caratteri dell`esperienza giuridica alto- medievale

“CARATTERI DELL’ESPERIENZA GIURIDICA ALTOMEDIEVALE”
PROF. FRANCESCO MASTROBERTI
Università Telematica Pegaso
Caratteri dell’esperienza giuridica alto-medievale
Indice
1
LA CADUTA DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE E L’IDEA DI ROMA ----------------------------- 3
2
PERIODIZZAZIONE DEL MEDIOEVO E SUA UNITARIETÀ SOTTO IL PROFILO GIURIDICO ----- 5
3
LA CHIESA NELLA PRIMA FASE DELL’ALTO MEDIOEVO --------------------------------------------------- 8
4
GERMANI E LATINI: DIRITTO E ISTITUZIONI ------------------------------------------------------------------- 11
5
IL CORPUS IURIS CIVILIS ----------------------------------------------------------------------------------------------- 14
6
TRE FORME DI DIRITTO ROMANO --------------------------------------------------------------------------------- 16
7
LE LEGGI ROMANO BARBARICHE ---------------------------------------------------------------------------------- 18
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 20
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1 La caduta dell’Impero Romano d’Occidente e
l’idea di Roma
L’Impero Romano d’Occidente, com’è noto, cadde con la deposizione del giovane Romolo
Augustolo da parte del barbaro Odoacre nell’anno 476 d.c., data a partire dalla quale non vennero
più incoronati imperatori1. La data del 476 d.c. può essere accettata proprio per questa ragione,
anche se va riferita un’altra tesi che richiama il 568 d.c., anno in cui la Penisola venne invasa dai
Longobardi guidati da Alboino. In effetti ai contemporanei ciò che avvenne nel fatidico 476 non
sembrò eclatante: l’Italia aveva già sofferto di diverse invasioni transitorie di popolazioni barbare,
come quelle degli Unni, dei Visigoti e dei Vandali, e quell’anno il capo degli Eruli, deposto il
legittimo imperatore, non fece nulla di significativo sul piano storico: lasciò che la capitale
dell’Impero Romano d’Occidente continuasse ad essere Ravenna – come aveva voluto Onorio inviò le insegne imperiali all’Imperatrice d’Oriente e si limitò a chiedere per se il titolo di Patricius
romano. Semplicemente l’Italia aveva un nuovo padrone, il quale non venne neppure sfiorato
dall’idea di farsi imperatore o di decretare la fine dell’Impero romano.
Ciò che a tutti dovette sembrare pressoché irrilevante o transitorio, sul piano storico si rivelò
di un’importanza epocale, determinando una delle più evidenti “fratture” della storia. Non si può
negare che ciò che avvenne in quel periodo, in Europa, fu un vero e proprio devastante cataclisma
storico, destinato a produrre i suoi effetti per secoli. Cosa accadde? la caduta della millenaria
civiltà romana in occidente sotto i colpi delle invasioni cosiddette “barbariche”.
Una caduta, tuttavia, molto particolare se si tiene conto del fatto che la romanità da civiltà
concreta – dotata di governo, istituzioni, popolo, diritto, letteratura, cultura, etc. – divenne
un’idea, un modello in grado di condizionare tutto il millennio medievale e radicare i
fondamenti più profondi della cultura occidentale. Questa idea della romanità è stata potente
almeno quanto lo fu l’impero romano, tanto da soggiogare, col suo fascino il mondo germanico. Di
essa se ne impossessò la giovane Chiesa d’Occidente, eleggendo Roma quale capitale del suo
1
Sulla caduta dell’Impero Romano d’Occidente la bibliografia è vastissima. Ecco alcuni titoli per
un primo orientamento: S. Mazzarino, La fine del mondo antico, Milano, Rizzoli, 1995; A.
Schiavone, La storia spezzata, Roma antica e occidente moderno, Roma, Laterza, 1996; E. Gibbon,
Decadenza e caduta dell'Impero romano, Milano, Mondadori, 2002; Azzara, op. cit., 2002; H.
Pirenne, Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo, Milano, Newton & Compton, 2006; P. J.
Heather, La caduta dell'Impero romano, Garzanti, 2006.
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dominio universale e “cristianizzando” vari aspetti di forma e sostanza della romanità. Lo stesso
fece un grande e fortunato capo di una delle tante popolazioni di origine germanica, Carlo Magno,
re dei Franchi, che costituì nella famosa notte di Natale dell’anno 800, con la benedizione del Papa,
il Sacro Romano Impero: un Impero che tracciò una linea di continuità con la romanità fino
all’avvento della Rivoluzione Francese e di Napoleone Bonaparte.
Perché l’idea di Roma fu così potente? La ragione più evidente risiede nel fatto che la
civiltà romana raggiunse un elevatissimo grado di evoluzione - soprattutto per quel che riguarda
le istituzioni e il diritto - di fronte al quale il primitivo mondo germanico non tardò a
manifestare una inevitabile soggezione. Nella grande depressione sociale, politica ed economica
nella quale cadde l’Europa con le invasioni barbariche, l’idea di Roma fu l’unico possibile
riferimento sul quale costruire un nuovo modello di società civile. E’ appunto questa lenta
costruzione della nuova Europa - seguita alla grande distruzione – che caratterizza l’età del
cosiddetto alto Medioevo; una costruzione che raggiunge il suo acme con la creazione del
Sacro Romano Impero e che fu caratterizzata da tre “agenti” principali: 1) l’eredità romana;
2) il mondo germanico e 3) la Chiesa.
