05 Casanova:Casanova - Accademia Italiana di Scienze Forestali

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FAUNA E FORESTE
GLI ANIMALI SELVATICI DEI NOSTRI BOSCHI
PAOLO CASANOVA (*) - ANNA MEMOLI (**)
TEORIA E PRATICA DELLA PREDAZIONE (1)
In natura la predazione rappresenta uno dei fattori fondamentali per regolare la
densità delle popolazioni animali selvatiche. Tuttavia il rapporto preda-predatore risulta
molto complesso per costituzione (reti trofiche) ed è stato definitivamente alterato dall’Uomo in modo tale da rendere impossibile la ricostituzione, anche parziale, degli equilibri iniziali. Questa situazione ha favorito l’aumento dei carnivori «opportunisti», in particolare Mustelidi, mentre ha penalizzato quelli più «specializzati», tra cui il Lupo. In questo contesto una maggiore presenza del suddetto canide assume un rilievo importante in
quanto può contribuire a una selezione qualitativa di tipo genetico dei grossi ungulati.
Parole chiave: preda-predatore; lupo; predazione; popolazione.
Key words: prey-predator; wolf; predation; population.
PREMESSA
La predazione è uno dei processi fondamentali, se non il principale,
della biologia e ciò per diversi importanti motivi. Vediamone alcuni, assieme a ODUM (1971).
È la principale via attraverso la quale si sposta il flusso energetico che
parte dal primo livello trofico. L’energia, accumulata sottoforma di alimenti
dalle piante, tramite la predazione, si trasferisce, in parte, al secondo livello
(pascolatori) per poi raggiungere il terzo, quello dei predatori. Anche il
pascolo è quindi una forma di predazione, seppure del tutto particolare.
Consente l’evoluzione e la formazione di specie diverse di piante e animali a causa del suo forte potere selettivo coordinato alle diverse interazioni
ambientali. Determina cioè un’accelerazione nel selezionare forme di vita
(*) Docente di gestione faunistica presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali
Forestali
(**) Dottore di ricerca presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali
1
Gli autori hanno svolto il lavoro in parti uguali.
– I.F.M. n. 2
anno 2007
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(vegetale e animale) sempre più adatte all’ambiente in cui vivono; in particolare quando si verificano repentini mutamenti dell’ambiente stesso.
È, infine, la principale fonte degli effetti dipendenti dalla densità degli
individui; effetti che regolano l’accrescimento, positivo o negativo, di quasi
tutte le popolazioni animali e vegetali presenti sul nostro pianeta.
Possiamo definire quindi la predazione come il «meccanismo» fondamentale per l’evoluzione genetica, fenotipica e numerica delle popolazioni
presenti su uno stesso territorio, nello stesso tempo.
TEORIA DEL RAPPORTO PREDA-PREDATORE
Il rapporto preda-predatore fu studiato in modo analitico, anche se
teorico, per la prima volta da due matematici, Alfred J. Lotka e Vito Volterra, che, indipendentemente l’uno dall’altro, giunsero agli stessi risultati,
rispettivamente nel 1925 e nel 1926. I risultati di tali ricerche furono sintetizzati in un sistema di due equazioni: le equazioni di Lotka e Volterra.
Ancora oggi queste equazioni costituiscono il punto fondamentale di riferimento per spiegare i complessi rapporti che intercorrono fra popolazione
predatrice e popolazione predata, anche se, lo ripetiamo, si tratta di un
modello matematico puramente teorico.
La curva di accrescimento, presa come base per la ricerca, è stata quella dell’accrescimento esponenziale che si ha quando una popolazione può
accrescersi senza alcun fattore limitante, con la massima natalità e la minima mortalità; l’equazione di tale curva è data da
dN
= Nr
dt
in cui: N = numero degli effettivi di popolazione e r = tasso di accrescimento; r a sua volta deriva da
r =B−D
dove B (dall’inglese to be born) è il tasso di natalità e D (dall’inglese to die) il
tasso di mortalità: ambedue considerati nella situazione più favorevole per la
popolazione (senza alcuna resistenza ambientale) e quindi del tutto teorici.
