SFTB - Diocesi di Nicosia I Anno/I Semestre INTRODUZIONE ALLA STORIA DELLA CHIESA VI LEZIONE, DEL 17-02-2014 SECOLI XVI-XXI PROF. MICHELE SALVO DI FINI I - Chiesa della Controriforma: LA CHIESA NEL 1600 E NEL 1700: CHIESA DI PECCATORI E DI SANTI II - CHIESA CONTEMPORANEA (XIX sec. - ad oggi) III - IL CONCILIO VATICANO II IV - Breve storia della diocesi e della parrocchia V - Breve storia della Diocesi di Nicosia VI - APPENDICE: LISTA DEI PAPI DAL 1566 AL 2013 Parte I - Chiesa della Controriforma: LA CHIESA NEL 1600 E NEL 1700: CHIESA DI PECCATORI E DI SANTI -ILa Riforma protestante chiude l’ era della Chiesa medievale L’umanesimo è una nuova corrente di pensiero che si afferma nel 15° sec che pone al centro dell’ universo l’uomo con le sue capacità e la sua dignità. Opposto alla concezione medievale della miseria umana, non è anticristiano. I papi umanisti si dedicarono molto allo splendore di Roma. Callisto II Borgia sviluppa il nepotismo, conferendo cariche ecclesiastiche a nipoti e parenti. Pio II, non immune dal nepotismo, crea però varie riforme. Nel periodo arrivano al pontificato esponenti di nuove famiglie nobiliari, come i Borgia e i senesi Piccolomini. Paolo II costruisce un Palazzo Venezia. Sisto IV “perfeziona” il nepotismo. Con i successori il problema si aggrava: Innocenzo 8° aveva anche un figlio!! Poi c’è Alessandro 6° Borgia: dopo 2 mesi dall’elezione Colombo, il 12 ottobre 1492, tocca suolo americano e termina il medioevo. Alessandro 6° fu eletto con manovre simoniache; ebbe vari figli, tra cui Cesare Borgia, cardinale a 18 anni, che rinunciò poi alle cariche ma cercò di conquistarsi un dominio personale È conosciuto come duca Valentino, modello del Machiavelli nel principe. Altra figlia era Lucrezia Borgia, che fece uccidere un marito. Il papa amava splendore e pompe. Inaugura il rito dell'apertura della porta santa. Contro Alessandro si levò il domenicano ferrarese Girolamo Savonarola (morto 1498), priore di un convento a Firenze. Alessandro era attaccato per i suoi costumi e per i piani politici antifrancesi. Gli proibì di predicare e lo scomunicò. Ma il Savonarola convoca un concilio per invalidare l’elezione di questo papa simoniaco. Gli avversari di Girolamo lo sfidano ad una prova del fuoco con un frate, ma il frate non si presenta. Quindi anche savonarola rifiuta. Assalito il suo convento di s. Marco, è arrestato, condannato e ucciso. Dopo 19 anni avremo le 95 tesi di Wittenberg di Martin Lutero: la mancata riforma interna farà esplodere la riforma protestante, che chiude l’ epoca medievale. VERSO IL CONCILIO DI TRENTO Appelli ad un concilio riformatore vennero sia da Lutero che, ripetutamente, dalle diete tedesche. Carlo V, imperatore di Germania, è in linea di massima favorevole al concilio, ma trova opposizione sia da parte del papa Clemente VII, che teme un rigurgito di conciliarismo; sia da Francesco I, re di Francia, che teme dal concilio strane manovre politiche a suo danno. Durante questo periodo di incertezza la riforma luterana si va sempre più affermando. Con Alessandro Farnese, che assunse il nome di Paolo III (1534-1549), si ebbe una svolta decisiva. Fu il papa che con opportuni interventi sia politici che riformatori, preparò la strada al concilio: a) attuò una politica neutrale della Chiesa, che favorirà nel 1544 con la pace di Crépy la fine, almeno provvisoria, delle ostilità tra Carlo V e Francesco I. Solo con questa pace Francesco I si dichiarò disponibile ad un concilio. b) Rinnovò il collegio cardinalizio inserendovi persone che, poi, si riveleranno determinanti sia per il futuro concilio, sia per la riforma della Chiesa. 1 c) Nel 1537 favorì una seria riflessione sulla riforma della Chiesa, ispirata alla "cura animarum" e che si concretizzò nel documento "Consilium de emendanda Ecclesia", che avrà un notevole influsso sui decreti di riforma del Concilio di Trento. d) Appoggiò e favorì nuovi ordini religiosi, come la Compagnia di Gesù, i teatini, i somaschi, i barnabiti e i cappuccini. DIFFICOLTÀ NELLA SCELTA DI UNA SEDE CONCILIARE Paolo III indice il Concilio a Mantova nel 1536, ma viene subito sospeso per le pretese del Gonzaga, signore della città: voleva un corpo d'armata di 5000 uomini. Francesco I ricusa la sede e la Lega di Smalcalda la rifiuta. Una seconda volta il concilio venne convocato a Vicenza nel 1538, ma viene nuovamente sospeso per la ripresa della guerra tra Carlo V e Francesco I. La terza volta viene convocato a Trento nel 1542, a causa di una ennesima guerra tra Carlo V e Francesco I. IL CONCILIO, FINALMENTE! Finalmente, dopo la pace di Crépy (1544), Paolo III, verso la fine del 1544 con bolla "Laetare Jerusalem", convocò il concilio a Trento per il 15 marzo 1545. Ma l'assenza di numerosi vescovi, timorosi per un possibile assalto da parte dei protestanti, fece slittare l'apertura del Concilio alla terza domenica di avvento, il 13 dicembre 1545. Si apre così il XIX concilio ecumenico della storia della Chiesa. Presenti: 1 cardinale, 4 arcivescovi, 21 vescovi, 5 Generali di Ordini religiosi, 42 teologi e 8 giuristi, per un totale di 81 persone, benché si incrementassero fino a 225 padri della chiesa nell'ultima sessione. Ben poca cosa se pensiamo che i partecipanti di Nicea (325) erano 318; quelli di Calcedonia (451) erano 630; circa 700 quelli del Vaticano I (1870); oltre 2500 quelli del Vaticano II (1965); e considerata l'importanza che ebbe questo concilio sulla riforma della Chiesa. Fu il concilio più lungo della storia, durato 18 anni, intervallato da lunghe interruzione e animato, talvolta, da feroci e drammatici confronti. Il Concilio di Trento, scandito da 25 sessioni, a motivo della lunga durata, può essere suddiviso in tre periodi. IL PRIMO PERIODO: 1545-1549 Comprende le prime dieci sessioni e vede subito lo scontro tra protestanti e cattolici: i primi vogliono la libera e personale interpretazione della Bibbia, mentre i cattolici confermano l'autorità della Chiesa di Roma in quanto infallibile in materia di fede. Quanto alla Bibbia, il testo approvato è quello della "Vulgata" di S.Girolamo, dichiarata autentica. Viene rivalutata la teologia della "Summa Theologica" di S.Tommaso a cui bisogna rifarsi nelle discussioni teologiche, nonché alla Tradizione che viene affiancata alla pretesa della "Sola Scriptura" dei protestanti. Viene sottolineato che il peccato originale si trasmette per propagazione e non per imitazione Esso viene tolto dal battesimo, benché rimanga la concupiscenza, che in sé e per sé non è peccato, ma è soltanto l'effetto del peccato originale e inclina al peccato. Quanto alla giustificazione si precisa che essa è la grazia di Dio mediante la quale una persona, da ingiusta che è, diventa giusta. Essa non solo produce la remissione dei peccati, ma anche rinnova interiormente l'uomo Viene condannata la posizione protestante sui sacramenti, precisando che tutti contengono la grazia, di cui sono segno efficace ed operano "ex opere operato, non operantis". Ne viene, infine, stabilito definitivamente il numero di sette. Quanto agli aspetti disciplinari, spiccano in primis i doveri dei vescovi: obbligo di residenza nella diocesi; visita periodica alle chiese e loro riparazioni; controllo disciplinare del clero; norme per i canonici; cura degli ospedali e divieto di cumulo dei benefici. L'11 marzo 1547, contro il parere dei vescovi imperiali, la maggioranza decide il trasferimento del Concilio a Bologna, con la scusa della diffusione di una pestilenza. Il vero motivo, però, era quello di sottrarsi all'ingerenza dell'imperatore, trasferendosi in un territorio dello Stato pontificio. Il trasferimento fu un errore, poiché si sospesero i lavori proprio quando Carlo V aveva vinto la Lega di Smalcalda a Muhlberg; e inoltre si approfondirono i dissensi tra Paolo III e Carlo V. Nel 1549, su pressioni dell'imperatore, il Concilio venne interrotto con il proposito di riaprirlo a Trento. Ma proprio in quest'anno muore Paolo III e gli succede Giulio III, nepotista senza zelo per la riforma, che ebbe come unico merito quello di aver riaperto il Concilio. IL SECONDO PERIODO: 1551-1552 Giulio III riapre il Concilio il 1.3.1551, ma la riapertura slitta a settembre dello stesso anno per la scarsa partecipazione di vescovi. Inoltre i protestanti mettono delle pregiudiziali al concilio: a) libertà dal 2 giuramento di fedeltà al papa; b) annullamento dei decreti gia approvati; c) ripresa dei lavori dall'inizio. Le richiese vengono respinte e sfuma così la possibilità di una riunificazione. Due i temi trattati: dottrina dei sacramenti, in specie Eucaristia, Penitenza ed Estrema unzione; e disciplina del clero. Quanto all'Eucaristia, si precisa che sotto le specie del pane e del vino è contenuto l'intero Cristo (corpo, sangue, anima e divinità) veramente, realmente e sostanzialmente. Essa ci libera dai peccati veniali e ci preserva da quelli mortali. Quanto alla Penitenza, essa ci libera da tutti i peccati, in particolare, quelli mortali ricostituendoci nella grazia di Dio. In proposito si richiede: contrizione, confessione e proposito accompagnato da opere di soddisfazione. Quanto all'Estrema Unzione, essa viene definita un vero e proprio sacramento istituito da Gesù Cristo e promulgati da S.Giacomo. Nella primavera del 1552, giunti alla XVI sessione, il concilio viene sospeso nuovamente per la ripresa della guerra tra la Francia e la Germania. Il concilio sembra fallire. Rimane infatti sospeso per ben dieci anni (1552-1562). TERZO PERIODO: 1562-1565 Papa Pio IV, zio di Carlo Borromeo, su suggerimento del nipote, apre la terza fase del Concilio. Questa fase è dominata dalla crisi religiosa in Francia e dalla minaccia del calvinismo. Si completa il programma dei sacramenti con il Sacrificio della Messa, l'ordine e il matrimonio. Si contestò la legalità della residenza dei vescovi, sul quale punto si rischiò una vera e propria crisi del Concilio, superata dalla determinazione e dall'abilità del card. Morone. Si portò a compimento la riforma dell'episcopato e del clero inferiore e dei regolari, nonché si affrontò, in poche righe (una trentina in tutto) il problema delle indulgenze, che la Chiesa ha avocato a sé. Da un punto di vista disciplinare si definisce la questione della nomina e dei doveri dei vescovi; della convocazione annuale dei sinodi diocesani e triennale per quelli provinciali; visite pastorali biennali; conferimento delle parrocchie al clero più idoneo, a mezzo concorso; norme per monache e religiosi e restaurazione della clausura; norme sul tenore di vita dei prelati. Il concilio si concluse il 4 dicembre 1563, dopo 18 anni dall'apertura. I decreti, firmati da 225 vescovi, vengono recepiti e convalidati dalla bolla "Benedictus Deus" del 26 gennaio 1564. SIGNIFICATO E IMPORTANZA DEL CONCILIO Tre furono gli obiettivi principali del Concilio: a) condanna dell'eresia in difesa del patrimonio dottrinale della Chiesa; b) riforma dei costumi nella Chiesa e abolizione degli abusi; c) unità dei cristiani. Essi furono attuati solo in parte. Fallì, infatti, completamente la riconciliazione con i protestanti a motivo della loro intransigenza; mentre gli abusi vengono tolti solo parzialmente. L'importanza di questo concilio è enorme per la Chiesa sia sul piano dottrinale che disciplinare. Sul piano dottrinale i decreti costituirono una netta risposta ai protestanti, mentre definiscono la vera dottrina cattolica, da cui balzano, ora, chiari gli errori di Lutero, ponendo fine alle incertezze del passato. Esso costituì una linea netta di demarcazione, in cui ognuno poteva identificarsi con la propria fede. Quanto all'aspetto disciplinare rilevante fu l'obbligo di residenza dei vescovi e la sua definizione giuridica. Fu la base indispensabile per poter instaurare una vera e propria "cura animarum". La pastoralità è l'elemento fondamentale attorno a cui si accentrano tutti i decreti conciliari di riforma. Tale linea ha configurato il vero volto della Chiesa moderna. In funzione della "cura animarum" si istituirono i seminari per la formazione del clero; si istituì una cattedra di sacra Scrittura presso ogni chiesa cattedrale e in ogni convento; si vietò il cumulo dei benefici; impose la residenza ai vescovi e ai parroci, insistendo sui loro doveri pastorali; prescrisse l'obbligo ai vescovi di sinodi diocesani annuali e provinciali ogni tre anni; l'obbligo dell'istruzione religiosa al popolo; riformò gli ordini religiosi ristabilendo la clausura e l'osservanza dei voti monastici. L'ATTUAZIONE DEL CONCILIO I decreti conciliari conferirono vigore di legge alle riforme e al rinnovamento della Chiesa, ponendo le premesse per il lavoro apostolico dei secoli successivi. L'IMPEGNO DELLA GERARCHIA. I grandi papi della seconda metà del XVI sec. si impegnarono con il peso della loro autorità a far eseguire i decreti come la compilazione di un Indice dei libri proibiti, il catechismo romano, la riforma del Breviario e del Messale romano. La traduzione in pratica delle disposizioni tridentine divenne la direttiva preminente del papato, che negli Ordini religiosi nuovi o in via di rinnovamento trovò un valido appoggio. Gli stessi Nunzi apostolici, da semplici diplomatici, si proposero come promotori della riforma. I pontefici, poi, per imprimere incisività alla riforma, si orientarono nella scelta dei vescovi su uomini di grande struttura morale e fervido zelo apostolico, come ad es. Carlo Borromeo, il Giberti. In 3 tal senso Pio V, nei suoi sei anni di pontificato, nominò ben trecento vescovi, animati dallo spirito di riforma e decisi ad attuarla. DIFFICOLTÀ E OSTACOLI. Nonostante il vistoso impegno della Gerarchia, la riforma tridentina trovò non poche opposizioni e ostacoli. Le forze che si sentivano colpite nei loro interessi e privilegi opposero una fiera resistenza. La non residenza non fu facilmente eliminata. La stessa istituzione dei seminari incontrò non poche difficoltà per il reperimento dei fondi necessari, la penuria di personale idoneo alla formazione, l'opposizione di università e collegi. Ritardò, inoltre, la riforma degli Ordini religiosi e dei Capitoli delle Cattedrali le esenzioni dalla tutela vescovile della diocesi di appartenenza, di concessione papale, ottenute in tempi immemorabili, così che il vescovo non poteva visitarli e togliere gli abusi In genere le cose non furono facili anche perché si trattava di superare una mentalità obsoleta, da secoli radicata, e di creare una nuova cultura: il clero, in molti casi, fu restio ad accettare il nuovo stile di vita proposto dalla riforma tridentina. Il basso clero non sempre accettò di indossare la veste talare, ad istruirsi, a insegnare il catechismo; mentre l'alto clero rifiutò di condurre una vita semplice e frugale; a fatica si cercò di vincere il concubinato. La ricchezza fu la grande debolezza dell'alta gerarchia. Un'altra difficoltà, piuttosto curiosa, in cui incappò l'applicazione della riforma tridentina fu quel fenomeno definito "tridentinismo". Infatti, l'applicazione dei decreti conciliari e la loro interpretazione fu motivo di divergenza. Alcuni optavano per un'applicazione alla lettera, ed era la via romana; altri, invece, preferivano un'interpretazione più creativa e libera che, in buona sostanza, tradiva l'essenza dei canoni fino a capovolgerli, ed era la via dei pastori d'anime e dell missioni popolari. La causa principale di tale difficoltà fu la resistenza ai cambiamenti dovuta ad una cultura e ad una mentalità ormai sedimentizzate e dure a morire: abitudini, difficili a vincere, e interessi personali o di categorie da difendere. Chiesa della Controriforma La Chiesa, invischiata in impegni quasi esclusivamente temporali e in concorrenza con il potere imperiale, ha sempre più perso il senso della propria missione fino a provocare una reazione al proprio interno che sfociò nella Riforma protestante, luterana e