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2 Periodizzazione del Medioevo e sua unitarietà
sotto il profilo giuridico
La polemica illuministica ha fatto sì che fino ad oggi al Medioevo nel suo complesso sia
stata negata una specificità culturale autonoma. Sul piano giuridico, ad esempio, tutto ciò che è
emerso nel Medioevo è stato interpretato o come una sorta di volgarizzazione, contaminazione,
deformazione di istituti romanistici, oppure una “illuminata” anticipazione dell’epoca moderna. La
periodizzazione tradizionale, in Italia, distingue l’alto Medioevo (dal V sec. al XI sec.) dal basso
Medioevo (dal XI sec. alla fine del XV sec.). La data di inizio si fa risalire al sacco di Roma del 410
o, più generalmente, come si è detto, al 476, data della deposizione di Romolo Augustolo (ma
qualche autore fa riferimento alla calata dei Longobardi in Italia nel 568). La fine, secondo alcuni è
da individuare nell’anno della caduta dell’Impero Romano d’Oriente (1453), secondo altri nell’anno
della scoperta delle Americhe (1492). Possiamo prendere in considerazione il Medioevo come età
compresa tra il 476 e il 1492 ed accogliere la tradizionale periodizzazione tra alto e basso
Medioevo, distinguendo però – per finalità didattiche - una prima fase dell’alto Medioevo, che va
dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476) alla costituzione del Sacro Romano Impero
(800) e una seconda fase compresa tra i secoli IX e XI (la distinzione tra queste due fasi dell’alto
Medioevo è peraltro praticata generalmente dalla storiografia tedesca). La prima fase è
caratterizzata da un forte regresso della civiltà occidentale: l’economia si riduce al baratto, le città
scompaiono o si riducono a poco più che borghi, prevale la campagna ed il feudo dove è possibile
trovare protezione e sostentamento sottomettendosi all’autorità di un signore. In questo periodo vi è
un’importanza cruciale della Chiesa: i conventi offrono sostentamento e protezione a coloro – e
sono tanti – che entrano nell’ordine ecclesiastico e
diventano luoghi di produzione e di
conservazione della cultura. Gli uomini di Chiesa sono fra i pochi ad essere istruiti e i Vescovi
rappresentano spesso le uniche autorità di riferimento, soprattutto per le domande di giustizia. In
questo quadro la situazione italiana è peculiare: dal 568 i Longobardi diventano padroni della
Penisola, sottomettono i latini e tardano a convertirsi al cristianesimo: a detta di molti storici la loro
dominazione determinerà il ritardo dell’Italia nel processo di integrazione tra l’etnia germanica e
quella latina, necessario per la formazione di una monarchia nazionale. Inoltre, mentre in Francia ed
in Spagna in particolare si formano e si consolidano le monarchie romano-germaniche, dal VII
inizia la pressione degli arabi sulle coste italiane che, determinando l’ insicurezza delle rotte
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marittime, aggraverà le condizione economiche degli abitanti delle coste soprattutto meridionali. La
fine della dominazione longobarda nel settentrione d’Italia e la costituzione del Sacro Romano
Impero
comporterà
la
nascita
della
seconda
fase
dell’alto
Medioevo,
caratterizzata
dall’assestamento dell’Europa dopo il trattato di Verdun dell’anno 843, dalle tensioni tra papato ed
impero che culmineranno con la lotta per le investiture (dal Dictatus Papae di Gregorio VII al
concordato di Worms del 1122) , e dal radicamento della feudalità attraverso rilevanti interventi
legislativi come il Capitolare di Quierzy dell’877 che dispose l’ereditarietà dei feudi maggiori.
Nonostante queste partizione bisogna considerare l’unitarietà dell’esperienza giuridica
medievale2. Nel Medioevo mancavano o erano incompiuti, come ha rilevato Paolo Grossi, lo Stato e
la legge, due elementi oggi assolutamente indispensabili per comprendere il dato giuridico ed
istituzionale: il diritto nasceva dalle cose e, in una dimensione consuetudinaria, assecondava le
esigenze di un mondo profondamente diverso da quello romano e da quello moderno. Forse lo
schema più valido per comprendere questa realtà lontana è quello delineato da Santi Romano3, ossia
la pluralità degli ordinamenti giuridici: non un unico ordinamento ma molteplici ordinamenti
(Chiesa, Feudo, Famiglia, Corporazione etc.) produttivi di norme giuridiche. Questa situazione è
riscontrabile nelle due fasi dell’alto Medioevo ed anche nel basso Medioevo. E’ vero che a partire
dal XII secolo si determinano, sotto il profilo giuridico ed istituzionale, importanti unificazioni (del
diritto e della procedura civile, del diritto e della procedura penale, del diritto canonico, del diritto
feudale, delle basi giuridiche del potere monarchico) ma è anche vero che la storia registra un
notevole cambiamento su piano sociale, politico ed economico destinato a preparare il terreno
all’età moderna. «Non dobbiamo dimenticare – rileva Paolo Grossi - che, proprio per la relativa
indifferenza del potere politico verso il diritto, il momento edificativo dell’ordine giuridico si
contraddistingue per una sostanziale libertà. Al di fuori di programmazioni e sistemazioni
centralizzanti il diritto ritrova anche le sue scaturigini dal basso, la sua natura di scansione
spontanea di un tessuto sociale. Senza più vincoli a rattenerlo amputarlo condizionarlo, torna a
nascere dai fatti e a costruirsi sui fatti. In un mondo dove il potere politico sembra rinunciare al
proprio compito ordinativo sul piano giuridico e dove si sono rarefatti i modelli da osservare, la
sfera del giuridico e quella del fattuale tendono a fondersi, la dimensione della “validità” cede a
quella della “effettività” […]. In un mondo così privo di involucri costrittivi il diritto si colora per
2
In questo senso cfr. P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma 2004.
