Premessa L’incredulità, ancora prima dello sgomento, accolse la notizia della promulgazione delle leggi razziali da parte del governo fascista, quasi fosse uno dei tanti ballons d’essai del regime, e increduli erano in primo luogo gli ebrei italiani, soprattutto quanti ormai da più generazioni si consideravano soprattutto italiani. Seppure un certo grado di antisemitismo è sempre stato presente nella polemica e nella propaganda politica del nostro paese, - basti ricordare nell’ Italia giolittiana, le invettive contro “il piccolo ebreo” Claudio Treves - purtuttavia erano molti gli ebrei che dopo l’ emancipazione avevano partecipato attivamente, spesso ricoprendo incarichi di grande responsabilità, alla costruzione dello stato nazionale, prima e dopo l’ unificazione politica. Alessandro D’Ancona, sindaco di Pisa nel 1906-07, ribadiva la propria identificazione politica con la nazionalità italiana, tuttavia, posto di fronte a manifestazioni di antisemitismo riandava alle sue origine ebraiche. Il caso Dreyfus e le persecuzioni contro gli ebrei nella Russia di fine secolo, riavvicinano all’ ebraismo anche gli ebrei assimilati: “Io, - scrive D’Ancona ad un amico, il 10 novembre 1894 - interrogando me stesso, non ritrovo o stilla di sangue o fibra del cuore o sentimento o pensiero che non sia interamente e schiettamente italiano, non mi riconosco alcun residuo semitico, ma la mia natura si ribella quando veggo rivolto ad altri, a titolo di obbrobrio, quel nome [ebreo] che si potrebbe indirizzare anche a me e che la sorte mi ha imposto a mia insaputa...” . E sentirsi ebreo assimilato non significava per D’Ancona rinnegare le proprie origini ma riconoscersi in quel processo storico che insieme all’ unificazione nazionale aveva affermato ideali di libertà e per gli ebrei l’emancipazione. Ma con la crisi dei valori liberali e il riaccendersi dell’ intolleranza, la diffusione delle teorie razziali, pseudoscientifiche od estetiche, sposate ad un nuovo nazionalismo aggressivo, spingono gli ebrei assimilati a rivendicare la propria particolare discendenza. E’ la storia a tenere uniti in una sola identità gli ebrei, almeno finché restando privi di uno stato nazionale viene loro a mancare una geografia. La Grande guerra modifica radicalmente la situazione: il crollo dell’ impero turco e la politica inglese avvicinano la possibilità di uno stato ebraico in Palestina. Il sionismo che è già nato come teoria ha ora la possibilità di tradursi in politica attiva, peraltro sono spesso gli stessi governi delle nazioni che ospitano la diaspora a intravedere nel movimento sionista una soluzione del problema ebraico. Lo stesso Mussolini dopo avere gettato le basi del regime, con l’ avvio della fascistizzazione dell’ apparato statale e burocratico, e aver provveduto a “normalizzare” la situazione imbrigliando l’estremismo fascista, incontrando nel settembre 1926 Chaim Weizmann, presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale e futuro primo presidente della Repubblica d’Israele, offrì il suo aiuto alla colonizzazione palestinese. Dall’ incontro Weizmann ricavò l’impressione che Mussolini non fosse ostile all’ idea sionista quanto piuttosto sospettoso nei confronti degli inglesi che, a suo dire, usavano gli ebrei per contrastare il predominio italiano nel Mediterraneo. Tuttavia il movimento sionista, che pure in Italia rimase minoritario, aggravò la situazione degli ebrei al cospetto delle posizioni politiche più accentuatamente nazionaliste presenti negli altri paesi come in Italia. Se l’ ebreo ha la sua patria altrove, là dove di fatto ormai esiste “un focolare ebraico”, è un corpo estraneo nella nazione che ancora lo ospita e dubbia diventa la sua fedeltà a quest’ultima. Occorrono dieci anni perché il dubbio e la diffidenza