Esaminiamo adesso una popolazione predatrice con un numero di effettivi N1 e una popolazione predata composta da N2 individui, ambedue poste
in condizioni ottimali di accrescimento (accrescimento esponenziale), senza
alcun fattore di resistenza ambientale, salvo l’interazione preda-predatore.
In tale situazione, il tasso di natalità del predatore dipende senza dubbio dal cibo disponibile (cioè dalla densità della preda); sarà quindi uguale
a B1N2 dove B1 rappresenta il tasso di natalità massimo (costante) e N2 il
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numero di prede. Il tasso di mortalità invece non dipende dalla densità
delle prede, ma da quelle che sono le caratteristiche biologiche del predatore stesso e pertanto sarà anche questo una costante indicata con D1.
L’accrescimento teorico della popolazione predatrice risulta quindi:
dN1
= (natalità procapite – mortalità procapite) N1
dt
d N1
= ( B1 N2 − D1 ) N1
dt
dN1
= B1 N1 N2 − D1 N1
dt
questa è la prima equazione di Lotka e Volterra.
La seconda si riferisce alla popolazione predata. In quest’ultima la
natalità individuale non dipende dalla densità del predatore ma dalla sua
capacità riproduttiva e verrà quindi indicata dalla costante B2. La mortalità
invece è collegata in modo proporzionale all’abbondanza del predatore e si
indica quindi con D2N1.
d N2
= (natalità procapite – mortalità procapite) N 2
dt
dN2
= ( B2 − D2 N1 ) N2
dt
dN2
= B2 N2 − D2 N1 N2
dt
È molto importante osservare come, nelle due equazioni, il tasso di
accrescimento (B – D) dipenda dal prodotto del numero degli individui
presenti, in modo molto simile al principio dell’azione di massa nelle reazioni chimiche: cioè la velocità di reazione dipende dal prodotto delle concentrazioni delle molecole reagenti. Semplificando al massimo, la velocità
di reazione è proporzionale in modo diretto alla frequenza degli «incontri»
tra molecole la quale, a sua volta, è in funzione del prodotto delle concentrazioni dei reagenti.
In modo del tutto simile, la velocità con cui si evolvono le popolazioni
preda e predatore dipende dalla frequenza con cui l’individuo preda incontra l’individuo predatore, nell’unità di tempo.
Sempre in base alle equazioni di Lotka e Volterra, risulta facile calcolare a quali dimensioni le popolazioni predatore e preda raggiungeranno un
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equilibrio. Per definizione, quando una popolazione è in equilibrio abbiamo
dN/dt = 0 (cioè le morti eguagliano le nascite) e quindi non vi è incremento
numerico. Nella popolazione del predatore, se dN1/dt = 0, avremo N2 = D1/B1
e, in modo analogo, per quella della preda, se dN2/dt = 0, si avrà N1 = B2/D2.
Queste ultime due equazioni generano delle rette se disegnate in un grafico
con coordinate N1 e N2, dette curve di accrescimento zero. Tale grafico (grafico 1), qui riportato da WILSON e BOSSERT (1974), può migliorare molto la
comprensione di come le due popolazioni interagiscono.
Grafico 1 – Schema dell’interazione preda-predatore in base alle equazioni Lotka e Volterra. In alto il
diagramma delle densità correlate delle due popolazioni interagenti. In basso le stesse densità in funzione del tempo. (Fonte: WILSON e BOSSERT, 1974, op. cit., modificato).
– Scheme of the prey-predator interaction on the basis of Lotka and Volterra equations. On top the
diagram of compared densities of the two interacting populations. Down, the same densities according to time.
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Si evidenzia come a destra della verticale N2 = D1/B1 il predatore sia in
accrescimento perché la preda è più abbondante di D1/B1 e quindi il predatore ha una natalità superiore alla mortalità. Spostandosi alla sinistra, si
verifica la situazione inversa.