S. Romano, L’ordinamento giuridico. Studi sul concetto, le fonti e i caratteri del diritto, Pisa, tip.
E. Mariotti, 1917.
3
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una sua decisa “fattualità”: il che non significa dire che nasce dal fatto (che sarebbe osservazione
banalissima), ma piuttosto che il fatto stesso ha qui una carica così vitale da potersi proporre, senza
il consenso di interventi estranei ma alla sola condizione di mostrarsi dotato di effettività, come
fatto autenticamente normativo, rilevando la innata capacità di essere di per sé protagonista dei varii
ordinamenti, dove perviene ad essere fonte in senso formale».
Questo discorso si attaglia benissimo all’epoca dell’alto Medioevo, forse meno a quella più
recente (basso Medioevo) poiché a partire dal XII secolo, in concomitanza con cause di natura
economica, politica e sociale inizia un processo di “legittimazione” e sistemazione in forma scritta
del diritto formatosi consuetudinariamente nell’alto Medioevo dall’incontro tra mondo romano e
civiltà germanica: ciò avvenne grazie all’opera della scienza giuridica incarnata dalle grandi scuole
dei glossatori e dei commentatori. In ogni caso il mondo medievale manifesta una sua unitarietà
sotto il profilo culturale, politico, sociale ed economico e per questo non rappresenta una semplice
appendice del moderno o un’anticipazione del moderno. In merito si può considerare l’istituto
della proprietà collettiva e il concetto di dominium diretto distinto dal dominio utile, espressioni
queste di quell’altro modo di possedere (diverso dal Dominium ex Iure Quiritium dell’epoca
romana e dalla proprietà dei codici napoleonici) di cui parla il Grossi nei suoi studi e che
rispondono ad una realtà socioistituzionale profondamente diversa da quella romana e da quella
moderna. Proprio il cardine del Medioevo, la feudalità, esprime appieno questa diversità medievale,
del tutto incomprensibile con gli odierni canoni ermeneutici relativi ai rapporti intersoggettivi e tra
soggetti e cose: il feudatario, il suffeudatario, il vassallo, fino agli ultimi gradi della gerarchia
feudale, tutti legati tra loro da un rigoroso vincolo di fedeltà, avevano sul bene feudale solo quello
che i giuristi chiamarono dominium utile ma la “titolarità” dello stesso spettava al princeps che
ricorrendo particolari condizioni ne poteva riprendere l’intero dominium. Tutto ciò ci porta a
considerare che questo mondo concepiva diversamente da noi il rapporto con la terra e le cose ed
anche il rapporto tra uomini.
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3 La Chiesa nella prima fase dell’alto Medioevo
La Chiesa rappresenta indubbiamente una delle forze principali dell’alto Medioevo4. Molti
vedono in essa l’artefice principale dell’integrazione tra il mondo germanico e quello romano ma
altri, soprattutto di recente, criticano questa impostazione ritenendola inadeguata5. Fatto è che la
Chiesa si fa portatrice di una visione generale del mondo relativa ad ogni aspetto del vivere umano,
dalla vita del singolo a quella della comunità che, pur derivando dalle tradizioni ebraiche, mostra
una grandissima capacità di adattamento alle diverse realtà. Comunque la Chiesa costituisce un
ordinamento fortemente caratterizzato in senso gerarchico e ramificato nel territorio6: alle
origini c’è il metropolita che provvede a nominare i vescovi della sua provincia, i quali vescovi
sono a capo delle diocesi, nelle quali vi sono le parrocchie. Insomma nell’alto Medioevo,
caratterizzato per lo più dalla mancanza di un forte potere laico – i regni barbarici erano organizzati
in maniera primordiale ed inefficiente – essa si presenta come un’organizzazione stabile che meglio
e più si avvicina all’organizzazione statuale. A ciò si deve aggiungere che gli ecclesiastici, i vescovi
in particolare, studiavano e sapevano leggere e scrivere: in un’epoca come quella dell’alto
Medioevo ciò rappresentava un fonte di potere notevolissima. La Chiesa inoltre, fin dall’editto di
Milano del 313 cominciò a costituire un ingentissimo patrimonio fatto di donazioni di fedeli,
destinato al mantenimento del clero e della gerarchia ecclesiastica. A ciò devono aggiungersi anche
le esenzioni fiscali disposti dagli imperatori e i sussidi periodicamente concessi dagli stessi.