si trasformino in aperta ostilità: se nel 1926 per il capo del fascismo un problema ebraico in Italia non esisteva, anzi, proprio per il contributo dato al Risorgimento e alla Grande guerra gli ebrei avevano dimostrato di avere gli stessi sentimenti di tutti gli italiani, nel 1936 Mussolini allontana i collaboratori ebrei da “Il popolo 5 d’Italia” e l’ anno seguente mentre il giornale ospita i primi articoli razzisti, dichiara di essere lui stesso razzista. Per capire il significato della svolta che dà il via ufficiale alla politica razziale - prima di questo momento si erano già distinti come cultori del razzismo e dell’ antisemitismo solo alcuni personaggi che non a caso faranno carriera solo dopo l’adozione della politica razziale, il più noto dei quali, Giovanni Preziosi - è importante ripercorrere, se pur sommariamente, la cronologia del fascismo, avendone presenti le diverse fasi. Una volta giunto al potere il fascismo durerà venti anni e pur mantendo per tutta la sua durata le caratteristiche immutate di un regime totalitario, se non altro perchè non ammette alcuna opposizione, attraversa almeno quattro fasi diverse corrisponenti ai periodi 1922 -1925, 1925 1929, 1929 -1936, 1936 -1943. Se la prima fase è caratterizzata dalla contrapposizione tra gli “intransigenti” (i fascisti che volevano si mettesse fine al compromesso tra fascismo e classe politica tradizionale che aveva permesso peraltro l’ andata al potere di Mussolini) e i “fiancheggiatori” (quanti volevano la “normalizzazione” della situazione politica), con la seconda prende il via la costruzione del “regime”, vengono sciolti tutti i partiti e organizzazioni non fascisti, vengono varate le “leggi eccezionali”, viene reso organo costituzionale il Gran Consiglio del Fascismo, ma nello stesso tempo viene ridimensionato fortemente il peso del partito, tanto da piegare le spinte sovversive dei fascisti più intransigenti. Le ultime due fasi, ci avvicinano alle scelte politiche che danno un senso alla svolta razziale: il ridimensionamento del partito aveva certamente liquidato il vecchio fascismo irrequieto e intransigente ma il senso di questa liquidazione era anche la volontà di fare del partito uno strumento che doveva permeare tutta la società, organizzando il consenso e formando nuove generazioni. Prende il via con la terza fase una politica di massa rivolta in primo luogo alle nuove generazioni: promuovendone la partecipazione ad una nuova “comunità morale” grazie alle rinnovata fede in un futuro migliore per la nazione, il fascismo voleva gettare le basi della sua continuità. E’ all’interno di questo progetto politico che trova una spiegazione l’ adozione di una politica razziale e con il progressivo avvicinamento alla Germania di Hitler, il razzismo antisemita. Rilanciare dunque il fascismo per aumentare intorno adesso il consenso e dunque potenziarne la carica ideologica, nel 1931 Achille Starace diventa segretario del partito e applica scrupolosamente le direttive del Duce, inaugurando quello che è passato alla storia come “staracismo”. 1937 Mentre si viene preparando l’ adozione dei provvedimenti antisemiti, in aprile si scatena la polemica sul libro di Paolo Orano. Orano che è stato direttore dell’ edizione romana del Popolo d’Italia dal 1924 al 1925, ed è ora senatore, pubblica un libro intitolato Gli ebrei in Italia, nel quale, affrontando la questione del sionismo, afferma che un ebreo italiano non può fare professione di sionismo mentre chi si difende dalle accuse degli antisionisti attestando le proprie benemerenze di patriota nelle guerre d’Italia, di fatto sottolinea una condizione di separatezza che non può essere altro che segno di vanità e di orgoglio. Non c’ è insomma via di uscita per gli ebrei che rinnegare la propria