PROFILO STORICO DI SAN GIORGIO SU LEGNANO COMUNE DI SAN GIORGIO SU LEGNANO ASSESSORATO ALLA CULTURA a cura di Francesco Guzzetti Ottobre 2015 INDICE Protostoria Età romana Medioevo Età moderna - dal ′500 alla fine del ′700 Età contemporanea – l’Ottocento Dall’inizio del XX secolo alla fine della II Guerra Mondiale Dalla fine della II Guerra Mondiale agli anni attuali Note e fonti bibliografiche pag. 2 pag. 2 pag. 4 pag. 12 pag. 20 pag. 26 pag. 37 pag. 50 Protostoria L’area di San Giorgio su Legnano, poco più alta rispetto all’alveo legnanese dell’Olona (la preposizione “su” si riferisce appunto a tale dislivello), fu abitata fin da epoche remote. Nel 1926 l’ingegner Guido Sutermeister recuperò, tra San Giorgio e Canegrate, alcune tombe a incinerazione riferibili alla civiltà dei campi d’urne, diffusa dal XIII secolo a. C. su entrambi i versanti alpini. Da questi reperti prese origine la definizione della relativa fase protostorica come ‘cultura di Canegrate’. Gli scavi successivi del triennio 1953-1956 portarono alla luce quasi 200 tombe, cifra di rilievo per una necropoli dell’età del Bronzo.1 In seguito fiorì nella zona la civiltà di Golasecca, con influssi paleoveneti, villanoviani e paleoetruschi. I corredi tombali delle necropoli golasecchiane testimoniano l’alto tenore di vita del periodo protourbano nel quale sorsero i nuclei delle maggiori città lombarde (Milano, Bergamo, Brescia) e in cui le verdi terre lungo il fiume Olona attraevano precoci insediamenti rispetto ad altre aree di pianura. La lenta evoluzione di tale civiltà fu modificata dalle invasioni galliche del IV sec. a.C., quando tribù transalpine occuparono la piana del Po fino al limite delle terre dei Veneti. La presenza celtica è documentata sia da fonti storiche sia da reperti riferibili alla cultura di La Tène, sebbene resti aperto il problema di più antiche migrazioni galliche datate dallo storico Tito Livio al VI sec. a. C.2 Recenti studi di linguistica hanno infatti attribuito a ceppi celtici le iscrizioni ritrovate in area golasecchiana (epigrafi di Castelletto Ticino del VI sec. a.C.)3 ed è quindi errato immaginare grandi sconvolgimenti etnici nell’area padana dell’età del Ferro: in gran parte gli insediamenti erano già celtici, sicché l’arrivo di nuove tribù dai valichi alpini fu più un’aggiunta di popoli simili che una cesura storica. Nel III secolo a.C. la forte crescita demografica fece sorgere una rete di piccoli villaggi intorno ai centri maggiori e lungo i fiumi, come avvenne sulle rive dell’Olona. I reperti purtroppo non aiutano a tracciare precise peculiarità dell’area legnanese, ma sappiamo con sufficiente certezza che era popolata in prevalenza da etnie galliche, specialmente da quegli Insubri che contribuirono a dar vita al cosiddetto celtismo cisalpino diverso dalla matrice d’oltralpe. Età romana I rinvenimenti d’epoca romana sono più numerosi, a partire dalla conquista dell’insubre Mediolanum per opera delle legioni comandate da Scipione Calvo, da Claudio Marcello e infine dal proconsole Valerio Flacco (194 a.C.)4. I reperti mostrano una transizione graduale alla nuova cultura, per il forte attaccamento della popolazione alle tradizioni celtiche. Alla fine del II secolo a.C., quando Milano era ormai romanizzata, le sponde amene dell’Olona punteggiate di mulini videro aumentare la densità degli abitati. A San Giorgio sono stati rinvenuti resti di ben tre necropoli romane: in via Mameli, nel parco della villa ex Parravicini- 2 Floriani e in via Vittorio Veneto. Sono sepolcreti sviluppatisi nella prima età imperiale (I sec. a. C.– I sec. d.C.)5 che lasciano supporre un insediamento ben organizzato, similmente a quanto riscontrato nelle vicine località di San Lorenzo, Nerviano, San Vittore Olona e Legnano.6 Principali attività erano l’agricoltura, l’allevamento del bestiame e l’artigianato, favorite dagli scambi lungo le strade di pianura e le vie d’acqua. Proprio a quest’epoca risale il primo nucleo di San Giorgio come abitato autonomo: poche case, ma già ben distinte dalle altre, che sorgevano lungo la strada sterrata che, attraversata Legnano, saliva sul colle oggi detto Costa di San Giorgio e proseguiva verso Milano, capoluogo al quale nell’89 a.C. la Lex Pompeia de Transpadanis aveva dato dignità di colonia romano imperiale di San Giorgio latina. La zona rivestiva interessi strate- Sepolcreto Vaso antropoprosopo. gici come retrovia per le campagne di (conc. Soprintendenza Archeologia della Lombardia. Giulio Cesare alla conquista della Gallia ripr.viet.) e, sull'onda del derivato sviluppo, nel 49 a.C. la Lex Roscia elevò Mediolanum allo status di Municipium.7. Era un’urbe popolosa che già catalizzava le attività del circondario, i vici, i pagi, le campagne. A quel tempo il territorio di San Giorgio era coltivato per lo più a vigneti; uve che in gran parte venivano vendute, mentre gli altri prodotti agricoli erano destinati al consumo locale. Tra i reperti di età imperiale vi sono coltelli, rasoi, oggetti in ceramica, una bella coppa costolata di vetro viola e un curioso vaso a forma di volto umano. La coeva diffusione del Cristianesimo è testimoniata dalla presenza nella necropoli trovata sulla Costa di San Giorgio di tombe a inumazione, dette alla cappuccina, tipiche delle sepolture cristiane dei primi secoli. Scrive Giorgio Sutermeister: “Scompare il rito della cremazione, ma sono rispettati i luoghi sacri delle generazioni passate. [...] Nelle tombe cristiane perdura per un certo tempo la suppellettile funeraria pagana”.8 Scarse le tracce dell’abitato sangiorgese in età tardoimperiale: una moneta del periodo di Gallieno (252-266 d.C.) e un’altra coniata sotto il cesare Costanzo Cloro (292-306 d.C.). Sono gli anni in cui Milano aveva assunto il ruolo di centro politico-militare di retroguardia contro le ricorrenti invasioni barbariche, fino a divenire, con le riforme di Diocleziano del 285-293, la nuova capitale dell’impero d’Occidente, coinvolgendo le zone limitrofe in opere di fortificazione. In seguito, dalla metà del IV secolo, vari popoli germanici provenienti dalle pianure dell’Est 3 Europa, in parte già infiltrati e integrati nell’impero, aumentarono l’intensità delle loro invasioni. Orde di Goti, Alemanni, Vandali e Unni percorsero le campagne lombarde portandovi saccheggi e distruzioni. Come quasi tutte, anche la strada dal Verbano a Mediolanum, passante per l’odierna San Giorgio, diventò insicura e i commerci assai ridotti, fino a sparire, mentre le terre cedevano all’incolto. Lo stanziamento di soldati germanici è attestato da vari ritrovamenti di età barbarica presso il corso del fiume.9 A causa dei ripetuti assedi, Milano si serrò in difesa e non costituì più riferimento di sicurezza per i paesi del territorio nord-occidentale, che preferirono rivolgersi al ben munito castello di Sibrium (Castelseprio), la cui giurisdizione andò allargandosi a spese di Milano e Como, giungendo a confinare con la Burgaria amministrata dalla pieve di Parabiago, all’epoca includente anche l’attuale area di San Giorgio su Legnano. Medioevo Nell’alto medioevo il castrum di Castelseprio conservò le sue prerogative di baluardo per tutta la fase romano-barbarica, prima sotto il regno ostrogoto e poi nella devastante guerra gotica (535-553), durante la quale i centri urbani furono abbandonati, mentre le popolazioni soffrivano pesanti carestie e pestilenze. Non ci sono segni del nucleo di San Giorgio in quel periodo, forse perché residuavano soltanto un paio di sparuti casolari fra terreni semi-incolti. La guerra fu vinta da Giustiniano, ma i soldati Bizantini erano troppo pochi per presidiare il territorio e impedire l’avanzata dei Longobardi, che nel 569 conquistarono Milano e tre anni dopo Pavia, che divenne capitale del loro regno. Al ritorno dei vescovi a Milano, inizialmente fuggiti a Genova, si può datare la ripresa della vita religiosa, con il rilancio della Cattedrale e la costruzione ex novo di varie strutture di ricetto e monasteri, che sorgevano qua e là anche nelle campagne bagnate dall’Olona. Il monachesimo, nel regno dei Longobardi convertiti, segnò fortemente la vita di quel periodo, così come la fioritura diffusa di nuove chiese e chiesette. Giova qui ricordare che non erano rare quelle dedicate a San Giorgio, martire cristiano originario della Cappadocia, (vissuto tra il 280 e il 303 d.C.), che conobbe una grande devozione nella Longobardia, specie dopo la sanguinosa battaglia di Coronate d’Adda del 689, vinta dal re cattolico Cuniperto sulla fronda ariana Lamella longobarda di una figura a cavallo del duca usurpatore Alachis, vittoria che 4 spianò la strada alla definitiva conversione di tutti i Longobardi alla fede cattolica.10 Le vicende di San Giorgio, già narrate nella Passio Sancti Georgii e assunte come simbolo di vittoria e rigenerazione, potevano infatti offrire nessi allegorici riferibili a tale evento. Anche il comando del presidio longobardo di Milano era posto nella chiesa di San Giorgio al Palazzo.11 Dopo la pace del 680 con i Bizantini e fino a metà del secolo VIII, la Milano longobarda registrò una fase di gran fervore edilizio, elogiata nel 740 da un poeta anonimo della corte di re Liutprando nel suo Versum de Mediolano Civitate.12 Anche lungo l’Olona erano ripresi i commerci e nei paesi ripopolati crescevano le attività agricole e artigianali, sebbene poi, pur tra qualche luce, il dominio longobardo finì per comprimere gli orizzonti produttivi nel sistema chiuso delle curtes, statici derivati dell’economia delle villae romane in lenta mutazione verso le signorie fondiarie dell’età feudale.13 L’eco di questo periodo risuona ancora nel toponimo di Villa Cortese, paese attiguo a San Giorgio. Il regno dei Longobardi terminò nel 774, quando Carlo Magno, rotta l’unione con la principessa Ermengarda, sconfisse a Pavia le difese del re Desiderio. Subito il nuovo sovrano franco sostituì i duchi longobardi con i suoi conti e la fortezza di Castelseprio divenne così centro capitale del Contado del Seprio, comprendente Legnano e circondario. Restavano però saldi i legami con Milano, sia tramite i canonici di Sant’Ambrogio sia per l’acquisto di molti terreni in zona da parte di ricchi milanesi del ceto feudale o della nuova classe di cives negotiatores che andava sviluppandosi in età precomunale.14 Frattanto, sia in città che nel contado, cresceva sempre più il ruolo dell’arcivescovo Ansperto, missus dominicus imperiale, il quale, nelle complesse vicissitudini storiche dell’eredità carolingia, riuscì a unire le funzioni spirituali ai poteri di un capo civile e militare, al punto da tener testa al pontefice. Nell’anno 888 anche il legnanese seguì dunque le sorti del Contado del Seprio conquistato dalla Cattedra Ambrosiana, passando sotto il potere diretto dell’Arcivescovo. Pochi anni dopo, le fortificazioni vescovili dovettero resistere alle scorrerie degli Ungari, che nel X secolo imperversarono anche nella pianura padana. In quel periodo, la tassa di castellanza forniva il diritto di protezione dai pericoli esterni (da ciò prese il nome il vicino comune di Castellanza) e un’altra norma permetteva ai signori locali di incastellare le loro proprietà con mura e bastioni. Scrive lo storico Giovanni Tabacco:“La moltiplicazione delle fortezze non fu iniziativa soltanto dell’aristocrazia militare: vi parteciparono attivamente anche i vescovi, utilizzando il patrimonio fondiario, il lavoro della popolazione contadina e le clientele vassallatiche, così da costruire ben definite aree di potere, non meno efficienti di quelle create dai signori secolari.”15 Nella zona di San Giorgio, tuttavia, non vi erano edifici fortificati né mura difensive, salvo una palizzata di legno lungo alcuni tratti della strada per Milano. Nel 1018 divenne 5 arcivescovo Ariberto da Intimiano, alto prelato di nobiltà longobarda, contro cui nel 1035 scoppiò una rivolta di valvassori, sostenuta dall’imperatore Corrado II il Salico, che temeva l’eccessiva autonomia del metropolita ambrosiano. Le schiere imperiali attaccarono Milano e Corrado II, dopo la vittoria, emanò la Constitutio de Feudis, riforma che estendeva ai vassalli minori i diritti di successione che il capitolare di Quierzy aveva riservato unicamente ai grandi feudatari. Fuggito dall’arresto e colpito da scomunica, Ariberto riuscì a tornare in sede alleandosi appunto con i grandi feudatari e compattando il popolo e il basso clero sotto la sacra insegna del Carroccio, simbolo d’indipendenza antimperiale. Alla morte di Ariberto, la cattedra vescovile passò a Guido da Velate, che affrontò duramente le rivolte popolari contro la simonia e la corruzione del clero agitate dal movimento patarino, parzialmente ispirato alle istanze cluniacensi. Una leggenda locale narra che un capo del movimento, il diacono Arialdo (poi canonizzato) trovò rifugio per qualche tempo nel castello di Legnano, prima di essere ucciso ad Angera dagli sgherri di Guido. Ma il castello a cui si fa riferimento non è il Castello di San Giorgio, che ancora non esisteva, bensì un gran maniero (oggi scomparso) costruito poco dopo l’anno mille dalla famiglia Cotta, vassalla dell’arcivescovo, nell’area centrale di Legnano. Sul finire del XI secolo andò diminuendo il potere dell’autorità ecclesiastica: al clero e al ceto feudale si aggiunsero i rappresentanti della nascente borghesia comunale e, con l’aumento progressivo del numero dei consoli, si arrivò gradualmente all’affrancamento dei cittadini nell’ambito di una nuova forma d’autonomia amministrativa delle realtà locali. In teoria, i diritti regali appartenevano ancora all’Impero, ma, in pratica, la sostanziale incuria del potere centrale aveva di fatto permesso che venissero esercitati dagli ordinamenti comunali.16 I Comuni diventarono così delle vere e proprie città-stato, dominando anche le campagne limitrofe. È il caso di Milano, protagonista e bandiera di tale processo, che attrasse nella sua sfera quasi tutti i centri minori del Seprio, tra cui Legnano e zone attigue, sia come fornitori di prodotti agricoli sia come avamposti di difesa. Il Comune ambrosiano, una sorta di repubblica sotto l’alta signoria dell’arcivescovo, aveva, però, mire di espansione ben più ampie: già prima dello scontro con il Barbarossa aveva esteso la sua supremazia sia a nord che a sud, sconfiggendo Como e Lodi. La reazione dell’imperatore, chiamato proprio dai ghibellini lodigiani e comaschi, fu inevitabile: al primo intervento del 1154, che portò alla riaffermazione dei diritti regali alla dieta di Roncaglia, fece seguito un’altra spedizione, più incisiva, che nel 1162 culminò con la distruzione di Milano. Di tali avvenimenti gli abitanti di San Giorgio non furono meri spettatori, poiché durante gli assedi anche il contado fu devastato. Le condizioni vessatorie imposte poi da Federico incrinarono il residuo fronte filo-imperiale e convinsero perciò numerose città lombarde, venete ed emiliane a unirsi contro i soprusi del 6 Barbarossa nel solenne giuramento di Pontida del 1167. A capo delle schiere fu posto l’arcivescovo di Milano, in rappresentanza di papa Alessandro III, nemico dell’imperatore e simpatizzante dei Comuni. Lo scontro decisivo avvenne, come è noto, nella famosa battaglia di Legnano del 1176, descritta in dettaglio nel testo citato in bibliografia.17 Qui basti dire che le forze milanesi, ancora prima di unirsi a tutti gli alleati, si avviarono lungo l’Olona giungendo a Legnano, ove disposero il Carroccio sul ciglio di una scarpata. Dopo un breve combattimento di 700 cavalieri inviati in avanscoperta contro l’avanguardia imperiale, avvenuto tra Busto Arsizio e Borsano, la battaglia si decise infine proprio intorno al Carroccio, dove la fanteria comunale resistette strenuamente, permettendo alla cavalleria in ripiegamento di aggregarsi a forze fresche provenienti da Milano e di passare al contrattacco, aggirando il nemico e mettendolo in fuga. Di preciso non sappiamo quale fosse il gran fossato davanti all’ubicazione del Carroccio citato dall’antico cronista degli Annales Maximi Colonienses18, ma i punti possibili sono solo due: il declivio verso l’Olona sito nella contrada legnanese di San Martino e il piccolo colle della Costa di San Giorgio. Ne consegue, dato che il secondo è più alto ed è oltretutto sulla linea in cui ancor oggi, da Borsano, si estendono campi liberi alla periferia di Legnano, che probabilmente la fase cruciale della battaglia si svolse proprio a ridosso della Costa di San Giorgio, nell’area attualmente occupata dal Parco Castello. Ai tempi era una plaga disabitata, poiché il forte in riva all’Olona chiamato Castrum Sancti Georgi ancora non esisteva. Fu infatti costruito dopo il 1262 sulla struttura preesistente di un convento di frati agostiniani, sorto alla fine del XII secolo. Tale convento, assai importante per la toponomastica della nostra zona, aveva un’annessa chiesetta dedicata a San Giorgio risalente quanto meno al 1231. In un documento del 1261 si legge, infatti, che i regolari agostiniani avevano deciso di spostarsi, permutando i loro ampi terreni con altri dei Torriani di Milano, poiché a causa di continue vessazioni la loro chiesa era abbandonata “da più di trent’anni”.19 Forse per tale motivo non fu registrata nel compendio trecentesco Liber notitiae sanctorum Mediolani di Goffredo da Bussero20. Quest’antica chiesetta, che sorgeva in Aspetto attuale della chiesetta di San Giorgio 7 interna al castello. un punto dove, secondo recenti scavi, esisteva un luogo di culto già dal IX secolo, assume una particolare rilevanza per la nostra storia, poiché il nome del martire Giorgio a cui era dedicata (passato in seguito a denominare il castello) indicava per estensione lo stesso convento e tutti i suoi terreni, nei quali esisteva appunto l’abitato agricolo da cui è derivato il nostro omonimo comune. Il passaggio del toponimo fu graduale, mutando nei secoli la denominazione originaria. Lo storico settecentesco Giorgio Giulini riporta infatti l’iscrizione su una lapide,21 divisa in due mattoni, rinvenuta nel 1769 durante alcuni scavi presso la chiesa del SS. Crocifisso (allora detta Gèsa növa), attinente alla consacrazione nel 1393 della vecchia chiesa preesistente dedicata a San Giorgio: in tale incisione la località è chiamata Sotena, nome che pare quindi essere l’antico toponimo del luogo, prima che, dal XV secolo, prendesse definitivamente quello del santo della sua chiesa.22 Non deve affatto stupirci che la chiesetta del convento (poi interna al castello, in parte recuperata nel rifacimento del 1440) e la vicina chiesa tardo-trecentesca di Sotena fossero entrambe dedicate a San Giorgio, poiché la presenza del convento aveva diffuso il culto del santo martire in tutte le campagne a sud di Legnano, come ha