Insomma un vasto patrimonio grazie al quale sorgevano Chiese e Monasteri dovunque in Europa. Il
fenomeno del monachesimo è noto: qui si deve solo dire che i monasteri rappresentavano una sorta
di isole che come i feudi rappresentavano entità politico-economiche, dove in cambio di lavoro e
fedeltà (al feudatario, alla chiesa) si riceveva la terra da coltivare e il pane. Molti ricevevano la
tonsura – primo grado della gerarchia ecclesiastica - appunto per avere protezione e sostentamento.
Ma di quale concezione del diritto si fa portatrice la Chiesa? Essa innanzitutto reca l’idea di
una legge scritta derivata dalla tradizione mosaica, dalla patristica, raccolta in un libro che si deve
venerare. Una visione dunque volontaristica del diritto e una propensione per la scrittura e la
4
Per un quadro generale cfr. C. Azzara, La Chiesa nel Medioevo, Bologna Il Mulino 2009.
G. Astuti, Lezioni di Storia del Diritto Italiano. Le fonti. Età Romano-Barbarica, Padova, Cedam,
1953.
6
M. Caravale, Ordinamenti giuridici dell’Europa medievale, Bologna, il Mulino, 2008.
5
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codificazione delle norme. Per la Chiesa esiste un diritto divino (composto da diritto naturale
divino e da diritto positivo divino) e diritto umano. Il primo era il diritto delle Sacre Scritture e
vincolava tutti, il secondo era invece il diritto composto dalle consuetudini e dai canoni conciliari7.
Il tutto formava il diritto canonico che si rivolgeva a tutti i fedeli in virtù del battesimo ricevuto. Il
problema era che questi fedeli erano anche sudditi dell’Imperatore, o del re. Allora non si poteva
distinguere tra la materia spirituale e quella terrena, così come lontana era l’idea della esclusività
dell’ordinamento statuale, essendovi quella che è stata definita la pluralità degli ordinamenti
giuridici. Grossomodo c’erano delle materie che il diritto canonico regolava universalmente: il
matrimonio, ad esempio,
trova la sua regolamentazione nel Medioevo nei trattati di diritto
canonico.
Altre in cui si applica in via prevalente perché è attivata la giurisdizione canonica e la
questione riguardava soggetti appartenenti alla gerarchia ecclesiastica oppure era sorta in territorio
della chiesa. E così via. A questo proposito va detto che già a partire dalla II secolo d.c. le
costituzioni imperiali costituirono la Episcopalis audientia, ossia un tribunale speciale in cui la
giurisdizione veniva esercitata dal vescovo nei confronti dei sacerdoti e dei propri sottoposti8.
Tuttavia a partire dall’età carolingia (VIII-X secolo) la giurisdizione del vescovo verrà estesa anche
a materie non religiose, nonché ai laici che ne avessero fatto richiesta, consentendosi alle parti di
scegliere concordemente di sottrarsi alla magistratura laica e di affidarsi al loro pastore spirituale.
Una posizione quella della Chiesa che oggi fatichiamo a configurare tenendo presenti i
nostri capisaldi giuridici poiché – come ha rilevato Mario Caravale – manifesta un carattere
duplice: da un lato essa detiene un ordinamento proprio distinto da quello temporale, dall’altro per
concessioni dell’ordinamento laico e per “forza di cose” invade il campo temporale erodendogli
aree consistenti, sia sotto il profilo del diritto sostanziale, sia sotto il profilo del diritto processuale9.
Non a caso, grazie all’estensione della giurisdizione vescovile, si assisterà alla formazione del
cosiddetto processo romano-canonico formato appunto dall’incontro tra la procedura romanoclassica (accusatoria) e quella canonica (inquisitoria). In esso è possibile scorgere una prima forma
di processo misto – un buon compromesso tra il sistema accusatorio e quello inquisitorio – che avrà
7
Cfr. P. Erdö, Storia della scienza del diritto canonico: una introduzione, Roma 1999.
G. Vismara, Episcopalis audientia : l'attività giurisdizionale del vescovo per la risoluzione delle
controversie private tra laici nel diritto romano e nella storia del diritto italiano fino al secolo
nono, Milano, Vita e Pensiero, 1937.
9
Caravale, op. cit.
8
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una certa fortuna nei secoli a venire, finendo per essere in buona parte accolto nelle codificazioni
procedurali napoleoniche.