ebraicità. La risposta più significativa al libro di Orano compare sul Popolo d’ Italia e può essere letto come l’ annuncio di una svolta antisemita, leggiamo nell’ articolo: “Siamo certi della buona fede degli ebrei italiani. è necessario però che essi , o meglio i loro dirigenti, rinuncino a ogni azione che non sia puramente religiosa. E’ infatti in netto contrasto con il Fascismo la propaganda razzista in seno alla comunità; è assurdo insegnare ai giovani che gli ebrei sono un gruppo a sé, di una capacità intellettuale superiore, che non deve aver nulla in comune con gli altri italiani. Pericolosa propaganda che dovrebbe dare serie preoccupazioni agli stessi autori sol che traessero tutte le conclusioni a cui un giorno il Fascismo potrebbe giungere”. Le conclusioni non si fanno attendere a lungo. Nel frattempo: dal 5 al 12 settembre una delegazione di cinquanta fascisti, con a 6 capo Farinacci interviene al congresso nazista di Norimberga; dal 25 al 29 settembre Mussolini è in visita in Germania; dal 5 al 7 novembre Ribbentrop è a Roma per la firma del patto antikomintern. 1938 Il consenso al fascismo che era andato crescendo anche grazie alla politica di mobilitazione avviata dalla segreteria Starace, e che aveva toccato il suo apice con la guerra d’Etiopia e la conquista dell’ impero, iniziava a dare segni di cedimento con la seconda metà degli anni trenta. Il prestigio dell’ Italia legato al vantato “peso determinante” esercitato in politica estera veniva di fatto ridimensionato dalle modificate relazioni internazionali che non consentivano più molti spazi di manovra. Mentre la guerra andava avvicinandosi e si accorciavano le distanze tra fascismo e nazismo, al regime non restava altro che accentuare la propaganda e ideologizzare al massimo la sua politica per riacquistare in questo modo il consenso anche rispetto ad un’ alleanza, quella con la Germania, che non era così facile da digerire. Dare una coscienza razziale agli italiani diventa, in un primo tempo, parte della “rivoluzione culturale” fascista della seconda metà degli anni trenta (quarta fase); avendo definito la decisione di affrontare la questione razziale, “terzo poderoso cazzotto nello stomaco della borghesia”, Mussolini afferma: “Il problema razziale è per me una conquista importantissima, ed è importantissimo averlo introdotto in Italia.” Soprattutto dopo la proclamazione dell’ impero, la consapevolezza della propria dignità razziale farà sì che non accada più che gli etiopi si ribellino vedendo soldati italiani più stracciati di loro, vivere nei tucul in promiscuità con le loro donne. Successivamente, quando la politica razziale si farà più apertamente antisemita, sarà determinante il progressivo avvicinamento alla Germania e la volontà di assicurare l’ alleato dell’ intenzione di perseguire anche in Italia una politica antisemita. Il 16 febbraio viene resa pubblica l’Informazione diplomatica n. 14. che, dopo aver assicurato che il governo non ha nessuna intenzione di adottare misure contrarie agli ebrei, all’ inizio dell’ ultimo capoverso conclude: “Il Governo fascista si riserva tuttavia di vigilare sull’ attività degli ebrei venuti di recente nel nostro Paese e di far sì che la parte degli ebrei nella vita complessiva della Nazione non risulti sproporzionata ai meriti intrinseci e all’ importanza numerica della loro comunità”. Dal 3 al 9 maggio Hitler è in visita in Italia. In giugno viene in Italia una delegazione dell’ ufficio razza nazista. Il 14 luglio viene pubblicato il “manifesto della razza” al quale segue, pubblicato su “Il popolo d’ Italia” del 26 luglio, il comunicato del partito che dà il via alla campagna razziale. In agosto viene svolto il censimento degli ebrei italiani e stranieri residenti in Italia. Il 7 settembre viene emanato il D.L. contenente provvedimenti contro gli ebrei stranieri . Il 6 ottobre il Gran Consiglio decide la persecuzione. Il 19 novembre la “Gazzetta ufficiale del Regno d’ Italia” pubblica il Regio decreto-legge 17 novembre 1938 n. 1728, Provvedimenti per la difesa della razza italiana col quale si dettavano i principi generali per la preparazione di una normativa persecutoria che andrà progressivamente privando gli ebrei di diritti fondamentali quali la proprietà, il lavoro, l’ istruzione pubblica. 