In modo analogo, la preda si trova in accrescimento sotto la curva N1
= B2/D2 in quanto i predatori sono pochi (meno di B2/D2) e di conseguenza la
mortalità della preda risulta inferiore alla sua natalità.
Il circolo di frecce rappresenta la variazione nel tempo, in modo coordinato, degli effettivi delle due popolazioni. Il grafico in basso evidenzia
invece come le suddette variazioni determinino oscillazioni cicliche costanti
nel tempo.
In teoria quindi il sistema di equazioni di Lotka e Volterra prevede
nelle popolazioni in equilibrio (dN/dt = 0) una serie di oscillazioni cicliche
a intervalli regolari, senza che queste si allontanino molto dall’equilibrio
suddetto.
Nella realtà tale situazione si riscontra di rado perché è difficile avere
un rapporto diretto preda-predatore senza che intervengano altri predatori
o altre prede e perché esistono molte variabili non considerate negli esempi
riportati: ad esempio la territorialità e il tempo necessario per catturare la
preda. L’unico caso documentato di rispondenza, con abbondanti dati e
per lungo tempo, è costituito dalla lince (predatore) e dalla lepre polare
(preda), in Canada, nella regione della baia di Hudson. Il numero delle pellicce delle suddette due specie, ricevute dalla Hudson Bay Company fra il
1845 e il 1935, sembra confermare in pieno la teoria di Lotka e Volterra
(ODUM, op. cit.).
La rarità dei casi reali deve venire ricercata nella eccessiva semplicità
del sistema di equazioni, soprattutto per quando riguarda la dinamica della
popolazione preda.
Questa non si riproduce a velocità costante come nella teoria si suppone; a basse densità si evidenziano infatti difficoltà nell’incontrare il partner
per la riproduzione; a elevate densità invece si hanno tutti i vari fenomeni
collegati alla competizione intraspecifica, all’aumento della mortalità e alla
diminuzione della fecondità (MAYNARD SMITH, 1975).
È quindi più opportuno, e anche più realistico, disegnare la curva di
accrescimento zero, della preda, convessa invece che con una retta, come
viene definita nell’equazione di Lotka e Volterra.
Il grafico 2 è quindi equivalente al grafico 1 solo che nel 2 la curva di
accrescimento della preda è stata disegnata convessa, come sopra ipotizzato.
Per semplicità passiamo all’analisi grafica tralasciando il procedimento
matematico analitico troppo complesso, come spiegato da WILSON e BOSSERT (op. cit.)
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Grafico 2– Rappresentazione dell’interazione preda-predatore (ciclo stabile) come nel grafico 1, ma
con la curva di accrescimento zero della preda disegnata convessa. (Fonte: WILSON e BOSSERT, 1974,
op. cit., modificato)
– Representation of the prey-predator interaction as in graphic 1, but with the zero increase
curve of the prey seen as convex.
Nel grafico 2 si ha un ciclo stabile perché la curva di accrescimento zero
del predatore taglia ad angolo retto la corrispondente curva della preda,
creando quattro situazioni del tutto analoghe al grafico 1. Le frecce, che indicano la direzione dei cambiamenti numerici delle popolazioni, si valutano
allo stesso modo; si muovono lungo un percorso simmetrico in ogni quadrante, creando così cicli stabili nel tempo per ambedue le popolazioni.
Se disegniamo un grafico analogo ma con la curva di accrescimento
zero della preda in gran parte fuori dalla curva del predatore (nel grafico 2,
spostata a sinistra) le due popolazioni tendono verso una notevole stabilità
(ciclo smorzato). La preda non rischia mai di estinguersi perché durante la
fase di accrescimento non viene interessata dalla predazione.
All’opposto, se la curva della preda giace in gran parte dentro la curva
del predatore, si ha una situazione definita esplosiva (ciclo instabile o esplosivo), propria di ecosistemi molto semplici con una sola preda e un solo
predatore; situazione che porterà in tempi più o meno brevi all’estinzione
di ambo le popolazioni soggette a oscillazioni numeriche sempre più ampie.
