LA RESILIENZA DELLA SUPPLY CHAIN Molte delle imprese che hanno mantenuto il proprio vantaggio competitivo durante la crisi sono quelle che, indipendentemente dal settore di appartenenza, si sono dotate di un buon sistema di gestione della supply chain, dedicando risorse adeguate alla sua progettazione, realizzazione e miglioramento. Nella continua spinta alla globalizzazione che caratterizza i mercati attuali, si sono inseriti diversi fattori che, oltre ad agire singolarmente sulla vulnerabilità e sui rischi per le aziende, si combinano tra di loro amplificando gli effetti complessivi: questo fa sì che un'impresa che voglia mantenersi competitiva debba dedicare una parte delle proprie risorse a proteggere le proprie attività, includendo nei modelli decisionali non soltanto i rischi legati ai propri processi interni, ma anche quelli legati all’intera supply chain con la quale opera. Per questo le aziende più sensibili alle problematiche legate alla gestione dei rischi sono progressivamente passate da catene di fornitura orientate alla robustezza ad altre orientate alla resilienza, dove con robustezza si intende la capacità di rimanere stabile ai cambiamenti e con resilienza si intende la capacità di ritornare nello stato desiderabile dopo un disturbo notevole, ovvero flessibilità e adattamento agli eventi esterni. I più diffusi modelli gestionali degli ultimi due decenni sono stati pensati per aiutare le imprese a minimizzare i costi e a focalizzarsi sulle proprie competenze distintive (si pensi, ad esempio, al forte uso dell'outsourcing per le attività ritenute non strategiche): questi stessi modelli, tuttavia, possono anche far correre il rischio di estendere talmente la supply chain di un'azienda da portarla al suo punto di rottura. Inavvertitamente, le migliori intenzioni di rendere competitiva un'azienda possono metterla, invece, in condizioni di grande vulnerabilità. Interruzioni significative della supply chain possono ridurre il volume d'affari di un'impresa, farle perdere quote di mercato, farne lievitare i costi e comprometterne il normale flusso operativo, danneggiandone inoltre la credibilità verso gli investitori con un conseguente aumento del costo del capitale. Molte imprese non riescono ancora a riconoscere come i nuovi modelli di business abbiano cambiato il loro profilo di rischio e sottovalutano, in generale, le drammatiche conseguenze che un’interruzione della catena di fornitura, anche apparentemente piccola, potrebbe comportare. Altre si sono già dotate di sistemi di gestione orientati al rischio, ma in tutte le filiere produttive esistono ancora grandi opportunità per ridurre i rischi connessi alla fornitura. Ma è un’opportunità o un dovere connesso alle responsabilità degli amministratori verso gli stakeholders? E’ necessario cercare di identificare i punti critici della supply chain, nei quali potrebbero insorgere i problemi, capire quali interruzioni potrebbero presentarsi, prendere appropriate contromisure per evitare che tali eventi si verifichino o, se si dovessero verificare, che abbiano meno conseguenze possibili. 1 I RISCHI DELLA GLOBALIZZAZIONE Le moderne supply chain sono, in generale, più difficili da gestire che in passato. Se analizziamo la storia delle economie industriali, vediamo che durante il diciannovesimo secolo le imprese utilizzavano supply chain elementari: le materie prime arrivavano per rotaia o nave, le fabbriche erano situate su canali da cui traevano la forza motrice e spesso la distribuzione avveniva localmente. Con l'avvento delle cosiddette "economie di produzione di massa", si sviluppò un modello produttivo a forte integrazione verticale, in cui molte funzioni aziendali furono portate in house, assicurando così un forte controllo sui fattori di produzione, e si faceva magazzino, oppure si cercava un fornitore di riserva, per proteggersi contro le indisponibilità temporanee di materie prime. Nel secondo dopoguerra, l’industria moderna fu invece caratterizzata dalla creazione di stabilimenti all’estero, dedicati prevalentemente a servire mercati stranieri e che si configuravano come repliche locali della produzione della casa madre. Fu solo