo e non terminare come l’avventura irachena. Il 31 Ottobre 1941 al-Husayni ebbe quindi un incontro con Mussolini a Palazzo Venezia. Nel Novembre 1941 giunse a Berlino, dove Adolf Eichmann lo face entrare in contatto con gli altri comandi delle SS. Qui gli vennero chieste spiegazioni sul fallimento del “Golden Square”. Il Mufti fu celere ad addossare la colpa del fallimento ad una congiura degli ebrei iracheni, anche se sottolineò come un maggiore sostegno da parte di Berlino avrebbe potuto evitare il fallimento dell’operazione. Queste parole irritarono gli alti comandi tedeschi che, se non fosse stato per la mediazione di Eichmann, avrebbero liquidato l’ingrato alleato. Il 20 Novembre 1941 il Gran Mufti incontrava Joachim von Ribbentrop, ministro degli esteri del Reich, con lo scopo di porre le basi per un futuro incontro tra il Mufti e il Fuhrer che venne fissato per il 28 Novembre successivo. L’incontro fra Hitler e al-Husayni ebbe la durata di circa un ora e mezza e si tenne nell’ufficio privato del Fuhrer, situato nella Cancelleria di Berlino, sulla 34 Wilhelmstrasse (la via che ospitava i principali ministeri del Reich). Durante l’incontro al-Husayni affermò che: “Gli arabi dovevano essere considerati amici naturali della Germania… Gli arabi si batteranno anche per scacciare gli anglofrancesi dal Medio Oriente e per creare i presupposti di un grande Stato Arabo Unito, comprendente la Palestina, la Siria, il Libano, la Transgiordania e l’Irak.”12 Hitler dopo il fallimento del Golden Square era rimasto molto deluso dalle capacità militari delle forze arabe. Affermò quindi che era presto per lanciare un simile messaggio alla popolazione araba che si trovava strettamente sotto il controllo inglese. Deluso da questa risposta il Mufti inviò molte lettere ad Hitler nei mesi che seguirono, nella speranza di convincerlo a rilasciare una dichiarazione ufficiale dove si affermava che in tempi brevi l’asse sarebbe intervenuta per liberare il Medio Oriente in aiuto dei popoli arabi. Nei termini dell’”amicizia con poco impegno” il Fuhrer non aveva certamente intenzione di dirottare risorse verso il Medio Oriente, proprio mentre le sue truppe erano alle porte di Mosca. Nella sua visione presto i tedeschi avrebbero dilagato per il Caucaso e da lì avrebbero proceduto alla liberazione dei popoli arabi. Essendo impossibile un azione diretta a favore dei popoli arabi il Mufti venne convinto dal capo della sede centrale delle SS, Gottleb Bergen, a trovare altri modi per aiutare il Reich. Come vedremo collaborerà strettamente con le SS per la creazione di reparti di volontari mussulmani. Oltre a questo gli vennero affidate ben sei efficientissime stazioni radio, con le quali coordinava la propaganda dell’asse verso i paesi arabi. Aiutò l’Abwher nella scrittura e nell’invio di materiale propagandistico, antibritannico e antisemita, nell’area che va dal Marocco alla Siria. In questo periodo entrò persino in contatto con il governo Giapponese. Questo era interessato all’appoggio del Mufti e dei suoi per far scoppiare una rivolta nelle aree più occidentali della Cina (la regione del Sinkiang), che sono tutt’oggi abitate da una 12 Alberto Rosselli. Islam Nazismo Fascismo, Solfanelli, Chieti 2010, p. 87 35 maggioranza mussulmana, così da mettere in crisi le forze della Cina nazionalista e comunista. 4.2 LE DIVISIONI ARABE E MUSSULMANE NELLA WEHRMACHT E LA FINE DELLA COLLABORAZIONE Dopo la perdita della testa di ponte in Africa del nord i rapporti con il mondo arabo si ridussero drasticamente. La sconfitta della Germania ormai si profilava all’orizzonte facendo sfumare quel sogno che era stato, tra il 1941 e il 1942, la grande liberazione dei paesi arabi da parte delle forze del Fuhrer. Gli ultimi rapporti furono soprattutto con gli arabi presenti in Europa, in particolare il gruppo del Mufti, che si dedicò, oltre alla propaganda, all’arruolamento di volontari. Tra il 1941 e il 1944 il Gran Mufti incrementò la sua collaborazione con le Waffen-SS al fine di ingrossare le fila dei mussulmani e soprattutto degli arabi nelle fila dell’esercito tedesco. La collaborazione con le SS mostra chiaramente come di fronte