Profilo storico di San Giorgio su Legnano

PROFILO STORICO DI
SAN GIORGIO SU LEGNANO
COMUNE DI SAN GIORGIO SU LEGNANO
ASSESSORATO ALLA CULTURA
a cura di Francesco Guzzetti
Ottobre 2015
INDICE
Protostoria
Età romana
Medioevo
Età moderna - dal ′500 alla fine del ′700
Età contemporanea – l’Ottocento
Dall’inizio del XX secolo alla fine della II Guerra Mondiale
Dalla fine della II Guerra Mondiale agli anni attuali
Note e fonti bibliografiche
pag. 2
pag. 2
pag. 4
pag. 12
pag. 20
pag. 26
pag. 37
pag. 50
Protostoria
L’area di San Giorgio su Legnano, poco più alta rispetto all’alveo legnanese
dell’Olona (la preposizione “su” si riferisce appunto a tale dislivello), fu abitata
fin da epoche remote. Nel 1926 l’ingegner Guido Sutermeister recuperò, tra San
Giorgio e Canegrate, alcune tombe a incinerazione riferibili alla civiltà dei campi
d’urne, diffusa dal XIII secolo a. C. su entrambi i versanti alpini. Da questi
reperti prese origine la definizione della relativa fase protostorica come ‘cultura
di Canegrate’. Gli scavi successivi del triennio 1953-1956 portarono alla luce
quasi 200 tombe, cifra di rilievo per una necropoli dell’età del Bronzo.1 In seguito
fiorì nella zona la civiltà di Golasecca, con influssi paleoveneti, villanoviani e
paleoetruschi. I corredi tombali delle necropoli golasecchiane testimoniano l’alto
tenore di vita del periodo protourbano nel quale sorsero i nuclei delle maggiori
città lombarde (Milano, Bergamo, Brescia) e in cui le verdi terre lungo il fiume
Olona attraevano precoci insediamenti rispetto ad altre aree di pianura. La lenta
evoluzione di tale civiltà fu modificata dalle invasioni galliche del IV sec. a.C.,
quando tribù transalpine occuparono la piana del Po fino al limite delle terre dei
Veneti. La presenza celtica è documentata sia da fonti storiche sia da reperti
riferibili alla cultura di La Tène, sebbene resti aperto il problema di più antiche
migrazioni galliche datate dallo storico Tito Livio al VI sec. a. C.2 Recenti studi
di linguistica hanno infatti attribuito a ceppi celtici le iscrizioni ritrovate in area
golasecchiana (epigrafi di Castelletto Ticino del VI sec. a.C.)3 ed è quindi errato
immaginare grandi sconvolgimenti etnici nell’area padana dell’età del Ferro: in
gran parte gli insediamenti erano già celtici, sicché l’arrivo di nuove tribù dai
valichi alpini fu più un’aggiunta di popoli simili che una cesura storica. Nel III
secolo a.C. la forte crescita demografica fece sorgere una rete di piccoli villaggi
intorno ai centri maggiori e lungo i fiumi, come avvenne sulle rive dell’Olona. I
reperti purtroppo non aiutano a tracciare precise peculiarità dell’area legnanese,
ma sappiamo con sufficiente certezza che era popolata in prevalenza da etnie
galliche, specialmente da quegli Insubri che contribuirono a dar vita al cosiddetto
celtismo cisalpino diverso dalla matrice d’oltralpe.
Età romana
I rinvenimenti d’epoca romana sono più numerosi, a partire dalla conquista
dell’insubre Mediolanum per opera delle legioni comandate da Scipione Calvo,
da Claudio Marcello e infine dal proconsole Valerio Flacco (194 a.C.)4. I reperti
mostrano una transizione graduale alla nuova cultura, per il forte attaccamento
della popolazione alle tradizioni celtiche. Alla fine del II secolo a.C., quando
Milano era ormai romanizzata, le sponde amene dell’Olona punteggiate di mulini
videro aumentare la densità degli abitati. A San Giorgio sono stati rinvenuti resti
di ben tre necropoli romane: in via Mameli, nel parco della villa ex Parravicini-
2
Floriani e in via Vittorio Veneto. Sono sepolcreti sviluppatisi nella prima età
imperiale (I sec. a. C.– I sec. d.C.)5 che lasciano supporre un insediamento ben
organizzato, similmente a quanto riscontrato nelle vicine località di San Lorenzo,
Nerviano, San Vittore Olona e Legnano.6
Principali attività erano l’agricoltura,
l’allevamento del bestiame e l’artigianato, favorite dagli scambi lungo le strade
di pianura e le vie d’acqua. Proprio a
quest’epoca risale il primo nucleo di San
Giorgio come abitato autonomo: poche
case, ma già ben distinte dalle altre, che
sorgevano lungo la strada sterrata che,
attraversata Legnano, saliva sul colle
oggi detto Costa di San Giorgio e proseguiva verso Milano, capoluogo al quale
nell’89 a.C. la Lex Pompeia de Transpadanis aveva dato dignità di colonia
romano imperiale di San Giorgio
latina. La zona rivestiva interessi strate- Sepolcreto
Vaso antropoprosopo.
gici come retrovia per le campagne di (conc. Soprintendenza Archeologia della Lombardia.
Giulio Cesare alla conquista della Gallia ripr.viet.)
e, sull'onda del derivato sviluppo, nel 49 a.C. la Lex Roscia elevò Mediolanum
allo status di Municipium.7. Era un’urbe popolosa che già catalizzava le attività
del circondario, i vici, i pagi, le campagne. A quel tempo il territorio di San
Giorgio era coltivato per lo più a vigneti; uve che in gran parte venivano vendute,
mentre gli altri prodotti agricoli erano destinati al consumo locale. Tra i reperti di
età imperiale vi sono coltelli, rasoi, oggetti in ceramica, una bella coppa costolata
di vetro viola e un curioso vaso a forma di volto umano. La coeva diffusione del
Cristianesimo è testimoniata dalla presenza nella necropoli trovata sulla Costa di
San Giorgio di tombe a inumazione, dette alla cappuccina, tipiche delle sepolture
cristiane dei primi secoli. Scrive Giorgio Sutermeister: “Scompare il rito della
cremazione, ma sono rispettati i luoghi sacri delle generazioni passate. [...] Nelle
tombe cristiane perdura per un certo tempo la suppellettile funeraria pagana”.8
Scarse le tracce dell’abitato sangiorgese in età tardoimperiale: una moneta del
periodo di Gallieno (252-266 d.C.) e un’altra coniata sotto il cesare Costanzo
Cloro (292-306 d.C.). Sono gli anni in cui Milano aveva assunto il ruolo di centro
politico-militare di retroguardia contro le ricorrenti invasioni barbariche, fino a
divenire, con le riforme di Diocleziano del 285-293, la nuova capitale dell’impero
d’Occidente, coinvolgendo le zone limitrofe in opere di fortificazione. In seguito,
dalla metà del IV secolo, vari popoli germanici provenienti dalle pianure dell’Est
3
Europa, in parte già infiltrati e integrati nell’impero, aumentarono l’intensità delle
loro invasioni. Orde di Goti, Alemanni, Vandali e Unni percorsero le campagne
lombarde portandovi saccheggi e distruzioni. Come quasi tutte, anche la strada
dal Verbano a Mediolanum, passante per l’odierna San Giorgio, diventò insicura
e i commerci assai ridotti, fino a sparire, mentre le terre cedevano all’incolto. Lo
stanziamento di soldati germanici è attestato da vari ritrovamenti di età barbarica
presso il corso del fiume.9 A causa dei ripetuti assedi, Milano si serrò in difesa e
non costituì più riferimento di sicurezza per i paesi del territorio nord-occidentale,
che preferirono rivolgersi al ben munito castello di Sibrium (Castelseprio), la cui
giurisdizione andò allargandosi a spese di Milano e Como, giungendo a confinare
con la Burgaria amministrata dalla pieve di Parabiago, all’epoca includente anche
l’attuale area di San Giorgio su Legnano.
Medioevo
Nell’alto medioevo il castrum di Castelseprio conservò le sue prerogative di
baluardo per tutta la fase romano-barbarica, prima sotto il regno ostrogoto e poi
nella devastante guerra gotica (535-553), durante la quale i centri urbani furono
abbandonati, mentre le popolazioni soffrivano pesanti carestie e pestilenze. Non
ci sono segni del nucleo di San Giorgio in quel periodo, forse perché residuavano
soltanto un paio di sparuti casolari fra terreni semi-incolti. La guerra fu vinta da
Giustiniano, ma i soldati Bizantini erano troppo pochi per presidiare il territorio e
impedire l’avanzata dei Longobardi, che nel 569 conquistarono Milano e tre anni
dopo Pavia, che divenne capitale del loro regno. Al ritorno dei vescovi a Milano,
inizialmente fuggiti a Genova, si può datare la ripresa della vita religiosa, con il
rilancio della Cattedrale e la costruzione ex novo di varie strutture di ricetto e
monasteri, che sorgevano qua e là anche nelle campagne bagnate dall’Olona. Il
monachesimo, nel regno dei Longobardi
convertiti, segnò fortemente la vita di
quel periodo, così come la fioritura diffusa di nuove chiese e chiesette. Giova
qui ricordare che non erano rare quelle
dedicate a San Giorgio, martire cristiano
originario della Cappadocia, (vissuto tra
il 280 e il 303 d.C.), che conobbe una
grande devozione nella Longobardia,
specie dopo la sanguinosa battaglia di
Coronate d’Adda del 689, vinta dal re
cattolico Cuniperto sulla fronda ariana
Lamella longobarda di una figura a cavallo
del duca usurpatore Alachis, vittoria che
4
spianò la strada alla definitiva conversione di tutti i Longobardi alla fede
cattolica.10 Le vicende di San Giorgio, già narrate nella Passio Sancti Georgii e
assunte come simbolo di vittoria e rigenerazione, potevano infatti offrire nessi
allegorici riferibili a tale evento. Anche il comando del presidio longobardo di
Milano era posto nella chiesa di San Giorgio al Palazzo.11 Dopo la pace del 680
con i Bizantini e fino a metà del secolo VIII, la Milano longobarda registrò una
fase di gran fervore edilizio, elogiata nel 740 da un poeta anonimo della corte di
re Liutprando nel suo Versum de Mediolano Civitate.12 Anche lungo l’Olona
erano ripresi i commerci e nei paesi ripopolati crescevano le attività agricole e
artigianali, sebbene poi, pur tra qualche luce, il dominio longobardo finì per
comprimere gli orizzonti produttivi nel sistema chiuso delle curtes, statici derivati
dell’economia delle villae romane in lenta mutazione verso le signorie fondiarie
dell’età feudale.13 L’eco di questo periodo risuona ancora nel toponimo di Villa
Cortese, paese attiguo a San Giorgio. Il regno dei Longobardi terminò nel 774,
quando Carlo Magno, rotta l’unione con la principessa Ermengarda, sconfisse a
Pavia le difese del re Desiderio. Subito il nuovo sovrano franco sostituì i duchi
longobardi con i suoi conti e la fortezza di Castelseprio divenne così centro
capitale del Contado del Seprio, comprendente Legnano e circondario. Restavano
però saldi i legami con Milano, sia tramite i canonici di Sant’Ambrogio sia per
l’acquisto di molti terreni in zona da parte di ricchi milanesi del ceto feudale o
della nuova classe di cives negotiatores che andava sviluppandosi in età
precomunale.14 Frattanto, sia in città che nel contado, cresceva sempre più il ruolo
dell’arcivescovo Ansperto, missus dominicus imperiale, il quale, nelle complesse
vicissitudini storiche dell’eredità carolingia, riuscì a unire le funzioni spirituali ai
poteri di un capo civile e militare, al punto da tener testa al pontefice. Nell’anno
888 anche il legnanese seguì dunque le sorti del Contado del Seprio conquistato
dalla Cattedra Ambrosiana, passando sotto il potere diretto dell’Arcivescovo.
Pochi anni dopo, le fortificazioni vescovili dovettero resistere alle scorrerie degli
Ungari, che nel X secolo imperversarono anche nella pianura padana. In quel
periodo, la tassa di castellanza forniva il diritto di protezione dai pericoli esterni
(da ciò prese il nome il vicino comune di Castellanza) e un’altra norma
permetteva ai signori locali di incastellare le loro proprietà con mura e bastioni.
Scrive lo storico Giovanni Tabacco:“La moltiplicazione delle fortezze non fu
iniziativa soltanto dell’aristocrazia militare: vi parteciparono attivamente anche
i vescovi, utilizzando il patrimonio fondiario, il lavoro della popolazione
contadina e le clientele vassallatiche, così da costruire ben definite aree di
potere, non meno efficienti di quelle create dai signori secolari.”15 Nella zona di
San Giorgio, tuttavia, non vi erano edifici fortificati né mura difensive, salvo una
palizzata di legno lungo alcuni tratti della strada per Milano. Nel 1018 divenne
5
arcivescovo Ariberto da Intimiano, alto prelato di nobiltà longobarda, contro cui
nel 1035 scoppiò una rivolta di valvassori, sostenuta dall’imperatore Corrado II il
Salico, che temeva l’eccessiva autonomia del metropolita ambrosiano. Le schiere
imperiali attaccarono Milano e Corrado II, dopo la vittoria, emanò la Constitutio
de Feudis, riforma che estendeva ai vassalli minori i diritti di successione che il
capitolare di Quierzy aveva riservato unicamente ai grandi feudatari. Fuggito
dall’arresto e colpito da scomunica, Ariberto riuscì a tornare in sede alleandosi
appunto con i grandi feudatari e compattando il popolo e il basso clero sotto la
sacra insegna del Carroccio, simbolo d’indipendenza antimperiale. Alla morte di
Ariberto, la cattedra vescovile passò a Guido da Velate, che affrontò duramente le
rivolte popolari contro la simonia e la corruzione del clero agitate dal movimento
patarino, parzialmente ispirato alle istanze cluniacensi. Una leggenda locale narra
che un capo del movimento, il diacono Arialdo (poi canonizzato) trovò rifugio
per qualche tempo nel castello di Legnano, prima di essere ucciso ad Angera
dagli sgherri di Guido. Ma il castello a cui si fa riferimento non è il Castello di
San Giorgio, che ancora non esisteva, bensì un gran maniero (oggi scomparso)
costruito poco dopo l’anno mille dalla famiglia Cotta, vassalla dell’arcivescovo,
nell’area centrale di Legnano. Sul finire del XI secolo andò diminuendo il potere
dell’autorità ecclesiastica: al clero e al ceto feudale si aggiunsero i rappresentanti
della nascente borghesia comunale e, con l’aumento progressivo del numero dei
consoli, si arrivò gradualmente all’affrancamento dei cittadini nell’ambito di una
nuova forma d’autonomia amministrativa delle realtà locali. In teoria, i diritti
regali appartenevano ancora all’Impero, ma, in pratica, la sostanziale incuria del
potere centrale aveva di fatto permesso che venissero esercitati dagli ordinamenti
comunali.16 I Comuni diventarono così delle vere e proprie città-stato, dominando
anche le campagne limitrofe. È il caso di Milano, protagonista e bandiera di tale
processo, che attrasse nella sua sfera quasi tutti i centri minori del Seprio, tra cui
Legnano e zone attigue, sia come fornitori di prodotti agricoli sia come avamposti
di difesa. Il Comune ambrosiano, una sorta di repubblica sotto l’alta signoria
dell’arcivescovo, aveva, però, mire di espansione ben più ampie: già prima dello
scontro con il Barbarossa aveva esteso la sua supremazia sia a nord che a sud,
sconfiggendo Como e Lodi. La reazione dell’imperatore, chiamato proprio dai
ghibellini lodigiani e comaschi, fu inevitabile: al primo intervento del 1154, che
portò alla riaffermazione dei diritti regali alla dieta di Roncaglia, fece seguito
un’altra spedizione, più incisiva, che nel 1162 culminò con la distruzione di
Milano. Di tali avvenimenti gli abitanti di San Giorgio non furono meri spettatori,
poiché durante gli assedi anche il contado fu devastato. Le condizioni vessatorie
imposte poi da Federico incrinarono il residuo fronte filo-imperiale e convinsero
perciò numerose città lombarde, venete ed emiliane a unirsi contro i soprusi del
6
Barbarossa nel solenne giuramento di Pontida del 1167. A capo delle schiere fu
posto l’arcivescovo di Milano, in rappresentanza di papa Alessandro III, nemico
dell’imperatore e simpatizzante dei Comuni. Lo scontro decisivo avvenne, come
è noto, nella famosa battaglia di Legnano del 1176, descritta in dettaglio nel testo
citato in bibliografia.17 Qui basti dire che le forze milanesi, ancora prima di unirsi
a tutti gli alleati, si avviarono lungo l’Olona giungendo a Legnano, ove disposero
il Carroccio sul ciglio di una scarpata. Dopo un breve combattimento di 700
cavalieri inviati in avanscoperta contro l’avanguardia imperiale, avvenuto tra
Busto Arsizio e Borsano, la battaglia si decise infine proprio intorno al Carroccio,
dove la fanteria comunale resistette strenuamente, permettendo alla cavalleria in
ripiegamento di aggregarsi a forze fresche provenienti da Milano e di passare al
contrattacco, aggirando il nemico e mettendolo in fuga. Di preciso non sappiamo
quale fosse il gran fossato davanti all’ubicazione del Carroccio citato dall’antico
cronista degli Annales Maximi Colonienses18, ma i punti possibili sono solo due:
il declivio verso l’Olona sito nella contrada legnanese di San Martino e il piccolo
colle della Costa di San Giorgio. Ne consegue, dato che il secondo è più alto ed è
oltretutto sulla linea in cui ancor oggi, da Borsano, si estendono campi liberi alla
periferia di Legnano, che probabilmente la fase cruciale della battaglia si svolse
proprio a ridosso della Costa di San Giorgio, nell’area attualmente occupata dal
Parco Castello. Ai tempi era una plaga disabitata, poiché il forte in riva all’Olona
chiamato Castrum Sancti Georgi ancora
non esisteva. Fu infatti costruito dopo il
1262 sulla struttura preesistente di un
convento di frati agostiniani, sorto alla
fine del XII secolo. Tale convento, assai
importante per la toponomastica della
nostra zona, aveva un’annessa chiesetta
dedicata a San Giorgio risalente quanto
meno al 1231. In un documento del 1261
si legge, infatti, che i regolari agostiniani
avevano deciso di spostarsi, permutando
i loro ampi terreni con altri dei Torriani
di Milano, poiché a causa di continue
vessazioni la loro chiesa era abbandonata
“da più di trent’anni”.19 Forse per tale
motivo non fu registrata nel compendio
trecentesco Liber notitiae sanctorum
Mediolani di Goffredo da Bussero20.
Quest’antica chiesetta, che sorgeva in Aspetto attuale della chiesetta di San Giorgio
7
interna al castello.
un punto dove, secondo recenti scavi, esisteva un luogo di culto già dal IX secolo,
assume una particolare rilevanza per la nostra storia, poiché il nome del martire
Giorgio a cui era dedicata (passato in seguito a denominare il castello) indicava
per estensione lo stesso convento e tutti i suoi terreni, nei quali esisteva appunto
l’abitato agricolo da cui è derivato il nostro omonimo comune. Il passaggio del
toponimo fu graduale, mutando nei secoli la denominazione originaria. Lo storico
settecentesco Giorgio Giulini riporta infatti l’iscrizione su una lapide,21 divisa in
due mattoni, rinvenuta nel 1769 durante alcuni scavi presso la chiesa del SS.