durante la globalizzazione negli Anni Ottanta, quando le imprese cominciarono a cercare di ridurre i costi di produzione, che i modelli di supply chain presenti nel mondo industriale subirono profondi cambiamenti strutturali. Nello stesso periodo molte imprese abbracciarono modelli gestionali basati su just-in-time e lean manufacturing, che enfatizzavano la velocizzazione dei flussi produttivi e la riduzione dei costi. Questi modelli cercavano di eliminare le ridondanze dei processi di business, spesso adottavano modelli di approvvigionamento basati su fornitori unici di uno specifico componente e localizzavano le strutture di vendita e di distribuzione nelle regioni da cui proveniva la domanda. Le imprese cominciarono a dare in outsourcing le attività ritenute non strategiche per concentrarsi meglio su quelle aree di business che offrivano l'opportunità di costruire vantaggi competitivi. Con l'avvento e la diffusione di Internet e dell'e-commerce, i tempi di reazione aziendale si compressero. I flussi delle informazioni e degli ordini diventarono quasi istantanei, specialmente dove il sistema degli approvvigionamenti era integrato elettronicamente con le vendite ed i sistemi di produzione dei fornitori. Le conseguenze di questi cambiamenti sono state drammatiche: le supply chain attuali sono infatti più estese di quanto lo siano mai state in passato, proprio nel momento in cui l'uso dei modelli lean e just-in-time hanno reso molto più gravi le conseguenze delle loro interruzioni. Con le attività operative dislocate in giro per il mondo, le imprese devono affrontare molti nuovi pericoli: rischi politici e di valuta, attacchi informatici, comunicazioni interrotte con clienti e fornitori, interruzione dell’approvvigionamento e della distribuzione. Ma le imprese affrontano anche i rischi tradizionali legati alle loro Supply chain: incendi, disastri naturali, mancanza di energia elettrica e danni alle attrezzature di produzione. Alcune imprese hanno accettato tutto questo come il nuovo costo di fare business e pagato duramente quando qualcosa è andato storto. Il problema è che, quando si verifica una rottura della supply chain, gli effetti negativi non spariscono velocemente, ma continuano a farsi sentire per un lungo periodo di tempo. Variazioni nell'ambito delle vendite, della struttura dei costi o dei livelli di scorta continuano a perdurare anche molto tempo dopo che il problema è stato risolto. 2 Le imprese non devono considerare i rischi collegati alla supply chain come insormontabili e devono stare in guardia dall’acquistare semplicemente maggiori coperture assicurative. Alcuni vedono la copertura assicurativa come il principale componente della gestione del rischio in una supply chain, mentre, in realtà, essa funziona molto più efficacemente se viene inserita all'interno di un adeguato programma di risk management. Se un'impresa subisce una grave interruzione della propria supply chain, anche la migliore copertura assicurativa non può certo rimpiazzare i clienti che nel frattempo si rivolgono ad altri fornitori, né la perdita di dipendenti, management, tempo e reputazione. In breve, la copertura assicurativa si configura come una componente di un efficace programma di risk management che deve essere strutturato su almeno tre distinti livelli: la prevenzione di eventi potenzialmente distruttivi, il controllo degli eventi che non possono essere impediti, la mitigazione dell'impatto di quelli che avvengono. Affinché tali programmi siano efficaci, essi devono fare ricorso non solo all'esperienza del risk management dell'impresa, ma di tutte le funzioni aziendali. Diamo uno sguardo più da vicino a come un tale programma potrebbe funzionare. PREVENIRE L'INTERRUZIONE DELLA SUPPLY CHAIN Uno dei modi più efficaci di gestire i rischi legati alla supply chain è prevenirli. L'uso della Loss Analysis, per esempio, ha dimostrato che, per impedire un incendio in un impianto di produzione, le imprese dovrebbero gestire appropriatamente i livelli di magazzino, utilizzare norme per l'uso e la disposizione dei materiali infiammabili, mantenere i macchinari in ordine ed efficienza e vietare il fumo nei locali