Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra

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Appunti del corso di
Metodologia della Scienza Giuridica
del Prof. Carcaterra
a cura di Alessandra Lumaca
Secondo trimestre A.A. 2006 – Università LUISS Guido Carli
Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
Prima Parte
Prima lezione
Il corso di metodologia della scienza giuridica si occupa, per quanto concerne la prima
parte, della teoria generale del diritto, trattata nel libro 'Corso di filosofia del diritto',
mentre, la seconda parte attiene all'analisi dei procedimenti argomentativi, la quale verrà
presentata attraverso dei seminari e delle dispense fornite dal professor Carcaterra. Per
quanto concerne la filosofia del diritto, abbiamo a che fare con una disciplina molto antica
che riflette sul diritto e che divenne propriamente autonoma a partire dal settecento, in
Germania. E' difficile definire esaurientemente tale disciplina, in quanto, può presentarsi
sotto diverse interpretazioni a seconda del significato attribuito al diritto stesso. In ogni
caso, i suoi spazi di ricerca sono tre:
i)il diritto nella sua oggettività ed universalità, il quale ci porta a studiare con prevalenza i
concetti giuridici fondamentali e costanti.
ii)la teoria della giustizia che riporta al filone di ricerca più antico e complesso
riguardante la filosofia in genere e corrispondente alla domanda:'' che cosa è il diritto?''',
e più precisamente ''che cosa è, in generale il diritto positivo o vigente)''.
iii)la metafisica del diritto, disciplina che studia il ruolo del diritto all'interno della vita
degli uomini e risponde alle seguenti domande:''1.qual'è il fondamento ontologico del
diritto?2.perché il diritto è una costante di riferimento nella vita sociale dell'uomo?3.quali
sono i rapporti fra il diritto e le altre strutture attraverso le quali gli uomini vivono
organizzandosi?
La domanda fondamentale alla quale inizialmente dobbiamo rispondere è che cos'è la
metodologia di una scienza? La metodologia di una qualsiasi scienza è il modo in cui la scienza
stessa opera; gli strumenti di cui si serve. Questo discorso si può fare per qualsiasi scienza,
prendiamo in considerazione, per esempio, la fisica; disciplina nella quale si presentano una serie
di problemi, ai quali, lo scienziato cerca di trovare una soluzione. Per risolvere un problema di
fisica, lo scienziato lavora, agendo concretamente e senza enunciare o riflettere su ciò che ha
fatto, una volta che ha compiuto una determinata operazione. La riflessione è solo successiva e
non rientra nella sfera d'interesse dello scienziato, bensì è compito della metodologia. Quando
uno scienziato, per esempio, si occupa del cambiamento di temperatura di un metallo si
comporta in questa maniera:
i)in primis, si rifa ad una legge fisica come, in questo caso, alla legge di dilatazione termica, la
quale presenta una forma caratteristica; una particolare struttura logica..
Se A.. allora B..
( ossia, se il metallo A è stato sottoposto ad un aumento di temperatura, allora questo subirà
conseguenzialmente una dilatazione). N.B. Naturalmente all'interno di questa determinata
struttura logica vengono utilizzati e presupposti alcuni concetti tecnici, come il concetto di massa,
volume, etc.
Nella scienza giuridica, il procedimento seguito è del tutto simile. In effetti, anche in questo
disciplina, abbiamo la necessità di risolvere dei problemi ed in particolare, quello riguardante
l'obbiettivo finale della scienza giuridica stessa, ossia l'applicazione al caso concreto. Il diritto
partendo da certi fatti, si domanda, quali conseguenze giuridiche scaturiscono dagli stessi(
domanda del Quid iuris). Ma che cos'è propriamente il diritto? Bisogna precisare che la parola
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'diritto', risulta essere alquanto ambigua dal punto di vista terminologico ed a seconda di come
si usa, presuppone esiti del tutto differenti. Per esempio, nella frase ''nell'attuale diritto
italiano, i cittadini hanno diritto all'assistenza'', nel primo caso, si coglie il diritto nel suo
insieme, parlando propriamente di diritto
oggettivo, mentre, nel secondo caso, si fa
riferimento alla posizione soggettiva interna di un diritto, ossia il diritto soggettivo. Inoltre,
per quanto concerne la domanda sopra presentata, che, come abbiamo specificato, rientra
nell'ambito del diritto oggettivo, si possono dare tre risposte che rientrano in tre concezioni
differenti:
i)le concezioni giusnaturaliste..
Secondo tali concezioni non positivistiche, il diritto viene presentato come un insieme di
principi ideali, che esistono a priori prima di qualsiasi atto umano; ossia l'insieme dei principi di
giustizia che sono desumibili dalla natura dell'uomo o delle cose. Le leggi non sono imposte agli
uomini, ma sono negli uomini, ossia sono connaturati alla loro natura. Dunque, essa definisce il
diritto giusto ma non quello positivo o vigente. Si tratta, in ogni caso, di una concezione
antichissima che rimanda a Platone, Aristotele ed agli stoici, che ha avuto successo anche nel
medioevo grazie San Tommaso e che si lega ad altri nomi importanti come quelli di Hobbes,
Grozio, Rousseau, Locke e forse Kant, anche se probabilmente sarebbe meglio definirlo un
giusnaturazionalista. Concezione nella quale, la stessa teoria generale ha trovato le sue prime
formulazioni ma che, tuttavia, nella definizione del diritto oggettivo, ha poi lasciato il posto ad
altre teorie.
ii)le concezioni sociologiche..
Secondo le concezioni sociologiche, le quali accusarono di astrattezza la concezione
normativistica, il diritto consiste in fatti sociali concreti. Anche qui non esiste una sola
concezione sociologica del diritto, ma diverse dottrine di ispirazione sociologica, delle quali le
più note sono l'istituzionalismo e il realismo giuridico.
2.1.Istituzionalismo.
L'istituzionalismo identifica il diritto come il fatto sociale per eccellenza, la stessa società
organizzata. Diritto e società vanno sempre insieme, ubi ius ibi societas e viceversa. Le norme,
non sono, dunque, secondo questa teoria, la prima fonte della giuridicità, perché, a loro volta,
esse sono creature ed elementi di una istituzione. I principali esponenti dell'istituzionalismo,
furono Santi Romani , professore di diritto amministrativo ed il francese, Hariou. La
concezione istituzionalistica ha permesso di superare la concezione statalistica del diritto
elaborato da Hegel( se c'è un diritto, c'è uno Stato e viceversa), la quale fuori una gran parte
del diritto stesso e di introdurre il concetto di diritto internazionale. In effetti, una volta
affermato, con la teoria istituzionalistica, che dovunque c'è una società organizzata, li c'è pure
un diritto oggettivo, segue che, poiché ci sono società organizzate che non sono degli stati. Ci
saranno forme di diritto non statuale. La dottrina istituzionalistica ha avuto una certa fortuna ,
specialmente nell'area del diritto pubblico e del diritto del lavoro.
2.2.Realismo giuridico..
Sorse all'inizio del novecento per opera di vari filosofi e giuristi(da ricordare è Holmes, anche
giudice e presidente)soprattutto negli Stati Uniti, mentre con scarsa diffusione nell'Europa
continentale. Il diritto non è la società nel suo complesso, ma quel fatto sociale costituito dal
comportamento del giudice. Il diritto, come diceva Holmes, altro non è che l'insieme delle
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sentenze emesse dai magistrati, cosicché conoscere il diritto è prevedere, in ciascun caso
concreto, quella che potrà essere la decisione del giudice. . Nell'ambito dell'Europa
continentale, il realismo giuridico non è stato mai applicato isolatamente ma sempre sintetizzato
con il normativismo.
iii)le concezioni normativistiche..
Il diritto è considerato come un insieme di norme, un ordinamento normativo, per lo più deciso
da determinati soggetti od, in alcuni casi, da consuetudini. Anche nelle concezioni sociologiche,
si parla di ordinamento, ma limitatamente di ordinamento sociale. Il punto di vista che
caratterizza il normativismo è contenuto in quello che si può chiamare principio di normatività,
secondo cui, la fonte delle qualità giuridiche e della giuridicità di un fatto è solo una norma. Ma
che cos'è una norma? A questa domanda, la risposta varia, all'interno del normativismo; eppure
un concetto generico comune c'è ed è che la norma è una proposizione prescrittiva. Il
normativismo è probabilmente la concezione più diffusa, sia tra i filosofi del diritto, sia nella
scienza giuridica italiana ed europea. Il normativismo, comunque, non rappresenta un'univoca
concezione ma una corrente di pensiero al cui interno si sono mosse, su molti punti in contrasto
fra loro, diverse concezioni più particolari, attraverso la cui dialettica hanno ricevuto
approfondimento e chiarificazione, i concetti di norma, ordinamento e le condizioni specifiche
della positività del diritto.
Riflessioni. Ognuna delle tre concezioni ha una propria validità, cercando di risolvere, ognuna a
proprio modo, il problema ontologico del diritto. Per chiarire le differenze fra le varie teorie, si
può far riferimento a Karl Popper, il quale ha distinto tre mondi, che chiama mondo 1, mondo 2 e
mondo 3. Il mondo 1 è il mondo dei fatti e degli oggetti materiali, il mondo 2 è il mondo degli atti
e degli stati mentali e il mondo 3 è il mondo dei contenuti oggettivi della coscienza. Si può dire
che mentre le teorie sociologiche tendono a spiegare il diritto come fatto del mondo 1, le teorie
normativistiche coinvolgono nella loro spiegazione tutti e tre i mondi popperiani. Si può notare
che la concezione normativistica recupera delle concezioni sociologiche gli elementi essenziali, il
riferimento ai fatti storici e sociali e alla loro dinamica, ma li utilizza come condizioni non della
giuridicità bensì della positività degli ordinamenti. Perciò, la concezione normativistica si muove in
un orizzonte ontologico più ampio delle concezioni rivali. Il concetto di norma, in effetti, è un
presupposto che, sebbene non consapevolizzato, sta alla base della stessa concezione
istituzionalistica, e in questo senso il normativismo è compatibile e al tempo stesso fondamentale
rispetto all'istituzionalismo.
Principi essenziali del normativismo. La norma non è solo il contenuto, ma il fondamento del
diritto stesso. Dire che un comportamento è obbligatorio, significa che c'è una norma che lo
vieta ed i principi normativi,esistono solo dopo la creazione delle norme; se gli attributi giuridici
di un oggetto dipendono da una norma, vuol dire che senza e prima della norma l'oggetto era
privo di quegli attributi (principio di storicità). Ma cos'è una norma? La norma è una
proposizione; in effetti, il carattere della semanticità è tipico delle proposizioni, queste hanno
un contenuto che si riferisce a certi oggetti. Ma cos'è una proposizione ? Comunemente, una
proposizione viene definita come un insieme di parole( enunciato) dotate di un certo
significato. Enunciato e significato non solo la stessa cosa, anzi sono un po' come anima e corpo,
e possono distinguersi, in quanto, un enunciato può avere più significati ed enunciati diversi
possono avere lo stesso significato. Ma con quale di questi elementi coincide la norma? Secondo
lo stesso senso comune, la norma si identifica con il significato. Le norme perciò, in quanto
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entità che dicono, sono essenzialmente significati enunciabili (principio di esprimibilità): norma
è un certo significato, espresso in qualche enunciato legislativo, ma non necessariamente
espresso, bensì esprimibile, in quanto questo significato può essere manifestato anche
attraverso comportamenti.
I generi proposizionali sono tuttavia molteplici: a quale genere di proposizioni appartiene la
norma?
i)le proposizioni descrittive
Per secoli, la proposizione descrittiva è stata considerata la proposizione per eccellenza.
Queste servono per esprimere una conoscenza e sono le uniche che possono essere valutate
vere o false. Di solito si esprimono all'indicativo, ma non sempre e non necessariamente. La
norma, però, non può essere una proposizione descrittiva in quanto, questa afferma che la realtà
ha certi caratteri oggettivamente ed indipendentemente dall'affermazione che la proposizione
stessa ne compie; mentre, una norma, al contrario, è tale che la realtà acquista certi caratteri,
proprio in dipendenza del fatto che la norma si riferisce a quella realtà.
[momento della conoscenza] – SCIENZA
ii)le proposizioni espressive
Le proposizioni espressive contengono gli stati d'animo e ne suscitano altri nelle altre persone e
sembrano non rispondere alla natura delle norme.
[momento del sentimento] – ARTE
iii)le proposizioni prescrittive.
Le proposizioni prescrittive , le quali indicano quello che dobbiamo fare, espresse a volte in
imperativo, anche se non necessariamente, sembrano corrispondere alla natura delle norme.
Inoltre, bisogna considerare che abbiamo diversi tipi di imperativo( la supplica, la preghiera, la
raccomandazione, l'istanza ed il comando).
[momento della volontà] - AZIONE
iiii)le proposizioni interrogative
Queste proposizioni sembrerebbero risolversi nelle prescrittive.
N.B. Le norme devono dirigere il comportamento umano, ci indicano cosa dobbiamo fare, ma non
esistono solo norme prescrittive, basta pensare a quelle norme, relative all'organizzazione della
società.
Per quanto concerne gli strumenti, la scienza giuridica si serve di:
i)leggi. Le leggi giuridiche si ricavano dall'osservazione del diritto. Ma che significa
'osservare' il diritto? Se si concepisce il diritto secondo la concezione sociologica,
ricaviamo le leggi giuridiche molto similmente a quelle naturali. Per cui dire che esiste un
danno, osserva come la società reagisce a quest'ultimo; osservazione per lo più di carattere
approssimativo e statico. Se, invece, 'osserviamo' il diritto seguendo la concezione
giusnaturalistica, risarcire un danno viene vista come la cosa giusta da fare. Nell'ultimo
caso, infine, dire che esiste un risarcimento del danno presuppone l'esistenza di una norma
che lo esige.
ii)concetti tecnici giuridici . I concetti giuridici sono tanti, ma fra i tanti, bisogna compiere
una distinzione:
2.1.i concetti giuridici variabili, sono quei concetti che cambiano da un ordinamento all'altro
e possono presentarsi o no(es. Parlamento o concetto di schiavo).
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2.2.i concetti giuridici costanti sono quelli di cui la scienza giuridica se ne serve
sempre(concetto di potere, obbligo, diritto, legge, organo, potere, etc.).
2.3.i concetti comuni, quelli che sono connaturati al concetto stesso di diritto.
iii)procedimenti logici. La logica giuridica si serve di due principali modi di ragionare:
3.1. per deduzione( se pensiamo al diritto come insieme di principi ideali, utilizziamo questo
metodo)
3.2. per induzione( se pensiamo al diritto come fatto sociale, utilizziamo l'induzione pura o
statistica).
Se pensiamo al diritto come un insieme di norme, induzione e deduzione s'intrecciano,
ponendosi il problema dell'interpretazione del testo giuridico.
Seconda lezione
''La forza della legge sta nel comandare''
Questa frase di Modestino, esprime una concezione preesistente nel pensiero giuridico, la quale
seppur sempre presente nella mente umana, ha trovato un'organizzazione sistematica solo in
tempi più moderni, con THON ed AUSTIN.
Introduzione al normativismo
Come abbiamo già accennato, il normativismo considera il diritto come un insieme di norme e da
ciò deriva il fatto che le questioni fondamentali affrontate dal normativismo stesso sia, per
l'appunto, 1.il concetto di norma, 2.il modo di considerare l'origine della norma e 3.l'analisi dei
rapporti che sussistano fra le stesse. Quindi, in sintesi, possiamo dire che il presupposto del
normativismo è la norma, la quale conferisce giuridicità a qualunque cosa.
Tripartizione del normativismo
Il normativismo si suole suddividere in tre momenti:
i)il primo, volontaristico, il quale rimanda a JOHN AUSTIN ed alla sua concezione di diritto
come un insieme di comandi che scaturiscono dalla volontà di un sovrano.
ii)il secondo, formalistico, facente riferimento a KELSEN, secondo il quale la norma deve avere
una struttura determinata... SE C'E' A..ALLORA DEVE ESSERCI B..(struttura duale).
iii)il terzo, realistico, il quale ci ricollega a OLIVERCRONA, ROSS e HART.
AUSTIN
(Allievo di BENTHAM, considerato il padre dell'utilitarismo.)
1.1.distinzione fra diritto positivo e naturale
AUSTIN, ogniqualvolta parla di diritto intende il diritto positivo, ossia l'insieme delle regole
stabiliti da superiori politici., il quale si distingue nettamente dal diritto naturale.
N.B. Per diritto naturale, s'intende l'insieme di quelle regole o leggi, considerate collettivamente o in
massa, legge divina o legge di Dio.