calvinista. La Chiesa rispose con una Controriforma nata più per contrastare la Riforma protestante che per una propria esigenza interna. I tratti della Riforma e Controriforma, quest’ultima codificata nel Concilio di Trento, furono caratterizzati dalla polemica, dalla apologia e da un sostanziale rapporto di forza che ha radicato le due parti sulle loro posizioni, lacerando la Chiesa e creando in essa due anime contrapposte che ancor oggi, a fatica, si tenta di riconciliare. LA CHIESA NEL 1600 E 1700 CHIESA DI PECCATORI E DI SANTI UNA CHIESA RICCA, UN CLERO TIEPIDO, UNA GERARCHIA AUTORITARIA Mentre il basso clero partecipa con il popolo alla comune povertà e alle sperequazioni sociali, l'alto clero godono di un patrimonio cospicuo. A Roma, a spese della Chiesa, le famiglie dei papi si sono formate un patrimonio enorme. I cardinali hanno numerose rendite e molta servitù. Lo stesso Carlo Borromeo aveva 12 commende e 150 persone a servizio, mentre il Bellarmino, austero religioso, si accontentava di averne soltanto una trentina. Il Rosmini soleva definire i vescovi dell'ancien régime. "Servi di uomini mollemente vestiti, anziché apostoli di un Cristo ignudo". Molti vescovi sono anche principi, marchesi e conti e amministrano le loro diocesi con criteri puramente temporali. Molti diventano preti soltanto per farsi una carriera o garantirsi una sicura posizione sociale. E' evidente che in questo contesto anche il livello religioso e spirituale del clero non brillasse particolarmente. Il fenomeno più evidente è il gran numero di religiosi rispetto alla popolazione: alla metà del Seicento in Italia vi erano 70.000 religiosi, mentre un secolo dopo questi erano 300.000 su una popolazione di 17.000.000 di abitanti. I vescovi ordinavano con grande facilità e la preparazione al sacerdozio, nelle migliori delle ipotesi, non superava i tre anni di praticandato con qualche rudimento di teologia pratica. Pochi erano i sacerdoti impegnati seriamente nella cura delle anime, mentre i più si accontentano di celebrare la messa, fanno da precettori e servitori di famiglie patrizie. Quanto alle monache, spesso la loro "vocazione" è forzata e la disciplina nei conventi alquanto rilassata, mentre gli aspetti economici e sociali hanno l'aspetto determinante. Cattolici e protestanti si combattono aspramente, non è permessa la libertà religiosa. C'è molta distanza tra clero e popolo; non si ammette la buona fede e l'inquisizione miete vittime illustri (v. caso Galilei). Incredibile a dirsi, ma la Rivoluzione francese agì da toccasana su di un clero e una Chiesa ormai irrecuperabili: purificò nel sangue la Chiesa, bruciò la zizzania e separò il buon grano. 4 LE LUCI IN MEZZO AD UNA CHIESA OSCURATA DALLA RILASSATEZZA La pietà popolare denuncia una forte e massiccia partecipazione ai sacramenti: circa un 90% partecipa alla Pasqua. La religiosità popolare si colora di aspetti sensibili che eccitano la fantasia, si pensi alle missioni popolari e alle varie devozioni che si accentrano prevalentemente sulla passione di Gesù, su Maria e S.Giuseppe. Quaresimali e novene, devozioni ai santi e ai morti, processioni e rogazioni nutrono la pietà popolare. Si intensificano i pellegrinaggi a Gerusalemme, a Roma, a S.Giacomo di Compostella, a Loreto, a cui sono legate particolari indulgenze. Nuove congregazioni sorgono e passano da una vita contemplativa ad una attiva, mentre gli ordini monastici sono in crisi. E' anche l'epoca delle grandi fioriture di santi; si pensi a S.Leonardo da Porto, grande predicatore e patrono dei missionari. La sua spiritualità potrebbe essere sintetizzata nella triplice formula: "Mai nulla contro Dio; mai nulla se non con Dio; mai nulla se non per Dio". Ancora, S.Paolo della Croce: suo tema forte era la passione di Cristo, l' "Amor Crocifisso" che fondo nel 1725 i Passionisti. S.Alfonso Maria de' Liguori che fondò la congregazione del SS.Redentore o Redentoristi ... E motli altri ancora illuminarono questa età difficile. II. IL GIANSENISMO : LE CAUSE Il giansenismo, più che un'eresia, anche se non vi mancarono aspetti, si potrebbe considerare come un movimento religioso d'impronta rigoristica, che prende il nome dal teologo olandese e vescovo di Ypres, morto nel 1638, Cornelio Janssens. Ha la sua origine e la sua formulazione teologica e ideologica nell'opera dello stesso Janssens "Augustinus, seu doctrina S.Augustini de humanae naturae sanitate, aegretudine, medicina, adversus Pelagianos", pubblicatA postumo nel 1640. Questo movimento ha la sua origine nella reazione al lassismo del 1600 e si configura come una sorta di esasperazione sul tema della grazia, che travagliò la teologia dell'epoca. Nella Spagna del Cinquecento era nata la teoria del "probabilismo", la quale insegnava che non si poteva imporre un obbligo se non fosse stato sufficientemente provato; si può, quindi, agire anche quando non tutti i dubbi siano stati risolti. Nel Seicento, poi, si cerca di allargare i confini del lecito, moltiplicando una casistica a cui si cercava di dare comunque giustificazione. Da qui il lassismo morale. Alcuni, come il Michele Baio si avvicinava alle posizioni di Lutero e Calvino: sosteneva la corruzione totale dell'uomo dopo il peccato originale e la perdita del suo libero arbitrio e, quindi, la sua impossibilità di resistere alla grazia. Egli venne condannato da Pio V nel 1567, ma le sue idee continuarono. Domingo Banez, domenicano, sosteneva l'efficacia intrinseca della grazia, indipendentemente dall'azione dell'uomo, così che egli è predeterminato dalla grazia stessa; mentre il Luis Molina, gesuita, replicava che la grazia è efficacie soltanto per il libero consenso dell'uomo, non predeterminato da Dio. IL PROTAGONISTA: Giansenio (1585-1638). III. GALLICANESIMO, QUIETISMO, GIUSEPPINISMO Il Gallicanesimo, così definito perché sorto e diffusosi in Francia, è un insieme di teorie teologichedottrinali e giuridiche che mirano, da un lato a limitare l'autorità della Chiesa di fronte allo Stato; dall'altro a limitare l'autorità del papa di fronte ai concili, ai vescovi e al clero. Esso ha le sue lontane radici nel conflitto tra Bonifacio VIII (1294-1303) e Filippo IV, il Bello; nel periodo avignonese (1309-1378) e nel conciliarismo. Ma la base del gallicanesimo è la "Prammatica Sanzione" del 1438. In essa si sottolineava la superiorità del concilio sul papa, l'abolizioni delle tasse pontificie e degli appelli a Roma e, quindi, sanciva una larga autonomia della Chiesa francese. In campo ecclesiastico, limitavano l'intervento del papa alla nomina dei vescovi, mentre attribuivano privilegi al sovrano. Su questa linea la Francia si oppose al Concilio di Trento e ribadì il suo attaccamento alle consuetudini religiose, difendendo gelosamente la sua autonomia e indipendenza, sottolineando le prerogative dei vescovi francesi. Il tramonto di questo movimento avverrà soltanto nel 1870 con il Vaticano I. Quanto al Quietismo, esso si qualifica come un movimento religioso e spirituale, sorto nel Seicento, che ripone la perfezione e la felicità morale dell'uomo nello stato di passività dell'anima e che toglierebbe o diminuirebbe la responsabilità personale dell'uomo . Un fenomeno questo che si trova ancor oggi nel Buddismo e nell'Islamismo, che considerano l'ascetismo come lo strumento e la via per raggiungere l'assenza delle passioni e, quindi, lo stato di quiete interiore. Esso nacque come reazione al formalismo religioso e al pessimismo giansenista ed è espressione caratteristica del clima spirituale del Seicento. Principale esponente di questa dottrina fu il sacerdote spagnolo Miguel de Molinos (m.1696). Questi nel suo libro "Guida spirituale" sosteneva che l'ideale della vita spirituale consiste in una perfetta quiete e passività. Giunta a questo stadio, l'anima non può più peccare, anche se esternamente viola i 5 comandamenti di Dio e i precetti della Chiesa. Di conseguenza non servono più preghiere, né atti di penitenza, né lotta contro le tentazioni. L'autore venne condannato, ritratto le sue idee e questo lo salvò dal rogo, ma venne incarcerato a vita. Quanto al Giuseppinismo, esso si radica nella logica dell'ancien régime: i monarchi assoluti attuano su larga scala l'incameramento dei beni ecclesiastici, sopprimo gli Ordini religiosi contemplativi, mantenendo in vita solo gli Ordini dediti all'assistenza, all'insegnamento e alla cura delle anime. Essi sono i legislatori provvidi e illuminati, ai quali incombe l'onere di promuovere la felicità dei sudditi, con leggi razionali che aboliscano la miseria, l'ignoranza e i privilegi. Sono sovrani che credono nella sacralità del loro potere, che ritengono derivi direttamente dall'alto e senza limiti qui sulla terra. Si dichiarano primi servitori dello Stato. In quest'ottica si muove, in particolar modo, Giuseppe II (m.1790), definito come l'Arcisacrestano del Sacro Romano Impero. E' il monarca assoluto che maggiormente attua questa politica di ingerenza negli affari interni della Chiesa. Da lui prende il nome di Giuseppinismo. Tra i suoi interventi si ricordano: il controllo delle comunicazioni tra i vescovi dello Stato e la Santa Sede; modificò i confini delle diocesi; istituì nuove parrocchie, proibì processioni e pellegrinaggi; riformò cerimonie liturgiche e atti di culto. Creò seminari dipendenti direttamente dall'Imperatore, nei quali si formava tutto il clero dipendente dallo Stato e che nel sentire di Giuseppe II era soprattutto un pastore d'anime, capace di assumersi responsabilità civili-religiose nei confronti dello Stato. Nella formazione del clero venne introdotta la teologia sistematica, la dogmatica, il diritto e le scienze bibliche. Si occupò della gestione dei beni ecclesiastici, della scelta dei vescovi, dei parroci e della stessa gestione dei fedeli. Sradicò le superstizioni che in qualche modo inquinavano la religione; abolì il mese di maggio, ritenuto devozione di bassa lega. Soppresse tutti gli ordini contemplativi perché, secondo la sua logica, non servivano a niente (e qui pesa la cultura illuministica). Si incamerano i beni dei conventi e degli ordini soppressi, finalizzandoli al mantenimento delle parrocchie e degli stessi religiosi soppressi. In tale ottica si muove anche la madre di Giuseppe II, Maria Teresa d'Austria, che fonda nel 1700 l'Università di Pavia per la formazione dei quadri dirigenti, la futura intellighenzia del regime. Essa affida la sua politica di riforma al Melzi d'Eril. Si pongono delle limitazioni alle processioni, si contiene il numero delle feste, si riducono il numero dei conventi e monasteri; si fissa l'età minima per la professione ecclesiastica portandola a 24 anni; il tutto finalizzato ad un buon ordine e funzionamento della Chiesa stessa. L'intento del Giuseppinismo, pur inserendosi nella logica dei sovrani illuminati dell'ancien régime che non sopportavano diversi poteri dal loro all'interno del proprio Stato, era finalizzato essenzialmente ad eliminare gli abusi all'interno della Chiesa per darle una solida ed efficiente organizzazione. Si riferiva, quindi, all'organizzazione e alla struttura stessa della Chiesa, escludendo ogni aspetto riguardante la dottrina e la morale. La politica di Giuseppe II trovò consensi dai vescovi tedeschi, animati da tendenze antipapali. Al giuseppinismo si ispirò anche la politica di riforma di Napoleone. IV. LE MISSIONI:L'EREDITÀ SETTECENTESCA Dopo circa tre secoli di intensa attività missionaria, agli inizi del XIX sec. le missioni cattoliche si trovavano in una situazione difficile, quasi di stallo: su di esse gravava l'eredità settecentesca, basata sulle logiche del "real patronado", che sottometteva le missioni all'autorità e all'invadenza delle corone cattoliche, le quali, attraverso le missioni, concepite come un mero strumento al servizio del trono, miravano ad estendere e ad affermare il loro potere. Tutto ciò mostrava, ormai, i propri limiti. Troppo disparati e opposti gli interessi della corona da quelli della Santa Sede: colonizzazione e sfruttamento per la prima; evangelizzazione e rivalutazione umana per la seconda; totale sudditanza delle missioni alla corona; necessità, invece, di autonomia da questa e dipendenza dalla Santa Sede dall'altra parte. Linee politiche e culturali, dunque, completamente irriducibili e incompatibili. A questo si deve aggiungere anche la crescente crisi delle potenze coloniali cattoliche (Spagna, Portogallo e Francia), rispetto a quelle protestanti di Inghilterra e Olanda. Da ciò nasce un ristagno dell'azione espansiva del colonialismo cattolico e di conseguenza un sostanziale stallo delle stesse missioni cattoliche. Il punto più basso per la missione cattolica sembra che sia stato toccato nel 1820, epoca in cui in tutti i territori controllati dalla santa Sede si contavano poco più di 500 sacerdoti. LA SITUAZIONE DEL SENTIRE MISSIONARIO NEI PRIMI ANNI DELL'OTTOCENTO Il sacerdote fino al 1800 era considerato un funzionario pubblico civile, legato anche al vescovo. Non si concepiva, pertanto, un sacerdote missionario. Infatti, il sacerdote diocesano era semplicemente un 6 funzionario civile ed ecclesiastico, il cui compito era di distribuire i sacramenti e di conservare un cristianesimo già affermato sul territorio. Egli dipendeva direttamente dallo Stato e dalla Chiesa. I missionari, invece, non erano sacerdoti diocesani e, pertanto, non dipendevano né dallo Stato né dal Vescovo, ma erano mandati direttamente dal papa per mezzo della Congregazione "Propaganda Fide". Era il papa, infatti, il vescovo universale, responsabile, quindi, della fedeuniversale, mentre l'autorità del vescovo era limitata alla propria diocesi. Non si concepiva, quindi, un vescovo che mandasse missionario un suo sacerdote, che per altro, dipendeva anche dall'imperatore. UNO SLANCIO RINNOVATO Ma partire dal 1825 circa, le missioni "ad gentes", cioè quelle riguardanti il primo annuncio portato fuori dalla cristiana terra d'Europa, non sono più una questione riguardante i soli vertici della Chiesa, i quali già nel 1622, ad iniziativa di Gregorio XV, avevano fondato la Congregazione per la propaganda della fede (Propaganda Fide), che conferì allo sforzo missionario dell'epoca un grande impulso, ma esse riguardano, ora, la coscienza di tutti i fedeli. Una nuova sensibilità missionaria, quindi, si andava diffondendo tra il popolo cristiano, che si sente sempre più coinvolto nell'impegno missionario, grazie anche all'enorme successo che riscuote una certa letteratura missionaria nel primo Ottocento e ad un certo clima romantico unitamente al gusto per l'esotismo e l'avventura. Sono proprio di quest'epoca le grandi scoperte archeologiche e le avventure che portano alla scoperta dell'Africa e del misterioso Egitto. Significativo del clima di quest'epoca è il grande successo che ottenne Emilio Salgari con la pubblicazione delle sue fantastiche avventure nell'estremo e misterioso oriente. Nel 1922 nasce in Francia, ad opera di Pauline Jaricot ed altri, l'Opera per la propagazione della fede. Un'opera, quindi, che nasce dal basso a testimonianza della sensibilità missionaria che si sta sviluppando tra la gente comune. La missionarietà e la missione, dunque, non è più un affare privato ed esclusivo dei vertici della Chiesa e dei governi, ma ora appartiene anche al popolo. L'attività di quest'opera consisteva nel raccogliere delle modeste offerte, di parrocchia in parrocchia, destinandole alle missioni ed è proprio questa capillare e modesta raccolta di fondi che sensibilizzano l'animo del popolo e rende partecipe la gente alla questione missionaria, che viene legata anche alla propria fede. Altre organizzazioni simili sorgono in diversi paesi e le loro pubblicazioni, che esaltavano le fantasie dei giovani con i racconti eroici e avventurosi dei missionari, suscitano sempre nuove vocazioni Su tale impulso nascono nuove congregazioni religiose, maschili