aziendali. La sfida di oggi è estendere questo sforzo a tutti gli attori della supply chain, includendo fornitori, terzisti, distributori e, in generale, tutti gli altri soggetti sui quali l'impresa non ha un controllo diretto, ma che aggiungono un importante strato di rischio alla catena di fornitura. Il lavoro inizia con l'identificazione dei prodotti, dei processi chiave e delle ubicazioni inclusi nella supply chain, partendo dall'approvvigionamento delle materie prime fino alla consegna dei prodotti finiti. Si identificano poi i tipi di eventi che potrebbero generare interruzioni della catena e si stabiliscono le contromisure per prevenirli. L'attenzione dovrebbe essere posta non solo sul cercare di gestire le interruzioni catastrofiche, ma anche quelle minori. E' vero, infatti, che un grande disastro può spazzare via un'intera impresa o una linea di prodotto, ma è altrettanto vero che una serie di piccole interruzioni può ugualmente generare danni importanti, per esempio compromettendo il servizio al cliente e, di conseguenza, la reputazione dell'azienda. Da un punto di vista pratico, si tratta spesso di applicare all'esterno dell'azienda quelle regole di buona gestione che vengono già applicate all'interno. Si pensi, per esempio, al modo in cui le imprese hanno tradizionalmente ubicato gli stabilimenti di produzione: oltre a tenere in considerazione la disponibilità di un'adeguata forza lavoro e la ragionevole vicinanza alle materie prime e ai clienti, le imprese hanno preferito siti che, secondo dati storici, non risultavano esposti ad alluvioni, che avevano un buon accesso alle reti viarie ed 3 erano situati in Paesi con governi stabili e sistemi legali affidabili. Oggi le imprese che stanno cercando di aggiungere alla propria supply chain un nuovo fornitore, o di dare in outsourcing parte della propria produzione, possono cercare di applicare gli stessi standard anche ai terzi. Parimenti, se un'impresa segue rigidi standard di sicurezza nel proprio stabilimento, essa potrebbe cercare di scegliere fornitori che facciano lo stesso. La imprese profondamente impegnate in questo processo a volte lo estendono fino ai fornitori dei fornitori. In realtà, la pratica comune è ben diversa; recenti studi hanno evidenziato, infatti, che la maggior parte delle imprese che - per qualche motivo - devono riorganizzare la propria supply chain, in genere lo fanno senza pensare in maniera esaustiva alle misure di gestione del rischio. Quando esse delocalizzano all'estero ad esempio, spesso si espongono inconsapevolmente a diversi rischi quali disastri naturali, standard di sicurezza più bassi e sistemi legali meno affidabili. Il messaggio non è che le imprese non dovrebbero mai esternalizzare la produzione su territori meno sviluppati e ad alta esposizione al rischio, ma, piuttosto, che farebbero bene ad inserire la valutazione del rischio all'interno dei propri processi decisionali ed a fare un'analisi costi/benefici delle diverse alternative di progettazione della propria catena di fornitura. Dove i rischi non vengano ritenuti accettabili, esse dovrebbero cercare modi di prevenirli o controllarli. LA DIVERSIFICAZIONE DEL RISCHIO La globalizzazione,negli ultimi due decenni, ha incrementato i rischi della supply chain, ma ha anche fornito diverse opportunità per gestirli. Essa, infatti, permette anche di ubicare strutture produttive in località più sicure, utilizzare forza lavoro istruita presente in altri Paesi e installare centri di produzione più vicini alle fonti di materie prime e, in generale, di trovare fornitori alternativi per i propri fattori di produzione. La cosa importante, quando si sceglie un fornitore alternativo, è essere certi che esso non sia esposto alle stesse fonti di rischio a cui sono esposti i fornitori già presenti all'interno della supply chain. Ad esempio, se due fornitori di una stessa azienda (il principale e quello alternativo) sono localizzati in una stessa area, un evento esterno come un terremoto potrebbe metterli fuori servizio entrambi. Scegliere fornitori alternativi prudentemente implica, quindi, il prendere in considerazione un'ampia varietà di fattori di rischio