Guardando il cielo stellato uno si chiede: “Cosa mi fa più paura? Essere da solo nell’Universo o che
ci sia qualcun altro lassù?” Una domanda antica, valida tanto per me o per te quanto lo fu per
Giordano Bruno, quando scrisse della “infinità dei mondi”, prima che lo bruciassero vivo nel 1600.
Ma, proprio 50 anni fa, una lettera a Nature pose fine a questa attitudine passiva e speculativa,
proponendo un approccio scientifico e sperimentale. Non c’è ancora una risposta (se ci fosse lo
sapremmo tutti), ma nel frattempo abbiamo una bella storia da raccontare.
Giuseppe Cocconi (1914-2008) e Philip Morrison (1915-2005) erano fisici già affermati quando
scrissero “Search for Interstellar Communications” (Nature, 19 Sept., 1959). Cocconi aveva
cominciato facendo esperimenti con Enrico Fermi e poi ebbe una brillante carriera al CERN.
Morrison, che era “Institute Professor” all’MIT, era stato un capogruppo nel progetto Manhattan.
La loro lettera a Nature cominciava col ricordare cose ovvie. All’epoca, non c’era prova della
esistenza di pianeti intorno a stelle, non si aveva idea di come la vita potesse emergere su di essi, ed
ancora meno sulla possibile evoluzione di società tecnologiche. Comunque, dissero, se davvero da
qualche parte lassù ci sono esseri intelligenti, potrebbero aver creato un canale di comunicazione,
indirizzato anche a noi.
E’ facile capire che un tale canale dovrebbe usare le onde radio come il metodo più efficiente per
trasmettere un segnale. Cocconi e Morrison suggerirono frequenze sulle quali entrare in ascolto,
usando le nuove antenne della radio-astronomia, che proprio allora stava maturando. Naturalmente,
non avevano idea di che cosa cercare. Sequenze di numeri primi? Cifre di pi greco? Inutile cercare
di indovinare, diamo fiducia a loro.
Il suggerimento dei due fisici scatenò un grosso entusiasmo. Quasi subito, Frak Drake, al National
Radio Astronomy Observatory, appena creato, fece partire il progetto Ozma, la prima ricerca in
radio di un segnale intelligente. Da allora, sono stati portati avanti più di cento programmi di
ricerca, fino a culminare nel più grande di tutti, SETI (Search for ExtraTerrestrial Intelligence), che
continua ancora alla grande.
Tutto per niente, naturalmente: non un singolo squittio intelligente da una antenna. Questo vuol dire
che siamo da soli in cielo? Per niente. Francis Bacon scriveva: “sono cattivi esploratori quelli che
dicono che non ci sono terre se vedono solo mare”. E Jill Tarter, of the SETI Institute, fa un altro
paragone. Il loro risultato nullo è come negare l’esistenza dei pesci nell’oceano dopo aver raccolto
un bicchiere di acqua di mare e non averci visto dentro alcun pesce.
Ma lo stesso SETI, ed i suoi predecessori, hanno fatto partire una piccola rivoluzione in scienza,
tecnologia a sociologia. Nel corso di 50 anni, la nostra capacità di ricerca di segnali radio è
aumentata diecimila volte di più di quanto non sia aumentata la sensibilità della astronomia ottica
nei 400 anni da Galileo. SETI è anche riuscito a sopravvivere a drammatici tagli di fondi, per
esempio da parte della NASA, e adesso prospera soprattutto grazie a fondi privati. E lo fa attraverso
uno straordinario coinvolgimento del pubblico.
L’enorme potenza di calcolo necessaria per analizzare tutti dati radio raccolti dal cielo è fornita, in
modo entusiastico, da una rete di quasi un milione di PC. Basta scaricare il software che SETI
fornisce come (affascinante) salvaschermo e tutti potremmo, un giorno, essere i primi a scoprire un
segnale extraterrestre. E’ una prospettiva irresistibile per molti.
Nel frattempo, però, l’astronomia da terra e dallo spazio ha scoperto i pianeti extrasolari. Il primo fu
trovato nel 1995 intorno ad una stellina locale qualunque. Attualmente, ne sono catalogati quasi
400, in uno dei più grandi balzi in avanti mai fatti nelle scoperte astronomiche. Oggi abbiamo una
buona visione sull’esistenza di pianeti: sappiamo che sono la norma, e non la eccezione, intorno alle
stelle.
Con cento miliardi di stelle solo nella nostra Galassia, e se molte di loro hanno pianeti, abbiamo
ragione di essere ottimisti sulla possibilità di emergenza della vita da qualche altra parte. E mentre
aspettiamo risultati definitivi da Marte, si accumulano i dati sul materiale organico nello spazio
esterno. E’ oramai routine trovare alcuni dei più importanti “mattoni della vita”, come zuccheri ed
aminoacidi, nei meteoriti ed in ambienti extraterrestri. La NASA ha recentemente riportato sulla
Terra aminoacidi prelevati direttamente nella coda di una cometa.
Si tratta di molecole organiche complesse presenti per caso nella materia dalla quale si è formato il
nostro sistema solare ? Ovvero la panspermia è confermata? Troppo presto per dirlo. L’unica cosa
che possiamo scartare con tranquillità è la teoria della “panspermia guidata” di Francis Crick and
Leslie Orgel. Il premio Nobel per il DNA nel 1973 ipotizzava che “…organismi viventi venissero
deliberatamente trasmessi alla Terra da esseri intelligenti di un altro pianeta.” Cosa che
richiederebbe materia vivente capace di viaggiare fino a noi da un’altra stella. Oggi pensiamo che si
tratti di una proposta non plausibile.
Mentre facciamo progressi significativi sulla apparizione della vita, siamo irrimediabilmente
bloccati nel cercare di capire se e come forme di vita possano diventare capaci di mandare segnali
radio. Finora abbiamo un campione fatto da un solo pianeta, il nostro. Visto da fuori, la prova
concreta è una sfera di onde radio e TV che si espande alla velocità della luce in tutte le direzioni.
Nel secolo che è passato da quando Marconi cominciò ad inviare onde radio, questa sfera ha
inglobato le numerose stelle che distano da noi meno di 100 anni luce. Naturalmente, è diventata
molto più forte nelle ultime decadi: in Italia, la chiamiamo affettuosamente la “bolla di Berlusconi”:
Si può discutere se la pubblicità televisiva sia il messaggio giusto che la nostra civiltà vuole
trasmettere ai nostri vicini galattici. Quello che invece non si può discutere è la frase finale di
Cocconi e Morrison, nello spingerci a cercare di catturare messaggi interstellari: “…è difficile
valutare le probabilità di successo, ma, se non cerchiamo mai, la chance di successo è zero”.