1.2.La legge come comando
In particolare, AUSTIN, precisando il concetto di legge afferma: una legge è un comando, e un
comando è l'espressione di un desiderio accompagnata dal proposito di infliggere un male, la
sanzione, nel caso che il desiderio non venga soddisfatto; è nella soggezione alla possibilità di
questo male che consiste l'essere ''obbligato''.
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N.B. Un comando si distingue da altre espressioni di desiderio non per la forma nella quale il desiderio
vien manifestato, ma per il potere ed il proposito, da parte di chi comanda, di infliggere un male o una
sofferenza nel caso che il desiderio non venga soddisfatto. Per cui, essendo soggetto a un male se non
ottempero alla volontà espressa da qualcuno, io sono vincolato o obbligato dall'altrui comando, mi trovo
di conseguenza nel dovere di obbedirgli. COMANDO e DOVERE, quindi, sono termini correlativi; il
significato dell'uno è implicito o presupposto nell'altro. HART critica profondamente tale aspetto
della teoria normativistica, affermando che nessun sistema può reggersi sull'abitudine
all'obbedienza.
Seguendo il medesimo ragionamento, AUSTIN presenta il diritto come a)un insieme di comandi,
b)assistiti da sanzioni coattive, emanati direttamente od indirettamente dal c)sovrano.
a)Il comando è una prescrizione di carattere particolare, la forma più forte; prescrizione che è
accompagnata dalla minaccia di un male in caso di violazione del comando stesso. b)Questo male
è la sanzione, la quale è coattiva, in quanto può esser fatta valere anche attraverso l'uso della
forza. c)Insieme di comandi che non sempre sono emanati direttamente dal sovrano, ma possono
esserlo anche indirettamente , ossia dalle autorità dipendenti dal sovrano stesso; gerarchia
dei comandi che, perciò, direttamente od indirettamente culmina nella figura del re.
N.B. Questa teoria della gerarchia dei comandi non venne trattata in materia esauriente da Austin e
proprio per questo, BRYCE, uno dei suoi commentari, cercò di spiegarla ed esplicitarla attraverso
questo racconto.
In un comune si richiede al possessore di una casa di pagare una imposta per la pavimentazione
stradale. Egli domanda perché debba pagarla, e lo si rinvia alla risoluzione del consiglio comunale che la
impone. Egli allora chiede quale autorità abbia il consiglio comunale per esigere l'imposta, e los i rinvia
alla sezione della legge del Parlamento da cui il consiglio deriva i propri poteri. Se egli spinge oltre la
sua curiosità quale diritto abbia il Parlamento per conferire questi poteri, l'esattore dell'imposte può
solo rispondere che ognuno sa che, in Inghilterra, il Parlamento fa le leggi, e che, per legge,
nessun'altra autorità può ignorare o interferire in qualche modo, con l'espressione della volontà del
Parlamento, il quale è Sovrano.
Concezione imperativistica di Austin
Ogni legge positiva è posta da un sovrano individuale o collettivo, per uno o più membri della
società politica indipendente nella quale costui o costoro sono sovrani.
N.B. Per società politica ed indipendente, s'intende quella società che si viene a creare quando un
determinato superiore umano, che non abbia a sua volta l'abitudine di obbedire a un altro superiore,
riceve abituale obbedienza dalla maggior parte degli altri uomini di quella data società( necessarietà
della concorrenza di questi due tratti, uno negativo e l'altro positivo). Sicché l'obbedienza abituale non
sia resa dalla maggior parte dei suoi membri, e non sia resa da costoro a uno e uno stesso superiore, la
società in questione o si trova nello stato di natura o anarchia oppure è divisa in due o più società
politiche indipendenti.
Ma chi è questo sovrano? Egli può essere i)il re, ii)un'assemblea come il Parlamento, o meglio, in
Inghilterra, il re con il Parlamento o iii)il popolo.
In generale, il sovrano è il soggetto che in un certo ambiente sociale è il più forte; egli
disconosce qualsiasi autorità superiore e questo significa, anche, che è sottratto da ogni legge(
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''il re fa le leggi, ma la legge non fa il re) E' un soggetto al quale la società generalmente ed
abitualmente presta obbedienza, ma che, da parte sua, non ha l'abitudine di obbedire ad altri
esseri umani. Quindi, il suo potere deriva dalla sua forza politica e militare, e non giuridica.
N.B. Nella teoria imperativistica di Austin, il concetto di sovrano e di norma, intesa come volontà del
sovrano, sono stati fortemente attaccati e rifiutati, in quanto non corrispondenti alla realtà.
Il sovrano è presentato come ''legibus soluto'', ma di fatto ciò non va.
iii)Prendiamo il caso del popolo. Il popolo chi è, se non il destinatario delle leggi. Alcuni sostengono che
quest'ultimo non sia il destinatario delle leggi quando eserciti la propria sovranità, attraverso le
elezioni o la scelta dei rappresentanti. Ma tutte queste operazioni come possono avvenire al di fuori
delle leggi?!Da ciò deduciamo, che il popolo non è legibus soluto.
ii)Prendiamo il caso dell'assemblea, come farebbe questa a funzionare senza delle leggi?Così, arriviamo
alla stessa conclusione di prima.
i)Infine, prendiamo in considerazione il Tiranno; anche in questo caso, non tutte le volontà del sovrano
diventano leggi, prima di tutto dalle sue volontà possono scaturire solo leggi di ordine pubblico ed
inoltre, ciò non avviene necessariamente sempre.
Per cui, in conclusione, ogni ente se ha carattere giuridico, lo deve ad una norma; ma, come abbiamo
detto, la teoria imperativistica, sosteneva che il sovrano fosse al di fuori di ogni legge ed in tal modo,
si veniva a creare una contraddizione insolubile al vertice dell'ordinamento fra la teoria
imperativistica ed il principio di normatività.
Concetto di comando
I comandi non sono che la volontà di coloro che ci governano e le norme scaturiscono
necessariamente dalla mente degli uomini e coincidono con la volontà del legislatore.
N.B. Anche quest'affermazione di Austin non coincide completamente a realtà. se così fosse non si
riuscirebbe a spiegare l'esistenza e la durata delle leggi; ce ne sono alcune che sono state approvate e
volute cent'anni fa ed ancora oggi esistono. Quindi, le leggi, seppur nascano dalla mente dell'uomini, non
possono coincidere con la volontà psicologica degli stessi, in quanto questa decade, mentre le leggi no.
In effetti, una volta venutesi a creare, quest'ultime si oggettivizzano, acquistando un significato
proprio ed organismi logici autonomi.
Infine, per evitare il contrasto fra normativismo e concezione imperativistica, sopra accennato,
si cercò di trovare una norma di copertura che non si collegasse ad un soggetto, il quale era
collegato a sua volta ad un altro soggetto, fino all'infinito; ma una norma presupposta ma non
posta da nessuno, una norma anonima. Soluzione che fu definitivamente teorizzata da Kelsen.
Presupposto teorico che avvicina AUSTIN a KELSEN
Il presupposto teorico accennato da AUSTIN e dal quale partirà lo stesso KELSEN è la
struttura gerarchica, ossia il presentare l'ordinamento come una gerarchia di poteri e di
norme, in cui ogni autorità e le rispettive norme trovano la loro giustificazione in autorità e
norme superiori fino al sovrano ed ai suoi comandi immediati.
KELSEN
Visse in Austria nel novecento e si laureò in filosofia del diritto con una tesi sul ''De
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Monarchia '' di Dante. Fu filosofo, ma anche un giurista, un costituzionale che collaborò alla
redazione della Costituzione di Weimar. Le opere più importanti sono:
le due edizioni della ''dottrina pura del diritto''(1934).
Kelsen costruisce la sua immagine del diritto, in qualche modo similmente ad Austin, rifacendosi
alla scala gerarchica; ma ci sono tre differenze importantissime. Per Austin, il sovrano era il
Parlamento o il tiranno attuale, mentre Kelsen lo riportava indietro, facendolo risalire al primo
Costituente originario. La seconda differenza è che mentre la scala gerarchica di Austin
culminava nella figura del sovrano, quella di Kelsen aveva un gradino in più e culminava nella
norma che costituiva la copertura ai padri della Costituzione, non posta da nessuno ma
presupposta.
Lettura del professore. Kelsen immagina che un gendarme stia portando in prigione una certa persona
ed anche qui ritorna la domanda perché:''perché ciò è stato prescritto da una norma la quale individua
una sentenza, valida perché è stata creata da una legge penale, legittima poiché emanata in conformità
con la Costituzione, valida perché si riallaccia alla costituzione originaria , la quale prescriveva che
bisognava comportarsi come ritenevano i padri costituenti.
Per cui, analizziamo approfonditamente gli aspetti prima menzionati, riferendoci limitatamente
a Kelsen.
i. Natura duale del diritto
Kelsen offre la più lucida interpretazione del principio di normatività precisando la
natura duale del diritto. Quest'ultimo presenta sempre due elementi: 1)l'aspetto reale
ed esteriore, ossia un fatto sensibilmente percepibile in quanto si svolge nel tempo e
nello spazio, quindi, un frammento di natura che è determinato dalla legge di casualità
e 2)l'aspetto interiore, il quale qualifica il fatto naturale conferendogli giuridicità, la
norma ed il suo significato (schema di qualificazione grazie al quale è possibile
verificare l'esistenza del fatto stesso).
ii. Struttura e senso della norma
La norma deve avere una forma determinata. E questa forma, secondo Kelsen, è quella di
una proposizione ipotetica, che a differenza della legge naturale o scientifica, esprime
un dover essere,. Per cui, mentre la legge naturale dice: se c'è A allora è necessario
che ci sia B; la legge giuridica dice: se c'è A allora deve esserci B. In conclusione,
possiamo dire che la struttura che Kelsen dà alla norma è di tipo coercitivo in quanto in
caso d'inosservanza del dato obbligo prevede una sanzione. Sanzione che sembra
gravare con maggiore rilievo sull'applicatore stesso del diritto.
iii. La norma non è un comando
Una differenza con Austin che prima abbiamo scordato di sottolineare è proprio questa.
Secondo Kelsen, la norma non può considerarsi un comando in quanto le mancano i
requisiti di soggettività e volontà. In effetti, in primis, non possiamo individuare chi è il
soggetto che l'ha posta in essere.
a)La norma non coincide con la volontà del legislatore già nel procedimento cui viene deliberata (
in effetti, questa non scaturisce necessariamente da un atto di volontà). a1) La norma non
coincide con la volontà della minoranza che le si oppone. a2)la norma non coincide neppure con la
volontà della maggioranza che l'approva. In quanto, il più delle volte, i membri tale maggioranza,
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conoscono il contenuto del disegno di legge solo superficialmente e di conseguenza, non si può
''volere'' qualcosa che si ignora completamente o parzialmente. b)Tanto meno la norma coincide
con la volontà del legislatore dopo la sua approvazione, per il semplice fatto che votata la legge,
i membri del parlamento passano ad altre questioni e cessano di volere il contenuto della legge.
Quindi in conclusione, l'esistenza di una norma giuridica non è un fenomeno
psicologico, tant'è che spesso si verifica effettivamente che una legge ''esista'', mentre
coloro che l'avevano creata non ci sono più e non sono, per cui, più in grado di avere una
volontà qualsiasi.
Questa concetto rimanda all'idea di sistema giuridico come prodotto culturale. Il prodotto
culturale ha come caratteristica fondamentale il fatto che seppur scaturendo sempre da
un'idea dell'uomo, una volta creato e realizzato, assume una vita propria ed indipendente anche
dal punto di vista logico – semantico, dicendo magari di più di ciò che aveva immaginato chi
l'aveva posta in essere.
a)permanenza
b)indipendenza dal punto di vista logico-semantico
c)capacità di subire modifiche pur non minacciandolo nella sua interezza.
Quindi, per concludere, la norma è un comando depsicologizzato, impersonale ed
anonimo, un comando che non implica una ''volontà'' nel senso psicologico del termine.
2.6.La gerarchia della validità delle norme di un ordinamento giuridico statuale e la
sua norma fondamentale
Il sistema giuridico è un insieme di norme che assumono una loro unitarietà. Ma cosa le
lega fra loro? In effetti, bisogna capire che in una tale concezione, ogni norma a sua
volta trova il fondamento della propria validità in una norma superiore,, in un sistema di
rimandi che potrebbe andare all'infinito. Eppure, ciò non avviene perché Kelsen individua
un punto di arrivo, non la semplice costituzione, ma la costituzione originaria presentata
come norma fondamentale che prescrive di ubbidire ai ''padri della costituzione'', oltre
la quale non si può andare. In questo modo, l'obbiettivo è quello di mostrare che le norme
particolari sono state create in conformità della norma fondamentale.
2.7.Natura e funzione della norma fondamentale
La norma fondamentale non è posta da alcuna autorità: è presupposta dal pensiero
giuridico al fine di spiegare il potere normativo del primo costituente ed il carattere
giuridico dell'ordinamento. Quindi, la norma fondamentale non è valida perché è stata
creata in una data maniera da un atto giuridico, ma è valida perché è presupposta valida.
2.8.Il contenuto della norma fondamentale e l'efficacia dell'ordinamento
i)Ma cosa dice la norma fondamentale ? Questa conferisce autorità ai costituenti
originari semplicemente dicendo di obbedire alla Costituzione.
ii)In che modo esiste?Chi dice che si deve ubbidire ai padri della Costituzione? La norma
fondamentale non è prodotto né posta da nessuna autorità. Per quanto concerne la
seconda domanda, non c'è nessuno che concretamente lo dica, ma è presupposta dal
bisogno di comprendere giuridicamente qualcosa; chi lo sostiene è la scienza giuridica, è
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un'esigenza trascendentale( il termine 'trascendentale' rimanda a Kant).In effetti, la
norma fondamentale ha un a funzione logico-trascendentale, è una norma virtuale che
non esiste ma che dobbiamo immaginare per esigenze della scienza giuridica. Una norma
che non ha un soggetto dal lato attivo( irreale dal lato attivo), mentre dal lato passivo,
esistono i destinatari e la necessità di obbedienza( situazione ambigua).
Gran parte della dottrina di Kelsen fu assimilata, ma non tutte le sue tesi furono considerate
convincenti. Il carattere ideale della norma fondamentale fu criticato. La norma fondamentale è
veramente soltanto un frutto dell'immaginazione? La risposta sarebbe un NI, in effetti, quest'ultima
non è propriamente vero che nasca senza soggetto, senza una volontà, per il semplice fatto che è una
norma presente, seppur implicitamente, nelle menti di tutte le persone. Così criticando Kelsen, si arrivò
al realismo normativistico.
Terza lezione
Il normativismo e tutte le sue possibilità di sintesi
Realismo normativistico
Per 'realismo normativistico' s'intende una sintesi fra realismo e normativismo. I
rappresentanti più importanti del realismo normativistico furono:
i)OLIVERCRONA
ii)ROSS
iii)HART
La critica a Kelsen è che, pur ammettendo l'esistenza di una norma fondamentale, questa si
presenta diversamente da come la delinea Kelsen; in effetti, si tratta di una norma che ha dei
caratteri della consuetudine e che è conosciuta da tutti e tre, sebbene venga espressamente
presentata solo da HART .
Avendo citato la consuetudine, bisogna ricordare che questa consta di un carattere esterno, la
reiterazione di un determinato comportamento, e di un carattere interno, l'opinio sea necessitas,
ossia il credere quel dato comportamento ripetuto, doveroso ed obbligatorio.
i)CARL OVERCRONA
Filosofo svedese che scrisse due opere importanti:
1)''Il diritto come fatto''(1937), che già nel suo titolo esprime l'esigenza di fattualità del
diritto stesso.
2)''Struttura dell'ordinamento giuridico''.
9.1.Critica dell'imperativismo: il diritto non è un vero comando.
9.2.Le norme come imperativi indipendenti.
Egli critica la concezione imperativistica di Austin ed il concetto di norma come comando.
Secondo lui, le norme non sono dei comandi, i quali implicherebbero delle relazioni personali fra
chi comanda e chi è comandata, ma degli imperativi indipendenti, dei modelli di comportamento
che esercitano una pressione sociale indipendentemente dalla presenza e dalla volontà di
qualcuno che comandi.
9.3.La fonte dell'efficacia delle norme come imperativi indipendenti: il sentimento di
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riverenza nei confronti della costituzione.
OLIVERCRONA è molto attento alla psicologia sociale; la validità delle norme deriva non dalla
volontà psicologica ma da un sentimento di rispetto per la Costituzione, un senso generale di
reverenza, una radicata abitudine della popolazione nei confronti della norma fondamentale
sulla quale egli non si sofferma( concezione intrisa di filosofia, ma ben diversa da quella di
Austin). In effetti, presso tutti i popoli esiste un complesso di idee che riguardano il governo
del paese, idee che vengono considerate ''obbligatorie'', e che quindi sono implicitamente
obbedite( discorso della consuetudine).
ii)ROSS
Filosofo danese che fu anche allievo di Kelsen, il quale scrisse due opere importanti:
1)''Diritto e Giustizia''( 1958)
2)''Direttive e Norme''( 1968)
10.2.Le norme come direttive.