suggerito la storica Marina Cattaneo.23 Si può inoltre supporre che la chiesa di San Giorgio eretta a Sotena rappresentasse una sorta di sostituzione, spostata più sul colle, dell’omonima chiesetta conventuale ormai in degrado. All’epoca la figura del martire Giorgio, santo patrono di soldati e cavalieri, era assai popolare, soprattutto nella sua classica icona equestre, diffusa durante le Crociate, che lo effigia quale uccisore di un drago (simbolo del male, del demonio, ma anche dei nemici della fede), come ben narra il passo LVIII della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.24 Quando il convento fu lasciato dai frati agostiniani, esisteva già presso la struttura un’alta torre di vedetta per controllare la strada lungo il fiume Olona e furono poi i Torriani, nuovi padroni dell'edificio, a far San Giorgio (mosaico sulla facciata costruire, tra il 1262 e il 1273, le quattro della chiesa del SS.Crocifisso) ali merlate e le torri angolari, trasformando Foto R.Raimondi. g.c. 8 così il monastero in un maniero fortificato. Sempre il Giulini riferisce che nel 1273 vi furono ospitati i reali inglesi di ritorno da un viaggio in Oriente, ma secondo una leggenda locale Edoardo I Plantageneto ed Eleonora di Castiglia presero invece alloggio nella coeva dimora sangiorgese di via Gerli, poi chiamata ‘casa della regina’, di cui è ancora visibile una bella finestra gentilizia a sesto acuto con fregi in cotto. A tal riguardo, è utile ricordare che dalla fine del XIII secolo molte famiglie nobili milanesi avevano preso l’abitudine di trascorrere periodi di villeggiatura in residenze di campagna e che lo stesso arcivescovo Leone da Perego aveva eletto a sede estiva il palazzo legnanese che porta il suo nome. Possedere terre e manieri nel contado non era solo una fonte di reddito e un vanto aristocratico: offriva anche un rifugio sicuro in caso di disordini urbani. Come nel 1257, quando nella fiorente Milano riorganizzata dopo la pace di Costanza si acutizzarono le lotte tra i Popolari della Credenza di Sant'Ambrogio, capitanata da Martino della Torre, e la compagine nobiliare (detta Motta) guidata dall’arcivescovo Leone da Perego, il quale, trasferitosi appunto nel suo palazzo di Legnano, raccolse nel Seprio un piccolo esercito per respingere i Popolari a Solbiate, Olgiate Olona e Canegrate.25 Gli scontri si fermarono con la tregua di Parabiago, che però fu breve: nel 1261 Martino ruppe i patti e invase i territori vescovili, Legnano compresa. E l’anno dopo, accettando la suddetta permuta, prese possesso del convento agostiniano di San Giorgio per mutarlo in fortilizio. Sempre nel 1262, morto Leone da Perego, papa Urbano IV nominò alla cattedra ambrosiana Ottone Visconti, ma i della Torre (o Torriani), forti dell’autorità podestarile e dell’appoggio del popolo, gli impedirono d’insediarsi. Intanto proseguiva la guerra contro le truppe imperiali di Corradino di Svevia arroccate a Pavia: gli scontri durarono finché il nuovo imperatore, Rodolfo d’Asburgo, decise di nominare vicario proprio un Torriani, Napoleone (detto Napo), instaurando così la sua signoria su Milano. Per tutta risposta, il Visconti, esiliato nel contado, senza darsi per vinto si pose alla testa dei magnati fuoriusciti per riprendere armi in pugno il controllo della città. Ne seguì una lunga lotta, con alterne vicende, combattuta anche e soprattutto nelle campagne legnanesi. A quei tempi Legnano era già un borgo dotato di mercato e la sua giurisdizione di Comune Rustico (dal 1258) comprendeva a sud la ‘cassina’ agricola di Sotena, dalla quale si sviluppò il nostro paese. Su tale termine scrive Bonvesin de la Riva nel 1288: “In questi borghi vivono non soltanto contadini e artigiani, ma anche magnati di grande nobiltà. Vi sono poi intorno costruzioni di tipo diverso, alcune chiamate molini, altre in volgare ‘cassine’, il numero infinito delle quali non potrei calcolare”.26 La battaglia finale fra i Torriani e Ottone avvenne presso Desio nel 1277 e aprì al Visconti vittorioso le porte di Milano.27 L’arcivescovo concentrò così nelle sue mani i poteri spirituali e temporali, sostenuto anche dalla nomina a vicario 9 imperiale da parte di Arrigo VII e dall’elezione a Capitano del Popolo del pronipote Matteo, erede del dominio visconteo dopo la definitiva sconfitta delle resistenze dei Torriani ad Abbiategrasso (1313). Non pago, Matteo partì poi alla conquista di Pavia, dove l’indebito esproprio di molte terre ecclesiastiche gli costò la scomunica, a cui fece seguito una serie di guerre tra Milano e lo Stato Pontificio, alleato di Francia e Napoli. Il conflitto con la Chiesa fu un punto chiave dei continui contrasti che caratterizzarono la casata viscontea, sia per le sue ambizioni espansionistiche sia per le lotte interne alla stessa famiglia. Per citare solo quella che più coinvolse il nostro territorio, si ricorda la battaglia di Parabiago del 1339, combattuta tra gli armati di Azzone (nipote di Matteo), guidati da suo zio Luchino, e la Compagnia di San Giorgio (formata da soldati novaresi e scaligeri e da mercenari stranieri)28 comandata dall’altro zio, Lodrisio, pretendente alla reggenza di Milano. Lo scontro fu vinto da Luchino, ma con gravi perdite da ambo le parti (più di 4000 morti) e la funesta appendice di vasti saccheggi compiuti dai mercenari prima di abbandonare il territorio.29 Razzie che imperversarono a lungo nel legnanese ad opera soprattutto di soldataglie svizzere. Nel 1349 la Signoria del Ducato fu assunta dall’arcivescovo Giovanni Visconti (ultimo figlio di Matteo) e sotto il suo governo Bologna e Genova entrarono nei dominî milanesi, benché, alla sua morte, tali città furono perse a causa delle lotte successorie fra i suoi tre eredi (Galeazzo II, Matteo II e Bernabò). La cattedra arcivescovile passò dunque a Roberto Visconti (membro di un ramo laterale della famiglia), grande possidente che esercitava autorità su un ampio territorio, tra cui Legnano e circondario. Spesso indicato come subordinato ai cugini di Milano, in realtà egli seppe ritagliarsi uno spazio autonomo e imporre le proprie decisioni. Per gestire i suoi possedimenti si serviva di un Rector o, come a Legnano, di un Potestas. La sua non fu una signoria assoluta: affiancavano il suo potere le nobili famiglie Crivelli, Lampugnani e Vismara. Anche le monache del locale convento di Santa Chiara rivestivano un ruolo importante. Nel 1361 Roberto Visconti morì a Legnano nel Castello di San Giorgio, ormai da anni divenuto di sua proprietà. Seguirono poi le vittoriose conquiste di Gian Galeazzo Visconti, che oltre alla Lombardia giunsero a includere parti del Veneto, dell’Emilia, dell’Umbria e della Toscana. Il coevo sfarzo edilizio (pensiamo alla Certosa di Pavia e all’inizio della fabbrica del Castello di San Giorgio Duomo) non lasciò però segni tangibili 10 nell’area legnanese, per quanto in quel periodo vi fu una crescita dei commerci e delle attività artigiane. L’ampliamento del castello sull’Olona, le cui pertinenze agricole comprendevano il nostro abitato, avvenne infatti più tardi, nel 1445, cioè sette anni dopo che l’ultimo erede maschio dei Visconti, Filippo Maria, l’aveva donato al capitano vassallo Oldrado Lampugnani. Fu lui a rinforzare l’edificio con fossato e nuove mura, nonché a proteggere il ponte levatoio con un massiccio torrione d'ingresso.30 I servizi resi a Filippo Maria avevano fruttato a Oldrado rendite tali da consentirgli il possesso di vaste proprietà fondiarie, fra cui i terreni circostanti la ‘cassina’ di San Giorgio, di fatto inglobata nell’area del castello. Proprietà che furono conservate anche nel complesso intreccio storico che segnò il passaggio del Ducato dai Visconti agli Sforza, quando il Lampugnani, dopo la morte senza eredi di Filippo Maria, decise di schierarsi con il condottiero Francesco Sforza (pretendente in quanto marito di Bianca Maria Visconti) contro l’Aurea Repubblica Ambrosiana, sorta nel 1447 in sostituzione della dinastia ducale. Milano fu affamata da un lungo assedio, che coinvolse in particolare il legnanese, poiché le truppe sforzesche del Campana vi avevano piazzato il loro principale accampamento.31 Ottenuto il potere, la nuova Signoria dovette subito affrontare una grave pestilenza che decimò la popolazione cittadina, spingendola a riparare in campagna. Lo stesso duca trasferì i suoi famigliari nel castello di Abbiategrasso ed è nota una lettera della figlia Ippolita mentre era ospite a Magenta dei Crivelli, nobili che avevano proprietà anche a San Giorgio, tra cui la villa rustica centrale che in seguito passò ai marchesi Parravicini.32 La casata Crivelli, già reggente del Contado di Burgaria, ebbe grande importanza nello sviluppo dell'occidente milanese, soprattutto dopo la pace di Lodi del 1454 tra Milano e Venezia, vero sblocco della crisi economica e avvio della ripresa. A fine Quattrocento, tuttavia, anche la dinastia degli Sforza conobbe lotte interne e congiure, come nel 1476, quando un complotto ordito da Carlo Visconti e Andrea Lampugnani (nipote di Oldrado) sfociò nell’assassinio del duca Galeazzo Maria. Sebbene nell’ideazione del delitto fossero coinvolti il re francese Luigi XI e lo stesso fratello Ludovico Sforza (detto il Moro), le coltellate furono inferte proprio dal Lampugnani33 e tale attacco omicida influì poi sulle sorti del casato e dei suoi possedimenti, un terzo dei quali fu confiscato dalla camera ducale.34 Nel 1494 altri intrighi portarono Ludovico all’usurpazione del potere ai danni del legittimo erede Gian Galeazzo Maria, i cui diritti furono difesi soprattutto da sua moglie, Isabella d’Aragona, che si rivolse al padre Alfonso II, re di Napoli, affinché al marito fosse affidato il potere effettivo sul Ducato. In risposta a tale mossa, Ludovico fece avvelenare Gian Galeazzo (morto a Pavia a soli 25 anni) e strinse alleanza con il re di Francia Carlo VIII (figlio di Luigi XI), che discese in Italia con un potente esercito dotato di moderna artiglieria e giunse in breve sino ad 11 espugnare Napoli, togliendo così ogni ostacolo al dominio di Ludovico. A dispetto di queste cruente lotte di potere, l’epoca del Moro è ricordata nella storia del Ducato anche come fase di prosperità e prestigio artistico (si pensi alle opere di Leonardo da Vinci), ma l’alleanza francese di fatto aprì la strada ai successivi interventi stranieri che segnarono la fine della sua indipendenza. Riguardo allo sviluppo agricolo del contado, si deve senz’altro a Ludovico l’introduzione dei gelsi per l’allevamento dei bachi da seta (diffusosi anche a San Giorgio), ma è vero, d’altro canto, che l’inasprimento fiscale da lui ordinato pose gli abitanti dei borghi rurali in netto contrasto con le direttive ducali. Età moderna - dal ′500 alla fine del ′700 All’inizio dell’età moderna anche la dinastia sforzesca si avviò alla decadenza. Preoccupato dall’eccessivo dominio dei Valois, il Moro aveva aderito alla Lega Santa antifrancese organizzata da papa Alessandro VI, coalizione che riuscì a ricacciare oltralpe l’esercito di Carlo VIII. Ma fu poi il nuovo re francese Luigi XII a ritornare in Italia per impadronirsi del Ducato di Milano, sul quale vantava diritti successori per essere nipote di Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo. La spedizione ebbe successo: il 10 aprile 1500 Ludovico Sforza venne infatti deposto e il cardinale D’Amboise assunse il potere in nome del re di Francia. Il suo governo durò poco, perché nel 1512 un esercito di mercenari svizzeri al soldo della Lega Santa sconfisse di nuovo i francesi e rimise sul trono Massimiliano Sforza, figlio di Ludovico. Fu una reggenza fantoccio, controllata dagli svizzeri, che finì tre anni dopo, poiché con la sconfitta di Marignano gli elvetici dovettero restituire il Ducato al re francese Francesco I di Valois, ottenendo a compenso i soli territori che oggi costituiscono il Canton Ticino. I riflessi di tali eventi nel comprensorio legnanese furono dapprima le violenze incendiarie degli svizzeri, poi le pesanti tassazioni ordinate da Massimiliano e infine le dure condizioni imposte al ritorno dei francesi. Il governatore nominato dal Valois resse Milano fino al 1521, anno in cui Carlo V d’Asburgo, divenuto imperatore, gli mandò contro il potente esercito imperiale guidato dal generale Colonna, che in breve si impadronì della città e insediò sul trono il fratello di Massimiliano, Francesco II Sforza. Costui, all’inizio, fiancheggiò il Colonna nelle battaglie sul Ticino contro le resistenze francesi, ma poi, stanco del ruolo di pedina nelle mani asburgiche, cambiò alleanze unendosi alla lega di Cognac, formata proprio dai francesi con la Repubblica fiorentina, papa Clemente VII e la Repubblica di Venezia. Questa coalizione fu duramente sconfitta dalle truppe di Carlo V, ma lo Sforza riuscì a mantenere ugualmente il possesso del Ducato grazie ai veneziani, che offrirono i loro possedimenti sulle coste pugliesi in cambio del ritiro delle pretese imperiali 12 su Milano. Carlo V accettò e rimise lo Sforza sul trono milanese, riservandosi però il diritto di successione vacante. Diritto che esercitò nel 1535, quando, morto senza eredi Francesco II, il Ducato fu annesso direttamente all’Impero. Carlo V lo assegnò a suo figlio, Filippo II re di Spagna, che vi nominò governatore Antonio de Leyva. Aveva così inizio il lungo dominio spagnolo dei territori lombardi. Proprio a quest'epoca risale il primo documento storico inerente al Comune di San Giorgio: la mappa ufficiale del catasto ‘spagnolo’ del 1558, oggi conservata presso l’Archivio Storico del Comune di Milano. Fu appunto in quell’anno che la burocrazia imperiale, attuando la riforma amministrativa voluta da Carlo V nel 1535, scorporò il catasto di San Giorgio da quello di Legnano, stabilendo così una divisione effettiva tra i due abitati. Va detto, tuttavia, che anche se compresi nello stesso catasto, nonché uniti per vicinanza e interessi produttivi, sotto il profilo civile essi erano separati già prima, poiché San Giorgio dipendeva dalla Pieve di Parabiago, mentre Legnano dalla Pieve di Olgiate Olona. Questi due comprensori appartenevano al Contado del Seprio, presieduto da Gallarate, dove un Capitano (o Vicario) aveva compiti di polizia e di esazione fiscale, mentre i Consoli amministravano la giustizia. Il suddetto Contado, infine, era parte integrante del Ducato di Milano.35 È tale struttura politico-amministrativa che ha suggerito l’apertura di questa narrazione storica alle vicende milanesi e, più in dettaglio, a quelle del territorio nord-occidentale, sia perché la storia riguarda anche i legami di dipendenza, sia per sopperire alla sostanziale assenza di documenti sul nucleo di San Giorgio fino all’età spagnola. Mancanza che, ovviamente, non significa che la comunità sangiorgese prima di allora non esistesse, ma soltanto che non si sono conservati atti scritti su una piccola borgata che all’epoca rappresentava una mera estensione agricola del borgo di Legnano. A tal proposito, giova senz’altro ricordare che nella Cassina di San Giorgio (così è indicata in una mappa del 1500), escludendo i soggiorni estivi di membri di famiglie nobiliari proprietarie di terreni affidati ai massari, vivevano ai tempi per lo più famiglie di contadini analfabeti, con le loro storie paesane tramandate dai racconti orali degli anziani, cronache locali intrecciate alla storia del Ducato solo per gli aspetti legati alle gabelle agricole o per i danni causati dalle scorrerie di soldati di vari schieramenti o per l’imperversare di carestie e pestilenze (credute castighi divini per i peccati o malefici di streghe...), coltivatori e allevatori che poco o nulla sapevano degli intrighi di palazzo o dei conflitti internazionali che determinavano i passaggi di potere sul trono milanese, ma ciò non significa che tali avvenimenti storici non influissero concretamente sulle loro condizioni. Dal suddetto catasto spagnolo si apprende che nel 1558 il paese era formato da sole undici case, di cui erano proprietari esponenti delle famiglie Lampugnani, Crivelli, Prandoni, Masetto e 13 Beloni. L’elenco, però, redatto a scopo d’imposizione fiscale, non comprendeva le pertinenze rustiche occupate da ‘massari e pisonanti’. I terreni ammontavano a 1600 pertiche (1 pertica = 654 mq) e appartenevano a 15 famiglie, di cui le citate possedevano le quote maggiori. Si nota l’assenza nel registro di mille pertiche ereditate da Bianca Visconti (Visconta), nobildonna imparentata con i Crivelli di Uboldo e proprietaria della menzionata ‘casa della regina’, nonché vedova di Ferdinando Lampugnani, già padrone del Castello di San Giorgio e di vasti terreni attigui. L’esclusione era dovuta al fatto che una lotta tra gli eredi rendeva ancora incompleta la successione. Non erano poi comprese nella lista, in quanto esenti da tasse, le proprietà della Chiesa.36 Gran parte delle terre era tenuta a vigneti, il resto era coltivato a cereali, gelsi, ortaggi e frutta. Non è purtroppo riportato il numero degli abitanti. Tuttavia, dai dati Stemma della Casata Crivelli di un censimento a fini religiosi indetto pochi anni dopo dall’arcivescovo Gaspare Visconti (compilato dal prevosto G. B. Specio in una pergamena del 1594),37 si rileva che la popolazione di Legnano, distribuita in 221 case, ammontava a circa 2500 unità, sicché, in proporzione, si può desumere che nella Cassina di San Giorgio abitassero suppergiù un centinaio di persone. Una piccola comunità, ma già indipendente. E tutte le comunità, nel XVI secolo, erano amministrate da funzionari civili: sindaci, consoli, consiglieri, esattori e primi estimati (cioè gli abitanti con il reddito più alto). Si riunivano in un consiglio generale presieduto dal sindaco. Alcune comunità, come Legnano, avevano più sindaci, mentre altre, come Rescaldina, ne erano prive.38 San Giorgio aveva un solo sindaco, in genere appartenente ai primi estimati. Al suo fianco, i consoli curavano l’ordine pubblico e il cancelliere aveva compiti simili a quelli di un odierno segretario comunale e teneva in casa propria l'archivio comunale. Questi funzionari venivano scelti da almeno due terzi dei capifamiglia e dei primi estimati, convocati sulla pubblica piazza al suono della campana. Era il Sindaco a tenere i rapporti con la Pieve e le autorità del Contado, a loro volta subordinate al Governo ducale. Più in alto, le Novae Constitutiones promungate da Carlo V nel 1541 avevano confermato Milano come capitale del Ducato e regolato i compiti 14 del Senato cittadino, organo che riuscì a ritagliarsi una certa autonomia rispetto ai vasti poteri del Governatore spagnolo. Tornando alle vicende del nostro paese, la seconda metà del Cinquecento vide nascere la Parrocchia di San Giorgio (prima l’unica chiesa dipendeva dalla