alla realpolitik le questioni di carattere ideologico venivano meno. Infatti nel corpo militare che maggiormente doveva essere il simbolo di fronte al mondo della potenza della razza ariana si schierarono truppe arabe e mussulmane, il cui aspetto era decisamente antitetico rispetto al modello ariano. La possibilità di addestrare e armare una Legione Araba era il sogno più grande del Mufti. Nella sua visione questa sarebbe stato il suo esercito personale, che gli avrebbe permesso di unire il mondo arabo in un’unica nazione, scacciare gli invasori ebrei e infine restaurare il Califfato (istituzione vacante nel mondo mussulmano dopo la fine del Califfato ottomano nel 1924), Califfato guidato ovviamente da lui stesso. Già nel Luglio 1941 la Wehrmacht aveva preso in considerazione l’idea di costituire una Legione Araba di volontari. Dopo il fallimento della rivolta irachena venne affidato al Generale Hellmuth Felmy (1885-1965) il compito di creare la prima unità 36 combattente araba. Felmy non fu scelto a caso. Durante la prima guerra mondiale era stato fra quegli ufficiali che avevano combattuto in Palestina a fianco degli Ottomani. Il generale riuscì a radunare qualche centinaia di volontari nell’845° Battaglione Arabo-Tedesco. Il Battaglione non fu mai in grado di operare efficacemente. Oltre ad avere gravi problemi di coordinamento e di disciplina, a causa della diversa provenienza dei suoi membri, era diviso internamente in tre fazioni: una sosteneva come proprio leader il Gran Mufti., un'altra si riconosceva nel partito nazionalista siriano, guidato da Fauzi Kaikyi e una terza infine in Rashid Ali, l’ex primo ministro dell’Iraq. Le truppe venivano addestrate nella città di Sounio, 55 chilometri a sud-est di Atene, in preparazione di un futuro impiego nel teatro nordafricano o mediorientale. La Sonderverband 288 fu un'altra unità araba, creata a Postdam il 24 Luglio 1941, composta da circa 150 unità e fu inviata come supporto agli Afrika Korps di Rommel. Al contrario dell’845° Battaglione Arabo-Tedesco la Sonderverband era formata integralmente da fedeli del Mufti. Il 26 Gennaio 1942 per la prima volta la Sonderverband 288 ricevette delle nuove divise, con una bandiera rosso, verde, bianca e nera su cui era ricamata la scritta “Freies Arabien” (Arabia Libera), in tedesco e in arabo. Il Mufti continuò i suoi sforzi e, nell’Agosto 1942, diede vita al terzo Battaglione arabo, il Sonderverbande 287, composto da circa 300 uomini. Questo venne impegnato, su esplicita richiesta di al-Husayni, sul fronte orientale e precisamente a Stalino (Ucraina), al fine di essere usato come contatto tra le popolazioni mussulmane del Caucaso e della Crimea e l’esercito tedesco. L’obiettivo principale era di far aggregare al battaglione elementi mussulmani tartari, ceceni, ingusci e azeri, in modo tale che fosse in grado di conquistare i passi del Caucaso e penetrare in Georgia e Armenia. Ovviamente tutto andò a monte con il fallimento del “Fall Blau”, il Caso Blu (il piano di invasione del Caucaso e della Russia meridionale) e la disfatta tedesca a Stalingrado. Un ultimo impiego di divisioni arabe avvenne dopo lo sbarco anglo-americano in Algeria e Marocco. Utilizzando truppe provenienti dai 3 battaglioni arabi venne formato il “Kommando Deutsch-Arabischer Truppen” (Comando Truppe arabo-tedesche) che operò al fine di 37 reclutare volontari tunisini e di sorvegliare la costa tra la città di Susa e Capo Bon. Il 10 Maggio il grosso delle truppe venne catturato dagli americani e spedito in un campo di prigionia in Alabama. Dal 1943, per via degli scarsi risultati, i tedeschi non formarono più ulteriori divisioni arabe. I numeri finali, nel 1945, stimano che a schierarsi a fianco della Wehrmacht furono da parte araba 12.000 tra egiziani, tunisini, marocchini e algerini, 200 palestinesi, 450 iracheni e 500 siriani. L’impiego di volontari arabi quindi fu molto modesto e limitato. Oltre a ciò gli ufficiali tedeschi giudicavano le truppe arabe pigre, indisciplinate e inadatte al combattimento. Nonostante la forte carica politica e ideologica che caratterizzava questi volontari, che si sentivano gravati del compito di