Anche ROSS critica l'imperativismo di Austin. Egli considera il ''diritto valido'' come l'insieme
astratto di idee normative che servono come schema di interpretazione dei fenomeni giuridici in
azione, il che poi implica che queste norme siano effettivamente seguite perché esse sono
sperimentate e sentite come socialmente vincolanti. Le norme, quindi, non sono dei comandi ma
delle direttive, enunciati senza significato rappresentativo, ma con l'intento di esercitare
un'influenza. Nell'ambito di queste direttive, Ross accenna ad una distinzione fra i)le norme di
condotta aventi carattere di prescrizione e ii)le norme di competenza che stabiliscono i
criteri di validità degli atti creando una competenza; distinzione che, subito dopo, si rimangia, in
quanto, in fin dei conti, ROSS finisce per presentare le norme di competenza come norme di
condotta indirettamente formulate.
10.4.I destinatari delle norme e la funzione del diritto.
Ma questi imperativi a chi si rivolgono? Le norme, in realtà, sono delle direttive per i giudici, i
quali devono applicarle e successivamente, i cittadini ricavano da queste in maniera derivata e
per metafora, le istruzioni impartitegli. Da qui, una conseguenza molto importante: la funzione
del diritto è disciplinare la sanzione la quale è coattiva, ossia l'organizzazione e la
disciplinizzazione
della forza regolando l'apparato coercitivo dello stato. Quindi, in
conclusione, un sistema giuridico nazionale, considerato come un sistema valido di norme, può
quindi essere definito come l'insieme effettivamente operanti nella mente del giudice poiché
egli le sente come socialmente vincolanti e perciò le osserva.
OLIVERCRONA e ROSS non hanno parlato esplicitamente della norma fondamentale, ma solo
implicitamente. Mentre in maniera più esplicita ne parla sicuramente HART.
iii)HART(inglese) professore ad Oxford di filosofia del diritto ma faceva anche l'avvocato.
La sua opera più importante è intitolata: ''Concetto del diritto''( 1960).
Anch'egli critica l'imperativismo ed il concetto di norma come effettiva volontà del legislatore.
Inoltre egli contesta l'idea secondo la quale tutte le norme siano degli imperativi, delle
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proposizioni a carattere prescrittivo. Abbiamo visto che già Ross aveva accennato ad una
distinzione nell'ambito delle direttive fra quelle di condotta e di competenza, anche se poi
l'aveva ritirata. Ma dopo HART tale distinzione fra norme primarie e secondaria diviene
fondamentale e non può più essere trascurata.
Una società caratterizzata dalle sole leggi primarie è una società limitata, una società
pregiuridica, la quale difetta di incertezza, di staticità in quanto il soli metodi di mutamento di
queste norme sono il lento processo di crescita ed il processo inverso di decadenza e di
inefficienza; basta pensare alle controversie relative alla questione se una data norma sia o non
sia stata violata, in ogni società del genere sorgeranno e dureranno in modo interminabile, se
mancherà un organo specialmente autorizzato ad accertare il fatto della violazione.
11.2.Il diritto come unione di norme primarie e di norme secondarie.
Una società complessa non può funzionare senza norme primarie e secondarie . L'individuo,
dice HART, è proprio la fusione di questi due tipi di norme. Le norme primarie dicono che cosa
gli individui devono fare o non fare, per cui, hanno carattere prescrittivo, mentre le norme
secondarie , anche se HART non si addentra nella loro natura, sono differenti pur riguardando
le norme primarie stesse. Quest'ultime servono ad accertare( norme di riconoscimento),
introdurre, eliminare, variare la validità delle norme primarie( norme di mutamento) e
determinare il fatto della loro violazione(norme di giudizio).
''Le norme del primo tipo che si può considerare il tipo fondamentale e primario, impongono agli uomini
di compiere o di astenersi dal compiere certe azioni, che lo vogliono o no. Le norme dell'altro tipo sono
in un certo senso sussidiarie o secondarie rispetto a quelle del primo tipo; infatti esse stabiliscono che
gli uomini possano, mediante certi atti o certe parole, introdurre nuove forme del tipo primario,
abrogarne o modificarne delle antiche, determinare in vari modi la loro incidenza o controllare le loro
operazioni''.
11.3.La norma definitiva di riconoscimento.
Al vertice delle norme secondarie c'è la norma definitiva di riconoscimento, questa è parallela
alla norma fondamentale di Kelsen. La norma definitiva di HART ha il compito di stabilire i
criteri in base ai quali viene asserita la validità delle altre norme dell'ordinamento. La norma di
riconoscimento di solito non è dichiarata, ma ''usata''effettivamente dagli operatori giuridici.
11.4.Esistenza della norma di riconoscimento dell'ordinamento.
Questa norma, però, non è una norma immaginaria come affermava Kelsen , ma il criterio di
fatto seguito dai giudici nei tribunali e dagli altri funzionari. La norma di riconoscimento esiste
come un dato di fatto: esiste in quanto il suo uso costituisce una prassi concorde..Perciò ciò che
è essenziale a proposito è che vi sia un'accettazione ufficiale, condivisa da tutti i funzionari
della norma di riconoscimento. Quindi, in conclusione, anche l'esistenza di un ordinamento
giuridico nel suo complesso è un dato di fatto: esiste se le sue norme primarie sono
generalmente obbedite e le sue norme secondarie sono effettivamente accettate ed usate.
Quarta lezione
IL NEOISTITUZIONALISMO
i. WEINBERGER, austriaco, allievo di Kelsen.
ii. MCCORMINCK, scozzese, allievo di Hart.
Questi due filosofi si sono accorti che le loro idee erano molto simili e hanno scritto:”La teoria
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istituzionale del diritto”. Loro cercano una sintesi fra il normativismo e l'istituzionalismo
classico e la realizzano attraverso il concetto di fatto istituzionale.. Per spiegare il concetto di
fatto istituzionale WEINBERGER e MCCORMINCK si rifanno al filosofo del linguaggio, John
Searle, ad una filosofa inglese, Anscombe, e bisogna ricomprendere nella lista anche Ross,
perché negli anni sessanta, quest'ultimo fece un'importante distinzione fra le 1.regulative
rules e le 2.constitutive rules. La differenza fra questi due diversi tipi di regole sta nel
rapporta fra la regola stessa e l'attività( esempio delle regole del parcheggio e delle regole del
gioco degli scacchi). In effetti, da ciò deduciamo, che le regole prescrittive (=regulative rules)
non determinano l'attività che disciplinano, mentre quelle costitutive (=constitutive rules) si
presentano come una convinzione dell'esistenza e della concepibilità dell'attività che
disciplinano. Naturalmente le regole costitutive le abbiamo anche al di fuori del campo dei
giochi e nel diritto stesso. Quindi, mentre i fatti disciplinati dalle regole prescrittive, vengono
chiamati fatti semplici, i fatti istituzionali sono propriamente quei fatti che esistono in virtù
delle regole o di norme. Allora, la conseguenza di questa concezione è che il diritto è un fatto
istituzionale, ossia un insieme di norme che sono in stretta correlazione con l'attività che
disciplinano.
12.1.Il fine della teoria neoistuzionalistica.
Leggiamo un passo iniziale della teoria istituzionale del diritto di WEINBERGER e
MACCORMINCK, dove i due filosofi esplicitano il loro proposito(12.1 il fine della teoria
istituzionalistica).
''Ciò che ci proponiamo di sviluppare è una teoria istituzionalistica del diritto che spieghi e dia conto
dell'esistenza di norme, istituzioni giuridiche e di simili oggetti. Così possiamo affermare che Il nostro
fine è di proporre uno sviluppo del normativismo in senso realistico distanziandoci da ogni tipo di
pretesa kelseniana alla ''purezza'' della teoria. Dal punto di vista metodologico, noi ci poniamo molto
più vicino all'opera di Hart che a quella di Kelsen, ma le nostre analisi nei loro aspetti specifici sono
considerevolmente diverse anche da quelle di Hart.”
12.2.I fatti istituzionali.
Sempre nello stesso passo, i due iniziano a spiegare il concetto di fatto istituzionale .
''Il termine stesso da noi utilizzato nel denominare la nostra impostazione teorica, istituzionalismo,
rivela la nostra posizione ontologica (indagine sulla natura delle cose, sulla loro esistenza). I fatti
giuridici ed i fatti sociali sono a nostro avviso, fatti istituzionali. La locuzione è tratta da Anscombe e
da John Searle, sebbene ciascuno di noi analizzi tale concetto in maniera abbastanza differente. Il
punto fondamentale è comunque chiaro. Ci sono fatti che hanno a che fare unicamente con l'esistenza
fisica dell'universo materiale. Questo mondo è accessibile ai nostri sensi, e gli oggetti hanno qualche
posizione nello spazio e qualche durata nel tempo. Tali fatti sono ''fatti bruti'' o ''semplici'', come
direbbe il professore, i quali non dipendono in alcun modo dalla volontà, dalle convenzioni o dal disegno
dell'uomo[...]Ma ci sono anche altre entità a cui, per quanto non siano oggetti materiali, concretamente
ci riferiamo come esistenti( contratti, matrimoni, trattati, giochi e competizioni). In tali casi,
l'esistenza comporta durata nel tempo a prescindere da una specifica posizione nello spazio e da
specifiche caratteristiche fisiche.
Essi sono fatti, giacché possono essere asseriti mediante asserzioni vere. Ma ciò che è asserito
non è vero semplicemente a causa dello stato del mondo materiale, ma al contrario è vero in
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virtù di un'interpretazione di quello che accade nel mondo.
12.3.Il diritto come fatto istituzionale.
Se mai il diritto esiste, esso non esiste sul piano dei fatti bruti, bensì piuttosto sul piano dei
fatti istituzionali.
IL GIUSNATURALISMO
Teoria che ha avuto secoli di fioritura, secondo la quale il diritto preesiste alla società, un
insieme di principi ideali che sono parte integrante della natura umana.
RONALD DWORKIN
filoso americano che insegnò anche ad Oxford, dove fu chiamato come successore di Hart. In
primo momento aderì alla stessa teoria di Hart, che può considerarsi una teoria positivistica, ma
in un secondo momento se ne allontanò criticandola profondamente. Egli afferma che nel diritto
la distinzione importante non è quella fra norme primarie e secondarie, ma fra norme e principi.
La differenza è che I principi sono delle norme a carattere ben più grave, in secondo luogo, i
principi non sono espressi, ossia hanno la forma latina dei brocardi. Per cui, hanno un'origine
diversa; precedono l'ordinamento normativo, ponendosi come una sorta di espressione del
diritto naturale e nascendo da esigenze morali e di giustizia alle quali si ispirano gli operatori
giuridici. Fra questi principi, il più importante è quello di uguaglianza. In ogni caso, nonostante
la diversità, le norme che scaturiscono dalla volontà di particolari organi ed i principi, diversi da
quest'ultime, formano insieme il diritto e di conseguenza, devono comunque integrarsi. Una
norma per quanto precisa possa essere nella sua formulazione, sarà sempre aperta a dubbi nella
sua interpretazione, che potranno essere risolti soltanto rifacendosi all'interpretazione più
vicina al relativo principio. Quindi, i principi influenzano l'interpretazione delle norme.
IL REALISMO GIURIDICO PURO
1.Il realismo giusfilosofico: B.CROCE..
La concezione di CROCE è del tutto particolare ed autonoma rispetto a quelle finora
affrontate. Croce nasce intorno al 1860 e vive fino alla metà del novecento. Inizia i suoi studi di
giurisprudenza a Pescara, non portandoli mai a termine e successivamente, intraprende gli studi
filosofici.
A differenza degli altri filosofi, egli non vuole creare un sistema, ma nonostante questo
presupposto iniziale, anch'egli, finisce inevitabilmente per costruirlo. Secondo Croce, la realtà è
una sola, un unico spirito, che comprende due sottocategorie: 1.l'attività teorica e 2.l'attività
pratica. In entrambi questi aspetti si presentano due momenti diversi: 1.un momento universale
e 2.un momento individuale.
1)Il momento individuale dell'attività teorica prende il nome di ESTETICA, mentre quello
universale, di LOGICA.
2)Il momento individuale dell'attività pratica viene chiamato ECONOMIA, mentre quello
universale prende il nome di MORALE.
In tutto questo sistema, notiamo che manca una parte autonoma per il diritto. Quest'ultimo
dove rientra?
Croce sostiene che il diritto riguarda l'attività pratica , rientrando nell'ECONOMIA..
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Da questa considerazione deduciamo che il diritto non assume un aspetto molto rilevante, tant'è
che Croce presenta il diritto come un insieme di norme che orientano l'azione degli individui
senza avere una propria autonoma realtà. Quindi, possiamo immaginare le norme come dei
programmi ed il diritto come il programma dell'azione della società.
3.1.- Le leggi e i programmi dell'individuo
La legge è un atto volitivo che ha per contenuto una serie o classe di azioni. Questa
definizione esclude anzitutto dal concetto di legge un carattere che di solito è considerato
essenziale, la socialità; ossia estende il concetto di legge al caso dell'individuo isolato. La legge
viene individualizzata in quanto lo stesso diritto rileva per il soggetto nella sua individualità. Le
leggi devono considerarsi come dei veri e propri programmi, nessuno può farne a meno ed in tal
modo, ogni uomo deve conoscere la legge, farla propria, ossia individualizzarla e solo così
facendo, può passare dalla legge sociale a quella individuale (momento conoscitivo). Quindi, per
meglio determinare, le sole leggi che realmente esistono sono quelle individuali.
3.2.- Identità delle leggi imperative, proibitive e permissive.
Ogni legge è un comando; ma comandando, insieme, vieta l'azione opposta a quella prescritta e
permette tutte le azioni che non contempla. In realtà, la legge essendo atto volitivo, iubet
soltanto: il comando è un volere. E poiché ogni volere è insieme un non volere, la legge può
esprimersi sia un volere in forma positiva che negativa. Inoltre, le leggi, come abbiamo già
detto, sono volizioni di classi ossia prescrivono una serie di atti singoli, serie più o meno ricche,
ma sempre invincibilmente limitate; onde una legge lascia sempre non volute, quindi né
comandate né proibite, e di conseguenza permesse tutte le altre azioni che non possano mai
essere oggetto di volontà.
3.3.- Irrealtà della legge.
In quanto volizione di classe di azioni , ossia di contenuto generico ed astratto, la legge è
volontà essa stessa astratta ed irreale.. Senonché volere un astratto equivale ad
astrattamente volere; e volere astrattamente non è veramente volere, perché si vuole soltanto
in concreto ed in una situazione determinata. Per cui, potremmo parlare di una sorta di pretesa
volizione. Ciò che realmente si vuole non è già la legge, ma l'atto singolo che si compie sotto la
legge, ossia l'esecuzione della legge.. In realtà, però, la legge, seppur si operi secondo essa, o si
esegua o si applichi, rimane sempre irreale. Tant'è che le singole situazioni in cui si vuole e si
opera, non possono essere mai prevedute dalla legge, e perciò non si può operare secondo essa,
eseguirla od applicarla. Il caso reale è sempre una sorpresa, qualcosa che accade una volta sola
e che viene conosciuto solamente quando accade.
Tuttavia le leggi sono necessarie: la loro utilità è di essere preparatorie, orientative
dell'azione. La legge non è volizione reale ed effettuale, anzi è volizione imperfetta e
contraddittoria; ma appunto perciò preparazione alla volizione sintetica e perfetta.
IL REALISMO GIURIDICO AMERICANO.
l'aspetto comune che accomuna i filosofi che stiamo per trattare è la considerazione
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
pragmatica del diritto.
HOLMES
''Scopo del nostro studio è quindi la predizione, ossia l'incidenza della forza pubblica tramite
l'attività dei tribunali''.
I diritti ed i doveri di cui la giurisprudenza si occupa non sono, essi pure, altro che profezie ''il
cosiddetto dovere giuridico altro non è se non la predizione che, se taluno compie od omette di
compiere una data cosa, subirà una condanna da parte di un tribunale''. Quindi, in conclusione,
il diritto è ciò che le corti effettivamente faranno.
LLEWELLYN
Le norme sono ''regole di carta''; le ''regole reali'', i reali diritti sono nient'altro che le
decisioni dei tribunali.. Per ''regole di carta''si intendono le regole giuridiche in senso
tradizionale, ossia ciò che i libri dicono essere il ''diritto''. Le ''regole reali ed i diritti reali
sono ciò che i tribunali decideranno in un determinato caso e niente più: non sono altro quindi
che delle predizioni.