Infine, l’ultimo caso da considerare prevede una situazione del tutto
simile al caso precedente ma con la possibilità per la preda di «rifugiarsi» in
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un luogo dove il predatore non ha la possibilità di accesso: è il ciclo stabile con
rifugio. Un certo numero di prede si può ritirare nel «rifugio» e quindi sottrarsi
all’azione del predatore. Qui possono riprodursi e uscire solo quando la densità diventa troppo elevata subendo, solo allora, gli effetti della predazione.
La situazione esplosiva del caso precedente può venire quindi corretta
favorendo la formazione di un «rifugio», così che il predatore non possa in
alcun caso sterminare la preda.
In natura quest’ultima situazione appare molto frequente ed è il principale fattore che consente un equilibrio naturale preda-predatore negli
ecosistemi non eccessivamente degradati.
Rimane infine da fare un’ultima osservazione: forse la più importante
per quanto riguarda l’assestamento faunistico. VOLTERRA stesso (op. cit.)
individuò una sorprendente conseguenza delle equazioni del sistema predapredatore. Se un agente esterno, come ad esempio la caccia, distrugge uno
stesso numero di capi delle due popolazioni, la preda aumenterà di numero
in proporzione alla quantità di individui eliminati, mentre, viceversa, il predatore subirà un decremento analogo. In altre parole se si elimina il 50%
delle due specie, o qualsiasi altra quantità purché uguale per preda e predatore, la preda crescerà più rapidamente del predatore.
La spiegazione si ha osservando le due equazioni
dN1
= B1 N1 N2 − D1 N1
dt
dN2
= B2 N2 − D2 N1 N2
dt
il prodotto N1N2 entra nella natalità (B1) del predatore e nella mortalità (D2)
della preda. Qualora si riduca N1 e N2 della stessa misura, l’effetto apparirà
ampliato dal prodotto N1N2 che non in N1 e N2 presi singolarmente. Il predatore ridurrà quindi la sua natalità andando incontro a una progressiva
rarefazione, mentre la preda ridurrà la mortalità di egual misura e quindi
subirà un forte e progressivo incremento numerico. Si avrà così una «forbice» che nel tempo allontanerà sempre di più le due popolazioni da qualsiasi
forma di equilibrio.
LA PREDAZIONE NELLA REALTÀ
L’elemento più importante per le sue conseguenze pratiche, che emerge da quanto esposto, è l’estrema fragilità del rapporto preda-predatore.
L’uomo, una volta turbate le condizioni di equilibrio con le varie attività
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(agricoltura, gestione forestale, caccia, allevamenti, ecc.), dovrà ricostruire
tali condizioni che ben difficilmente potranno venire raggiunte per vie
naturali.
La situazione attuale della nostra fauna, e di quella dei paesi maggiormente antropizzati, ci fornisce le più ampie conferme. Le principali cause,
che hanno inceppato i «meccanismi» di autoregolazione, possono venire
riassunte come segue. Innanzi tutto l’azione diretta (caccia) contro i grossi
predatori che, come tali, rappresentavano, e rappresentano, un grosso pericolo per il bestiame domestico allo stato brado: animali quest’ultimi incapaci di difendersi, che possono venire abbattuti con poco sforzo, e quindi
molto remunerativi dal punto di vista «resa in carne» per la modesta quantità di «lavoro» muscolare impiegato.
La caccia di sterminio non solo ha distrutto i rapporti ipotizzati nel
paragrafo precedente, ma ha determinato l’estinzione di molte popolazioni
di carnivori. Ad esempio, nel nostro Paese, sono scomparsi la lince, l’orso
(salvo un piccolo gruppo nell’Adamello-Brenta e una modesta popolazione
nel Parco Nazionale d’Abruzzo), la lontra e il lupo; anche se quest’ultimo,
negli ultimi decenni, sta riconquistando faticosamente molte zone dell’Appennino favorito dalla sua adattabilità e dall’esodo rurale degli anni ’60
(BOITANI e SACCODATO, 1979). In via di estinzione si possono considerare
anche il gatto selvatico e la martora (CASANOVA et al., 1993).