liberare la propria patria dall’oppressione coloniale e sionista, si trovarono in difficoltà nel prendere effettivamente parte alle tattiche della guerra moderna. Le ragioni della scarsità numerica di questi volontari sono probabilmente da trovare nel fatto che gli unici territori arabi che nel corso della guerra erano stati sotto il diretto controllo dell’asse furono la Libia e la Tunisia, il che rendeva anche solo materialmente difficile agli arabi raggiungere le fila tedesche. Il Mufti si trovò quindi a dover rinunciare al suo esercito arabo ma ebbe maggiore fortuna nel reclutamento dei mussulmani in Bosnia, Albania e Kosovo. Queste zone erano controllate ,dopo la caduta della Jugoslavia nel 1941, dalla Germania, dall’Italia (fino all’otto Settembre 1943) e dallo stato fantoccio della Croazia. Tra il 1942 e il 1944 il Mufti lavorò nell’aree a maggioranza mussulmana, nei Balcani occidentali, al fine di ottenere quanti più volontari mussulmani possibili nelle fila tedesche per poter contrastare la sempre più attiva guerriglia dei partigiani titini. Le più importanti unità formate in collaborazione con le SS fra il 1943 e il 1944 erano la 13° Divisone da Montagna SS Handschar (per i bosniaci) e la 21° Divisione da Montagna Skanderbeg (per gli albanesi). Indossavano, al posto del berretto, il fez con appuntato il totenkopf (la “testa di morto” simbolo delle SS) e sulle mostrine invece delle caratteristiche rune (SS) portavano una scimitarra. Nonostante Hitler non 38 provasse amore per le confessioni religiose l’Islam, come abbiamo visto, faceva eccezione. A questi volontari era permesso rispettare il secondo pilastro dell’Islam pregando pubblicamente cinque volte al giorno rivolti verso la Mecca, praticare la dieta mussulmana, osservare tute le festività e i digiuni previsti dal libro sacro del profeta. Ogni reggimento aveva inoltre il proprio imam personale. Il Mufti ebbe successo nel proprio ruolo di reclutatore, visto che la divisone Skanderbeg contava 6.500 effettivi, mentre la Handschar 21.065 effettivi, tra soldati e ufficiali. Il 21 Gennaio 1944 a Sarajevo al-Husayni tenne un discorso di fronte ai membri della Divisione Handschar, dove affermava: “Vi sono… considerevoli punti in comune tra i principi islamici e quelli del nazionalsocialismo; vale a dire nei concetti di lotta, di cameratismo, nell’idea di comando e in quella di ordine. Tutto ciò porta le nostre ideologie ad incontrarsi e a facilitarne la cooperazione. Sono lieto di vedere in questa vostra divisione una chiara e concreta espressione di entrambe le ideologie”.13 Le motivazioni dietro a un simile successo del Mufti in Bosnia e Albania sono sostanzialmente tre: la prima era che, come abbiamo detto, il territorio (al contrario del mondo arabo), era controllato dall’asse, la seconda stava nel fatto che i bosniaci e gli albanesi speravano di ottenere, tramite pressioni da parte di Berlino sullo stato croato, un certo grado di autonomia, (questo a patto che avessero collaborato con la Wehrmacht), la terza era la paura che le bande comuniste di Tito esercitavano sui mussulmani bosniaci e kossovari. Riguardo ai rapporti tra al-Husayni e quella immensa tragedia umana che fu l’Olocausto sembra ormai palese che questi era pienamente al corrente, almeno negli ultimi anni della guerra, delle atrocità che venivano compiute nei lager, nonostante che egli nel dopoguerra negò qualsiasi coinvolgimento nella “soluzione finale”. Contro la versione del Mufti, oltre al suo dichiarato e noto antisemitismo, esistono numerose prove. Durante il processo di Norimberga molti elementi delle SS confermarono la sua partecipazione nei fatti. Il vice di Adolf Eichmann, Dieter Wisliceny, affermò: “Il Mufti era stato uno dei propugnatori dello sterminio 13 Alberto Rosselli. Islam Nazismo Fascismo, Solfanelli, Chieti 2010 p.94 39 sistematico del giudaismo europeo e che si era prestato quale collaboratore e consigliere di Eichmann e di Heinrich Himmler nella realizzazione di questo piano”. Oltre a ciò, nel 1944 la Croce Rossa Internazionale offrì ad Eichmann il rilascio di alcuni prigionieri di guerra tedeschi in cambio del rilascio di 5000 bambini ebrei