1939 La vita degli ebrei viene sconvolta dall’ applicazione delle leggi razziali. Aldo Zargani, di famiglia ebraica torinese, racconta: “L’8 giugno o forse il 10 del 1939 mio padre venne a sapere all’ improvviso durante una prova, di essere stato licenziato, in applicazione delle leggi razziali, dal suo posto di viola nell’ orchestra dell’ Eiar. Tornò a casa a metà mattina, e io (non andavo ancora a scuola), che correvo e scivolavo senza pensieri sui pavimenti incerati con le pantofoline friulane, lo accolsi raggiante, senza avvedermi del suo aspetto aggrondato. Non capii che stava cominciando tutto, non capii neppure che cosa stava accadendo in quel momento, mentre 7 il papà, senza badare a me, cambiava l’abito di tutti i giorni, affannosamente, con il completo nero, il più elegante, dicendo alla mamma: “...Io adesso vado ai sindacati, e poi vediamo. Non so cosa mi diranno, ma bisogna che ci vada. Se non vado è peggio non ti sembra? Se non protesto oggi stesso, vuol dire che accetto in qualche modo questa cosa. Poi scriverò, ma ora vado e protesto a voce...”. Era molto nervoso e non sembrava disperato, ma intanto era arrivato a mettersi le ghette, aveva passato l’ apposito elastico fino alla giusta posizione, vicino al tacco delle scarpe, e ora cercava e non trovava l’uncinetto che si infila nell’asola, acchiappa il bottoncino e, tirando, lo intrappola nell’occhiello. Allora questo gesto si compiva, esercitati, in modo fulmineo e quasi meccanico: quel sistema antiquato, che richiedeva impegno e concentrazione, era forse l’ antenato manuale delle chiusure lampo e di poco meno efficiente. Il papà cercava con lo sguardo l’ uncinetto col manico d’ argento e non lo trovava sui mobili, nei luoghi dove avrebbe potuto essere, non lo trovava e il nervosismo e la fretta lasciavano rapidamente posto all’ angoscia. Io, piccolo, vedendo l’ arnese caduto sotto il letto, lo raccolsi, servizievole e silenzioso, e glielo porsi, in attesa di ringraziamenti e felicitazioni. Il papà invece, quando lo scorse nella mia mano, pensando che io lo avessi sempre tenuto nascosto mentre lui lo andava cercando, passò dall’ angoscia all’ira e mi diede uno schiaffo. Lui si allacciava le ghette con la punta della lingua in un angolo della bocca, smorfia consueta che lo facilitava nelle imprese di precisione, come infilare le corde nei bischeri della viola o sistemare il ponticello nella giusta posizione traguardando per constatarne la verticalità, e io piangevo in silenzio. Fu in quel punto che apparve il gesto in tutta la sua potenza. Il papà si rialzò, guardandomi dall’ alto torreggiante, poi, quando si svelò di colpo e automaticamente la mia innocenza, prese la decisione di fare ciò che pensava fosse giusto: si inginocchiò, si curvò. mi prese le mani e le baciò, e mi disse: “Ti chiedo perdono, abbi pietà di me. Perdonami”. Un minuto dopo correva giù per le scale con la bombetta in mano, la giacca slacciata, saltando i gradini, preparato e agguerrito nella sua inane protesta.” 