Sono scomparsi quindi, o stanno scomparendo, soprattutto i grandi
specialisti perché, oltre la caccia di sterminio, la trasformazione degli habitat, propria degli ultimi secoli, ha tolto alle suddette specie qualsiasi possibilità di ripresa numerica. Basta pensare all’aumento della superficie dei
terreni coltivati, alla canalizzazione dei fiumi, alle bonifiche, alle utilizzazioni forestali e infine alla capillare presenza dell’uomo su tutto il territorio
comprese, spesso, le zone montuose dell’Appennino e della fascia alpina.
La sua presenza comporta inevitabilmente un altro elemento destabilizzante: le spazzature, assieme ai ratti che sempre le accompagnano.
I predatori trovano così a loro disposizione fonti alimentari succedanee che contribuiscono in modo determinante a diminuire qualsiasi correlazione fra numero dei predatori e numero delle prede. Quando queste ultime scarseggiano, le popolazioni predatrici si rivolgono alle discariche, ai
rifiuti alimentari lasciati sul territorio, ai topi, ecc. riuscendo a mantenere
elevato il loro successo riproduttivo. I rifiuti alimentari richiedono uno
sforzo minimo per la «cattura»: sforzo più che altro impiegato per allontanare qualche commensale inopportuno (ODUM, op. cit.).
La situazione ora descritta ha influito invece in modo positivo sui carnivori meno specializzati, con ampia capacità di adattamento, come la
volpe, la faina, la puzzola, la donnola e, in parte, come accennato, il lupo.
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Figura 1 – Lupo maschio adulto. I caratteri distintivi principali sono: testa larga, orecchie diritte e
corte, labbra e arcate sopraciliari chiare, coda grossa con pelo folto e non più lunga dei garretti, riga
scura sul davanti degli arti anteriori (riga sciacallina). (Foto P. Casanova).
– Adult male wolf. Its main distinctive characters are: wide head, short and straight ears, light
lips and eyebrow arches, big and thick hair tail, not longer than fetlocks, dark line on the front limbs.
Le popolazioni di mustelidi e di volpe hanno così incrementato notevolmente i propri effettivi fino a diventare invadenti, lasciando poche possibilità di sopravvivenza alle loro prede tradizionali che non possono disporre,
sul territorio, di un «rifugio» nel senso prima descritto. Si è assistito pertanto a forti flessioni nelle popolazioni di starna (scomparse), di fagiano, lepre,
pernice e altre, penalizzate anche da un’assurda pressione venatoria, dall’inquinamento genetico e dalle già ricordate trasformazioni dell’ambiente. La
volpe, ad esempio, ha quasi quintuplicato le proprie presenze rispetto alla
prima metà del ’900, in particolare nelle campagne densamente abitate.
Quest’ultima specie, una volta affrancata dalle prede, è stata ulteriormente
favorita dall’esodo rurale (crollo della mezzadria e della piccola azienda a
conduzione familiare), perché è cessata la caccia senza quartiere (allora
consentita dalla legge) condotta nei suoi confronti dai contadini; osservazione del resto valida anche per i mustelidi prima ricordati (CASANOVA e
FINOTELLO, 1983).
Una situazione del tutto particolare si sta verificando nelle zone
poste in divieto assoluto di caccia come parchi nazionali e regionali, riserve naturali, foreste demaniali, ecc. nelle quali, dopo il ritorno degli ungu-
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lati, si osserva un incremento quasi esponenziale delle nuove popolazioni,
mentre mancano o stentano ad affermarsi quelle del loro predatore naturale: il lupo.