J.FRANK.
Consiglio di guardare le dispense su questo argomento, in quanto nella mia analisi mi limito a
fissare gli aspetti principali in maniera sintetica.
Prima della decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, il ''diritto'' non è affatto certo.
Nessuno può prevedere con certezza cosa deciderà la Corte. Quindi, il diritto, per l'uomo
comune non addetto ai lavori, relativamente ad ogni specifico caso, non è altro che la decisione
di un tribunale circa quel caso nella misura in cui tale decisione riguarda la singola persona. Il
diritto dunque, per ogni situazione data, è a)il diritto vero e proprio, cioè una decisione
specifica già presa, oppure b) il diritto probabile, il parere degli avvocati, una congettura
riguardo a quella specifica decisione futura.
ISTITUZIONALISMO.
Gli istituzionalisti hanno una considerazione antitetica a quella di Kelsen, secondo la quale il
diritto nasce solo successivamente all'organizzazione, intesa come società che solo in un
secondo momento redige le sue norme.
Le interpretazioni più rilevanti, nell'ambito dell'istituzionalismo, rimandano a Santi Romano ed
a Hauriou, i quali differiscono limitatamente per il numero degli elementi costitutivi della
società. Hauriou ne fa rientrare uno in più rispetto a Santi Romano, l'idea da realizzare, la
quale secondo lo stesso filosofo racchiude in sé l'impulso originario dal quale è scaturita la
società. Santi Romano, invece, considera questa idea come non individuabile e ne limita
l'importanza, sostenendo che quest'ultima non può essere presentata come unica finalità dello
Stato.
SANTI ROMANO.
7.1-Il diritto non è solo una norma.
Si è soliti definire il diritto come regola di condotta o norma soprattutto ai fini della pratica
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più comune, ma ciò com'è naturale non esclude tale definizione non possa e non debba essere
superata, mettendo in evidenza qualche altro aspetto del diritto, più fondamentale, e,
soprattutto, antecedente..
7.2.-Il diritto come ordinamento.
Quando si fa riferimento al diritto dello Stato, ci troviamo di fronte ad una situazione che non
può rimandare limitatamente alle norme, le quali sono originate, a loro volta, da
un'organizzazione. Quindi questa situazione ci ricollega a qualcosa di più vivo ed animato; in altri
termini, un ordinamento giuridico comprensivamente inteso come un'entità che si muove in
parte secondo le norme ma, soprattutto, muove, quasi come pedine in una scacchiera, le
norme medesime.
7.3-Ordinamento, società, istituzione.
Per precisare il concetto di ordinamento giuridico come organizzazione, occorre
includere e conoscere a)il concetto di società, b)quello di diritto, c)ed infine, quello di
ordine sociale, che comprende e supera l'insieme delle norme.
a) Per società, non deve intendersi un semplice rapporto fra gli individui come sarebbe, per
esempio, il rapporto di amicizia, ma un'entità che costituisca anche formalmente ed
estrinsecamente, un'unità concreta, distinta dagli individui che in essa si
comprendono. In altre parole, non c'è società, nel senso vero della parola, senza che in
essa si manifesti il fenomeno giuridico( ubi societas ibi ius).
b) Il concetto di diritto deve, in secondo luogo, contenere l'idea dell'ordine sociale: il che
serve ad escludere ogni elemento che sia riconducibile al puro arbitrio o alla forza
materiale, cioè non ordinata.
c) In conclusione, il diritto prima di essere norma, prima di concernere un semplice
rapporto o una serie di rapporti sociali, è organizzazione, struttura, posizione della
stessa società in cui e che esso costituisce come unità, come ente a sé stante.
Così inteso, il diritto-ordinamento si identifica con l'istituzione. Quindi, ogni ordinamento
giuridico è un'istituzione e viceversa, ogni istituzione è un ordinamento giuridico.
Per Istituzione, noi intendiamo ogni ente o corpo sociale. Inoltre, caratteristiche
dell'istituzione sono:
1)la sua esistenza obbiettiva e concreta,
2)il suo manifestare la natura sociale e non puramente individuale dell'uomo.
3)La sua individualità; in effetti, l'istituzione è un ente chiuso, che può venire in
considerazione in sé e per sé, appunto perché ha la propria individualità.
4)la sua permanenza nonostante il mutare dei suoi elementi. Perciò, essa può rinnovarsi,
conservandosi la medesima e mantenendo la sua individualità.
HAURIOU.
Un'istituzione è un'idea di opera che si realizza in un ambiente sociale mediante
l'organizzazione del potere che la munisce di organi e si sostiene per mezzo del consenso della
comunità.
Vi sono due tipi di istituzioni; 1.quelle che si personificano e 2.quelle che non si personificano.
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Noi studieremo solo le istituzioni -persone ossia le istituzioni corporative.
Sono tre gli elementi di qualsiasi istituzione corporativa:1)l'idea dell'opera da realizzare in un
gruppo sociale.2)il potere organizzato per la realizzazione dell'opera,3)le manifestazioni
comunitarie che si producono nel gruppo sociale in rapporto all'idea ed alla sua realizzazione.
8.2-L'idea dell'opera da realizzare.
L'idea dell'opera da realizzare definisce e caratterizza l'istituzione; come ogni idea, anche se
si riflette in forme soggettive nelle coscienze individuali che vi aderiscono, essa ha un'esistenza
obbiettiva e durevole, ed è grazie ad essa che l'istituzione è una realtà individuata e
permanente. Non si deve confondere l'idea dell'opera da realizzare con quella di scopo né con
quella di funzione, ma si potrebbe meglio identificare con la nozione di oggetto. Certamente
l'idea oggettiva non verrà classificata in tutte le memorie secondo la medesima
interpretazione; in effetti, bisogna accuratamente distinguere fra l'idea, considerata in sé
stessa, ed i concetti soggettivi attraverso i quali essa è percepita dagli spiriti. Ciascuno spirito
reagisce sull'idea e se ne fa un concetto. Malgrado la ''glossa'' che le aggiungono le
concezioni soggettive di ciascuno degli aderenti, un'idea d'opera che si propaga nell'ambiente
sociale possiede un'esistenza obbiettiva e d'altronde, proprio codesta obbiettività le permette
di passare da uno spirito all'altro e di rifrangersi variamente in ciascuno di essi senza
dissolversi e svanire.
Inoltre, un altro punto fondamentale è che non c'è istituzione senza un gruppo di interessati.
Questo può essere determinato dallo costrizione di un potere, ma grande importanza hanno
l'ascendente che esercita l'idea e l'interesse dei membri al suo realizzarsi. Il gruppo degli
interessati è, assieme agli organi di governo, il potere dell'idea intrapresa.
8.3-L'organizzazione del potere di governo.
L'organizzazione del potere di governo, in base ai principi della separazione dei poteri( ossia
una separazione di competenze; il potere deliberante per la deliberazione, quello esecutivo per
l'esecuzione e quello di suffragio per il consenso) e della rappresentanza, coincide con
l'organizzazione dell'istituzione ed è il principale mezzo per la realizzazione dell'idea.
8.4-Le manifestazioni comunitarie dell'idea.
L'idea dell'opera si concretizza rifrangendosi e trovando adesione nelle coscienze soggettive
che in essa si unificano. Questi movimenti di comunione non si risolvono completamente in
manifestazioni della coscienza collettiva; sono le conoscenze individuali che si emozionano al
contatto di un'idea comune.
8.5-Psicologia corporativa e psicologia individuale.
Hauriou assimila l'istituzione corporativa alla personalità umana.
Può darsi che l'essere umano consista essenzialmente in ''un'idea di opera da realizzare'',
servita da un potere di governo e causante manifestazioni di comunione in un gruppo di esseri
elementari.
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8.6-la fondazione dell'istituzione.
L'operazione di fondazione è la manifestazione della volontà comune dei fondatori(
manifestazioni multiple emanate da ciascuno dei membri del gruppo fondatore che possono
essere simultanee ma anche successive'') che produce come effetto giuridico l'esistenza
dell'istituzione; la quale dura al di là della volontà dei fondatori in forza dell'idea direttiva e
delle nuove adesioni che essa è capace di suscitare.
8.7-Istituzioni e regola di diritto.
Le regole di diritto sono elementi secondari nel sistema giuridico ossia nell'istituzione :sono le
istituzioni che producono le regole e non viceversa.
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Seconda Parte: FILOSOFIA DEL DIRITTO
La struttura dell'ordinamento
1.Quali sono le leggi della scienza giuridica?
-Struttura delle norme
Le leggi sono delle norme e le norme, dal punto di vista normativistico, sono delle proposizioni
che a certi fatti ricollegano determinate conseguenze. La parte relativa alla presentazione ed
alla contemplazione del fatto si chiama fattispecie normativa, mentre quella relativa alle
conseguenze o alla qualificazione della situazione, statuizione . Poi c'è anche il nesso di
casualità normativo determinato dalla stessa norma, in quanto, dato il fatto seguono certe
conseguenze o caratteristiche.
Possiamo essere, però, più precisi, in realtà il legislatore quando enuncia la norma si serve di
enunciati di cui noi possiamo ricostruirne il senso logico. La norma può, in particolare,essere
enunciata dal legislatore assumendo due strutture diverse:, che sono poi le stesse che il libro
riporta per quanto concerne le situazioni giuridiche.
1)struttura soggetto copula predicato
A è B- gli A sono B.
la prima formula è dovuta al gran utilizzo che se n'è fatto nella lingua italiana, a partire dagli
stessi filosofi. A e B rappresentano rispettivamente la fattispecie concreta e la conseguenza,
mentre è o sono, designa il nesso di causalità normativa.
2)Se A.. allora B.
La seconda formula è forse dovuta a Kelsen.
Dove A sta per il fatto dal quale dipende il verificarsi di un effetto giuridico, e si dice
fattispecie concreta, B sta per la conseguenza giuridica, mentre il sintagma se allora designa
quello che si suol dire, il nesso di causalità normativa . Le due formule sebbene diverse sono
equivalenti e sono gli schemi più semplici che possono avere le norme. Così, possiamo dire,
indifferentemente ''se qualcuno cagiona ad altri un danno ingiusto allora è obbligato al
risarcimento del danno stesso'' oppure ''chi cagiona ad altri un danno ingiusto è obbligato al
risarcimento del danno stesso.
Quelle fin qui analizzate sono, però, delle norme incomplete che tacciono dei casi complementari
presentando delle lacune; in effetti, queste norme, tacciono dei casi non compresi nella
fattispecie A, senza includerli nella disciplina B ma senza escluderli da essa.
Per esempio, una norma che vieti la circolazione delle auto tace degli altri tipi di veicolo, che non
include nel divieto, ma neppure dice che sono esclusi. Ma ci sono anche norme che presentano
una struttura più complessa di quella finora evidenziata; si tratta delle norme complete, la cui
struttura più complessa può essere ricondotta a negazioni, congiunzioni o disgiunzioni della sua
struttura fondamentale o delle sue parti costitutive (fattispecie o statuizione).
3)strutture negative del tipo :
gli A non sono B (se A allora non B);
4)strutture con fattispecie congiuntive del tipo:
gli A, che siano A', sono B (se A ed A' allora B);
5)strutture congiuntive tra intere proposizioni normative, del tipo:
gli A sono B e i non A non sono B (se A allora B e se non A allora non B);
questa formula equivale a queste due forme:
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6)gli A sono B e i B sono A (se A allora B e se B allora A);
7)gli A e solo essi, sono B (A se, e solo se, B).
Quindi, in sintesi, la fattispecie costituisce il soggetto logico della norma. Generalmente essa
si riferisce a quel fatto naturale che, nella sintesi col predicato con cui opera la statuizione o
qualificazione, diventa fatto giuridico; anche se, in alcuni casi, molte norme nella loro
fattispecie, fanno riferimento a fatti che già posseggono, in virtù di altre norme presupposte,
una certa qualificazione giuridica. La fattispecie, allora può designare atti giuridici, persone
giuridiche e persino, altre norme. La statuizione della norma rappresenta, nella sua struttura
logica, il predicato. La statuizione è una parte della norma molto importante, in quanto
determina le conseguenze e le caratteristiche giuridiche del fatto ed in quest'ambito, la
classificazione più rilevante e tradizionale è quella che distingue le norme in primarie e
secondarie.
-Tipologia delle norme
Le norme primarie sono quelle che stabiliscono come conseguenza, il sorgere di un obbligo, a
carico di uno o di un altro soggetto dell'ordinamento; quelle che hanno la funzione di dirigere i
comportamenti dell'uomo, dicono quello che si deve o non si deve fare ed assolvono la funzione
di direzione. Ma nel diritto c'è anche la funzione di organizzazione, la quale è assolta dalle
2.norme secondarie, le quali differiscono dalle prime, perché sono quelle che stabiliscono
effetti giuridici diversi dall'obbligo.
Questa distinzione è risalente, anche se espressa con terminologia differente, a Del Vecchio,
che tra le norme secondarie annoverava le norme esplicative, quelle abrogative e quelle
permissive; ma divenne propriamente classica, solo con l'opera di Hart. 'Il diritto, egli ha
sostenuto, è un insieme di norme primarie, che impongono obblighi in quanto riguardano le azioni
che gli uomini devono fare o non fare, e di norme secondarie, che attribuiscono poteri o che
riguardano le norme primarie stesse di cui determinano le condizioni di validità, di mutamento e
di applicazione'. In Hart, come si può notare la classe delle norme primarie è ben definita con
riferimento al concetto di obbligo, la classe delle norme secondarie, invece, è fluttuante e per
il momento verrà definita solo in termini negativi: esse sono quelle norme che comportano
conseguenze diverse da quelle consistenti nel sorgere di obblighi.
- 1.Norme primarie -
-concetti deontici fondamentali che scaturiscono dalle norme primarie.
1. Le norme primarie per esprimere quello che si deve o non si deve fare creano un concetto
fondamentale, il concetto di obbligo. Per mezzo del concetto di obbligo, noi possiamo definire
altri concetti, i concetti deontici fondamentali, attraverso un operatore logico elementare, la
negazione. Occorre, però, distinguere due tipi di negazione in rapporto al concetto di
obbligo:''io sono certo che non pioverà'', piuttosto che:''Io non sono certo che non pioverà''.
Nel primo caso, abbiamo usato una negazione interna, è obbligatorio che non, nel secondo, una
negazione esterna che precede l'intera proposizione, non è obbligatorio che. Se usiamo la
negazione interna e quella esterna e poi tutt'e due, possiamo ottenere altri concetti di obbligo:
quello di 1.divieto, di 2.permesso, di 3.facoltà e di 4.libertà.
•
1.Se noi usiamo la negazione interna dell'obbligo 'è obbligatorio che non A', abbiamo
l'equivalente concetto di divieto, 'A è vietato'.
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2.Se noi usiamo la negazione esterna dell'obbligo, 'non è obbligatorio che A',
abbiamo il concetto di 'facoltà, 'A è facoltativo ', ossia ''non è obbligatorio tenere quel
comportamento''.
Inoltre, occorre specificare che stiamo parlando di un concetto di facoltà debole,
derivante dall'assenza di un obbligo, e perciò dall'inesistenza di una norma primaria che
imponga un certo comportamento, non già il concetto di facoltà forte che scaturisce,
viceversa, dalla presenza di una norma che, positivamente, conceda la facoltà stessa.
•
3.Se noi usiamo la negazione interna ed esterna, 'non è obbligatorio che non A', ossia
non è obbligatorio astenersi da A, A non è vietato, abbiamo il concetto di permesso, 'A
è permesso'.
Anche in questo caso, occorre specificare che questo concetto di permesso, non è il
concetto di permesso forte, ma di concetto debole. Un'azione è permessa in senso
debole in quanto nasce dalla mera assenza di una norma primaria che stabilisca il divieto.
Un'azione è, invece, permessa in senso forte se c'è, positivamente, una norma che
stabilisca che essa è permessa e non è vietata.
•
4.Infine, il concetto di libertà; questo deriva dalla congiunzione della facoltà e del
permesso. A è facoltativo e permesso, ossia 'A non è né obbligatorio né vietato', in
questo senso 'A è libero'.
Fra i sei concetti delucidati sussistono delle relazioni logiche e queste relazioni nascono da
incompatibilità fra obbligo di fare e obbligo di non fare, fra divieto e permesso di fare. Occorre
però distinguere due specie di incompatibilità: la contrarietà, che si ha quando due
qualificazioni incompatibili possono essere entrambe false perché è possibile una qualificazione
intermedia, e la contraddittorietà, che si ha quando di due qualificazioni incompatibili, una è
necessariamente vera, perché non è possibile alcuna qualificazione intermedia.