1940-43 Il governo si trova da subito di fronte alle difficoltà che insorgono nell’ applicazione della legislazione razziale, prevalentemente in ordine a due ordini di problemi. Il primo, estremamente delicato perché mette in discussione i rapporti con la chiesa, è quello dei matrimoni misti; il secondo deriva dalle complicazioni amministrative conseguenti alla gestione dei beni e dei patrimoni e all’ esercizio delle professioni, dopo che le leggi entrate in vigore nel corso di tutto il 1939 avevano privato gli ebrei sia della proprietà che del lavoro. Senza voler considerare il caos che va crescendo intorno al riconoscimento dell’ “ebraicità” e alla casistica prevista per la discriminazione. E’ in questo contesto che il governo accarezza l’ ipotesi di favorire l’ emigrazione degli ebrei, cercando una soluzione ad un problema che sta aggravando la già difficile situazione politica, a ridosso dell’ entrata in guerra. Si ha così per qualche mese un aumento dell’ emigrazione ma con l’entrata in guerra non è più possibile concedere le facilitazioni economiche indispensabili a favorire il flusso migratorio e nel giro di poco più di un anno tale soluzione viene del tutto abbandonata. Molto più utile all’ Italia in guerra è approfittare degli ebrei presenti e ricorrere alla precettazione civile a scopo di lavoro. E’ questa l’ unica novità legislativa introdotta dal regime fino al 25 luglio 1943. La Repubblica Sociale Italiana Con la caduta del fascismo e la rinascita di un partito fascista repubblicano la condizione degli ebrei era destinata inevitabilmente ad aggravarsi. E ciò per più motivi: innanzitutto gli umori che prevalgono nel partito sono quelli del fascismo intransigente del 1919, che anzi con le ultime 8 vicende celebra la propria rivalsa, avendo il 25 luglio dimostrato l’ inaffidabilità dei fiancheggiatori. L’ intransigenza si traduce anche in un rinnovato nazionalismo, nutrito di temi quali il richiamo all’ onore, la fedeltà ai patti, il cameratismo con gli alleati, il richiamo alla coerenza. E’ facile arguire come da queste premesse potesse derivare la dichiarazione contenuta nel manifesto programmatico approvato a Verona, al momento della ricostituzione del fascismo repubblicano: “Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica”. A ciò si aggiunga, dopo la costituzione della R.S.I., la necessità di reperire risorse economiche e il legame sempre più stretto con i nazisti, all’ ombra dei quali costruisce la sua carriera Giovanni Preziosi, già segnalatosi nella sua qualità di antisemita ante litteram. La nuova legislazione antisemita si riassume nei due atti determinanti per la tragedia che si sta per abbattere sugli ebrei: l’ ordine di polizia n.5 che dispone l’ internamento degli ebrei in campi di concentramento, emanato il 30 novembre 1943; il D.L. 4 gennaio 1944 n. 2, che di fatto sanciva il completo esproprio dei beni mobili e immobili. Col primo si gettano le basi per la consegna degli ebrei ai tedeschi e l’ invio nei campi di sterminio di 7495 ebrei, solo 610 riuscirono a tornare. Con le disposizioni sull’ esproprio la R.S.I. riuscì a incamerare una cifra certamente superiore al miliardo e novecento milioni, indicati in un appunto inviato a Mussolini dal ministro delle finanze il 12 marzo 1945. L’ internamento, ultimo atto E’ ancora Aldo Zargani a raccontare: “Ore 8 del mattino del primo dicembre 1943. Come ogni giorno da quando eravamo tornati a Torino, la cameriera entrò nella stanza con la colazione che ci servì a letto: miscela Frank, caffè di cicoria abbrustolita, con qualche goccia di latte condensato. Sul vassoio c’era anche “La Stampa” per il papà. Con lo schiocco rituale il papà la spalancò, e da quell’ istante si mise a compiere atti e a dire parole che poi comprendemmo essere più che giustificati, ma sul momento fecero restare di marmo la cameriera col vassoio in mano, anzi pallidissima. “Oh Dio, Dio, Dio, Diiiio” gridava mio padre, lanciando in aria con i piedi le coperte, togliendosi la berretta da notte col fiocco, alzandosi, sfilandosi