parrocchia di Canegrate) in virtù di un decreto arcivescovile del 1570 di San Carlo Borromeo, il quale poi, grazie alle facoltà concessegli dal Concilio di Trento, nel 1584 decise di sopprimere la Prepositurale di Parabiago e di trasferire il ruolo di capopieve a Legnano, dove già nel 1529 era stata edificata la Basilica di San Magno, che divenne quindi sede del Prevosto da cui iniziò a dipendere anche la parrocchia di San Giorgio, stabilita negli stessi nella nuova chiesa della Beata Vergine Assunta, di forme tardo-rinascimentali. Il ruolo di riferimento dell’autorità ecclesiastica era allora assai importante e andò aumentando nel corso del Seicento, specie nell’ambito dei difficili rapporti con i Podestà spagnoli nominati a presiedere i consigli cittadini e ad amministrare la giustizia. Sul fronte socioeconomico, la cesura del nuovo secolo fu senz’altro la grande peste diffusasi nel 1630, che bloccò la ripresa dei primi decenni. A differenza delle precedenti epidemie, il terribile contagio (ben descritto dal Manzoni) si estese anche in campagna e decimò le popolazioni rurali. Secondo gli studi di F. Bertolli e U. Colombo, i morti a Busto Arsizio furono circa 1500 (su 3000 abitanti) e a Legnano circa 900 (su 2500)39, sicché si suppone, in assenza di dati, che a San Giorgio la percentuale di appestati fosse analoga. Alla miseria lasciata dalla peste, con case bruciate e campi deserti, si aggiunse per i sopravvissuti un aumento fiscale, deciso sia per coprire i passivi dell’erario (il ducato ‘spagnolo’ aveva già dichiarato bancarotta nel 1574) sia per mantenere le truppe imperiali convenute per una nuova guerra contro i Francesi, che erano tornati a puntare su Milano dopo aver distrutto Rosate e Binasco.40 Inoltre, sempre al fine di batter cassa, il governo bandì nuove aste per l’infeudazione delle terre ancora libere da tale vincolo. È utile qui precisare, però, che i feudi dell’epoca Chiesa Parrocchiale tardo-rinascimentale della Beata Vergine Assunta spagnola erano assai diversi da quelli (demolita nel 1974) medievali, poiché il titolare, spesso non 15 residente, non aveva alcun ruolo amministrativo e non ne traeva neppure benefici economici, restandogli soltanto il diritto di nominare nelle comunità sottoposte i podestà feudali, con funzioni affini a quelle dei consoli, nonché il prestigio del titolo, indispensabile per accedere alla casta nobiliare. Eppure, essendo di fatto un potere intermedio fra il territorio e il governo centrale, molti comunità, volendo conservare una maggiore autonomia, preferivano non esservi soggette. A tal fine, per diritto di prelazione, esse potevano riscattarsi, pagando all’erario una quota corrispondente ai 2/3 della cifra massima offerta all’asta pubblica per il feudo. Insomma, dagli uni o dagli altri, il governo incassava comunque. Per riscattarsi, le comunità organizzavano collette basate sull’ampiezza dei beni immobiliari (come a Legnano), ma se la disponibilità era insufficiente ricorrevano a prestiti. Fu il caso di San Giorgio, che nell’anno 1648 si riscattò contraendo un debito di 3.000 lire con Francesco Castelli, ricco possidente di vasti terreni in zona e di palazzi a Canegrate e Parabiago.41 Però poi, a causa di successive annate di magri raccolti e disastrose tempeste, i sangiorgesi non riuscirono più a rifondere i soldi prestati, sicché la comunità fu costretta ad accettare di essere infeudata proprio da Camillo Castelli, figlio del defunto Francesco. L’infeudazione ebbe luogo il 10 novembre 1656 per lire 3.430.42 Grazie a tale acquisto, insieme ad altri due a Parabiago e Casalpusterlengo, il Castelli ebbe il titolo di marchese e fu ammesso nel patriziato milanese. San Giorgio rimase feudo dei Castelli sino al 1780, anno in cui morì senza figli il cardinale Giuseppe Castelli, ultimo erede maschio della famiglia. L’aggiornamento del catasto ‘spagnolo’ eseguito nel 1690 registrò molti passaggi immobiliari, probabilmente perché i proprietari più deboli, a causa delle alte tassazioni e del modesto reddito fondiario, avevano dovuto vendere le terre a soggetti finanziariamente più forti. È infatti in quel periodo che arrivano a San Giorgio facoltose famiglie milanesi di origine comasca, come i citati Castelli e i marchesi Parravicini. Questi ultimi fecero i primi acquisti in paese nel 1643 dai Beloni e dai Gay e nel settembre del 1648 comprarono la villa rustica centrale che prenderà il loro nome, una dimora che in passato, come si è detto, apparteneva ai Crivelli. Altri nobili comaschi che avevano già terreni in zona erano i Lucini,43 padroni dell’omonimo palazzo (che in seguito prese il nome del conte vercellese Arborio Mella, sposo della nipote dell’ultimo erede Lucini) Il complesso, dotato d’ampio parco, chiudeva il lato nord della piazza Grande (oggi piazza Mazzini), dominata dalla Parrocchiale della Beata Vergine Assunta. A sinistra della facciata si ergeva il campanile, mentre a destra era collocato l'Oratorio di San Luigi. Oggi non è facile immaginare la piazza dell’epoca, poiché la chiesa Parrocchiale fu sconsacrata nel 1936 e poi demolita nel 1974, in quanto pericolante, mentre il palazzo Lucini-Arborio Mella, dopo aver ospitato il Municipio dal 1924 al 1929 e 16 successivamente la biblioteca comunale, fu diviso in parti e venduto a privati; inoltre, tra il 1933 e il 1935, nel suo ampio parco fu edificata la nuova chiesa Parrocchiale, anch'essa dedicata alla Beata Vergine Assunta. Difficile dunque ricostruire come fosse San Giorgio nel Seicento, ma di certo la Piazza Grande era il cuore del paese, luogo cardine di funzioni civili e religiose, nonché ritrovo degli abitanti (come per altro è stato fino all’ultimo dopoguerra). Vi si svolgevano i riti natalizi e le celebrazioni della Settimana Santa, da lì partivano le processioni mariane di maggio e quelle per la benedizione delle vigne, che erano ancora il perno dell’economia del paese. Dal suddetto aggiornamento catastale si apprende, infatti, che più dell’80% dei terreni era coltivato a vite, mentre nel resto vi erano gelsi, orti e colture aratorie, tranne dieci pertiche lasciate a brughiera. I maggiori possidenti erano i sopracitati Castelli, Lampugnani, Parravicini, Lucini, Prandoni, Beloni e Gay, ma anche Masetti, Oldrino, Mezenzana e Bizzozero (proprietari questi ultimi di una casa centrale, ampliata in villa nel ′700), infine i Vismara (ed è noto che poi Donato Vismara sposerà Caterina Parravicini). Dopo il processo di infeudazione, la riscossione delle imposte fu affidata ai nuovi feudatari, che divennero così una vera classe dominante, incline a spadroneggiare nella pigra latitanza dello stato centrale, volto unicamente a riscuotere denaro e per nulla interessato ad amministrare il territorio. La situazione cambiò quando, al termine della guerra di successione spagnola, la pace di Utrecht (1713) sancì il passaggio del Ducato milanese agli Asburgo d’Austria, che subito decisero di ridurre i privilegi dei nobili lombardi. L’imperatore Carlo VI ordinò una pronta revisione del catasto, intimando la denuncia dei beni a tutti gli abitanti (anche a coloro che già fruivano di esenzioni fiscali) e inviò dei funzionari a verificare di persona la congruità di ogni singola dichiarazione. Nell’ambito di tali accertamenti, il 20 novembre 1721 una squadra di rilevatori iniziava le misurazioni del territorio di San Giorgio: in otto giorni fu tracciata una mappa in scala 1:2000 con i confini precisi dei terreni e degli edifici. I dati poi aggiornati al 16 marzo 1730 contavano in loco 777 abitanti, distribuiti in 60 cortili (curte), tutti raggruppati intorno alla Parrocchiale, mentre i terreni sommavano a 3.133 pertiche milanesi. Questo significa che Mappa catastale del Comune di San Giorgio, 1825. in rapporto a due secoli prima 17 l’abitato era il doppio più esteso e più popolato.44 I proprietari di immobili erano 58, di cui gli 11 principali (compresa la Chiesa) possedevano il 92% del totale. I nomi sono quasi gli stessi del precedente catasto spagnolo, ma spicca l’assenza dei Lampugnani, poiché avevano già venduto ai Lucini. Nel primo ′700 il conte Francesco Lucini era infatti il maggior possidente locale e la sua cospicua offerta contribuì alla costruzione, nel medesimo luogo dove era stata appena abbattuta l’antica chiesetta di San Giorgio, di una chiesa sussidiaria, allora detta soltanto ‘chiesa nuova’ (gësa nœva), poiché posteriore alla Parrocchiale. Questo nome popolare durerà a lungo: la dedica al SS. Crocifisso data infatti al 1933, quando fu costruita la nuova Parrocchiale. Fu consacrata nel 1703 da G. M. Corentano, Prevosto di Legnano. La dedica a San Giorgio del precedente tempio trecentesco restò comunque viva nel tempo, sia per la scritta sul timpano (D.O.M. Divoque Georgi M., mantenuta anche nel rifacimento della facciata del 1812), sia perché si suole interpretare il soldato ai piedi del Santo Crocifisso nel complesso ligneo dell’altare (opera seicentesca proveniente dal soppresso convento Sant’Angelo dei Frati Riformati di Legnano) come una scultura votiva dedicata al santo martire. In aggiunta, oltre a una statua bronzea che lo raffigura eretto sulla cima del campanile ottocentesco, nel restauro del 1961 fu murata la finestra centrale della facciata e applicato un bel mosaico che lo effigia a cavallo nell’atto di uccidere il drago, opera che fu affiancata da due mosaici simili, ciascuno con un angelo, collocati nelle edicole delle finestre cieche separate da lesene. Ritornando al percorso storico, si ricorda che dopo la breve parentesi sabauda (1733-1736) e la fugace riconquista spagnola di Filippo V di Borbone, il trattato di pace di Aquisgrana del 1748 assegnò il definitivo possesso della Lombardia agli Asburgo d’Austria, inaugurando l’epoca dell’imperatrice consorte Maria Teresa. Le sue ampie riforme ridisegnarono le funzioni amministrative: i Consigli generali furono rimpiazzati da un Convocato generale, che era formato da tutti i proprietari di immobili. Furono conservate le cariche di sindaco, consoli ed esattore, ma ora controllate da revisori contabili di nomina imperiale. Nel Convocato generale vi era un gruppo scelto Chiesa del SS. Crocifisso 18 di cinque deputati che eleggeva direttamente il sindaco. Fra i provvedimenti di Maria Teresa vi fu anche la vendita di terreni demaniali per ripianare i debiti dei Comuni, però lo Stato, in cambio, s’impegnò a riacquistare tutte le terre assegnate precedentemente in regalia e la generosità di tali rimborsi ebbe l’effetto di liberare capitali che furono reimpiegati in agricoltura, innescando così la ripresa economica. Sicuramente anche San Giorgio risentì di questa fase positiva, dato che proprio negli stessi anni furono ristrutturati molti edifici, fra cui il palazzo Lucini, impreziosito nel salone principale dagli affreschi di Biagio Bellotti (17141789), e fu rimaneggiata la facciata della chiesa Parrocchiale nello stile del nuovo secolo. Il coevo incremento demografico creò ovviamente esigenze di migliorie urbanistiche: nel 1789 si riparò la Piazza grande e la sua ‘piscina’ (vasca e fontanile, collocati in centro) e vi fu pure necessità di un camposanto, che venne realizzato nel 1787 accanto alla chiesa nuova acquistando il terreno dai marchesi Parravicini. L’opera fu anche motivata dalle nuove norme cimiteriali introdotte da Giuseppe II, figlio e successore di Maria Teresa, il quale, con una personalissima visione di governo illuminato, estese l’idea di sovranità assoluta alla vita religiosa, intromettendosi pesantemente negli affari ecclesiastici. Nel 1785 decretò, tra l’altro, la chiusura di molti ordini di preghiera, da lui bollati come ‘enti inutili’. Fra questi le Clarisse, il cui monastero legnanese, prima di essere venduto all’asta, fu adibito per tre anni a pellagrosario. La diffusione in zona della pellagra ci rivela quanto la vita dei contadini fosse ancora assai povera, con una dieta basata quasi esclusivamente su polenta di mais (formentone), causa della malattia dovuta a carenza di vitamine del gruppo B. Ormai le contraddizioni dell’ancien régime stavano già esplodendo oltralpe nella Rivoluzione Francese e Francesco II, nipote di Giuseppe II, cercò prontamente di organizzarsi per poter arginare l’ondata della sua influenza. Nel 1792 un messaggio del suo portavoce, conte Litta, chiedeva a tutti gli uomini validi di formare bande paramilitari per contrastare un’eventuale invasione francese.45 Il pericolo era quanto mai reale: nel 1796 l’esercito di Bonaparte batteva a Lodi gli austriaci e tre mesi dopo, agli ordini del generale Massena, le truppe francesi entravano a Milano e destituivano il governo asburgico proclamando la Repubblica (detta Cisalpina). Molti milanesi in festa eressero in piazza del Duomo l’Albero della Libertà, ma gli entusiasmi si spensero presto, quando i nuovi tributi imposti dal Massena e i saccheggi di case e chiese scatenarono rivolte, specie nelle campagne, dove i soldati di Bonaparte non esitarono a usare modi brutali, incendiando e massacrando. Esose tassazioni agricole e l’obbligo, in molti casi, di consegnare il bestiame alle autorità resero chiaro alle genti rurali, dunque anche alla maggioranza dei cittadini sangiorgesi, che il corso della Storia stava volgendo in una direzione diversa da quella sperata. 19 Età contemporanea – l’Ottocento Le parvenze repubblicane crollarono nel 1805, quando Bonaparte, già incoronato Imperatore dei Francesi, si proclamò re d'Italia nel duomo di Milano ponendosi sul capo la Corona Ferrea. Da allora tutte le pubbliche amministrazioni della penisola dovettero giurargli fedeltà. La sua riorganizzazione territoriale stabilì l'accorpamento di tutte le entità minori e quindi, dal 4 novembre 1809, il Comune di San Giorgio fu soppresso e inglobato nell’attiguo Comune di Canegrate, del quale fece parte fino al 7 novembre 1811. Sul modello francese, l'ex-Ducato fu diviso in Dipartimenti. Nel 1805 nel Dipartimento dell'Olona vi erano 4 distretti: Milano, Pavia, Monza e Gallarate. Quest'ultimo si estendeva nell’area tra Rho, Albizzate, Sesto Calende e Cuggiono. I centri maggiori erano Gallarate, Busto Arsizio, Saronno e Legnano, fra cui le attività produttive si stavano organizzando in una rete di scambi, nonostante gli arruolamenti di leva napoleonici sottraessero al lavoro molti giovani. Sopperivano le donne, impegnate nell’allevamento del bestiame, nelle vigne e nella filatura della seta. Il contemporaneo incremento delle opere pubbliche (darsene, ospedali, caserme, archi, monumenti) modificava intanto l’urbanistica milanese, secondo un nuovo piano centrato su Foro Bonaparte.46 L’opulenta Milano che affascinò Stendhal trascorreva serate alla Scala e giocava alla roulette, ma nelle periferie le condizioni restavano precarie e l’eco di tali fervori edilizi arrivò attenuata. Nel 1812 a San Giorgio fu restaurata la facciata della chiesa nuova e, all’esterAttrezzature rustiche per la bachicoltura no, fu aggiunto un mortorio, cappelletta (conc. Museo Etnografico di Oleggio oratoria in cui venivano esposte le ossa dei defunti, affinché i fedeli, passando, si ricordassero di pregare per loro. Questo ossario fu poi demolito nel 1881 per dare spazio al monumento per la salma del parroco Giacomo Gerli, costruzione a sua volta abbattuta nel 1910, dopo il trasferimento dei resti dell’amato prete in una cappella dell’attiguo camposanto (ora non più esistente, sostituito dal nuovo cimitero inaugurato nell’anno 1928). La disfatta nella campagna di Russia segnò l’inizio del declino di Napoleone e, subito dopo la sua abdicazione, finì anche il Regno d’Italia, da lui affidato al vicerè Eugenio di Beauharnais, figlio di prime nozze di sua moglie Giuseppina. Il 30 aprile 1814 la divisione austriaca del generale von Neipperg entrava quindi a 20 Milano e il 12 maggio dello stesso anno il maresciallo Bellegarde riprendeva possesso della Lombardia in nome di Francesco I d’Austria. Ma l’intento della Restaurazione di ripristinare le vecchie strutture di potere si scontrò da subito con i fermenti cospiratori di gran parte della borghesia, decisa a rivendicare quanto meno una forma costituzionale dell’istituzione monarchica. E alle segrete vendite carbonare si unirono anche aristocratici progressisti, come il conte milanese Federico Confalonieri, partecipe attivo dei moti insurrezionali del 1820-2147. Tali tensioni, tuttavia, non impedirono all’economia di registrare una fase positiva, accompagnata da crescita demografica. In particolare, la manifattura lombarda, che già comprendeva lavorazioni di seta e cotone, vide sorgere le prime tessiture dotate di telai meccanici Jacquard,48 vero cardine tecnico della prima rivoluzione industriale, macchinari complessi che richiedevano manutenzione e riparazioni, di qui il fiorire in parallelo di officine meccaniche. Già nel secondo decennio dell’Ottocento il tedesco Krumm e lo svizzero Martin avevano fondato a Legnano un’industria meccanica legata alla tessitura e nel 1830 fu inaugurato il Cotonificio Cantoni, i cui telai automatici erano azionati da mulini che giravano nelle acque dell’Olona. Tale evolversi dei mezzi di produzione e l’incremento dei commerci resero ancor più anacronistici i vecchi privilegi politici restaurati dal Congresso di Vienna, mentre la diffusione di riviste e libelli favoriva la circolazione di ideali nazionalistici e di giustizia sociale. Così, quando l’inattesa recessione del 18461847 inasprì il fermento del popolo, la rivolta scoppiò nei moti della primavera del 1848, che a Milano toccarono l’apice con gli scontri delle Cinque Giornate, terminati con la cacciata dalla città dei soldati del maresciallo Radetsky. Insorsero anche uomini di Legnano e dei paesi vicini, formando bande con armi di fortuna. L’immediato referendum per l’annessione della Lombardia al Regno Sabaudo (dove già vigeva lo Statuto Albertino) registrò, tuttavia, 120.000 voti in più per i contrari. Nonostante questo, Carlo Alberto ne approfittò comunque per accogliere i volontari lombardi e attaccare gli austriaci, subendo le prime sconfitte a Custoza e Novara. La repressione di Radetsky spinse allora molti liberali ad arruolarsi nei Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, mentre altri patrioti fuggivano oltre il Ticino (che all’epoca era confine di stato). Le acque si calmarono con la rimozione del cancelliere Metternich attuata dal giovane imperatore Francesco Giuseppe, che concesse la Costituzione nel 1849 e assegnò il Lombardo-Veneto a suo fratello Massimiliano, il cui impulso alle opere pubbliche accelerò soprattutto i lavori ferroviari. La costruzione della linea a vapore tra Milano e Gallarate iniziò infatti nel 1858.49 Un ampliamento della carrozzabile verso Legnano avrebbe permesso ai sangiorgesi un più facile