In base a questi concetti sono definibili altre categorie giuridiche generali, delle quali di
speciale importanza sono quelle del diritto soggettivo, del diritto oggettivo, del soggetto di
diritto, del rapporto giuridico e della capacità giuridica.
(1.)Il diritto soggettivo è un interesse protetto mediante l'imposizione di un obbligo, o
mediante l'interposizione di un doppio obbligo: l'obbligo sostanziale che l'interesse sia
soddisfatto e l'obbligo sanzionatorio, che da parte della magistratura sia applicata una sanzione
nell'ipotesi di violazione del primo obbligo.
C'è una duplice classificazione dei diritti soggettivi:
1.la distinzione fra i diritti relativi ed assoluti; distinzione che scaturisce dal
concetto di obbligo in connessione con un altro operatore logico, l'universale ed il
particolare. I diritti assoluti sono quelli comportano un obbligo che grava su tutti.
Mentre i diritti relativi si vantano nei confronti di alcuni soggetti.
2.La distinzione che si fonda sul carattere positivo o negativo dell'obbligo(obblighi
positivi e negativi). Ci sono degli interessi che sono tutelati mediante obblighi negativi,
obblighi di non fare, divieti che arrestano l'azione degli altri proteggendo l'interesse
di un soggetto.
Ma ci sono anche dei diritti tutelati da obblighi positivi, obblighi di cooperazione..
I diritti di rispetto, il cui principio giuridico è ravvisabile nella massima del neminem
laedere, sono garantiti da obblighi negativi, mentre quelle di cooperazione da obblighi
•
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
positivi. Questi due concetti, rispetto e cooperazione, sono molto importanti perché da
essi nascono due categorie fondamentali, quella di libertà protetta e di solidarietà.
La libertà protetta, che è il contenuto ed il risultato dei diritti di rispetto, è una
libertà che si colloca ad un livello superiore rispetto alla libertà debole sopra delineata,
essendo congiunzione di permesso e di facoltà protetta. I diritti di rispetto, sono
normalmente, assoluti: essi sono ottenuti vincolando all'astensione da atti lesivi o di
turbativa, tutti gli altri soggetti dell'ordinamento ed i più importanti sono: il diritto alla
vita, il diritto alla libertà fisica e di coscienza, il diritto all'incolumità ed il diritto alla
proprietà.
I diritti di cooperazione, invece, sono importanti, in quanto promuovendo la
collaborazione degli altri soggetti, creano a vantaggio del soggetto interessato, una rete
di solidarietà. Di solito, i diritti di cooperazione sono soltanto relativi ed essi sono: il
diritto all'assistenza, il diritto al soccorso, all'istruzione, all'educazione, al lavoro, etc.
Negli Stati a regime liberale , prevalgono i diritti di rispetto che si rivendicano verso
gli altri privati e verso lo stesso Stato, mentre gli obblighi positivi sono ridotti al minimo.
Negli Stati a regime sociale, a partire dalla Rivoluzione Francese, oltre ai diritti di
rispetto (o diritti di libertà), iniziarono ad affiancarsi ed a essere prevalenti i diritti di
cooperazione( o diritti di solidarietà); diritti che comportano non solo la mutua
cooperazione dei cittadini fra loro e nelle comunità intermedie, ma anche l'assegnazione
di nuovi compiti allo Stato.
Non c'è dubbio, in ogni caso, che gli obblighi negativi ed i corrispondenti diritti di
rispetto abbiano una sorta di precedenza logica sugli obblighi positivi e sui
corrispondenti diritti di cooperazione, dal momento che prima di chiedere o offrire
collaborazione e solidarietà, occorre che sia garantita la nostra stessa esistenza e la
nostra libertà d'azione. Ma la stessa personalità si sviluppa pienamente solo in una
relazione positiva con gli altri, né può esistere un ordinamento che imponga soltanto
astensioni.
(2.)Ed una volta che abbiamo compreso il concetto di diritto soggettivo ed oggettivo, dobbiamo
affrontare il concetto di soggetto di diritto, ossia qualsiasi ente, persona fisica o giuridica che,
secondo l'ordinamento di cui si tratta, è e può essere titolare di diritti soggettivi.
(3.)Inoltre, dati i concetti di diritto soggettivo e di obbligo è immediatamente dato il concetto
di rapporto giuridico: rapporto giuridico è quella specifica relazione che si stabilisce tra un
soggetto titolare di un diritto, soggetto attivo, ed il soggetto o i soggetti passivi, su cui grava il
corrispondente obbligo.
(4.)Infine, in connessione col concetto di rapporto giuridico, si determina il concetto di
capacità giuridica, come capacità di divenire parte attiva o passiva di un rapporto giuridico.
Esistono, però, anche altri concetti giuridici di cui la scienza giuridica si serve, sebbene non
possano essere inclusi fra quest'ultimi, in quanto presuppongono l'esistenza di norme
secondarie, per esempio il concetto di capacità d'agire , la quale presuppone il concetto di
potere, ed il concetto di nullità.
-funzione giuridica.
- 2.Norme secondarie -
Come abbiamo già detto, lo stesso Hart, che meglio di ogni altro analizzò la natura di queste
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norme, ne offrì una classificazione molto ampia, mancando di precisarne il concetto. Tuttavia,
Hart fece un'osservazione acuta, che può dire qualcosa di più sulla funzione delle norme
secondarie. 'Il passaggio, egli ha detto, da un ordinamento in cui vigano soltanto norme primarie
(pregiuridico), ad un ordinamento (specificatamente giuridico) in cui alle norme primarie si
sovrappongono quelle secondarie, consiste nel passaggio da una società basata sulla mera
consuetudine e sulla operatività spontanea delle regole ad una società che ha, invece, sviluppato
una serie di norme riflesse, le norme secondarie ed un complesso di apparati legislativi,
burocratici e giudiziari'.
Da ciò desumiamo, dunque, che le norme secondarie suppliscono alla funzione di organizzazione;
si parla di organizzazione a più livelli, in quanto queste norme organizzano soggetti, non naturali
ma artificiali, concetti oppure organizzano tutte le altre norme nel quadro dell'ordinamento
giuridico.
-Tripartizione delle norme secondarie.
Allora, le norme secondarie si possono suddividere in tre principali sottogruppi: 1.le norme di
entificazione, chiamate da libro, norme di organizzazione in senso stretto, 2.le norme di
qualificazione, e 3.le norme di validità, che sono le più importanti.
1.Le norme di entificazione (o di organizzazione in senso stretto), vengono chiamate così in
quanto sono le norme che organizzano nuovi soggetti che non esistono in natura come per
esempio le persone giuridiche.. Le norme di entificazione sono legate allo schema gli 'A sono B'
, dove A, però, indica un nuovo soggetto, uffici, organi, intere istituzioni, di cui le norme di
entificazione dispongono l'esistenza o la struttura. Si posso perciò distinguere, almeno dal
punto di vista logico, due diversi tipi di norme di entificazione: 1.1.le norme di esistenza, le
quali stabiliscono il se dell'esistenza di un ente , quindi istituiscono o sopprimono un ente e 1.2.
le norme di struttura le quali non dispongono il se, ma il come dell'esistenza dell'ente, ossia
stabiliscono appunto, la struttura e la composizione dell'ente stesso.
Sono esempi di norme di struttura:'Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del
Consiglio e dai ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri(art.92 Cost.)'.
2.Le norme di qualificazione , chiamate dal libro, norme di qualificazione in senso stretto, sono
quelle norme che assegnano un attributo giuridico, ossia una qualità ad una determinata
categoria d'oggetti, soggetti, cose, fatti, etc.
Degli esempi, potrebbero essere, l'art.59 Cost. Che conferisce la qualità di senatore a vita a
coloro che siano stati Presidenti della Repubblica oppure l'art280 c.c. Che attribuisce ai figli
nati fuori dal matrimonio la qualità difigli legittimi.
Inoltre, le norme di qualificazione, a loro volta, si suddividono in due tipi:
2.1. le norme di qualificazione definitorie ;
2.2.le norme meramente attributive.
La distinzione fra questi due tipi di norme è che le norme meramente attributive sono a
struttura incompleta, in quanto tacciono dei casi non compresi nella fattispecie A. Inoltre,
queste norme sussumono una categoria A con una categoria B ma senza identificare la prima con
la seconda. Così, l'art.59 sussume la categoria degli ex Presidenti della Repubblica sotto la
categoria dei senatori a vita, ma le classi non si identificano. Le norme definitorie, invece, sono
a struttura completa, prevedendo sia gli A sia i non A, ai primi attribuendo, ai secondi negando.
Le norme definitorie, di conseguenza, sono sempre composte da una parte inclusiva (gli A sono
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
B) ed una parte esclusiva (i non A non sono B). Ad esempio l'art.812 c.c. Contiene esplicitamente
queste due parti: 'sono beni immobili il suolo, le sorgenti, i corsi d'acqua, gli alberi', parte
inclusiva, e 'sono mobili tutti gli altri beni'.
Un'ultima distinzione, può derivare dal fatto che la definizione fornita dalle norme di
qualificazione sia di tipo concettuale, classificatorio o mista.
3.Le norme di validità, infine, organizzano tutte le altre norme dell'intero ordinamento
giuridico. Anche queste norme rispettano lo schema 'gli A sono B'' o 'se A allora B', dove gli A
non denotano persone, cose, fatti o enti, ma specificatamente norme o atti normativi, per cui
queste norme di validità, in realtà, sono norme che riguardano altre norme di cui dispongono la
validità o l'invalidità. Mentre B, consiste nell'attribuzione della qualità di essere valido o
invalido.
-Precisazioni.
Abbiamo detto che queste norme riguardano altre norme, ma possono riguardare anche
gli atti normativi,ossia atti intesi a produrre norme. Però quando si dice che un atto
normativo è valido, in realtà, si dice che sono valide le norme che nascono da quell'atto, e
viceversa quando è invalido; invalide sono le norme scaturite dall'atto stesso.
✗
Bisogna, inoltre chiarire, che stiamo utilizzando il termine validità o invalidità in un
senso più ampio rispetto all'uso che se ne fa nelle scienze giuridiche positive: la validità
qui comprende anche l'efficacia e l'invalidità copre la nullità, l'annullabilità e
l'inefficacia.
Che vuol dire allora che una norma è valida?
Una norma valida è una norma che appartiene all'ordinamento giuridico, mentre una norma è
invalida se non appartiene all'ordinamento giuridico. Le norme di validità possono, dunque,
validare altre norme giuridiche introducendole nell'ordinamento o invalidarle escludendole dallo
stesso ordinamento. Conseguenzialmente, nell'ambito delle norme di validità, bisogna
distinguere fra:
3.1.norme di validazione ;
3.2.e norme di invalidazione.
Però, dal punto di vista giuridico, anziché tecnico-operativo, c'è una distinzione più rilevante per
il diritto, quella fra:
3.3.norme di trasformazione in senso lato, le quali tendono a disciplinare la possibilità della
trasformazione, alcune volte favorendo il mutamento, altre schierandosi per il mantenimento
3.4.e norme di razionalizzazione , le quali operando ad un livello superiore, non si preoccupano
della dinamica dell'ordinamento, ma della razionalizzazione delle altre norme, ossia
dell'introdurre od escludere norme che la razionalità vorrebbe ci fossero o non ci fossero
nell'ordinamento.
Quindi, in sintesi, le norme di trasformazione ( chiamate dal libro, norme di mutamento)sono
quelle dirette a stabilire le condizioni della possibilità o dell'impossibilità di un determinato
mutamento.
Mentre, le norme di razionalizzazione servono a razionalizzare tutte le norme
dell'ordinamento.
Le norme di validità, tenendo conto della distinzione fra le norme di trasformazione e di
razionalizzazione, sono le norme di organizzazione che operano al livello più alto, riferendosi
✗
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
all'intero ordinamento ed il culmine viene raggiunto proprio con le norme di razionalizzazione.
- Le
norme di trasformazione-
N.B. Il professore le presenta seguendo due tappe fondamentali.
-novelle legislative.
Quelle presentate per prime, sono le 1.novelle legislative, le più semplici, le quali costituiscono
un paradigma. Queste norme vengono definite novelle legislative perché innovano l'ordinamento
in maniera estremamente esplicita e chiara. Sono metanorme ed in particolare, sono norme che
si riferiscono ad unica norma ed in maniera esemplare e più esplicita possibile determinano
l'esplosione o l'implosione dell'ordinamento. Sono quelle norme abrogative di singole altre
norme, chiaramente invalidanti, le norme soppressive, le norme aggiuntive da considerarsi come
norme validative , e quelle sostitutive, le quali cancellano la vecchia norma per introdurre quella
nuova( sintesi fra funzione abrogativa ed aggiuntiva). Queste norme, quindi, sono il paradigma
tipico del modo di operare delle norme di validità
-norme di validazione od invalidazione.
2.Le seconde, sono quelle più complesse, le quali possono essere validative od invalidative.
- Le norme di invalidazione Le norme di invalidazione sono quelle norme abrogative che riguardano un complesso di
norme.
''Sono abrogate tutte le norme in contrasto con la presente legge''.
L'invalidazione, inoltre, può funzionare non solo guardando al passato, ma in qualche modo
guardando al futuro. Per cui possiamo ritrovare norme che non invalidano norme che già ci sono,
ma norme che precludono ciò che potrebbe venire in essere. In questo modo, nell'ambito
dell'invalidazione, oltre alle norme abrogative, esistono anche le norme preclusive, le quali
servono a mantenere e conservare evitando l'introduzione di norme che abbiano determinate
caratteristiche.
Un esempio tipico è l'articolo 139 della Costituzione. ''Non è possibile la revisione della forma
costituzionale''. Perciò, sono precluse quelle norme che si propongono di modificare il regime
costituzionale.
-il concetto di nullità e di permesso forte.
Ora grazie alle norme di invalidazione abrogative o preclusive possiamo formarci alcuni
concetti.
Si tratta di concetti che come già accennato non si spiegano con le sole norme primarie, ma
bisognava giungere alle norme di validità.
Il concetto di nullità , nonostante le tante discussioni della dottrina, la quale l'ha affiancata al
non essere ed a una molteplicità di altre categorie metafisiche, nasce in parte dalle norme di
invalidazione e da quelle definitorie.. In effetti; una norma o un atto normativo sono nulli
quando un'altra norma li invalidi oppure può discendere dalla non corrispondenza della
fattispecie concreta alla fattispecie tipica, quale risulta configurata da una norma definitoria.
Un'altra categoria esplicabile mediante norme di invalidazione è il concetto di permesso forte;
ma prima di procedere, ricordiamo che cosa s'intendeva con il concetto di permesso debole già
trattato precedentemente. Un comportamento è permesso in senso debole se non c'è nessuna
norma che lo vieta. Però bisogna capire che ci sono dei permessi i quali non nascono dal fatto
che non ci sono norme di obbligazione che li vietano ma soprattutto dal fatto che ci sono delle
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
norme che positivamente li dichiarano permessi. Il permesso forte nasce proprio da questa
riflessione.
Il professore propone come esempio l'art.16 Cost., che permette a tutti i cittadini la libera
circolazione sul territorio nazionale e vieta al Parlamento e alle autorità amministrative di
limitare questa libertà, rendendo illecito ed anche invalido, l'atto normativo che violi la libertà
di circolazione dei cittadini (un atto è illecito se l'autore è passibile di punizione ed è invalido,
se è privo di effetti).
Naturalmente nell'ottica dell'imperativismo, secondo il quale l'ordinamento era il risultato di un
insieme di imperativi, le norme permissive hanno sempre costituito un problema al quale
bisognava trovare una soluzione od almeno una giustificazione. Così gli imperativisti, gente
acuta, giunsero a sostenere che dire che un comportamento è permesso comporta un doppio
divieto; in effetti, da un lato, significa dire agli altri cittadini che non devono interferire ed
impedire con la forza e la violenza quel dato comportamento permesso, mentre, dall'altro lato,
si riferisce alle autorità, vietandogli di proibire a loro volta con norme l'atto permesso. Si può
pensare che una norma permissiva ammetta o rafforzi un certo atto agli occhi dei cittadini e
delle autorità, ma c'è un elemento in più, quello secondo il quale la proibizione dell'atto
permesso viene vista come invalida. Quindi, in conclusione, le norme permissive nascono da una
norma la quale dichiara invalido l'atto di divieto, non punibile e vietato, ma propriamente
invalido.
- Le norme di validazione -
Le norme di validazione sono quelle norme che trasformano l'ordinamento introducendo nuove
norme ad un livello più complesso rispetto alle novelle legislative. Il professore per fare un
esempio si riferisce all'articolo 10 della Costituzione. 'L'ordinamento italiano si adegua alle
norme di diritto internazionale collettivamente riconosciute''.