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4 Germani e Latini: diritto e istituzioni
La prima fase dell’alto Medioevo è caratterizzata dai seguenti elementi: 1) principio della
personalità del diritto; 2) l’integrazione tra i Germani e i Latini; 3) formazione e consolidamento dei
regni romano-germanici e promulgazione delle cd. leggi romano-barbariche10. Per popolazioni
germaniche si accoglie una nozione molto estesa comprendente i gruppi etnici – Goti, Burgundi,
Longobardi, Unni, Alari, Vandali, Alamanni, Turingi e molti altri - le cui invasioni determinarono
il crollo, nel V- VI secolo, dell’Impero Romano d’Occidente e un nuovo ordinamento politico
dell’Europa: pur diversi in molte cose, essi denotano tuttavia dei tratti comuni che consentono una
trattazione unitaria. La caratteristica principale di queste popolazioni era il nomadismo: esse cioè
non erano stabilmente radicate in un territorio ma si spostavano spesso in conseguenza di eventi
climatici (siccità, con conseguenti carestie), sociali (sovrappopolazione) e bellici (invasione di altre
popolazioni sul territorio da loro occupato). Il regno per loro non consisteva in un territorio: il re
era il capo di tutte le famiglie appartenenti al gruppo etnico e non il sovrano di un territorio.
E’ evidente dunque la differenza con il mondo romano, laddove la sovranità si estendeva su di un
territorio e sui sudditi che ne facevano parte. L’organizzazione sociale e politica era molto semplice
e, sotto certi aspetti primitiva: gli uomini liberi (arimanni) erano coloro che combattevano ed
eleggevano nelle assemblee il re ed approvavano per acclamazione i suoi atti più importanti. Essi
erano capi delle rispettive famiglie che a loro volta si raggruppavano in clan gentilizi dotati a loro
volta di un capo (le fare longobarde ad esempio). Così la corte del re finiva per essere composta dai
capi dei clan gentilizi. In questo contesto prevalenza assoluta avevano i vincoli di sangue e i
rapporti personali: la fedeltà alla famiglia, al clan, all’etnia era l’elemento qualificante ogni
rapporto pubblico e privato. Anzi nella loro concezione non vi era differenza tra il pubblico ed il
privato: il privato era pubblico ed il pubblico era privato. Questo tipo primitivo di organizzazione –
che peraltro ritroviamo nella Roma delle origini – derivava dal livello culturale di queste
popolazioni ma era anche reso necessario dalla precarietà della loro condizione: soggette a continue
10
Cfr. C. Calisse, Storia del diritto italiano, in tre voll., Firenze 1903; G. Salvioli, Corso ufficiale di
Storia del Diritto Italiano, vol. II, Napoli 1913; R. Trifone, Le fonti della storia del diritto italiano,
Napoli 1943; F. Calasso, Medio Evo del diritto, Milano 1954; G. Vismara, Scritti di Storia
giuridica, in tre voll., Milano 1987; P. S. Leicht, Storia del Diritto Italiano Milano 1966; E.
Cortese, Il Diritto nella storia medievale. I., L’alto Medioevo, Roma, Il Cigno Galileo Galilei, 1996.
C. Azzara, L'Italia dei barbari, Bologna, Il Mulino, 2002.
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minacce da parte di altre popolazioni e costrette per questo a vagare di luogo in luogo, esse
vedevano nel rapporto personale, nella fedeltà al clan, l’unica fonte di sicurezza e di protezione. La
componente religiosa era molto forte: credevano, in genere, in divinità guerriere che esprimevano
le virtù militari e, come per i romani, intervenivano costantemente negli affari degli uomini, anche
per dirimere una controversia “giuridica”.
Riguardo al diritto troviamo le differenze più importanti ed evidenti rispetto alla
romanità. Dal nomadismo derivava che queste popolazioni si regolavano secondo il cd. principio
della personalità del diritto. Dovunque andavano, in qualsiasi posto capitava che si trovassero,
applicavano il loro diritto: anche quando furono nella posizione di dominatori – dopo la caduta
dell’Impero Romano, lasciarono le popolazioni sottomesse regolarsi col loro diritto, mentre essi
continuavano ad applicare il loro. Ciò, come si può ben capire ha consentito la sopravvivenza del
diritto romano che non fu mai formalmente abrogato: anzi, come si vedrà, i barbari – chi prima,
come i goti, chi dopo come i longobardi – riconobbero il grado di evoluzione del diritto romano e
nelle loro compilazioni o si ispirarono ad esso, oppure lo recepirono nelle forme cd. volgari in cui
lo avevano trovato. In merito è appena il caso di osservare che invece il diritto romano era
essenzialmente territoriale perché si estendeva sul territorio facente parte dell’Impero
Romano.
Ma la concezione stessa del diritto e della legge era profondamente diversa da quella
romana. Se quest’ultima era giunta a riconoscere una dimensione naturalistica al diritto, per la
quale erano del tutto estranei aspetti religiosi, moralistici etc. (si pensi anche alla giurisprudenza
pretoriale degli Editti confluita nel ius honorarium), i “barbari”, invece consideravano il diritto
come un qualcosa di sacro, di immanente e di eterno che veniva a svelarsi in forza di riti nei quali
era la stessa divinità, attraverso i sacerdoti, a rendere giustizia e ad individuare i precetti da
osservare. Si pensi al duello giudiziario: una controversia veniva risolta grazie ad un duello tra i
contendenti nella convinzione che la divinità intervenisse a favore di chi avesse ragione e lo facesse
vincere la sfida. O, ancora, si pensi alla faida – in uso soprattutto presso la popolazioni longobarde
– per la quale un uso antichissimo avallato dalla religione, consentiva l’uccisione da parte dei
parenti del morto ammazzato di un membro del clan cui apparteneva l’omicida.