di dosso i pantaloni del pigiama senza preoccuparsi per l’esibizione dei suoi pendagli, lui di solito tanto pudico, e infilandosi i calzoni con ancora addosso la giacca del pigiama e senza mettersi prima le mutande di lana lunghe che portava d’ inverno. Le mutande lunghe e la berretta da notte costituivano, con la croce di guerra e la bronchite cronica, i lasciti della trincea, Grande Guerra, genio guastatori, diciotto mesi sul Carso. “Ma per Dio!” ripeté, togliendosi i pantaloni per infilare le mutande dimenticate. Dal tono si può ipotizzare che l’ ultima invocazione, informale, al Dio personale e trascendente degli ebrei fosse dovuta più all’ incidente accaduto nella vestizione frettolosa che allo stato d’animo, invece tragico, nel quale era precipitato alla vista del quotidiano. Mentre infatti si toglieva la giacca del pigiama, rimanendo per qualche istante in maglia e mutande - roba fine, di prima della guerra, coordinata, che un alone lieve ma indelebile al cavallo e qualche buco di tarma rammendato non riuscivano a guastare - ci intimò con voce strozzata: “Guardate tutti il giornale”. Aveva il tono e la faccia delle occasioni in cui, per una strana conformazione di carattere che deve essere genetica, perché l’ ho ereditata, le brutte notizie sul giornale gli sembravano opera dei suoi famigliari. Ce la passammo l’un l’ altro, “La Stampa” di Torino, io, mio fratello Roberto, la mamma e la cameriera, in silenzio, perché non c’ era molto da leggere né da commentare. L’ intera prima pagina, a grandi caratteri neri, proclamava: “Tutti gli ebrei in campo di concentramento!”, e, sebbene già da settembre fossimo in preda al panico, il nostro stato d’ animo riuscì a peggiorare. Eppure era caduta soltanto l’ ultima illusione, giacché dall’ Armistizio di ostacoli che si frapponessero al nostro assassinio non ce n’ erano più.” 9 10 I documenti pisani I documenti selezionati provengono da tre archivi: università, prefettura e comune di Pisa. I criteri di raggruppamento sono di ordine cronologico e individuano fasi diverse della politica razziale. 1938 - La difesa della razza Si tratta di documenti che illustrano la battaglia ingaggiata dal fascismo per dare agli italiani una coscienza razziale. La partecipazione ai Littoriali della cultura e dell’arte deve servire a mettere in luce le qualità dell’ accademia italiana soprattutto di fronte ai dirigenti dell’ organizzazione tedesca che quest’ anno saranno ospiti di Palermo per seguire la manifestazione degli universitari fascisti. Il nuovo uomo fascista si crea anche dando disposizioni in merito alla condotta che devono mantenere fra loro i dipendenti pubblici: devono essere abolite le strette di mano e l’ uso del “lei”. Così dispone una circolare della presidenza del consiglio dei ministri, datata 2 giugno 1938. Va tutelata anche l’ appartenenza alla “razza italiana” di quanti partecipano a congressi o altre manifestazioni culturali all’ estero, secondo quanto dispone un telegramma del ministro dell’ educazione nazionale, Bottai. E’ sempre Bottai a decidere l’ abbonamento obbligatorio per ogni biblioteca universitaria alla rivista “La Difesa della Razza” che dovrà da questo momento diventare l’ organo ufficiale della battaglia razziale. Intanto si celebra l’opera del genio italiano all’ estero con un’ iniziativa editoriale promossa dal ministero degli affari esteri e si promuove la diffusione della rivista “L’ Idea di Roma” perché “è necessario che ogni italiano, veramente degno del tempo di Mussolini, senta e professi con appassionata intransigenza, e con legittimo orgoglio, che la italica gente la quale ha nella razza italiana la sua tipica espressione corporea, ha sempre avuto in ogni campo dal sapere umano, una sua propria originale costruzione, un suo