I grossi pascolatori (daino, cervo, capriolo e cinghiale) non sottoposti a
predazioni da parte del lupo, unico carnivoro che li può abbattere, né ad
alcun prelievo venatorio, per vincoli di legge, stanno raggiungendo densità
tali da mettere a rischio la stessa rinnovazione forestale. È il caso del Parco
Nazionale dello Stelvio con il cervo, del Parco Naturale della Maremma
con daino e cinghiale, delle Foreste Casentinesi con cervo, daino e cinghiale, della Foresta Demaniale dell’Acquerino con il cervo e praticamente di
tutte le altre superfici forestali appartenenti al Demanio, poste nell’Italia
centro-settentrionale. Il problema non è di facile soluzione a meno che non
si consenta un prelievo venatorio in deroga basato su appropriati piani di
assestamento faunistico: ipotesi al momento del tutto improbabile, anche se
la più logica.
Le speranze per riequilibrare la situazione ricadono purtroppo tutte e
solo sul lupo ma, per quanto abbiamo esposto nel paragrafo precedente, ci
sembrano speranze mal riposte.
Il primo elemento negativo, e non da poco, è che le popolazioni preda
e predatore, per poter raggiungere un equilibrio, devono evolversi assieme.
Nel nostro caso invece il lupo si insedia su areali in cui le prede si trovano
già al massimo della capacità portante (K) ambientale e oltre. Secondo fattore negativo, anche se l’espressione non è corretta, sta nel fatto che il lupo,
per sua natura, non è un «macellaio». Una volta abbattuta una grossa
preda, non caccia fino a che la carcassa non è stata del tutto spolpata, con
l’eventuale aiuto della sua compagna e dei cuccioli emancipati; a meno che
le «prede» non siano animali domestici, nel qual caso si può avere la strage.
Nella situazione ipotizzata, ci vorrebbe invece un «killer», ruolo non previsto in natura per ovvii motivi di economia energetica. Si ricordi inoltre che
il suddetto canide non si nutre solo di ungulati ma anche di piccoli mammiferi, compresi i ratti e i topi in senso lato, di anfibi, rettili, uccelli, uova,
carogne, frutta, ecc., come spiegato da MOWAT nel suo celebre lavoro Mai
gridare al lupo (1963).
Ancora, una popolazione di lupo, perché possa venire considerata tale,
deve risultare composta al minimo da circa 20 individui in modo da contenere la perdita di geni alleli, che si verifica a ogni generazione (deriva genetica), entro limiti accettabili. Una ventina di lupi possono rappresentare
quattro-cinque nuclei familiari ognuno dei quali necessita, al minimo, di un
territorio pari a circa 200 Kmq (CASANOVA e FINOTELLO, 1984). In altre
parole in Italia non vi è parco o area demaniale che possa contenere una
popolazione, se pur piccola, di questo predatore. Inoltre, il comportamento
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Figura 2 – Probabile impronta di lupo. Da notare la forma piuttosto allungata, le dita laterali inserite
molto indietro e il cuscinetto plantare posto dietro alle dita laterali. (Foto P. Casanova).
– Probable wolf foot print. See the rather elongated shape, the lateral fingers inserted far back,
and the metacarpal pad placed behind the lateral fingers.
territoriale, proprio di tutti i grandi predatori, impedisce al lupo di raggiungere densità tali da controllare, in modo equilibrato, elevate concentrazioni
di prede non territoriali, o poco territoriali, come daino, cervo e cinghiale, a
causa del non sincrono sviluppo delle popolazioni preda-predatore, come
già detto.
Infine, il lupo, o i lupi, cacceranno, se li trovano, di preferenza animali
domestici perché, come si è visto, più redditizi dal punto di vista della resa
in carne. Non dimentichiamo che il suddetto canide può percorrere anche
100 Km in una notte per recarsi dalla tana (dove si trova la compagna con i
cuccioli) nei diversi territori di caccia delimitati alcune volte in prossimità
di allevamenti bradi.