e femminili, votate alla missione "ad gentes". A loro si affianca anche l'impegno del papato il quale dette un forte impulso alla missionarietà grazie anche a Pio VII (1800-1823), che ricostituì la Congregazione per la Propaganda della fede, di cui Napoleone si era appropriato, trasferendoli a Parigi, degli archivi; e grazie anche a Gregorio XVI (18311846), che fece della Congregazione la opera prediletta del suo pontificato. Egli si adoperò anche per svincolare le attività missionarie dalle implicazioni nazionali; e mentre liquidava il patronato spagnolo in America Latina, si scontrava duramente con il Portogallo in India. Condannò nel 1839 la tratta dei negri e l'ineguaglianza delle razze che ne era il presupposto. Con la "Neminem profecto" che favoriva la costituzione di chiese locali e del clero indigeno, mediante la creazione di sempre nuovi e sempre più numerosi vescovadi. V. LA SOPPRESSIONE DELLA COMPAGNIA DI GESÙ (1773) I Gesuiti sono sempre stati una forza considerevole ed in prima linea all’interno della Chiesa cattolica. Forse anch’essi esagerarono nelle loro posizioni ed idee. I Gesuiti erano i principali nemici dei giansenisti per la loro adesione alle idee del probabilismo. I Gesuiti furono accusati di ammettere nelle loro missioni usi e riti ritenuti idolatrici, in chiaro contrasto con le direttive della Santa Sede (riti cinesi). Non mancavano professori di università gelosi della presenza qualificata dei Gesuiti negli ambienti culturali più importanti (manteisti). Ci fu qualche gesuita che non si comportò bene e che non mancò di provocare incidenti diplomatici qua e là. La Compagnia di Gesù si era inserita anche troppo tra gli ambienti curiali e nelle corti europee. Furono soprattutto i Borboni a scatenare un assalto senza quartiere nei confronti dei Gesuiti, con l’appoggio dei loro ministri “illuminati”. Nel 1750 gli indiani raccolti dai Gesuiti nelle cosiddette “riduzioni” del Paraguay, insorsero contro la Spagna. I Gesuiti furono subito visti come i sobillatori della ribellione e accusati di possedere in quelle terre enormi ricchezze. Il primo ministro portoghese Pombal scatenò un’accesa polemica contro i Gesuiti per la questione delle “riduzioni” e per la gelosia di vederli influenti a corte. A causa degli eccessi di un predicatore (Malagrida), tutti i Gesuiti furono sospesi dalla predicazione e dalle confessioni. A causa di un attentato 7 contro il re, i Gesuiti furono coinvolti nelle accuse. I Gesuiti stranieri furono espulsi senza niente e i Gesuiti portoghesi incarcerati. Il predicatore Malagrida venne giustiziato. In Francia i Gesuiti erano attaccati dai giansenisti, dagli illuministi e da alcuni membri del governo. Il padre Lavallette, economo delle missioni, combinò dei pasticci finanziari, si coprì di debiti e dichiarò il fallimento dell’attività missionaria. Egli venne espulso e fece ricorso, ma venne di nuovo condannato dal Parlamento di Parigi, che approfittò per emanare delle leggi contro i Gesuiti. Il re propose di creare un ramo nazionale dei Gesuiti, ma l’idea venne respinta dal papa Clemente XIII, che affermò: sint ut sunt, aut non sint. Nel 1762 il Parlamento francese decretò lo scioglimento della Compagnia in Francia. Il papa difendeva i Gesuiti, ma contro di loro non era tanto la nazione francese, quanto, piuttosto, l’Illuminismo. Nel 1758 vennero accusati anche di aver collaborato ad un attentato contro il re Luigi XV. Nel 1767 i Gesuiti in Spagna vennero arrestati in una sola notte, accompagnati nei porti ed imbarcati per Civitavecchia, il porto dello Stato Pontificio. Le motivazioni della loro espulsione non erano assolutamente chiare. Molto ostili a loro erano alcuni ministri (Aranda, Campomanes) ed, inoltre, il Generale degli Agostiniani, il ministro napoletano di Carlo III, Tanucci, notoriamente antiromano. I vari ministri cercavano di creare un caso “Gesuiti” per addossare su di loro i problemi del paese (come Nerone!). Le accuse contro di loro: ricchezza, esagerata obbedienza al papa ed infedeltà allo Stato, dottrine pericolose (tirannicidio e probabilismo), opposizione ai sovrani, tendenze ostili alla monarchia. Vennero espulsi anche i Gesuiti presenti nell’America Latina e nelle Filippine. Dai territori spagnoli furono allontanati 5.000 Gesuiti. 700 Gesuiti lasciarono la Compagnia. Il papa si rifiutò di accogliere i Gesuiti a Civitavecchia, in segno di protesta contro il comportamento del re Carlo III. Essi trovarono rifugio in Corsica, ma nel 1768, l’isola passò sotto il dominio francese. A questo punto il papa li accolse nello Stato Pontificio. I parenti dei Borboni attuarono la stessa politica della Spagna nei loro territori e così i Gesuiti furono espulsi da Napoli, da Parma e da Piacenza. Anche Malta fece allontanare i Gesuiti. Clemente XIII protestò per la politica antiecclesiastica francese e la Francia reagì occupando Avignone, mentre Napoli occupò Benevento. Condizione posta perché il papa potesse riavere le sue terre, era quella di sopprimere la Compagnia di Gesù. Agli inizi del 1769 il papa Clemente XIII morì. Il nuovo papa Clemente XIV (Lorenzo Ganganelli, ofm conv.) cercò di riconquistare prestigio presso le corti europee. Egli era un uomo piuttosto debole, incapace di prendere posizione. In passato era stato amico dei Gesuiti. Subito dopo la sua elezione ci furono delle nuove e forti pressioni borboniche contro la Compagnia. Il papa si era circondato di collaboratori venali e poco sinceri. A Roma nel 1772 giunse un nuovo ed abilissimo ambasciatore spagnolo, il Moñino, che d’accordo con l’ambasciatore francese, il cardinale De Bernis, minacciò al papa la soppressione di tutti gli ordini religiosi. Il papa diede il comando di preparare il Breve di soppressione dei Gesuiti su uno schema fornito dall’ambasciatore spagnolo. Anche Maria Teresa d’Austria dovette accondiscendere ai desideri degli altri stati circa la soppressione dei Gesuiti, per favorire il matrimonio di Maria Antonietta (ghigliottinata nel 1792) con Luigi XVI. Il 12 agosto del 1773 Clemente XIV firmò il Breve Dominus ac Redemptor. Il Breve pontificio ricordava le varie accuse mosse contro i Gesuiti da parte di alcuni Stati e riconosceva la necessità della scelta della soppressione in nome della pace. A Roma i Gesuiti vennero arrestati il 16 agosto ed il padre Generale Ricci fu condotto in prigione a Castel S. Angelo, dove venne inscenato un processo. Clemente XIV morì nel 1774 ed il nuovo papa Pio VI avrebbe certamente liberato il Ricci dalla prigione, ma questi morì nel 1775. Sul letto di morte il Ricci protestò ancora una volta la sua innocenza e quella di tutto l’Ordine. Si disse che San Paolo della Croce, abbia incoraggiato il papa Clemente XIV nella soppressione dei Gesuiti per succedere a loro in alcune case romane. Non ci sono prove in merito! In Polonia, Caterina di Russia permise la sopravvivenza di alcuni Gesuiti. La Compagnia di Gesù venne ristabilita da Pio VII nel 1814. Ecco dove arrivarono la tolleranza dell’Illuminismo e le aperture del liberalismo anticlericale! PARTE SECONDA CHIESA CONTEMPORANEA (XIX sec. - ad oggi) VI. INTRODUZIONE: CHIESA CONTEMPORANEA (XIX - ad oggi) Con l’avvento della Rivoluzione francese e la nascita dell’Illuminismo tutto il vecchio mondo europeo, sorto dalle rovine dell’impero romano, percorso da una nuova ventata portata dalla luce della Ragione. Tutto viene posto sotto critica e al vaglio della Ragione. Anche la fede e le sue fonti, fino ad allora 8 accettate supinamente, vengono sottoposte ad una dura critica. E’ l’epoca delle grandi trasformazioni sociali e delle lotte di classe, della formazione definitiva degli stati europei; l’epoca della “Rerum novarum”; è il periodo della formulazione delle grandi teorie economico-sociali che travolgeranno il mondo con due guerre e lo spaccheranno tra due ideologie, tra due grandi visioni della storia, della società e dell’uomo: capitalismo e comunismo. Un’epoca in cui la Chiesa, quasi superata dagli eventi stessi, è chiamata a dare delle risposte a se stessa e al mondo, che attorno a sé sta cambiando in rapida evoluzione, con ritmi fino ad allora sconosciuti. Dalla rivoluzione francese al Sillabo Vaticano II, si muove ancora nei parametri della Controriforma. A partire dalla Rivoluzione francese il processo di secolarizzazione della società e di laicizzazione dello stato vengono interpretati come l’attuazione di un progetto satanico volto a scristianizzare il mondo. Ed è proprio in quest’ottica che la chiesa agirà tra Ottocento e Novecento. I primi provvedimenti dell’Assemblea nazionale costituente intesero razionalizzare gli intrecci stato-istituzione ecclesiastica oramai obsoleti; la proclamazione della libertà religiosa e l’abrogazione del valore legale dei voti religiosi spingevano invece verso la laicizzazione statale. Questi interventi, la soppressione delle decime e l’incamerazione dei beni della chiesa non incontrarono grande opposizione. La spaccatura ci fu invece con la costituzione civile del clero (1790),che adeguava le circoscrizioni ecclesiastiche a quelle dipartimentali e introduceva l’elezione popolare di vescovi e parroci. Il clero doveva prestare giuramento alla nuova legge e si divise in due parti, costituzionalisti e refrattari. Pio VI appoggiò quest’ultimi e rifiutò i principi di libertà, uguaglianza e sovranità popolare, richiedendo un intervento contro la Francia. I cattolici si identificarono con i monarchici borbonici e furono repressi in Vandea dai montagnardi, che produssero un’ondata scristianizzatrice senza eguali (separazione stato-chiesa, chiusura chiese, nuovo culto civile). Successivamente risultò impossibile rinunciare ad una base religiosa per la vita collettiva; Napoleone usò invece la mano pesante conquistando lo Stato Pontificio e imprigionando papa Pio VI (repubblica giacobina romana, 1798). Bonaparte però voleva riunire le due chiese cattoliche per aumentare il suo consenso e per far ciò si accordò con Pio VII. Accettando un assetto politico fondato sui principi della rivoluzione e sul controllo statale dell’istruzione, la chiesa ottenne la restaurazione del culto pubblico e l’istituzione canonica dei vescovi (1801). Presto però Bonaparte e il papa entrarono ancora in conflitto per il rifiuto pontificio ad aderire al blocco continentale contro l’Inghilterra. Nonostante la nuova soppressione dello stato pontificio, la linea papale prevalse grazie all’appoggio vescovile e alle sconfitte militari del generale corso: scomparì così la chiesa imperiale, dopo l’ultimo tentativo col concilio di Parigi (1811). Dopo il congresso di Vienna (1815) si affermarono tre orientamenti in seno alla chiesa. 1. Il primo voleva tornare all’alleanza trono-altare tipica dell’ancien regime, recuperando gli antichi privilegi. 2. La corrente più radicale, controrivoluzionaria (Maistre, Bonald), puntava ad un ritorno al medioevo teocratico, cancellando l’evo moderno portatore di secolarizzazione e laicizzazione. 3. La terza corrente era quella cattolico-liberale (giornale L’Avenir; partecipazione a liberazione del Belgio,1830): la chiesa non doveva contrapporsi alla costruzione di stati ad ordinamento liberalcostituzionale perché i valori di fondo erano compatibili con la fede cristiana. Inoltre, sosteneva questa corrente, il rischio di perder il contatto con gli uomini del presente; lo stato avrebbe poi favorito il cattolicesimo nella vita civile. Leone XII e Gregorio XVI ebbero un orientamento passatista e assunsero un atteggiamento negativo verso i tentativi di popolazioni cattoliche di raggiungere l’indipendenza, allargando così il divario tra Roma e l’opinione pubblica. La volontà di un ritorno al medioevo si espresse anche nella reintroduzione della liturgia e dell’arte sacra di quell’epoca. Con Pio IX la chiesa sembrò allearsi alle popolazioni rivoltose durante i moti insurrezionali, ma lo spettro del comunismo, fautore di un violento mutamento sociale, bloccò questo processo. L’indipendenza nazionale italiana con la fine dello stato pontificio (“libera chiesa in libero stato”) confermò la tesi intransigente, secondo la quale sin dalla Riforma era in atto un progetto di distruzione della cattolicità e del papato. Prevalse così questa linea negli ambienti pontifici che fu ribadita dalla redazione del Sillabo (Ferretti, Bilio,1864): in 80 proposizioni censurate venivano condannati moltissimi aspetti del mondo moderno. Oltre a ribadire il “salutare” dominio che la chiesa dovrebbe esercitare su popoli e nazioni, erano condannati diversi presupposti filosofici del liberalismo (panteismo,razionalismo) e tutto il socialismo, alcuni principi di etica morale, l’accettazione della libertà di culto, pensiero e 9 stampa, la non presenza del cattolicesimo come unica religione di stato e l’eventualità di una riconciliazione col mondo moderno. In alcuni ambienti cattolici si cercò di moderare le proposizioni del Sillabo (tesi-ipotesi di Curci, si poteva accettare separazione chiesa-stato, libertà religiosa, democrazia) e questa linea fu sposata da Leone XIII. Nel 1889 vennero create le conferenze episcopali regionali e fu promosso l’associazionismo laico a scopi politici, perché solo attraverso la politica si poteva ricostruire uno stato cristiano e difendere gli interessi della chiesa. Queste associazioni avevano degli aspetti in comune: la dipendenza dalla direzione ecclesiastica, la costruzione nei rispettivi ambiti di società cattoliche, l’uso di diritti dello stato moderno senza aderire però ad essi. Pio IX convocò anche un concilio ecumenico (senza autorità civili), il Vaticano I (1869), in cui per la prima volta non fu necessario raggiungere l’unanimità per le delibere, mentre il regolamento fu redatto dal solo pontefice. Il concilio portò più problemi che risultati, come il mini scisma con i “Vecchi cattolici” riguardante la proclamazione dell’infallibilità papale su fede e costumi, e allo scontro con Bismarck. Nella chiesa ottocentesca si puntò anche alla politicizzazione della pratiche di pietà e devozionali. Nacquero i congressi eucaristici internazionali e si sviluppò una corrente devozionale nei confronti del papa, che indiceva numerosi giubilei. Fu introdotto il culto all’Immacolata concezione di Maria (1854), che doveva garantire la stessa protezione offerta a Lepanto contro i turchi nella “guerra” ai nuovi nemici moderni liberali: la società senza la sua grazia redentrice poteva soltanto andar incontro al disastro. Fu rilanciato il rosario e il culto del Sacro cuore, tutti in funzione politica di costruzione di uno stato e società cattolici. Eclatante fu il tentativo di costruzione di una repubblica del Sacro cuore in Ecuador e il tema della regalità sociale di Cristo Re (Benedetto XV e Pio IX) di cui tutti gli stati avrebbero dovuto riconoscere la sovranità (indirettamente quella papale). La chiesa dovette reagire anche alla crescente “questione sociale” dell’epoca, con l’inurbamento di massa e il crescente pauperismo, a cui non poteva più rispondere con l’elemosina e gli istituti di beneficenza. Ci furono tre diverse correnti di risposta a questi problemi. La prima, tradizionalista, individuava nel ritorno alle corporazioni medievali la soluzione giusta. La seconda voleva trasformare queste corporazioni in veri e propri sindacati di categoria (Ketteler); la terza (Chievrier) proponeva una profonda condivisione della situazione economica dei proletari attraverso l’accettazione della loro condizione. VII. Pio IX e il modernismo Quello di Pio IX fu un pontificato lunghissimo, anche se inizialmente sembrava più favorevole alla parte liberale piano piano il suo pontificato se ne staccò sempre di più. Importante nel suo pontificato furono la proclamazione del dogma dell'immacolata concezione, la condanna degli errori modernisti con il Syllabus, la proclamazione dell'infallibilità pontificia. Si tratta del periodo