Per questo,
presso i barbari il diritto non era scritto, ma orale, nel senso che era svelato – come nella
Roma dei primi tempi – dai sacerdoti. Si trattava in massima parte di un diritto consuetudinario
che si era venuto formando secolo dopo secolo nella vita del gruppo etnico. In merito senza dubbio
significativa è la storia della Francia, storicamente divisa in Pays de droit écrit – quelli del sud dove
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il diritto romano, come si vedrà venne recepito nelle compilazioni cd. romano-barbariche – e in
Pays de droit coutumier, i paesi del nord a diritto consuetudinario, caratterizzato dalle antiche
consuetudini germaniche. Solo nel XV secolo, in forza della volontà dei sovrani francesi di creare
un diritto nazionale, si avvierà un processo di scrittura del diritto consuetudinario.
Da un punto di vista istituzionale, i romani concepivano il governo di un territorio, i germani
il governo di un popolo. Alle fondamenta dell’Impero c’era la cittadinanza, mentre le basi del
Regno dei Germani era la natio, l’appartenenza ad un popolo, ad una stirpe. Su queste basi si
regolava anche l’amministrazione. Presso i romani vi era un’evoluta amministrazione con
funzionari imperiali, tra i Germani vi erano gruppi famigliari (Clan) che controllavano un territorio
sulla base di un vincolo di fedeltà con il sovrano, un sistema dal quale – com’è noto – nacque il
sistema feudale.
Le popolazioni germaniche più duttili rispetto all’influenza latina, come Goti e Burgundi,
recepirono nelle loro leggi il diritto romano ma nella forma cosiddetta volgare (ossia non originale
ma derivata da raccolte ed epitomi di giuristi privati). Le principali fonti di diritto romano volgare
sono:
Pauli receptae sententiae Raccolta di massime giuridiche attribuite al giurista Paolo, in
realtà redatta da anonimi compilatori, del III sec. se ne conosce circa la sesta parte attraverso
citazioni successive
Vaticana fragmenta scoperti nel 1821 dal Cardinale Mai, occidentali, opera di un privato
del IV sec. si tratta di scolii e glossemi tratti da scritti dei grandi giuristi imperiali (Papiniano, Paolo
e Ulpiano), e con massime tirate da costituzioni imperiali. E’ una preziosa documentazione del
Diritto Romano pregiustinianeo.
Tituli ex corpore Ulpiani opera istituzionale, forse proveniente da un’epitome delle
istituzioni di Gaio.
Epitome Gai ( Liber Gai ), epitome aggiornata delle Istituzioni di Gaio, molto utilizzata
dai Visigoti, forse anche elaborata e prodotta dai Visigoti stessi, del V sec., compendio in 2 libri
dei primi tre libri delle Istituzioni di Gaio, compare nella Lex romana Wisigothorhum.
Consultatio veteris cuiusdam iurisconsulti. Il titolo è di Cuiacio, è una collezione di
pareri che un ignoto giurista fornisce ad un avvocato configura a volte situazioni astratte.
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5 Il Corpus Iuris civilis
Uomo di modeste origini, grazie alla benevolenza di suo zio Giustino, asceso al potere dopo
la morte di Anastasio nel 518 e grazie ad una congiura di palazzo, Giustiniano poté diventare
imperatore d’Oriente (528). Il suo programma ebbe tre obiettivi: 1) unificazione religiosa, 2)
unificazione politica e 3) unificazione giuridica11. Il promo obiettivo ebbe poca fortuna poiché un
suo decreto volto a conciliare i calcedoniani
e i monofisiti scontentò tutti e risultò un vero
fallimento. Nel campo politico intraprese, grazie ai suoi generali Belisario e Narsete, una campagna
contro i Vandali nell’africa occidentale (534-535) contro i goti nell’Italia meridionale (535-553) e
sempre contro i goti nella Spagna meridionale (554). Riguardo all’Italia – nel 476 d.c. era stato
deposto Romolo Augustolo, Odoacre re degli Eruli aveva restituito le insegne imperiali a Bisanzio e
aveva chiesto per se il titolo di Patricius romano, poi vi era stata la dominazione di Teodorico il
Grande - si può dire che la sua guerra portò morte e distruzione per venti anni nella penisola
riducendola veramente allo stremo, tanto che un gruppo di rozzi guerrieri in fuga dall’est europeo
sotto la pressione dei mongoli, i Longobardi, poté senza fatica conquistarla nel 568 d.c. Ma la
conquista bizantina fu ricca di significati e di conseguenze sul piano politico e giuridico. In ordine a
quest’ultimo punto fondamentale è la promulgazione delle parti del Corpus, forse l’opera
unificatrice più riuscita di Giustiniano. Essa rappresenta la massima espressione raggiunta dalla
romanità (e mai più raggiunta nel Medioevo) della potestà legislativa e ordinatrice nell’ambito del
diritto dell’imperatore: un’opera che può essere paragonata soltanto a quella di Napoleone con
qualcosa in meno (la mancata abolizione del diritto giurisprudenziale) e qualcosa in più (un libro di
istituzioni). Giustiniano non arriva al punto di abolire tutto il diritto giurisprudenziale ponendo
l’esclusività della legge ma comunque procede – attraverso la compilazione del digesto affidata a
Triboniano – alla selezione di tutto il materiale giurisprudenziale fin dai primordi della romanità. E’
un’opera che avendo caratterizzato nel bene e nel male tutto il diritto dell’Europa occidentale per
oltre mille anni è stata oggetto di amore e anche di odio feroce: esaltata dai glossatori e
commentatori bolognesi fu a partire dall’umanesimo esecrata (cfr. HOTMAN, L’Antitribonianus) e
vilipesa: si rimproverava all’Imperatore di aver manipolato la grande giurisprudenza romana,
asservendola ai suoi scopi. Checché se ne pensi, essa resta un caposaldo della civiltà giuridica
mediterranea ed europea che grazie ad essa si è venuta plasmando intorno ad alcuni punti fermi: 1)
11
Su Giustiniano e la sua compilazione cfr. Cortese, op. cit.