Tutti gli elementi «negativi» ora ricordati possono causare, in determinate situazioni, effetti opposti alla scarsa predazione. Se la popolazione del
predatore e quella della preda si trovano a convivere in un sistema chiuso,
si può verificare un caso simile a quello del ciclo esplosivo con le già spiegate conseguenze. Questo perché né il predatore (es. il lupo) né la preda (es.
daino o capriolo) hanno altre alternative. I casi reali sono più frequenti di
quanto si possa pensare. Superfici forestali di centinaia o anche migliaia di
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ettari delimitate da mare, grandi fiumi, crinali montuosi impervi, autostrade, ferrovie, centri abitati, colture agrarie industriali e quant’altro, possono
nel tempo condurre all’estinzione della preda, in particolare se questa è
molto numerosa (N2 > K).
La scarsa quantità di pascolo determina un indebolimento degli individui (es. daino) che vengono così più facilmente catturati. Al diminuire del
carico delle prede, non si ha quasi mai un altrettanta rapida ricostituzione
della vegetazione pascolata a causa della forte penalizzazione subita. Pertanto continua la situazione di carenza alimentare per la preda che non riesce ad avere un incremento di natalità tale da superare la mortalità dovuta
alla predazione, anche se in regresso, con conseguente estinzione di ambedue le popolazioni.
Da quanto esposto, si potrebbe essere tentati di eliminare definitivamente il lupo, come fattore di equilibrio, per passare a una gestione del
tutto artificiale degli Ungulati (caccia di selezione), dove questo è possibile,
e lasciare le zone protette come si trovano, confidando nell’irradiamento
verso l’esterno degli effettivi delle popolazioni di pascolatori in soprannumero, in modo poi da controllare anche questi con l’attività venatoria.
Sarebbe un grossissimo errore perché non vi è alcuna tecnica venatoria
che possa sostituire in toto la selezione naturale condotta dai predatori,
come ha potuto toccare con mano il governo canadese, negli ultimi decenni, per quanto riguarda il rapporto lupo-caribù. Il lupo sicuramente preda i
soggetti più deboli delle varie popolazioni di Ungulati da lui controllate sia
perché questi possono venire catturati con poco sforzo, sia perché il lupo, o
i lupi, non sono in grado di raggiungere con l’inseguimento soggetti perfettamente sani i quali, sempre e in ogni caso, corrono più veloci del loro predatore (in caso contrario le prede si estinguerebbero molto rapidamente)
(WILSON e BOSSERT, op. cit.). E fino a questo ci si può arrivare anche con
un’appropriata caccia di selezione.
L’obiettivo invece che l’uomo non potrà mai conseguire con qualsiasi
tipo di prelievo venatorio riguarda l’eliminazione di capi perfettamente sani
ma «meno adatti» di altri a vivere nell’ambiente in cui si trova la popolazione: cioè con un genotipo, e quindi con un comportamento, diverso, in
senso negativo, da quello dei soggetti perfettamente integrati. Tale diversità
comporta spesso una maggiore vulnerabilità e quindi una minore capacità
di difesa dal predatore. In altre parole, il lupo non solo mantiene sana la
popolazione predata, ma ne accelera anche l’evoluzione genetica e fenotipica positiva, come accennato in premessa, al pari di tutti gli altri carnivori. Pertanto, in qualsiasi ecosistema l’azione dei carnivori appare fondamentale soprattutto se le loro popolazioni prevedono un adeguato numero
di effettivi.
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Figura 3 – Resti di un capriolo predato nella notte da uno o più lupi. I quarti posteriori sono stati
completamente asportati insieme a tutti i visceri. Rimane parte della testa scarnificata, la colonna vertebrale, brandelli di pelle e un arto anteriore. (Foto P. Casanova).
– Remains of a roe deer predated in the night by one or more wolves. The back quarters have
been completely removed together with all the entrails. Part of the unfleshed head, the spine, skin scraps
and a front limbs have been left.
In definitiva occorrono dei piani di assestamento anche per i predatori: dai più piccoli (donnola, faina, ecc.) ai più grossi come, appunto, il lupo.