come, ad esempio, il fatto che essi utilizzino o meno la stessa rete informatica, la stessa rete elettrica, gli stessi sub-fornitori ecc. IL CONTROLLO DELLE INTERRUZIONI Dove i rischi vengano ritenuti abbastanza piccoli da essere tollerati, e/o in quei casi in cui essi, semplicemente, non si possano prevenire con certezza, le imprese possono comunque prendere contromisure per controllarli. Ad esempio, un'impresa potrebbe cercare di prevenire gli incendi nel proprio stabilimento controllando e regolando, attraverso procedure, l'uso dei materiali infiammabili. Queste procedure, per quanto importanti, non danno comunque una sicurezza assoluta, perché gli incidenti possono comunque accadere. Quell'impresa potrebbe quindi valutare l'acquisto di un sistema sprinkler per 4 controllare e contenere gli effetti di un eventuale incendio e potrebbe chiedere anche ai propri fornitori di prendere questa contromisura. Allo stesso modo, le imprese potrebbero impiegare sistemi informatici per integrare più strettamente il proprio sistema degli ordini e di gestione delle scorte con quelli dei fornitori e proteggersi contro interruzioni delle comunicazioni. Di nuovo, l'obiettivo è limitare l’impatto dell’evento. Un altro strumento chiave nel controllo delle interruzioni della supply chain è costituito dai contratti di fornitura, che possono prevedere un'ampia gamma di standard di performance e di risk management e che sono particolarmente efficaci quando affiancati da appropriati controlli di supervisione. MINIMIZZARE I DANNI Quando avvengono interruzioni catastrofiche della supply chain, una risposta rapida può minimizzarne le conseguenze. Per fare ciò, prima che avvenga l'interruzione le imprese devono aver messo in atto due misure precauzionali: un Business Continuity Plan ed un programma assicurativo adeguato che possa indennizzare un'impresa da perdite operative e finanziarie direttamente attribuibili ad un'interruzione delle attività. Il primo dovrebbe essere ampio e coprire un’ampia gamma di contingenze: disaster recovery, sicurezza dei dipendenti, recupero di dati di backup, comunicazioni di emergenza, possibile rilocazione delle operazioni e approvvigionamento di beni da fornitori alternativi. Lavorando con esperti di Business Continuity, le imprese possono comprendere i rischi che esse affrontano e prepararsi meglio a prevenirli, controllarli e mitigarli. Le imprese sbagliano guardando i rischi troppo da vicino, limitandosi, ad esempio, a pianificare la Business Continuity dei soli sistemi IT e trascurando tutte le altre attività che sono coinvolte nell'esercizio dell'impresa. E' anche importante conoscere bene come funziona la propria polizza assicurativa, se la copertura finanziaria che ci fornirà è adeguata e come si viene assistiti a seguito di un sinistro. Avere poca copertura assicurativa può avere serie conseguenza in tempi di disastri potenziali. Quindi, un'impresa ha la responsabilità di accertarsi, anche attraverso l'uso di esperti, che la propria copertura assicurativa sia in sintonia con il valore di rimpiazzo reale dei propri beni. Nel caso dei danni "indiretti", la consulenza di uno stimatore professionale ed indipendente assume particolare rilevanza poiché consente di esaminare con occhio critico tutti i fattori che concorrono alla formazione della Somma da Assicurare: non solo, quindi, il margine di contribuzione, ma anche gli oneri insopprimibili (utenze, costo di personale strategico, costi derivanti da contratti di fornitura non modificabili), i costi cessanti e non, i maggiori oneri da sostenere per presidiare il mercato in un momento di difficoltà, le interrelazioni tra stabilimenti della stessa impresa, fornitori strategici e concorrenti, gli stock a magazzino e non ultimo - il periodo di tempo entro il quale il sinistro farà sentire i suoi effetti. 