proprio ordine mentale, una sua inconfondibile espressione, letteraria, artistica e scientifica, tale da renderlo capace di creare e di suscitare sempre quelle correnti di idee, che hanno rappresentato delle basilari conquiste nell’ indefinito progresso del mondo”. Per questo - secondo quanto dettano le circolari di Bottai, del 3 e 25 agosto - solo studiosi di razza italiana potranno d’ ora in poi partecipare a congressi e manifestazioni culturali all’ estero, e, prima di inoltrare le domande per ottenere premi demografici, è necessario accertarsi che il “richiedente e il suo coniuge siano, a prescindere dalla religione professata, di razza italiana. 1938 - Il razzismo antisemita La campagna razziale diventa apertamente antisemita con le prime richieste di informazioni sul numero degli ebrei, di nazionalità straniera , che frequentano l’ università di Pisa. Si tratta della circolare che Bottai invia a tutti i rettori e direttori di istituti superiori il 19 gennaio 1938, con largo anticipo rispetto alla data del censimento ufficiale che verrà svolto in agosto. Il rettore Giovanni D’ Achiardi risponde che sono 290 gli studenti ebrei stranieri attualmente iscritti all’ università di Pisa. La loro sorte verrà decisa nel momento in cui, con l’ entrata in vigore delle leggi razziali, saranno espulsi e rinviati ai paesi di origine. Occorre dimostrare all’ alleato tedesco la volontà di perseguire una politica antisemita: Hitler visita l’ Italia e Bottai dà disposizioni perché si lascino liberi di farlo quanti desiderano partecipare alle manifestazioni di benvenuto, mentre tutti gli edifici pubblici dovranno essere, per l’ occasione, imbandierati con la bandiera nazionale. La propaganda antisemita si rafforza sia vietando pubblicazioni di autori ebrei, sia pubblicizzando il nuovo libro di Paolo Orano, L’Asse Roma Berlino nel pensiero dei due popoli. Con il varo delle leggi razziali sono 19 i professori di ruolo e incaricati, aiuti, assistenti e liberi docenti dell’ ateneo pisano che dovranno 11 essere sospesi dalle loro funzioni. E, mentre in occasione del prossimo viaggio in Italia del capo supremo delle organizzazioni studentesche tedesche, si chiedono fotografie sulla vita universitaria italiana da inviare in Germania per una pubblicazione, il ministro Bottai conferma la decadenza dall’ abilitazione all’ insegnamento dei liberi docenti di razza ebraica. 1938 - Il censimento Il 5 agosto viene annunciato ufficialmente il censimento degli ebrei italiani e stranieri residenti in Italia. La rilevazione prende inizio il 22 e prosegue nei giorni successivi, a distanza di un mese chi è sfuggito al censimento viene segnalato dal podestà di Pisa al prefetto della provincia: è questo il caso di Mario Schauder, polacco di origine e residente a Pisa dal 1937. Sulla scheda del censimento non compariva la voce “razza” bensì “religione”, inoltre erano previste informazioni relative all’ iscrizione al P.N.F. ed eventuali “benemerenze di guerra o di altro genere” delle quali gli ebrei italiani si sarebbero avvalsi nelle richieste di discriminazione. 1942 - Il lavoro coatto Il 6 maggio 1942 viene ordinata la precettazione civile a scopo di lavoro per tutti gli appartenenti alla razza ebraica, anche se discriminati, di età compresa fra i diciotto e i cinquantacinque anni. La decisione è giustificata dalla necessità di impiegare tutte le forze disponibili fino al raggiungimento della vittoria, e di mettere fine al malcontento serpeggiante fra quanti consideravano gli ebrei dei privilegiati, in quanto già esentati dal servizio militare. Si mette in moto la macchina della precettazione con le disposizioni inviate dal prefetto della provincia ai podestà del comune di Pisa, e degli altri comuni dove risiedono gli ebrei compresi negli elenchi preparati allo scopo. 