della formazione dell'Italia, c'era una corrente cattolica favorevole a questo, e Pio IX una volta eletto aveva la simpatia dei liberali che speravano proprio che li guidasse e li aiutasse nei loro obiettivi. Appena eletto compie dei gesti che lo fanno osannare dal popolo e dai liberali. Tutto questo sino a quando rifiuta di far scendere il campo la Chiesa contro l'Austria, non può scendere in un conflitto tra stati cattolici. Questo fu preso come un tradimento e da allora la liberazione fu presa in mano dalla corrente più estremista, repubblicana e anticlericale. Per Pio IX la difesa dello stato temporale della Chiesa era una garanzia della libertà della Chiesa, nel movimento liberale nel mentre inizia a diffondersi un anticlericalismo ostile a ogni forma di intervento della Chiesa. Nel 1861 c'è la proclamazione del Regno d'Italia e nel 1870 con la breccia di Porta Pia Roma è occupata e dichiarata capitale del Regno d'Italia. La questione romana nasce di fronte ai territori pontifici che piano piano vengono tolti al Papa. Il Papa scelse una posizione intransingente per lui era troppo importante il potere temporale, Roma non poteva divenire capitale del nuovo Regno perchè era la capitale della cristianità e quindi la sovranità su Roma apparteneva a tutti i cattolici e soprattutto il potere temporale era garanzia della libertà spirituale della Chiesa per Pio IX. Nel 1871 il Papa rifiutò la legge che riconosceva la sovranità spirituale del Papa e l'inviolabilità della sua persona. La questione romana rimarrà quindi aperta sino ai Patti Lateranensi del 1929. Durante la prima metà del '800 ci fu un movimento di ritorno al Papa che venne incoraggiato dalla Santa Sede con la centralizzazione romana del governo della Chiesa e con un'esaltazione del magistero della Chiesa, in questo ha grande importanza la ricostituzione dei gesuiti. Alla fine del pontificato di Pio IX la situazione non era delle migliori, i rapporti con gli stati ci sono vari conflitti non risolti e un anticlericalismo emergente. Inoltre il rafforzamento dell'autorità romana ha portato a un rischio di scisma e a un irrigidimento antiliberale. Leone XIII usò una strategia diversa da Pio IX nonostante avesse anche lui a cuore l'idea di uno stato cristiano-cattolico. Cercò quindi prima di tutto una politica di riconciliazione con i vari paesi. Il nuovo modello che si impone è quello di uno stato 10 cristiano in contrapposizione sia allo stato liberale che alla sottomissione dello stato alla Chiesa. In Germania la situazione si riappacificò ci furono le leggi di pacificazione del 1886. Anche in Svizzera si trovò l'accordo a causa della paura della sinistra rivoluzionaria. Anche in Francia si cercò un accordo con la nuova Repubblica che si era ormai stabilizzata. Accordo che era malvisto dai cattolici francesi, anche dai cattoli liberali, i primi perchè vedevano la repuibblica come nemica della Chiesa, i secondi perchè non vedevano di buon occhio l'intromissione del Papa in campo politico. Alla fine del secolo ci fu nuovasmente una politica anticlericale in Francia che portò nel 1904 alla rottura dei rapporti con la Santa Sede. In Italia la politica intransingente continuò, la questione romana rimaneva il punto nodale, viene ribadito il divieto per i cattolici di partecipare alla vita politica dello Stato. Altro problema che la Chiesa si trova ad affrontare è quello della povertà causata dall'industrializzazione I cattoloici erano divisi, una corrente conservatrice che vuole un intervento dello stato nell'economia e critica la proprietà privata. Una corrente liberale che invece propende perchè lo stato non intervenga nell'economia. Una corrente solidarista che invece dice giusta la proprietà privata e richiede un intervento dello stato come garante di alcuni diritti come un minimo salariale. Nel 1891 scrive l'enciclica sociale Rerum Novarum , enciclica che descrive l'intollerabile miseria degli operai, difende la proprietà privata e invita a ricreare un equilibrio tra le classi sociali. E' un testo molto importante perchè porta chiarezza nelle varie tesi cattoliche sull'argomento, perchè è un testo innovatore, c'è l'attenzione agli operai e la richiesta di intervento dello stato e perchè questa sarà la prima di una serie di altre encicliche sociali. L'attività missionaria ebbe uno slancio e anche qui la Chiesa prese posizioni importanti come quelle contro la schiavitù. L'eresia del modernismo è stata la grande sfida dottrinale dell'inizio del secolo scorso, stiamo parlando di una serie di errori comuni a vari autori e varie dottrine: l'idea che la religione sia qualcosa di interiore, un contatto con Dio, l'idea che la ragione umana sia incapace di dare prove obiettive dell'esistenza di Dio, l'idea che i dogmi siano temporali e non verità atemporali, l'idea di un adeguamento alla conoscenza scientifica. C'è un modernismo intellettuale che finisce che porta alla separazione tra fede e ragione, e c'è un modernismo pratico porta al rifiuto del trascendente. Ci fu uno sviluppo del metodo storico-critico, che tornava ai testi con un approccio storico, ebbe fortuna questo metodo con i protestanti, mentre da parte cattolica inizialmente ci fu molta diffidenza, indubbiamente questo dipendeva anche dall'uso che se ne faceva. Si arrivava anche a dividere ciò che ha annunciato Gesù e i dogmi della Chiesa. La posizione contro il modernismo fu netta da parte della Santa Sede. VIII. PIO IX E LA QUESTIONE ROMANA: Il Concilio Vaticano I Il 21 giugno 1846 viene eletto il card. Giovanni Mastai Ferretti , che prende il nome di Pio IX (18461878). L'anno successivo alla sua elezione concede, ultimo tra i vari governanti, una Costituzione attesa dalla base. Il Testo prevede due Camere e un Collegio di cardinali per le questioni e gli affari ecclesiastici. Nel 1848 scoppia la prima guerra d'indipendenza contro l'Austria, ma il papa non interviene: egli è il pastore di tutti, il vicario di Cristo e non può schierarsi contro Stati cattolici e lo dice espressamente ai cardinali il 29 aprile 1848. La guerra si conclude con una sconfitta da parte degli irredentoristi. A Roma Pio IX cerca di creare il primo governo, affidandolo a Pellegrino Rossi, che scontenta tutti e viene assassinato. Il papa non si sente più sicuro e fugge a Gaeta tra la notte del 24/25 novembre 1848. Il 9.2.1849 viene dichiarato decaduto il potere temporale del papa e si proclama la repubblica romana. Pio IX chiede aiuto ai vari Stati europei e, grazie all'intervento decisivo di Luigi napoleone, Pio IX può rientrare a Roma il 12.4.1850. Nel 1859 scoppia la seconda guerra d'indipendenza a cui seguono le varie annessioni e la proclamazione del Regno d'Italia nel 1861. A seguito di ciò si aprì la "questione romana". Da parte della classe dirigente italiana si è convinti della necessità di annette Roma al nuovo regno d'Italia. Roma, infatti, è l'unica città simbolo dell'italianità e carica di storia che parla dell'antica grandezza e degli antichi splendori italiani, l'unica in grado a coagulare la fragile unità del neonato regno. Da parte della gerarchia ecclesiastica si risponde con un "non possumus". Infatti, il papa è convinto che il potere temporale rimastogli sia indispensabile e garante di fronte ai soprusi da parte degli Stati. Il potere temporale, sia pur limitato, gli è indispensabile per poter esercitare autonomamente quello spirituale. La questione, quindi, posta dalla Chiesa non è politica, bensì spirituale. Ma dopo la caduta di Napoleone III a Sedan nella guerra franco- prussiana, viene a cadere il garante della difesa della Santa Sede. Per cui, dopo alcuni contatti tra Santa Sede e Governo italiano, viene dato l'ordine al generale Raffaele Cadorna di occupare la città di Roma, rispettando l'area vaticana. Attraverso la breccia di Porta Pia Roma è occupata nel 1870 e il 2 ottobre dello stesso anno i Romani danno il loro parere favorevole all'annessione di Roma al regno d'Italia. 11 La cosa provocò l'irrigidimento della Chiesa e di tutto il mondo cattolico che si strinse unanime e solidale con il "papa prigioniero", mentre i cattolici liberali e transigenti sono considerati dei traditori. Con l'enciclica "Non expedit" Pio IX fa obbligo morale a tutti i cattolici d'Italia a non partecipare alle elezioni politiche, per noN accreditare un parlamento che impedisce la libertà della Chiesa, mentre sono invitati a partecipare a quelle amministrative. La questione romana e il conflitto che ne conseguì trovò la sua soluzione nel 1929 nei Patti Lateranensi. Il Concilio Vaticano I Pio IX e il Concilio Vaticano I Vaticano I, Concilio. Ventesimo concilio ecumenico, svoltosi in Vaticano tra l'8 dic. 1869 e il 20 ott. 1870, convocato da papa Pio IX. Approvò fra l'altro la costituzione dogmatica Dei filius, che condannava gli errori dell'epoca, ossia il panteismo, il materialismo e l'ateismo, e la costituzione Pastor aeternus, che stabiliva l'infallibilità del magistero del papa. L'apertura del Concilio Vaticano fu indetta ufficialmente dal papa Pio IX nel giugno 1868 e le sessioni del Concilio furono interrotte due anni dopo, nel luglio 1870. Si tenne nella Basilica di San Pietro in Vaticano a Roma. Nel corso dei lavori si sancirono: il dogma dell'infallibilità del magistero del Papa in materia di fede e di morale (quando tale magistero rispetti alcune condizioni); e il dogma della conoscenza di Dio con la sola ragione: "“La santa Chiesa, nostra madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create” [Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3004; cf 3026; Conc. Ecum. Vat. II, Dei ]. Senza questa capacità, l'uomo non potrebbe accogliere la Rivelazione di Dio. L'uomo ha questa capacità perché è creato “a immagine di Dio”CCC,36. Il Concilio Vaticano Primo fu convocato da Papa Pio IX con la bolla Aeterni Patris del 29 giugno 1868. La prima sessione fu tenuta nella Basilica di San Pietro l'8 dicembre 1869. Vi parteciparono quasi 800 padri conciliari. La preparazione del concilio (il primo ad essere preparato in modo molto approfondito ancora prima della sua apertura) venne affidata ad una Commissione di cardinali, detta "Congregazione direttiva", assistita da cinque commissioni speciali, le quali dovevano trattare i problemi riguardanti l'adeguamento della dottrina ecclesiastica, il ruolo del Papa, valutare gli errori del razionalismo, i rapporti tra la Chiesa e lo Stato. Il primario scopo del Papa fu di ottenere la conferma della posizione che egli aveva assunto nel suo Sillabo (1864), condannando una vasta gamma di posizioni associate al razionalismo, al liberalismo e al materialismo e al fideismo. Il fine del Concilio fu, accanto alla condanna, di definire la dottrina riguardante la chiesa. Nelle tre sessioni ci fu discussione e approvazione solo di due costituzioni: Dei Filius, la Costituzione Dogmatica sulla Fede Cattolica (che definiva, tra le altre cose, il senso in cui la Bibbia è ispirata da Dio secondo la dottrina cattolica) e Pastor Aeternus, la Prima Costituzione Dogmatica sulla Chiesa di Cristo, che tratta il primato e l'infallibilità del vescovo di Roma quando definisce solennemente un dogma. La definizione di infallibilità papale non era nell'ordine del giorno originario degli argomenti da discutere (Pio IX sentì che sarebbe stato sconveniente per lui introdurre tale tema), ma fu aggiunta ben presto dopo che il Concilio si radunò. Fu controversa, non perché molti non credessero che il Papa fosse infallibile nel definire un dogma, ma perché molti che lo credevano non pensavano fosse prudente definire la dottrina formalmente. John Henry Newman, per esempio, pensò che una tale definizione formale potesse allontanare potenziali convertiti. Alcuni temevano che essa avrebbe condotto al rinnovato sospetto che i cattolici avessero un'alleanza straniera. Una tale visione fu sostenuta dai due terzi dei vescovi degli Stati Uniti e da molti della Francia e della Germania. Circa 60 membri del Concilio si astennero lasciando Roma il giorno prima del voto. L'arcivescovo (più tardi canonizzato) Antonio María Claret y Clará, confessore presso la corte spagnola e fondatore dei Figli Missionari del Cuore Immacolato di Maria (Missionari Claretiani), condannò fortemente le "blasfemie e le eresie espresse sul campo di questo Concilio", e fu uno dei più energici difensori riguardo alla questione dell'infallibilità del Papa e del primato della Santa Sede Romana. Fu il solo membro del Concilio ad essere canonizzato come santo (beatificato nel 1934 da papa Pio XI e canonizzato da papa Pio XII nel 1950). La discussione e l'approvazione della costituzione dette adito a serie controversie che portarono all'abbandono della Chiesa di alcuni che divennero noti come Vecchi Cattolici. Lo scoppio della Guerra Franco-Prussiana interruppe il Concilio. Fu sospeso in seguito alla presa di Roma e non più radunato. Non fu ufficialmente chiuso se non nel 1960 da papa Giovanni XXIII, come formalità prima dell'apertura del Concilio Vaticano II. I risultati del Concilio Vaticano I tracciarono il trionfo del movimento dell'ultramontanismo che sostenne un governo della Chiesa centrale basato sul Vaticano. Fu rilevata una crescente consapevolezza della propria identità tra i cattolici nel mondo e il 12 numero delle vocazioni alla vita religiosa e sacerdotale aumentò insieme con un'attività politica dei cattolici nei loro paesi nativi chiaramente pro-cattolica. Accanto a ciò, si sviluppò un più forte coinvolgimento dei laici nell'opera della Chiesa Cattolica e il concilio avrebbe portato indirettamente anche alla nascita del Movimento Liturgico che sarebbe particolarmente fiorito sotto papa Pio X. IX. LEONE XIII E LA QUESTIONE SOCIALE Leone XIII intervenne con l’enciclica “Rerum novarum” nel 1891. Contro i socialisti rivendicò l’intangibilità della proprietà privata, contro i liberali invocò un intervento statale per la promulgazione di una legislazione tutelativa dei gruppi sociali più deboli e la fissazione di un minimo salariale; sollecitò i cattolici a creare associazioni a carattere confessionale poiché solo la chiesa poteva risolvere i problemi sociali: l’azione sociale dei cattolici inseriva la promozione umana dei diseredati in un complessivo disegno ierocratico. La reazione provocò la nascita di movimenti politici di “democrazia cristiana” di cui Pio X cercò di limitare la politicizzazione, soprattutto dove erano compresi i protestanti; nel 1929 fu riconosciuta la partecipazione cattolica ai sindacati. X. LO SLANCIO MISSIONARIO La causa motrice della grande trasformazione economica e sociale sfavorevole alla chiesa dell’Ottocento, era ritenuta l’emancipazione e libertà ottenuta dagli ebrei dopo il 1789. Mal visti per il loro peso finanziario, gli ebrei divennero il simbolo della modernità da combattere, i protagonisti occulti della grande “cospirazione anticlericale” in atto sin dai tempi della Riforma luterana. A rafforzare questa convinzione vi era il famosissimo falso, i “Protocolli dei savi anziani di Sion” e l”affaire Dreyfus”, in cui l’antisemitismo venne usato per indirizzare l’opinione pubblica cattolica a favore del nazionalismo militarista. L’atteggiamento papale fu sempre molto ambiguo, condannando da un lato il razzismo biologico ma appoggiando la politica del ghetto e della discriminazione politica e sociale (ad esempio, il Sant’Ufficio si accanì contro la società “amici di Israele”, 1928). In connessione all’affermazione della cultura intransigente, che intendeva mostrare la capacità della chiesa di estendersi su tutti i popoli, vi fu una ripresa dello slancio missionario. Per questo sorsero nuovi ordini religiosi missionari, e Gregorio XVI cercò di limitare i conflitti tra questi e la gerarchia episcopale. Un’altro problema era quello legato al conflitto d’interesse tra l’attività missionaria e la presenza politico-militare: noto era il contrasto sul “patronato” secondo cui i governi ispano-portoghese nominavano i vicari apostolici. La politica missionaria di Leone XIII fu imperniata invece sull’equazione cattolicesimo-civiltà, promuovendo l’antischiavismo e richiedendo il riconoscimento del potere pontificio sulla propagazione della fede: il modello ecclesiale romano doveva essere trasportato tale e quale nelle colonie. La chiesa riconosceva poi come legittimi solo quei poteri locali pubblici che garantissero l’espansione missionaria, mentre diventava invece doveroso rovesciarli quando la penetrazione veniva ostacolata. Favorendo la ricostituzione di un’universale società cristiana, indirettamente s’approvava l’espansione coloniale. XI. Nella crisi del Novecento Tra 1800 e 1900 scaturì un’esigenza di rinnovamento perché lo schema intransigente non sembrava più adeguato a dar le giuste risposte. Questa fu la crisi modernista, a cui alcuni settori cattolici risposero con l’irrigidimento (integrismo) che allargò la frattura tra chiesa e società contemporanea. Detonatore della crisi modernista fu lo sviluppo dei metodi per l’indagine critica applicati al campo degli studi religiosi. Leone XIII favorì questi studi (apertura dell’Archivio segreto vaticano,1883) mantenendoli però in un complessivo disegno apologetico;vi era comunque una fortissima esigenza di rinnovamento che si volse a tre tematiche: l’applicazione del metodo storico-critico nell’interpretazione dei testi biblici e la rivendicazione d’autonomia degli studi dal magistero, il superamento della scolastica tomistica in nome di una filosofia immanente, lo sganciamento dal controllo della gerarchia sulla presenza cattolica nella vita collettiva. Pio X (1903-14) con l’enciclica “Pascendi” avversò i modernisti, imponendogli una connotazione teologica unitaria (attribuendogli rivendicazioni non loro) e costringendoli quindi ad elaborarne una (“Il programma dei modernisti” di Buonaiuti, 1907). L’intervento pontificio favorì lo sviluppo dell’antimodernismo, che irrigidì lo schema intransigente (chiesa deve separarsi dalla storia poiché senza di essa non vi è civiltà; controllo sugli aderenti al modernismo). 