La gestione faunistica deve dunque risultare integrata per tutti i livelli trofici, perché esclusioni arbitrarie possono portare nel tempo a gravi inconvenienti anche a carico del primo livello (produttori di alimenti) e quindi
delle foreste.
CONCLUSIONI
L’azione dei predatori assume un ruolo fondamentale nella gestione
delle prede e, anche se da sola non è sufficiente a regolarne la crescita delle
popolazioni, riduce le oscillazioni demografiche delle popolazioni predate
che, altrimenti, sarebbero molto più rilevanti. L’impatto dell’attività dei
predatori risulta più evidente nei sistemi completi; vale a dire quelli in cui
le risorse, le prede e i predatori sono vicini alla capacità portante del sistema. In essi l’azione dei predatori può anche avviare fenomeni di «mortalità
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compensativa» in quanto, come detto, avviene soprattutto a carico di individui deboli che, con ogni probabilità, sarebbero comunque morti.
Inoltre, con la loro attività, i predatori determinano la dispersione sul
territorio delle prede ed evitano la loro eccessiva concentrazione in alcune
aree, con conseguenze negative sulla vegetazione; in particolare sulla rinnovazione agamica dei boschi ceduati.
Affinché l’azione dei predatori possa svolgere il proprio ruolo di fattore limitante delle specie predate, è indispensabile che le popolazioni dei
primi si trovino a densità ecologica e comunque in proporzione alle popolazioni delle prede.
Da quanto detto, appare evidente come una corretta gestione faunistica debba prendere in considerazione sia le specie predatrici (carnivori), sia
quelle potenzialmente predabili (erbivori) ed essere realizzata per grandi
comprensori, capaci di ospitare le popolazioni delle due componenti.
La pianificazione faunistica deve essere strettamente correlata alla pianificazione forestale, per avviare strategie gestionali adeguate alla dinamica
delle comunità vegetali e animali. È quindi necessario ricostruire habitat
forestali in modo da consentire la riproduzione anche dei predatori, favorendo la formazione del sottobosco e regolando la presenza turistica soprattutto in inverno e in primavera.
Per quanto riguarda le utilizzazioni, mentre non c’è alcun limite nel
caso di tagli di curazione, diradamento e sanitari, il problema si pone nel
caso in cui il piano di assestamento preveda interventi massicci su ampie
superfici (tagli rasi, tagli successivi). Sono da favorire invece i tagli modulari
che consentono interventi su gruppi di piante e che, in ogni caso, favoriscono la formazione di un sottobosco composto anche dalla rinnovazione delle
piante abbattute. Si aumenta molto così la superficie ecotonale che è determinante sia per l’offerta del pascolo, sia per l’effetto rifugio su tutte le
popolazioni animali.
Nei complessi demaniali, in gran parte governati a fustaie, si potrebbe
prevedere l’introduzione di piccoli appezzamenti di ceduo nei luoghi con
terreni più superficiali o comunque meno adatti all’alto fusto. Questi cedui,
sempre di modeste superfici, andrebbero ad aumentare le fasce ecotonali,
in particolare se gestiti con turni brevi.
Non crediamo di dire una grossa sciocchezza affermando come, in
questo momento, il destino del nostro patrimonio forestale, soprattutto di
quello compreso nelle aree in divieto di caccia, sia nelle mani non solo del
selvicoltore (ovviamente) ma anche in quelle del tecnico faunistico che
dovrà avvalersi della «collaborazione» del lupo da integrare con adeguate
tecniche di prelievo selettivo.
05 Casanova:Casanova
3 06 2007
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TEORIA E PRATICA DELLA PREDAZIONE
SUMMARY
Theory and practice of predation
Predation is one of the fundamental factors that naturally regulate wild animal
population density. The prey-predator connection is very complex (trophic nets) and it
has been definitely altered by Man, so that it is impossible to restore, even partially,
the initial balances. This situation has favoured the increase of opportunist carnivores
but has disfavoured the more specialized ones, including the wolf. In this contest, a
more relevant presence of this Canidae is very important because it can help a quality
selection of big ungulates genetic type.
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