Crocifisso (allora detta Gèsa növa), attinente alla consacrazione nel 1393 della
vecchia chiesa preesistente dedicata a San Giorgio: in tale incisione la località è
chiamata Sotena, nome che pare quindi essere l’antico toponimo del luogo, prima
che, dal XV secolo, prendesse definitivamente quello del santo della sua chiesa.22
Non deve affatto stupirci che la chiesetta del convento (poi interna al castello, in
parte recuperata nel rifacimento del 1440) e la vicina chiesa tardo-trecentesca di
Sotena fossero entrambe dedicate a San
Giorgio, poiché la presenza del convento
aveva diffuso il culto del santo martire in
tutte le campagne a sud di Legnano, come
ha suggerito la storica Marina Cattaneo.23
Si può inoltre supporre che la chiesa di
San Giorgio eretta a Sotena rappresentasse
una sorta di sostituzione, spostata più sul
colle, dell’omonima chiesetta conventuale
ormai in degrado. All’epoca la figura del
martire Giorgio, santo patrono di soldati e
cavalieri, era assai popolare, soprattutto
nella sua classica icona equestre, diffusa
durante le Crociate, che lo effigia quale
uccisore di un drago (simbolo del male,
del demonio, ma anche dei nemici della
fede), come ben narra il passo LVIII della
Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.24
Quando il convento fu lasciato dai frati
agostiniani, esisteva già presso la struttura
un’alta torre di vedetta per controllare la
strada lungo il fiume Olona e furono poi i
Torriani, nuovi padroni dell'edificio, a far
San Giorgio (mosaico sulla facciata
costruire, tra il 1262 e il 1273, le quattro
della chiesa del SS.Crocifisso)
ali merlate e le torri angolari, trasformando
Foto R.Raimondi. g.c.
8
così il monastero in un maniero fortificato. Sempre il Giulini riferisce che nel
1273 vi furono ospitati i reali inglesi di ritorno da un viaggio in Oriente, ma
secondo una leggenda locale Edoardo I Plantageneto ed Eleonora di Castiglia
presero invece alloggio nella coeva dimora sangiorgese di via Gerli, poi chiamata
‘casa della regina’, di cui è ancora visibile una bella finestra gentilizia a sesto
acuto con fregi in cotto. A tal riguardo, è utile ricordare che dalla fine del XIII
secolo molte famiglie nobili milanesi avevano preso l’abitudine di trascorrere
periodi di villeggiatura in residenze di campagna e che lo stesso arcivescovo
Leone da Perego aveva eletto a sede estiva il palazzo legnanese che porta il suo
nome. Possedere terre e manieri nel contado non era solo una fonte di reddito e
un vanto aristocratico: offriva anche un rifugio sicuro in caso di disordini urbani.
Come nel 1257, quando nella fiorente Milano riorganizzata dopo la pace di
Costanza si acutizzarono le lotte tra i Popolari della Credenza di Sant'Ambrogio,
capitanata da Martino della Torre, e la compagine nobiliare (detta Motta) guidata
dall’arcivescovo Leone da Perego, il quale, trasferitosi appunto nel suo palazzo di
Legnano, raccolse nel Seprio un piccolo esercito per respingere i Popolari a
Solbiate, Olgiate Olona e Canegrate.25 Gli scontri si fermarono con la tregua di
Parabiago, che però fu breve: nel 1261 Martino ruppe i patti e invase i territori
vescovili, Legnano compresa. E l’anno dopo, accettando la suddetta permuta,
prese possesso del convento agostiniano di San Giorgio per mutarlo in fortilizio.
Sempre nel 1262, morto Leone da Perego, papa Urbano IV nominò alla cattedra
ambrosiana Ottone Visconti, ma i della Torre (o Torriani), forti dell’autorità
podestarile e dell’appoggio del popolo, gli impedirono d’insediarsi. Intanto
proseguiva la guerra contro le truppe imperiali di Corradino di Svevia arroccate a
Pavia: gli scontri durarono finché il nuovo imperatore, Rodolfo d’Asburgo, decise
di nominare vicario proprio un Torriani, Napoleone (detto Napo), instaurando
così la sua signoria su Milano. Per tutta risposta, il Visconti, esiliato nel contado,
senza darsi per vinto si pose alla testa dei magnati fuoriusciti per riprendere armi
in pugno il controllo della città. Ne seguì una lunga lotta, con alterne vicende,
combattuta anche e soprattutto nelle campagne legnanesi. A quei tempi Legnano
era già un borgo dotato di mercato e la sua giurisdizione di Comune Rustico (dal
1258) comprendeva a sud la ‘cassina’ agricola di Sotena, dalla quale si sviluppò
il nostro paese. Su tale termine scrive Bonvesin de la Riva nel 1288: “In questi
borghi vivono non soltanto contadini e artigiani, ma anche magnati di grande
nobiltà. Vi sono poi intorno costruzioni di tipo diverso, alcune chiamate molini,
altre in volgare ‘cassine’, il numero infinito delle quali non potrei calcolare”.26
La battaglia finale fra i Torriani e Ottone avvenne presso Desio nel 1277 e aprì al
Visconti vittorioso le porte di Milano.27 L’arcivescovo concentrò così nelle sue
mani i poteri spirituali e temporali, sostenuto anche dalla nomina a vicario
9
imperiale da parte di Arrigo VII e dall’elezione a Capitano del Popolo del
pronipote Matteo, erede del dominio visconteo dopo la definitiva sconfitta delle
resistenze dei Torriani ad Abbiategrasso (1313). Non pago, Matteo partì poi alla
conquista di Pavia, dove l’indebito esproprio di molte terre ecclesiastiche gli
costò la scomunica, a cui fece seguito una serie di guerre tra Milano e lo Stato
Pontificio, alleato di Francia e Napoli. Il conflitto con la Chiesa fu un punto
chiave dei continui contrasti che caratterizzarono la casata viscontea, sia per le
sue ambizioni espansionistiche sia per le lotte interne alla stessa famiglia. Per
citare solo quella che più coinvolse il nostro territorio, si ricorda la battaglia di
Parabiago del 1339, combattuta tra gli armati di Azzone (nipote di Matteo),
guidati da suo zio Luchino, e la Compagnia di San Giorgio (formata da soldati
novaresi e scaligeri e da mercenari stranieri)28 comandata dall’altro zio, Lodrisio,
pretendente alla reggenza di Milano. Lo scontro fu vinto da Luchino, ma con
gravi perdite da ambo le parti (più di 4000 morti) e la funesta appendice di vasti
saccheggi compiuti dai mercenari prima di abbandonare il territorio.29 Razzie che
imperversarono a lungo nel legnanese ad opera soprattutto di soldataglie svizzere.
Nel 1349 la Signoria del Ducato fu assunta dall’arcivescovo Giovanni Visconti
(ultimo figlio di Matteo) e sotto il suo governo Bologna e Genova entrarono nei
dominî milanesi, benché, alla sua morte, tali città furono perse a causa delle lotte
successorie fra i suoi tre eredi (Galeazzo II, Matteo II e Bernabò). La cattedra
arcivescovile passò dunque a Roberto Visconti (membro di un ramo laterale della
famiglia), grande possidente che esercitava autorità su un ampio territorio, tra cui
Legnano e circondario. Spesso indicato come subordinato ai cugini di Milano, in
realtà egli seppe ritagliarsi uno spazio autonomo e imporre le proprie decisioni.
Per gestire i suoi possedimenti si serviva di un Rector o, come a Legnano, di un
Potestas. La sua non fu una signoria assoluta: affiancavano il suo potere le nobili
famiglie Crivelli, Lampugnani e Vismara. Anche le monache del locale convento
di Santa Chiara rivestivano un ruolo
importante. Nel 1361 Roberto Visconti
morì a Legnano nel Castello di San
Giorgio, ormai da anni divenuto di sua
proprietà. Seguirono poi le vittoriose
conquiste di Gian Galeazzo Visconti,
che oltre alla Lombardia giunsero a
includere parti del Veneto, dell’Emilia,
dell’Umbria e della Toscana. Il coevo
sfarzo edilizio (pensiamo alla Certosa
di Pavia e all’inizio della fabbrica del
Castello di San Giorgio
Duomo) non lasciò però segni tangibili
10
nell’area legnanese, per quanto in quel periodo vi fu una crescita dei commerci e
delle attività artigiane. L’ampliamento del castello sull’Olona, le cui pertinenze
agricole comprendevano il nostro abitato, avvenne infatti più tardi, nel 1445, cioè
sette anni dopo che l’ultimo erede maschio dei Visconti, Filippo Maria, l’aveva
donato al capitano vassallo Oldrado Lampugnani. Fu lui a rinforzare l’edificio
con fossato e nuove mura, nonché a proteggere il ponte levatoio con un massiccio
torrione d'ingresso.30 I servizi resi a Filippo Maria avevano fruttato a Oldrado
rendite tali da consentirgli il possesso di vaste proprietà fondiarie, fra cui i terreni
circostanti la ‘cassina’ di San Giorgio, di fatto inglobata nell’area del castello.
Proprietà che furono conservate anche nel complesso intreccio storico che segnò
il passaggio del Ducato dai Visconti agli Sforza, quando il Lampugnani, dopo la
morte senza eredi di Filippo Maria, decise di schierarsi con il condottiero
Francesco Sforza (pretendente in quanto marito di Bianca Maria Visconti) contro
l’Aurea Repubblica Ambrosiana, sorta nel 1447 in sostituzione della dinastia
ducale. Milano fu affamata da un lungo assedio, che coinvolse in particolare il
legnanese, poiché le truppe sforzesche del Campana vi avevano piazzato il loro
principale accampamento.31 Ottenuto il potere, la nuova Signoria dovette subito
affrontare una grave pestilenza che decimò la popolazione cittadina, spingendola
a riparare in campagna. Lo stesso duca trasferì i suoi famigliari nel castello di
Abbiategrasso ed è nota una lettera della figlia Ippolita mentre era ospite a
Magenta dei Crivelli, nobili che avevano proprietà anche a San Giorgio, tra cui la
villa rustica centrale che in seguito passò ai marchesi Parravicini.32 La casata
Crivelli, già reggente del Contado di Burgaria, ebbe grande importanza nello
sviluppo dell'occidente milanese, soprattutto dopo la pace di Lodi del 1454 tra
Milano e Venezia, vero sblocco della crisi economica e avvio della ripresa. A fine
Quattrocento, tuttavia, anche la dinastia degli Sforza conobbe lotte interne e
congiure, come nel 1476, quando un complotto ordito da Carlo Visconti e Andrea
Lampugnani (nipote di Oldrado) sfociò nell’assassinio del duca Galeazzo Maria.
Sebbene nell’ideazione del delitto fossero coinvolti il re francese Luigi XI e lo
stesso fratello Ludovico Sforza (detto il Moro), le coltellate furono inferte proprio
dal Lampugnani33 e tale attacco omicida influì poi sulle sorti del casato e dei suoi
possedimenti, un terzo dei quali fu confiscato dalla camera ducale.34 Nel 1494
altri intrighi portarono Ludovico all’usurpazione del potere ai danni del legittimo
erede Gian Galeazzo Maria, i cui diritti furono difesi soprattutto da sua moglie,
Isabella d’Aragona, che si rivolse al padre Alfonso II, re di Napoli, affinché al
marito fosse affidato il potere effettivo sul Ducato. In risposta a tale mossa,
Ludovico fece avvelenare Gian Galeazzo (morto a Pavia a soli 25 anni) e strinse
alleanza con il re di Francia Carlo VIII (figlio di Luigi XI), che discese in Italia
con un potente esercito dotato di moderna artiglieria e giunse in breve sino ad
11
espugnare Napoli, togliendo così ogni ostacolo al dominio di Ludovico. A
dispetto di queste cruente lotte di potere, l’epoca del Moro è ricordata nella storia
del Ducato anche come fase di prosperità e prestigio artistico (si pensi alle opere
di Leonardo da Vinci), ma l’alleanza francese di fatto aprì la strada ai successivi
interventi stranieri che segnarono la fine della sua indipendenza. Riguardo allo
sviluppo agricolo del contado, si deve senz’altro a Ludovico l’introduzione dei
gelsi per l’allevamento dei bachi da seta (diffusosi anche a San Giorgio), ma è
vero, d’altro canto, che l’inasprimento fiscale da lui ordinato pose gli abitanti dei
borghi rurali in netto contrasto con le direttive ducali.
Età moderna - dal ′500 alla fine del ′700
All’inizio dell’età moderna anche la dinastia sforzesca si avviò alla decadenza.
Preoccupato dall’eccessivo dominio dei Valois, il Moro aveva aderito alla Lega
Santa antifrancese organizzata da papa Alessandro VI, coalizione che riuscì a
ricacciare oltralpe l’esercito di Carlo VIII. Ma fu poi il nuovo re francese Luigi
XII a ritornare in Italia per impadronirsi del Ducato di Milano, sul quale vantava
diritti successori per essere nipote di Valentina Visconti, figlia di Gian Galeazzo.
La spedizione ebbe successo: il 10 aprile 1500 Ludovico Sforza venne infatti
deposto e il cardinale D’Amboise assunse il potere in nome del re di Francia. Il
suo governo durò poco, perché nel 1512 un esercito di mercenari svizzeri al soldo
della Lega Santa sconfisse di nuovo i francesi e rimise sul trono Massimiliano
Sforza, figlio di Ludovico. Fu una reggenza fantoccio, controllata dagli svizzeri,
che finì tre anni dopo, poiché con la sconfitta di Marignano gli elvetici dovettero
restituire il Ducato al re francese Francesco I di Valois, ottenendo a compenso i
soli territori che oggi costituiscono il Canton Ticino. I riflessi di tali eventi nel
comprensorio legnanese furono dapprima le violenze incendiarie degli svizzeri,
poi le pesanti tassazioni ordinate da Massimiliano e infine le dure condizioni
imposte al ritorno dei francesi. Il governatore nominato dal Valois resse Milano
fino al 1521, anno in cui Carlo V d’Asburgo, divenuto imperatore, gli mandò
contro il potente esercito imperiale guidato dal generale Colonna, che in breve si
impadronì della città e insediò sul trono il fratello di Massimiliano, Francesco II
Sforza. Costui, all’inizio, fiancheggiò il Colonna nelle battaglie sul Ticino contro
le resistenze francesi, ma poi, stanco del ruolo di pedina nelle mani asburgiche,
cambiò alleanze unendosi alla lega di Cognac, formata proprio dai francesi con la
Repubblica fiorentina, papa Clemente VII e la Repubblica di Venezia. Questa
coalizione fu duramente sconfitta dalle truppe di Carlo V, ma lo Sforza riuscì a
mantenere ugualmente il possesso del Ducato grazie ai veneziani, che offrirono i
loro possedimenti sulle coste pugliesi in cambio del ritiro delle pretese imperiali
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su Milano. Carlo V accettò e rimise lo Sforza sul trono milanese, riservandosi
però il diritto di successione vacante. Diritto che esercitò nel 1535, quando, morto
senza eredi Francesco II, il Ducato fu annesso direttamente all’Impero. Carlo V lo
assegnò a suo figlio, Filippo II re di Spagna, che vi nominò governatore Antonio
de Leyva. Aveva così inizio il lungo dominio spagnolo dei territori lombardi.
Proprio a quest'epoca risale il primo documento storico inerente al Comune di
San Giorgio: la mappa ufficiale del catasto ‘spagnolo’ del 1558, oggi conservata
presso l’Archivio Storico del Comune di Milano. Fu appunto in quell’anno che la
burocrazia imperiale, attuando la riforma amministrativa voluta da Carlo V nel
1535, scorporò il catasto di San Giorgio da quello di Legnano, stabilendo così una
divisione effettiva tra i due abitati. Va detto, tuttavia, che anche se compresi nello
stesso catasto, nonché uniti per vicinanza e interessi produttivi, sotto il profilo
civile essi erano separati già prima, poiché San Giorgio dipendeva dalla Pieve di
Parabiago, mentre Legnano dalla Pieve di Olgiate Olona. Questi due comprensori
appartenevano al Contado del Seprio, presieduto da Gallarate, dove un Capitano
(o Vicario) aveva compiti di polizia e di esazione fiscale, mentre i Consoli
amministravano la giustizia. Il suddetto Contado, infine, era parte integrante del
Ducato di Milano.35 È tale struttura politico-amministrativa che ha suggerito
l’apertura di questa narrazione storica alle vicende milanesi e, più in dettaglio, a
quelle del territorio nord-occidentale, sia perché la storia riguarda anche i legami
di dipendenza, sia per sopperire alla sostanziale assenza di documenti sul nucleo
di San Giorgio fino all’età spagnola. Mancanza che, ovviamente, non significa
che la comunità sangiorgese prima di allora non esistesse, ma soltanto che non si
sono conservati atti scritti su una piccola borgata che all’epoca rappresentava una
mera estensione agricola del borgo di Legnano. A tal proposito, giova senz’altro
ricordare che nella Cassina di San Giorgio (così è indicata in una mappa del
1500), escludendo i soggiorni estivi di membri di famiglie nobiliari proprietarie
di terreni affidati ai massari, vivevano ai tempi per lo più famiglie di contadini
analfabeti, con le loro storie paesane tramandate dai racconti orali degli anziani,
cronache locali intrecciate alla storia del Ducato solo per gli aspetti legati alle
gabelle agricole o per i danni causati dalle scorrerie di soldati di vari schieramenti
o per l’imperversare di carestie e pestilenze (credute castighi divini per i peccati o
malefici di streghe...), coltivatori e allevatori che poco o nulla sapevano degli
intrighi di palazzo o dei conflitti internazionali che determinavano i passaggi di
potere sul trono milanese, ma ciò non significa che tali avvenimenti storici non
influissero concretamente sulle loro condizioni. Dal suddetto catasto spagnolo si
apprende che nel 1558 il paese era formato da sole undici case, di cui erano
proprietari esponenti delle famiglie Lampugnani, Crivelli, Prandoni, Masetto e
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Beloni. L’elenco, però, redatto a scopo d’imposizione fiscale, non comprendeva
le pertinenze rustiche occupate da ‘massari e pisonanti’. I terreni ammontavano a
1600 pertiche (1 pertica = 654 mq) e appartenevano a 15 famiglie, di cui le citate
possedevano le quote maggiori. Si nota
l’assenza nel registro di mille pertiche
ereditate da Bianca Visconti (Visconta),
nobildonna imparentata con i Crivelli di
Uboldo e proprietaria della menzionata
‘casa della regina’, nonché vedova di
Ferdinando Lampugnani, già padrone del
Castello di San Giorgio e di vasti terreni
attigui. L’esclusione era dovuta al fatto
che una lotta tra gli eredi rendeva ancora
incompleta la successione. Non erano poi
comprese nella lista, in quanto esenti da
tasse, le proprietà della Chiesa.36 Gran
parte delle terre era tenuta a vigneti, il
resto era coltivato a cereali, gelsi, ortaggi
e frutta. Non è purtroppo riportato il
numero degli abitanti. Tuttavia, dai dati Stemma della Casata Crivelli
di un censimento a fini religiosi indetto
pochi anni dopo dall’arcivescovo Gaspare Visconti (compilato dal prevosto G. B.
Specio in una pergamena del 1594),37 si rileva che la popolazione di Legnano,
distribuita in 221 case, ammontava a circa 2500 unità, sicché, in proporzione, si
può desumere che nella Cassina di San Giorgio abitassero suppergiù un centinaio
di persone. Una piccola comunità, ma già indipendente. E tutte le comunità, nel
XVI secolo, erano amministrate da funzionari civili: sindaci, consoli, consiglieri,
esattori e primi estimati (cioè gli abitanti con il reddito più alto). Si riunivano in
un consiglio generale presieduto dal sindaco. Alcune comunità, come Legnano,
avevano più sindaci, mentre altre, come Rescaldina, ne erano prive.38 San Giorgio
aveva un solo sindaco, in genere appartenente ai primi estimati. Al suo fianco, i
consoli curavano l’ordine pubblico e il cancelliere aveva compiti simili a quelli di
un odierno segretario comunale e teneva in casa propria l'archivio comunale.