13 Pio X fece anche delle riforme “razionalizzanti”: creò un unico catechismo, riformò il breviario e il calendario, impose il canto gregoriano. Importante fu il riordino della curia romana, con la creazione della Congregazione dei sacramenti e della Congregazione della supervisione sui vescovi. Benedetto XV sistemò poi i problemi lasciati irrisolti. Nel 1904 formulò un codice unitario per tutta la chiesa e il suo stato (“Arduum sane munus“), che rappresentava la societas perfecta. Anche qui Benedetto XV perfezionò la sua opera pubblicando il Codex juris canonici (1917) che regolamentò tutta la vita ecclesiale e abrogò tutte le leggi contrarie alla nuova disciplina. LA GRANDE GUERRA Allo scoppio della Grande Guerra, Benedetto XV individuò le ragioni del conflitto nel castigo divino inviato ad una società moderna che si rifiutava di conformarsi al cristianesimo, e nella mancata adesione umana ai principi evangelici. La multiforme opera di conciliazione, umanitaria ed assistenziale di fronte a questa tragedia,va letta come la volontà di assurgere a suprema autorità sociale, nell’ottica del disegno ierocratico medievale. La chiesa fu impossibilitata a schierarsi con uno dei due campi, poiché in entrambi vi erano dei cattolici: tutti s’impegnavano a costruire nel dopoguerra uno stato con caratteri cattolici (“sano nazionalismo”) e si rinfacciavano l’origine degli “errori” moderni (tedeschi per Lutero; francesi per Rivoluzione). In questo clima di generale legittimazione del conflitto ogni appello alla pace fu vano. Nel dopoguerra la chiesa riconobbe la S.D.N. e nacquero associazioni pacifiste, che abolivano il concetto di “guerra giusta”: con gli armamenti moderni la guerra non poteva più rientrare nell’etica cattolica. La chiesa tuttavia si riservò il diritto di dichiarare la liceità di un conflitto. La cultura intransigente aveva accentuato alcuni elementi che favorirono l’incontro tra la chiesa e i fascismi: la negazione di qualsiasi forma di diversità rispetto all’unità politico-religiosa che si realizzava in una società ideologicamente compatta, il richiamo ad un ordinamento politico gerarchico che cancellava i diritti derivanti dalla Rivoluzione francese, l’organizzazione corporativa del lavoro e l’avversione al comunismo. Il raggiungimento del regno sociale di Cristo propugnato da Pio XI si coniugava bene alla sacralizzazione del politico di questi movimenti. Ben presto la chiesa trovò un accordo col fascismo italiano, che sin dalla presa del potere aveva accolto tante istanze ecclesiastiche e riteneva il cattolicesimo una componente fondamentale per la grandezza della nazione. Conseguentemente sconfessò il Partito popolare, osteggiato per il suo carattere aconfessionale, e firmò i Patti Lateranensi (1929), che le garantivano il riconoscimento di Città del Vaticano e del cattolicesimo quale religione di stato, ampie sovvenzioni finanziarie, privilegi sulla legislazione matrimoniale, educativa, giurisdizionale. L’appoggio al fascismo fu manifestato anche durante la guerra d’Etiopia e il secondo conflitto mondiale. Anche in Spagna il nesso intercorrente tra vittoria nazionalista e restaurazione cattolica (distruzione modernità politica e sociale) portò all’alleanza tra franchisti e cattolici durante la guerra civile (anche il violento anticlericalismo di sinistra spinse in questa direzione) fino al concordato del 1953. Inizialmente ci fu un accordo anche col nazismo tedesco di cui però non si approvava il fanatismo razziale e il neopaganesimo; Pio XI condannò la divinizzazione della razza e dello stato, nonché la negazione della morale universale (Pio XII cercò lo stesso un accordo). Questione razziale La questione razziale mostrò i punti in comune tra i regimi autoritari e la chiesa: entrambi attribuivano l’origine di tutti i mali sociali agli ebrei. Infatti la chiesa non si oppose alle leggi razziali e Pio XII appoggiò il provvedimento di esclusione degli ebrei nella Francia di Vichy. Il silenzio di fronte al genocidio ebreo si può spiegare con il timore di mali peggiori nei confronti della chiesa e sulla volontà di tutelare i cattolici. A determinare il silenzio di Pacelli sulle atrocità naziste giocava la convinzione che, essendo tutti gli uomini responsabili della secolarizzazione (causa della guerra), la chiesa non doveva discernere le responsabilità delle tragedie che vi si compivano. La chiesa, con i suoi interventi di mediazione e di assistenza, doveva solo richiamare gli uomini a combattere per tornare all’ordine sociale cristiano, l’unico su cui fondare una degna vita collettiva. XII. Il secondo dopoguerra Nel dopoguerra il papa accettò la democrazia e i diritti politici e civili di ogni uomo; la tradizionale avversione al comunismo lo allineò, all’inizio della guerra fredda, al blocco occidentale. Pio XII sostenne ancora la teoria della “guerra giusta” in caso di attacco, e propose un eventuale crociata contro il comunismo. Pur essendo filo-occidentale ribadì la condanna alla visione meccanicistica ed economicista ,che senza i valori cristiani mai avrebbe vinto la sua lotta contro il comunismo. 14 In campo politico favorì decisamente l’ascesa della Democrazia cristiana al potere e l’instaurazione della repubblica, anche se l’immischiamento con la società capitalista rendeva impossibile la creazione di una società cristiana. In questo modo non si distingueva più la civiltà cristiana con quella occidentale, spingendo le classi povere verso il comunismo. I limiti dell’orientamento del Pacelli sono evidenti anche nelle condanne alla “nouvelle theologie” che voleva solamente rinnovare la teologia e aprire gli studi religiosi ai metodi contemporanei. Egli promosse la politicizzazione della pietà mariana e autorizzò l’uso delle lingue volgari nelle messe (nascita Opus dei nel 1928). La chiesa provvide ad una ristrutturazione del movimento cattolico italiano nel 1923 (ACI) sottoponendo l’apostolato laicale alla S.Sede. L’organizzazione fu divisa in 4 rami e doveva occuparsi di questioni temporali che avevano risvolti sul piano religioso e morale (“riconquista della società” contro tendenze secolarizzatrici).Vennero create anche organizzazioni specifiche per gruppi sociali omogenei (contadini,operai,studenti,..). Interessante fu l’opera dei preti-operai in Francia che condividevano, oltre alla vita, anche le lotte dei lavoratori; la loro adesione ai sindacati marxisti provocò il loro ritiro dalle fabbriche (1954). L’Azione Cattolica conobbe il suo apogeo negli anni cinquanta dove iniziò però la sua crisi; il compito politico di ricostituzione della società cristiana era reso impossibile dalla mancanza di autonomia decisionale ribadita da Pio XII. Politica missionaria Nella si verificarono due importanti mutamenti con il “Maximum illud” di Benedetto XV(1919): la formazione del clero indigeno doveva portare alla assunzione (di quest’ultimo) delle responsabilità di governo delle proprie comunità, e il richiamo ai missionari che tutelavano gli interessi politici della loro nazione di provenienza. La linea di sganciamento delle missioni dalla presenza politica nei paesi coloniali proseguì con Pio XI, che accolse anche la proposta del Costantini di utilizzare l’arte sacra indigena nelle chiese delle colonie. Pio XII propose inoltre l’adattamento della religione cattolica alle culture locali, e appoggiò la decolonizzazione. Sosteneva però di evitare il comunismo e il nazionalismo, invitando al raggiungimento dell’indipendenza in collaborazione con gli stati europei e alla costruzione di un ordine sociale ispirato ai principi della chiesa: ciò costituì un ostacolo ad una larga accettazione del cattolici. XIII. Concilio e post-concilio: tra svolta e continuità Il pontificato di Giovanni XXIII (1958-63) segnò una svolta negli orientamenti del papato. La questione dei preti operai giunse a conclusione, fu ribadito l’uso del latino nella messa, ma soprattutto vi fu una presa di distanza dalle competizioni politiche. Abbandonando le tradizionali rivendicazioni di vantaggi e poteri accentuò il ruolo spirituale della chiesa; ricevette il primate anglicano e benedì gli ebrei (196062).Con l’enciclica “Pacem in terris” (1963) poneva fine al concetto di guerra giusta, dichiarandola improponibile nell’era atomica. L’evento più importante fu la convocazione del concilio Vaticano II (1959), nato per superare le nostalgie passatiste e creare una dottrina più “contemporanea”. Il papa agì in sintonia con il concilio, e così fece anche il suo successore Paolo VI; i mass-media seguirono con grande attenzione il concilio ed esercitarono pressione. Il concilio segnò alcune svolte significative: riconoscimento dei metodi critici nell’esegesi scientifica dei testi biblici e centralità della Scrittura nella vita ecclesiale; valore comunitario dell’azione liturgica tramite l’uso delle lingue volgari; integrazione della monarchia papale con la collegialità episcopale nel governo ecclesiastico; disimpegno dalla politica e fine del disegno ierocratico; riconoscimento dell’esistenza di valori positivi nelle altre religioni; libertà religiosa e fine dell’antisemitismo. I progressisti non furono soddisfatti dei risultati ottenuti mentre gli integristi vedevano nel concilio una deviazione eretica della dottrina. Giovanni Paolo II sostenne che l’interpretazione giusta andava fatta alla luce della tradizione, e rafforzò gli aspetti tipicamente posttridentini (canonizzazioni,devozioni,..). Il concilio diede la possibilità di una ricezione “personale” delle proprie direttive e per questo valorizzò le conferenze episcopali. Nel post-concilio si sviluppò una maggior articolazione dell’unica chiesa in una pluralità di chiese. Nell’America Latina con diverse conferenze episcopali (la prima nel 1968 a Medellin) furono condannate la rivoluzione e la dittatura, mentre fu promossa la condivisione della condizione dei poveri: solo migliorando la loro situazione il messaggio evangelico avrebbe potuto far presa su di loro (teologia della liberazione). Analogamente in Asia e Africa le direttive conciliari furono adattate alle esigenze locali: oltre alla lotta alla povertà, furono introdotti riti e simboli indigeni nella liturgia, e fu elaborato il criterio della “doppia fedeltà” (mantenere il proprio credo insieme alla fede cattolica). Secondo alcuni studiosi l’atteggiamento di fondo della chiesa non cambiò nella sostanza, mantenendosi fedele allo schema intransigente; altri invece sostengono che vi sia stato un vero rinnovamento post-conciliare. 15 Paolo VI tenne un atteggiamento ambiguo sul tema della dottrina sociale, sostenendo prima che la chiesa possedeva una visione globale dell’umanità, poi che ogni comunità cristiana doveva elaborare la propria a seconda della loro concreta situazione. Giovanni Paolo II reintrodusse la “dottrina sociale” della chiesa, proponendola come terza via in opposizione a liberalismo e socialismo. L’orientamento rimase quindi tradizionale, con la volontà pontificia di plasmare a sua immagine i diritti umani. Ambiguità rimase anche sul tema della pace: nonostante i tanti appelli ad essa, si rivendicava ancora la liceità della guerra di legittima difesa (creazione Giornata mondiale per la pace, 1967). Per Giovanni Paolo II l’uomo cerca la pace ma non può raggiungerla; egli auspicava la riunificazione delle chiese cristiane e la ricerca sugli “errori” della chiesa del passato. Nonostante importante innovazioni, la linea intransigente e la lotta alla secolarizzazione costituiscono ancora oggi gli obiettivi del magistero romano. PIO XII Gli ultimi anni del pontificato di Pio XII sono contrassegnati da un ripiegamento della Chiesa su se stessa e da un irrigidimento dal punto di vista dottrinale. Infatti: 1. dal ‘44 al ’52 non ci fu un Segretario di Stato; 2. nel ’54 la nomina del sostituto alla Segreteria di Stato, Mons. G.B. Montini ad arcivescovo di Milano, fu interpretata come un allontanamento dalla Curia Romana; 3. i contatti con i vescovi e le udienze con i responsabili della Curia si andarono sempre più rarefacendo fino alla completa eliminazione; All’inizio del suo pontificato, però, ci furono della aperture a livello dottrinale: 1. nel campo ecclesiologico, con l’enciclica Mystici corporis Christi, si rinnovava e superava il concetto post-tridentino della Chiesa vista come società perfetta; 2. nel campo esegetico, il papa incoraggiò lo studio della Bibbia con l’enciclica Divino Afflante Spiritu del ’43; 3. nel campo liturgico, il movimento di rinnovamento liturgico fu riconosciuto con l’enciclica Mediator Dei; 4. la proclamazione del dogma dell’assunta, nel 1950, costituì l’apoteosi del pontificato di Pio XII; A partire dagli anni ’50 gli interventi del papa nel campo dottrinale hanno un carattere punitivo: 1. la condanna della teologia francese con l’enciclica Humani Generis; 2. interdizione dei preti operai nel ’54. GIOVANNI XXIII e PAOLO VI Il successore di Pio XII fu il cardinale Patriarca di Venezia Angelo Giuseppe Roncalli, che prese il nome di Giovanni XXIII. Egli nacque a Sotto il Monte, provincia di Bergamo, da una famiglia contadina. Fu segretario del vescovo di Bergamo mons. Radini Tedeschi e dopo aver servito nell’esercito italiano, fu chiamato a Roma per assumere la direzione italiana dell’Opera per la Propaganda Fide e nel ’25 iniziò la carriera diplomatica presso la Santa Sede: 1. dal ’25 al ’35 visitatore apostolico in Bulgaria; 2. dal ’35 al ’44 delegato apostolico a Costantinopoli e in Grecia; 3. dal ’44 al ’53 nunzio apostolico a Parigi; 4. dal ’53 al ’58 Patriarca di Venezia Il pontificato di Giovanni XXIII (1958-63) segnò una svolta negli orientamenti del papato. La questione dei preti operai giunse a conclusione, fu ribadito l’uso