accesso alla fruizione del treno, ma la strada tra San Giorgio e la stazione legnanese venne realizzata soltanto nel 1907.50 Un articolo 21 apparso sulla Gazzetta di Milano del 28 febbraio 1857 lodava i progressi del telegrafo e delle ferrovie e applaudiva il decreto sul libero movimento di merci e persone entro i confini dell’Impero, “mallevadore di tempi tranquilli e prosperi”; facile indovinare la prosperità, negli anni pioneristici delle industrie, ma sulla tranquillità fu pessimo profeta: nel 1859 il primo ministro Cavour, in accordo segreto con Napoleone III, respingeva l’ultimatum austriaco e iniziava la seconda guerra d’indipendenza, culminata con la sanguinosa battaglia di Magenta, vinta dai Franco-Piermontesi comandati dal gen. Mac Mahon51. Le successive battaglie di Solferino e San Martino liberarono infine la Lombardia dal dominio austriaco, annettendola nel regno di Vittorio Emanuele II. Non sappiamo quanti sangiorgesi abbiano partecipato a tali scontri, ma certamente in quegli anni il nobile patriota Giuseppe Parravicini, temendo una perquisizione della polizia austriaca, nascose in un pozzo della sua villa una spada, una baionetta e un fucile datato 1841, armi trovate poi dai discendenti.52 In conseguenza dell’annessione al Regno di Sardegna, il Comune di San Giorgio fu inserito nel circondario di Gallarate, mandamento di Saronno. Nel 1859 un decreto del ministro Rattazzi aveva infatti ridisegnato la geografia amministrativa statale in una struttura che Cortile della villa Parravicini sarebbe rimasta in vigore anche dopo la proclamazione del Regno d'Italia (1861) e fino al 1923, quando furono aboliti mandamenti e circondari. In virtù dello stesso decreto, il Comune sangiorgese fu amministrato da un Consiglio di 15 membri e da una Giunta di due persone. Tre anni dopo, il Regio decreto 941/1862 cambiava nome all’abitato per distinguerlo dagli omonimi: da San Giorgio si passò così all'attuale San Giorgio su Legnano. Infine, dal 1865, con la nuova legge sull'ordinamento comunale, anche la nostra comunità, come tutte le altre, fu amministrata da un Sindaco, una Giunta e un Consiglio Comunale. Secondo il primo censimento dello Stato unitario (1861) i residenti sangiorgesi erano 1.349. La mappa catastale di tre anni prima li vedeva distribuiti in maggioranza in abitazioni a due piani articolate intorno a una corte, oppure in case che occupavano solo una parte del cortile, in tal caso detto ‘corte unita’. Edifici in sassi e cotto, tetto in tegole, ai quali si accedeva da un portone ad arco; talvolta per accedere a una corte si doveva passare per un’altra. I nomi spesso indicano i proprietari, ma a volte le mere qualifiche (Corte del prete, Corte dell’osteria vecchia, Corte del pastore ecc.) e in taluni casi citano unicamente la 22 funzione (Casa colonica, Casa parrocchiale). Sulla mappa, il palazzo ArborioMella e la villa Parravicini (dette case di villeggiatura) spiccano per la vastità dei parchi, che occupavano un quarto dell’area comunale. Sul fronte economico, va notato che dopo metà ‘800 avvenne a San Giorgio una mutazione progressiva del sistema produttivo, fino ad allora basato quasi esclusivamente sull’agricoltura, con la comparsa delle prime attività protoindustriali. Del 1865 è infatti il nucleo originario della Tessitura Giovanni Restelli, primo stabilimento tessile avviato nel paese (è l’azienda che nel 1942 si fuse con la Tessitura Nosatese rinominandosi Tessitura di Nosate e San Giorgio).53. Essa fu poi imitata, secondo un documento del 1872, da altri due stabilimenti di lavorazione della seta, che insieme davano lavoro a circa 200 persone., in maggioranza donne.54 Di queste ultime aziende, però, non c’è più traccia in un registro del 1891, che cita soltanto una filiale della filanda Kramer & C. di Legnano e una modesta ditta produttrice di acquavite. Non erano vere e proprie industrie, ma appendici manifatturiere della coltivazione della vite e, soprattutto, del gelso, coltura che rappresentò l’ancora di salvezza per l’economia agricola, messa in crisi da una serie di fattori concomitanti. In campo cerealicolo, il cambio dei rapporti tra contadini e proprietari, che passarono dalla mezzadria al contratto“misto a grano" (per il quale il contadino doveva fornire al padrone quantità fisse di grano indipendentemente dall'entità del raccolto), ebbe l’effetto di aumentare il rischio intrinseco dell’attività agraria, rendendola spesso insufficiente al sostentamento famigliare, specialmente negli anni in cui calavano i profitti per il ribasso dei prezzi causato dalle importazioni di grano russo e americano a basso costo. Per la viticoltura, invece, i fattori deprimenti furono calamità naturali: nel 1851 un’epidemia di crittogama ridusse di 2/3 la quantità di vino prodotta e tra il 1879 e il 1890 si diffuse la peronospora (fungo che secca il grappolo) seguita poi da un’invasione di Philloxera (afide fitofago). A causa di tali malattie le vigne di San Giorgio scomparvero quasi del tutto. Per fortuna rimasero i gelsi per l’allevamento dei bachi da seta destinati alle filande (nel 1911 l'80 % delle terre risultava difatti occupato da gelsicolture e nello stesso anno un censimento degli opifici registrava la presenza di ben 6 imprese di filatura in cui lavoravano 634 persone).55 Furono proprio queste prime filande a segnare il passaggio dall’economia agricola a quella propriamente industriale che si svilupperà nel XX secolo. Va comunque detto che dal 1850 anche la gelsicoltura fu soggetta a una letale epidemia: la pebrina (nosema bombycis), che per vari anni annientò la produzione sericola in quasi tutta Europa. La soluzione fu trovata in un seme giapponese resistente alla malattia, che tuttavia rendeva meno e costava di più, sicché solo chi possedeva macchinari di trattura a vapore riusciva a realizzare un sufficiente profitto, il che destinò all’estinzione tutte le ‘filandine’ 23 artigianali. Dato rilevante del settore, come si è visto, era la prevalente presenza femminile: dei 142 addetti della filatura Kramer, che a San Giorgio a fine secolo utilizzava 88 bacinelle a vapore, 128 erano donne (di cui un terzo inferiori ai 15 anni)56 Quindi, per gli uomini che abbandonavano i campi nella grave depressione agricola dell’ultimo Ottocento restavano poche possibilità: trovare lavoro nei cantieri edili o ferroviari o nelle industrie pesanti, oppure emigrare in America. Se furono relativamente pochi gli emigranti sangiorgesi si deve al fatto che buona parte dei lavoratori agricoli fu assorbita dalle ditte metalmeccaniche che proprio in quegli anni sorgevano nella vicina Legnano; prima fra tutte la Franco Tosi, nata nel 1882 da un sodalizio tra l'ingegner Franco Tosi ed Eugenio Cantoni, titolare dell'omonimo cotonificio. Dalla Tosi derivarono poi nuove fabbriche aperte da ex dipendenti, come la fonderia-officina Andrea Pensotti, che iniziò l’attività nei primi anni del ′900, mentre altri stabilimenti operavano nell’indotto della Cantoni, come, dal 1894, la Tessitura Carlo Dell’Acqua e, dal 1898, il cotonificio-tintoria Antonio Bernocchi.57 Anche a San Giorgio sorsero fabbriche che agivano su commesse della Cantoni, come la citata Tessitura Restelli, dotata all’epoca di ben 424 telai, di cui 48 automatici, ai quali lavoravano 190 donne e 35 uomini. In seguito nacque la ditta Orsi (cui subentrò nel 1913 la Tessitura Solbiati), fornita nel 1907 di 100 telai, ma che già l’anno dopo ne contava 330. Un rapido sviluppo tessile che anche nel nostro paese creò l’indotto di addetti alle riparazioni, per lo più fabbri e piccole officine, ma anche una fonderia di medie dimensioni: la storica ditta Carlo Colombo, sorta nel 1908 (e ancora attiva), che produceva pezzi fusi per aziende tessili e officine meccaniche. A fronte di tali novità industriali, non va però dimenticato che a cavallo tra ′800 e ′900 una certa percentuale di sangiorgesi restava ancora legata alle tradizioni agricole, soprattutto i meno giovani, che cercavano di trarre dai campi quel poco che bastava per una mera sopravvivenza. In giornate molto faticose, sudate a forza di braccia e aiutati da mezzi a trazione animale (soltanto per la trebbiatura si L’ex tessitura Solbiati affittavano locomobili a vapore), gli agricoltori conducevano una vita grama, lesinando su tutto pur di riuscire a tirare avanti negli stretti margini dei contratti sfavorevoli. E dopo il varo della tassa sul macinato i fermenti nelle campagne si acuirono al punto da sfociare in sommosse, come la rivolta di Arluno del 1889, durante la quale la devastazione delle case 24 padronali provocò l’intervento dell’esercito, conclusosi con morti e feriti. La responsabilità fu addossata alla propaganda dei militanti socialisti, ma intanto si avviarono trattative che, seppur tra varie difficoltà, recarono qualche miglioria alle condizioni dei contadini. Non era meno dura la situazione nelle fabbriche, dove gli operai e le filandiere lavoravano in ambienti malsani, con orari pesanti e salari al limite della sussistenza. Basti qui citare un accordo siglato dopo uno sciopero di cinque giorni, controfirmato il 7 luglio 1880 dal sindaco di Legnano Flaminio Dell’Acqua, in base al quale si riduceva l’orario giornaliero di lavoro nelle filande locali a sole dodici ore.58 Dodici ore filate ai telai per donne che poi a casa, come era consuetudine, svolgevano anche i lavori domestici! Pochi anni più tardi, insieme alle proteste operaie organizzate dalle prime leghe sindacali, si inasprirono le lotte politiche alimentate da socialisti e radicali che si opponevano a liberali e conservatori per ottenere riforme sociali. Dopo i governi del liberale Giolitti, parzialmente riformista, il gabinetto Crispi segnò, all’opposto, una svolta autoritaria e la stessa linea proseguì con Rudinì, che subito ordinò lo scioglimento delle Camere del Lavoro e di tutti i circoli socialisti e cattolici, decretando perfino l’uso delle armi contro gli scioperanti. Il fatto più grave avvenne a Milano nel 1898, quando il generale Bava Beccaris dette l’ordine di mitragliare i popolani in sommossa causando la morte di 80 persone (secondo i dati ufficiali, ma si stima furono più di 200). Anche a Legnano una manifestazione operaia venne dispersa dalle cariche dei carabinieri, si eseguirono perquisizioni e furono arrestati diversi esponenti del partito socialista. L’Ottocento si chiuse dunque in un’atmosfera di tensione, aggravata da una pesante recessione economica, nella quale la nuova linea della Chiesa (assai influente sulla maggioranza cattolica dei sangiorgesi) auspicava una mediazione pubblica tra gli interessi del capitale e i diritti del lavoro, come recita un passo della nota enciclica Rerum Novarum di Leone XIII del 1891:“le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato”.59 A San Giorgio il segno di questa rinnovata fiducia nelle istituzioni cattoliche fu il successo di una raccolta fondi che in parte finanziò la costruzione del campanile della chiesa nuova (poi consacrata al SS. Crocifisso), iniziata nel 1888 su disegni dell’architetto Arborio Mella. Opera che fu inaugurata nel 1894.60 Ma questo non era l’unico importante cantiere presente allora nel quartiere: già nel 1887 una delibera del Consiglio Comunale aveva permesso al sindaco Ernesto Prandoni di acquistare dalla nobile famiglia Visconti di Modrone una vasta area edificabile, situata a metà di via Gerli, allo scopo di costruire un nuovo palazzo pubblico destinato ad ospitare le scuole elementari e gli uffici comunali, edificio che fu ultimato nel 1892. 25 Dall’inizio del XX secolo alla fine della II Guerra Mondiale Il principio del nuovo secolo, aperto con l’assassinio di re Umberto I per mano anarchica, vide l’industria nostrana proseguire la rincorsa ai paesi più avanzati. Nel primo decennio l’evoluzione tessile e meccanica dell’area legnanese attirò una forte immigrazione di manodopera proveniente dalle campagne lombarde e dalle regioni vicine. Secondo un censimento industriale del 1911, nell'intera zona operavano, tra piccole e grandi, più di 200 aziende, nelle quali lavoravano circa 11.000 addetti. Tutte le fabbriche impiegavano la forza motrice del vapore e alcune sfruttavano anche i recenti motori elettrici, di cui si contava una cifra intorno a 500.61 L’elettrificazione era infatti la novità dell’epoca, visibile pure nel cambio dei vecchi lampioni a gas con lampade a incandescenza, come avvenne a San Giorgio nel 1903. Negli stessi anni l’ingegneria edile scopriva nuove formule per l’uso del cemento armato, adatto sia a costruire capannoni industriali sia ad erigere palazzi multipiano per offrire alloggi a impiegati e operai. Una nota del Chronicon (annuario della Parrocchia di San Giorgio) ci informa che dal 1894 “furono aggiunte molte case […] sì da formare parecchie vie e quasi raddoppiare l’area del paese”. Il forte aumento demografico dovuto allo sviluppo industriale (San Giorgio passò dai 1.520 abitanti del 1881 ai 2.933 del 1911)62 generò naturalmente nuove esigenze di servizi, come scuole, asili, presidi sanitari e luoghi ricreativi, realizzati spesso con l’ausilio degli imprenditori che, in veste di benefattori, ottenevano prestigio sociale e consenso politico. Non a caso i primi sindaci novecenteschi di San Giorgio furono il citato Giovanni Restelli (19011910) e Guido Orsi (1910-1913), proprietari delle omonime e maggiori aziende tessili. Dobbiamo ricordare, però, che all’epoca le elezioni si svolgevano ancora a suffragio censitario ristretto, poiché il suffragio universale maschile fu introdotto in Italia soltanto nel turno elettorale del 1913. Elezioni vinte da Giolitti, che con l’impresa militare di Libia aveva appena ottenuto un chiaro successo in politica estera, ma che si trovò a governare sostenuto da una maggioranza eterogenea (dai socialisti alla destra liberale) e non riuscì a proseguire la sua strategia di riforme graduali. In questo clima di stallo si arrivò all’estate 1914, quando a Sarajevo l’attentato omicida all’erede al trono di Vienna scatenò una guerra tra l’Impero austriaco e la Serbia, conflitto che, per l’intreccio delle alleanze e l’esplodere di vecchi irredentismi nazionalistici, nonché per le tendenze espansionistiche delle maggiori potenze, si trasformò ben presto nell’enorme carneficina della Prima Guerra Mondiale, che causò 9 milioni di morti fra i soldati e più di 4 milioni di vittime civili. Dopo un anno di accesi contrasti tra neutralisti e interventisti, nel 1915 il Regno d’Italia cambiò le alleanze ed entrò in guerra contro gli Imperi Centrali, mirando alla conquista di Trento e Trieste. Superata la prima fase, in cui 26 le difficoltà dei rifornimenti e la forte riduzione dei commerci spiazzarono la produzione industriale, nel perdurare della guerra furono le commesse militari a far crescere a due cifre i fatturati delle aziende impegnate nell’equipaggiamento dell’esercito. Nel distretto industriale dell’Alto Milanese (a cui apparteneva San Giorgio) questo sostegno allo sforzo bellico coinvolse molte fabbriche, tra cui la legnanese Franco Tosi, che attrezzò un intero reparto alla produzione di affusti per l’artiglieria. Anche i civili furono toccati dalle leggi di guerra, su vari fronti: gli agricoltori dovettero rispettare i calmieri e gli obblighi di produzione, mentre i lavoratori delle industrie pesanti furono assoggettati a una ferrea disciplina, con sospensione delle conquiste sindacali, orari e cottimo in funzione dell’emergenza e regolamenti di tipo militare, che prevedevano l’invio al fronte per i trasgressori maschi e licenziamenti in tronco per donne e ragazzi.63 La targa memoriale affissa in cimitero e il Monumento ai Caduti in piazza IV novembre (opera di Gino Maggioni) ci informano che i morti sangiorgesi nella Grande Guerra furono 35, il che fa supporre un numero almeno triplo di feriti. Non pochi per una piccola comunità come San Giorgio. Fra i caduti si ricorda, uno per tutti, la medaglia d’argento avv. Carlo Floriani, che partì volontario e morì in una dolina carsica durante un eroico assalto contro gli austriaci. Al ritorno dal fronte, nel 1918, i reduci trovarono un’Italia in subbuglio, tra inflazione e nuovi scioperi, dopo quelli indetti nel periodo bellico a causa dei bassi salari e della carenza di generi di prima necessità. Le difficoltà per le famiglie perdurarono anche nel primo dopoguerra, cosicché, per alleviarle, sorse anche a San Giorgio una Cooperativa di consumo, della quale si sa che imbottigliava vino e produceva in proprio alcuni alimenti, vendendoli a prezzi inferiori ai correnti. Il movimento cooperativo non faceva capo solo all’area socialista, essendovi anche spacci comunitari gestiti da società cattoliche. La rivalità tra ‘rossi’ e ‘bianchi’ si riproponeva anche nelle rappresentanze sindacali: nel 1918 la C.I.L. (Confederazione Italiana dei Lavoratori), d’ispirazione cristiana, si pose difatti in netto antagonismo ai sindacati socialisti. Alla C.I.L. erano iscritti molti lavoratori sangiorgesi, gran parte dei quali seguiva le attività della parrocchia. Fra queste animose rivalità politiche e il diffondersi nel mese di ottobre 1918 della virulenta influenza Spagnola (che stroncò nel La tessitura Restelli negli anni ‘20 mondo decine di milioni di persone – 27 a San Giorgio 80 decessi!), i soldati vittoriosi non ebbero il giusto riconoscimento di tanti anni di stenti e pericoli, anche se nell’area milanese, a differenza di ciò che accadde in altre regioni italiane, trovarono almeno dei posti di lavoro in un tessuto industriale in continua espansione. Proprio nel 1919 nacquero a San Giorgio il Salumificio Reina e la Fonderia Sangiorgese. Nonostante la crisi economica, acuita dal venir meno delle commesse militari, resistevano infatti imprenditori animati da spirito concorrenziale che attiravano investimenti di istituti bancari e ciò condusse, su scala nazionale, allo sviluppo di grossi gruppi industriali e, nell’area lombarda, alla parallela diffusione di molte aziende minori, sviluppando un giro d’affari che finanziò associazioni attorno alle quali andò aggregandosi una fascia della piccola-media borghesia disorientata dall’instabilità politica e dalla precarietà economica, nonché dall’inasprirsi del conflitto di classe in un periodo di drastica riduzione dei salari (nel 1920 arrivò al 20%).64 Durante le agitazioni del cosiddetto biennio rosso (1919-1920), culminate a Milano con l’occupazione di alcune fabbriche da parte di operai inneggianti alla rivoluzione bolscevica (sull’esempio russo del 1917),65 in un salone milanese dell’Alleanza Industriale, il 23 marzo 1919, Benito Mussolini, capo dell’ala nazionalista della compagine socialista, dava lettura del programma dei Fasci di combattimento,66 i cui assunti di stampo anticlericale, anticapitalista