Questi funzionari venivano scelti da almeno due terzi dei capifamiglia e dei primi
estimati, convocati sulla pubblica piazza al suono della campana. Era il Sindaco a
tenere i rapporti con la Pieve e le autorità del Contado, a loro volta subordinate al
Governo ducale. Più in alto, le Novae Constitutiones promungate da Carlo V nel
1541 avevano confermato Milano come capitale del Ducato e regolato i compiti
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del Senato cittadino, organo che riuscì a ritagliarsi una certa autonomia rispetto ai
vasti poteri del Governatore spagnolo. Tornando alle vicende del nostro paese, la
seconda metà del Cinquecento vide nascere la Parrocchia di San Giorgio (prima
l’unica chiesa dipendeva dalla parrocchia di Canegrate) in virtù di un decreto
arcivescovile del 1570 di San Carlo Borromeo, il quale poi, grazie alle facoltà
concessegli dal Concilio di Trento, nel 1584 decise di sopprimere la Prepositurale
di Parabiago e di trasferire il ruolo di capopieve a Legnano, dove già nel 1529 era
stata edificata la Basilica di San Magno, che divenne quindi sede del Prevosto da
cui iniziò a dipendere anche la parrocchia di San Giorgio, stabilita negli stessi
nella nuova chiesa della Beata Vergine Assunta, di forme tardo-rinascimentali. Il
ruolo di riferimento dell’autorità ecclesiastica era allora assai importante e andò
aumentando nel corso del Seicento, specie nell’ambito dei difficili rapporti con i
Podestà spagnoli nominati a presiedere i consigli cittadini e ad amministrare la
giustizia. Sul fronte socioeconomico, la cesura del nuovo secolo fu senz’altro la
grande peste diffusasi nel 1630, che bloccò la ripresa dei primi decenni. A
differenza delle precedenti epidemie, il terribile contagio (ben descritto dal
Manzoni) si estese anche in campagna e decimò le popolazioni rurali. Secondo gli
studi di F. Bertolli e U. Colombo, i morti a
Busto Arsizio furono circa 1500 (su 3000
abitanti) e a Legnano circa 900 (su 2500)39,
sicché si suppone, in assenza di dati, che a
San Giorgio la percentuale di appestati
fosse analoga. Alla miseria lasciata dalla
peste, con case bruciate e campi deserti, si
aggiunse per i sopravvissuti un aumento
fiscale, deciso sia per coprire i passivi
dell’erario (il ducato ‘spagnolo’ aveva già
dichiarato bancarotta nel 1574) sia per
mantenere le truppe imperiali convenute
per una nuova guerra contro i Francesi,
che erano tornati a puntare su Milano dopo
aver distrutto Rosate e Binasco.40 Inoltre,
sempre al fine di batter cassa, il governo
bandì nuove aste per l’infeudazione delle
terre ancora libere da tale vincolo. È utile
qui precisare, però, che i feudi dell’epoca
Chiesa Parrocchiale tardo-rinascimentale
della Beata Vergine Assunta
spagnola erano assai diversi da quelli
(demolita nel 1974)
medievali, poiché il titolare, spesso non
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residente, non aveva alcun ruolo amministrativo e non ne traeva neppure benefici
economici, restandogli soltanto il diritto di nominare nelle comunità sottoposte i
podestà feudali, con funzioni affini a quelle dei consoli, nonché il prestigio del
titolo, indispensabile per accedere alla casta nobiliare. Eppure, essendo di fatto un
potere intermedio fra il territorio e il governo centrale, molti comunità, volendo
conservare una maggiore autonomia, preferivano non esservi soggette. A tal fine,
per diritto di prelazione, esse potevano riscattarsi, pagando all’erario una quota
corrispondente ai 2/3 della cifra massima offerta all’asta pubblica per il feudo.
Insomma, dagli uni o dagli altri, il governo incassava comunque. Per riscattarsi,
le comunità organizzavano collette basate sull’ampiezza dei beni immobiliari
(come a Legnano), ma se la disponibilità era insufficiente ricorrevano a prestiti.
Fu il caso di San Giorgio, che nell’anno 1648 si riscattò contraendo un debito di
3.000 lire con Francesco Castelli, ricco possidente di vasti terreni in zona e di
palazzi a Canegrate e Parabiago.41 Però poi, a causa di successive annate di magri
raccolti e disastrose tempeste, i sangiorgesi non riuscirono più a rifondere i soldi
prestati, sicché la comunità fu costretta ad accettare di essere infeudata proprio da
Camillo Castelli, figlio del defunto Francesco. L’infeudazione ebbe luogo il 10
novembre 1656 per lire 3.430.42 Grazie a tale acquisto, insieme ad altri due a
Parabiago e Casalpusterlengo, il Castelli ebbe il titolo di marchese e fu ammesso
nel patriziato milanese. San Giorgio rimase feudo dei Castelli sino al 1780, anno
in cui morì senza figli il cardinale Giuseppe Castelli, ultimo erede maschio della
famiglia. L’aggiornamento del catasto ‘spagnolo’ eseguito nel 1690 registrò molti
passaggi immobiliari, probabilmente perché i proprietari più deboli, a causa delle
alte tassazioni e del modesto reddito fondiario, avevano dovuto vendere le terre a
soggetti finanziariamente più forti. È infatti in quel periodo che arrivano a San
Giorgio facoltose famiglie milanesi di origine comasca, come i citati Castelli e i
marchesi Parravicini. Questi ultimi fecero i primi acquisti in paese nel 1643 dai
Beloni e dai Gay e nel settembre del 1648 comprarono la villa rustica centrale che
prenderà il loro nome, una dimora che in passato, come si è detto, apparteneva ai
Crivelli. Altri nobili comaschi che avevano già terreni in zona erano i Lucini,43
padroni dell’omonimo palazzo (che in seguito prese il nome del conte vercellese
Arborio Mella, sposo della nipote dell’ultimo erede Lucini) Il complesso, dotato
d’ampio parco, chiudeva il lato nord della piazza Grande (oggi piazza Mazzini),
dominata dalla Parrocchiale della Beata Vergine Assunta. A sinistra della facciata
si ergeva il campanile, mentre a destra era collocato l'Oratorio di San Luigi. Oggi
non è facile immaginare la piazza dell’epoca, poiché la chiesa Parrocchiale fu
sconsacrata nel 1936 e poi demolita nel 1974, in quanto pericolante, mentre il
palazzo Lucini-Arborio Mella, dopo aver ospitato il Municipio dal 1924 al 1929 e
16
successivamente la biblioteca comunale, fu diviso in parti e venduto a privati;
inoltre, tra il 1933 e il 1935, nel suo ampio parco fu edificata la nuova chiesa
Parrocchiale, anch'essa dedicata alla Beata Vergine Assunta. Difficile dunque
ricostruire come fosse San Giorgio nel Seicento, ma di certo la Piazza Grande era
il cuore del paese, luogo cardine di funzioni civili e religiose, nonché ritrovo degli
abitanti (come per altro è stato fino all’ultimo dopoguerra). Vi si svolgevano i riti
natalizi e le celebrazioni della Settimana Santa, da lì partivano le processioni
mariane di maggio e quelle per la benedizione delle vigne, che erano ancora il
perno dell’economia del paese. Dal suddetto aggiornamento catastale si apprende,
infatti, che più dell’80% dei terreni era coltivato a vite, mentre nel resto vi erano
gelsi, orti e colture aratorie, tranne dieci pertiche lasciate a brughiera. I maggiori
possidenti erano i sopracitati Castelli, Lampugnani, Parravicini, Lucini, Prandoni,
Beloni e Gay, ma anche Masetti, Oldrino, Mezenzana e Bizzozero (proprietari
questi ultimi di una casa centrale, ampliata in villa nel ′700), infine i Vismara (ed
è noto che poi Donato Vismara sposerà Caterina Parravicini). Dopo il processo di
infeudazione, la riscossione delle imposte fu affidata ai nuovi feudatari, che
divennero così una vera classe dominante, incline a spadroneggiare nella pigra
latitanza dello stato centrale, volto unicamente a riscuotere denaro e per nulla
interessato ad amministrare il territorio. La situazione cambiò quando, al termine
della guerra di successione spagnola, la pace di Utrecht (1713) sancì il passaggio
del Ducato milanese agli Asburgo d’Austria, che subito decisero di ridurre i
privilegi dei nobili lombardi. L’imperatore Carlo VI ordinò una pronta revisione
del catasto, intimando la denuncia dei beni a tutti gli abitanti (anche a coloro che
già fruivano di esenzioni fiscali) e inviò dei funzionari a verificare di persona la
congruità di ogni singola dichiarazione. Nell’ambito di tali accertamenti, il 20
novembre 1721 una squadra di rilevatori iniziava le misurazioni del territorio di
San Giorgio: in otto giorni fu
tracciata una mappa in scala
1:2000 con i confini precisi dei
terreni e degli edifici. I dati poi
aggiornati al 16 marzo 1730
contavano in loco 777 abitanti,
distribuiti in 60 cortili (curte),
tutti raggruppati intorno alla
Parrocchiale, mentre i terreni
sommavano a 3.133 pertiche
milanesi. Questo significa che
Mappa catastale del Comune di San Giorgio, 1825.
in rapporto a due secoli prima
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l’abitato era il doppio più esteso e più popolato.44 I proprietari di immobili erano
58, di cui gli 11 principali (compresa la Chiesa) possedevano il 92% del totale. I
nomi sono quasi gli stessi del precedente catasto spagnolo, ma spicca l’assenza
dei Lampugnani, poiché avevano già venduto ai Lucini. Nel primo ′700 il conte
Francesco Lucini era infatti il maggior possidente locale e la sua cospicua offerta
contribuì alla costruzione, nel medesimo luogo dove era stata appena abbattuta
l’antica chiesetta di San Giorgio, di una chiesa sussidiaria, allora detta soltanto
‘chiesa nuova’ (gësa nœva), poiché posteriore alla Parrocchiale. Questo nome
popolare durerà a lungo: la dedica al SS. Crocifisso data infatti al 1933, quando
fu costruita la nuova Parrocchiale. Fu consacrata nel 1703 da G. M. Corentano,
Prevosto di Legnano. La dedica a San Giorgio del precedente tempio trecentesco
restò comunque viva nel tempo, sia per la scritta sul timpano (D.O.M. Divoque
Georgi M., mantenuta anche nel rifacimento della facciata del 1812), sia perché si
suole interpretare il soldato ai piedi del Santo Crocifisso nel complesso ligneo
dell’altare (opera seicentesca proveniente dal soppresso convento Sant’Angelo
dei Frati Riformati di Legnano) come una scultura votiva dedicata al santo
martire. In aggiunta, oltre a una statua bronzea che lo raffigura eretto sulla cima
del campanile ottocentesco, nel restauro del 1961 fu murata la finestra centrale
della facciata e applicato un bel mosaico che lo effigia a cavallo nell’atto di
uccidere il drago, opera che fu affiancata da
due mosaici simili, ciascuno con un angelo,
collocati nelle edicole delle finestre cieche
separate da lesene. Ritornando al percorso
storico, si ricorda che dopo la breve parentesi
sabauda (1733-1736) e la fugace riconquista
spagnola di Filippo V di Borbone, il trattato
di pace di Aquisgrana del 1748 assegnò il
definitivo possesso della Lombardia agli
Asburgo d’Austria, inaugurando l’epoca
dell’imperatrice consorte Maria Teresa. Le
sue ampie riforme ridisegnarono le funzioni
amministrative: i Consigli generali furono
rimpiazzati da un Convocato generale, che
era formato da tutti i proprietari di immobili.
Furono conservate le cariche di sindaco,
consoli ed esattore, ma ora controllate da
revisori contabili di nomina imperiale. Nel
Convocato generale vi era un gruppo scelto Chiesa del SS. Crocifisso
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di cinque deputati che eleggeva direttamente il sindaco. Fra i provvedimenti di
Maria Teresa vi fu anche la vendita di terreni demaniali per ripianare i debiti dei
Comuni, però lo Stato, in cambio, s’impegnò a riacquistare tutte le terre assegnate
precedentemente in regalia e la generosità di tali rimborsi ebbe l’effetto di
liberare capitali che furono reimpiegati in agricoltura, innescando così la ripresa
economica. Sicuramente anche San Giorgio risentì di questa fase positiva, dato
che proprio negli stessi anni furono ristrutturati molti edifici, fra cui il palazzo
Lucini, impreziosito nel salone principale dagli affreschi di Biagio Bellotti (17141789), e fu rimaneggiata la facciata della chiesa Parrocchiale nello stile del nuovo
secolo. Il coevo incremento demografico creò ovviamente esigenze di migliorie
urbanistiche: nel 1789 si riparò la Piazza grande e la sua ‘piscina’ (vasca e
fontanile, collocati in centro) e vi fu pure necessità di un camposanto, che venne
realizzato nel 1787 accanto alla chiesa nuova acquistando il terreno dai marchesi
Parravicini. L’opera fu anche motivata dalle nuove norme cimiteriali introdotte da
Giuseppe II, figlio e successore di Maria Teresa, il quale, con una personalissima
visione di governo illuminato, estese l’idea di sovranità assoluta alla vita
religiosa, intromettendosi pesantemente negli affari ecclesiastici. Nel 1785
decretò, tra l’altro, la chiusura di molti ordini di preghiera, da lui bollati come
‘enti inutili’. Fra questi le Clarisse, il cui monastero legnanese, prima di essere
venduto all’asta, fu adibito per tre anni a pellagrosario. La diffusione in zona
della pellagra ci rivela quanto la vita dei contadini fosse ancora assai povera, con
una dieta basata quasi esclusivamente su polenta di mais (formentone), causa
della malattia dovuta a carenza di vitamine del gruppo B. Ormai le contraddizioni
dell’ancien régime stavano già esplodendo oltralpe nella Rivoluzione Francese e
Francesco II, nipote di Giuseppe II, cercò prontamente di organizzarsi per poter
arginare l’ondata della sua influenza. Nel 1792 un messaggio del suo portavoce,
conte Litta, chiedeva a tutti gli uomini validi di formare bande paramilitari per
contrastare un’eventuale invasione francese.45 Il pericolo era quanto mai reale: nel
1796 l’esercito di Bonaparte batteva a Lodi gli austriaci e tre mesi dopo, agli
ordini del generale Massena, le truppe francesi entravano a Milano e destituivano
il governo asburgico proclamando la Repubblica (detta Cisalpina). Molti milanesi
in festa eressero in piazza del Duomo l’Albero della Libertà, ma gli entusiasmi si
spensero presto, quando i nuovi tributi imposti dal Massena e i saccheggi di case
e chiese scatenarono rivolte, specie nelle campagne, dove i soldati di Bonaparte
non esitarono a usare modi brutali, incendiando e massacrando. Esose tassazioni
agricole e l’obbligo, in molti casi, di consegnare il bestiame alle autorità resero
chiaro alle genti rurali, dunque anche alla maggioranza dei cittadini sangiorgesi,
che il corso della Storia stava volgendo in una direzione diversa da quella sperata.
19
Età contemporanea – l’Ottocento
Le parvenze repubblicane crollarono nel 1805, quando Bonaparte, già incoronato
Imperatore dei Francesi, si proclamò re d'Italia nel duomo di Milano ponendosi
sul capo la Corona Ferrea. Da allora tutte le pubbliche amministrazioni della
penisola dovettero giurargli fedeltà. La sua riorganizzazione territoriale stabilì
l'accorpamento di tutte le entità minori e quindi, dal 4 novembre 1809, il Comune
di San Giorgio fu soppresso e inglobato nell’attiguo Comune di Canegrate, del
quale fece parte fino al 7 novembre 1811. Sul modello francese, l'ex-Ducato fu
diviso in Dipartimenti. Nel 1805 nel Dipartimento dell'Olona vi erano 4 distretti:
Milano, Pavia, Monza e Gallarate. Quest'ultimo si estendeva nell’area tra Rho,
Albizzate, Sesto Calende e Cuggiono. I centri maggiori erano Gallarate, Busto
Arsizio, Saronno e Legnano, fra cui le attività produttive si stavano organizzando
in una rete di scambi, nonostante gli arruolamenti di leva napoleonici sottraessero
al lavoro molti giovani. Sopperivano le donne, impegnate nell’allevamento del
bestiame, nelle vigne e nella filatura della seta. Il contemporaneo incremento
delle opere pubbliche (darsene, ospedali,
caserme, archi, monumenti) modificava
intanto l’urbanistica milanese, secondo
un nuovo piano centrato su Foro Bonaparte.46 L’opulenta Milano che affascinò
Stendhal trascorreva serate alla Scala e
giocava alla roulette, ma nelle periferie
le condizioni restavano precarie e l’eco
di tali fervori edilizi arrivò attenuata.
Nel 1812 a San Giorgio fu restaurata la
facciata della chiesa nuova e, all’esterAttrezzature rustiche per la bachicoltura
no,
fu aggiunto un mortorio, cappelletta
(conc. Museo Etnografico di Oleggio
oratoria in cui venivano esposte le ossa
dei defunti, affinché i fedeli, passando, si ricordassero di pregare per loro. Questo
ossario fu poi demolito nel 1881 per dare spazio al monumento per la salma del
parroco Giacomo Gerli, costruzione a sua volta abbattuta nel 1910, dopo il
trasferimento dei resti dell’amato prete in una cappella dell’attiguo camposanto
(ora non più esistente, sostituito dal nuovo cimitero inaugurato nell’anno 1928).
La disfatta nella campagna di Russia segnò l’inizio del declino di Napoleone e,
subito dopo la sua abdicazione, finì anche il Regno d’Italia, da lui affidato al
vicerè Eugenio di Beauharnais, figlio di prime nozze di sua moglie Giuseppina. Il
30 aprile 1814 la divisione austriaca del generale von Neipperg entrava quindi a
20
Milano e il 12 maggio dello stesso anno il maresciallo Bellegarde riprendeva
possesso della Lombardia in nome di Francesco I d’Austria. Ma l’intento della
Restaurazione di ripristinare le vecchie strutture di potere si scontrò da subito con
i fermenti cospiratori di gran parte della borghesia, decisa a rivendicare quanto
meno una forma costituzionale dell’istituzione monarchica. E alle segrete vendite
carbonare si unirono anche aristocratici progressisti, come il conte milanese
Federico Confalonieri, partecipe attivo dei moti insurrezionali del 1820-2147. Tali
tensioni, tuttavia, non impedirono all’economia di registrare una fase positiva,
accompagnata da crescita demografica. In particolare, la manifattura lombarda,
che già comprendeva lavorazioni di seta e cotone, vide sorgere le prime tessiture
dotate di telai meccanici Jacquard,48 vero cardine tecnico della prima rivoluzione
industriale, macchinari complessi che richiedevano manutenzione e riparazioni,
di qui il fiorire in parallelo di officine meccaniche. Già nel secondo decennio
dell’Ottocento il tedesco Krumm e lo svizzero Martin avevano fondato a Legnano
un’industria meccanica legata alla tessitura e nel 1830 fu inaugurato il Cotonificio
Cantoni, i cui telai automatici erano azionati da mulini che giravano nelle acque
dell’Olona. Tale evolversi dei mezzi di produzione e l’incremento dei commerci
resero ancor più anacronistici i vecchi privilegi politici restaurati dal Congresso di
Vienna, mentre la diffusione di riviste e libelli favoriva la circolazione di ideali
nazionalistici e di giustizia sociale. Così, quando l’inattesa recessione del 18461847 inasprì il fermento del popolo, la rivolta scoppiò nei moti della primavera
del 1848, che a Milano toccarono l’apice con gli scontri delle Cinque Giornate,
terminati con la cacciata dalla città dei soldati del maresciallo Radetsky. Insorsero
anche uomini di Legnano e dei paesi vicini, formando bande con armi di fortuna.