1943 - 1944 - La caccia all’ ebreo. Il sequestro dei beni. L’ internamento Dopo l’ 8 settembre , dopo aver ristabilito a sud di Roma la linea del fronte, l’ estensione anche all’ Italia della “soluzione finale” si traduce nella caccia all’ ebreo condotta insieme da tedeschi e fascisti. Nel frattempo il governo della repubblica di Salò ha disposto l’ internamento degli ebrei in campi di concentramento già da dicembre, come risulta dagli elenchi forniti dalle varie tenenze dei carabinieri alla questura di Pisa che riportano “in oggetto” a volte solo“ebrei” altre invece “ebrei da internare”. Segue la legge emanata il 4 gennaio del nuovo anno che prevede la confisca dei beni: sulla base degli elenchi formati già a partire dal 1938, ma sempre aggiornati, si individuano i beni immobili di proprietà degli ebrei, mentre le banche inviano le informazioni richieste su depositi e titoli. Si predispone il modulo da compilare per decretare l’esproprio dei beni ebraici a favore del demanio dello Stato. Il 23 marzo 1944 il capo della polizia Tamburini invia un telegramma a tutti i capi della provincia dell’ Italia repubblicana nel quale si conferma l’ invio nei campi di concentramento di tutti gli ebrei “puri” tanto italiani che stranieri. Bibliografia utilizzata: M. Moretti, La dimensione ebraica di un maestro pisano. Documenti su Alessandro D’Ancona in Gli ebrei di Pisa (secoli IX-XX). Atti del Convegno Internazionale, Pisa,3-4 Ottobre 1994, Pisa 1998, pp. 241-82; R. De Felice, Storia degli ebrei sotto il fascismo, IV, Torino 1988; M. Sarfatti, 12 Mussolini contro gli ebrei, cronaca dell’ elaborazione delle leggi del 1938, Torino 1994, R. De Felice, Mussolini il duce, lo Stato totalitario 1936-40, Torino 1981; Id. Fascismo, Milano-Trento 1998; A. Zargani, Per violino solo. La mia infanzia nell’ Aldiqua 1938-1945, Bologna 1995. Per le immagini: A.A. V.V. La Menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo dell’ antisemitismo fascista. Catalogo della mostra, Bologna 27 ottobre-10 dicembre 1994, Bologna 1994; A.A. V.V. Gli ebrei in Italia, Storia d’ Italia, Annali 11, Torino 1997. 13 Elenco dei documenti: 1) Lettera di Giovanni Lugo, segretario del G. U. F. “Curtatone e Montanara” di Pisa al rettore dell’ Università, Giovanni D’ Achiardi, 20 gennaio 1938 2) Comunicato dell’ ufficio stampa del G. U. F. di Palermo, sede dei Littoriali che si terranno dal 7 al 14 aprile 1938, s. d. 3) Circolare ministeriale, 14 giugno 1938 4) Telegramma ministeriale, 30 luglio 1938 5) Circolare ministeriale, 6 agosto 1938 6) Circolare ministeriale, 12 agosto 1938 7) Lettera circolare pubblicitaria della rivista “L’ Idea di Roma” s. d. 8) Circolare ministeriale, 3 agosto 1938 9) Circolare ministeriale, 25 agosto 1938 16 Elenco dei documenti: 1) Circolare ministeriale, 19 gennaio 1938 2) Lettera di risposta alla circolare del 19 gennaio, 25 gennaio 1938 3) Telegramma ministeriale, s. d. 4) Circolare ministeriale, 19 maggio 1938 5) Lettera circolare pubblicitaria, 24 settembre 1938 6) Elenco dei docenti ebrei, 24 settembre 1938 7) Circolare ministeriale, 27 ottobre 1938 8) Circolare ministeriale, 19 novembre 1938 30 Elenco documenti: 1) Lettera del podestà di Pisa al prefetto, 21 settembre 1938 2) Scheda utilizzata per il censimento degli ebrei 40 Elenco dei documenti. 1) Lettera del capitano dei carabinieri Nicola Misto alla questura di Pisa, 20 dicembre 1943 2) Lettera del tenente dei carabinieri Oscar Ferrini alla questura di Pisa, 27 dicembre 1943 3) Elenco degli ebrei residenti nella provincia di Pisa, s. d. 4) Elenco degli ebrei che hanno depositi nelle banche, s. d. 5) Modelli in bianco da compilare per attuare la confisca dei beni, s. d. 6) Telegramma del capo della polizia Tamburrini, 23 marzo 1944 60