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l’idea di un diritto racchiuso in un codice scritto (differenza dalla realtà anglo-sassone); 2) l’idea di
un supremo legislatore; 3) l’idea di un diritto universale. Ecco le parti del Corpus Iuris civilis: 1)
Novus Iustinianus Codex (16 aprile 529, 12 libri suddivisi in titoli, raccolta di costituzioni
imperiali); 2) Digesta seu Pandectae (iniziato nel 530 ed entrato in vigore il 30 dicembre del 533,
50 libri raccolta di precetti giurisprudenziali); 3)
Institutiones Iustiniani sive elementa (21
novembre 533, 4 libri); 4) Codex rapetitae praelectionis (pubblicato con la costituzione corsi il 16
novembre 534 e destinato a rimpiazzare il primo codice); 5) Novellae (provvedimenti successivi di
Giustiniano non inseriti in raccolte ufficiali ma solo in compilazioni private: L’Authenticum,
l’Epitomae iuliani). Il Corpus iuris civilis fu esteso alla parte occidentale dell’Impero con la famosa
Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii del 554 (27 capitoli), dopo la conquista dell’Italia avvenuta
nel 553. L’estensione alla sola Italia, secondo alcuni storici, radicò la differenza tra il diritto romano
della penisola (giustinianeo) e quello dei paesi d’oltralpe (teodosiano). Di Giustiniano va anche
ricordata una costituzione del 529 col quale egli si attribuiva il diritto di interpretare la legge mentre
il divieto dei commenti era stato disposto nel Digesto (De auctore e Tanta) e nel Codex (Summa
Reipublicae). Giustiniano affermava che solo l’interpretazione legislativa aveva efficacia erga
omnes. Al divieto di interpretatio corrispondeva l’obbligo di rivolgersi all’Imperatore tramite una
Consultatio, Relatio, Suggestio, per ottenere la soluzione di un problema interpretativo.
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6 Tre forme di diritto romano
Dunque i latini mantennero il loro diritto e i germani il loro per lungo tempo sulla base del
principio della personalità del diritto. Il diritto dei latini era quello romano, scritto, assolutamente
laico, territoriale per vocazione e formato da leges, ossia da disposizione imperative degli
Imperatori e da Iura, cioè dal ricchissimo patrimonio giurisprudenziale. Abbiamo così raccolte di
Leges come il Codex Gregorianus e il Codex Ermogenianus (fine III secolo) ed infine il famoso
Codex Theodosianus del 438 d.c. esteso alla parte occidentale nel 439 d.c. Riguardo alla
sistemazione degli Iura abbiamo la famosa costituzione di Valentiniano III del 426 che limitava le
citazioni nei tribunali ai soli giureconsulti Gaio, Paolo, Papiniano e Modestino (si noti l’intervento
autoritativo nel campo degli Iura), costituzione che fu introdotta in Oriente da Teodosio II e inserita
nel Codex Theodosianus. Abbiamo anche una serie di raccolte di Iura che costituiranno le basi per
le leggi romano-barbariche e che costituiranno quello che è stato definito il diritto romano volgare:
1) Pauli sententiae, 2) Fragmenta Vaticana, 3) Epitome gai, 4) Tituli ex corpore Ulpiani, 5)
Mosaicorum et romanorum legum collectio. A partire dal VI secolo vi saranno le raccolte di
Giustiniano che confluiranno nel cd. Corpus Iuris Civilis che fu esteso alla parte occidentale
dell’Impero con la famosa Pragmatica sanctio pro petitione Vigilii del 554 , dopo la conquista
dell’Italia avvenuta nel 553. Mentre in Occidente, e soprattutto in Italia, il diritto romano restò fisso
nella raccolta giustinianea e divenne patrimonio esclusivo dei giuristi, fin dall’alto Medioevo gli
imperatori di Bisanzio continuarono a trattare il diritto romano come cosa loro, confezionando
nuove raccolte e tenendo in poco conto la compilazione giustinianea, anche perché questa era
scritta in latino, difficile da comprendere per i Greci. La più importante di queste raccolte fu
portata a termine da Leone il Saggio (886-911) che riuscì a completare un vero codice
rielaborando tutta la legislazione giustinianea – Novelle, Digesto, Codice – e quella successiva. La
raccolta è conosciuta come ta Basilicà (o Basilici) ed è formata da 60 libri. Ebbe un grande
successo soppiantando effettivamente la raccolta giustinianea, eccitando peraltro l’interpretazione
scientifica»12. Così i Basilici rappresentarono il diritto comune per il mondo bizantino, dando vita a
scuole interpretative così come si sarebbe avuto in occidente con la scuola di Bologna. Infatti
«anche i Basilici ispirarono quegli scholia che son l’equivalente delle glosse nostrane». Se i
12
Cortese, op. cit.