dal campo di sterminio di Theresienstadt. Il Mufti in quell’occasione contattò personalmente Himmler e riuscì a far fallire le trattative. Il Mufti continuò la sua collaborazione con il Terzo Reich praticamente fino al suo ultimo respiro, confidando anch’egli nelle famose “super armi” che il Fuhrer stava tenendo in serbo e che avrebbero modificato il corso della guerra. Solo l’8 Maggio 1945, giorno della resa della Germania alle forze alleate, si imbarcò a bordo di un aereo con destinazione Berna, Svizzera. Le autorità elvetiche però negarono asilo al Mufti, avendo paura di passare per collaborazionisti di un criminale di guerra. Si recò allora in Francia, dove gli vennero dati gli arresti domiciliari in una villa nei sobborghi di Parigi. Non giunse mai ad essere fra gli imputati del processo di Norimberga principalmente per il suo status religioso e per la sua nazionalità. Le tre principali nazioni che avrebbero potuto portarlo al processo erano Gran Bretagna, Francia e Jugoslavia, ma nessuna delle tre fece nulla. La Gran Bretagna voleva evitare una nuova sommossa in Palestina e nelle altre regioni arabe sotto il suo controllo. La Francia analogamente non voleva indisporre i popoli del Maghreb. Infine la Jugoslavia di Tito si stava ancora consolidando e non poteva permettersi una rivolta interna da parte dei mussulmani bosniaci. Cosi il Mufti fù in grado, nel Maggio 1946, di fuggire in Egitto e ottenere asilo politico dal re Faruq. 40 4.3 LA PERMANENZA DELL’INFLUENZA NAZIONALSOCIALISTA NEL MONDO ARABO DEL DOPOGUERRA Nel Maggio del 1945 il Terzo Reich, che secondo i sogni di Hitler sarebbe dovuto durare mille anni, giungeva al collasso dopo poco più di dodici anni di governo. La caduta del Reich però non significò un troncamento totale della relazione che aveva percorso buona parte degli anni trenta e tutti gli anni del secondo conflitto mondiale. La nascita dello stato di Israele nel Maggio del 1948 , avvenuta grazie alla risoluzione dell’ONU numero 181, aveva avverato tutte le peggiori paure dell’Islam radicale e dei popoli arabi. Il mondo occidentale e capitalista, in combutta con il giudaesimo globale, si adoperava per sopprimere i seguaci del profeta Maometto. Molti partiti nazionalisti arabi si ispirarono, per i propri programmi politici, al programma del Partito Nazionalsocialista tedesco. Gli insegnamenti del Fuhrer nel suo Mein Kampf erano quindi ancora vivi e attuali, oltre a trovare sostenitori nel Gran Mufti e nei suoi seguaci. Questi continuerà, fino alla sua morte avvenuta a Beirut nel 1974, a diffondere gli scritti nazisti nei paesi arabi, oltre a coordinarsi con fuggitivi e prigionieri di guerra nazisti. Nel corso degli anni cinquanta numerosi tecnici, funzionari, scienziati e consiglieri militari della Germania nazista ricevettero asilo clandestino in Medio Oriente, in particolare in Egitto e in Siria. In particolare si trattava di prigionieri di guerra sovietici che l’URSS inviò con piacere ad assistere i paesi arabi per limitare l’influenza statunitense nel teatro mediorientale. Tre questi ricordiamo: il dottor Aribert Ferdinand Heim, meglio conosciuto come “Dottor Morte” (che fu responsabile di numerosi crimini compiuti nel campo di sterminio di Mauthausen), Robert Courdroy (ufficiale belga delle SS), il maggior generale Otto Ernst Riemer (che aveva distrutto i golpisti del 20 Luglio 1944, guidati da Ludwig Beck e Claus von Stauffenberg). Lo scopo di questi ex-nazisti era addestrare le truppe degli stati arabi e produrre armamenti in funzione anti-israeliana, annientando lo stato ebraico 41 sul nascere. In particolare Nasser era interessato a tecnici esperti in missilistica, armi chimiche e batteriologiche, per mettere a punto un serie di missili dotati di effetti micidiali sullo scomodo vicino israeliano. Il Gran Mufti fu molto attivo nei confronti della propria patria, la Palestina. Nel 1948 sostenne con vigore la prima guerra arabo-israeliana, proclamando lo jihad contro gli ebrei. Si scagliò apertamente contro i leader arabi di tendenze filoccidentali e moderate, in particolare quando nel 1948 il re di hascemita di Giordania, Abdullah I, gli revocherà il titolo