Chi siamo? Da dove veniamo? Dove stiamo andando? La ricerca di una risposta a queste domande si può chiamare filosofia. E il dire che domande del genere non hanno senso, che non serve né porsele né tentare di dar loro risposta, perché la vita ne fa a meno, va avanti anche senza di loro, dire che la vita è un'altra cosa, non elimina la domanda delle domande: anche ammesso che tali domande siano falsi problemi e che dunque la filosofia sia una perdita di tempo, perché allora l'uomo, nel corso della sua esistenza continua a ritrovarsele davanti, queste domande? A prescindere se abbiano una risposta o meno, poiché è possibile formulare domande del genere, è possibile e legittima una ricerca delle risposte. E se la vita sembra non fornirle, tali risposte, la vita rende possibile ancora, però, almeno la ricerca di una riformulazione delle domande stesse. L'essere umano vive la propria esistenza aggrappandosi a poche risposte certe e rincorrendo (o schivando) tante domande dall'esito e dal peso incerti. Del resto, da cosa scaturiscono le grandi domande sull'esistenza umana se non dall'esistenza stessa? Ma allora esistere alla ricerca di risposte a tali grandi domande ha senso. O meglio: dà senso all'esistenza. E esistere alla ricerca di risposte è fare filosofia, vivere la filosofia, intesa come amore del sapere. Di quel sapere che si sa di non avere e che dunque si cerca, di continuo. Filosofia come ricerca continua: tensione verso qualcosa che non si conosce ma che attira, sostiene, spinge avanti; ma che un po' tormenta e confonde anche, perché sapere, saggezza, verità sono parole che rasentano facilmente il vuoto: il loro significato cambia con i contesti culturali, le epoche, le persone, le griglie (logiche) interpretative. Filosofia: una parola che non rinvia solo ad un ambito concettuale, ma anche ad un atteggiamento, uno stato d'animo, uno stile di vita. Perciò "filosofia" resta, in fondo, un termine sempre un po' inafferrabile, e indica qualcosa (un sistema di idee, un modello comportamentale o entrambe le cose) di mai definitivo, mai convincente oltre ogni dubbio. E allora, cosa significa rivendicare il diritto alla filosofia, se non rivendicare il diritto di farsi domande? Ovvero: il diritto di vivere consapevolmente. Ovvero, se vivere consapevolmente è ciò che differenzia l'uomo dagli altri esseri viventi del pianeta, rivendicare il diritto alla filosofia significa rivendicare la propria humanitas. Tout court. Chi siamo? Da dove veniamo? Dove stiamo andando? Dal momento in cui l’animale sociale bipede implume ha preso a muoversi in questa ricerca, ha progressivamente ucciso tutte le divinità celesti ed infere che parevano sussurrare risposte come a Ulisse le Sirene; imperterrito e impavido, ha pian piano sgretolato prima la roccaforte teologica e poi quella scientifica della fede in una verità ultima, fondante e fondamentale, fino a lasciare l’individuo da solo, sempre con le stesse domande, ma avendo eliminato tutte le risposte rassicuranti. Ormai, sembrano essere rimaste solo le risposte inquietanti. Il che, però, non è un motivo sufficiente per smettere di prendere in considerazione tali domande. Invece, se c’è chi sostiene che la filosofia è morta, è proprio per questo: perché la stragrande maggioranza degli individui ha smesso da tempo di porsi domande del genere. Maledetta paura. A questo devono servire i filosofi, oggi: a far echeggiare di nuovo forte e chiaro tali domande, e a mostrare “ai non filosofi” come si fa a prendere a calci la paura che tali domande mettono e la crisi in cui gettano, se si va avanti pretendendo di non doversele porre. E allora, la domanda “quale filosofia?” diventa: filosofia, dove? Filosofia, come? Dove portare la filosofia? Tra “la gente comune”, dovunque: nelle piazze, nei Bar, nelle biblioteche, nelle associazioni culturali, nelle scuole di ogni ordine e grado, nelle aziende. Come portare la filosofia? Come esperienza di dialogo autentico. Ossia, dialogo che parte da una domanda di senso, in cui ciascuno dei dialoganti si mette in gioco non per prevalere dialetticamente, o per risolvere un problema concreto, ma per interrogarsi e interrogare gli altri sulle grandi domande dell’esistenza umana. Da dove prenda il via e dove porti questo interrogarsi non è molto rilevante: che ciò accada a partire dalle “piccole cose” della vita quotidiana per arrivare alle grandi domande, o viceversa, che poi le grandi domande finiscano col rinviare al quotidiano, serve solo a ricordarci che siamo di fronte a due facce di una stessa medaglia: l’enigma dell’esistenza. Ma affrontare filosoficamente questo enigma è possibile solo se il filosofo che “porta la filosofia tra la gente”, ne costituisce un esempio, la incarna, la filosofia di cui parla: filosofo non è qualcuno che la filosofia la fa (ne parla in cattedra o ne scrive), ma qualcuno che la vive. Ovvero: in consulenza, nei Cafès Philo, nei Dialoghi Socratici, nei Laboratori filosofici (che permettono di coniugare filosofia e teatro, filosofia e letteratura, filosofia e musica, filosofia e arti figurative), il filosofo è colui che, alla ricerca delle risposte alle grandi domande di cui sopra, è teso nello sforzo costante di sottoporre al confronto con gli altri e alla prova dei fatti un proprio sistema di idee dotato di coerenza interna. Inoltre, filosofo non è qualcuno che si limita ad applicare e far applicare tecniche di dialogo o regole della logica. Portare le grandi domande della filosofia “tra la gente comune” significa infatti mettersi in gioco come persona comune oltre e prima che come filosofo: significa cercare l’incontro non solo ad un livello dialettico e intellettuale, ma anche a livello relazionale, livello emotivo, psichico, empatico: il filosofo che interagisce con l’altro (individuo, o gruppo) cerca e stabilisce una relazione, un senso di appartenenza, e si sforza di creare e condividere con questo altro da sé uno spazio interiore, uno spazio che un tempo non si esitava a chiamare spirito; uno spazio in cui ciascuno possa sentire e dare nuovo respiro all’humanitas che ci accomuna; uno spazio che permetta uno scambio reale - e dunque un arricchimento reciproco - di idee proprie, sentite, in un incontro che non sia una mera occasione “salottiera” per esprimere opinioni generiche e generalizzate. Quale filosofia per il terzo millennio? Quella che torna a Socrate evitando la morte per cicuta e torna a Diogene evitando la morte per noia: una filosofia viva perché vissuta da chi la professa, e viva perché questo professare non può accadere in solitudine, o dall’alto di una cattedra; una filosofia che non è tale finché non si cala nel quotidiano, finché non è offerta da un filosofo che considera l’Accademia una palestra indispensabile, ma che sa anche che da quella palestra deve uscire. Perché i muscoli vanno formati e allenati per essere usati in fatiche che abbiano un senso, diano uno scopo, non per gare sportive fini a se stesse. Primum vivere… Laura Capogna Phronesis