L’immediato referendum per l’annessione della Lombardia al Regno Sabaudo
(dove già vigeva lo Statuto Albertino) registrò, tuttavia, 120.000 voti in più per i
contrari. Nonostante questo, Carlo Alberto ne approfittò comunque per accogliere
i volontari lombardi e attaccare gli austriaci, subendo le prime sconfitte a Custoza
e Novara. La repressione di Radetsky spinse allora molti liberali ad arruolarsi nei
Cacciatori delle Alpi di Garibaldi, mentre altri patrioti fuggivano oltre il Ticino
(che all’epoca era confine di stato). Le acque si calmarono con la rimozione del
cancelliere Metternich attuata dal giovane imperatore Francesco Giuseppe, che
concesse la Costituzione nel 1849 e assegnò il Lombardo-Veneto a suo fratello
Massimiliano, il cui impulso alle opere pubbliche accelerò soprattutto i lavori
ferroviari. La costruzione della linea a vapore tra Milano e Gallarate iniziò infatti
nel 1858.49 Un ampliamento della carrozzabile verso Legnano avrebbe permesso
ai sangiorgesi un più facile accesso alla fruizione del treno, ma la strada tra San
Giorgio e la stazione legnanese venne realizzata soltanto nel 1907.50 Un articolo
21
apparso sulla Gazzetta di Milano del 28 febbraio 1857 lodava i progressi del
telegrafo e delle ferrovie e applaudiva il decreto sul libero movimento di merci e
persone entro i confini dell’Impero, “mallevadore di tempi tranquilli e prosperi”;
facile indovinare la prosperità, negli anni pioneristici delle industrie, ma sulla
tranquillità fu pessimo profeta: nel 1859 il primo ministro Cavour, in accordo
segreto con Napoleone III, respingeva l’ultimatum austriaco e iniziava la seconda
guerra d’indipendenza, culminata con la sanguinosa battaglia di Magenta, vinta
dai Franco-Piermontesi comandati dal gen. Mac Mahon51. Le successive battaglie
di Solferino e San Martino liberarono infine la Lombardia dal dominio austriaco,
annettendola nel regno di Vittorio Emanuele II. Non sappiamo quanti sangiorgesi
abbiano partecipato a tali scontri, ma certamente in quegli anni il nobile patriota
Giuseppe Parravicini, temendo una perquisizione della polizia austriaca, nascose
in un pozzo della sua villa una spada,
una baionetta e un fucile datato 1841,
armi trovate poi dai discendenti.52 In
conseguenza dell’annessione al Regno
di Sardegna, il Comune di San Giorgio
fu inserito nel circondario di Gallarate,
mandamento di Saronno. Nel 1859 un
decreto del ministro Rattazzi aveva
infatti ridisegnato la geografia amministrativa statale in una struttura che
Cortile della villa Parravicini
sarebbe rimasta in vigore anche dopo
la proclamazione del Regno d'Italia (1861) e fino al 1923, quando furono aboliti
mandamenti e circondari. In virtù dello stesso decreto, il Comune sangiorgese fu
amministrato da un Consiglio di 15 membri e da una Giunta di due persone. Tre
anni dopo, il Regio decreto 941/1862 cambiava nome all’abitato per distinguerlo
dagli omonimi: da San Giorgio si passò così all'attuale San Giorgio su Legnano.
Infine, dal 1865, con la nuova legge sull'ordinamento comunale, anche la nostra
comunità, come tutte le altre, fu amministrata da un Sindaco, una Giunta e un
Consiglio Comunale. Secondo il primo censimento dello Stato unitario (1861) i
residenti sangiorgesi erano 1.349. La mappa catastale di tre anni prima li vedeva
distribuiti in maggioranza in abitazioni a due piani articolate intorno a una corte,
oppure in case che occupavano solo una parte del cortile, in tal caso detto ‘corte
unita’. Edifici in sassi e cotto, tetto in tegole, ai quali si accedeva da un portone
ad arco; talvolta per accedere a una corte si doveva passare per un’altra. I nomi
spesso indicano i proprietari, ma a volte le mere qualifiche (Corte del prete, Corte
dell’osteria vecchia, Corte del pastore ecc.) e in taluni casi citano unicamente la
22
funzione (Casa colonica, Casa parrocchiale). Sulla mappa, il palazzo ArborioMella e la villa Parravicini (dette case di villeggiatura) spiccano per la vastità dei
parchi, che occupavano un quarto dell’area comunale. Sul fronte economico, va
notato che dopo metà ‘800 avvenne a San Giorgio una mutazione progressiva del
sistema produttivo, fino ad allora basato quasi esclusivamente sull’agricoltura,
con la comparsa delle prime attività protoindustriali. Del 1865 è infatti il nucleo
originario della Tessitura Giovanni Restelli, primo stabilimento tessile avviato nel
paese (è l’azienda che nel 1942 si fuse con la Tessitura Nosatese rinominandosi
Tessitura di Nosate e San Giorgio).53. Essa fu poi imitata, secondo un documento
del 1872, da altri due stabilimenti di lavorazione della seta, che insieme davano
lavoro a circa 200 persone., in maggioranza donne.54 Di queste ultime aziende,
però, non c’è più traccia in un registro del 1891, che cita soltanto una filiale della
filanda Kramer & C. di Legnano e una modesta ditta produttrice di acquavite.
Non erano vere e proprie industrie, ma appendici manifatturiere della coltivazione
della vite e, soprattutto, del gelso, coltura che rappresentò l’ancora di salvezza per
l’economia agricola, messa in crisi da una serie di fattori concomitanti. In campo
cerealicolo, il cambio dei rapporti tra contadini e proprietari, che passarono dalla
mezzadria al contratto“misto a grano" (per il quale il contadino doveva fornire al
padrone quantità fisse di grano indipendentemente dall'entità del raccolto), ebbe
l’effetto di aumentare il rischio intrinseco dell’attività agraria, rendendola spesso
insufficiente al sostentamento famigliare, specialmente negli anni in cui calavano
i profitti per il ribasso dei prezzi causato dalle importazioni di grano russo e
americano a basso costo. Per la viticoltura, invece, i fattori deprimenti furono
calamità naturali: nel 1851 un’epidemia di crittogama ridusse di 2/3 la quantità di
vino prodotta e tra il 1879 e il 1890 si diffuse la peronospora (fungo che secca il
grappolo) seguita poi da un’invasione di Philloxera (afide fitofago). A causa di
tali malattie le vigne di San Giorgio scomparvero quasi del tutto. Per fortuna
rimasero i gelsi per l’allevamento dei bachi da seta destinati alle filande (nel 1911
l'80 % delle terre risultava difatti occupato da gelsicolture e nello stesso anno un
censimento degli opifici registrava la presenza di ben 6 imprese di filatura in cui
lavoravano 634 persone).55 Furono proprio queste prime filande a segnare il
passaggio dall’economia agricola a quella propriamente industriale che si
svilupperà nel XX secolo. Va comunque detto che dal 1850 anche la gelsicoltura
fu soggetta a una letale epidemia: la pebrina (nosema bombycis), che per vari
anni annientò la produzione sericola in quasi tutta Europa. La soluzione fu trovata
in un seme giapponese resistente alla malattia, che tuttavia rendeva meno e
costava di più, sicché solo chi possedeva macchinari di trattura a vapore riusciva
a realizzare un sufficiente profitto, il che destinò all’estinzione tutte le ‘filandine’
23
artigianali. Dato rilevante del settore, come si è visto, era la prevalente presenza
femminile: dei 142 addetti della filatura Kramer, che a San Giorgio a fine secolo
utilizzava 88 bacinelle a vapore, 128 erano donne (di cui un terzo inferiori ai 15
anni)56 Quindi, per gli uomini che abbandonavano i campi nella grave depressione
agricola dell’ultimo Ottocento restavano poche possibilità: trovare lavoro nei
cantieri edili o ferroviari o nelle industrie pesanti, oppure emigrare in America.
Se furono relativamente pochi gli emigranti sangiorgesi si deve al fatto che buona
parte dei lavoratori agricoli fu assorbita dalle ditte metalmeccaniche che proprio
in quegli anni sorgevano nella vicina Legnano; prima fra tutte la Franco Tosi,
nata nel 1882 da un sodalizio tra l'ingegner Franco Tosi ed Eugenio Cantoni,
titolare dell'omonimo cotonificio. Dalla Tosi derivarono poi nuove fabbriche
aperte da ex dipendenti, come la fonderia-officina Andrea Pensotti, che iniziò
l’attività nei primi anni del ′900, mentre altri stabilimenti operavano nell’indotto
della Cantoni, come, dal 1894, la Tessitura Carlo Dell’Acqua e, dal 1898, il
cotonificio-tintoria Antonio Bernocchi.57 Anche a San Giorgio sorsero fabbriche
che agivano su commesse della Cantoni, come la citata Tessitura Restelli, dotata
all’epoca di ben 424 telai, di cui 48 automatici, ai quali lavoravano 190 donne e
35 uomini. In seguito nacque la ditta Orsi (cui subentrò nel 1913 la Tessitura
Solbiati), fornita nel 1907 di 100 telai, ma che già l’anno dopo ne contava 330.
Un rapido sviluppo tessile che anche nel nostro paese creò l’indotto di addetti alle
riparazioni, per lo più fabbri e piccole officine, ma anche una fonderia di medie
dimensioni: la storica ditta Carlo Colombo, sorta nel 1908 (e ancora attiva), che
produceva pezzi fusi per aziende tessili e officine meccaniche. A fronte di tali
novità industriali, non va però dimenticato che a cavallo tra ′800 e ′900 una
certa percentuale di sangiorgesi restava
ancora legata alle tradizioni agricole,
soprattutto i meno giovani, che cercavano di trarre dai campi quel poco che
bastava per una mera sopravvivenza. In
giornate molto faticose, sudate a forza
di braccia e aiutati da mezzi a trazione
animale (soltanto per la trebbiatura si
L’ex tessitura Solbiati
affittavano locomobili a vapore), gli
agricoltori conducevano una vita grama, lesinando su tutto pur di riuscire a tirare
avanti negli stretti margini dei contratti sfavorevoli. E dopo il varo della tassa sul
macinato i fermenti nelle campagne si acuirono al punto da sfociare in sommosse,
come la rivolta di Arluno del 1889, durante la quale la devastazione delle case
24
padronali provocò l’intervento dell’esercito, conclusosi con morti e feriti. La
responsabilità fu addossata alla propaganda dei militanti socialisti, ma intanto si
avviarono trattative che, seppur tra varie difficoltà, recarono qualche miglioria
alle condizioni dei contadini. Non era meno dura la situazione nelle fabbriche,
dove gli operai e le filandiere lavoravano in ambienti malsani, con orari pesanti e
salari al limite della sussistenza. Basti qui citare un accordo siglato dopo uno
sciopero di cinque giorni, controfirmato il 7 luglio 1880 dal sindaco di Legnano
Flaminio Dell’Acqua, in base al quale si riduceva l’orario giornaliero di lavoro
nelle filande locali a sole dodici ore.58 Dodici ore filate ai telai per donne che poi
a casa, come era consuetudine, svolgevano anche i lavori domestici! Pochi anni
più tardi, insieme alle proteste operaie organizzate dalle prime leghe sindacali, si
inasprirono le lotte politiche alimentate da socialisti e radicali che si opponevano
a liberali e conservatori per ottenere riforme sociali. Dopo i governi del liberale
Giolitti, parzialmente riformista, il gabinetto Crispi segnò, all’opposto, una svolta
autoritaria e la stessa linea proseguì con Rudinì, che subito ordinò lo scioglimento
delle Camere del Lavoro e di tutti i circoli socialisti e cattolici, decretando perfino
l’uso delle armi contro gli scioperanti. Il fatto più grave avvenne a Milano nel
1898, quando il generale Bava Beccaris dette l’ordine di mitragliare i popolani in
sommossa causando la morte di 80 persone (secondo i dati ufficiali, ma si stima
furono più di 200). Anche a Legnano una manifestazione operaia venne dispersa
dalle cariche dei carabinieri, si eseguirono perquisizioni e furono arrestati diversi
esponenti del partito socialista. L’Ottocento si chiuse dunque in un’atmosfera di
tensione, aggravata da una pesante recessione economica, nella quale la nuova
linea della Chiesa (assai influente sulla maggioranza cattolica dei sangiorgesi)
auspicava una mediazione pubblica tra gli interessi del capitale e i diritti del
lavoro, come recita un passo della nota enciclica Rerum Novarum di Leone XIII
del 1891:“le misere plebi, che mancano di sostegno proprio, hanno speciale
necessità di trovarlo nel patrocinio dello Stato”.59 A San Giorgio il segno di
questa rinnovata fiducia nelle istituzioni cattoliche fu il successo di una raccolta
fondi che in parte finanziò la costruzione del campanile della chiesa nuova (poi
consacrata al SS. Crocifisso), iniziata nel 1888 su disegni dell’architetto Arborio
Mella. Opera che fu inaugurata nel 1894.60 Ma questo non era l’unico importante
cantiere presente allora nel quartiere: già nel 1887 una delibera del Consiglio
Comunale aveva permesso al sindaco Ernesto Prandoni di acquistare dalla nobile
famiglia Visconti di Modrone una vasta area edificabile, situata a metà di via
Gerli, allo scopo di costruire un nuovo palazzo pubblico destinato ad ospitare le
scuole elementari e gli uffici comunali, edificio che fu ultimato nel 1892.
25
Dall’inizio del XX secolo alla fine della II Guerra Mondiale
Il principio del nuovo secolo, aperto con l’assassinio di re Umberto I per mano
anarchica, vide l’industria nostrana proseguire la rincorsa ai paesi più avanzati.
Nel primo decennio l’evoluzione tessile e meccanica dell’area legnanese attirò
una forte immigrazione di manodopera proveniente dalle campagne lombarde e
dalle regioni vicine. Secondo un censimento industriale del 1911, nell'intera zona
operavano, tra piccole e grandi, più di 200 aziende, nelle quali lavoravano circa
11.000 addetti. Tutte le fabbriche impiegavano la forza motrice del vapore e
alcune sfruttavano anche i recenti motori elettrici, di cui si contava una cifra
intorno a 500.61 L’elettrificazione era infatti la novità dell’epoca, visibile pure nel
cambio dei vecchi lampioni a gas con lampade a incandescenza, come avvenne a
San Giorgio nel 1903. Negli stessi anni l’ingegneria edile scopriva nuove formule
per l’uso del cemento armato, adatto sia a costruire capannoni industriali sia ad
erigere palazzi multipiano per offrire alloggi a impiegati e operai. Una nota del
Chronicon (annuario della Parrocchia di San Giorgio) ci informa che dal 1894
“furono aggiunte molte case […] sì da formare parecchie vie e quasi raddoppiare
l’area del paese”. Il forte aumento demografico dovuto allo sviluppo industriale
(San Giorgio passò dai 1.520 abitanti del 1881 ai 2.933 del 1911)62 generò
naturalmente nuove esigenze di servizi, come scuole, asili, presidi sanitari e
luoghi ricreativi, realizzati spesso con l’ausilio degli imprenditori che, in veste di
benefattori, ottenevano prestigio sociale e consenso politico. Non a caso i primi
sindaci novecenteschi di San Giorgio furono il citato Giovanni Restelli (19011910) e Guido Orsi (1910-1913), proprietari delle omonime e maggiori aziende
tessili. Dobbiamo ricordare, però, che all’epoca le elezioni si svolgevano ancora a
suffragio censitario ristretto, poiché il suffragio universale maschile fu introdotto
in Italia soltanto nel turno elettorale del 1913. Elezioni vinte da Giolitti, che con
l’impresa militare di Libia aveva appena ottenuto un chiaro successo in politica
estera, ma che si trovò a governare sostenuto da una maggioranza eterogenea (dai
socialisti alla destra liberale) e non riuscì a proseguire la sua strategia di riforme
graduali. In questo clima di stallo si arrivò all’estate 1914, quando a Sarajevo
l’attentato omicida all’erede al trono di Vienna scatenò una guerra tra l’Impero
austriaco e la Serbia, conflitto che, per l’intreccio delle alleanze e l’esplodere di
vecchi irredentismi nazionalistici, nonché per le tendenze espansionistiche delle
maggiori potenze, si trasformò ben presto nell’enorme carneficina della Prima
Guerra Mondiale, che causò 9 milioni di morti fra i soldati e più di 4 milioni di
vittime civili. Dopo un anno di accesi contrasti tra neutralisti e interventisti, nel
1915 il Regno d’Italia cambiò le alleanze ed entrò in guerra contro gli Imperi
Centrali, mirando alla conquista di Trento e Trieste. Superata la prima fase, in cui
26
le difficoltà dei rifornimenti e la forte riduzione dei commerci spiazzarono la
produzione industriale, nel perdurare della guerra furono le commesse militari a
far crescere a due cifre i fatturati delle aziende impegnate nell’equipaggiamento
dell’esercito. Nel distretto industriale dell’Alto Milanese (a cui apparteneva San
Giorgio) questo sostegno allo sforzo bellico coinvolse molte fabbriche, tra cui la
legnanese Franco Tosi, che attrezzò un intero reparto alla produzione di affusti
per l’artiglieria. Anche i civili furono toccati dalle leggi di guerra, su vari fronti:
gli agricoltori dovettero rispettare i calmieri e gli obblighi di produzione, mentre i
lavoratori delle industrie pesanti furono assoggettati a una ferrea disciplina, con
sospensione delle conquiste sindacali, orari e cottimo in funzione dell’emergenza
e regolamenti di tipo militare, che prevedevano l’invio al fronte per i trasgressori
maschi e licenziamenti in tronco per donne e ragazzi.63 La targa memoriale affissa
in cimitero e il Monumento ai Caduti in piazza IV novembre (opera di Gino
Maggioni) ci informano che i morti sangiorgesi nella Grande Guerra furono 35, il
che fa supporre un numero almeno triplo di feriti. Non pochi per una piccola
comunità come San Giorgio. Fra i caduti si ricorda, uno per tutti, la medaglia
d’argento avv. Carlo Floriani, che partì volontario e morì in una dolina carsica
durante un eroico assalto contro gli austriaci. Al ritorno dal fronte, nel 1918, i
reduci trovarono un’Italia in subbuglio, tra inflazione e nuovi scioperi, dopo
quelli indetti nel periodo bellico a causa dei bassi salari e della carenza di generi
di prima necessità. Le difficoltà per le famiglie perdurarono anche nel primo
dopoguerra, cosicché, per alleviarle, sorse anche a San Giorgio una Cooperativa
di consumo, della quale si sa che imbottigliava vino e produceva in proprio alcuni
alimenti, vendendoli a prezzi inferiori ai correnti. Il movimento cooperativo non
faceva capo solo all’area socialista, essendovi anche spacci comunitari gestiti da
società cattoliche. La rivalità tra ‘rossi’ e ‘bianchi’ si riproponeva anche nelle
rappresentanze sindacali: nel 1918 la
C.I.L. (Confederazione Italiana dei
Lavoratori), d’ispirazione cristiana, si
pose difatti in netto antagonismo ai
sindacati socialisti. Alla C.I.L. erano
iscritti molti lavoratori sangiorgesi,
gran parte dei quali seguiva le attività
della parrocchia. Fra queste animose
rivalità politiche e il diffondersi nel
mese di ottobre 1918 della virulenta
influenza Spagnola (che stroncò nel La tessitura Restelli negli anni ‘20
mondo decine di milioni di persone –
27
a San Giorgio 80 decessi!), i soldati vittoriosi non ebbero il giusto riconoscimento
di tanti anni di stenti e pericoli, anche se nell’area milanese, a differenza di ciò
che accadde in altre regioni italiane, trovarono almeno dei posti di lavoro in un
tessuto industriale in continua espansione. Proprio nel 1919 nacquero a San
Giorgio il Salumificio Reina e la Fonderia Sangiorgese. Nonostante la crisi
economica, acuita dal venir meno delle commesse militari, resistevano infatti
imprenditori animati da spirito concorrenziale che attiravano investimenti di
istituti bancari e ciò condusse, su scala nazionale, allo sviluppo di grossi gruppi
industriali e, nell’area lombarda, alla parallela diffusione di molte aziende minori,
sviluppando un giro d’affari che finanziò associazioni attorno alle quali andò
aggregandosi una fascia della piccola-media borghesia disorientata dall’instabilità
politica e dalla precarietà economica, nonché dall’inasprirsi del conflitto di classe
in un periodo di drastica riduzione dei salari (nel 1920 arrivò al 20%).64 Durante
le agitazioni del cosiddetto biennio rosso (1919-1920), culminate a Milano con
l’occupazione di alcune fabbriche da parte di operai inneggianti alla rivoluzione
bolscevica (sull’esempio russo del 1917),65 in un salone milanese dell’Alleanza
Industriale, il 23 marzo 1919, Benito Mussolini, capo dell’ala nazionalista della
compagine socialista, dava lettura del programma dei Fasci di combattimento,66 i
cui assunti di stampo anticlericale, anticapitalista e antibolscevico sfruttavano con
demagogia patriottarda la delusione dei reduci e la rabbia dei giovani messi in
difficoltà dalla crisi del dopoguerra. Dopo il deludente risultato nelle elezioni del
1919 e un cambio di prospettiva, il partito fascista riuscì a coinvolgere varie forze
sociali ed economiche per organizzare nell’ottobre del 1922 la Marcia su Roma,
manifestazione insurrezionale contro la quale il re Vittorio Emanuele III non osò
contrapporre l’esercito e che, anzi, finì per avallare, suggerendo le dimissioni al
premier Facta e incaricando Mussolini di formare il nuovo governo. Sebbene don
Luigi Sturzo, cofondatore nel 1919 del Partito Popolare, proponesse in funzione
antifascista l’accordo con i socialisti (già divisi dai comunisti dopo il congresso di
Livorno del 1921), i deputati popolari accettarono di partecipare con i liberali al
governo Mussolini, garantendo così la maggioranza. Ma tale veste democratica
divenne presto ininfluente, poiché il futuro duce iniziò celermente un processo di
totale fascistizzazione dello Stato, instaurando in pochi anni una vera dittatura.