In particolare, di queste norme di validazione che introducono in blocco nuove norme
nell'ordinamento, molto importanti sono quelle che attribuiscono potere.
-Il concetto di potere.
Il potere si può definire come la capacità che una norma attribuisce ad un soggetto, la capacità
di produrre norme valide, in conformità alla propria decisione. Naturalmente, la norma
attributiva del potere stabilisce i limiti entro i quali il potere stesso è esercitabile e le norme
che esso pone sono valide nell'ordinamento.
L'imperativismo si è trovato in difficoltà a spiegare la natura delle norme attributive di
potere, eppure anche in questo caso si è giunti ad una conclusione che è parzialmente accettata.
Il potere può essere spiegato parzialmente presentando le norme attributive di potere come
norme primarie, speciali 'comandi di obbedienza'. Secondo questo punto di vista, quindi,
conferire un potere normativo ad un soggetto su certe persone equivarrebbe a comandare a
queste persone a obbedire a tutti gli imperativi di quel soggetto.
Secondo questa logica, però, si può esercitare un potere solo attraverso degli imperativi mentre
tutte le altre forme, le deroghe od i permessi non comporterebbero nessun potere.
Una spiegazione più esauriente del concetto di potere, può trovarsi, sostituendo alla formula 'Si
deve ubbidire ai padri supremi'', 'Tutte le norme che provengono da questo soggetto sono
valide, fanno parte dell'ordinamento giuridico'.
-il concetto di competenza e di capacità d'agire.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
In connessione con quello di potere possono ora venire definiti molti altri concetti essenziali. La
norma attributiva di poteri sottopone in genere il potere stesso ad alcune restrizioni e
l'ambito entro il quale sono valide le modificazioni e le norme poste in essere dal soggetto,
rappresenta il concetto di competenza..
Ma ci sono anche altri concetti che ora si possono spiegare, come quello di autorità e di
capacità d'agire..
Si possono distinguere poteri normativi pubblici e poteri normativi privati. I poteri pubblici
sono poteri attribuiti ad un soggetto od a più soggetti, poteri i quali sono destinati ad incidere
sulla generalità. Sono per esempio le norme del Parlamento o quelle emanate da un sindaco od i
decreti di un ministro. Il soggetto investito di questo potere viene chiamato autorità, in grado
di modificare la sfera giuridica dei cittadini, di una classe più o meno ampia di soggetti. Quando,
invece, il potere viene attribuito a soggetti che hanno il potere di emanare norme che incidano
solamente sulla loro sfera giuridica o di persone che gli sono legate, allora questi sono poteri
normativi privati ed il soggetto che detiene tali poteri è investito di capacità d'agire
- Le norme di razionalizzazione Le norme di razionalizzazione sono principi generali dell'ordinamento i quali sono diretti ad
armonizzare le norme nella totalità dell'ordinamento. Devono introdurre od escludere norme
secondo il dettato della razionalità. Ma che cos'è la razionalità? Non è facile dirlo però
possiamo fare una descrizione. C'è una razionalizzazione ideologica e c'è una
razionalizzazione di natura diversa, logica.
La razionalizzazione ideologica ha a che fare con la giustizia dell'ordinamento giuridico, che si
esprime essenzialmente nel principio di eguaglianza. Però, come abbiamo detto c'èanche una
razionalità logica, ci sono norme, in effetti, le quali cercano di assicurare la completezza e la
coerenza dell'ordinamento stesso, in modo da conformarsi ai principi della stessa logica. I
principi logici fondamentali sono 1.il principio di non contraddizione, 2.il principio del terzo
escluso e 3.il principio di identità. Le norme di razionalizzazione logica tendono a far sì che
l'ordinamento non abbia contraddizioni, che risponda alla domanda ''è così o no?'', in un modo o
nell'altro, e alla fine ci deve essere una norma che determini l'identità dell'ordinamento. Quindi
dovremo di seguito discutere sul 1.principio di eguaglianza, 2.di coerenza, 3 di completezza e
4.di identità.
-Principio di razionalità ideologica: il principio di eguaglianza.
Il principio di eguaglianza viene riconosciuto in quasi tutti gli ordinamenti giuridici. Non è un
caso che è contenuto nell'articolo 3 della nostra Costituzione. Esso opera nell'ordinamento a
due livelli; un livello più semplice, dove il principio di eguaglianza deve essere rispettato da tutti
coloro che applicano la legge, i giudici soprattutto, basti pensare alla frase ''La legge è uguale
per tutti'', per cui in questo contesto il principio di eguaglianza si identifica con il concetto di
legalità. Un significato più preciso, però, il concetto di eguaglianza ce l'ha, quando è rivolto agli
stessi legislatori. A questo livello,Il principio di eguaglianza, si presenta, senza dubbio come una
norma primaria, un imperativo rivolto al legislatore, il quale non deve compiere discriminazioni a
meno che non ve ne siano buone ragioni. Ma quando ci si rivolge ai legislatori gli imperativi
funzionano fino ad un certo punto, una sanzione, nei confronti del legislatore, non esiste;
bisogna, dunque, introdurre una norma secondaria che disponga circa la validità o l'invalidità
delle norme che siano responsabili di irragionevole diseguaglianza.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
Come può di fatto funzionare il principio di eguaglianza?
1.Intervenendo con una norma che invalidi le discriminazioni ingiuste.
2. o validando una norma che ristabilisca l'equilibrio estendendo agli altri la norma che era stata
prima ristretta ad alcuni.
-Principio di non contraddizione.
Le contraddizioni possono verificarsi e quando si verificano contraddizioni fra norme si parla di
antinomie. Queste antinomie possono aversi fra due norme di obbligazione, fra una norma di
obbligazione ed una secondaria o fra due norme secondarie. Quando c'è una contraddizione,
l'unica soluzione è far prevalere una norma sull'altra, il che significa eliminare, invalidare, una
delle due al fine di rispettare il principio di coerenza.
Quali sono i criteri che il principio di coerenza adotta per decidere quale norma mantenere a
discapito dell'altra?
1)Il principio lex superior derogat legi inferiori.
Questo primo principio guarda la gerarchia delle norme. 'La legge superiore deroga quella
inferiore', ossia sono invalide tutte le norme che contrastino con le norme gerarchicamente
superiori.
2)Il principio lex posterior derogat lex priori.
'La legge successiva deroga quella precedente', o meglio questo principio dispone l'invalidità di
norme precedenti in contrasto con norme successive emanate dalla stessa autorità o da autorità
di pari livello.
3)Il principio lex specialis derogat generali.
Il professore pone come esempio il problema delle pubblicazioni del matrimonio, queste devono
sempre precedere il matrimonio tranne nel caso speciale dell'art. 101 del codice civile, quello
di MATRIMONIO IN IMMINENTE PERICOLO DI VITA.
'La legge speciale prevale sulla legge generale', in quanto introduce un'eccezione in quella
generale.
Alcune volte, può capitare, però, che fra questi stessi criteri ci siano delle collisioni ed in tali
situazioni dette lacune, ci si affida al prudente apprezzamento del giudice.
-Principio del terzo escluso.
Avendo accennato il concetto di lacuna è indispensabile parlare dei principi di completezza, i
quali hanno a che fare con il principio del terzo escluso. Mentre il principio di non
contraddizione dice che, quando c'è un'alternativa fra A e non A, si deve compiere
necessariamente una scelta per rispettare il principio di coerenza, secondo il principio del
terzo escluso, di fronte ad un'alternativa fra A e non A, non solo non possiamo accettarli
entrambi, ma non possiamo neanche tacere, il terzo non è dato. Allora ci sono dei principi che
cercano di evitare queste situazioni nelle quali non si riesce a scegliere né l'una né l'altra
soluzione, chiamate propriamente lacune dell'ordinamento. Ed ecco che si parla dei principi
d'integrazione, i quali diversamente da quelli di coerenza, hanno la funzione di introdurre una
nuova norma per integrare l'ordinamento e per giungere ad una risposta. Bisogna precisare,
inoltre, che solo le norme a struttura incompleta danno vita a casi non previsti sebbene
questo non comporti necessariamente che generino delle lacune. Nel caso che queste norme a
struttura incompleta creino delle lacune, per risolvere il dilemma possiamo appellarci al
principio di esclusione o al principio di analogia. Il principio di esclusione , chiamato dal libro
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
argomento a contrario, stabilisce che per i casi non contemplati vale la disciplina opposta a
quella prevista.
La norma N dice solo che gli A sono B,
i C non sono A,
dunque, vale la norma integrativa N' che i C non sono B.
Il principio di analogia, invece, attribuisce ai casi non contemplati che siano, però, simili a quelli
previsti, la stessa disciplina di quella prevista( esempio del regolamento delle stazioni ''i cani
non possono entrare'').
La norma N dice solo che gli A sono B,
i C non sono A,
dunque, vale la norma integrativa N' che i C sono B.
Ma che vuol dire simili? Simili vuol dire ricompresi sotto la stessa ratio, ossia la finalità
oggettiva, cui la norma è stata ispirata. Naturalmente i due principi non possono essere applicati
allo stesso caso; essi sono alternativi. Generalmente, nell'ordinamento italiano, prevale il
principio di analogia ma non in tutti i settori. Per esempio non nel diritto penale e non nella
disciplina delle leggi eccezionali, per il semplice fatto che se la disciplina eccezionale si
estendesse a casi simili, smetterebbe di essere eccezionale.
-Principio di identità
Il principio di identità, ''A è A'', è considerato dalla tradizione, il principio fondamentale. Il
principio di identità potrebbe apparire ovvio, questo dice che ogni cosa è sé stessa e diversa da
altre cose. Quindi, individua un oggetto in sé e distinto dagli altri oggetti. Nell'ordinamento
giuridico il principio di identità si manifesta attraverso il principio di unità. Questo principio di
unità non può non esistere e risulta essere analogo alla norma fondamentale di Kelsen per un
certo aspetto mentre per un altro ne differisce. L'analogia con la norma fondamentale è che
questa rimanda ad una funzione comune anche a quella che potrebbe svolgere il principio di
identità nell'ordinamento. La differenza è che, per Kelsen, questa norma fondamentale è una
prescrizione, mentre passando attraverso i vari filosofi, ricordando lo stesso Hart , il quale la
presentava come una norma di riconoscimento al vertice delle norme secondarie, dobbiamo
iniziare a pensarla come una definizione che genera e struttura l'ordinamento dicendo quali
norme, o a quali condizioni le norme, sono valide nell'ordinamento stesso. Per preservare questa
distinzione e per distinguerla dalla norma fondamentale di Kelsen, la chiameremo norma
fondante, ossia una norma che definisce l'unità dell'ordinamento, l'ordinamento nel suo insieme
distinguendolo dalla molteplicità degli altri ordinamenti.
La norma fondante, come norma secondaria, suona più o meno così:'Appartengono
all'ordinamento, ossia sono valide, tutte e soltanto le norme aventi la caratteristica di derivare
direttamente od indirettamente dal costituente originario '. Abbiamo detto che questa norma
è una definizione, ma se analizziamo meglio la natura di questa norma vi dovremmo ritrovare i
caratteri tipici delle norme che compongono l'ordinamento giuridico. Quindi, sì è una
definizione, appartiene alle norme di qualificazione, ma è anche una norma di validità, in quanto
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
si esprime in termini di validità che stiamo trattando, inoltre è una norma di entificazione di
struttura poiché identifica l'ente giuridico per eccellenza, l'intero ordinamento giuridico. Può
considerarsi anche una norma do obbligazione per il semplice fatto che dire che una norma è
valida vuol dire anche che deve essere osservata; quindi l'elemento della prescrizione è
implicito in questa definizione.
Nella norma fondante possiamo distinguere due clausole: 1.una molto definitoria che esprime il
senso dell'atto della creazione (contenuto), ed 2.una prescrittiva, secondo il quale si deve
obbedire all'ordinamento rendendo positiva la legge. Il diritto è una sintesi di questi due
momenti che influenzano sia il corpo normativo che la società. Quindi il diritto sembra
congiungere, in altri termini, il normativismo ed il neoistituzionalismo.
La natura logica delle norme.
Le norme sono delle proposizioni. Ma a quale genere logico- proposizionale appartengono?
Per oltre duemila anni e fino a non molto tempo fa, le proposizioni conosciute, era
essenzialmente di tre tipi: 1.le proposizioni descrittive, la cui funzione è quella di dire come il
mondo e le cose sono e che, sole possono essere verificate vere o false, 2. le proposizioni
espressive, connesse con la sfera del sentimento che hanno lo scopo di manifestare gli stati
d'animo del loquente o di suscitarne di analoghi nell'interlocutore e 3. le proposizioni
prescrittive, che servono a dire come il mondo dovrebbe essere, e perciò, a far fare qualcosa a
qualcuno. La tradizione imperativistica ha dovuto risolvere molte difficoltà quando si è trovata
di fronte alle norme secondarie, alle quali era difficile dare un'interpretazione prescrittivistica
od imperativistica, come avevano fino allora ardentemente sostenuto per quanto concerne le
norme primarie. E' per questo motivo che l'imperativismo tradizionale ha tentato di ridurre le
norme secondarie a norme primarie, compiendo molti tentativi di risoluzione che hanno portato,
però, a risultati deludenti che corrispondono, a volte, a dei veri e propri errori. Sul nostro libro
sono contenuti molti esempi di questi tentativi. L'imperativismo cercò di spiegare la natura delle
norme definitorie ed abrogative.
Secondo l'opinione più diffusa, le norme definitorie si rivelerebbero norme primarie inquanto
ingiungerebbero a coloro che applicano le leggi di intendere certe parole in un modo
determinato.
Per quanto concerne le norme obbligatorie, queste secondo i normativisti, erano norme primarie
perché:
a)come si è detto da alcuni, obbligano a considerare abrogate certe altre norme.
b)come si è detto da altri, comandano di abrogare certe altre norme.
Ma queste concezioni generano degli errori, in quanto la norma abrogativa non comanda di
abrogare, bensì abroga direttamente. Quindi, l'errore compiuto da questa seconda tesi consiste
nel non spiegare l'elemento da definire, l'abrogare, ma eliminarlo risolvendo il problema con ''si
comanda di abrogare''.
Questo nuovo tipo di norme, le norme secondarie, dunque, devono corrispondere ad un diverso
tipo logico- proposizionale; esse non sono né proposizioni prescrittive, né espressive, sebbene
somiglino alle proposizioni prescrittive. Sia questo nuovo tipo di norme sia quelle prescrittive
tendono entrambe ad un determinato effetto; ma mentre le proposizioni prescrittive
tendono a tale effetto esercitando una pressione sul comportamento di qualcuno e così
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
realizzano il loro intento, questo nuovo tipo di proposizioni, le proposizioni costitutive, non
esercitano una pressione verso nessuno in quanto sono loro stesse che lo costituiscono, nel
momento stesso dell'entrata in vigore, ed è per questo che vengono chiamate norme
costitutive; norme costitutive, perché dispongono quell'oggetto e quello si produce.
Le norme costitutive realizzano il loro scopo in un solo atto, quello dell'emanazione della
norma che è anche quello dell'esecuzione, non facendo appello all'obbedienza o alla
collaborazione di alcuno. Quindi, le norme costitutive, non hanno dei veri o propri destinatari o
per lo meno seppur sembrano esserci dei destinatari, questi non devono fare niente essendo
semplicemente i soggetti sui quali si riversa un determinato effetto. Inoltre queste norme non
avendo destinati in senso proprio e producendo effetti di natura ideale, non possono mai essere
violate, né suscettibili di coazione.
In sintesi, tutte le norme secondarie sono norme costitutive.
Le norme di obbligazione prevedono un effetto giuridico che è il sorgere dell'obbligo e questo
effetto giuridico lo producono immediatamente. Nelle norme di obbligazione abbiamo un effetto
pratico ma produce anche, prima di esso, l'effetto giuridico dell'obbligo. Quindi, queste norme
si distinguono dalle altre perché hanno un duplice effetto, uno pratico che può anche fallire, ed
il sorgere dell'obbligo che è costituito dalla norma stessa. Possiamo quindi dire che tutte le
norme, in ultima analisi, hanno un carattere costitutivo, anche quelle di obbligazione.
L'idea della costitutività delle norme è balenata nella mente di molti filosofi e giuristi, anche
riferendosi a tutte le norme. Il giurista Massimo Severo Giannini scrisse nel 1983 un libro di
teoria generale, nel quale contestava l'idea che uno dei caratteri essenziali di tutte le norme
fosse la coattività, la legittimità, in caso di violazione, di intervenire con la forza. Egli
richiamando quelle che noi abbiamo chiamato le norme di organizzazione in senso stretto,
disse che non aveva senso parlare di coazione e tanto meno di violazione. Egli utilizza come
esempio la norme della Costituzione che riguardano la costituzione del parlamento, la creazione
del ministero dell'ambiente chiedendosi quale sia il carattere coattivo ed in quale modo possano
essere violate.