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territori italiani sottoposti a Bisanzio seguirono le vicende del diritto bizantino, nell’Italia centrosettentrionale – sottoposta al dominio dei Longobardi fino al 774, poi dei Franchi – il diritto romano
venne applicato dalle popolazioni di origine latina come legge personale e – cosa importante – nella
forma giustinianea. Non bisogna pensare che il sistema delle glosse sia nato nel XII secolo con la
scuola di Irnerio: infatti nell’alto Medioevo si trovano numerose glosse alle Institutiones e al Codex
di Giustiniano. La novità del XII secolo fu dunque l’elaborazione scientifica del Digesto, fino ad
allora pressoché dimenticato. Vanno dunque ricordate la cd. Glossa di Torino, che raccoglie brevi
glosse elaborate intorno alle Ie istituzioni di Giustiniano in diverse epoche; la Glossa di Calamari e
la Glossa di Klon; la Summa perugina, un sistema di glosse elaborate intorno al Codex.
Da questo esame emerge che il diritto romano nell’alto Medioevo si “regionalizzò”
assumendo tre diverse forme: 1) il diritto romano-bizantino nei territori dell’Impero Romano
d’Oriente; 2) il diritto romano-giustinianeo in Italia; 3) il diritto romano-teodosiano in Francia e
Spagna grazie alla recezione – di cui si dirà nel paragrafo successivo - del Codice Teodosiano nelle
leggi dei Goti. Questo tenendo presente che poco o nulla si sa della concreta applicazione della
raccolta giustinianea in Italia e del principio della personalità del diritto per il quale il diritto romano
era utilizzato dalla popolazione di origine romanica mentre quello germanico dai dominatori
“barbari”.
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7 Le leggi romano Barbariche
Alcune popolazioni barbare si mostrarono più docili rispetto alla grandezza della
civiltà romana, ma mancò del tutto un’elaborazione scientifica del diritto poiché i giuristi erano
volti solo ad attività pratiche di tipo burocratico o notarile. In ogni caso troviamo copiose
testimonianze della recezione del diritto romano – nella forma volgare – da parte di alcune
popolazioni come i Goti e i Burgundi13. Ecco le più importanti leggi romano-barbariche:
1) Lex romana-Wisigothorum (o Breviarium Alarici o Breviarium Aniani) del 506
relativa al regno visigoto della Gallia meridionale che regolava, in omaggio al principio
della personalità del diritto, i rapporti tra i soli romani. Essa conteneva alcuni passi del
Codex Theodosianus, qualche costituzione dei codici Ermogeniano e Gregoriano e
alcune parti di opere dottrinali come le Istituzioni di Gaio e le Sentenze di Paolo. I testi
erano accompagnati da un’interpretatio esplicativa. Tale legge, che abrogava tutto il
diritto romano anteriore, si caratterizzava per la sua precettività e distingueva – con
riguardo al diritto penale – due categorie di individui: gli honestiores e gli inferiores.
2) Lex Wisigothorum promulgata nel 654 dal re Recesvindo, divisa in 12 libri, secondo
alcuni era diretta a visigoti e romani superando così il principio della personalità del
diritto. Altri sostengono invece che tale legge abbia semplicemente abrogato la Lex
romana-Wisigothorum.
3) Lex Burgundionum emanata dal re dei Burgundi (della Borgogna) Gundobado tra il
480 e il 502, divisa in 88 titoli metteva per iscritto le principali consuetudini del popolo
ed era diretta solo ai Burgundi. Interessanti le norme sul matrimonio, che era
considerato come un acquisto e sul divorzio, espressamente proibito (in sua vece vi era
l’istituto del ripudio).
4) Lex Romana-Burgundionum emanata tra il 500 e il 533 aveva stesso contenuto e
caratteri della Lex Romana-Wisigothorum, con la differenza che i testi romani erano
stati tutti parafrasati, compendiati e disposti in un organico codice. Ebbe vita breve
perché i romani le preferirono la Lex Romana-Wisigothorum.
13
Cfr. Cortese, op. cit.
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5) Edictum Theoderici da attribuito nel 1579 da Pierre Pithou a Teodorico l’amalo degli
Ostrogoti d’Italia. Tuttavia il Vismara ha sostenuto che tale editto sarebbe da attribuire a
Teodorico II del regno visigoto di Tolosa (453-466)14. Si tratta di un corpo di 154
capitoli contenenti passi dei codici e alcune parti delle sentenze di Paolo.
14
Su questi aspetti cfr. R. Ajello, Origini e condizioni dell’attualità giuridica, Napoli Jovene 1998, pp. 24450, laddove ricostruisce la vicenda storiografica.
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