Regime totalitario ufficialmente suggellato, a scanso equivoci, con l’assunzione
di responsabilità di Mussolini per l’omicidio del deputato socialista Giacomo
Matteotti, ucciso a Roma da tre squadristi nel giugno 1924. Ricordare tali eventi
nazionali non intende varcare i limiti di questa storia locale, ma inquadrare il
clima politico in cui anche i sangiorgesi si trovarono a vivere e lavorare in quel
periodo, invasi dalla propaganda di regime, timorosi di ostracismi e delazioni,
uniformati dall’obbedienza coatta ad amministratori non eletti democraticamente:
28
la legge 237 del 4 febbraio 1926 stabilì, infatti, che i Comuni inferiori a 5.000
abitanti (come all’epoca San Giorgio) fossero governati da un Podestà unico,
nominato con Regio decreto e dotato di poteri decisionali; lo affiancava una
Consulta Municipale di sei membri di nomina prefettizia, che aveva funzioni
meramente consultive. In pratica, l’unico autorizzato a deliberare era il Podestà,
una sorta di mini-duce locale che era in realtà uno zelante esecutore delle direttive
del Partito Nazionale Fascista, che poteva ‘dimissionarlo’ in qualsiasi momento.
Il primo Podestà di San Giorgio fu il medico Virgilio Maggioni, in carica fino al
1936, quando il ruolo passò all’ing. Ettore Malinverni, che lo tenne sino al 1940,
anno in cui il Comune, per ordine
prefettizio, venne commissariato. Fu
dunque Maggioni (già azionista, come
Malinverni, della nota Società Anonima
Elettrica San Giorgio su Legnano) che
partecipò nel 1926 all’inaugurazione
della Fonderia Castoldi & C., nuova
azienda fondiaria che segnò in paese
l’incremento del settore metallurgico.
Sul fronte urbanistico, negli anni Venti
fu completata la rete di condutture per
l’acqua potabile e fu ultimata la rete
elettrica, nonché inaugurato il nuovo
cimitero (1928) e costruite diverse unità
residenziali intorno al nucleo storico.
Ampliamenti edilizi che non devono
però farci travisare l’immagine di San
Giorgio in quegli anni: continuava a
tenersi il mercato del bestiame in una
‘curta’ di via Diaz, crescevano i gelsi
Fiera Autunnale – Mercato del bestiame in
nei terreni Restelli e il paese era ancora
una ‘curta’
immerso nel verde delle groane: basti
ricordare che la strada per Canegrate (allora sterrata), lungo la cinta del cimitero
vecchio (oggi via Milano), era ombreggiata da arbusti così fitti da evocare paure
fra i ragazzi, i quali, per sfida, la percorrevano di sera a gran corsa fino alla
Madonnina della Cascina Bianchi, a quel tempo rischiarata solo da un lumino
perché i lampioni si fermavano più indietro (oggi invece la zona è pressoché
centrale). All’epoca gli svaghi dei giovani erano semplici: partite di calcio sul
campo dell’Oratorio, corse campestri e giri in bicicletta, anche se già esisteva
29
un’associazione per i più appassionati: l’Unione Sportiva Sangiorgese, nata nel
1908 come Velo Club San Giorgio (cicloamatori) e divenuta nel 1921-1922
Società Polisportiva con regolare statuto (è tuttora attiva, riconosciuta dal CONI e
organizza, tra l’altro, il noto Campaccio, cross podistico annuale che dal 1963
costituisce un evento internazionale a cui partecipano atleti da tutto il mondo)67.
Nel 1929 fu costruito nella contrada nova (oggi piazza IV Novembre) un edificio
atto a ospitare le nuove scuole elementari, progettato dall’architetto sangiorgese
Gino Maggioni nello stile razionalista che caratterizzava l’edilizia littoria. Ciò
permise agli uffici comunali, allora posti provvisoriamente nel palazzo Arborio
Mella, di riallocarsi nella sede originaria di via Gerli, da dove si erano trasferiti
nel 1924 per aumentare le aule scolastiche coesistenti nello stesso edificio. Nello
stesso anno, a Roma, veniva siglata la conciliazione tra Stato e Chiesa con i Patti
Lateranensi, ma la tensione tra cattolici e fascisti perdurò latente, fino a scoppiare
nel maggio 1931, quando gruppi di attivisti in camicia nera devastarono i circoli
della FUCI e dell’Azione Cattolica (che era l’unica associazione non controllata
dal regime), sequestrando bollettini e bruciando documenti giudicati sovversivi.
In tale aspro contesto, un appunto del Chronicon della parrocchia di San Giorgio
annota: “La sorda guerra che da tempo si va facendo all’Azione Cattolica è
culminata oggi nello scioglimento della GC (gioventù cattolica) e della GFC
(gioventù femminile cattolica) per ordine prefettizio”68. Un’altra nota dello stesso
anno, più ottimista, riguarda il progetto per una nuova chiesa parrocchiale da
costruire in tempi di recessione economica (è infatti recente il crollo di Wall
Street del 1929, ribadito nel 1931 da un nuovo minimo):“Si stende l’istrumento di
compera del terreno per la nuova Chiesa. La crisi mondiale si allarga e si
aggrava, la miseria si fa avanti […]. Certo dar mano oggi ad opere costose è
un’utopia...”69. Eppure utopia non fu, perché, grazie a generose donazioni, l’opera
fu realizzata in breve tempo: nell’aprile del 1933 l’arcivescovo di Milano poneva
la prima pietra della chiesa, che venne ultimata appena due anni dopo, quando
un’altra pagina del Chronicon registrava: “1935 - Aprile, 24. Alle 3 hanno inizio
le cerimonie della consacrazione. La Chiesa esternamente è illuminata da potenti
fari. Una gran folla di popolo assiste alla cerimonia (gli stabilimenti del paese
hanno sospeso il lavoro)”. E sul diario del parroco mons. Pietro Ermolli si legge:
“23 aprile 1935, alle 18:30 arriva il cardinale Schuster, che porta il cofanetto
contenente le reliquie di San Giorgio, San Lorenzo e San Natale che domani
saranno messe nella mensa dell’altare maggiore”.70 All’interno della chiesa,
imponente costruzione neorinascimentale d’ispirazione bramantesca, furono posti
anche elementi di antico pregio provenienti dalla vecchia chiesa parrocchiale,
come un altare neoclassico (in una cappella laterale), un organo di metà ′800 e
una pala d’altare raffigurante San Bernardino (in origine destinata alla chiesetta
30
dell’omonima cascina legnanese poco distante) dipinta da Biagio Bellotti, artista
bustese d’impronta tiepoliana (già citato per gli affreschi del salone Arborio
Mella) che, tra l’altro, lavorò anche nel santuario legnanese della Madonna delle
Grazie, al quale è legata architettonicamente la chiesa del SS.Crocifisso.71 Sotto il
profilo economico, la seconda metà degli anni Trenta segnò per San Giorgio una
fase di stagnazione, con minori esportazioni a causa delle sanzioni internazionali
per l’attacco italiano all’Abissinia. Restava, tuttavia, il mercato interno, dove le
aziende locali erano assai competitive. Nel 1938 la Manifattura Sangiorgese, nata
nel 1929, segnò un record di cotone lavorato e la Tessitura Peretti, sorta nel ′36,
raggiunse l’eccezionale misura di 800 km di rayon, mentre la Fonderia Colombo
Giuseppe di Carlo, nella quale lavoravano circa 200 operai, registrò la media di
1.200 quintali di fusione mensili. Negli stessi anni sorsero nuove aziende, come la
Lambertini s.n.c. (piattaforme per torni), la ditta Mesa (attrezzature per mense),
l’Artigiana Carpenteria Meccanica (lavorazioni in acciaio), la Restelli Carlo s.r.l.
(carpenteria varia) e la Colombo Angelo e figli, che iniziò nel ′34 a produrre viti e
bulloni in un’officina di via Nazario Sauro e prima della guerra passò a costruire
macchine per la lavorazione del legno.72 Dati questi che non solo confermano la
tenuta economica e produttiva del paese nella fase precedente il secondo conflitto
mondiale, ma che evidenziano altresì come proprio in quel periodo si consolidò
la sua spiccata vocazione industriale. Ad ogni modo, per quanto aleggiasse un
certa atmosfera di coesione sociale e sorgessero istituti di pubblica assistenza (ad
esempio, nacque l’INFAIl, poi INAIL), restava ancora assai ampio il divario tra il
ceto imprenditoriale e la classe operaia, anche perché la politica di compressione
salariale continuava a erodere il potere d’acquisto delle famiglie meno abbienti.
Ormai la rassegnata abitudine di obbedire agli ordini del duce aveva sopito in
molta gente la memoria dei liberi sindacati (sostituiti dalle corporazioni fasciste),
del pluralismo e della stessa democrazia, anche per il dominio esclusivo del
regime dei mezzi di comunicazione di
massa, come la radio (già diffusa nelle
case borghesi e ascoltata dal popolo
nei locali pubblici - un apparecchio
costava nel 1937 circa un terzo del
reddito annuo di un operaio), o il cinema, anch’esso controllato dal potere,
sia direttamente negli studi di produzione (nel 1937 sorse Cinecittà) sia
bloccando l’ìngresso di film stranieri
(tranne quelli dei paesi alleati, come
Piazza Mazzini nel 1935
31
dal 1936 la Germania nazista). Anche gli abitanti di San Giorgio si svagavano
andando al cinema, ma per assistere ai film dovevano aspettare le rare proiezioni
al teatro dell’Oratorio oppure recarsi a Legnano, poiché soltanto nel 1948 aprì la
prima sala cinematografica sangiorgese (ora chiusa): il cinema Sotera. Questo
nome, che già da quindici anni risaltava ricamato sul gonfalone del Comune,
presenta nel finale la lettera ‘r’ al posto della ‘n’ dell’antico toponimo Sotena,
riportato, come detto, dallo storico Giorgio Giulini.73 L’errore, ormai consolidato,
risale al 1931: era contenuto in una relazione consegnata dal dott. Carlo Guidi
(direttore del giornale La Voce di Legnano) all’allora podestà Virgilio Maggioni,
nell’ambito di una ricerca per la pubblicazione del libro Storia dei Comuni della
Provincia di Milano patrocinata dal Preside della Provincia Sileno Fabbri. Il
Guidi scrisse “Sotena o Soterra...”, dando credito nell’aggiunta alternativa a una
paretimologia dialettale legata a una leggenda locale secondo cui nella nostra
zona furono sepolti i morti della famosa battaglia antimperiale del 1176. Di sicuro
il Giulini, storico preciso e perfino pedante, non aveva sbagliato nel copiare il
locativo ‘Sotene’ dell’iscrizione trecentesca e forse l’opzione proposta dal Guidi
originava solo da un eccesso di zelo nel comprendere anche la leggenda locale;
ma tant’è: al Podestà piacque il nesso con la battaglia di Legnano e da quel giorno
sulle insegne del Comune è rimasto ‘Sotera’ (con la ‘r’, una sola)74. Questo breve
excursus sul toponimo che campeggia sul nostro stemma ci permette di rilevare
l’attenzione enfatica che il fascismo dedicò alla storica battaglia medievale come
simbolo patrio (già risorgimentale) di impavida lotta contro le potenze straniere,
la stessa che favorì la nascita, nel 1932, di una manifestazione annuale in costume
detta Festa del Carroccio, dalla quale nel 1935 derivò il noto Palio di Legnano
(rievocazione della battaglia con gara ippica finale fra le 8 contrade legnanesi che
si svolge ogni anno intorno al 29 maggio). Insomma, benché sia plausibile, data
la vicinanza, che alcuni armigeri di quel fatidico scontro siano stati sepolti nelle
terre di San Giorgio, ciò non riguarda il suo antico toponimo: Sotena non deriva
da ‘Sot tera’ (sotto terra), bensì probabilmente da una remota denominazione
celtica. Ormai comunque la lettera errata fa parte della storia del paese e quindi si
è scelto di mantenerla. Ciò che invece finì davvero sotto terra alla fine degli anni
Trenta fu la correttezza scientifica, distorta da piaggerie di intellettuali organici al
fascismo che teorizzarono la purezza della razza italiana, biologicamente ariana,
sostenendo in sua difesa il varo delle leggi razziali, promulgate nel 1938-′39 sulla
scia ideologica di quelle già emanate da Hitler nella Germania nazista. Obiettivo
principale erano gli ebrei, ai quali fu imposta una lunga lista di divieti; gravi
discriminazioni che furono solo il preludio delle successive deportazioni di massa
nei campi di concentramento, in seguito divenuti campi di sterminio. Tuttora non
32
è noto quanti cittadini sangiorgesi di credo ebraico subirono questa sorte, ma
sappiamo che nel 1942 i cinque membri della famiglia Contente (Israel, Paola,
Nissim, Avram e Sara) furono salvati dal dott. Giacomo Bassi, allora segretario
comunale di San Giorgio (e Canegrate), che riuscì a nasconderli in una stanza
delle scuole elementari, fornendo loro documenti falsi e aiutandoli a spacciarsi
per siciliani immigrati. Per tale benefico inganno, nelle violenze cupe di quegli
anni, il dott. Bassi rischiò letteralmente la vita. Oggi il suo nome è nell’elenco dei
‘Giusti tra le Nazioni’ al Museo dell’Olocausto di Gerusalemme. Certamente la
tragedia degli ebrei fu la tessera più abbietta e disumana di quel vasto mosaico di
orrori che rappresentò per molti popoli la II Guerra Mondiale (più di 60 milioni di
morti) scatenata nel 1939 dall’invasione tedesca della Polonia a coronamento di
una politica aggressiva. Subito la Francia e l’Inghilterra dichiararono guerra alla
Germania, mentre l’Italia fascista rimase neutrale fino al 1940, quando la vittoria
lampo dei tedeschi sul territorio francese
convinse il governo a schierare le truppe a
fianco di Berlino, nel rispetto del ‘Patto
d’Acciaio’ tra le due dittature. L’esercito
regio tornava quindi a combattere su vari
fronti (Africa, Grecia, Francia, Albania) e
i famigliari di tanti giovani soldati non li
videro più tornare: ricevettero solo avvisi
listati a lutto, o nemmeno quelli, come per
gli ottantaseimila dispersi dell’ARMIR.
Circa 200 furono i militari sangiorgesi inviati in guerra e di loro ne perirono 33. Lo
spazio non concede di citarli tutti (i nomi
sono incisi su una lapide in cimitero), ma
valgano ad esempio le storie di alcuni fra
loro, come Celestino Vignati, Giuseppe
Provasio e Antonio Morlacchi, dispersi in
Russia, o come Ettore Fusè e Giannino
Il dott. Giacomo Bassi
Rossi che furono imprigionati dai tedeschi
a Cefalonia dopo l’armistizio dell’8 settembre: il primo morì in un lager serbo, il
secondo perì nell’esplosione su una mina della nave di trasporto.75 Sicuramente
decisiva per le sorti del conflitto fu poi la superiore forza aerea anglo-statunitense,
impegnata in pesanti bombardamenti sui fronti di guerra e sulle città, tra le quali
Milano, ridotta in molte zone a cumuli di macerie. Per tale motivo fu imposto
l'oscuramento serale delle strade (affinché le case, con le finestre schermate, non
fossero visibili dal cielo) e il divieto di circolazione dei civili dalle ore 21 alle 5
33
del mattino, mentre i generi alimentari scarseggiavano ed erano razionati con
tessere annonarie. Identica penuria per gas e carbone, sicché molti sangiorgesi
rubavano i rami dei ‘muron’ (gelsi) per bruciarli nella stufa e cucinare. Intanto i
cittadini di Milano fuggivano dalle bombe rifugiandosi in provincia; parte di loro
anche a San Giorgio, come registra una nota del Chronicon: “Sfollati. Le prime
incursioni aeree su Milano nell’ottobre 1942 hanno determinato un vero esodo di
Milanesi. Anche nella nostra Parrocchia, da una statistica fatta a maggio, ne
risultavano circa 200, alloggiati presso diverse famiglie. Le terribili incursioni
aeree del 12, 14, 15 agosto ne hanno poi immessi altri numerosi”. Intanto, la
rapida avanzata da sud degli Alleati causava immediate ripercussioni a Roma: nel
luglio 1943 Mussolini, messo in minoranza dal Gran Consiglio, fu addirittura
arrestato per ordine regio e il sovrano dette l’incarico di governo al maresciallo
Badoglio, che all’inizio volle continuare la guerra a fianco della Germania, ma
poi, proprio per i bombardamenti su Milano e Roma, gli scioperi a oltranza nelle
fabbriche e l’imminente sbarco degli Alleati a Salerno, si convinse a firmare un
armistizio con gli anglo-americani il 3 settembre 1943, annunciandolo cinque
giorni dopo dai microfoni dell’EIAR. Subito il Meridione liberato esultò per la
fine della guerra, mentre le truppe tedesche invadevano tutta la restante penisola,
schierando un nuovo fronte a nord di Napoli. Tra lo sbando totale delle truppe del
Regio Esercito, alcuni soldati disubbidirono al disarmo imposto dai tedeschi e
furono imprigionati o trucidati, altri disertarono, mentre i più fedeli al regime si
unirono poi alla Guardia Nazionale Repubblicana, facente capo alla Repubblica
Sociale Italiana (detta di Salò), stato-fantoccio fondato nel settembre 1943 da
Mussolini dopo l’evasione dall’hotel-prigione sul Gran Sasso grazie a un blitz di
paracadutisti tedeschi. Altri combattenti si rifugiarono invece nei boschi o sulle
montagne in organizzazioni di lotta partigiana, come le Brigate Garibaldi (riferite
al PCI), le Brigate Matteotti (PSI), Mazzini (PRI), Giustizia e Libertà (Partito
d’Azione), le Fiamme Verdi, le Brigate Osoppo e le Brigate del Popolo (riferite
alla DC e ad altre formazioni cattoliche), nonché gli Azzurri badogliani ed altri
ancora, differenziati da diverse ideologie, ma tutti uniti nel comune impegno di
lotta armata ai nazifascisti. Il ruolo di coordinamento fu affidato al Comitato di
Liberazione Nazionale (CLN), formato da esponenti di tutti i principali partiti
(sopravvissuti clandestini sotto la dittatura) e dal giugno del 1944 la direzione
militare venne assunta dal comando del CVL (Corpo dei Volontari della Libertà)
guidato dal generale Cadorna.76 Fu difficile ricostruire la storia dei partigiani
sangiorgesi, sia perché molti partecipanti alla Resistenza tendevano a “non voler
ricordare”, sia perché di solito chi faceva azioni di sabotaggio conosceva gli altri
membri del gruppo soltanto con i nomi di battaglia. Ad ogni modo, fra gli altri, si
commemora certamente Pino Croci (1924-1945), giovane partigiano che dava
34
asilo in casa ai ricercati: fu trovato in campagna, ucciso da un colpo di pistola alla
vigilia della Liberazione. A lui è dedicata una via cittadina. E ricordiamo pure
Guido Vignati, operaio con compiti di difesa nello stabilimento Franco Tosi e
mansioni di collegamento con le formazioni in montagna: arrestato, fu trasferito
in varie prigioni italiane e infine deportato a Mauthausen col triangolo rosso dei
prigionieri politici. Dopo la Liberazione è stato presidente dell’A.N.P.I. di San
Giorgio, premiato con medaglia d’oro dal sindaco Fera il 25 aprile 1989. Nella
stessa cerimonia sono state inoltre conferite medaglie d’oro a Orazio Peretti (Bgt.