e antibolscevico sfruttavano con demagogia patriottarda la delusione dei reduci e la rabbia dei giovani messi in difficoltà dalla crisi del dopoguerra. Dopo il deludente risultato nelle elezioni del 1919 e un cambio di prospettiva, il partito fascista riuscì a coinvolgere varie forze sociali ed economiche per organizzare nell’ottobre del 1922 la Marcia su Roma, manifestazione insurrezionale contro la quale il re Vittorio Emanuele III non osò contrapporre l’esercito e che, anzi, finì per avallare, suggerendo le dimissioni al premier Facta e incaricando Mussolini di formare il nuovo governo. Sebbene don Luigi Sturzo, cofondatore nel 1919 del Partito Popolare, proponesse in funzione antifascista l’accordo con i socialisti (già divisi dai comunisti dopo il congresso di Livorno del 1921), i deputati popolari accettarono di partecipare con i liberali al governo Mussolini, garantendo così la maggioranza. Ma tale veste democratica divenne presto ininfluente, poiché il futuro duce iniziò celermente un processo di totale fascistizzazione dello Stato, instaurando in pochi anni una vera dittatura. Regime totalitario ufficialmente suggellato, a scanso equivoci, con l’assunzione di responsabilità di Mussolini per l’omicidio del deputato socialista Giacomo Matteotti, ucciso a Roma da tre squadristi nel giugno 1924. Ricordare tali eventi nazionali non intende varcare i limiti di questa storia locale, ma inquadrare il clima politico in cui anche i sangiorgesi si trovarono a vivere e lavorare in quel periodo, invasi dalla propaganda di regime, timorosi di ostracismi e delazioni, uniformati dall’obbedienza coatta ad amministratori non eletti democraticamente: 28 la legge 237 del 4 febbraio 1926 stabilì, infatti, che i Comuni inferiori a 5.000 abitanti (come all’epoca San Giorgio) fossero governati da un Podestà unico, nominato con Regio decreto e dotato di poteri decisionali; lo affiancava una Consulta Municipale di sei membri di nomina prefettizia, che aveva funzioni meramente consultive. In pratica, l’unico autorizzato a deliberare era il Podestà, una sorta di mini-duce locale che era in realtà uno zelante esecutore delle direttive del Partito Nazionale Fascista, che poteva ‘dimissionarlo’ in qualsiasi momento. Il primo Podestà di San Giorgio fu il medico Virgilio Maggioni, in carica fino al 1936, quando il ruolo passò all’ing. Ettore Malinverni, che lo tenne sino al 1940, anno in cui il Comune, per ordine prefettizio, venne commissariato. Fu dunque Maggioni (già azionista, come Malinverni, della nota Società Anonima Elettrica San Giorgio su Legnano) che partecipò nel 1926 all’inaugurazione della Fonderia Castoldi & C., nuova azienda fondiaria che segnò in paese l’incremento del settore metallurgico. Sul fronte urbanistico, negli anni Venti fu completata la rete di condutture per l’acqua potabile e fu ultimata la rete elettrica, nonché inaugurato il nuovo cimitero (1928) e costruite diverse unità residenziali intorno al nucleo storico. Ampliamenti edilizi che non devono però farci travisare l’immagine di San Giorgio in quegli anni: continuava a tenersi il mercato del bestiame in una ‘curta’ di via Diaz, crescevano i gelsi Fiera Autunnale – Mercato del bestiame in nei terreni Restelli e il paese era ancora una ‘curta’ immerso nel verde delle groane: basti ricordare che la strada per Canegrate (allora sterrata), lungo la cinta del cimitero vecchio (oggi via Milano), era ombreggiata da arbusti così fitti da evocare paure fra i ragazzi, i quali, per sfida, la percorrevano di sera a gran corsa fino alla Madonnina della Cascina Bianchi, a quel tempo rischiarata solo da un lumino perché i lampioni si fermavano più indietro (oggi invece la zona è pressoché centrale). All’epoca gli svaghi dei giovani erano semplici: partite di calcio sul campo dell’Oratorio, corse campestri e giri in bicicletta, anche se già esisteva 29 un’associazione per i più appassionati: l’Unione Sportiva Sangiorgese, nata nel 1908 come Velo Club San Giorgio (cicloamatori) e divenuta nel 1921-1922 Società Polisportiva con regolare statuto (è tuttora attiva, riconosciuta dal CONI e organizza, tra l’altro, il noto Campaccio, cross podistico annuale che dal 1963 costituisce un evento internazionale a cui partecipano atleti da tutto il mondo)67. Nel 1929 fu costruito nella contrada nova (oggi piazza IV Novembre) un edificio atto a ospitare le nuove scuole elementari, progettato dall’architetto sangiorgese Gino Maggioni nello stile razionalista che caratterizzava l’edilizia littoria. Ciò permise agli uffici comunali, allora posti provvisoriamente nel palazzo Arborio Mella, di riallocarsi nella sede originaria di via Gerli, da dove si erano trasferiti nel 1924 per aumentare le aule scolastiche coesistenti nello stesso edificio. Nello stesso anno, a Roma, veniva siglata la conciliazione tra Stato e Chiesa con i Patti Lateranensi, ma la tensione tra cattolici e fascisti perdurò latente, fino a scoppiare nel maggio 1931, quando gruppi di attivisti in camicia nera devastarono i circoli della FUCI e dell’Azione Cattolica (che era l’unica associazione non controllata dal regime), sequestrando bollettini e bruciando documenti giudicati sovversivi. In tale aspro contesto, un appunto del Chronicon della parrocchia di San Giorgio annota: “La sorda guerra che da tempo si va facendo all’Azione Cattolica è culminata oggi nello scioglimento della GC (gioventù cattolica) e della GFC (gioventù femminile cattolica) per ordine prefettizio”68. Un’altra nota dello stesso anno, più ottimista, riguarda il progetto per una nuova chiesa parrocchiale da costruire in tempi di recessione economica (è infatti recente il crollo di Wall Street del 1929, ribadito nel 1931 da un nuovo minimo):“Si stende l’istrumento di compera del terreno per la nuova Chiesa. La crisi mondiale si allarga e si aggrava, la miseria si fa avanti […]. Certo dar mano oggi ad opere costose è un’utopia...”69. Eppure utopia non fu, perché, grazie a generose donazioni, l’opera fu realizzata in breve tempo: nell’aprile del 1933 l’arcivescovo di Milano poneva la prima pietra della chiesa, che venne ultimata appena due anni dopo, quando un’altra pagina del Chronicon registrava: “1935 - Aprile, 24. Alle 3 hanno inizio le cerimonie della consacrazione. La Chiesa esternamente è illuminata da potenti fari. Una gran folla di popolo assiste alla cerimonia (gli stabilimenti del paese hanno sospeso il lavoro)”. E sul diario del parroco mons. Pietro Ermolli si legge: “23 aprile 1935, alle 18:30 arriva il cardinale Schuster, che porta il cofanetto contenente le reliquie di San Giorgio, San Lorenzo e San Natale che domani saranno messe nella mensa dell’altare maggiore”.70 All’interno della chiesa, imponente costruzione neorinascimentale d’ispirazione bramantesca, furono posti anche elementi di antico pregio provenienti dalla vecchia chiesa parrocchiale, come un altare neoclassico (in una cappella laterale), un organo di metà ′800 e una pala d’altare raffigurante San Bernardino (in origine destinata alla chiesetta 30 dell’omonima cascina legnanese poco distante) dipinta da Biagio Bellotti, artista bustese d’impronta tiepoliana (già citato per gli affreschi del salone Arborio Mella) che, tra l’altro, lavorò anche nel santuario legnanese della Madonna delle Grazie, al quale è legata architettonicamente la chiesa del SS.Crocifisso.71 Sotto il profilo economico, la seconda metà degli anni Trenta segnò per San Giorgio una fase di stagnazione, con minori esportazioni a causa delle sanzioni internazionali per l’attacco italiano all’Abissinia. Restava, tuttavia, il mercato interno, dove le aziende locali erano assai competitive. Nel 1938 la Manifattura Sangiorgese, nata nel 1929, segnò un record di cotone lavorato e la Tessitura Peretti, sorta nel ′36, raggiunse l’eccezionale misura di 800 km di rayon, mentre la Fonderia Colombo Giuseppe di Carlo, nella quale lavoravano circa 200 operai, registrò la media di 1.200 quintali di fusione mensili. Negli stessi anni sorsero nuove aziende, come la Lambertini s.n.c. (piattaforme per torni), la ditta Mesa (attrezzature per mense), l’Artigiana Carpenteria Meccanica (lavorazioni in acciaio), la Restelli Carlo s.r.l. (carpenteria varia) e la Colombo Angelo e figli, che iniziò nel ′34 a produrre viti e bulloni in un’officina di via Nazario Sauro e prima della guerra passò a costruire macchine per la lavorazione del legno.72 Dati questi che non solo confermano la tenuta economica e produttiva del paese nella fase precedente il secondo conflitto mondiale, ma che evidenziano altresì come proprio in quel periodo si consolidò la sua spiccata vocazione industriale. Ad ogni modo, per quanto aleggiasse un certa atmosfera di coesione sociale e sorgessero istituti di pubblica assistenza (ad esempio, nacque l’INFAIl, poi INAIL), restava ancora assai ampio il divario tra il ceto imprenditoriale e la classe operaia, anche perché la politica di compressione salariale continuava a erodere il potere d’acquisto delle famiglie meno abbienti. Ormai la rassegnata abitudine di obbedire agli ordini del duce aveva sopito in molta gente la memoria dei liberi sindacati (sostituiti dalle corporazioni fasciste), del pluralismo e della stessa democrazia, anche per il dominio esclusivo del regime dei mezzi di comunicazione di massa, come la radio (già diffusa nelle case borghesi e ascoltata dal popolo nei locali pubblici - un apparecchio costava nel 1937 circa un terzo del reddito annuo di un operaio), o il cinema, anch’esso controllato dal potere, sia direttamente negli studi di produzione (nel 1937 sorse Cinecittà) sia bloccando l’ìngresso di film stranieri (tranne quelli dei paesi alleati, come Piazza Mazzini nel 1935 31 dal 1936 la Germania nazista). Anche gli abitanti di San Giorgio si svagavano andando al cinema, ma per assistere ai film dovevano aspettare le rare proiezioni al teatro dell’Oratorio oppure recarsi a Legnano, poiché soltanto nel 1948 aprì la prima sala cinematografica sangiorgese (ora chiusa): il cinema Sotera. Questo nome, che già da quindici anni risaltava ricamato sul gonfalone del Comune, presenta nel finale la lettera ‘r’ al posto della ‘n’ dell’antico toponimo Sotena, riportato, come detto, dallo storico Giorgio Giulini.73 L’errore, ormai consolidato, risale al 1931: era contenuto in una relazione consegnata dal dott. Carlo Guidi (direttore del giornale La Voce di Legnano) all’allora podestà Virgilio Maggioni, nell’ambito di una ricerca per la pubblicazione del libro Storia dei Comuni della Provincia di Milano patrocinata dal Preside della Provincia Sileno Fabbri. Il Guidi scrisse “Sotena o Soterra...”, dando credito nell’aggiunta alternativa a una paretimologia dialettale legata a una leggenda locale secondo cui nella nostra zona furono sepolti i morti della famosa battaglia antimperiale del 1176. Di sicuro il Giulini, storico preciso e perfino pedante, non aveva sbagliato nel copiare il locativo ‘Sotene’ dell’iscrizione trecentesca e forse l’opzione proposta dal Guidi originava solo da un eccesso di zelo nel comprendere anche la leggenda locale; ma tant’è: al Podestà piacque il nesso con la battaglia di Legnano e da quel giorno sulle insegne del Comune è rimasto ‘Sotera’ (con la ‘r’, una sola)74. Questo breve excursus sul toponimo che campeggia sul nostro stemma ci permette di rilevare l’attenzione enfatica che il fascismo dedicò alla storica battaglia medievale come simbolo patrio (già risorgimentale) di impavida lotta contro le potenze straniere, la stessa che favorì la nascita, nel 1932, di una manifestazione annuale in costume detta Festa del Carroccio, dalla quale nel 1935 derivò il noto Palio di Legnano (rievocazione della battaglia con gara ippica finale fra le 8 contrade legnanesi che si svolge ogni anno intorno al 29 maggio). Insomma, benché sia plausibile, data la vicinanza, che alcuni armigeri di quel fatidico scontro siano stati sepolti nelle terre di San Giorgio, ciò non riguarda il suo antico toponimo: Sotena non deriva da ‘Sot tera’ (sotto terra), bensì probabilmente da una remota denominazione celtica. Ormai comunque la lettera errata fa parte della storia del paese e quindi si è scelto di mantenerla. Ciò che invece finì davvero sotto terra alla fine degli anni Trenta fu la correttezza scientifica, distorta da piaggerie di intellettuali organici al fascismo che teorizzarono la purezza della razza italiana, biologicamente ariana, sostenendo in sua difesa il varo delle leggi razziali, promulgate nel 1938-′39 sulla scia ideologica di quelle già emanate da Hitler nella Germania nazista. Obiettivo principale erano gli ebrei, ai quali fu imposta una lunga lista di divieti; gravi discriminazioni che furono solo il preludio delle successive deportazioni di massa nei campi di concentramento, in seguito divenuti campi di sterminio. Tuttora non 32 è noto quanti cittadini sangiorgesi di credo ebraico subirono questa sorte, ma sappiamo che nel 1942 i cinque membri della famiglia Contente (Israel, Paola, Nissim, Avram e Sara) furono salvati dal dott. Giacomo Bassi, allora segretario comunale di San Giorgio (e Canegrate), che riuscì a nasconderli in una stanza delle scuole elementari, fornendo loro documenti falsi e aiutandoli a spacciarsi per siciliani immigrati. Per tale benefico inganno, nelle violenze cupe di quegli anni, il dott. Bassi rischiò letteralmente la vita. Oggi il suo nome è nell’elenco dei ‘Giusti tra le Nazioni’ al Museo dell’Olocausto di Gerusalemme. Certamente la tragedia degli ebrei fu la tessera più abbietta e disumana di quel vasto mosaico di orrori che rappresentò per molti popoli la II Guerra Mondiale (più di 60 milioni di morti) scatenata nel 1939 dall’invasione tedesca della Polonia a coronamento di una politica aggressiva. Subito la Francia e l’Inghilterra dichiararono guerra alla Germania, mentre l’Italia fascista rimase neutrale fino al 1940, quando la vittoria lampo dei tedeschi sul territorio francese convinse il governo a schierare le truppe a fianco di Berlino, nel rispetto del ‘Patto d’Acciaio’ tra le due dittature. L’esercito regio tornava quindi a combattere su vari fronti (Africa, Grecia, Francia, Albania) e i famigliari di tanti giovani soldati non li videro più tornare: ricevettero solo avvisi listati a lutto, o nemmeno quelli, come per gli ottantaseimila dispersi dell’ARMIR. Circa 200 furono i militari sangiorgesi inviati in guerra e di loro ne perirono 33. Lo spazio non concede di citarli tutti (i nomi sono incisi su una lapide in cimitero), ma valgano ad esempio le storie di alcuni fra loro, come Celestino Vignati, Giuseppe Provasio e Antonio Morlacchi, dispersi in Russia, o come Ettore Fusè e Giannino Il dott. Giacomo Bassi Rossi che furono imprigionati dai tedeschi a Cefalonia dopo l’armistizio dell’8 settembre: il primo morì in un lager serbo, il secondo perì nell’esplosione su una mina della nave di trasporto.75 Sicuramente decisiva per le sorti del conflitto fu poi la superiore forza aerea anglo-statunitense, impegnata in pesanti bombardamenti sui fronti di guerra e sulle città, tra le quali Milano, ridotta in molte zone a cumuli di macerie. Per tale motivo fu imposto l'oscuramento serale delle strade (affinché le case, con le finestre schermate, non fossero visibili dal cielo) e il divieto di circolazione dei civili dalle ore 21 alle 5 33 del mattino, mentre i generi alimentari scarseggiavano ed erano razionati con tessere annonarie. Identica penuria per gas e carbone, sicché molti sangiorgesi rubavano i rami dei ‘muron’ (gelsi) per bruciarli nella stufa e cucinare. Intanto i cittadini di Milano fuggivano dalle bombe rifugiandosi in provincia; parte di loro anche a San Giorgio, come registra una nota del Chronicon: “Sfollati. Le prime incursioni aeree su Milano nell’ottobre 1942 hanno determinato un vero esodo di Milanesi. Anche nella nostra Parrocchia, da una statistica fatta a maggio, ne risultavano circa 200, alloggiati presso diverse famiglie. Le terribili incursioni aeree del 12, 14, 15 agosto ne hanno poi immessi altri numerosi”. Intanto, la rapida avanzata da sud degli Alleati causava immediate ripercussioni a Roma: nel luglio 1943 Mussolini, messo in minoranza dal Gran Consiglio, fu addirittura arrestato per ordine regio e il sovrano dette l’incarico di governo al maresciallo Badoglio, che all’inizio volle continuare la guerra a fianco della Germania, ma poi, proprio per i bombardamenti su Milano e Roma, gli scioperi a oltranza nelle fabbriche e l’imminente sbarco degli Alleati a Salerno, si convinse a firmare un armistizio con gli anglo-americani il 3 settembre 1943, annunciandolo cinque giorni dopo dai microfoni dell’EIAR. Subito il Meridione liberato esultò per la fine della guerra, mentre le truppe tedesche invadevano tutta la restante penisola, schierando un nuovo fronte a nord di Napoli. Tra lo sbando totale delle truppe del Regio Esercito, alcuni soldati disubbidirono al disarmo imposto dai tedeschi e furono imprigionati o trucidati, altri disertarono, mentre i più fedeli al regime si unirono poi alla Guardia Nazionale Repubblicana, facente capo alla Repubblica Sociale Italiana (detta di Salò), stato-fantoccio fondato nel settembre 1943 da Mussolini dopo l’evasione dall’hotel-prigione sul Gran Sasso grazie a un blitz di paracadutisti tedeschi. Altri combattenti si rifugiarono invece nei boschi o sulle montagne in organizzazioni di lotta partigiana, come le Brigate Garibaldi (riferite al PCI), le Brigate Matteotti (PSI), Mazzini (PRI), Giustizia e Libertà (Partito d’Azione), le Fiamme Verdi, le Brigate Osoppo e le Brigate del Popolo (riferite alla DC e ad altre formazioni cattoliche), nonché gli Azzurri badogliani ed altri ancora, differenziati da diverse ideologie, ma tutti uniti nel comune impegno di lotta armata ai nazifascisti. Il ruolo di coordinamento fu affidato al Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), formato da esponenti di tutti i principali partiti (sopravvissuti clandestini sotto la dittatura) e dal giugno del 1944 la direzione militare venne assunta dal comando del CVL (Corpo dei Volontari della Libertà) guidato dal generale Cadorna.76 Fu difficile ricostruire la storia dei partigiani sangiorgesi, sia perché molti partecipanti alla Resistenza tendevano a “non voler ricordare”, sia perché di solito chi faceva azioni di sabotaggio conosceva gli altri membri del gruppo soltanto con i nomi di battaglia. Ad ogni modo, fra gli altri, si commemora certamente Pino Croci (1924-1945), giovane partigiano che dava 34 asilo in casa ai ricercati: fu trovato in campagna, ucciso da un colpo di pistola alla vigilia della Liberazione. A lui è dedicata una via cittadina. E ricordiamo pure Guido Vignati, operaio con compiti di difesa nello stabilimento Franco Tosi e mansioni di collegamento