Altri giuristi, invece, prendendo in considerazione l'intero ordinamento, dissero che tutte le
norme di carattere privato o pubblico avevano carattere costitutivo. Il primo è Emilio Betti, il
quale fu giurista ma anche filosofo. Egli disse per quanto concerne i negozi: 'la forza operativa
dell'atto di autonomia privata, per esempio, potrebbe anche dirsi costitutiva per la sua stretta
analogia con le pronunce costitutive'. E aggiunge:' nel contratto, la dichiarazione ha una
funzione costitutiva di un contenuto che in essa è evidenziato: costitutiva nel senso che non si
limita a rappresentarlo ma insieme lo pone in essere'. Un altro autore, Santi Romano, disse la
stessa cosa a proposito delle leggi. Nell'esaminare i caratteri della legge, considerata da molti
astratta, generale e coattiva, affermò: 'si suole dire che la legge ha per suo carattere la
novità, cioè essa pone prescrizioni e determinazioni prima inesistenti, oppure quando, essendo
già in vigore, le ripete, ne muta la fonte e quindi la rinnova'. Quello che c'è di vero in tale
principio si esprime più esattamente dicendo che la legge è costitutiva dell'ordinamento
giuridico, in senso che dei soggetti assumono un certo carattere in virtù della stessa legge. Il
professore cita due giuristi, uno austriaco Reinach ed un altro tedesco.
REINACH
L'opera più importante di Reinach è ''i fondamenti a priori del diritto civile'. Egli notò il
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
carattere costitutivo prima di certe norme, poi di tutte ed arrivò a dire:'questa norma non è
un'affermazione che possa essere vera o falsa perché non riguarda una realtà preesistente, ma
neppure un comando come disastrosamente si suole pensare, è una determinazione, una
disposizione che non ha destinatario e che effettua col suo stesso porsi la modificazione che è
il suo significato intenzionale'. Reinach estende questo, poi, a tutte le norme, dicendo:'tutte
sono disposizioni, fanno parte di quelli che egli chiama atti effettuativi, cioè atti che intendono
effettuare ed eventualmente riescono ad effettuare, per mezzo del loro stesso porsi, qualche
modificazione'. Questa teoria venne ripresa negli anni 60 da Karl Larenz.
KARL LARENZ.
Larenz era un filosofo tedesco che apparteneva al neorealismo. Egli, in un saggio, in particolare,
si occupò delle proposizioni costitutive, riferendosi esplicitamente a Reinach ed
affermando:'C'è una bella differenza fra gli imperativi e le disposizioni, nelle seconde,
l'effetto scaturisce dalla stessa disposizione e non da un'attività che ad essa segue, mentre ciò
non accade nelle prescrizioni, nelle quali l'effetto si produce in seguito al volontario
adempimento della persona obbligata. Questo è importante perché evidenza che tutte le norme
tendono a realizzare un effetto; il quale può consistere nel sorgere di un obbligo o in una
situazione di genere diverso. Quando la norma ha un contenuto di obbligo, essa ha anche un
senso prescrittivo, è una disposizione in quanto fa sorgere subito l'obbligo ma ha anche un
effetto prescrittivo'.
Siamo, quindi, giunti alla conclusione attraverso l'analisi di vari autori e filosofi che tutte le
norme hanno un carattere speciale, una natura costitutiva. Sfortunatamente, però, questi
filosofi non avendo a disposizione una tavola proposizionale flessibile conoscevano
limitatamente due, tre tipi di proposizioni e poiché le proposizioni prescrittive erano le più
adatte, questi stessi autori quando, poi, hanno cercato di spiegare la natura di queste
proposizioni sono tornati al dover essere e così hanno perduto i passi avanti fino allora compiuti.
Questa situazione non si generò per colpa degli uomini in generale, ma dipendeva strettamente
dalla ancora mancata liberalizzazione della tavola proposizionale.
Questa liberalizzazione fu realizzata una settantina di anni fa per merito di Wittengstein.
WITTENGSTEIN.
Filosofo austriaco, il quale fu padre di un movimento molto importante del novecento, il
neoempirismo . In particolare Wittengstein ebbe due fasi:
1)Nella prima fase, che si può chiamare di positivismo logico, Wittengstein non solo non andò
oltre dei tre generi proposizionali che conosciamo, prescrittive, descrittive ed espressive, ma
addirittura disse che l'unico genere proposizionale effettivo era quello descrittivo, ossia il
genere ed il linguaggio impiegato dalle scienze verso i quali, i neopositivisti concentravano la
loro attenzione.
2)Il suo pensiero mutò quando andò ad insegnare a Cambridge , qui sotto le influenze
dell'empirismo inglese e quelle provenienti dall'America, ammise questa liberalizzazione dei
generi proposizionali. Ed in una delle sue ultime opere che è stata pubblicata postuma dopo la
sua morte, ''Ricerche filosofiche'', in uno dei paragrafi più noti disse:
''C'è un infinità di proposizioni, e questa infinità non è data una volta per tutte perché è la società che
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
via via crea generi proposizionali a seconda delle sue esigenze. Quanti tipi di proposizioni ci sono? Di
tali tipi ne esistono innumerevoli. E questa molteplicità non è qualcosa di fisso perché nuovi linguaggi
sorgono ed altri invecchiano e vengono dimenticati.''
In questa molteplicità, egli individua:
1)comandare ed agire come comandato.
2)descrivere un oggetto.
3)costruire un oggetto secondo un disegno.
4)far congetture intorno ad un avvenimento o elaborare ipotesi che le mettano alla prova.
5)Inventare una storia.(potrebbe considerarsi una proposizione espressiva in parte, ma non
completamente in quanto c'è in più un lavoro di immaginazione e creazione).
6)chiedere.
7)ringraziare.
8)imprecare.
9)salutare.
10)pregare.
In questa elencazione esemplificativa di nuovi tipi proposizionali non sono contenute le
proposizioni costitutive, sebbene questa liberalizzazione ci autorizza a pensare che possano
esistere nuove proposizioni.
Inoltre, è interessante osservare che questo atteggiamento di un maestro incoraggiò le
ricerche logiche al di là delle proposizioni prescrittive. Un primo risultato di questa promozione
di ricerca rimanda ad un lavoro di un inglese, J.Langshaw Austin ( il quale differisce dall'Austin
tedesco ed imperativista), un filosofo dotato di una certa sensibilità anche giuridica. Egli
scrisse un libro e poi, vari articoli che sintetizzavano il libro, che ha un titolo molto
significativo:
Tradotto nella prima edizione con la frase ''Quando il dire è fare''', mentre nella seconda
traduzione prende il nome di ''Come fare cose con parole'''.
Egli scoprì delle proposizioni che chiamò 'performatives'', degli enunciati assolutamente comuni
ed ordinari, espressi solitamente alla prima persona singolare del presente indicativo attivo 'Io
faccio qualcosa '. Il punto è che queste proposizioni non descrivono quello che il loquente sta
facendo, bensì il performativo realizza l'azione che dice per lo stesso fatto di dirlo( tre
esempi; 1.quello dell'uomo che pesta i piedi nel tram''vi chiedo scusa'', 2.il battesimo di una
nave ''battezzo questa nave'', 3.matrimonio'' prendo come mio legittimo sposo''). Questi
performativi differiscono, dunque, dalle proposizioni descrittive realizzando il fatto in virtù di
quanto dicono. In particolare, Austin dice che quando si è in dubbio se una proposizione sia
descrittiva o performativa, conviene utilizzare la clausola 'here by'( 'con le presenti parole') la
quale quadrerà solo con un performativo.
''Con le presenti parole, vi chiedo scusa''.
La stessa clausola può essere utilizzata per qualificare i verbi, e quadrerà solo con i verbi
performativi.(chiedere scusa, battezzare, promettere, autorizzare, abdicare).
Ci sono alcune distinzioni che sono importanti ed Austin segnala. Abbiamo detto che
normalmente i performativi stanno alla prima persona dell'indicativo, ma si può utilizzare anche
il passivo, così invece di dire ''vi autorizzo a fumare'', posso dire ''siete autorizzati a fumare'',
oppure posso utilizzare la forma impersonale ''si autorizza a fumare''. Un'altra importante
distinzione è quella fra i performativi espliciti, detti per intero o meglio quelli nei quali è
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
espresso sempre il verbo specificatamente performativo, che indica l'azione realizzata dal
loquente, e quelli impliciti, nei quali il verbo performativo resta inespresso o sottinteso.
''Vi autorizzo a fumare''(performativo esplicito),''Fumate pure''(performativo implicito)
''vi prego di fare silenzio(performativo esplicito),''Fate silenzio''(performativo implicito).
Inoltre, Austin individua cinque tipi di performativi, vi sono:
(1) i verdittivi, quelli con i quali si emettono i verdetti( condanno, assolvo, dichiaro colpevoli),
(2) gli esercitivi che sono utilizzati nell'esercizio di poteri( dichiaro chiusa l'assemblea, voto a
favore di..),
(3) gli impegnativi, quelli con i quali qualcuno si impegna( prometto, mi obbligo),
(4) i performativi atteggiativi i quali esprimono l'atteggiamento del loquente nei rapporti
sociali (accetto, respingo, protesto),
(5) gli espositivi, i quali espongono l'atteggiamento che il loquente assume dichiarando una
determinata azione( io dico, io affermo, io nego, io prego, io asserisco).
Negli espositivi, viene messa in evidenza una struttura duale, la quale non esprime solo il
contenuto ma anche la funzione. In definitiva, se vogliamo mettere in evidenza l'intera
struttura della proposizione, dobbiamo usare l'espositivo. In effetti, in generale, ogni
proposizione è composta di due livelli: un atto di dire che porta con sé la funzione specifica
ed il contenuto di quell'atto. La forma generale di una proposizione espositiva è di questo tipo:
''Io dico che .. ''.
Dove ''io dico'' esprime l'atto e la funzione, mentre quello che segue il 'che ' è il contenuto.
Di solito, siamo portati a sottintendere il ''io dico'', ossia l'io + il verbo, ma se vogliamo avere
una proposizione completa dobbiamo utilizzare la forma della proposizione espositiva, e così
facendo, possiamo analizzare di nuovo tutte le proposizioni mettendole in questa forma.
Nelle proposizioni descrittive, ''Io dico'' significa ''Io asserisco che ..''
Nelle proposizioni prescrittive.,''Io dico'' sta per ''Io prescrivo che..''(vi chiedo, intimo,
ordino).
Nelle proposizioni espressive.,''Io dico'' sta per ''Esprimo il mio sentimentodi..''
Poi ci sono alcune proposizioni nuove,'Io prometto'..'Io scommetto', le quali probabilmente
corrispondono a quelle che Austin chiamava impegnative.
Nelle proposizioni costitutive., il legislatore non dice la funzione che esse assolvono, ma come al
solito solo il contenuto., 'Io stabilisco che..'..'Io dispongo(atto con il suo senso e
significato)che..(contenuto)''.
Di solito,in effetti, il legislatore si serve di espressioni abbreviate implicite le quali possono
essere esplicitate.
Allora qual'è la differenza fra le proposizioni costitutive e tutte le altre?
La differenza è che in tutti gli altri performativi, si realizza l' 'io dico' ma non il contenuto,
mentre i performativi costitutive realizzano l' 'io dico', ma anche il contenuto, compiendo una
sorta di miracolo.
L'esempio più chiaro, classico e testuale di performativo costitutivo è la formula romana della
mancipatio, con la quale l'acquirente letteralmente dichiara 'dico che quest'uomo è mio'. La sua
funzione e il suo effetto erano non semplicemente di realizzare il 'dico', ma appunto quello
costitutivo e dispositivo, di far sì che la cosa divenisse di proprietà del loquente, ciò che
automaticamente avveniva concorrendo le necessarie circostanze.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
Per questa ragione i costitutivi e, più in generale, i performativi di Austin non sono stati presi
sul serio.
Lo stesso Olivercrona riconobbe che, effettivamente, fin dall'antichità, gli uomini avevano
avuto sempre l'impressione che enunciando certe espressioni si producessero certi effetti.
Così, Roberto Scalpelli, un italiano, ironizzò..'fare cose con parole' è immaginabile solo con la
magia.
Proprio per questo, siamo tenuti ad affrontare questo problema: com'è possibile che disponendo
qualcosa, chi pone le norme possa immediatamente realizzare quel qualcosa che dispone?
Il professore ci ha detto che affronteremo il problema per gradi e la prima questione che
tratteremo è quella dell'oggetto della creazione costitutiva. Le norme costitutive non creano
un fatto naturale, ma una situazione giuridica, un oggetto materiale( un fatto naturale) che
acquista un nuovo significato ed una nuova natura nel quadro di un insieme di regole( esempio
della scatola di cartone che diviene un'urna alla luce delle leggi elettorali). Questo altro non è
se non un corollario del normativismo, secondo il quale le cose diventano giuridiche in virtù
dell'ordinamento giuridico che vi si riferisce e tale fenomeno, non si verifica esclusivamente nel
diritto, ma un fenomeno che rileva anche nella più semplice quotidianità (esempio della moneta,
di una serie di circoli che secondo la nostra cultura formano una croce). Quindi, le percezioni
sono continuamente influenzate nel loro significato e nella propria natura dal contesto di idee
che abbiamo dietro le spalle. Gli oggetti sono, in realtà, una sintesi fra un oggetto naturale ed
un lavoro concettuale ed intellettuale. Nel diritto, le situazioni giuridiche si producono in modo
del tutto simile, sebbene più articolato, e si presentano come il risultato di una sintesi fra un
oggetto naturale ed il contenuto normativo dell'ordinamento. Per cui, 'creare una situazione
giuridica' non vuol dire creare un fatto naturale in sé, ma operare validando o invalidando
l'ordinamento giuridico nel suo contenuto. Questo è assolutamente chiaro nelle novelle: ogni
norma è sempre accompagnata da una norma di validità che introduce o cancella una certa
norma dall'ordinamento. Da ciò, comprendiamo che, in conclusione, l'oggetto delle costitutive è
l'ORDINAMENTO GIURIDICO.
Il senso dell'attività normativa non consiste nel prescrivere o qualificare direttamente, ma
consiste nel disporre che la qualificazione e la prescrizione diventino legge, proposizioni valide,
contenute nell'ordinamento giuridico. A questo punto, dobbiamo trarre due conclusioni:
1. l'oggetto dell'attività normativa è il contenuto dell'ordinamento, ossia l'ordinamento
stesso;
2. appurato ciò, bisogna capire che genere d'oggetto sia l'ordinamento giuridico,
affrontando un problema ontologico.
Una legge vigente è un progetto che disciplina una particolare situazione giuridica, approvato
dagli organi competenti. L'ordinamento giuridico nel suo complesso è il progetto che disciplina
tutte le situazioni socialmente rilevanti, è nient'altro che un progetto di vita associata positivo
in quanto prevede una sanzione. Questi due elementi sono gli stessi contenuti nella norma
fondante; essa dicendo
''si deve osservare l'ordinamento x, il quale è fatto così'' presenta sia una clausola definitoria
sia una clausola di dover essere che esprime l'ordine di rispettare e fare proprio
l'ordinamento giuridico.
L'ordinamento è un progetto di vita associata, un'idea. Tale concezione è fortemente
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
sostenuta da Hauriou. Il quale considerava il diritto un' istituzione ed in questo passo, letto dal
professore, spiega il significato di istituzione.
'Una istituzione è un'idea di opera , che si realizza e dura giuridicamente in un ambiente
sociale; in effetti, l'elemento più importante di ogni istituzione corporativa consiste, proprio,
nella idea dell'opera da realizzare in un gruppo sociale o a suo vantaggio'.
Dunque, il diritto è un'idea, un progetto di vita associata, il prodotto della cultura, sono dei
prodotti culturali. Lo stesso ordinamento giuridico, sebbene più articolato è pur sempre un'idea
di coesistenza sociale come nel caso di tutti gli altri progetti.
Quindi, sono idee, ma quando si parla di idee si può pensare ai fenomeni psicologici, eppure gli
ordinamenti giuridici non rientrano in questa categoria, si deve favorire l'aspetto oggettivo. Le
norme e l'intero ordinamento giuridico non devono considerarsi degli atti di volontà dei
legislatori come sostenevano gli imperativisti; certamente queste sono create dagli uomini, però,
una volta prodotte, si oggettivano, iniziando ad avere una vita autonoma.