SAP), a Vincenzo Garzonio ed Eugenio Lambertini (Bgt. Garibaldi), a Luigi
Travaini (Bgt. Fratelli di Dio) ed a Giuseppe Mezzenzana (1^ Div. Proletaria),
già premiato nel 1984 dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini con il
Diploma d’onore al combattente per la libertà d’Italia e insignito della Croce al
merito di guerra. La sua vicenda si svolse all’estero, combattendo i nazifascisti
sui monti di Croazia, Serbia, Dalmazia, Slovenia e Bosnia, sino ai confini del
Montenegro. Dopo la guerra è tornato con una delegazione italiana a recuperare i
corpi dei soldati morti in Jugoslavia. Questi sono solo alcuni dei molti partigiani
sangiorgesi, di cui l’A.N.P.I. locale ha stilato un elenco di 46 nomi (in nota)77.
Dopo lo sbarco in Normandia del giugno 1944 e l’apertura del fronte provenzale,
lo sfondamento della Linea Gotica costrinse le truppe tedesche stanziate in Italia
a ritirarsi a nord, incalzate dall’avanzata degli Alleati e dalla guerriglia partigiana.
A San Giorgio gli ufficiali nazisti e fascisti erano acquartierati nella Casa del
Fascio – palazzo Reina - in fondo alla via Baggina (oggi rinominata via Martiri
della Libertà), edificio che tuttora esiste. Nella primavera del ′45, mentre sulle
città tedesche pioveva un’enorme quantità di bombe e la Wehrmacht perdeva il
controllo della Renania e della Ruhr, le armate russe proseguivano l’avanzata in
Prussia orientale, Slesia, Austria e Cecoslovacchia, incontrando gli americani il
25 aprile sul fiume Elba, fino a penetrare nei dintorni di Berlino per accerchiarla.
Il medesimo giorno, in Italia, dopo l’ordine di insurrezione generale diramato dal
CLN, mentre le divisioni del Führer stavano già smobilitando verso il Brennero, a
Milano e in altre città del Norditalia dilagò una vera e propria rivolta di massa per
costringere alla capitolazione i nazifascisti. Anche a Legnano, dopo uno scontro
armato, la brigata Carroccio e le 101^-182^ brigate Garibaldi (la 182^ comprendeva molti giovani sangiorgesi) riuscirono a occupare la caserma Cadorna, il
Municipio e il comando dei Carabinieri (dove si insediò il CLN locale). Sulla
statale del Sempione sparavano i cecchini partigiani dai tetti e sparavano i fascisti
dalle autocolonne in fuga. A sera, appreso che i tedeschi stavano già trattando la
resa con gli americani, Mussolini e i suoi fedelissimi partivano da Milano verso la
Svizzera, aggregati a un convoglio di SS. Il gruppo fu però fermato a Dongo dalla
35
52^ brigata Garibaldi e Mussolini, camuffato, fu riconosciuto e imprigionato. Il
giorno seguente insorse anche Torino, mentre gli Alleati avanzavano veloci verso
le principali città del Settentrione, dove intanto erano scattate diverse esecuzioni
sommarie dei caporioni fascisti. Il 27
aprile, in piazza Mercato a Legnano, ne
furono fucilati sei, tra cui il commissario
Santini e il capitano della Milizia Nucci,
già dirigente della Polizia Politica e autore
di torture sui partigiani. Nel tumulto della
folla incattivita dalla guerra accaddero
anche episodi eticamente criticabili (come
contro alcune donne legnanesi amiche dei
fascisti), nonché vendette personali che
sfruttavano il disordine per poter negare
la responsabilità. Ancor oggi si discute sui
fatti di quei giorni, culminati il 28 aprile
con la fucilazione a Giulino di Mezzegra
dell’ex-duce Mussolini e della sua amante
Claretta Petacci, i cui cadaveri, insieme a
quelli di 16 gerarchi del regime, furono
portati a Milano e appesi ai tralicci di un
distributore di benzina in piazzale Loreto.
Nella versione ufficiale, l’esecuzione fu
opera di un drappello di ‘garibaldini’ Via Giacomo Gerli (sulla destra la cinta
sotto il comando di Walter Audisio (alias del parco Parravicini)
(Alfa Lancia- opera propria, con lic.)
colonnello Valerio), ma su tale episodio
sono state proposte diverse interpretazioni.78 Di questi agitati trascorsi, il diario
parrocchiale di San Giorgio in data 25 aprile 1945 fornisce, per contrasto, una
nota di relativa tranquillità: ringrazia la Divina Provvidenza, che per il tramite del
cardinale Schuster ha reso “pacifico il passaggio che si prevedeva dover essere
assai burrascoso” e aggiunge che “nella nostra San Giorgio regnò grande calma
e non si ebbe a lamentare nessuna vittima”.79 Forse il parroco temeva che i
tedeschi avrebbero resistito a oltranza. Invece i racconti di testimoni del paese
(oggi novantenni) li ricordano stanchi, sfiduciati, consapevoli dell’imminente
sconfitta, probabilmente perché ricevevano notizie sullo sfondamento delle difese
di Berlino, dove, dopo soli cinque giorni, lo stesso Hitler nel suo bunker si
sarebbe suicidato. L’arrivo a Milano delle truppe americane fu acclamato da folle
festanti, ma il sangue delle epurazioni e delle vendette continuò a scorrere per
mesi, mentre il conflitto segnava il suo ultimo atto in Giappone con l’ecatombe
36
atomica di Hiroshima e Nagasaki (6 - 9 agosto), prova di forza statunitense in
vista della futura spartizione del mondo in opposizione ai sovietici. La cosiddetta
Guerra Fredda tra i paesi occidentali guidati dagli USA e l’URSS comunista
iniziò subito, infatti, con i cannoni ancora fumanti, già nelle trattative del luglio
1945 a Potsdam tra Attlee, Truman e Stalin sul nuovo ordine da dare all’Europa
e, in particolare, sulla futura divisione della Germania.
Dalla fine della II Guerra Mondiale agli anni attuali
Nell’Italia ormai liberata (ma non ancora pacificata) il referendum sulla forma
istituzionale si tenne, insieme alle votazioni per l’Assemblea Costituente, il 2
giugno 1946, mentre sedeva al governo il democristiano De Gasperi. L’esito della
consultazione (alla quale per la prima volta parteciparono anche le donne) fu
favorevole alla Repubblica (53%) e quindi a re Umberto II, succeduto al padre un
mese prima, fu imposto l’esilio. Uno dei suoi ultimi atti come Luogotenente del
Regno fu il D. Lgs. Luogotenenziale n. 1 del 7 gennaio 1946 che ripristinò il
sistema elettivo nei Comuni, che ritornarono così ad essere amministrati da
rappresentanti votati dai cittadini. Nell’elezione dell’Assemblea Costituente la
DC risultò il primo partito (35,2%), sicché De Gasperi potè formare un governo
monocolore democristiano, poi allargato a PRI e PLI e all’ala moderata socialista
(PSDI). All’opposizione il fronte di sinistra, formato da PSI e PCI. Frutto di
compromessi tra le forze politiche, la Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio
1948 e delineò un’Italia parlamentare e democratica, basata sulla divisione dei
poteri, garante delle libertà individuali e collettive e orientata alla promozione del
lavoro e dell’equità sociale. L’articolo 128 assegnò alle Province e ai Comuni la
qualifica di Enti Autonomi ed altri articoli del Titolo V stabilirono i loro compiti
nel rispetto del principio di sussidiarietà. Furono difatti i sindaci i principali
coordinatori delle attività di ricostruzione di città e paesi danneggiati dalla guerra,
tenendo conto che ciò che andava ricostruito non erano soltanto edifici e strade,
ma anche il rapporto di fiducia nella classe politica, incrinato dopo anni di lotte
intestine. In questo fervido slancio a rimboccarsi le maniche e ripartire, il vecchio
confronto tra ‘rossi’ e ‘bianchi’ non era affatto diminuito, anzi, si avvertiva più
forte nella tensione della Guerra Fredda, ma veniva temporaneamente sospeso
(soprattutto grazie al patto di Roma tra le forze sindacali) al fine di consentire la
ripresa dell’apparato produttivo e di avviare urgenti opere di ripristino di un’Italia
a pezzi, nonché aggravata da inflazione a doppia cifra per il brusco adeguamento
del cambio lira-dollaro, con la svalutazione della nostra moneta di circa cinque
volte.80 Nelle elezioni politiche del 1948 la DC ottenne ancora una netta vittoria
(48,5%) e l’incarico di governo fu affidato di nuovo a De Gasperi, sostenuto
anche da PLI, PRI e PSDI. Ebbe così inizio l’età del centrismo (1948-1963), nella
quale prese corpo il sistema di potere democristiano, fondato sull’occupazione di
37
tutti i ruoli chiave nelle istituzioni, negli enti pubblici e nelle aziende controllate
dallo Stato. Fu il periodo in cui si succedettero a Palazzo Chigi vari esponenti
delle correnti DC (De Gasperi, Pella, Scelba, Segni, Zoli, Fanfani, Tambroni). In
tale quadro politico generale, non faceva eccezione il Comune di San Giorgio, a
maggioranza cattolica da sempre, dove nelle elezioni amministrative del 1947 si
registrò il successo democristiano e la conseguente nomina a sindaco di Antonio
Colombo, poi confermato a più riprese sino al 1956. Nonostante la presenza di
molti elettori di sinistra, organizzati intorno alla Casa del Popolo, posta in via
Madonnina, in paese il consenso maggioritario alla DC durò ben oltre la fase del
centrismo: dopo Antonio Colombo, il ruolo di sindaco passò al suo compagno di
sezione Emilio Colombo (1956-1970), seguito da altri due sindaci democristiani:
Antonio Caspani (1970-1980) e Domenico Fera (1980-1991). Considerando che
anche il sindaco reggente tra il 1946 e il 1947 (Mario Pastori) apparteneva allo
stesso partito e che pure i precedenti Ercole Polla (1944-1945) e Orazio Peretti
(1945-1946) provenivano da formazioni cattoliche, appare evidente che dopo la
caduta del fascismo il nostro Comune ha rappresentato ininterrottamente un feudo
democristiano per quasi cinquant’anni. Tuttavia, se si analizzano con attenzione i
dati contenuti in un saggio di P. Visigalli81 inerenti al numero delle Comunioni
annuali (calanti nel dopoguerra), pare lecito ipotizzare che molti voti sangiorgesi
dati alla Democrazia Cristiana in quel
periodo non provenissero unicamente
da ferventi cattolici, ma anche da ampie
fasce laiche di moderati che nel partito
al governo vedevano sia un progetto di
sviluppo nazionale sia un baluardo anticomunista, funzioni che erano sostenute
anche dalla politica estera americana.
Ma dagli Stati Uniti, insieme ai marines
e agli agenti della CIA, arrivarono nel
dopoguerra anche gli aiuti finanziari del
Il monumento ai caduti davanti al Municipio
Piano Marshall, che fornirono risorse
(Alfa Lancia- opera propria, con lic.)
per la ricostruzione civile e industriale.
Gli imprenditori lombardi ripresero quindi a puntare sulle loro duttili capacità di
adattamento e d’innovazione, favoriti anche da una tregua salariale concessa
dall’atteggiamento responsabile dei sindacati. Per riassumere in cifre la rinascita
produttiva post-bellica basti dire qui che l’Associazione Legnanese dell’Industria
(ALI), che alla fondazione nel 1945 contava solo 25 aziende, nel 1955 arrivò a
elencarne 319. In tale numero moltiplicato vi erano pure ditte sangiorgesi, poiché
con il nuovo ordinamento regionale e il consolidarsi di un’area socioeconomica
omogenea, fu gradualmente superato il concetto di industrie chiuse in ambito
cittadino per creare distretti più ampi, come il Comprensorio dell’Alto Milanese,
38
esteso tra il Ticino e l’Olona.82 Un censimento industriale promosso dall’ALI nel
1951 registrò ancora il primato del settore tessile, nel quale operavano circa
dodicimila dipendenti in un centinaio di fabbriche; al secondo posto il comparto
metalmeccanico, con 9.400 addetti distribuiti in 253 stabilimenti. A San Giorgio
erano ormai sparite le filande (per la concorrenza cinese e l’avvento delle fibre
sintetiche), ma funzionavano ancora le storiche tessiture e ne nascevano di nuove,
come la Tessitura Colombo, che iniziò lavorando per conto terzi e poi si mise a
produrre autonomamente fodere in viscosa e poliestere, o la Tessitura Toia, che
aumentò l’attività assumendo dipendenti, o come altre che sorsero in quegli anni,
caratterizzati dalla fine del protezionismo e dall’apertura ai mercati esteri, in
particolare a quello europeo, mentre già si firmavano gli accordi per la libera
circolazione del carbone e dell’acciaio (CECA, 1951) che gettarono le basi della
futura CEE. La lira debole giocò allora un ruolo importante nell’agevolare le
esportazioni e ciò favorì localmente soprattutto il settore fondiario, che crebbe sia
con nuove aziende sia con l’ampliamento di fabbriche esistenti, come la Fonderia
Quaglia & Colombo, che già nel 1949 aveva edificato un nuovo capannone al
confine di Legnano. Ma anche imprese di
altri settori nacquero o si ingrandirono a
San Giorgio negli anni Cinquanta, come la
ditta B&C di Michele Bertelli (elementi per
trasformatori) o come la filiale sangiorgese
della Borletti (presente dagli anni di guerra)
che affiancò alla produzione di tachimetri e
contagiri quella di macchine per cucire,
arrivando nei decenni successivi a contare
fino a 600 dipendenti. Tale sviluppo fece sì
che nel censimento del 1961 il primato per
manodopera assorbita passò dal tessile al
comparto meccanico e fondiario, mentre
più distanti risultarono altri settori (edilizio,
trasporti). Si trattava per lo più di piccole
aziende, che però attestavano il dinamismo
degli imprenditori, talvolta ex-tecnici ed exoperai di altre ditte, in un’ascesa produttiva
davvero sorprendente. Lo stesso accadeva 1957- Il titolare Giuseppe Colombo
mostra un pezzo in lavorazione nella sua
in altre regioni del nord Italia, trainando fonderia.
l’intera nazione in quello che un giornale
inglese definì il ‘boom economico italiano’. Nel solo triennio 1957-1960 ci fu un
aumento della produzione industriale lombarda del 31,4%. Non va dimenticato,
tuttavia, che tale miracolo non si sarebbe mai verificato senza il basso costo del
lavoro: fu l’alto tasso di disoccupazione nel Meridione a creare una domanda di
39
lavoro eccedente l'offerta, generando effetti di contenimento salariale e una forte
immigrazione interna da Sud a Nord.83 La conseguente crescita demografica (San
Giorgio nel 1961 contava 5.454 abitanti rispetto ai 3.890 dell’anteguerra), dovuta
anche a flussi migratori da altre aree lombarde e da paesi veneti e friulani, creò
necessità di nuove case, che sorsero numerose in moderni condominî, costruiti sia
in periferia sia in aree centrali ricavate abbattendo vecchi complessi di cortile. Fra
gli altri, furono edificati nel ‘54 degli stabili popolari in via Visconti di Modrone
con le agevolazioni del ‘piano Fanfani’ (dal nome del premier che ne incentivò la
realizzazione tramite l’INA). Tale forte incremento edilizio modificò in pochi
anni l’aspetto del paese, benché rimanessero ancora zone con fabbricati di tipo
rurale, come in via Raimondi, dove permanevano le case di ringhiera, i rustici e i
fienili, abbattuti solo nel 1987 per far posto ai nuovi alloggi comunali. Si trattò,
dunque, di cambiamenti a zone, paralleli all’asfaltatura delle strade. Anche lo
stile di vita degli abitanti mutò progressivamente negli anni del dopoguerra. Già
nell’ottobre 1951 un appunto vergato dal parroco lamentava che “per l’esodo dei
Sangiorgesi nelle ferie di Ferragosto, la nostra festa Patronale perde della sua
solennità”.84 L’accenno era alla Festa
dell’Assunta, durante la quale, dopo la
Messa, sfilava una processione fra i
lumi e i fiori freschi di tutte le edicole
e tempietti dedicati alla Beata Vergine
disseminati ad ogni angolo del paese.
La chiusura d’agosto delle fabbriche e
l’aumento generale del tenore di vita
consentiva infatti a molti sangiorgesi
di lasciarsi alle spalle gli anni tristi
Palazzo in via Cesare Battisti
della guerra con brevi vacanze estive al
mare o in montagna, mentre gli immigrati meridionali approfittavano delle ferie
per tornare ai paesi natii per salutare parenti e amici. Questi spostamenti furono
facilitati sia dal ripristino delle strade statali (nonché dall’inaugurazione nel 1964
dell’Autostrada del Sole) sia dalla diffusione di automobili utilitarie, vendute
principalmente dalla FIAT con formule rateali. Frattanto, sempre più famiglie si
dotavano di frigoriferi e lavatrici (alleviando le fatiche domestiche, soprattutto
delle donne) e crescevano gli allacciamenti telefonici, mentre solo i benestanti
possedevano i nuovi televisori; gli altri si riunivano a guardare le trasmissioni
RAI nei locali pubblici, come a San Giorgio nel Circolo Familiare di via Roma,
storico punto di ritrovo risalente a inizio secolo. In paese non mancavano, inoltre,
le rappresentazioni di una compagnia filodrammatica, attiva dal 1958 al 1963, che
allestiva sul palcoscenico del cinema-teatro Sotera drammi popolari e farse
dialettali sotto la guida registica di Mario Comerio. Nel 1958 il parco di villa
Parravicini (risistemato a metà ′800) fu vincolato dalla Soprintendenza dei Beni
40
Culturali e Ambientali come bellezza naturale, consentendone quindi solo una
dismissione parziale, cioè l’area in cui fu poi edificata la schiera di villette di via
XXV Aprile, ben integrate in un tessuto urbano già caratterizzato dalla presenza
di case singole della prima metà del Novecento e nel quale fin dagli anni ′50
erano state costruite molte nuove villette da parte della borghesia locale, nonché
da legnanesi attirati da terreni a minor costo a breve distanza da Legnano. La via
più fornita di attività commerciali era già allora via Roma, sede di uffici, di una
filiale bancaria e di vari negozi, molti dei quali sorti dopo la costruzione della
nuova chiesa Parrocchiale che vi si affaccia. Ma i luoghi più frequentati per il
rifornimento domestico erano gli esercizi della rinata Cooperativa di Consumo
San Giorgio, che nell’epoca dei primi supermarket e della crescita pubblicitaria
decise di puntare sui bassi prezzi, una scelta che inizialmente fece affluire molti
soci acquirenti, ma che ne determinò la chiusura quando l’economia rallentò la
sua corsa (la società riprese poi nel 1978 fondendosi con altre di paesi vicini nella
Cooperativa Alto Milanese). Sul fronte educativo, dopo l’istituzione da parte del
governo Fanfani della Scuola Media Unificata, fu realizzato a San Giorgio nel ‘67
il moderno edificio delle scuole medie di primo grado “Giuseppe Ungaretti” in
piazza IV novembre, accanto alle scuole elementari “Grazia Deledda” (attuale
Municipio), nell’area prima occupata dall’Oratorio maschile. Per frequentare le
superiori, allora come oggi, poche fermate di bus consentivano agli studenti di
raggiungere i licei e gli istituti legnanesi. A metà degli anni ′60, l’agricoltura,
nonostante i nuovi mezzi a motore, diventò ancor più marginale nell’economia
sangiorgese e con gli ultimi contadini andò gradualmente perdendosi anche la
cultura dialettale, che se già prima era osteggiata dall’italiano littorio, nel periodo
postbellico di rapida modernizzazione e crescente influsso televisivo sembrava
ormai inadeguata a comporre le nuove frasi del business. Per i ragazzi che
ascoltavano i Beatles la parola ‘cavaleri’ era soltanto un cognome negli appelli
scolastici, non più il termine dialettale indicante i bachi da seta (e chi li allevava),
e ‘l’èra’ rappresentava unicamente un periodo storico o geologico, non più l’aia
in terra battuta, al centro della ‘curta’, dove avveniva la trebbiatura e dove le
donne d’estate stendevano il bucato. Il dialetto sangiorgese (lieve variante del
legnanese) era dunque parlato solo dagli adulti, cioè da coloro che attualmente
sono anziani. In certi casi, però, rimase il loro insegnamento, tanto che oggi, dopo
la morte del grande Felice Musazzi, l’attore protagonista della nota compagnia
dialettale I Legnanesi è Antonio Provasio, nato da genitori sangiorgesi nel 1962.