5 In caso di eventi che investano intere filiere produttive, con un alto numero di soggetti sinistrati, il possesso di questi strumenti e l'assistenza di una società specializzata possono essere la discriminante tra la ripresa rapida della produzione e la chiusura dell'azienda. E' superfluo sottolineare che un'analisi di questo tipo - e la richiesta di coperture adeguate dovrebbe essere estesa alla catena della fornitura, la cui resilienza si misura sulla solidità dei fornitori critici, che non sono necessariamente quelli di peso economico più rilevante, ma quelli la cui perdita può avere un impatto immediato sui processi essenziali per la continuazione dell'attività. Il rischio di fallimento di un fornitore - per sinistro, crisi economica, altri fattori - è un rischio emergente: più è lunga e globalizzata la catena di fornitura, tanto più esso diventa concreto. E' quindi cruciale, nella valutazione dei fornitori critici, non focalizzarsi soltanto sugli aspetti economici, ma prendere in considerazione anche la loro capacità di mantenere l'eccellenza nel tempo e valutarne la reattività di fronte ad un evento imprevedibile, inserendo nel contratto una "clausola di resilienza". Un'analisi preliminare fatta da esperti permette, inoltre, di fornire alla compagnia di assicurazione una migliore rappresentazione del perimetro delle perdite a seguito di un potenziale sinistro e di avere, quindi, più adeguate coperture. Consente, inoltre, di analizzare scenari differenti, sulla base dei quali intraprendere azioni mirate nel caso di un sinistro che interessi tutta la supply chain: si pensi, ad esempio, ad un contratto assicurativo che richieda di dover fornire la prova del danno entro un determinato periodo di tempo dal momento del sinistro. Questo potrebbe essere particolarmente difficile nel caso di un’interruzione causata da un sinistro ad un fornitore, ma può essere messo in evidenza durante un'analisi preliminare e quindi fatto oggetto di particolare attenzione per richiedere – tempestivamente - estensioni di polizza. Senza considerare che le perdite da interruzione di attività sono difficili da quantificare: documentare una perdita connessa ad un'interruzione di attività richiede un complicato processo per fornire la documentazione di prova circa i risultati che l'impresa assicurata avrebbe avuto se il sinistro non fosse accaduto, le caratteristiche del mercato in cui l’azienda opera e l'impatto dell'evento catastrofico su tale mercato. La difficoltà di produrre questo tipo di prove enfatizza la necessità di essere in grado di produrre documentazione meticolosa delle perdite e delle spese durante il periodo di interruzione, cosicché ogni richiesta di indennizzo sia adeguatamente supportata. Un assicurato può efficacemente e scrupolosamente tracciare il perimetro delle sue perdite, rivolgendosi immediatamente ad esperti che lo assistano nel richiedere l’indennizzo in maniera appropriata e lo mettano in grado di interfacciarsi in maniera corretta con il liquidatore al fine di ottenere il giusto indennizzo. L'ANALISI COSTI / BENEFICI Gestire i rischi della supply chain sicuramente costa. Ad esempio, scegliere un fornitore in un Paese politicamente stabile può costare più caro che sceglierne uno in un Paese in via di sviluppo, con un basso costo del lavoro. E' costoso anche costruire o noleggiare piattaforme informatiche per il backup dei dati o centri di produzione ridondanti. Ed è 6 costoso anche investire in misure di property loss prevention e comperare coperture assicurative adeguate. Ma, se queste precauzioni prevengono o minimizzano di effetti anche di una sola interruzione della supply chain, il costo dell'investimento è probabilmente più che compensato. Si pensi inoltre che, in genere, il costo di un programma di risk management che enfatizzi prevenzione e controllo può essere compensato sotto forma di più bassi premi assicurativi per coperture property, casualty e business interruption, dal momento che un efficace programma di gestione del rischio collegato alla supply chain riduce realmente le possibilità che un'impresa soffra un'interruzione catastrofica e chieda, quindi, i relativi indennizzi assicurativi. Infine, ma non meno importante, la creazione di un programma di supply chain risk management testimonia l’impegno dell’impresa a fornire una governance più forte per conto degli azionisti, cosa che, in ultima analisi, aumenta il valore di quelle imprese che hanno l'accortezza di lavorare con una rete di sicurezza. 7