del latino nella messa, ma soprattutto vi fu una presa di distanza dalle competizioni politiche. Abbandonando le tradizionali rivendicazioni di vantaggi e poteri accentuò il ruolo spirituale della chiesa; ricevette il primate anglicano e benedì gli ebrei (196062).Con l’enciclica “Pacem in terris” (1963) poneva fine al concetto di guerra giusta, dichiarandola improponibile nell’era atomica. L’evento più importante fu la convocazione del concilio Vaticano II (1959), nato per superare le nostalgie passatiste e creare una dottrina più “contemporanea”. Il papa agì in sintonia con il concilio, e così fece anche il suo successore Paolo VI; i mass-media seguirono con grande attenzione il concilio ed esercitarono pressione. Il concilio segnò alcune svolte significative: riconoscimento dei metodi critici nell’esegesi scientifica dei testi biblici e centralità della Scrittura nella vita ecclesiale; valore comunitario dell’azione liturgica tramite l’uso delle lingue volgari; integrazione della monarchia papale con la collegialità episcopale nel governo ecclesiastico; disimpegno dalla politica e fine del disegno ierocratico; riconoscimento dell’esistenza di valori positivi nelle altre religioni; libertà religiosa e fine dell’antisemitismo. I progressisti non furono soddisfatti dei risultati 16 ottenuti mentre gli integristi vedevano nel concilio una deviazione eretica della dottrina. Giovanni Paolo II sostenne che l’interpretazione giusta andava fatta alla luce della tradizione, e rafforzò gli aspetti tipicamente post-tridentini (canonizzazioni,devozioni,..). Il concilio diede la possibilità di una ricezione “personale” delle proprie direttive e per questo valorizzò le conferenze episcopali. Nel post-concilio si sviluppò una maggior articolazione dell’unica chiesa in una pluralità di chiese. Giovanni Paolo II Nell’America Latina con diverse conferenze episcopali (la prima nel 1968 a Medellin) furono condannate la rivoluzione e la dittatura, mentre fu promossa la condivisione della condizione dei poveri: solo migliorando la loro situazione il messaggio evangelico avrebbe potuto far presa su di loro (teologia della liberazione). Analogamente in Asia e Africa le direttive conciliari furono adattate alle esigenze locali: oltre alla lotta alla povertà, furono introdotti riti e simboli indigeni nella liturgia, e fu elaborato il criterio della “doppia fedeltà” (mantenere il proprio credo insieme alla fede cattolica). Secondo alcuni studiosi l’atteggiamento di fondo della chiesa non cambiò nella sostanza, mantenendosi fedele allo schema intransigente; altri invece sostengono che vi sia stato un vero rinnovamento post-conciliare. Paolo VI tenne un atteggiamento ambiguo sul tema della dottrina sociale, sostenendo prima che la chiesa possedeva una visione globale dell’umanità, poi che ogni comunità cristiana doveva elaborare la propria a seconda della loro concreta situazione. Giovanni Paolo II reintrodusse la “dottrina sociale” della chiesa, proponendola come terza via in opposizione a liberalismo e socialismo. L’orientamento rimase quindi tradizionale, con la volontà pontificia di plasmare a sua immagine i diritti umani. Ambiguità rimase anche sul tema della pace: nonostante i tanti appelli ad essa, si rivendicava ancora la liceità della guerra di legittima difesa (creazione Giornata mondiale per la pace, 1967). Per Giovanni Paolo II l’uomo cerca la pace ma non può raggiungerla; egli auspicava la riunificazione delle chiese cristiane e la ricerca sugli “errori” della chiesa del passato. Nonostante importante innovazioni, la linea intransigente e la lotta alla secolarizzazione costituiscono ancora oggi gli obiettivi del magistero romano. Parte terza - IL CONCILIO VATICANO II XIV. CONCILIO VATICANO II Tre mesi dopo la sua elezione al soglio pontificio, convocò il Concilio Ecumenico Vaticano II, idea non originale dal momento che il Concilio Vaticano I ,interrotto a causa della guerra franco-prussiana e della conquista di Roma da parte dell’esercito italiano, fu rimandato sine die. I successori di Pio IX avevano fatto dei progetti di ripresa, ma Pio XI che aveva avuto il parere favorevole di tutto l’episcopato, fu bloccato dalla situazione politica del suo tempo, oltre che dallo scoppio della 2° guerra mondiale, mentre Pio XII terminato il conflitto, affidò il compito di preparare il concilio al Santo Uffizio, ma per varie ragioni tra cui la sua età avanzata, il concilio preparato non fu neanche annunciato. I prodromi del concilio possono ricercarsi, probabilmente dall’esperienza di Giovanni XXIII come segretario di mons. Radini Tedeschi e dal suo contatto con le Chiese d’Oriente, come fu importate il fatto che nel ’57, dopo il suo ingresso a Venezia, convocò un sinodo locale. Addirittura alcune indiscrezioni riportano il fatto che, già durante il conclave si parlava di una convocazione di un concilio, anche se al suo annuncio il 25 gennaio del 1959 nella Basilica di s. Paolo fuori le mura, tutto l’episcopato riunito rimase impressionato. Anzi le domande che tutto il mondo cattolico si poneva erano: 1. se tale concilio sarebbe stato nuovo o una semplice ripresa del Vaticano I; 2. se si fosse tratta di un concilio di Unione delle Chiese Cristiane come quello di Firenze del 1439, o di un concilio solo cattolico; 3. se si fosse trattato di un concilio di condanna dopo la crisi modernista, sul modello del concilio di Trento, o di un concilio di riforma o di aggiornamento della Chiesa. Dopo l’annuncio del nuovo concilio non si aggiunse nessuna precisazione per almeno 4 mesi, fino a quando fu resa pubblica la decisione del papa di istituire una commissione ante-preparatoria, la cui presidenza fu affidata al cardinale Segretario di Stato Domenico Tardini, in quanto il papa voleva coinvolgere anche la Curia Romana, oltre che il Santo Uffizio, mentre il segretario di tale commissione, poi del concilio stesso, fu mons. Pericle Felici. Detta commissione aveva il compito di: 1. consultare l’episcopato per avere consigli e suggerimenti; 2. raccogliere le proposte formulate dai sacri Dicasteri della Curia Romana; 17 3. preparare il programma di cui trattare durante il concilio; 4. suggerire la composizione dei diversi organi conciliari (Commissioni, Segretariati, etc.). La commissione ante-preparatoria, durata dall’estate del ’59 all’estate del ’60, aveva l’incarico di preparare solo la consultazione dell’episcopato, dei Dicasteri della Curia e delle Facoltà Pontificie, con una lettera firmata dal cardinale Tardini, nella quale si chiedeva di esprimere con libertà e sincerità consigli e suggerimenti utili per la preparazione del concilio, e per non limitare questa libertà alla lettera non era allegato alcun questionario. Dalle risposte dei vescovi raggruppate in circa 2000 schede si può notare che: 1. ci fu un certo interesse verso il concilio dal momento che il 90% rispose alla lettera, mentre altri ne furono impossibilitati a causa delle condizioni politiche in cui vivevano; 2. il carattere conformista e individuale della maggior parte delle risposte, mentre solo tre furono le risposte collettive, fra cui i vescovi della Germania, che risposero con un Testo collettivo di tutti i vescovi tedeschi. Le risposte esponevano problemi più di disciplina che di pastorale e concordavano su tre argomenti: 1. definizione del ruolo del vescovo, cioè si chiedeva di precisare e allargare le prerogative del vescovo soprattutto in campo disciplinare, mentre altri chiedevano di rivalutare il ruolo del vescovo sul piano teologico, cercando in tal modo un completamento dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano I; 2. l’accelerazione della riforma liturgica: alcuni volevano delle riforme parziali e specifiche, altri invece, più profonde, che partendo dal Movimento della Riforma liturgica portasse non solo ad una riforma completa, ma anche all’introduzione della lingua volgare nella liturgia; 3. ripristino del diaconato permanente, visto come risposta alla crisi di vocazioni. In base alle risposte pervenute, i vescovi si possono raggruppare in tre gruppi: gruppo degli intransigenti (italiani, spagnoli, latino americani, polacchi, inglesi), che volevano perseguire e ridefinire l’opera iniziata col Concilio di Trento e proseguita col Concilio Vaticano I, cioè volevano che fosse affermata l’identità del cristiano cattolico e a tale scopo chiedevano: 1. la definizione di nuovi dogmi, soprattutto mariani; 2. la pronuncia di condanne sulla linea del Syllabus; gruppo dei riformisti (francesi, tedeschi, belgi, olandesi e vescovi cattolico/orientali), i quali volevano che il concilio rispondesse alle attese del mondo contemporaneo, comportando un aggiornamento della Chiesa, per quanto riguarda, ad esempio, l’ecumenismo, poi chiedevano: 1. la riforma dell’Indice; 2. la soppressione del giuramento antimodernista; 3. la modifica dei metodi del Santo Uffizio, per quanto riguarda il diritto di difesa dell’imputato durante il dibattimento; gruppo diversificato (Brasiliani, americani, africani, dell’Oceania), che fu il più attento ai bisogni del mondo circostante e alle problematiche proprie dei singoli popoli. La 2° fase preparatoria del concilio che va dagli anni ’60 ai ’62, fu avviata dallo stesso papa col motu proprio Super dei nutu del 5 giugno 1960. In tale fase si provvide alla costituzione delle 10 commissioni, che corrispondevano ai Dicasteri della Curia Romana: 1. commissione dei vescovi; 2. commissione della disciplina del clero e del popolo cristiano; 3. commissione dei religiosi; 4. commissione della disciplina e dei sacramenti; 5. commissione degli studi e dei seminari; 6. commissione per le missioni; 7. commissione per l’apostolato dei laici; 8. commissione per le Chiese orientali; 9. commissione per la liturgia; 10. commissione per la teologia. L’unico organismo innovativo fu il Segretariato per l’unità, elevato successivamente al rango di commissione, la cui presidenza fu affidata al cardinale Bea. La commissione più rappresentativa di tutte fu la Commissione Centrale presieduta dal Romano Pontefice, incaricata di stilare il regolamento del concilio e all’interno del quale ci furono 2 discussioni principali: 1. la lingua del concilio: l’enciclica Veterum sapientia, afferma che la lingua ufficiale della Chiesa e quindi del concilio, è il latino; 18 2. la votazione per l’approvazione dei documenti in aula: maggioritaria (1/2 dei votanti) o qualificata (2/3 dei votanti). Passata la sorpresa iniziale il concilio divenne un fatto esclusivamente romano, in quanto non era sentito dalla maggior parte dell’opinione pubblica cattolica, e i laici non furono associati alla preparazione del concilio, almeno fino alla sua apertura. Ma nonostante tutto, sia prima, sia durante la sua celebrazione, i vari lavori furono resi pubblici, grazie alla creazione di un Ufficio Stampa, alla pubblicazione di riviste, furono fatti degli studi, degli incontri, trasmissioni televisive, pubblicati vari libri. I membri effettivi dell’assemblea deliberativa oscillavano, a seconda delle sezioni e dei momenti, tra i 2000 e i 2200, tra cui vi erano delle diversità di età, di formazione, di responsabilità apostolica, di provenienza geografica. Fu un vero concilio universale, in quanto tutti i Paesi erano rappresentati, anche se i vescovi più numerosi erano italiani, ma ciò non significava che fosse più influente degli altri, in quanto, a differenza degli altri episcopati, non aveva esperienza di collegialità, dal momento che la CEI fondata da Pio XII nel 1952 raggruppava solo i presidenti delle conferenze regionali. Il funzionamento dell’assemblea richiedeva una politica di alleanze, cioè i diversi gruppi nazionali formarono dei gruppi internazionali per raggiungere il numero legale necessario per l’approvazione dei documenti. Si formarono gruppi linguistici, e gruppi dottrinali che furono essenzialmente 2: 1. gruppo della maggioranza riformista (80%) che raggruppava l’episcopato dell’Europa Occidentale, dell’Africa e dell’America Latina; 2. gruppo della minoranza antiriformista, che raggruppava alcuni vescovi spagnoli, italiani, filippini e dell’Europa Orientale. Accanto ai Padri conciliari parteciparono ai lavori: 1. i Periti, esperti ufficiali del concilio che avevano il diritto di assistere alla sedute conciliari; 2. i Teologi, esperti privati, cioè consiglieri personali dei singoli vescovi, erano soprattutto dei canonisti, il cui compito era: -elaborare e partecipare alla stesura degli schemi e alla rielaborazione dopo le sedute conciliari; -preparare gli interventi dei Padri in aula; -tenere le conferenze fuori delle aule conciliari; 3. gli Osservatori, rappresentanti delle diverse Chiese separate cristiane, parteciparono soprattutto quelle anglo/luterane: -il consiglio ecumenico delle Chiese mandò il teologo svizzero Lukas Vischer; -il Segretariato per l’unità dei cristiani, mandò tre osservatori: 2 della comunità di Taizé, Roger Schutz e Max Thurian e il noto teologo protestante Oscar Cullmann. Gli Uditori laici, assenti sia durante la fase preparatoria che durante la 1° sessione, con la sola eccezione del filosofo francese J. Guitton, invitato come ospite dal papa. Alla seconda sessione Paolo VI nei invitò 13 particolarmente qualificati, scelti tra le organizzazioni internazionali cattoliche. A partire dalla 3° sessione, ci furono anche 15 donne, 7 laiche e 8 religiose. Alla vigilia del concilio, la Chiesa cattolica non aveva rapporti ufficiali con le altre Chiese cristiane perché: 1. non aveva partecipato alla creazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese Cristiane con sede in Ginevra; 2. rifiutava la parola ecumenismo, in quanto si riteneva l’unica Chiesa fondata da Gesù Cristo, anzi auspicava un ritorno delle altre chiese nell’unica Chiesa di Cristo; 3. papa Pio XI con l’enciclica Mortalium animos del 1928, condannò l’ecumenismo, definendo i cristiani di quelle chiese “pancristiani”. Ma Giovanni XXIII mostrò la sua indole ecumenica, aprendo i lavori del concilio alla partecipazione di osservatori non cattolici: 1. le Chiese ortodosse, tranne quella russa, manifestarono di essere disponibili al dialogo col nuovo papa e alla sua iniziativa di convocare un nuovo concilio ecumenico. Ma mentre il patriarca Atenagora era favorevole all’invio di una delegazione delle Chiese ortodosse al concilio, il patriarca di Mosca esprimeva la sua ostilità a causa del regime sovietico a cui era soggetta e poi perché temeva che il concilio avrebbe confermata la condanna del comunismo ateo. 2. La svolta si ebbe nel ’62 quando il patriarca di Mosca decise di mandare 2 osservatori col beneplacito del governo russo, cosa che sorprese le altre chiese ortodosse, al punto che gli osservatori russi furono gli unici ortodossi durante le prime due sessioni del concilio. Il concilio conta di 4 sessioni e 3 intersessioni: 19 I sessione (ottobre-dicembre 1962), fu segnata da diversi eventi: 1. il discorso di apertura del papa, che fu bene accolto da tutti perché conteneva un atteggiamento innovatore del papato; 2. le commissioni conciliari furono approvate con tre giorni di ritardo, perché i Padri conciliari volevano conoscere prima i membri, per non nominare persone già scelte da altri; 3. il messaggio al mondo, che aveva lo scopo di manifestare l’interesse del concilio per i grandi problemi dell’umanità; Durante questa I sessione ci furono grandi dibattiti sui seguenti argomenti: 1. lo schema della liturgia; 2. le due fonti della Rivelazione; 3. lo schema della Chiesa; Ma la sessione si concluse senza l’approvazione di alcun documento. XV. I documenti del Concilio Vaticano II LE QUATTRO COSTITUZIONI CONCILIARI Costituzione « Sacrosanctum Concilium » sulla sacra Liturgia. Costituzione Dogmatica « Lumen Gentium » sulla Chiesa. Costituzione Dogmatica « Dei Verbum » sulla Divina Rivelazione. Costituzione Pastorale « Gaudium et Spes » sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. I NOVE DECRETI CONCILIARI Decreto Conciliare « Inter Mirifica » sugli strumenti della comunicazione sociale. Decreto Conciliare « Orientalium Ecclesiarum » sulle Chiese Orientali Cattoliche. Decreto Conciliare « Unitatis Redintegratio » sull'Ecumenismo. Decreto Conciliare « Christus Dominus » sull'Ufficio pastorale dei vescovi. Decreto Conciliare « Perfectæ caritatis » sulla vita religiosa. Decreto Conciliare « Optatam totius » sulla formazione sacerdotale. Decreto Conciliare « Apostolicam actuositatem » sull'apostolato dei laic. Decreto Conciliare « Ad Gentes » sull'attività missionaria della Chiesa. Decreto Conciliare « Presbiterorum Ordinis » sul ministero e la vita sacerdotale. LE TRE DICHIARAZIONI CONCILIARI Dichiarazione Conciliare « Gravissimum educationis » sull'educazione cristiana. Dichiarazione Conciliare « Nostra Ætate » sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Dichiarazione Conciliare « Dignitatis humanæ » sulla libertà religiosa. XVI. SINTESI DEI DOCUMENTI DEL CONCILIO: LE QUATTRO COSTITUZIONI CONCILIARI La Costituzione dogmatica sulla Chiesa Questo documento, il più solenne di tutto il Concilio, comincia con le parole «Lumen gentium» (luce dei popoli). Il primo capitolo parla del mistero della Chiesa che «è, nel Cristo, in qualche modo il sacramento, vale a dire il segno e il mezzo dell’unione intima con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». Dopo questo primo capitolo che delinea la relazione della Chiesa con Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, il secondo capitolo presenta la Chiesa come il Popolo di Dio, costituito dal Battesimo e di cui il capo è Cristo, in cammino attraverso la storia e destinato a riunire tutti gli uomini. Questo capitolo ricorda i legami tra la Chiesa e i Cristiani non cattolici, i suoi rapporti con i noncristiani e afferma il carattere missionario del Popolo di Dio. La Costituzione dogmatica sulla Rivelazione Come ha detto il Cardinale Florit, arcivescovo di Firenze, questo testo che comincia con le parole «Dei Verbum» (la Parola di Dio), si inserisce «nel cuore del mistero della Chiesa ed è all’epicentro del problema dell’ecumenismo». Dio ha parlato agli uomini. Il Cristo, Parola (Verbo) di Dio, per cui tutto è stato creato, è la pienezza della Rivelazione. La Costituzione mostra come nella Sacra Scrittura si trovi la Parola di Dio fissata per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, mentre la Parola di Dio, confidata da Cristo agli Apostoli, .è trasmessa integralmente dalla Tradizione ai successori degli apostoli. 20 La Gerarchia ha il compito d’interpretare autenticamente la Parola di Dio. La Costituzione sottolinea il ruolo fondamentale che deve avere la Sacra Scrittura in tutta la vita della Chiesa. La Costituzione sulla Sacra Liturgia Questo testo lo si conosce dai suoi effetti, dato che la riforma della liturgia latina è in via di realizzazione in tutti i paesi del mondo. La Costituzione si è limitata a fissare le linee direttive della riforma, la cui esecuzione è stata affidata in larga misura alle Conferenze episcopali (si tratta della prima attribuzione di una competenza giuridica data alle Conferenze Episcopali da parte del Concilio). Il primo capitolo di questa Costituzione (accettata nella sua sostanza già dalla prima Sessione, il 7 dicembre 1962, con 1922 placet, 11 non placet e 180 placet juxta modum) fissa i principii generali della riforma e presenta un carattere dottrinale. Fa vedere come la liturgia è «il vertice verso cui tende l’azione della Chiesa, e nel medesimo tempo la sorgente da cui scaturisce la sua forza». Il capitolo fissa dottrinalmente la partecipazione attiva dei laici, mentre sviluppa chiara la nozione di Popolo di Dio, in mezzo al quale la Gerarchia ha una funzione di servizio come ha precisato in seguito la Costituzione dogmatica sulla Chiesa. La Costituzione sulla Chiesa nel mondo del nostro tempo Questa Costituzione, di cui è stata fatta la promulgazione oggi 1 dicembre, si compone di una prima parte sulla vocazione dell’uomo, e di una seconda su alcuni problemi più urgenti. Un’introduzione descrive dapprima la condizione del mondo attuale, con le sue trasformazioni profonde, le sue speranze e le sue angosce. La Chiesa vuole captare tutto quanto è segno della presenza e della volontà di Dio negli avvenimenti, nelle esigenze e aspirazioni degli uomini. Essa vuole giudicare alla luce della fede i valori ai quali gli uomini di oggi credono; questi valori essa li vuole riallacciare alla loro sorgente, che è Dio, ciò che comporta il raddrizzamento delle deviazioni causate dal peccato. PARTE QUARTA BREVE STORIA DELLA DIOCESI E DELLA PARROCCHIA XVII. STORIA DELLA DIOCESI La diocesi (in latino dioecesis, dal greco διοίκησις, cioè "amministrazione") è stata dapprima una suddivisione amministrativa dell‘ Impero romano; in seguito e fino ai nostri giorni è una suddivisione di diverse Chiese cristiane. Nel cristianesimo La diocesi è, nella Chiesa cattolica e nelle altre chiese di ordinamento episcopale, una porzione della comunità cristiana delimitata in maniera territoriale e affidata al governo pastorale di un vescovo. Dottrina e prassi cattolica Definizione. Il Concilio Vaticano II spiega: « La diocesi è una porzione del popolo di Dio, affidata alle cure pastorali del vescovo, coadiuvato dai suoi presbiteri, in modo che, aderendo al proprio Pastore, e, per mezzo del Vangelo e della SS. Eucaristia, unita nello Spirito Santo, costituisca una Chiesa particolare, nella quale è presente e opera la Chiesa di Cristo, Una, Santa, Cattolica e apostolica » Collaboratori del vescovo Per le diocesi più grandi il vescovo è aiutato da uno o più vescovi ausiliari. Una diocesi ha normalmente un vicario generale, il quale, dove non c'è vescovo ausiliare, è il primo collaboratore del vescovo e ne fa le veci in sua assenza. In ogni diocesi ci possono essere vari vicari episcopali, ai quali il vescovo affida l'animazione e coordinazione di alcuni aspetti particolari: pastorale, vita religiosa, evangelizzazione, ecc. La figura del vicario giudiziale è prescritta dal Codice di Diritto Canonico, quale coordinatore dei tribunali diocesani. I presbiteri condividono con il vescovo la cura pastorale del popolo di Dio, nel servizio parrocchiale o negli organismi diocesani. I diaconi sono collaboratori del vescovo nell'annunziare la Parola di Dio, nell'amministrazione di alcuni sacramenti e nell'amministrare la carità. Organismi diocesani 21 Il vescovo, che è il pastore proprio di una diocesi, è coadiuvato nella sua funzione pastorale da vari organismi, che sono espressione della natura comunionale della Chiesa: 1. Il consiglio pastorale diocesano è un organo consultivo insieme al quale il vescovo traccia le linee fondamentali della pastorale diocesana. 2. Il consiglio presbiterale è eletto dai presbiteri della diocesi ed assiste il vescovo in vari aspetti più specifici della pastorale diocesana. Il Codice di diritto canonico prescrive per quali decisioni il vescovo deve prima consultare il consiglio presbiterale. 3. La curia diocesana è l'insieme delle commissioni diocesane, degli uffici e delle persone che collaborano con il vescovo nella pastorale e nella guida di tutta la diocesi. 4. Il tribunale diocesano, prescritto dal Codice di Diritto Canonico, che oggi segue in massima parte le cause di nullità matrimoniale, prima che esse passino all'eventuale esame del Tribunale della Rota Romana. 5. Il capitolo cattedrale è il collegio dei sacerdoti addetti al culto nella cattedrale. 6. La Caritas diocesana educa la comunità cristiana ai valori della carità evangelica vissuti sia a livello locale che a livello globale e coordina le attività caritative della diocesi. XVIII. Parrocchia nella Chiesa cattolica « La parrocchia è una determinata comunità di fedeli che viene costituita stabilmente nell'ambito di una Chiesa particolare, e la cui cura pastorale è affidata, sotto l'autorità del Vescovo diocesano, ad un parroco quale suo proprio pastore. Spetta unicamente al Vescovo diocesano erigere, sopprimere o modificare le parrocchie; egli non le eriga, non le sopprima e non le modifichi in modo rilevante senza aver sentito il consiglio presbiterale. La parrocchia eretta legittimamente gode di personalità giuridica per il diritto stesso. » (Codice di diritto canonico [CDC], can. 515)Centro della vita di una parrocchia è la celebrazione dell'Eucaristia domenicale, dove tutta la comunità cristiana di quel territorio si riunisce per ascoltare la Parola di Dio, lodare Dio e spezzare il pane. In seguito a un numero diversissimo di fattori, una parrocchia può avere un numero di abitanti molto basso (alcune centinaia di cattolici o meno), fino a comprendere il territorio di una piccola città: in America Latina esistono parrocchie che possono avere centomila abitanti, e che di fatto sono più grosse di intere diocesi di altri paesi. Parrocchia: etimologia Il termine deriva dal latino medioevale paroechia, a sua volta calco dal greco παρоικια (=aggregato di case, vicinato); il lemma si ritrova nelle Scritture col significato di soggiorno temporaneo in terra straniera, riflettendo uno stadio in cui la comunità non era organizzata. Il termine cominciò a venire impiegato nel III secolo col significato attuale di diocesi, poi nel IV secolo con quello moderno di suddivisione di una diocesi. Secondo quanto possiamo leggere nelle note e commenti della Bibbia di Gerusalemme, ed. 1973,alla 1.a lettera di Pietro versetto 1.1, il termine deriva da paroikia, ovvero esilio. Il verbo greco PARAOIKEO significa sia “abitare accanto”, sia “abitare come forestieri” in una città; con questo significato appare nei primi documenti cristiani e indica la comunità locale (I lettera di Clemente Romano ai Corinti, fine I sec.). Fino al III secolo il termine comporta il duplice significato di assemblea locale e di estraneità nei confornti del mondo (valenza escatologica); Origene in Contra Celsum, III, 29 afferma che la chiesa di Cristo, in paragone agli assembramenti dei popoli fra cui dimorano (paroikein) sono come fari nel mondo. nella seconda metà del IV secolo, la parola paroecia si riduce a un valore puramente amministrativo e indica la diocesi; nel VI secolo essa è sinonima di diocesis. Dal VI secolo in poi la parola ‘parrocchia’ acquisisce il significato attuale (cfr. C. Dillenschneinder, Il parroco e la sua parrocchia, Bologna, 1966, pp. 15 – 17). come si vede il termine originariamente aveva un profondo significato teologico, che però scompare quando viene usato in campo amministrativo. Parrocchia: storia La parrocchia è sicuramente la struttura più significativa nella vita del credente: è nella parrocchia che uno celebra i momenti più importanti dell’esistenza (nascita, matrimonio, morte), è nella parrocchia che si trovano i preti quando se ne ha bisogno, è nell’oratorio che si trascorrono gli anni dell’infanzia, è in chiesa che avviene (settimanalmente) l’incontro con il Cristo nella Parola e nell’Eucaristia. Nel contempo l’istituzione parrocchiale in questi ultimi decenni sembra perdere terreno: diminuisce la frequenza ai sacramenti, la cristianizzazione si diffonde sempre più, la vita si svolge in luoghi (scuola, 22 fabbrica, …) lontani dal campanile; la vita stessa di fede avviene lontano dalla parrocchia o comunque non seguendo la comune divisione territoriale. Cercheremo ora di riproporre la storia dell’istituzione ‘parrocchia’ per ricavarne alcuni principi teologici. Le parrocchie come decentramento delle diocesi apparvero già sul finire del IV secolo, soprattutto nel Nord – Italia in quanto la diffusione del cristianesimo in ambiente rurale non permetteva a tutti i fedeli di recarsi presso la chiesa cattedrale (nel centro urbano) e quindi si redenta necessaria l’istituzione di altri luoghi di culto decentrati. Queste chiese, chiamate pievi, avevano anche facoltà di battezzare (erano anche chiamate chiese battesimali). possedevano un loro cimitero e il diritto di esigere decime dai fedeli; questo processo di espansione del cristianesimo lontano dalle città continuerà fino al 1100 (soprattutto nelle vallate alpine). Nel Meridione invece non abbiamo questo fenomeno a causa sia dell’esistenza di molte città romane e quindi di molte sedi episcopali, sia della poca diffusione del messaggio cristiano in ambito rurale. Nel periodo feudale assistiamo a un progressivo inglobamento della struttura parrocchiale nel rigido sistema economico con l’istituzione da parte di privati di cappelle dipendenti dalla pieve, in alcuni case avevano un proprio reggente, vi veniva celebrata la messa nelle festività minori, ma non avevano sotto di sé una porzione del territorio plebano. Nel momento in cui queste chiese erano fondate da un privato (laico, feudatario, chierico), egli accampava diritti di proprietà non solo sugli edifici e sulle terre beneficiali, ma cercava di usurpare le funzioni ecclesiastiche della chiesa battesimale con le relative rendite. Inoltre dal secolo X i vescovi cedettero in feudo molte pievi ai loro vassalli, comprese terre e rendite, in cambio dell’impegno di provvedere al sostentamento del clero ivi in cura d’anima. Originariamente le prime comunità cristiane affidavano tutta la liturgia ad un vescovo, che risiedeva in una città. Al di fuori delle sede vescovili non esistevano chiese, fino a quando nel IV secolo le comunità cristiane rurali non divennero tanto numerose da richiedere la residenza permanente di un membro del clero. Nel 320 il Concilio di Neocesarea parla dei corepiscopi, presbiteri e vescovi rurali. Inizialmente le comunità rurali erano sotto la diretta amministrazione del vescovo, ma in Oriente il Concilio di Calcedonia (451) prescrive un'amministrazione distinta. In Occidente il processo di creazione delle parrocchie fu più lungo e graduale. Dal IV al VI secolo furono erette chiese rurali dapprima nei villaggi, poi anche nei latifondi ecclesiastici e privati. Uno o più sacerdoti risiedevano presso la chiesa. In principio l'amministrazione pastorale e patrimoniale delle chiese rurali era di competenza del vescovo, le parrocchie non avevano confini ben definiti. Nel VI e VII secolo i concili provinciali fanno menzione di ecclesia rusticana o parochitana e infine di parochia. Gradualmente l'amministrazione è affidata ai sacerdoti residenti, che possono ricevere direttamente donazioni e legati dai fedeli. Conseguentemente il sacerdote residente diviene beneficiario delle rendite della parrocchia. Oltre alle chiese parrocchiali vengono erette anche chiese secondarie, cappelle e oratori, che restano però sotto la dipendenza della parrocchia. Questo vincolo di dipendenza è sottolineato dal diritto delle chiese parrocchiali di amministrare il battesimo, in ragione del quale i fedeli sono tenuti a ricevere i sacramenti e a pagare le decime alla chiesa del proprio battesimo. A partire dall'VIII secolo le campagne circostanti le parrocchie vengono assegnate come territorio proprio della parrocchia, che assume così confini certi. Verso l'XI-XII secolo la parrocchia rurale diviene il centro della vita cristiana della comunità e accanto alle chiese sorgono spesso scuole e istituti di carità. Si può dire che la parrocchia si sia conservata inalterata da allora. Le parrocchie urbane invece si svilupparono più lentamente a partire dall'XI secolo, perché la chiesa cattedrale rimase a lungo l'unica parrocchia della città sede del vescovo. A Roma tuttavia alcune delle funzioni parrocchiali furono svolte dai titoli e dalle chiese cimiteriali, già a partire dal IV secolo. Fu con la riforma gregoriana (sec. X) che si contrastò tale fenomeno condannando il possesso da parte di laici di istituzioni ecclesiastiche e promovendo una riforma della vita del clero favorendo fra l’altro la vita comune dei chierici sotto una regola