Sul finire dei Sessanta l’economia nazionale subì una fase di recessione e uno dei
comparti più colpiti fu proprio il tessile, cioè il settore che aveva originato e poi
trainato l’intera industria lombarda. La causa era radicata nello scarso sviluppo
tecnologico, sicché quando i lavoratori, con lotte sindacali, riuscirono a ottenere
aumenti di salario per far fronte all’inflazione, gli stretti margini operativi delle
aziende non ressero più il confronto con quelli di industrie di nazioni emergenti
41
(soprattutto orientali) perciò le commesse calarono drasticamente, costringendo
molte ditte alla chiusura. Gli effetti occupazionali furono tuttavia parzialmente
ridotti, come si è detto, per il travaso di manodopera nel settore metalmeccanico,
che ancora reggeva, mentre nel tessile si ricorse in seguito al lavoro in conto terzi,
che divenne una vera strategia di sviluppo a basso costo e bassa conflittualità.
Nacque allora una nuova categoria di imprenditori che, dagli anni ′70, riuscì
progressivamente a sottrarsi alla tutela dei grossi operatori e a instaurare rapporti
autonomi col mercato, unendo alla tessitura la confezione di vestiti e maglieria
per entrare nel settore abbigliamento-moda con prodotti di qualità.85 Significativa
in tal senso è la vicenda della ditta sangiorgese Mimoska, nata nel ′68 come ramo
laterale della Tessitura F.lli Bianchi, attiva dal 1931 al 1978. Deviando dalla
originaria vocazione della casa madre, la nuova azienda si dedicò, in appositi
capannoni, alla confezione di vestiti per bambini e al prêt-à-porter femminile,
inizialmente per l’Upim e per la Rinascente e poi rivolgendosi in proprio a
committenze estere. Anche la tenuta del settore meccanico e fondiario fu dovuta
soprattutto alle esportazioni. A metà anni ′60 sorse a San Giorgio la Fonderia
Fantoni (alluminio pressofuso), mentre la ditta Padovani & Pinchiroli (torni a
controllo) traslocava in via Magenta per avere più spazio; nel 1967 nacque la
Fonderia Giola e nel 1969 iniziò a produrre la Colombo & Bellegotti (basamenti
per torni - dal 1975 si chiamerà Cobelgo, dopo l’ingresso del socio Gorletta). In
tale quadro complesso, si arrivò all’autunno caldo del 1969, grande mobilitazione
organizzata dai sindacati unitari, per certi versi figlia del clima politico innescato
dalle rivolte studentesche del ′68 e dal picco di consenso al PCI, che a breve fu
purtroppo seguita dalla strage di piazza Fontana, evento drammatico che avviò a
Milano la cosiddetta strategia della tensione, stillicidio di attentati contro ignari
cittadini per modificare il corso della politica orientata a convergenze di centrosinistra. Il contrasto tra le fazioni estreme andò acutizzandosi negli anni ′70 e fu
pure all’origine di frange eversive da cui derivarono vere bande armate, come i
neo-fascisti di Ordine Nuovo ed i marxisti-leninisti delle Brigate Rosse, autori
questi di violenze e omicidi contro poliziotti, magistrati e giornalisti, nonché poi
responsabili, nel ‘78, del sequestro e omicidio di Aldo Moro, presidente della DC.
Fatti che suscitarono anche a San Giorgio accesi dibattiti, specie nei luoghi di
lavoro. A peggiorare lo scenario di quegli anni critici (benché per altri versi assai
creativi) subentrò la recessione causata dalla crisi energetica del 1973, quando per
la guerra arabo-israeliana del Kippur le nazioni aderenti all’OPEC interruppero le
forniture di petrolio, facendo innalzare vertiginosamente il prezzo dei carburanti.
Molti stati europei furono costretti a prendere misure per diminuirne il consumo e
in Italia il governo Rumor varò un piano nazionale che prevedeva il divieto di
circolare la domenica con i mezzi a motore, la fine anticipata dei programmi
televisivi e la riduzione oraria delle luci stradali. Molti sangiorgesi riscoprirono
perciò la bicicletta (altri, a dire il vero, non l’avevano mai lasciata...) e fors’anche
42
per l’aria più pulita di quelle domeniche senza traffico nelle discussioni pubbliche
iniziò a comparire il tema ecologico della lotta all’inquinamento. Più pesanti le
conseguenze economiche, con l’impennata dell’inflazione (dal 2,1% del 1973 al
14% del 1975) ed effetti deprimenti sul sistema industriale, che non vide più i
tassi di crescita registrati in precedenza e che dovette operare drastiche riduzioni,
aumentando i disoccupati. Ma la tristezza dei sangiorgesi più anziani derivava
anche da un evento locale che in certo modo cancellò la memoria di un’epoca:
l’abbattimento nel 1974 della vecchia chiesa Parrocchiale, situata nella piazza
centrale del paese. Benché fosse pericolante e da tempo sconsacrata (era divenuta
addirittura il magazzino abusivo di un vetraio), essa rimaneva pur sempre legata
all’immagine storica di San Giorgio, evocava ricordi personali di matrimoni,
battesimi, cresime, funerali, quindi vedere le ruspe che ne asportavano le macerie
rappresentò per molti la perdita di un punto di riferimento. Certo, nel frattempo la
nuova chiesa Parrocchiale si era abbellita con l’altare marmoreo dello scultore
Gino Casanova e in quell’anno vi lavoravano i noti mosaicisti di Spilimbergo per
realizzare un mosaico absidale disegnato dal pittore Mario Cornali, ma il progetto
di un anonimo parcheggio al posto della storica chiesa privava il paese della sua
anima antica, creando uno sfasamento anche nell’urbanistica del centro, che da
allora s’incardinò su due perni distinti: piazza IV novembre, di fronte alla chiesa
del SS. Crocifisso, e l’area di via Roma. E il primo pare ora avere assunto il ruolo
di nuovo centro, soprattutto dopo che nel 1992 vi si è trasferito il Municipio, nel
palazzo delle vecchie scuole elementari (ormai completamente sostituite dalle
nuove scuole primarie ‘Gianni Rodari’, aperte in via Vittorio Veneto dal 1978).
Sembra quasi che per un capriccio della Storia il cuore di San Giorgio sia tornato
nel luogo ove sorgeva l’antica chiesa di Sotena dedicata al santo, come un cerchio
che si chiude per attrazione simbolica. Oggi in piazza Mazzini c’è soltanto il bar
Colombina, trasferitosi da via Manzoni dopo la chiusura negli anni ′90 dello
storico Bar Centrale e della caratteristica osteria Tœgné, che occupavano parte di
uno stabile attualmente in degrado. Ma
ancora nell’estate del 1976 intorno ai loro
tavolini si animavano le discussioni degli
artisti in preparazione della grande mostra
di pittura programmata per la consueta
Fiera Autunnale, dai cui esiti nacque poi
l’Associazione Artisti Sangiorgesi. Non
mancò, inoltre, sempre nei creativi anni
Settanta, il vivo interesse dei cittadini per
la musica, come dimostra la stabilizzazione del Corpo Musicale Sangiorgese. Alla
fine del decennio, di fronte al perdurare Pezzo fuso prodotto dalla Fonderia Giola
della crisi, molte ditte locali cercarono di
43
orientarsi verso prodotti di alta qualità (come particolari fusioni a getti speciali
nel settore fondiario), puntando a nicchie di mercato in un contesto sempre più
globale e competitivo. Un miglioramento sensibile si ebbe, però, solo dagli anni
Ottanta, contraddistinti, sul fronte politico, dall’indebolimento del PCI (anche per
il crollo progressivo del socialismo reale in URSS) a tutto vantaggio del PSI
guidato dal nuovo segretario Bettino Craxi, Presidente del Consiglio dal 1983 al
1987. Il suo fu un quinquennio caratterizzato da un certo ripiegamento nella sfera
del privato (i media lo chiamarono riflusso, dopo le ondate delle manifestazioni
nelle piazze), mentre andava crescendo l’influenza delle televisioni commerciali e
si estendevano modelli di comportamento più inclini agli aspetti edonistici del
consumismo, incentivati dagli stimoli pubblicitari. La ripresa produttiva partì da
una congiuntura positiva dell’economia mondiale, favorita dal ribasso del prezzo
del petrolio e, soprattutto, dagli sviluppi innovativi delle tecnologie elettroniche e
informatiche. Le grandi imprese ristrutturate lanciarono nuovi prodotti, mentre i
comparti tradizionali legati al buon gusto italiano (alimentari, moda, accessori)
ottenevano visibilità internazionale con marchi vincenti. Anche le piccole e medie
imprese sfruttarono il momento per offrire i loro beni e servizi sui mercati interni
ed esteri con la tipica duttilità che le caratterizza. Proprio in quegli anni sorsero a
San Giorgio nuove aziende, fra cui la ditta LTC (componenti per trasformatori)
assai rilevante per l’impatto occupazionale, mentre le fabbriche Scaramozzino e
Marazzini incrementavano l’attività nel settore dei serramenti e la ditta Alfamatic,
sorta nel 1979, otteneva buone quote sul mercato delle presse oleodinamiche. Si
potrebbero citare altre imprese, ma per chiudere questa carrellata ricordiamo solo
la C.E.E.VIT (bulloni e viti) e la O.L.M.E, nata nel 1973 e sviluppatasi negli anni
′80 nel campo dei macchinari per l’industria dolciaria. Il sindaco di allora era il
citato Domenico Fera (DC), che promosse importanti lavori fognari e altre opere
di urbanizzazione, di cui una delle minori, ma significativa per rinverdire i legami
storici, fu l’apertura di un passaggio
pedonale sotto la linea ferroviaria per
permettere ai pedoni e ai ciclisti di
recarsi più comodamente al Parco
Castello, ampia superficie boschiva a
ridosso del Castello di San Giorgio
(ora del Comune di Legnano) dotata
di diverse specie di piante (frassini,
salici, ontani, pioppi, platani) e con
pittoreschi laghetti popolati da anatre
e altri volatili. Sempre il sindaco Fera
nel 1982 tagliò il nastro inaugurale
Corsa campestre internazionale ‘Campaccio’
della moderna palestra di via Vittorio
Veneto e nel 1985 quello del Centro
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Sportivo Comunale, ampia struttura con campo di calcio regolare e campo per
l’atletica, accessibile grazie alla nuova via Carlo Alberto dalla Chiesa (per il cui
tracciato si dovette purtroppo sacrificare la cappelletta detta Madona di Baldeur,
di scarso valore artistico, ma che secondo una leggenda locale sorgeva nel luogo
di sepoltura dei morti della peste del 1630). Fu proprio il settore dei servizi a
trainare il mini-boom degli anni Ottanta, avvertito nel milanese più che altrove,
con l’apertura di nuovi impianti sportivi, asili nido, filiali bancarie, case di riposo,
farmacie, librerie, agenzie di viaggio, edicole, ristoranti, bar e discoteche, insieme
a una ristrutturazione generale dei negozi, fra i quali a San Giorgio si distinguono
per qualità le panetterie-pasticcerie e per specificità di settore i casalinghi e gli
articoli da regalo. A dominare l’attualità dei seguenti anni ’90 fu soprattutto la
crisi dei partiti al governo (DC, PSI, PRI, PSDI, PLI), che avevano esteso la loro
influenza a tutte le strutture amministrative e produttive del Paese, facendo spesso
un uso clientelare di soldi pubblici e degenerando in episodi di concussione. Tutto
questo scoppiò nel 1992, quando il processo milanese chiamato dai media ‘Mani
pulite’ mise in luce un vasto giro di tangenti e corruttele, con incriminazioni di
ministri, deputati, senatori, imprenditori e perfino dell’ex premier Bettino Craxi,
che si rifugiò in Tunisia prima che la condanna divenisse definitiva.86 Il conto
politico che i partiti coinvolti pagarono nelle successive elezioni del 1994 fu
salato: il Partito Popolare (come si presentò la DC) scese a un modesto 11,07 % e
il PSI passò dal 13,62% a un misero 2,19%, largamente superato anche da partiti
minori, come la Lega Nord (8,36%), formazione federalista guidata da Umberto
Bossi che fu la prima a cavalcare l’ondata di protesta per i fatti accaduti. Invece il
Partito Democratico della Sinistra (come si era rinominato il PCI per marcare la
svolta post-comunista maturata dopo il crollo del muro di Berlino) aumentò dal
16,11% al 20,36 %, cioè a quasi il doppio dei voti espressi a quella DC che aveva
inseguito per quarant’anni, ma comunque inferiore all’inatteso 21,01% di Forza
Italia, partito neo-fondato dall’imprenditore Silvio Berlusconi, già amico di Craxi
e padrone di tre reti televisive nazionali in concorrenza con la RAI, che divenne
quindi Presidente del Consiglio. In sostanza, sulla sua figura confluirono i voti di
molti ex socialisti ed ex democristiani. Ovviamente tale scossone politico influì
pure sulle elezioni amministrative che si tennero a giugno dello stesso anno con il
nuovo sistema di elezione diretta del sindaco, istituito dalla legge 81 del 25 marzo
1993. A San Giorgio su Legnano (comune inferiore ai 15 mila abitanti e dunque
senza turno di ballottaggio) vinse il candidato della Lega Nord Marzio Colombo,
sostenuto anche da una parte degli elettori cattolici. La giunta diretta da Colombo
amministrò quindi il Comune dal ’94 al ’98, tendendo soprattutto all’efficienza
della gestione ordinaria, anche perché l’economia nazionale (nonostante la bolla
speculativa della cosiddetta ‘new economy’) si stava nuovamente avvitando verso
l’ennesima crisi e non c’erano fondi per promuovere onerose iniziative. Sul fronte
sociale, però, il dibattito locale si mosse più del solito, in quanto la vittoria della
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Lega ebbe l’effetto di dividere le opinioni della comunità sangiorgese, che prima
appariva più unita. Sotto l’aspetto urbanistico, si registra che nel periodo proseguì
a maggior ritmo la costruzione di abitazioni in via Aldo Moro, secondo la linea di
un nuovo piano residenziale varato dagli amministratori leghisti che comprendeva
aree di verde e giochi per bambini. L’idea tendeva ad ampliare l’offerta abitativa
per soddisfare i nuovi gusti ecologici di una percentuale crescente della domanda
immobiliare, tenendo conto che San
Giorgio poteva offrire minori costi
di urbanizzazione rispetto a quelli
richiesti a Legnano e che dunque il
prezzo degli immobili poteva essere
più economico. E ciò ancor più in
confronto a Milano, dove parecchi
cittadini, stanchi del traffico e dello
stress della metropoli, già da alcuni
anni stavano scegliendo di spostarsi Nuovo complesso residenziale in via Aldo Moro
in centri residenziali satellite o in
città della provincia. In tali scelte non era indifferente l’aumento esponenziale
dell’offerta televisiva verificatasi negli anni ′90, con l’aggiunta di canali privati,
satellitari e di pay-tv, nonché con la vasta diffusione di videoregistratori VHS per
vedere film e programmi registrati, comprati o noleggiati (anche la biblioteca
comunale si dotò di un’ampia scelta, ora con DVD e Blu-Ray), così come risultò
determinante la diffusione dei personal computers, che tramite la nuova rete
telematica globale (dal 1995 aumentarono gli accessi a Internet di utenti privati)
rese possibile eseguire molte operazioni direttamente da casa, sicché abitare in
centro o in periferia divenne più una scelta di stile di vita che di praticità, poiché
importava meno la vicinanza a servizi quali banche, poste, uffici pubblici, cinema
e agli stessi negozi, sempre più sostituiti nelle abitudini dei consumatori da centri
commerciali extraurbani, spesso forniti di ristoranti e sovente collegati a multisale
cinematografiche (come l’Unieuro-TheSpace nella vicina Cerro Maggiore). San
Giorgio, inoltre, non distante dalle stazioni ferroviarie di Legnano e Canegrate
(raggiungibili con mezzi propri o in bus), permette ai pendolari di accedere
velocemente ai frequenti elettrotreni Trenord a doppio piano diretti a Milano.
Relativamente più lontano (3,5 km) è l’ingresso legnanese dell’A8 Milano-Laghi,
che se nel 1924 vantò il primato di essere la prima autostrada realizzata nel
mondo, oggi merita certamente il podio fra i tratti più intasati nelle ore di punta.
Per raggiungerla, come per immettersi sulla statale 33 del Sempione, dal 1989 è
transitabile il passaggio sotto la ferrovia che unisce la provinciale 12 da Inveruno
(tangente a San Giorgio) e il viale Toselli di Legnano. Indebolito dall’isolamento
della Lega Nord, il polo di centro-destra fu battuto nelle elezioni nazionali del
1996 da una coalizione di centro-sinistra (detta Ulivo, formata da PDS, AD, PPI,
46
Verdi e legata da un accordo elettorale a Rifondazione Comunista) che portò alla
Presidenza del Consiglio Romano Prodi, il quale subito varò misure rigorose per
ridurre il deficit pubblico in vista dell’ingresso dell’Italia nell’Eurozona nel 1999.
A parte questo risultato, Prodi riuscì a incidere ben poco, perché nel 1998 fu
sfiduciato per la sottrazione del sostegno di Rifondazione Comunista. Di questa
crisi, avvenuta in ottobre, non c’era ancora sentore quando in maggio si erano
svolte le elezioni amministrative, che a San Giorgio videro prevalere di misura
Claudio Celora, candidato dell’alleanza Ulivo-Rifondazione prima della rottura.
La giunta ulivista amministrò quindi per i seguenti quattro anni (1998-2002), i
primi due coincidenti con i governi di D’Alema, che oltre a gestire la complessa
situazione determinata dalla guerra nei Balcani, sul fronte interno riformò le
normative sul lavoro introducendo nuove forme di flessibilità. Poi le divisioni
nella sinistra bloccarono altre iniziative, determinando alla fine della legislatura
un clima di generale immobilismo,
avvertito anche nelle giunte uliviste
degli enti locali. A San Giorgio il
periodo fu infatti caratterizzato da
lunghe discussioni su diversi progetti
(come l’ideazione del rifacimento di
via Roma, via Manzoni e via Mella),
ma da relativamente scarsi interventi
concreti, salvo miglioramenti nella
copertura della telefonia cellulare,
l’apertura di un transito pedonale nel
complesso residenziale di via Verdi e
Torneo di scacchi San Giorgio su Legnano 1995.
altre opere di carattere ambientale. I
Il Campione del Mondo Anatoly Karpov assiste a
una partita tra i due organizzatori sangiorgesi
contrasti fomentati dall’opposizione
Giovanni Longo e Alberto Meraviglia
leghista causarono anche polemiche
e diatribe, come quelle inerenti alla
gestione, giudicata troppo dispendiosa, di un’emergenza idrica provocata dalla
chiusura temporanea di un pozzo.87 Può sembrare una vicenda marginale, ma non
lo era per il bilancio di un piccolo comune costretto già allora a rispettare i rigidi
limiti di spesa pubblica imposti dal Patto di Stabilità e Crescita sottoscritto nel
1997 da tutti gli Stati dell’Eurozona. Inoltre, dopo gli sperperi di Tangentopoli,
l’attenzione agli sprechi stava diventando la cartina tornasole in mano ai cittadini
per valutare l’efficienza delle pubbliche amministrazioni e confermare o cambiare
il voto espresso, in una fluida migrazione di consensi sconosciuta nei decenni
precedenti.88 L’ultimo biennio di Celora coincise, invece, con l’inizio del secondo
governo Berlusconi, vincitore delle elezioni del 2001 alla testa di una coalizione
di centro-destra comprendente anche la Lega Nord. Le sue promesse in campagna
elettorale furono in parte intralciate dal declino economico innescato dal crollo
47
delle Borse mondiali (dopo la bolla speculativa degli anni ’90) e dal crollo reale
delle Torri Gemelle di New York nell’attentato terroristico dell’11 settembre
2001, evento che segnò una svolta militaristica nella politica estera americana. Le
aziende sangiorgesi subirono in quel periodo un aggravarsi della crisi per la
diminuzione della domanda internazionale e per la crescente competizione della
Cina (dal 2000 entrata nel WTO). Molte fabbriche lavoravano a fasi alterne,
ricorrendo alla cassa integrazione, mentre altre si apprestavano a chiudere, come
la OMAP (torni di precisione) che cessò nel 2002 e la Tessitura Legnani, che
chiuse l’anno successivo. Reggeva ancora l’edilizia e l’indotto connesso, che
infatti fece sorgere molte nuove costruzioni e trasferire da Legnano l’ingrosso di
vernici Kinocolor. Nel 2002 si svolsero le nuove elezioni amministrative e l’ex
sindaco Marzio Colombo (questa volta sostenuto anche da Forza Italia) riuscì a
ottenere un buon successo, accingendosi dunque ad amministrare il Comune per
il quinquennio 2002-2007. I suoi primi provvedimenti riguardarono l’apertura dei
cantieri per la trasformazione di via Roma, via Manzoni e via Mella (progetto già
ulivista) e fu scelta una pavimentazione in porfido con marciapiedi a livello
protetti da colonnine. Un tratto di via Roma divenne a senso unico per dare spazio
a una pista ciclabile. Nel corso dell’opera, finita nel 2004, fu posata sotto il manto
stradale una linea in fibra ottica per consentire le connessioni telematiche a banda
larga. Il progetto prevedeva la prosecuzione dei lavori fino a piazza Mazzini, che
doveva essere allargata includendo l’area dell’ex Oratorio femminile (divenuto in
seguito sede di un centro per disabili
e dell’associazione Insieme è meglio),
ma tale estensione, osservabile in un
modello plastico presente in un atrio
del Municipio, fu procrastinata per
difficoltà di ordine burocratico e
finanziario. Frattanto, la legge BossiFini del 2002 sanciva nuove norme
per l’immigrazione e poi la legge
Maroni-Biagi del 2003 introduceva
nuove tipologie di contratti di lavoro,
che produssero l’effetto di ridurre in Vista di via Roma con la nuova chiesa
parte la disoccupazione, ma anche di Parrocchiale - foto G. Morelli g.c.
aumentare l’incidenza del precariato.