con le formazioni in montagna: arrestato, fu trasferito in varie prigioni italiane e infine deportato a Mauthausen col triangolo rosso dei prigionieri politici. Dopo la Liberazione è stato presidente dell’A.N.P.I. di San Giorgio, premiato con medaglia d’oro dal sindaco Fera il 25 aprile 1989. Nella stessa cerimonia sono state inoltre conferite medaglie d’oro a Orazio Peretti (Bgt. SAP), a Vincenzo Garzonio ed Eugenio Lambertini (Bgt. Garibaldi), a Luigi Travaini (Bgt. Fratelli di Dio) ed a Giuseppe Mezzenzana (1^ Div. Proletaria), già premiato nel 1984 dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini con il Diploma d’onore al combattente per la libertà d’Italia e insignito della Croce al merito di guerra. La sua vicenda si svolse all’estero, combattendo i nazifascisti sui monti di Croazia, Serbia, Dalmazia, Slovenia e Bosnia, sino ai confini del Montenegro. Dopo la guerra è tornato con una delegazione italiana a recuperare i corpi dei soldati morti in Jugoslavia. Questi sono solo alcuni dei molti partigiani sangiorgesi, di cui l’A.N.P.I. locale ha stilato un elenco di 46 nomi (in nota)77. Dopo lo sbarco in Normandia del giugno 1944 e l’apertura del fronte provenzale, lo sfondamento della Linea Gotica costrinse le truppe tedesche stanziate in Italia a ritirarsi a nord, incalzate dall’avanzata degli Alleati e dalla guerriglia partigiana. A San Giorgio gli ufficiali nazisti e fascisti erano acquartierati nella Casa del Fascio – palazzo Reina - in fondo alla via Baggina (oggi rinominata via Martiri della Libertà), edificio che tuttora esiste. Nella primavera del ′45, mentre sulle città tedesche pioveva un’enorme quantità di bombe e la Wehrmacht perdeva il controllo della Renania e della Ruhr, le armate russe proseguivano l’avanzata in Prussia orientale, Slesia, Austria e Cecoslovacchia, incontrando gli americani il 25 aprile sul fiume Elba, fino a penetrare nei dintorni di Berlino per accerchiarla. Il medesimo giorno, in Italia, dopo l’ordine di insurrezione generale diramato dal CLN, mentre le divisioni del Führer stavano già smobilitando verso il Brennero, a Milano e in altre città del Norditalia dilagò una vera e propria rivolta di massa per costringere alla capitolazione i nazifascisti. Anche a Legnano, dopo uno scontro armato, la brigata Carroccio e le 101^-182^ brigate Garibaldi (la 182^ comprendeva molti giovani sangiorgesi) riuscirono a occupare la caserma Cadorna, il Municipio e il comando dei Carabinieri (dove si insediò il CLN locale). Sulla statale del Sempione sparavano i cecchini partigiani dai tetti e sparavano i fascisti dalle autocolonne in fuga. A sera, appreso che i tedeschi stavano già trattando la resa con gli americani, Mussolini e i suoi fedelissimi partivano da Milano verso la Svizzera, aggregati a un convoglio di SS. Il gruppo fu però fermato a Dongo dalla 35 52^ brigata Garibaldi e Mussolini, camuffato, fu riconosciuto e imprigionato. Il giorno seguente insorse anche Torino, mentre gli Alleati avanzavano veloci verso le principali città del Settentrione, dove intanto erano scattate diverse esecuzioni sommarie dei caporioni fascisti. Il 27 aprile, in piazza Mercato a Legnano, ne furono fucilati sei, tra cui il commissario Santini e il capitano della Milizia Nucci, già dirigente della Polizia Politica e autore di torture sui partigiani. Nel tumulto della folla incattivita dalla guerra accaddero anche episodi eticamente criticabili (come contro alcune donne legnanesi amiche dei fascisti), nonché vendette personali che sfruttavano il disordine per poter negare la responsabilità. Ancor oggi si discute sui fatti di quei giorni, culminati il 28 aprile con la fucilazione a Giulino di Mezzegra dell’ex-duce Mussolini e della sua amante Claretta Petacci, i cui cadaveri, insieme a quelli di 16 gerarchi del regime, furono portati a Milano e appesi ai tralicci di un distributore di benzina in piazzale Loreto. Nella versione ufficiale, l’esecuzione fu opera di un drappello di ‘garibaldini’ Via Giacomo Gerli (sulla destra la cinta sotto il comando di Walter Audisio (alias del parco Parravicini) (Alfa Lancia- opera propria, con lic.) colonnello Valerio), ma su tale episodio sono state proposte diverse interpretazioni.78 Di questi agitati trascorsi, il diario parrocchiale di San Giorgio in data 25 aprile 1945 fornisce, per contrasto, una nota di relativa tranquillità: ringrazia la Divina Provvidenza, che per il tramite del cardinale Schuster ha reso “pacifico il passaggio che si prevedeva dover essere assai burrascoso” e aggiunge che “nella nostra San Giorgio regnò grande calma e non si ebbe a lamentare nessuna vittima”.79 Forse il parroco temeva che i tedeschi avrebbero resistito a oltranza. Invece i racconti di testimoni del paese (oggi novantenni) li ricordano stanchi, sfiduciati, consapevoli dell’imminente sconfitta, probabilmente perché ricevevano notizie sullo sfondamento delle difese di Berlino, dove, dopo soli cinque giorni, lo stesso Hitler nel suo bunker si sarebbe suicidato. L’arrivo a Milano delle truppe americane fu acclamato da folle festanti, ma il sangue delle epurazioni e delle vendette continuò a scorrere per mesi, mentre il conflitto segnava il suo ultimo atto in Giappone con l’ecatombe 36 atomica di Hiroshima e Nagasaki (6 - 9 agosto), prova di forza statunitense in vista della futura spartizione del mondo in opposizione ai sovietici. La cosiddetta Guerra Fredda tra i paesi occidentali guidati dagli USA e l’URSS comunista iniziò subito, infatti, con i cannoni ancora fumanti, già nelle trattative del luglio 1945 a Potsdam tra Attlee, Truman e Stalin sul nuovo ordine da dare all’Europa e, in particolare, sulla futura divisione della Germania. Dalla fine della II Guerra Mondiale agli anni attuali Nell’Italia ormai liberata (ma non ancora pacificata) il referendum sulla forma istituzionale si tenne, insieme alle votazioni per l’Assemblea Costituente, il 2 giugno 1946, mentre sedeva al governo il democristiano De Gasperi. L’esito della consultazione (alla quale per la prima volta parteciparono anche le donne) fu favorevole alla Repubblica (53%) e quindi a re Umberto II, succeduto al padre un mese prima, fu imposto l’esilio. Uno dei suoi ultimi atti come Luogotenente del Regno fu il D. Lgs. Luogotenenziale n. 1 del 7 gennaio 1946 che ripristinò il sistema elettivo nei Comuni, che ritornarono così ad essere amministrati da rappresentanti votati dai cittadini. Nell’elezione dell’Assemblea Costituente la DC risultò il primo partito (35,2%), sicché De Gasperi potè formare un governo monocolore democristiano, poi allargato a PRI e PLI e all’ala moderata socialista (PSDI). All’opposizione il fronte di sinistra, formato da PSI e PCI. Frutto di compromessi tra le forze politiche, la Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio 1948 e delineò un’Italia parlamentare e democratica, basata sulla divisione dei poteri, garante delle libertà individuali e collettive e orientata alla promozione del lavoro e dell’equità sociale. L’articolo 128 assegnò alle Province e ai Comuni la qualifica di Enti Autonomi ed altri articoli del Titolo V stabilirono i loro compiti nel rispetto del principio di sussidiarietà. Furono difatti i sindaci i principali coordinatori delle attività di ricostruzione di città e paesi danneggiati dalla guerra, tenendo conto che ciò che andava ricostruito non erano soltanto edifici e strade, ma anche il rapporto di fiducia nella classe politica, incrinato dopo anni di lotte intestine. In questo fervido slancio a rimboccarsi le maniche e ripartire, il vecchio confronto tra ‘rossi’ e ‘bianchi’ non era affatto diminuito, anzi, si avvertiva più forte nella tensione della Guerra Fredda, ma veniva temporaneamente sospeso (soprattutto grazie al patto di Roma tra le forze sindacali) al fine di consentire la ripresa dell’apparato produttivo e di avviare urgenti opere di ripristino di un’Italia a pezzi, nonché aggravata da inflazione a doppia cifra per il brusco adeguamento del cambio lira-dollaro, con la svalutazione della nostra moneta di circa cinque volte.80 Nelle elezioni politiche del 1948 la DC ottenne ancora una netta vittoria (48,5%) e l’incarico di governo fu affidato di nuovo a De Gasperi, sostenuto anche da PLI, PRI e PSDI. Ebbe così inizio l’età del centrismo (1948-1963), nella quale prese corpo il sistema di potere democristiano, fondato sull’occupazione di 37 tutti i ruoli chiave nelle istituzioni, negli enti pubblici e nelle aziende controllate dallo Stato. Fu il periodo in cui si succedettero a Palazzo Chigi vari esponenti delle correnti DC (De Gasperi, Pella, Scelba, Segni, Zoli, Fanfani, Tambroni). In tale quadro politico generale, non faceva eccezione il Comune di San Giorgio, a maggioranza cattolica da sempre, dove nelle elezioni amministrative del 1947 si registrò il successo democristiano e la conseguente nomina a sindaco di Antonio Colombo, poi confermato a più riprese sino al 1956. Nonostante la presenza di molti elettori di sinistra, organizzati intorno alla Casa del Popolo, posta in via Madonnina, in paese il consenso maggioritario alla DC durò ben oltre la fase del centrismo: dopo Antonio Colombo, il ruolo di sindaco passò al suo compagno di sezione Emilio Colombo (1956-1970), seguito da altri due sindaci democristiani: Antonio Caspani (1970-1980) e Domenico Fera (1980-1991). Considerando che anche il sindaco reggente tra il 1946 e il 1947 (Mario Pastori) apparteneva allo stesso partito e che pure i precedenti Ercole Polla (1944-1945) e Orazio Peretti (1945-1946) provenivano da formazioni cattoliche, appare evidente che dopo la caduta del fascismo il nostro Comune ha rappresentato ininterrottamente un feudo democristiano per quasi cinquant’anni. Tuttavia, se si analizzano con attenzione i dati contenuti in un saggio di P. Visigalli81 inerenti al numero delle Comunioni annuali (calanti nel dopoguerra), pare lecito ipotizzare che molti voti sangiorgesi dati alla Democrazia Cristiana in quel periodo non provenissero unicamente da ferventi cattolici, ma anche da ampie fasce laiche di moderati che nel partito al governo vedevano sia un progetto di sviluppo nazionale sia un baluardo anticomunista, funzioni che erano sostenute anche dalla politica estera americana. Ma dagli Stati Uniti, insieme ai marines e agli agenti della CIA, arrivarono nel dopoguerra anche gli aiuti finanziari del Il monumento ai caduti davanti al Municipio Piano Marshall, che fornirono risorse (Alfa Lancia- opera propria, con lic.) per la ricostruzione civile e industriale. Gli imprenditori lombardi ripresero quindi a puntare sulle loro duttili capacità di adattamento e d’innovazione, favoriti anche da una tregua salariale concessa dall’atteggiamento responsabile dei sindacati. Per riassumere in cifre la rinascita produttiva post-bellica basti dire qui che l’Associazione Legnanese dell’Industria (ALI), che alla fondazione nel 1945 contava solo 25 aziende, nel 1955 arrivò a elencarne 319. In tale numero moltiplicato vi erano pure ditte sangiorgesi, poiché con il nuovo ordinamento regionale e il consolidarsi di un’area socioeconomica omogenea, fu gradualmente superato il concetto di industrie chiuse in ambito cittadino per creare distretti più ampi, come il Comprensorio dell’Alto Milanese, 38 esteso tra il Ticino e l’Olona.82 Un censimento industriale promosso dall’ALI nel 1951 registrò ancora il primato del settore tessile, nel quale operavano circa dodicimila dipendenti in un centinaio di fabbriche; al secondo posto il comparto metalmeccanico, con 9.400 addetti distribuiti in 253 stabilimenti. A San Giorgio erano ormai sparite le filande (per la concorrenza cinese e l’avvento delle fibre sintetiche), ma funzionavano ancora le storiche tessiture e ne nascevano di nuove, come la Tessitura Colombo, che iniziò lavorando per conto terzi e poi si mise a produrre autonomamente fodere in viscosa e poliestere, o la Tessitura Toia, che aumentò l’attività assumendo dipendenti, o come altre che sorsero in quegli anni, caratterizzati dalla fine del protezionismo e dall’apertura ai mercati esteri, in particolare a quello europeo, mentre già si firmavano gli accordi per la libera circolazione del carbone e dell’acciaio (CECA, 1951) che gettarono le basi della futura CEE. La lira debole giocò allora un ruolo importante nell’agevolare le esportazioni e ciò favorì localmente soprattutto il settore fondiario, che crebbe sia con nuove aziende sia con l’ampliamento di fabbriche esistenti, come la Fonderia Quaglia & Colombo, che già nel 1949 aveva edificato un nuovo capannone al confine di Legnano. Ma anche imprese di altri settori nacquero o si ingrandirono a San Giorgio negli anni Cinquanta, come la ditta B&C di Michele Bertelli (elementi per trasformatori) o come la filiale sangiorgese della Borletti (presente dagli anni di guerra) che affiancò alla produzione di tachimetri e contagiri quella di macchine per cucire, arrivando nei decenni successivi a contare fino a 600 dipendenti. Tale sviluppo fece sì che nel censimento del 1961 il primato per manodopera assorbita passò dal tessile al comparto meccanico e fondiario, mentre più distanti risultarono altri settori (edilizio, trasporti). Si trattava per lo più di piccole aziende, che però attestavano il dinamismo degli imprenditori, talvolta ex-tecnici ed exoperai di altre ditte, in un’ascesa produttiva davvero sorprendente. Lo stesso accadeva 1957- Il titolare Giuseppe Colombo mostra un pezzo in lavorazione nella sua in altre regioni del nord Italia, trainando fonderia. l’intera nazione in quello che un giornale inglese definì il ‘boom economico italiano’. Nel solo triennio 1957-1960 ci fu un aumento della produzione industriale lombarda del 31,4%. Non va dimenticato, tuttavia, che tale miracolo non si sarebbe mai verificato senza il basso costo del lavoro: fu l’alto tasso di disoccupazione nel Meridione a creare una domanda di 39 lavoro eccedente l'offerta, generando effetti di contenimento salariale e una forte immigrazione interna da Sud a Nord.83 La conseguente crescita demografica (San Giorgio nel 1961 contava 5.454 abitanti rispetto ai 3.890 dell’anteguerra), dovuta anche a flussi migratori da altre aree lombarde e da paesi veneti e friulani, creò necessità di nuove case, che sorsero numerose in moderni condominî, costruiti sia in periferia sia in aree centrali ricavate abbattendo vecchi complessi di cortile. Fra gli altri, furono edificati nel ‘54 degli stabili popolari in via Visconti di Modrone con le agevolazioni del ‘piano Fanfani’ (dal nome del premier che ne incentivò la realizzazione tramite l’INA). Tale forte incremento edilizio modificò in pochi anni l’aspetto del paese, benché rimanessero ancora zone con fabbricati di tipo rurale, come in via Raimondi, dove permanevano le case di ringhiera, i rustici e i fienili, abbattuti solo nel 1987 per far posto ai nuovi alloggi comunali. Si trattò, dunque, di cambiamenti a zone, paralleli all’asfaltatura delle strade. Anche lo stile di vita degli abitanti mutò progressivamente negli anni del dopoguerra. Già nell’ottobre 1951 un appunto vergato dal parroco lamentava che “per l’esodo dei Sangiorgesi nelle ferie di Ferragosto, la nostra festa Patronale perde della sua solennità”.84 L’accenno era alla Festa dell’Assunta, durante la quale, dopo la Messa, sfilava una processione fra i lumi e i fiori freschi di tutte le edicole e tempietti dedicati alla Beata Vergine disseminati ad ogni angolo del paese. La chiusura d’agosto delle fabbriche e l’aumento generale del tenore di vita consentiva infatti a molti sangiorgesi di lasciarsi alle spalle gli anni tristi Palazzo in via Cesare Battisti della guerra con brevi vacanze estive al mare o in montagna, mentre gli immigrati meridionali approfittavano delle ferie per tornare ai paesi natii per salutare parenti e amici. Questi spostamenti furono facilitati sia dal ripristino delle strade statali (nonché dall’inaugurazione nel 1964 dell’Autostrada del Sole) sia dalla diffusione di automobili utilitarie, vendute principalmente dalla FIAT con formule rateali. Frattanto, sempre più famiglie si dotavano di frigoriferi e lavatrici (alleviando le fatiche domestiche, soprattutto delle donne) e crescevano gli allacciamenti telefonici, mentre solo i benestanti possedevano i nuovi televisori; gli altri si riunivano a guardare le trasmissioni RAI nei locali pubblici, come a San Giorgio nel Circolo Familiare di via Roma, storico punto di ritrovo risalente a inizio secolo. In paese non mancavano, inoltre, le rappresentazioni di una compagnia filodrammatica, attiva dal 1958 al 1963, che allestiva sul palcoscenico del cinema-teatro Sotera drammi popolari e farse dialettali sotto la guida registica di Mario Comerio. Nel 1958 il parco di villa Parravicini (risistemato a metà ′800) fu vincolato dalla Soprintendenza dei Beni 40 Culturali e Ambientali come bellezza naturale, consentendone quindi solo una dismissione parziale, cioè l’area in cui fu poi edificata la schiera di villette di via XXV Aprile, ben integrate in un tessuto urbano già caratterizzato dalla presenza di case singole della prima metà del Novecento e nel quale fin dagli anni ′50 erano state costruite molte nuove villette da parte della borghesia locale, nonché da legnanesi attirati da terreni a minor costo a breve distanza da Legnano. La via più fornita di attività commerciali era già allora via Roma, sede di uffici, di una filiale bancaria e di vari negozi, molti dei quali sorti dopo la costruzione della nuova chiesa Parrocchiale che vi si affaccia. Ma i luoghi più frequentati per il rifornimento domestico erano gli esercizi della rinata Cooperativa di Consumo San Giorgio, che nell’epoca dei primi supermarket e della crescita pubblicitaria decise di puntare sui bassi prezzi, una scelta che inizialmente fece affluire molti soci acquirenti, ma che ne determinò la chiusura quando l’economia rallentò la sua corsa (la società riprese poi nel 1978 fondendosi con altre di paesi vicini nella Cooperativa Alto Milanese). Sul fronte educativo, dopo l’istituzione da parte del governo Fanfani della Scuola Media Unificata, fu realizzato a San Giorgio nel ‘67 il moderno edificio delle scuole medie di primo grado “Giuseppe Ungaretti” in piazza IV novembre, accanto alle scuole elementari “Grazia Deledda” (attuale Municipio), nell’area prima occupata dall’Oratorio maschile. Per frequentare le superiori, allora come oggi, poche fermate di bus consentivano agli studenti di raggiungere i licei e gli istituti legnanesi. A metà degli anni ′60, l’agricoltura, nonostante i nuovi mezzi a motore, diventò ancor più marginale nell’economia sangiorgese e con gli ultimi contadini andò gradualmente perdendosi anche la cultura dialettale, che se già prima era osteggiata dall’italiano littorio, nel periodo