SETI e ASTRONAUTICA - FRANCA and GIANCARLO GENTA

SETI e ASTRONAUTICA
Giancarlo Genta
Politecnico di Torino, Dipartimento di Meccanica
La ricerca radioastronomica di forme di vita intelligente viene fatta risalire ad
un famoso articolo pubblicato nel 1959 da Philip Morrison e Giuseppe Cocconi
sull’autorevole rivista Nature, dal titolo Search for Interstellar Communications
(Ricerca di comunicazioni interstellari). In tale lavoro si sosteneva che i
radiotelescopi esistenti sulla Terra erano in grado di captare eventuali
trasmissioni radio emesse, volontariamente o no, da ipotetiche civiltà insediate
su pianeti in orbita intorno a molte stelle, lontane anche decine di anni luce da
noi. Di conseguenza, concludevano gli autori, era possibile portare sul terreno
sperimentale un problema che sino ad allora era stato affrontato più a livello
filosofico che scientifico. I radioastronomi si venivano così a trovare in prima
linea in un campo di ricerca che sino ad allora era loro estraneo.
Dal 1959 la ricerca ha fatto moltissimi progressi, sia dal punto di vista degli
strumenti utilizzati, la cui potenza è enormemente aumentata, che da quello
dell’elaborazione teorica ma, nonostante siano stati rilevati alcuni segnali dubbi
e si siano verificati parecchi falsi allarmi, non si è ancora raggiunta alcuna
certezza di un contatto.
Le sonde spaziali non sono oggi in grado di cercare direttamente un contatto con
altre specie intelligenti ma l’astronautica mette a disposizione dell’astronomia
ed in particolare del SETI, potentissimi strumenti di indagine. Si è quindi
venuto a creare negli anni un legame profondo tra la ricerca di vita intelligente e
l’astronautica, al punto che oggi si parla di missioni spaziali dedicate
esclusivamente al SETI.
Ma tale legame è sostanzialmente un legame operativo, tra una disciplina
scientifica ed una tecnologia che le promette potenti strumenti di indagine: se si
risale ai loro fondamenti filosofici, astronautica e SETI entrano apparentemente
in conflitto.
Alla base delle motivazioni di molti dei pionieri e dei più accesi fautori
dell’astronautica è il cosiddetto imperativo spaziale, sintetizzato al meglio dalla
famosa frase di Kostantin Tsiolkovsky: La Terra è la culla dell’umanità, ma
l’uomo prima o poi deve uscire dalla culla per affrontare la vita. Per
Tsiolkovsky, e per moltissimi altri sostenitori dell’astronautica, la storia umana
è appena agli inizi e il futuro vedrà l’espansione umana prima nel sistema TerraLuna, poi nel sistema solare ed infine nello spazio interstellare, verso i pianeti
che orbitano intorno ad altre stelle.
A questo punto si cade nel cosiddetto paradosso (o meglio, nella questione) di
Fermi: se tale vocazione cosmica vale per l’uomo della Terra, esso deve valere
anche per altri esseri intelligenti che abitano la nostra galassia. Dato che non è
pensabile che la nostra specie sia la prima a raggiungere la capacità di muoversi
nello spazio, cosa che è suggerita non solo da un approccio ‘galileano’ al
problema (noi non ci troviamo in nessuna posizione privilegiata, nello spazio e
nel tempo) ma anche da considerazioni astrofisiche sull’età del nostro sistema
solare, le altre specie hanno avuto tutto il tempo per diffondersi nella galassia e
per aver colonizzato il nostro pianeta, o almeno per avervi lasciato tracce
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consistenti. L’assenza di tali tracce costituirebbe, secondo tale paradosso, la
prova che noi siamo soli nell’universo.
L’alternativa, suggerita da molti fautori del SETI, è che in realtà lo spostamento
di persone ed oggetti a distanze interstellari sia del tutto impossibile, per ragioni
tecnologiche o quantomeno economiche. L’imperativo spaziale risulterebbe
quindi inattuabile, se non in una forma molto ridotta, limitata al solo sistema
solare.
Astronautica e SETI sarebbero quindi in contrasto tra loro.
Lo stesso Tsiolkovsky si rese perfettamente conto di questo problema e, in
realtà, formulò la questione di Fermi molto prima di quest’ultimo. Per lo
studioso russo era indispensabile uscire da questo dilemma, che minava le basi
stesse della sua filosofia; tuttavia la sua risposta può risultare non soddisfacente
per un approccio scientifico al problema, in quanto basata su premesse di tipo
filosofico. La questione resta tuttora aperta e nessuna delle soluzioni sinora
proposte appare pienamente soddisfacente.
Alle domande se la vita sia un’eccezione tutta terrestre in un universo inanimato
e se, nel caso esista vita extraterrestre, se essa comprenda anche esseri
intelligenti ed autocoscienti, se ne aggiunge un’altra, forse ancora più
importante: se esistono intelligenze extraterrestri, l’uomo potrà mai entrare in
contatto con esse?
Questa è in fondo la domanda fondamentale: se la certezza di non essere solo
nell’universo avrebbe un notevole impatto sulla civiltà umana, è la possibilità di
un contatto con altre intelligenze ed altre civiltà e di una reciproca conoscenza
quello che veramente interessa e che potrà avere un’enorme influenza sul futuro
sviluppo dell’umanità.
Sarà mai possibile che l’uomo della Terra entri, con le altre specie intelligenti
che forse popolano l’universo, in una comunità più ampia oppure,
principalmente a causa delle enorme distanze cosmiche, anche la certezza della
loro esistenza non potrà che lasciare ogni specie intelligente in un totale
isolamento? Ed è pensabile che, oltre ad una conoscenza mediata da una specie
di data base cosmico, in cui tutte le specie introducono il loro contributo e da
cui possono attingere a quelle degli altri, si giunga ad una conoscenza diretta, e
che l’uomo entri, in un lontano futuro, in un rapporto più stretto di quello che
può essere un contatto radio da grandissima distanza, con altri esseri
intelligenti?
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