Riguardo ai flussi migratori esteri, va notato che fino al 2006 non erano molti gli
stranieri residenti a San Giorgio, mentre in seguito si è assistito a un progressivo
incremento. L’ultimo censimento del 2012 ha registrato infatti la presenza, su
6.730 abitanti, di 559 residenti extracomunitari, di cui 122 albanesi (il gruppo di
più antico insediamento), 98 marocchini, 63 rumeni, 40 ucraini, 22 ecuadoregni e
22 pakistani.89 Dopo le elezioni regionali del 2005, Berlusconi formò un nuovo
48
governo, durante il quale fu varato un nuovo sistema elettorale, che fu in vigore
per le elezioni nazionali del 2006, le prime che videro la partecipazione degli
italiani all’estero. Le urne assegnarono la vittoria all’Unione (alleanza di centrosinistra) e l’incarico di premier passò ancora a Romano Prodi, che tuttavia potè
contare su una solida maggioranza solo alla Camera, mentre al Senato la
differenza con l’opposizione era minima, tanto che nel 2008 bastò la defezione di
sette senatori per costringere Prodi a rassegnare le dimissioni. Dopo lunghe
consultazioni, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano decise di
sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni, vinte di nuovo dalla coalizione di
centro-destra guidata da Berlusconi. Ma l’anno prima (2007) si erano svolte le
elezioni amministrative, che nel comune di San Giorgio avevano confermato il
sindaco uscente Marzio Colombo (candidato della Lega Nord, presentatasi da
sola). Fra le delibere di questo suo secondo mandato si ricorda la ristrutturazione
dell’attuale Municipio, finita nel 2009, e vari interventi urbanistici in via Pasubio,
via Milano e via Cesare Battisti, uniti alla realizzazione di piste ciclabili. Nel
periodo si ebbe inoltre un sensibile incremento dell’edilizia privata, tra cui i
complessi residenziali di via Boccaccio e cinque nuovi nuclei abitativi in via
Ragazzi del ′99. Infine, quasi al termine del mandato, la giunta leghista deliberò
di far costruire un Palazzetto dello Sport vicino al Centro Sportivo Comunale, una
struttura principalmente dedicata alle attività delle squadre locali di basket e
pallavolo, ma aperta altresì ad eventi pubblici (concerti, spettacoli). L’impianto
(finito dalla giunta successiva) è stato denominato ‘PalaBertelli’, dal nome dei
proprietari della ditta LTC che in qualità di sponsor contribuisce alle spese di
gestione ordinaria. Gli anni successivi sono storia attuale: in clima di stagnazione
economica, perdurante ormai dal 2008, fra difficoltà delle aziende e arresto
dell’edilizia, elevato tasso di disoccupazione e cronico deficit di bilancio dello
Stato (riparato solo in parte dalle misure dei due governi di larghe intese di Monti
e Letta, succeduti dal novembre 2011 all’ultimo governo Berlusconi), in un
contesto di generale sfiducia nei confronti dei partiti (parzialmente incanalata nel
Movimento 5 Stelle fondato da Beppe Grillo), le elezioni amministrative del 2012
hanno registrato la vittoria nel nostro
Comune di Walter Cecchin, candidato
della lista civica“Vivere San Giorgio”.
Ultimati i lavori del Palabertelli, la sua
sindacatura si è concentrata all’inizio su
un necessario riassetto del bilancio, ma
ha poi deliberato un ammodernamento
dell’illuminazione civica con lampade a
LED e la creazione di strutture di servizio
per i cittadini, come utili distributori
La struttura sportiva ‘PalaBertelli’
pubblici di acqua da tavola microfiltrata
49
o come un’attrezzata area verde per cani, molto benvista dai numerosi possessori
di amici a quattro zampe. Certo, i tempi permangono difficili e le finanze restano
esigue, ma, come dimostra la storia fin qui narrata, la capacità dei sangiorgesi di
affrontare i momenti critici non è mai mancata, anzi, costituisce la vera anima di
una comunità laboriosa che saprà senz’altro superare le secche del presente per
agganciare quei timidi segnali di ripresa che, con gli auspici del nuovo premier
Matteo Renzi (PD, in carica dal febbraio 2014), sembrano emergere dai dati
previsionali comunicati dall’OCSE durante l’Esposizione Universale “Nutrire il
Pianeta, Energia per la Vita” tenutasi a Milano da maggio a ottobre 2015.
F.Guzzetti
Note e fonti bibliografiche
1
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San Giorgio su Legnano – Storia, società, ambiente, edizioni A. Guerini e Associati per il
Comune di San Giorgio su Legnano, 1992
2
T. LIVIO, libro V, 33-35, in TITO LIVIO, Storia di Roma dalla sua fondazione, 13 vol.,
Testo latino a fronte, Trad. e note di Michela Mariotti, Milano, Rizzoli, 2003
3
M.G.TIBILETTI BRUNO, Le iscrizioni celtiche d’Italia, in I Celti d’Italia, Pisa, E.
Campanile (ed.), 1981
4
POLIBIO, Storie (a cura di D. Musti, trad. M. Mari), Milano, Rizzoli, 1993.
5
G. SUTERMEISTER, Legnano Romana. Relazione degli scavi e dei ritrovamenti antichi,
Società Arte e Storia, Legnano, 1928.
6
G. SUTERMEISTER, Un secondo sepolcreto di epoca imperiale a San Giorgio su
Legnano, in “Memorie, Società, Arte e Storia” n° 16, Legnano 1956.
7
U. LAFFI, Studi di storia romana e di diritto, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
2001.
8
G. SUTERMEISTER, 1928, op. cit.
9
M. CATTANEO, Legnano nel Medioevo, in “Memorie, società, arte e storia”, Legnano,
1975.
10
J. JARNUT, Storia dei Longobardi, Torino, Einaudi, 2002.
11
A. TAMBORINI, San Giorgio al Palazzo, Milano, Tipografia S. Lega Eucaristica, 1928
50
12
A. COLOMBO, Il 'Versus de mediolana civitate' dell'anonimo liutprandeo e l’importanza
della metropoli lombarda nell'alto Medioevo, in: Miscellanea di studi lombardi in onore
di Ettore Verga. Arch. Stor. Cittadino, Milano 1931.
13
F. CARDINI e M. MONTESANO, Storia medievale, Firenze, Le Monnier Università, 2006.
14
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Legnano, Famiglia Legnanese, Società Arte Storia, Legnano, Edizioni Landoni, 1984.
15
G. TABACCO, L’evangelizzazione dell’Europa e lo sviluppo della potenza ecclesiastica,
in La Storia. I grandi probllemi dal Medioevo all’Età Contemporanea, (direttori. N.
Tranfaglia e M. Firpo), vol. I, Torino, UTET, 1986.
16
F. CARDINI - M. MONTESANO, 2006, op. cit.
17
G. D’ILARIO, E. GIANAZZA, A. MARINONI, Legnano e la battaglia, edizioni Landoni,
Legnano, 1976
18
Da M.G.H. SS, XVII. (Monumenta Germaniae Historica), La paternità degli annali è
incerta, anche se l’umanista Johannes Trithemius (1462-1516) nella prefazione degli
Annales Hirsaugiensies la attribuisce a un “Godefridum, monachum Sancti Pantaleonis”.
G. H. Pertz, che ha curato l’edizione tra il 1826 e il 1874, si è basato sul Codice
Enstorpensis del pastore Itermann di Enstora (dati riportati in G. D’ILARIO, E. GIANAZZA,
A. MARINONI, op. cit.).
19
Codice della Croce n. XVIII: regesto in castello di San Giorgio, in Memorie Società Arte
e Storia, n. 16, Legnano 1956.
20
GOFFREDO DA BUSSERO, Liber notitiae sanctorum Mediolani, codice manoscritto
riportato e pubblicato a stampa per la prima volta a Milano nel 1917 a cura di M.
Magistretti e Ugo Monneret de Villard, Tipografia: U. Allegretti, Milano, 1917
21
G. GIULINI, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e
campagna di Milano nei secoli bassi, Voll. 3, Milano, 1775. Testo riportato
dell’iscrizione divisa in due mattoni : "MCCCLXXXXIII Die XXVI maii Fond.e prima
Hae Ecclesia Hedificata per Comunem Istum Sotene ad Honorem dei Santi Georgii
Quam Segrata Fuit per Dominum Archiepiscopum ".
22
G.GERLI, Storia del paese, San Giorgio 1864. Manoscritto. Testo ripreso dal Liber
Chronicus della Parrocchia di San Giorgio. Scriveva Giacomo Gerli: “Questo villaggio,
avendo perduto l’antico suo nome, adottò quello della di lui Chiesa intitolata a San
Giorgio”.
23
M. CATTANEO, San Giorgio e il legnanese nel Medioevo, in A. AGNOLETTO, op. cit.
24
JACOPO DA VARAZZE, Legenda Aurea. Con le miniature del codice Ambrosiano C240
inf, Edizione Nazionale dei Testi Mediolatini, Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo,
2007.
25
G. D’ILARIO, E.GIANAZZA, A. MARINONI, M. TURRI, 1984, op. cit.
26
B. DE LA RIVA, De magnalibus Mediolani, II, X. tradotto in: BONVESIN DE LA RIVA, Le
meraviglie di Milano, a cura di P. Chiesa, Milano, Fondazione Lorenzo Valla-Arnoldo
Mondadori Editore, 2009.
51
27
E. CATTANEO, Ottone Visconti, in Contributi all'Istituto di Storia Medievale, I, Milano,
1968
28
G. FIAMMA, Chronicon Majus (et) Chronicon extravagans de antiquitatibus Mediolani
(in Cod. Ambr. A275 inf.), a cura di A. Ceruti, Miscellanea di storia italiana, VII, Torino,
1869.
29
F. MEDA, La battaglia di Parabiago, Milano, Scuola Cattolica, 1938.
30
A. AGNOLETTO, 1992, op. cit.
31
Libros Iohannis Simonetae de rebus gestis Francisci I, Sfortiae Mediolanensium ducis
a. 1448 in Rerum Italicarum Scriptores, vol. XXI, Bologna 1959, col. 500.
32
A. AGNOLETTO, 1992, op. cit.
33
F. CATALANO, La fine violenta di Galeazzo Maria Sforza, in Storia d'Italia (UTET), II,
Dalla crisi della libertà agli albori dell'illuminismo, Torino 1959.
34
TRECCANI.IT, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 63 (2004). URL consultato
il 22-02-2014.
35
D. MELANI, San Giorgio in epoca moderna. Aspetti amministrativi della comunità di
San Giorgio tra i secoli XVI e XVIII, in A. AGNOLETTO, 1992, op. cit.
36
Ibidem
37
ARCHIVIO SPIRITUALE DIOCESI DI MILANO, Pieve di Legnano, sez. X, vol. VI, citato in
D’ILARIO, E.GIANAZZA, A. MARINONI, M. TURRI, 1984, op. cit.
38
D. MELANI, 1992, in A. AGNOLETTO, 1992, op. cit.
39
F. BERTOLLI, U. COLOMBO, La peste del 1630 a Busto Arsizio, riedizione commentate
della Storia di G.B. Lupi (Biblioteca Reale di Copenaghen), ed. Comune di Busto Arsizio
– Busto Arsizio, Bramante Editrice, 1990.
40
M. MONTAGNA, A. VETTORI, (a cura di ), Storia dei territori di Legnano, Magenta,
Abbiategrasso, Busto Arsizio, Tradate e Saronno, coll. suppl. Il giorno, Milano, 1993.
41
D. MELANI, 1992, in A. AGNOLETTO, 1992, op. cit.
42
Ibidem
43
D. ZANETTI, La demografia del patriziato milanese nei secoli XVII, XVIII, XIX.,
Università di Pavia, Pavia 1972
44
D. MELANI, 1992, in A. AGNOLETTO, 1992, op. cit.
45
Ibidem
46
T.CELONA, E. MARIANI TRAVI, L. MARIANI TRAVI, Scrittori e architetti nella Milano
napoleonica, pubblicazione della Provincia di Milano, Milano, 1983.
47
Dizionario biografico degli Italiani, vol. 27, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana
(Treccani), 1982
48
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Benton Publisher, 1965.
49
I. BRIANO, Storia delle ferrovie in Italia, Milano, Cavallotti, 1977
50
D. PERA, L’evoluzione politica, amministrativa e strutturale dall’Unità d’Italia a oggi,
articolo pubblicato sul periodico comunale San Giorgio su Legnano, n° 11, anno 2011.
51
M. SCARDIGLI, Le grandi battaglie del Risorgimento, Milano, Rizzoli, 2011
52
52
O. VERGANI,. Tombe romane e armi moderne, Milano, Corriere della Sera, 1930.
Storia e attualità – Intervista a Gaspare Restelli, in San Giorgio su Legnano –
Periodico di vita cittadina a cura dell'Amministrazione Comunale, n° 8, San Giorgio,
2005
54
A. AGNOLETTO, 1992, op. cit.
55
Fonte: Censimento degli opifici e delle imprese industriali al 10 giugno 1911, a cura del
Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Roma, 1916.
56
C. SABBATINI, Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Milano, Milano,
1893.
57
G. D’ILARIO, E.GIANAZZA, A. MARINONI, M. TURRI, 1984, op. cit.
58
Archivio Comunale di Legnano, 1880, VII.
59
Lettera Enciclica di S.S. Leone XIII Rerum Novarum, 29 – Roma 1891
60
Liber Chronicus (Chronicon) della Parrocchia di San Giorgio.
61
Archivio Comunale di Legnano, cart. 392 f.. 286/23.
62
Statistiche I.Stat - ISTAT; URL consultato in data 28-03-2014.
63
G.PORISINI, Il capitalismo italiano nella prima guerra mondiale, Firenze, La Nuova
Italia, 1975.
64
M. BERRA, M. REVELLI, Salari, 12° cap. del tomo 3 de Il mondo Contemporaneo –
Storia d'Italia, a cura di F. Levi, U.Levra e N. Tranfaglia, Firenze, La nuova Italia, 1978
65
G. SABBATUCCI, V. VIDOTTO, Storia contemporanea, il Novecento, Bari, Laterza,
2008. A pag. 70: "I massimalisti [..] si ponevano come obiettivo immediato l'instaurazione della
53
repubblica socialista fondata sulla dittatura del proletariato e si dichiaravano ammiratori entusiasti
della rivoluzione bolscevica"
66
R. VIVARELLI, Storia delle origini del fascismo, volume I, Bologna, Il Mulino, 2012
Da Wikipedia, Unione Sportiva Sangiorgese, URL consultato in data 30-03-2014.
68
Liber Chronicus (Chronicon) op. cit.
69
Ibidem
70
M. T. CRAVERO MIOLA, Storia della nostra chiesa dalla fondazione alla consacrazione
– Brani del diario di monsignor Pietro Ermolli, articolo pubblicato sul n. 8, marzo 2005,
del periodico comunale San Giorgio su Legnano
71
M.T. MALLAMACI, La presenza monumentale e artistica, in A. AGNOLETTO, 1992, op.
cit.
72
R. PASTORI, Conoscere San Giorgio, articolo apparso sul numero di marzo 2011, anno
23, del periodico mensile San Giorgio su Legnano, a cura dell’Amministrazione
Comunale.
73
“[…] prima hecclesia hedificata per comunem istum Sotene […]” in G. GIULINI, 1775,
op. cit.
74
S. FRATTINI, Il malinteso del podestà, articolo pubblicato sul n. 14, dicembre 2002, del
periodico San Giorgio su Legnano a cura dell’Amministrazione Comunale.
75
Dati tratti dall’intervista alla sorella di Giannino Rossi citata nell’articolo di Maria Luisa
Rosi “Due Sangiorgesi a Cefalonia”, pubblicato sul n. 9, giugno 2005, del periodico
67
53
comunale San Giorgio su Legnano; ricerca condotta dalle classi quinte della scuola
elementare Grazia Deledda nell’anno scolastico 1987-1988.
76
R. BATTAGLIA, Storia della resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1964.
77
Fonte: A.N.P.I. – sezione di San Giorgio su Legnano. Elenco partigiani sangiorgesi: P.
Croci, G. Vignati, G. Mezzenzana, V.Garzonio, L. Croci, E. Lambertiini, C. Girotti,
L.Genoni, E. Solbiati, O. Peretti, C. Genoni, M. Meraviglia, G. Morelli, F. Porta, G.
Marini, G. Solbiati, D. Genoni, S. Solbiati, G. Aghemo, D. Biglietti, L. Travaini, G.
Monticelli, M. Lambertini, A. Prandoni, A. Colombo, C. Colombo, R. Colombo, M.
Colombo, M. Massenzana, G. Meraviglia, G. Solbiati, G. Lambertini, G. Colombo, A.
Bonetti, L. Colombo, F. Libani, D. Morelli, G. Colombo, M. Marini, G. Pastori, S.
Chiodini, C. Croci, N. Cerana, V. Vignati.
78
G. CAVALLERI, F. GIANNANTONI, M. J. CEREGHINO, La fine. Gli ultimi giorni di
Benito Mussolini nei documenti dei servizi segreti americani (1945-1946), Milano,
Garzanti, 2009.
79
Liber Chronicus (Chronicon) op. cit.
80
C. BIANCHI, Lo sviluppo economico italiano nel secondo dopoguerra: continuità e
cambiamenti, Università di Pavia, 1998.
81
P. VISIGALLI, La religiosità dei sangiorgesi nella prima metà del secolo XX, in A.
AGNOLETTO, 1992, op. cit.
82
G. D’ILARIO, E.GIANAZZA, A. MARINONI, M. TURRI, 1984, op. cit.
83
A. GRAZIANI, Lo Sviluppo dell'economia italiana. Dalla ricostruzione alla moneta
europea. Torino, Bollati Boringhieri, 1998.
84
Liber Chronicus (Chronicon) op. cit.
85
Centro Studi per la documentazione storica ed economica dell’impresa - Università
Carlo Cattaneo, La storia del settore tessile. Il Novecento, URL consultato in data
25/04/2014.
86
M. MAGATTI - Corruzione politica e società italiana, Bologna, Il Mulino, 1996.
87
R.PROVASI, Ulivo, Rifondazione Comunista e gli scheletri nei loro armadi, articolo
apparso nella rubrica Tribuna Politica del numero di Aprile 2003 del periodico San
Giorgio su Legnano a cura dell’Amministrazione Comunale.
88
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2005.
89
Statistiche demografiche su "demo.istat.it". URL consultato il 2 maggio 2012.
54