canonicale presso le pievi; queste comunità dovevano raccogliere tutti i ministri officianti nelle cappelle. Dal secolo XII la struttura parrocchiale tese a delinearsi maggiormente: le cappelle rurali assunsero man mano le funzioni di cura d’anime fra cui la possibilità di avere il cimitero e di riscuotere le decime, mentre dovettero attendere fino al XIV secolo la facoltà di amministrare il battesimo; in città invece si assistette a una frantumazione del territorio cittadino in varie parrocchie, lasciando però la facoltà di battezzare alla chiesa cattedrale. Questi sviluppi ebbero come conseguenza un declino delle pievi a favore delle parrocchie che si rendevano sempre più autonome rispetto alle stesse pievi. Le cause di questo processo iniziatosi sul principio del XII secolo furono molteplici; ne ravvisiamo alcune: declino della vita comunitaria a causa della divisione delle rendite della comunità canonicale in prebende individuali; la nascita degli ordini mendicanti (sec. XIII), che non legavano i singoli religiosi a un luogo, ma permettevano loro una cura d’anime ‘itinerante’; uno sconvolgimento delle millenarie strutture sociali: 23 trasferimento dell’asse dalla campagna alla città e spostamento dalle vie di comunicazione (rivoluzione stradale = fine sec. XIII). Essa venne definita come una porzione determinata della diocesi dotata di una chiesa propria, con una precisa popolazione e affidata alla cura di un proprio pastore. la parrocchia doveva avere dei confini precisi; bisognava che essa non fosse troppo grande perché il parroco potesse conoscere i suoi parrocchiani. Nella realtà contemporanea la situazione è rimasta eguale a quella di Trento; il vigente Codice di Diritto canonico predica infatti al can. 216, par. I:”Territorium cuiuslibet diocesis dividatur in distinctas partes territoriales; unicuique autem parti sua peculiaris ecclesia cum populo determinato est assignanda, suusque peculiaris rector, tamquam proprius eiusdem pastor, est perfigiendus pro necessaria animarum cura”. Da questo breve excursus storico possiamo notare come la parrocchia nel corso della storai della chiesa si sia trasformata (in bene o in male) secondo il mutare del contesto sociale: possiamo dire che la storia della parrocchia rifletta la storia della chiesa; la struttura parrocchiale è una comunità in movimento, in continua ri – creazione; è una struttura dinamica e pluriforme (cfr. A. Mazzoleni, L’evangelizzazione nella comunità parrocchiale, Alba, 1973, p. 63). Viene pertanto da chiedersi: l’attuale struttura parrocchiale è adeguata all’attuale società, così diversificata, pluralista, in continua trasformazione? Cercheremo di rispondere con le riflessioni seguenti. Il Concilio di Trento sancisce l'erezione delle parrocchie nelle diocesi che ne erano ancora sprovviste. Tuttavia, la numerosità delle parrocchie è tuttora molto differente a seconda delle aree geografiche. Nei territori dell'Impero austriaco ad esempio la densità delle parrocchie fu notevolmente incrementata durante l'epoca del giuseppinismo, in cui i benefici ecclesiastici furono ridistribuiti da provvedimenti governativi per avvantaggiare la pastorale. Anche in Italia la suddivisione in parrocchie aveva evidenti disparità, almeno fino all'Ottocento. Alcune diocesi, anche estese, costituivano un'unica parrocchia e il vescovo era l'unico parroco. L'arcidiocesi di Catania riuscì a salvarsi dall'incameramento dei beni della mensa arcivescovile previsto dalla legge n° 3838 del 1867 dimostrando che l'arcivescovo era appunto l'unico parroco dell'arcidiocesi e che i beni erano quindi annessi alla cura d'anime. La stessa cosa avvenne per la diocesi di Cefalù. Soggetti attivi nella parrocchia La parrocchia è una comunità di fedeli, ovvero una circoscrizione ecclesiastica dove il vescovo invia un suo presbitero per la cura delle anime che in quel territorio si trovano, in un'ottica di evangelizzazione e di attività pastorale. Durante i lavori preparatori per la stesura del nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983, l'espressione comunità di fedeli si preferì a quella utilizzata nel codice Pio-Benedettino del 1917, porzione del popolo di Dio, perché il termine porzione esprime più un fatto fisico, statico, che, invece, nel caso di comunità di fedeli significherebbe una dinamica interazione tra più persone unite come un'unica famiglia di Dio sotto un pastore. Tale concetto viene espresso bene nel documento conciliare del Vaticano II Lumen Gentium al n° 28. Essa è determinata, ossia è costituita da tutti i fedeli in un determinato territorio. Ed è resa stabile in quanto collocata all'interno di una Chiesa Particolare. Quest'ultima è principalmente una Diocesi. La parrocchia è costituita tale, ossia è eretta, dal Vescovo diocesano attraverso un decreto, detto appunto decreto d'erezione, nel quale vengono indicati i confini territoriali che saranno all'interno della propria Diocesi. Nel caso dell'Italia la circoscrizione delle parrocchie è determinata dall'autorità ecclesiastica. L'atto di erezione legittimamente compiuto rende la parrocchia personalità giuridica ecclesiastica pubblica. La comunità dei fedeli, cioè la parrocchia, da quel momento diventa soggetto di diritti e doveri. Ogni parrocchia è affidata alle cure pastorali di un parroco, la cui nomina è condizionata da alcuni principi che vengono regolati direttamente dal Codice di Diritto Canonico. I requisiti fondamentali sono: essere nella comunione della Chiesa; essere sacerdote; non essere una persona giuridica; si deve distinguere per sana dottrina e onestà di costumi, dotato di zelo per il prossimo. Il parroco può essere aiutato da uno o più vicari parrocchiali, che, in maniera subordinata, condividono le stesse responsabilità del parroco. Ci possono essere anche uno o più collaboratori parrocchiali, che collaborano alla celebrazione dell'Eucaristia, all'amministrazione del sacramento della riconciliazione, alla visita e all'unzione degli infermi. Sia i vicari parrocchiali che gli aiuti pastorali devono essere anch'essi presbiteri. Organismi comunionali della parrocchia Il Codice di Diritto Canonico prevede che in ogni parrocchia il parroco sia coadiuvato e assistito da: 24 1. Il Consiglio Pastorale Parrocchiale (CPP), i cui membri sono nominati dal parroco a seguito di una consultazione pubblica fra parrocchiani che sono chiamati ad esprimere con il voto i loro candidati al CPP,sono quindi scelti dalla comunità parrocchiale tenendo conto dei criteri fondamentali per far parte di un CPP che sono: siano persone aperte al cammino di fede, condividano la vita della comunità, abbiano compiuto 18 anni d'età(cfr.Statuti,art.1 e 5). Ha la funzione di aiutare il parroco nel discernimento pastorale, cioè nel formulare e portare avanti le grandi linee della pastorale parrocchiale. In genere è composto da 5 fino a 20 membri. A norma del CDC (can. 536) ha soltanto voto consultivo. Dura in carica 5 anni. 2. Il Consiglio Parrocchiale per la Gestione Economica (CPGE), anch'esso nominato dal parroco su suggerimento dei membri del consiglio pastorale, e dopo l'approvazione da parte del Vescovo . Aiuta il parroco nell'amministrazione dei beni della parrocchia. Dura in carica 5 anni. Il parroco presidente, designa un suo rappresentante al CPGE, inoltre può scegliere una persona esterna che funga da segretario. Il parroco può affidare a singoli consiglieri deleghe particolari per facilitare l'azione del consiglio stesso. Funzioni e attività della parrocchia Nelle parrocchie si conservano i documenti dell'"anagrafe ecclesiastica": atti di battesimo, atti di confermazione (non in tutte le diocesi: in alcune sono conservati nel vescovado), atti di matrimonio, atti di morte. Inoltre, la parrocchia è tipicamente il motore dell'attività pastorale nel suo territorio. In essa si porta avanti: La pastorale di primo annuncio (kerigma) a quelli che sono lontani dalla chiesa. La catechesi in preparazione ai sacramenti dell'iniziazione cristiana: battesimo, riconciliazione, confermazione, prima comunione. La pastorale dei bambini e dei ragazzi, ad esempio con attività organizzate dall'Azione Cattolica Ragazzi o con lo scautismo. La pastorale degli adolescenti e dei giovani. I corsi di preparazione al matrimonio. La pastorale delle famiglie. La formazione permanente degli adulti. La pastorale della terza età. La pastorale sociale in conformità alla Dottrina Sociale della Chiesa. La pastorale della carità, della quale è promotrice la Caritas parrocchiale. L'attenzione pastorale ai malati, e in particolare ai morenti, e la celebrazione dell'unzione degli infermi. Il coordinamento e la promozione dei gruppi, associazioni e movimenti presenti in parrocchia. In molte parrocchie si realizza la benedizione delle famiglie, tramite la quale il parroco ha anche la possibilità di conoscere capillarmente i suoi parrocchiani. Parrocchie e religiosi. Il vescovo diocesano può affidare una parrocchia ad un istituto religioso, a tempo determinato o indeterminato, stipulando una convenzione. Parrocchia: il problema dei gruppi spontanei e delle comunità d’ambiente La mobilità della popolazione facilita il formarsi di punti di aggregazione che hanno un raggio d’influenza a carattere cittadino (se non più ampio) e che permettono il formarsi di legami che attirano gli abitanti fuori del quartiere e quindi dalla parrocchia. Inoltre la vita in scuola, in fabbrica, in ufficio ecc. favorisce il sorgere di amicizie, di relazioni, di domande che interpellano la propria fede, di problemi che richiedono una risposta che parta dalla propria visione della realtà, quella della fede: di questi ambiti la parrocchia il più delle volte non è in gradoni fornire un aiuto. È proprio in questi luoghi e per rispondere a quesiti interrogativi che sono sorti i movimenti ecclesiali (movimento dei focolari, comunione e liberazione, rinnovamento nello spirito, …). queste esperienze, sorte non in contrasto con la parrocchia, hanno però generato sovente dei punti di frizione. L’ambito parrocchiale resta comunque il punto di riferimento di tutta l’organizzazione ecclesiale, cui il cristiano finisce con l’approdare per educare i suoi figli e per animare la vita del quartiere, ambiente non più esclusivo, ma comunque dominante: i movimenti hanno il grande ruolo di suscitare una presenza missionaria in ambiti nei quali la parrocchia non può arrivare. PARTE QUINTA LA STORIA DELLA DIOCESI DI NICOSIA XIX. Storia della nostra diocesi La diocesi di Nicosia (in latino: Dioecesis Nicosiensis o Herbitensis) è una sede della Chiesa cattolica suffraganea dell'arcidiocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela appartenente alla regione ecclesiastica Sicilia. Nel 2004 contava 81.250 battezzati su 81.500 abitanti. È attualmente retta dal vescovo Salvatore Muratore. 25 Territorio La diocesi, situata nella Sicilia centrale, comprende 12 dei 20 comuni della provincia di Enna: Agira, Assoro (con la frazione di San Giorgio), Catenanuova, Centuripe, Cerami, Gagliano Castelferrato, Leonforte, Nicosia (con la frazione di Villadoro), Nissoria, Regalbuto, Sperlinga, Troina. Sede vescovile è la città di Nicosia, dove si trova la cattedrale di San Nicola di Bari. Il territorio è suddiviso in 40 parrocchie. La diocesi è stata eretta da papa Pio VII con la bolla Superaddita diei del 17 marzo 1816, ricavandone il territorio dall'arcidiocesi di Messina (oggi arcidiocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela), di cui divenne suffraganea. La nuova circoscrizione faceva parte del piano di ampliamento delle diocesi in Sicilia, attuato per mandare in diverse regioni sapienti presuli e pastori, i quali, fermi come muri della casa del Signore, a tanta varietà di dottrina oppongano gl'incrollabili doni di nostra fede. Mons. Agostino Felice Addeo, vescovo di Nicosia, presentando ai presbiteri diocesani il nuovo Codice di diritto canonico, nel centenario del vescovado, scrisse: «Il Re Ferdinando I volle che, questo popolo a lui soggetto e devoto, fosse ben istruito e fortificato nella credenza di Dio, a Lui inclinato ad amarlo e servirlo nell'osservanza della sua legge e nella pratica dei suoi sacramenti. E perciò rivolse al Pontefice Papa Pio VII supplichevoli preci per aumentare il numero dei Vescovadi nella Sicilia. E così per desiderio del Re e volere del Pontefice, sorse la novella Diocesi, si eresse in Episcopato la città, e cento anni di benedizione passarono su questo popolo, che ha saputo scegliere Dio per suo Signore». Il 25 maggio 1844 cedette Marianopoli e Resuttano a vantaggio dell'erezione della diocesi di Caltanissetta. Cronotassi dei Vescovi della Diocesi di Nicosia 1. Gaetano Maria Avarna † (26 giugno 1818 - 1841 deceduto) 2. Rosario Vincenzo Benza † (25 luglio 1844 - 1847 deceduto) 3. Camillo Milana † (17 febbraio 1851 - 6 settembre 1858 deceduto) 4. Melchiorre Lo Piccolo † (23 dicembre 1858 - 8 maggio 1881 deceduto) 5. Bernardo Cozzucli † (18 novembre 1881 - 3 novembre 1902 deceduto) 6. Ferdinando Fiandaca † (22 giugno 1903 - 10 aprile 1912 nominato vescovo di Patti) 7. Agostino Felice Addeo, O.S.A. † (15 maggio 1913 - 1º luglio 1942 dimesso) 8. Pio Giardina † (8 agosto 1942 - 18 febbraio 1953 deceduto) 9. Clemente Gaddi † (24 giugno 1953 - 21 luglio 1962 nominato arcivescovo coadiutore di Siracusa) 10. Costantino Trapani, O.F.M. † (4 ottobre 1962 - 29 ottobre 1976 nominato vescovo di Mazara del Vallo) 11. Salvatore Di Salvo † (20 dicembre 1976 - 9 aprile 1984 dimesso) 12. Pio Vittorio Vigo (7 marzo 1985 - 24 maggio 1997 nominato arcivescovo di Monreale) 13. Salvatore Pappalardo (5 febbraio 1998 - 12 settembre 2008 nominato arcivescovo di Siracusa) 14. Salvatore Muratore, dal 22 gennaio 2009 ad oggi. Diocesi di Nicosia: dati dall’ Annuario Pontificio 2009 Santo Patrono San Nicola di Bari (patrono della diocesi e titolare della chiesa cattedrale) Santi originari della diocesi 1. San Filippo d'Agira 2. San Silvestro da Troina 3. San Felice da Nicosia (compatrono) 4. San Luca Casali da Nicosia Statistiche La diocesi al termine dell'anno 2004 su una popolazione di 81.500 persone contava 81.250 battezzati, corrispondenti al 99,7% del totale. Superficie 1.475 km² in Italia. Paesi: 12. Vescovo Salvatore Muratore. Vicario Santo Antonino Proto. Sacerdoti 65 di cui 61 secolari e 4 regolari: 1.231 battezzati per sacerdote. Religiosi 12 uomini, 61 donne. 26 Diaconi 7 permanenti. Parrocchie 40 (4 vicariati). Erezione 17 marzo 1816. Rito romano. Cattedrale San Nicola di Bari. Indirizzo: Largo Duomo, 10 - 94014 Nicosia (Enna) Italia. Sito web www.diocesinicosia.it. PARTE SESTA LISTA DEI PAPI DAL 1566 AL 2013 XX. LISTA DEI PAPI DAL 1566 AL 2013 225 San Pio V 1566 - 1572 226 Gregorio XIII 1572 - 1585 227 Sisto V 1585 - 1590 228 Urbano VII 1590 - 1590 229 Gregorio XIV 1590 - 1591 230 Innocenzo IX 1591 231 Clemente VIII 1592 - 1605 232 Leone XI 1605 - 1605 233 Paolo V 1605 - 1621 234 Gregorio XV 1621 - 1623 235 Urbano VIII 1623 - 1644 236 Innocenzo X 1644 - 1655 237 Alessandro VII 1655 - 1667 238 Clemente IX 1667 - 1669 239 Clemente X 1670 - 1676 240 Beato Innocenzo XI 1676 - 1689 241 Alessandro VIII 1689 - 1691 242 Innocenzo XII 1691 - 1700 243 Clemente XI 1700 – 1721 244 Innocenzo XIII 1721 – 1724 245 Benedetto XIII 1724 - 1730 246 Clemente XII 1730 - 1740 247 Benedetto XIV 1740 - 1758 248 Clemente XIII 1758 - 1769 249 Clemente XIV 1769 - 1774 250 Pio VI 1775 – 1799 251 Pio VII 1800 – 1823 252 Leone XII 1823 - 1829 253 Pio VIII 1829 - 1830 254 Gregorio XVI 1831 - 1846 255 Beato Pio IX 1846 - 1878 256 Leone XIII 1878 - 1903 257 San Pio X 1903 - 1914 258 Benedetto XV 1914 - 1922 259 Pio XI 1922 - 1939 260 Venerabile Pio XII 1939 - 1958 261 Beato Giovanni XXIII 1958 - 1963 262 Paolo VI 1963 - 1978 263 Giovanni Paolo I 1978 - 1978 264 Beato Giovanni Paolo II 1978 - 2005 265 Benedetto XVI 2005 - 2013 266 Francesco I 2013 - 27