di Mufti. Come risposta a quest’atto provocatorio al-Husayni coordinerà l’assassinio del sovrano, avvenuto nel 1951. Muhammad Amin al-Husayni fu anche in stretto contatto con il futuro leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, Yasser Arafat, il cui nome alla nascita è Muḥammad Abd al-Raḥman Abd al-Rauf al-Qudwa al-Ḥusayni. I due infatti avevano un legame di parentela, sebbene lontano. Amin al-Husayni suggerì ad Arafat, durante la gioventù e la carriera politica del leader palestinese, di studiare il Mein Kampf e di utilizzare exnazisti come consiglieri tecnici e militari in funzione anti-israeliana. Tra il 1968 e il 1969 Arafat arruolerà infatti diversi agenti appartenuti sia alle SS che alla Gestapo. Tra questi ricordiamo i comandanti Willy Berner (un ufficiale delle SS che aveva lavorato a Mauthausen), Erich Altern (membro della sezione affari ebraici della Gestapo) e Johan Schuller (un altro ufficiale delle SS). Amin al-Husayni fu sicuramente il simbolo del collaborazionismo fra mondo arabo e nazionalsocialismo. Concludendo però è necessario soffermarsi su una massima importante: le generalizzazioni vanno sempre evitate. L’ampia cooperazione fra il Mufti e il Fuhrer non vuole certamente significare che i principi della cultura araba e della religione islamica sono inconciliabili con il dialogo e la tolleranza. Molti esponenti del mondo mussulmano si schierarono apertamente contro il nazionalsocialismo, come Mohammad Ali Jinnah, leader della Lega Mussulmana indiana e padre della nazione Pakistana; combatterono il nazismo e si adoperarono per la vittoria degli alleati. Anche molti leader arabi, nel dopoguerra, presero le 42 distanze dalle idee del Mufti preferendo la via del dialogo e perfino del riconoscimento del grande nemico sionista, come fece lo stesso Anwar al-Sadat (che durante la guerra aveva collaborato con l’asse), autore degli accordi di Camp David e del trattato di pace tra Egitto e Israele del 1979, che rese l’Egitto il primo stato arabo a riconosce la nazione ebraica. Nel 1988 anche l’allievo di Amin al-Husayni, Yasser Arafat, dichiarerà, a nome dell’OLP, la fine del terrorismo e l’inizio del dialogo. 43 CONCLUSIONE Lo scopo di questa Tesi era quello di mostrare come si è generata e sviluppata la relazione tra il mondo arabo e la Germania Nazionalsocialista. In conclusione abbiamo visto come questi due mondi siano stati in constante in contatto durante tutti gli anni in cui il regime di Hitler è rimasto attivo in Germania. “Il nemico del mio nemico è mio amico” è sicuramente una massima abbastanza vera in questo caso, ma abbiamo analizzato anche questioni ideologiche dietro al rapporto nazi-arabo. I punti di contatto principali avvenivano sulle tre questioni del colonialismo, del sionismo e del nazionalismo (sia arabo che tedesco). Questo contatto però poche volte si è trasformato in qualcosa di concreto, sia per ragioni ideologiche, come l’ossessione di Hitler per la conquista dell’Europa orientale, che di realpolitik, ad esempio mantenere i buoni rapporti con l’Italia di Mussolini. Il tutto ha dato via alla “amicizia con poco impegno” fra le due parti, che abbiamo visto svilupparsi, suddividendola nelle varie aree geografiche. Alla fine è possibile affermare che questo rapporto tra arabi e nazionalsocialisti si sia sviluppato e evoluto, ma in forme limitate. Non si arrivò mai all’apice che si sarebbe potuto realizzare se le armate della Wehrmacht fossero state in grado di dilagare in forze per il Medio Oriente e quindi i due mondi fossero entrati in pieno contatto. Ma i se non hanno mai fatto la storia. 44 BIBLIOGRAFIA MONOGRAFIE: David G. Dalin John F. Rothmann, La mezzaluna e la svastica, Lindau, Torino 2009 Jonathan Trigg, Hitler’s Jihadis: Muslim Volunteers of the Waffen SS, The History Press, Briscombe Port 2008 Barrie G. James, Hitler’s gulf war: the fight for Iraq 1941, Pen and Sword, Barnsley 2009 Stefano Fabei, Il fascio la svastica e la mezzaluna, Mursia, Milano 2002 Stefano Fabei, Una vita per la Palestina: storia di Hajj Amin al-Husayni Gran Mufti di Gerusalemme, Mursia, Milano 2003 David G. 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