postbellico di rapida modernizzazione e crescente influsso televisivo sembrava ormai inadeguata a comporre le nuove frasi del business. Per i ragazzi che ascoltavano i Beatles la parola ‘cavaleri’ era soltanto un cognome negli appelli scolastici, non più il termine dialettale indicante i bachi da seta (e chi li allevava), e ‘l’èra’ rappresentava unicamente un periodo storico o geologico, non più l’aia in terra battuta, al centro della ‘curta’, dove avveniva la trebbiatura e dove le donne d’estate stendevano il bucato. Il dialetto sangiorgese (lieve variante del legnanese) era dunque parlato solo dagli adulti, cioè da coloro che attualmente sono anziani. In certi casi, però, rimase il loro insegnamento, tanto che oggi, dopo la morte del grande Felice Musazzi, l’attore protagonista della nota compagnia dialettale I Legnanesi è Antonio Provasio, nato da genitori sangiorgesi nel 1962. Sul finire dei Sessanta l’economia nazionale subì una fase di recessione e uno dei comparti più colpiti fu proprio il tessile, cioè il settore che aveva originato e poi trainato l’intera industria lombarda. La causa era radicata nello scarso sviluppo tecnologico, sicché quando i lavoratori, con lotte sindacali, riuscirono a ottenere aumenti di salario per far fronte all’inflazione, gli stretti margini operativi delle aziende non ressero più il confronto con quelli di industrie di nazioni emergenti 41 (soprattutto orientali) perciò le commesse calarono drasticamente, costringendo molte ditte alla chiusura. Gli effetti occupazionali furono tuttavia parzialmente ridotti, come si è detto, per il travaso di manodopera nel settore metalmeccanico, che ancora reggeva, mentre nel tessile si ricorse in seguito al lavoro in conto terzi, che divenne una vera strategia di sviluppo a basso costo e bassa conflittualità. Nacque allora una nuova categoria di imprenditori che, dagli anni ′70, riuscì progressivamente a sottrarsi alla tutela dei grossi operatori e a instaurare rapporti autonomi col mercato, unendo alla tessitura la confezione di vestiti e maglieria per entrare nel settore abbigliamento-moda con prodotti di qualità.85 Significativa in tal senso è la vicenda della ditta sangiorgese Mimoska, nata nel ′68 come ramo laterale della Tessitura F.lli Bianchi, attiva dal 1931 al 1978. Deviando dalla originaria vocazione della casa madre, la nuova azienda si dedicò, in appositi capannoni, alla confezione di vestiti per bambini e al prêt-à-porter femminile, inizialmente per l’Upim e per la Rinascente e poi rivolgendosi in proprio a committenze estere. Anche la tenuta del settore meccanico e fondiario fu dovuta soprattutto alle esportazioni. A metà anni ′60 sorse a San Giorgio la Fonderia Fantoni (alluminio pressofuso), mentre la ditta Padovani & Pinchiroli (torni a controllo) traslocava in via Magenta per avere più spazio; nel 1967 nacque la Fonderia Giola e nel 1969 iniziò a produrre la Colombo & Bellegotti (basamenti per torni - dal 1975 si chiamerà Cobelgo, dopo l’ingresso del socio Gorletta). In tale quadro complesso, si arrivò all’autunno caldo del 1969, grande mobilitazione organizzata dai sindacati unitari, per certi versi figlia del clima politico innescato dalle rivolte studentesche del ′68 e dal picco di consenso al PCI, che a breve fu purtroppo seguita dalla strage di piazza Fontana, evento drammatico che avviò a Milano la cosiddetta strategia della tensione, stillicidio di attentati contro ignari cittadini per modificare il corso della politica orientata a convergenze di centrosinistra. Il contrasto tra le fazioni estreme andò acutizzandosi negli anni ′70 e fu pure all’origine di frange eversive da cui derivarono vere bande armate, come i neo-fascisti di Ordine Nuovo ed i marxisti-leninisti delle Brigate Rosse, autori questi di violenze e omicidi contro poliziotti, magistrati e giornalisti, nonché poi responsabili, nel ‘78, del sequestro e omicidio di Aldo Moro, presidente della DC. Fatti che suscitarono anche a San Giorgio accesi dibattiti, specie nei luoghi di lavoro. A peggiorare lo scenario di quegli anni critici (benché per altri versi assai creativi) subentrò la recessione causata dalla crisi energetica del 1973, quando per la guerra arabo-israeliana del Kippur le nazioni aderenti all’OPEC interruppero le forniture di petrolio, facendo innalzare vertiginosamente il prezzo dei carburanti. Molti stati europei furono costretti a prendere misure per diminuirne il consumo e in Italia il governo Rumor varò un piano nazionale che prevedeva il divieto di circolare la domenica con i mezzi a motore, la fine anticipata dei programmi televisivi e la riduzione oraria delle luci stradali. Molti sangiorgesi riscoprirono perciò la bicicletta (altri, a dire il vero, non l’avevano mai lasciata...) e fors’anche 42 per l’aria più pulita di quelle domeniche senza traffico nelle discussioni pubbliche iniziò a comparire il tema ecologico della lotta all’inquinamento. Più pesanti le conseguenze economiche, con l’impennata dell’inflazione (dal 2,1% del 1973 al 14% del 1975) ed effetti deprimenti sul sistema industriale, che non vide più i tassi di crescita registrati in precedenza e che dovette operare drastiche riduzioni, aumentando i disoccupati. Ma la tristezza dei sangiorgesi più anziani derivava anche da un evento locale che in certo modo cancellò la memoria di un’epoca: l’abbattimento nel 1974 della vecchia chiesa Parrocchiale, situata nella piazza centrale del paese. Benché fosse pericolante e da tempo sconsacrata (era divenuta addirittura il magazzino abusivo di un vetraio), essa rimaneva pur sempre legata all’immagine storica di San Giorgio, evocava ricordi personali di matrimoni, battesimi, cresime, funerali, quindi vedere le ruspe che ne asportavano le macerie rappresentò per molti la perdita di un punto di riferimento. Certo, nel frattempo la nuova chiesa Parrocchiale si era abbellita con l’altare marmoreo dello scultore Gino Casanova e in quell’anno vi lavoravano i noti mosaicisti di Spilimbergo per realizzare un mosaico absidale disegnato dal pittore Mario Cornali, ma il progetto di un anonimo parcheggio al posto della storica chiesa privava il paese della sua anima antica, creando uno sfasamento anche nell’urbanistica del centro, che da allora s’incardinò su due perni distinti: piazza IV novembre, di fronte alla chiesa del SS. Crocifisso, e l’area di via Roma. E il primo pare ora avere assunto il ruolo di nuovo centro, soprattutto dopo che nel 1992 vi si è trasferito il Municipio, nel palazzo delle vecchie scuole elementari (ormai completamente sostituite dalle nuove scuole primarie ‘Gianni Rodari’, aperte in via Vittorio Veneto dal 1978). Sembra quasi che per un capriccio della Storia il cuore di San Giorgio sia tornato nel luogo ove sorgeva l’antica chiesa di Sotena dedicata al santo, come un cerchio che si chiude per attrazione simbolica. Oggi in piazza Mazzini c’è soltanto il bar Colombina, trasferitosi da via Manzoni dopo la chiusura negli anni ′90 dello storico Bar Centrale e della caratteristica osteria Tœgné, che occupavano parte di uno stabile attualmente in degrado. Ma ancora nell’estate del 1976 intorno ai loro tavolini si animavano le discussioni degli artisti in preparazione della grande mostra di pittura programmata per la consueta Fiera Autunnale, dai cui esiti nacque poi l’Associazione Artisti Sangiorgesi. Non mancò, inoltre, sempre nei creativi anni Settanta, il vivo interesse dei cittadini per la musica, come dimostra la stabilizzazione del Corpo Musicale Sangiorgese. Alla fine del decennio, di fronte al perdurare Pezzo fuso prodotto dalla Fonderia Giola della crisi, molte ditte locali cercarono di 43 orientarsi verso prodotti di alta qualità (come particolari fusioni a getti speciali nel settore fondiario), puntando a nicchie di mercato in un contesto sempre più globale e competitivo. Un miglioramento sensibile si ebbe, però, solo dagli anni Ottanta, contraddistinti, sul fronte politico, dall’indebolimento del PCI (anche per il crollo progressivo del socialismo reale in URSS) a tutto vantaggio del PSI guidato dal nuovo segretario Bettino Craxi, Presidente del Consiglio dal 1983 al 1987. Il suo fu un quinquennio caratterizzato da un certo ripiegamento nella sfera del privato (i media lo chiamarono riflusso, dopo le ondate delle manifestazioni nelle piazze), mentre andava crescendo l’influenza delle televisioni commerciali e si estendevano modelli di comportamento più inclini agli aspetti edonistici del consumismo, incentivati dagli stimoli pubblicitari. La ripresa produttiva partì da una congiuntura positiva dell’economia mondiale, favorita dal ribasso del prezzo del petrolio e, soprattutto, dagli sviluppi innovativi delle tecnologie elettroniche e informatiche. Le grandi imprese ristrutturate lanciarono nuovi prodotti, mentre i comparti tradizionali legati al buon gusto italiano (alimentari, moda, accessori) ottenevano visibilità internazionale con marchi vincenti. Anche le piccole e medie imprese sfruttarono il momento per offrire i loro beni e servizi sui mercati interni ed esteri con la tipica duttilità che le caratterizza. Proprio in quegli anni sorsero a San Giorgio nuove aziende, fra cui la ditta LTC (componenti per trasformatori) assai rilevante per l’impatto occupazionale, mentre le fabbriche Scaramozzino e Marazzini incrementavano l’attività nel settore dei serramenti e la ditta Alfamatic, sorta nel 1979, otteneva buone quote sul mercato delle presse oleodinamiche. Si potrebbero citare altre imprese, ma per chiudere questa carrellata ricordiamo solo la C.E.E.VIT (bulloni e viti) e la O.L.M.E, nata nel 1973 e sviluppatasi negli anni ′80 nel campo dei macchinari per l’industria dolciaria. Il sindaco di allora era il citato Domenico Fera (DC), che promosse importanti lavori fognari e altre opere di urbanizzazione, di cui una delle minori, ma significativa per rinverdire i legami storici, fu l’apertura di un passaggio pedonale sotto la linea ferroviaria per permettere ai pedoni e ai ciclisti di recarsi più comodamente al Parco Castello, ampia superficie boschiva a ridosso del Castello di San Giorgio (ora del Comune di Legnano) dotata di diverse specie di piante (frassini, salici, ontani, pioppi, platani) e con pittoreschi laghetti popolati da anatre e altri volatili. Sempre il sindaco Fera nel 1982 tagliò il nastro inaugurale Corsa campestre internazionale ‘Campaccio’ della moderna palestra di via Vittorio Veneto e nel 1985 quello del Centro 44 Sportivo Comunale, ampia struttura con campo di calcio regolare e campo per l’atletica, accessibile grazie alla nuova via Carlo Alberto dalla Chiesa (per il cui tracciato si dovette purtroppo sacrificare la cappelletta detta Madona di Baldeur, di scarso valore artistico, ma che secondo una leggenda locale sorgeva nel luogo di sepoltura dei morti della peste del 1630). Fu proprio il settore dei servizi a trainare il mini-boom degli anni Ottanta, avvertito nel milanese più che altrove, con l’apertura di nuovi impianti sportivi, asili nido, filiali bancarie, case di riposo, farmacie, librerie, agenzie di viaggio, edicole, ristoranti, bar e discoteche, insieme a una ristrutturazione generale dei negozi, fra i quali a San Giorgio si distinguono per qualità le panetterie-pasticcerie e per specificità di settore i casalinghi e gli articoli da regalo. A dominare l’attualità dei seguenti anni ’90 fu soprattutto la crisi dei partiti al governo (DC, PSI, PRI, PSDI, PLI), che avevano esteso la loro influenza a tutte le strutture amministrative e produttive del Paese, facendo spesso un uso clientelare di soldi pubblici e degenerando in episodi di concussione. Tutto questo scoppiò nel 1992, quando il processo milanese chiamato dai media ‘Mani pulite’ mise in luce un vasto giro di tangenti e corruttele, con incriminazioni di ministri, deputati, senatori, imprenditori e perfino dell’ex premier Bettino Craxi, che si rifugiò in Tunisia prima che la condanna divenisse definitiva.86 Il conto politico che i partiti coinvolti pagarono nelle successive elezioni del 1994 fu salato: il Partito Popolare (come si presentò la DC) scese a un modesto 11,07 % e il PSI passò dal 13,62% a un misero 2,19%, largamente superato anche da partiti minori, come la Lega Nord (8,36%), formazione federalista guidata da Umberto Bossi che fu la prima a cavalcare l’ondata di protesta per i fatti accaduti. Invece il Partito Democratico della Sinistra (come si era rinominato il PCI per marcare la svolta post-comunista maturata dopo il crollo del muro di Berlino) aumentò dal 16,11% al 20,36 %, cioè a quasi il doppio dei voti espressi a quella DC che aveva inseguito per quarant’anni, ma comunque inferiore all’inatteso 21,01% di Forza Italia, partito neo-fondato dall’imprenditore Silvio Berlusconi, già amico di Craxi e padrone di tre reti televisive nazionali in concorrenza con la RAI, che divenne quindi Presidente del Consiglio. In sostanza, sulla sua figura confluirono i voti di molti ex socialisti ed ex democristiani. Ovviamente tale scossone politico influì pure sulle elezioni amministrative che si tennero a giugno dello stesso anno con il nuovo sistema di elezione diretta del sindaco, istituito dalla legge 81 del 25 marzo 1993. A San Giorgio su Legnano (comune inferiore ai 15 mila abitanti e dunque senza turno di ballottaggio) vinse il candidato della Lega Nord Marzio Colombo, sostenuto anche da una parte degli elettori cattolici. La giunta diretta da Colombo amministrò quindi il Comune dal ’94 al ’98, tendendo soprattutto all’efficienza della gestione ordinaria, anche perché l’economia nazionale (nonostante la bolla speculativa della cosiddetta ‘new economy’) si stava nuovamente avvitando verso l’ennesima crisi e non c’erano fondi per promuovere onerose iniziative. Sul fronte sociale, però, il dibattito locale si mosse più del solito, in quanto la vittoria della 45 Lega ebbe l’effetto di dividere le opinioni della comunità sangiorgese, che prima appariva più unita. Sotto l’aspetto urbanistico, si registra che nel periodo proseguì a maggior ritmo la costruzione di abitazioni in via Aldo Moro, secondo la linea di un nuovo piano residenziale varato dagli amministratori leghisti che comprendeva aree di verde e giochi per bambini. L’idea tendeva ad ampliare l’offerta abitativa per soddisfare i nuovi gusti ecologici di una percentuale crescente della domanda immobiliare, tenendo conto che San Giorgio poteva offrire minori costi di urbanizzazione rispetto a quelli richiesti a Legnano e che dunque il prezzo degli immobili poteva essere più economico. E ciò ancor più in confronto a Milano, dove parecchi cittadini, stanchi del traffico e dello stress della metropoli, già da alcuni anni stavano scegliendo di spostarsi Nuovo complesso residenziale in via Aldo Moro in centri residenziali satellite o in città della provincia. In tali scelte non era indifferente l’aumento esponenziale dell’offerta televisiva verificatasi negli anni ′90, con l’aggiunta di canali privati, satellitari e di pay-tv, nonché con la vasta diffusione di videoregistratori VHS per vedere film e programmi registrati, comprati o noleggiati (anche la biblioteca comunale si dotò di un’ampia scelta, ora con DVD e Blu-Ray), così come risultò determinante la diffusione dei personal computers, che tramite la nuova rete telematica globale (dal 1995 aumentarono gli accessi a Internet di utenti privati) rese possibile eseguire molte operazioni direttamente da casa, sicché abitare in centro o in periferia divenne più una scelta di stile di vita che di praticità, poiché importava meno la vicinanza a servizi quali banche, poste, uffici pubblici, cinema e agli stessi negozi, sempre più sostituiti nelle abitudini dei consumatori da centri commerciali extraurbani, spesso forniti di ristoranti e sovente collegati a multisale cinematografiche (come l’Unieuro-TheSpace nella vicina Cerro Maggiore). San Giorgio, inoltre, non distante dalle stazioni ferroviarie di Legnano e Canegrate (raggiungibili con mezzi propri o in bus), permette ai pendolari di accedere velocemente ai frequenti elettrotreni Trenord a doppio piano diretti a Milano. Relativamente più lontano (3,5 km) è l’ingresso legnanese dell’A8 Milano-Laghi, che se nel 1924 vantò il primato di essere la prima autostrada realizzata nel mondo, oggi merita certamente il podio fra i tratti più intasati nelle ore di punta. Per raggiungerla, come per immettersi sulla statale 33 del Sempione, dal 1989 è transitabile il passaggio sotto la ferrovia che unisce la provinciale 12 da Inveruno (tangente a San Giorgio) e il viale Toselli di Legnano. Indebolito dall’isolamento della Lega Nord, il polo di centro-destra fu battuto nelle elezioni nazionali del 1996 da una coalizione di centro-sinistra (detta Ulivo, formata da PDS, AD, PPI, 46 Verdi e legata da un accordo elettorale a Rifondazione Comunista) che portò alla Presidenza del Consiglio Romano Prodi, il quale subito varò misure rigorose per ridurre il deficit pubblico in vista dell’ingresso dell’Italia nell’Eurozona nel 1999. A parte questo risultato, Prodi riuscì a incidere ben poco, perché nel 1998 fu sfiduciato per la sottrazione del sostegno di Rifondazione Comunista. Di questa crisi, avvenuta in ottobre, non c’era ancora sentore quando in maggio si erano svolte le elezioni amministrative, che a San Giorgio videro prevalere di misura Claudio Celora, candidato dell’alleanza Ulivo-Rifondazione prima della rottura. La giunta ulivista amministrò quindi per i seguenti quattro anni (1998-2002), i primi due coincidenti con i governi di D’Alema, che oltre a gestire la complessa situazione determinata dalla guerra nei Balcani, sul fronte interno riformò le normative sul lavoro introducendo nuove forme di flessibilità. Poi le divisioni nella sinistra bloccarono altre iniziative, determinando alla fine della legislatura un clima di generale immobilismo, avvertito anche nelle giunte uliviste degli enti locali. A San Giorgio il periodo fu infatti caratterizzato da lunghe discussioni su diversi progetti (come l’ideazione del rifacimento di via Roma, via Manzoni e via Mella), ma da relativamente scarsi interventi concreti, salvo miglioramenti nella copertura della telefonia cellulare, l’apertura di un transito pedonale nel complesso residenziale di via Verdi e Torneo di scacchi San Giorgio su Legnano 1995. altre opere di carattere ambientale. I Il Campione del Mondo Anatoly Karpov assiste a una partita tra i due organizzatori sangiorgesi contrasti fomentati dall’opposizione Giovanni Longo e Alberto Meraviglia leghista causarono anche polemiche e diatribe, come quelle inerenti alla gestione, giudicata troppo dispendiosa, di un’emergenza idrica provocata dalla chiusura temporanea di un pozzo.87 Può sembrare una vicenda marginale, ma non lo era per il bilancio di un piccolo comune costretto già allora a rispettare i rigidi limiti di spesa pubblica imposti dal Patto di Stabilità e Crescita sottoscritto nel 1997 da tutti gli Stati dell’Eurozona. Inoltre, dopo gli sperperi di Tangentopoli, l’attenzione agli sprechi stava diventando la cartina tornasole in mano ai cittadini per valutare l’efficienza delle pubbliche amministrazioni e confermare o cambiare il voto espresso, in una fluida migrazione di consensi sconosciuta nei decenni precedenti.88 L’ultimo biennio di Celora coincise, invece, con l’inizio del secondo governo Berlusconi, vincitore delle elezioni del 2001 alla testa di una coalizione di centro-destra comprendente anche la Lega Nord. Le sue promesse in campagna elettorale furono in parte intralciate dal declino economico innescato dal crollo 47 delle Borse mondiali (dopo la bolla speculativa degli anni ’90) e dal crollo reale delle Torri Gemelle di New York nell’attentato terroristico dell’11 settembre 2001, evento che segnò una svolta militaristica nella politica estera americana. Le aziende sangiorgesi subirono in quel periodo un aggravarsi della crisi per la diminuzione della domanda internazionale e per la crescente competizione della Cina (dal 2000 entrata nel WTO). Molte fabbriche lavoravano a fasi alterne, ricorrendo alla cassa integrazione, mentre altre si apprestavano a chiudere, come la OMAP (torni di precisione) che cessò nel 2002 e la Tessitura Legnani, che chiuse l’anno successivo. Reggeva ancora l’edilizia e l’indotto connesso, che infatti fece sorgere molte nuove costruzioni e trasferire da Legnano l’ingrosso di vernici Kinocolor. Nel 2002 si svolsero le nuove elezioni amministrative e l’ex sindaco Marzio Colombo (questa volta sostenuto anche da Forza Italia) riuscì a ottenere un buon successo, accingendosi dunque ad amministrare il Comune per il quinquennio 2002-2007. I suoi primi provvedimenti riguardarono l’apertura dei cantieri per la trasformazione di via Roma, via Manzoni e via Mella (progetto già ulivista) e fu scelta una pavimentazione in porfido con marciapiedi a livello protetti da colonnine. Un tratto di via Roma divenne a senso unico per dare spazio a una pista ciclabile. Nel corso dell’opera, finita nel 2004, fu posata sotto il manto stradale una linea in fibra ottica per consentire le connessioni telematiche a banda larga. Il progetto prevedeva la prosecuzione dei lavori fino a piazza Mazzini, che doveva essere allargata includendo l’area dell’ex Oratorio femminile (divenuto in seguito sede di un centro per disabili e dell’associazione Insieme è meglio), ma tale estensione, osservabile in un modello plastico presente in un atrio del Municipio, fu procrastinata per difficoltà di ordine burocratico e finanziario. Frattanto, la legge BossiFini del 2002 sanciva nuove norme per l’immigrazione e poi la legge Maroni-Biagi del 2003 introduceva nuove tipologie di contratti di lavoro, che produssero l’effetto di ridurre in Vista di via Roma con la nuova chiesa parte la disoccupazione, ma anche di Parrocchiale - foto G. Morelli g.c. aumentare l’incidenza del precariato. Riguardo ai flussi migratori esteri, va notato che fino al 2006 non erano molti gli stranieri residenti a San Giorgio, mentre in seguito si è assistito a un progressivo incremento. L’ultimo censimento del 2012 ha registrato infatti la presenza, su 6.730 abitanti, di 559 residenti extracomunitari, di cui 122 albanesi (il gruppo di più antico insediamento), 98 marocchini, 63 rumeni, 40 ucraini, 22 ecuadoregni e 22 pakistani.89 Dopo le elezioni regionali del 2005, Berlusconi formò un nuovo 48 governo, durante il quale fu varato un nuovo sistema elettorale, che fu in vigore per le elezioni nazionali del 2006, le prime che videro la partecipazione degli italiani all’estero. Le urne assegnarono la vittoria all’Unione (alleanza di centrosinistra) e l’incarico di premier passò ancora a Romano Prodi, che tuttavia potè contare su una solida maggioranza solo alla Camera, mentre al Senato la differenza con l’opposizione era minima, tanto che nel 2008 bastò la defezione di sette senatori per costringere Prodi a rassegnare le dimissioni. Dopo lunghe consultazioni, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano decise di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni, vinte di nuovo dalla coalizione di centro-destra guidata da Berlusconi. Ma l’anno prima (2007) si erano svolte le elezioni amministrative, che nel comune di San Giorgio avevano confermato il sindaco uscente Marzio Colombo (candidato della Lega Nord, presentatasi da sola). Fra le delibere di questo suo secondo mandato si ricorda la ristrutturazione dell’attuale Municipio, finita nel 2009, e vari interventi urbanistici in via Pasubio, via Milano e via Cesare Battisti, uniti alla realizzazione di piste ciclabili. Nel periodo si ebbe inoltre un sensibile incremento dell’edilizia privata, tra cui i complessi residenziali di via Boccaccio e cinque nuovi nuclei abitativi in via Ragazzi del ′99. Infine, quasi al termine del mandato, la giunta leghista deliberò di far costruire un Palazzetto dello Sport vicino al Centro Sportivo Comunale, una struttura principalmente dedicata alle attività delle squadre locali di basket e pallavolo, ma aperta altresì ad eventi pubblici (concerti, spettacoli). L’impianto (finito dalla giunta successiva) è stato denominato ‘PalaBertelli’, dal nome dei proprietari della ditta LTC che in qualità di sponsor contribuisce alle spese di gestione ordinaria. Gli anni successivi sono storia attuale: in clima di stagnazione economica, perdurante ormai dal 2008, fra difficoltà delle aziende e arresto dell’edilizia, elevato tasso di disoccupazione e cronico deficit di bilancio dello Stato (riparato solo in parte dalle misure dei due governi di larghe intese di Monti e Letta, succeduti dal novembre 2011 all’ultimo governo Berlusconi), in un contesto di generale sfiducia nei confronti dei partiti (parzialmente incanalata nel Movimento 5 Stelle fondato da Beppe Grillo), le elezioni amministrative del 2012 hanno registrato la vittoria nel nostro Comune di Walter Cecchin, candidato della lista civica“Vivere San Giorgio”. Ultimati i lavori del Palabertelli, la sua sindacatura si è concentrata all’inizio su un necessario riassetto del bilancio, ma ha poi deliberato un ammodernamento dell’illuminazione civica con lampade a LED e la creazione di strutture di servizio per i cittadini, come utili distributori La struttura sportiva ‘PalaBertelli’ pubblici di acqua da tavola microfiltrata 49 o come un’attrezzata area verde per cani, molto benvista dai numerosi possessori di amici a quattro zampe. Certo, i tempi permangono difficili e le finanze restano esigue, ma, come dimostra la storia fin qui narrata, la capacità dei sangiorgesi di affrontare i momenti critici non è mai mancata, anzi, costituisce la vera anima di una comunità laboriosa che saprà senz’altro superare le secche del presente per agganciare quei timidi segnali di ripresa che, con gli auspici del nuovo premier Matteo Renzi (PD, in carica dal febbraio 2014), sembrano emergere dai dati previsionali comunicati dall’OCSE durante l’Esposizione Universale “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” tenutasi a Milano da maggio a ottobre 2015. F.Guzzetti Note e fonti bibliografiche 1 N. NEGRONI CATACCHIO, Il territorio sangiorgese nella preistoria, in A. AGNOLETTO, San Giorgio su Legnano – Storia, società, ambiente, edizioni A. Guerini e Associati per il Comune di San Giorgio su Legnano, 1992 2 T. LIVIO, libro V, 33-35, in TITO LIVIO, Storia di Roma dalla sua fondazione, 13 vol., Testo latino a fronte, Trad. e note di Michela Mariotti, Milano, Rizzoli, 2003 3 M.G.TIBILETTI BRUNO, Le iscrizioni celtiche d’Italia, in I Celti d’Italia, Pisa, E. Campanile (ed.), 1981 4 POLIBIO, Storie (a cura di D. Musti, trad. M. Mari), Milano, Rizzoli, 1993. 5 G. SUTERMEISTER, Legnano Romana. Relazione degli scavi e dei ritrovamenti antichi, Società Arte e Storia, Legnano, 1928. 6 G. SUTERMEISTER, Un secondo sepolcreto di epoca imperiale a San Giorgio su Legnano, in “Memorie, Società, Arte e Storia” n° 16, Legnano 1956. 7 U. LAFFI, Studi di storia romana e di diritto, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001. 8 G. SUTERMEISTER, 1928, op. cit. 9 M. CATTANEO, Legnano nel Medioevo, in “Memorie, società, arte e storia”, Legnano, 1975. 10 J. JARNUT, Storia dei Longobardi, Torino, Einaudi, 2002. 11 A. TAMBORINI, San Giorgio al Palazzo, Milano, Tipografia S. Lega Eucaristica, 1928 50 12 A. COLOMBO, Il 'Versus de mediolana civitate' dell'anonimo liutprandeo e l’importanza della metropoli lombarda nell'alto Medioevo, in: Miscellanea di studi lombardi in onore di Ettore Verga. Arch. Stor. Cittadino, Milano 1931. 13 F. CARDINI e M. MONTESANO, Storia medievale, Firenze, Le Monnier Università, 2006. 14 G. D’ILARIO, E.GIANAZZA, A. MARINONI, M. TURRI, Profilo storico della città di Legnano, Famiglia Legnanese, Società Arte Storia, Legnano, Edizioni Landoni, 1984. 15 G. TABACCO, L’evangelizzazione dell’Europa e lo sviluppo della potenza ecclesiastica, in La Storia. I grandi probllemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, (direttori. N. Tranfaglia e M. Firpo), vol. I, Torino, UTET, 1986. 16 F. CARDINI - M. MONTESANO, 2006, op. cit. 17 G. D’ILARIO, E. GIANAZZA, A. MARINONI, Legnano e la battaglia, edizioni Landoni, Legnano, 1976 18 Da M.G.H. SS, XVII. (Monumenta Germaniae Historica), La paternità degli annali è incerta, anche se l’umanista Johannes Trithemius (1462-1516) nella prefazione degli Annales Hirsaugiensies la attribuisce a un “Godefridum, monachum Sancti Pantaleonis”. G. H. Pertz, che ha curato l’edizione tra il 1826 e il 1874, si è basato sul Codice Enstorpensis del pastore Itermann di Enstora (dati riportati in G. D’ILARIO, E. GIANAZZA, A. MARINONI, op. cit.). 19 Codice della Croce n. XVIII: regesto in castello di San Giorgio, in Memorie Società Arte e Storia, n. 16, Legnano 1956. 20 GOFFREDO DA BUSSERO, Liber notitiae sanctorum Mediolani, codice manoscritto riportato e pubblicato a stampa per la prima volta a Milano nel 1917 a cura di M. Magistretti e Ugo Monneret de Villard, Tipografia: U. Allegretti, Milano, 1917 21 G. GIULINI, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano nei secoli bassi, Voll. 3, Milano, 1775. Testo riportato dell’iscrizione divisa in due mattoni : "MCCCLXXXXIII Die XXVI maii Fond.e prima Hae Ecclesia Hedificata per Comunem Istum Sotene ad Honorem dei Santi Georgii Quam Segrata Fuit per Dominum Archiepiscopum ". 22 G.GERLI, Storia del paese, San Giorgio 1864. Manoscritto. Testo ripreso dal Liber Chronicus della Parrocchia di San Giorgio. Scriveva Giacomo Gerli: “Questo villaggio, avendo perduto l’antico suo nome, adottò quello della di lui Chiesa intitolata a San Giorgio”. 23 M. CATTANEO, San Giorgio e il legnanese nel Medioevo, in A. AGNOLETTO, op. cit. 24 JACOPO DA VARAZZE, Legenda Aurea. Con le miniature del codice Ambrosiano C240 inf, Edizione Nazionale dei Testi Mediolatini, Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, 2007. 25 G. D’ILARIO, E.GIANAZZA, A. MARINONI, M. TURRI, 1984, op. cit. 26 B. DE LA RIVA, De magnalibus Mediolani, II, X. tradotto in: BONVESIN DE LA RIVA, Le meraviglie di Milano, a cura di P. Chiesa, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Arnoldo Mondadori Editore, 2009. 51 27 E. CATTANEO, Ottone Visconti, in Contributi all'Istituto di Storia Medievale, I, Milano, 1968 28 G. FIAMMA, Chronicon Majus (et) Chronicon extravagans de antiquitatibus Mediolani (in Cod. Ambr. A275 inf.), a cura di A. Ceruti, Miscellanea di storia italiana, VII, Torino, 1869. 29 F. MEDA, La battaglia di Parabiago, Milano, Scuola Cattolica, 1938. 30 A. AGNOLETTO, 1992, op. cit. 31 Libros Iohannis Simonetae de rebus gestis Francisci I, Sfortiae Mediolanensium ducis a. 1448 in Rerum Italicarum Scriptores, vol. XXI, Bologna 1959, col. 500. 32 A. AGNOLETTO, 1992, op. cit. 33 F. CATALANO, La fine violenta di Galeazzo Maria Sforza, in Storia d'Italia (UTET), II, Dalla crisi della libertà agli albori dell'illuminismo, Torino 1959. 34 TRECCANI.IT, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 63 (2004). URL consultato il 22-02-2014. 35 D. MELANI, San Giorgio in epoca moderna. Aspetti amministrativi della comunità di San Giorgio tra i secoli XVI e XVIII, in A. AGNOLETTO, 1992, op. cit. 36 Ibidem 37 ARCHIVIO SPIRITUALE DIOCESI DI MILANO, Pieve di Legnano, sez. X, vol. VI, citato in D’ILARIO, E.GIANAZZA, A. MARINONI, M. TURRI, 1984, op. cit. 38 D. MELANI, 1992, in A. AGNOLETTO, 1992, op. cit. 39 F. BERTOLLI, U. COLOMBO, La peste del 1630 a Busto Arsizio, riedizione commentate della Storia di G.B. Lupi (Biblioteca Reale di Copenaghen), ed. Comune di Busto Arsizio – Busto Arsizio, Bramante Editrice, 1990. 40 M. MONTAGNA, A. VETTORI, (a cura di ), Storia dei territori di Legnano, Magenta, Abbiategrasso, Busto Arsizio, Tradate e Saronno, coll. suppl. Il giorno, Milano, 1993. 41 D. MELANI, 1992, in A. AGNOLETTO, 1992, op. cit. 42 Ibidem 43 D. ZANETTI, La demografia del patriziato milanese nei secoli XVII, XVIII, XIX., Università di Pavia, Pavia 1972 44 D. MELANI, 1992, in A. AGNOLETTO, 1992, op. cit. 45 Ibidem 46 T.CELONA, E. MARIANI TRAVI, L. MARIANI TRAVI, Scrittori e architetti nella Milano napoleonica, pubblicazione della Provincia di Milano, Milano, 1983. 47 Dizionario biografico degli Italiani, vol. 27, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana (Treccani), 1982 48 Encyclopædia Britannica, vol. 12, voce Jacquard, Joseph Marie, London, William Benton Publisher, 1965. 49 I. BRIANO, Storia delle ferrovie in Italia, Milano, Cavallotti, 1977 50 D. PERA, L’evoluzione politica, amministrativa e strutturale dall’Unità d’Italia a oggi, articolo pubblicato sul periodico comunale San Giorgio su Legnano, n° 11, anno 2011. 51 M. SCARDIGLI, Le grandi battaglie del Risorgimento, Milano, Rizzoli, 2011 52 52 O. VERGANI,. Tombe romane e armi moderne, Milano, Corriere della Sera, 1930. Storia e attualità – Intervista a Gaspare Restelli, in San Giorgio su Legnano – Periodico di vita cittadina a cura dell'Amministrazione Comunale, n° 8, San Giorgio, 2005 54 A. AGNOLETTO, 1992, op. cit. 55 Fonte: Censimento degli opifici e delle imprese industriali al 10 giugno 1911, a cura del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Roma, 1916. 56 C. SABBATINI, Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Milano, Milano, 1893. 57 G. D’ILARIO, E.GIANAZZA, A. MARINONI, M. TURRI, 1984, op. cit. 58 Archivio Comunale di Legnano, 1880, VII. 59 Lettera Enciclica di S.S. Leone XIII Rerum Novarum, 29 – Roma 1891 60 Liber Chronicus (Chronicon) della Parrocchia di San Giorgio. 61 Archivio Comunale di Legnano, cart. 392 f.. 286/23. 62 Statistiche I.Stat - ISTAT; URL consultato in data 28-03-2014. 63 G.PORISINI, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale, Firenze, La Nuova Italia, 1975. 64 M. BERRA, M. REVELLI, Salari, 12° cap. del tomo 3 de Il mondo Contemporaneo – Storia d'Italia, a cura di F. Levi, U.Levra e N. Tranfaglia, Firenze, La nuova Italia, 1978 65 G. SABBATUCCI, V. VIDOTTO, Storia contemporanea, il Novecento, Bari, Laterza, 2008. A pag. 70: "I massimalisti [..] si ponevano come obiettivo immediato l'instaurazione della 53 repubblica socialista fondata sulla dittatura del proletariato e si dichiaravano ammiratori entusiasti della rivoluzione bolscevica" 66 R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, volume I, Bologna, Il Mulino, 2012 Da Wikipedia, Unione Sportiva Sangiorgese, URL consultato in data 30-03-2014. 68 Liber Chronicus (Chronicon) op. cit. 69 Ibidem 70 M. T. CRAVERO MIOLA, Storia della nostra chiesa dalla fondazione alla consacrazione – Brani del diario di monsignor Pietro Ermolli, articolo pubblicato sul n. 8, marzo 2005, del periodico comunale San Giorgio su Legnano 71 M.T. MALLAMACI, La presenza monumentale e artistica, in A. AGNOLETTO, 1992, op. cit. 72 R. PASTORI, Conoscere San Giorgio, articolo apparso sul numero di marzo 2011, anno 23, del periodico mensile San Giorgio su Legnano, a cura dell’Amministrazione Comunale. 73 “[…] prima hecclesia hedificata per comunem istum Sotene […]” in G. GIULINI, 1775, op. cit. 74 S. FRATTINI, Il malinteso del podestà, articolo pubblicato sul n. 14, dicembre 2002, del periodico San Giorgio su Legnano a cura dell’Amministrazione Comunale. 75 Dati tratti dall’intervista alla sorella di Giannino Rossi citata nell’articolo di Maria Luisa Rosi “Due Sangiorgesi a Cefalonia”, pubblicato sul n. 9, giugno 2005, del periodico 67 53 comunale San Giorgio su Legnano; ricerca condotta dalle classi quinte della scuola elementare Grazia Deledda nell’anno scolastico 1987-1988. 76 R. BATTAGLIA, Storia della resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1964. 77 Fonte: A.N.P.I. – sezione di San Giorgio su Legnano. Elenco partigiani sangiorgesi: P. Croci, G. Vignati, G. Mezzenzana, V.Garzonio, L. Croci, E. Lambertiini, C. Girotti, L.Genoni, E. Solbiati, O. Peretti, C. Genoni, M. Meraviglia, G. Morelli, F. Porta, G. Marini, G. Solbiati, D. Genoni, S. Solbiati, G. Aghemo, D. Biglietti, L. Travaini, G. Monticelli, M. Lambertini, A. Prandoni, A. Colombo, C. Colombo, R. Colombo, M. Colombo, M. Massenzana, G. Meraviglia, G. Solbiati, G. Lambertini, G. Colombo, A. Bonetti, L. Colombo, F. Libani, D. Morelli, G. Colombo, M. Marini, G. Pastori, S. Chiodini, C. Croci, N. Cerana, V. Vignati. 78 G. CAVALLERI, F. GIANNANTONI, M. J. CEREGHINO, La fine. Gli ultimi giorni di Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-1946), Milano, Garzanti, 2009. 79 Liber Chronicus (Chronicon) op. cit. 80 C. BIANCHI, Lo sviluppo economico italiano nel secondo dopoguerra: continuità e cambiamenti, Università di Pavia, 1998. 81 P. VISIGALLI, La religiosità dei sangiorgesi nella prima metà del secolo XX, in A. AGNOLETTO, 1992, op. cit. 82 G. D’ILARIO, E.GIANAZZA, A. MARINONI, M. TURRI, 1984, op. cit. 83 A. GRAZIANI, Lo Sviluppo dell'economia italiana. Dalla ricostruzione alla moneta europea. Torino, Bollati Boringhieri, 1998. 84 Liber Chronicus (Chronicon) op. cit. 85 Centro Studi per la documentazione storica ed economica dell’impresa - Università Carlo Cattaneo, La storia del settore tessile. Il Novecento, URL consultato in data 25/04/2014. 86 M. MAGATTI - Corruzione politica e società italiana, Bologna, Il Mulino, 1996. 87 R.PROVASI, Ulivo, Rifondazione Comunista e gli scheletri nei loro armadi, articolo apparso nella rubrica Tribuna Politica del numero di Aprile 2003 del periodico San Giorgio su Legnano a cura dell’Amministrazione Comunale. 88 I. DIAMANTI, La democrazia fluida, articolo apparso su la Repubblica.it il 25 aprile 2005. 89 Statistiche demografiche su "demo.istat.it". URL consultato il 2 maggio 2012. 54