Per autonomia s'intende indipendenza logico-semantica; la legge parla per conto proprio, dice
sempre molto di più e spesso qualcosa di diverso dall'iniziale intenzione dell'autore, durando al
di là della biografia dell'autore stesso (permanenza). Il diritto, dunque, essendo un prodotto
culturale ( per prodotto culturale si intendono gli elementi ideali della cultura, persino le
gaffes), rientra nella cultura, il quale è il regno della creazione. L'uomo è un animale culturale,
in grado di creare nel mondo della cultura. Bisogna,però, distinguere l'effetto delle norme
costitutive in due fasi: 1.il momento della creazione originaria e 2. il momento della
modificazione successiva derivante dall'autorità.
1.Il momento originario dell'ordinamento, ossia la creazione ex novo.
Chiunque abbia creato l'ordinamento ne è autore. La norma che crea l'ordinamento nel suo
complesso è la norma fondante( avente un momento definitorio ed uno di dover essere),
definendolo, strutturandolo ed individuandolo per quello che esso è.
Ma com'è possibile che la norma fondante crei immediatamente l'ordinamento come lo dice?
E' possibile, in quanto questa esprime l'atto dell'autore ed ogni autore, proprio per il fatto di
essere tale, può creare come dice; egli lo crea, lo definisce e definendolo lo costituisce.
L'autore dell'ordinamento giuridico, però, differisce dagli autori delle opere filosofiche, in
quanto egli vuole e può dire 'L'opera nostra è questa''. Bene, è proprio a questo punto, che
interviene la clausola del dover essere della norma fondante. 'Si deve osservare
l'ordinamento che l'autore ha detto fatto così e così..'', la quale fa riferimento ad un altro
portatore, l'intera comunità che manifesta la necessità di obbedienza al legislatore. Ed è
proprio in virtù di questo sentimento che il diritto diventa positivo; sentimento che si identifica
con la disposizione a far proprio l'ordinamento.
C'è solo da spiegare un ultimo punto, in realtà, i padri della Costituzione non dicono 'questo è il
nostro ordinamento', ma dicono 'questo è il vostro ordinamento', della comunità giuridica.
Questa capacità dei padri della Costituzione si spiega per il fatto che nella Norma fondamentale
c'è una seconda clausola, quella del dover essere, in virtù della quale 'si deve osservare
l'ordinamento giuridico'. La comunità sta attendendo, ma già è predisposta a far proprie le
disposizioni del futuro ordinamento.
2.Per quanto concerne il momento della modificazione, bisogna osservare che l'ordinamento
giuridico viene modificato da persone diverse da quelle che l'hanno prodotto, per esempio, dal
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
legislatore; un terzo diverso dai padri costituenti. Ma come può spiegarsi questa forza?Il
legislatore è autorizzato a ciò, in virtù della norma fondante che prevede il legislatore stesso.
Con questo abbiamo concluso la parte della filosofia del diritto.
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Terza Parte: LA LOGICA
prima lezione( 27 aprile 2007)
PREMESSA
Si dice che la logica è la scienza del ragionamento; questa esigenza di una consapevolezza e
dell'uso del ragionamento, nel diritto, è un po' più stringente che in altri settori culturali. Noi
sappiamo che le fonti della nostra intelligenza sono due: l'osservazione ed il ragionamento;
osservazione di cui la scienza giuridica non si serve. Questo, in effetti, è un forte handicap per
la giurisprudenza, il suo strumento fondamentale ed unico è il ragionamento. L'unica disciplina
che l'eguaglia nell'essere ragionamento in sé per sé, è la matematica. Ma c'è una seconda
ragione che determina il carattere stringente del diritto: la legge, che da una parte, esige che
il giurista ragioni e che, dall'altra parte, sottopone essa stessa il ragionamento ad un controllo.
Ci riferiamo agli art.132 e 125 dei codici di procedura: ''il giudice ha l'obbligo della motivazione
della sentenza'', e agli art.360 e 605 del codice civile e penale, i quali dicono:'' il giudice
superiore e persino la Cassazione devono controllare la correttezza del ragionamentodel
giudice''.
In sintesi, si può ragionare e motivare anche senza conoscere la logica, ma senza conoscere la
logica, diventa molto più difficile controllare la correttezza del ragionamento,sapere perché e
che cosa è sbagliato nel ragionamento dell'altra parte.
La logica, però, non offre solo gli strumenti per un buon ragionamento, questa deve valutare
anche, per esempio, se una proposizione ne implica un'altra, se due proposizioni sono equivalenti,
ossia dicono la stessa cosa, verificare se un certo contesto contenga delle proposizioni che sono
fra loro incompatibili, cioè se sia coerente o contraddittorio. Però, c'è da dire che la logica per
fare tutte queste operazioni, deve compiere innanzitutto un'analisi strutturale e di valutazione.
A noi interessa maggiormente il capitolo che si occupa dell'analisi strutturale e quello del
ragionamento.
Analisi della struttura di un ragionamento.
Che cos'è un ragionamento?Il ragionamento è una forma di pensiero, però non tutti i pensieri
sono ragionamenti. Per esempio, se io dico ''l'imputato è innocente'', per giungere a questo
conclusione devo aver fatto un ragionamento precedente, nonostante ciò, però, quello che
affermo non è un ragionamento; quello che enuncio è una semplice proposizione. Se invece dico,
''il testimone ha scagionato l'imputato che per tali ragioni è innocente'', allora questo sì che è
un ragionamento. Il ragionamento è la forma più alta del pensiero, perché è la forma con la
quale, noi, sulla base di certi dati, risolviamo un problema. I dati si chiamano premesse, la
soluzione del problema si chiama conclusione.
Il ragionamento può essere tacito o espresso; è tacito, quando è vissuto nell'azione senza
esprimerlo in parole; quando è espresso, invece prende il nome di argomento ed il processo del
ragionamento, espresso verbalmente, si chiama argomentazione. Diamo una definizione più
precisa di ragionamento nei suoi elementi costitutivi. Il ragionamento è quel procedimento di
pensiero, il quale a livello del senso comune e del linguaggio ordinario potrà essere espresso
negli stili e nei modi più disparati e diversi, ma che può essere, però, rappresentato nella sua
struttura logica, in una forma standard e generale, di questo tipo:
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
A, B, etc.
Z
La linea, solitamente sta ad indicare ''dunque''. Dove A, B, etc. sono le premesse, Z la
conclusione, e ''dunque'' esprime il passaggio dalle premesse alla conclusione, ossia quello che si
può chiamare nesso di consequenzialità.
Es.
Tutti gli uomini sono mortali,
Socrate è un uomo,
dunque Socrate è mortale.
Tutti coloro che cagionano un danno ingiusto
devonorisarcirlo,
il convenuto ha cagionato un danno ingiusto,
dunque il convenuto deve risarcirlo.
Gli elementi costitutivi del ragionamento, dunque sono tre: premessa, conclusione e nesso di
consequenzialità. Quella fin qui data è una lettura derivativa, la quale partendo dalle premesse
attraverso il ''dunque'' giunge alla conclusione, ma esiste anche una lettura giustificativa; la
quale partendo dalla conclusione, giunge attraverso il ''perché'' a fare appello alle premesse
che si possono sostenere. Possiamo anche dire, allora:
Es.
Socrate è mortale perché è un uomo,
tutti gli uomini sono mortali.
Il convenuto deve risarcire il danno perché ha
cagionato un danno ingiusto,
tutti coloro che cagionano un danno ingiusto
devono risarcirlo.
Non c'è differenza fra la lettura derivativa e quella giustificativa , è come se si trasformasse
una frase attiva nella forma passiva.
-Gli argomenti composti.Gli argomenti composti possono essere fondamentalmente di due tipi: a catena o convergenti.
Due argomenti si dicono 1.connessi a catena, quando la conclusione di uno costituisce le
premesse o una delle premesse dell'altro; si dicono anche argomenti a cascata.
A,B, etc.
C, D, etc
C, D, etc
Z
Questa connessione a catena serve a rinforzare la premessa di questo argomento conclusivo. Un
esempio può essere quello di un inizio di formulazione di sentenza che enunci l'art.2043c.c.:''
Tutti coloro che hanno cagionato un danno ingiusto, sono obbligati al risarcimento'' e che
concluda:''il convenuto ha cagionato un danno ingiusto, dunque, è obbligato a risarcirlo''. Ma se
ci fermassimo a questo singolo argomento, questo sarebbefacilmente impugnabile. Perciò,
bisogna giustificare la conclusione con un altro argomento, per esempio, affermandoche c'è
stato un testimone, il quale è attendibile, che ha visto il convenuto investire con la propria auto
l'attore.
2.Gli argomenti convergenti, sono argomenti che hanno premesse diverse ed indipendenti che,
però, convergono sulla stessa conclusione.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
A, B, etc.
C, D, etc.
Z
Z
Questa connessione convergente, serve a rinforzare il primo argomento, utilizzando un altro
argomento che, da premesse diverse, giunge, però, sempre alla medesima conclusione. Un
esempio giuridico è fornito dalla questione dell'imprescrittibilità del diritto di proprietà. La
scienza giuridica ha spiegato: ''Il diritto di proprietà è imprescrittibile, sia perché è un diritto
su cosa propria, sia perché l'azione all'interno della proprietà, la rei vindicatio, è
imprescrittibile. Ecco due argomenti che convergono sulla stessa conclusione formando un
argomento composto. Ma abbiamo anche argomenti che sono contrapposti; ossia argomenti nei
quali uno attacca l'argomento avversario; può attaccare l'argomento avversario in tutti i suoi
elementi costitutivi: colpendo le premesse, la conclusione o il nesso.
A,B
rispetto a
C, D
≠Z
Z
In questo caso, abbiamo un attacco alla conclusione, ma questo può rivolgersi anche ad una delle
premesse, per esempio C, o nei confronti del nesso, sostenendo la sua non sussistenza.
-Argomenti ordinari ed argomenti standard Un'altra distinzione molto importante è quella fra argomenti ordinari ed argomenti standard.
Rifacendosi alla definizione di ragionamento, sopra menzionata, possiamo distinguere fra il
modo in cui un argomento viene di fatto enunciato a livello del linguaggio comune ed ordinario,
chiameremo questo, 1.argomento ordinario e vedremo le differenze che ci sono rispetto
2.all'argomento standard, espresso in formule standard approntate dalla logica. Potremmo
benissimo dire, a livello del linguaggio comune, ''Socrate era un uomo, allora non sarà stato egli
stesso mortale?''. Questo argomento che sembra quasi, però, non essere il frutto di un
ragionamento, può essere tradotto nella sua forma standard:
Es.
Tutti gli uomini sono mortali,
Socrate è un uomo,
dunque, egli stesso è mortale.
Gli argomenti di cui si servono gli avvocati, i giuristi, etc., non solo non sono formati da singoli
argomenti, ma si presentano, tutti, nella forma ordinaria; in quanto gli argomenti standard, di
cui noi ci serviamo, sono delle formulazioni, per ricostruire e mettere in evidenza le strutture
degli argomenti ordinari. Gli argomenti standard, dunque, sono degli argomenti che precisano,
esplicitano e completano gli argomenti ordinari. Naturalmente questa traduzione arricchisce il
discorso perché fa emergere il profondo, il nascosto, il sottinteso del pensiero, ma allo stesso lo
impoverisce, eliminando tutti quegli elementi che possono essere ridondanti dal punto di vista
logico, ma espressivi nell'ambito del linguaggio ordinario. La Corte di Cassazione, a questo
proposito ha stabilito:''L'obbligo della motivazione non implica che il giudice debba ricondurre
nella sua decisione tutte le singole parti dei diversi sillogismi in cui viene a condensare il proprio
ragionamento, perché, per esempio, alcune delle premesse sulle quali i sillogismi sono fondati,
possono essere anche sottintese; in quanto è compito di chi legge, doverle, poi, agevolmente
ricostruirle''. Questa è una sentenza magistrale che dice, per regola generale, di ragionare e
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continuare a farlo in forma ordinaria, salvo i casi che richiedono una specifica valutazione.
-Argomenti buoni e argomenti cattivi Complessivamente gli argomenti si possono classificare in buoni o cattivi, a seconda dei loro
elementi costitutivi: le premesse, la conclusione ed il nesso di consequenzialità. Si pretende, in
effetti, che le premesse e la conclusione siano vere e che il nesso di consequenzialità sussista.
In realtà, però, le domande sono due, in quanto la veridicità della conclusione si deduce dalla
veridicità delle premesse e dalla sussistenza del nesso:
1.le premesse sono vere?
2.il nesso di consequenzialità sussiste?
Queste due domande vanno tenute ben distinte.
- Ci sono argomenti che hanno le premesse completamente vere, la conclusione vera, ma manca il
nesso.
Es.
Tutti gli uomini sono mortali,
Socrate era greco,
quindi, Socrate era filosofo.
Come possiamo osservare, manca una connessione fra le premesse e la conclusione e questo è
il tipico modo di ragionare degli sciocchi, che dicono cose vere ma senza pertinenza .
- Abbiamo, però, anche altri casi in cui, le premesse sono false e probabilmente anche la
conclusione, ma il nesso sussiste.
Es.
Tutti i re hanno la barba di rame,
io sono un re,
dunque, io ha la barba di rame.
Le premesse sono manifestatamente assurde, ma il filo logico c'è. Questo, forse, è il
ragionamento del folle che, parte da stravaganze, ma una sua logica ce l'ha. Quando, si va a
verificare se un certo argomento sia fondato, dunque, non si deve valutare un solo elemento,
ma dobbiamo fare una doppia verifica: le premesse devono essere vere ed il nesso deve
sussistere. La verifica della veridicità delle premesse è collegata alle varie discipline,la
scienza, la medicina, il diritto. Mentre la verifica del nesso è completamente assorbita dalla
logica. Il nesso può sussistere in due sensi: necessariamente o probabilmente...
Es.
PR
Conclusione
necessariamente
Tutti gli uomini sono mortali,
Socrate è un uomo,
dunque, necessariamente, è mortale.
PR
Conclusione
+o – probabilmente
Tutti gli smeraldi finora osservati sono verdi,
dunque tutti gli smeraldi,
anche quelli non osservati,
+ o – probabilmente, sono verdi.
Questi due tipi di ragionamento definiscono rispettivamente la deduzione e l'induzione. La
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
deduzione è un ragionamento in cui il nesso di consequenzialità è un nesso certo, possiamo
dunque dire ''necessariamente'', mentre nell'induzione , il nesso può essere soltanto più o
meno probabile. Gli argomenti deduttivi possono essere validi o invalidi. Gli argomenti induttivi,
possono essere più o meno probabilmente validi, ossia più o meno forti. Questa è la distinzione
che si fa modernamente e bisogna cercare di non incorrere nell'errore, secondo il quale la
distinzione fra la deduzione e l'induzione sia che, mentre la prima va dal generale al
particolare, la seconda va dal generale al più generale. Questa osservazione, può sussistere
alcune volte, ma non può essere considerata sempre vera.
Santippe era moglie di Socrate,
Socrate era un filosofo,
dunque, Santippe era la moglie di un filosofo.
In questo caso, ci troviamo di fronte ad un argomento deduttivo, ma non abbiamo nessun
passaggio dal generale al particolare. Lo stesso si può dimostrare per l'induzione, smentendo la
costante presenza del passaggio dal generale al più generale.
Tutti gli smeraldi finora osservati sono verdi,
dunque, anche il prossimo smeraldo che osserverò,
+ o – probabilmente, sarà verde.
In questo caso di induzione, come possiamo osservare, si passa dunque dal generale al
particolare.
Quindi, in conclusione, gli argomenti deduttivi e quelli induttivi, si distinguono in termini di
necessarietà e di mera probabilità.
seconda lezione (11 maggio 2007)
Esempi di schemi deduttivamente validi.
Sono degli schemi perché contengono delle variabili, però questi schemi, sebbene generali,
valgono per tutti gli argomenti concreti che si possono tradurre con quegli schemi; si possono
tradurre nel senso che al posto di a,b, c, possiamo mettere dei concreti enunciati. Questi
schemi, sono schemi deduttivamente validi, ma per quanto concerne le premesse e la loro
veridicità, non dicono niente; in effetti, ciò che rileva è il rapporto fra le premesse e le
conclusioni, il nesso, e la correttezza di questo rapporto si trasmette a tutti gli argomenti
concreti che possiamo impostare in quei determinati schemi. Gli schemi, dunque, non
garantiscono la veridicità delle premesse, ma limitatamente la sussistenza del nesso.
1.- Sillogismo applicativo Tutti gli a sono b
Es.Tutti gli uomini sono mortali
x èa
Socrate è un uomo,
x èb
dunque Socrate è mortale.
Come vedremo il sillogismo applicativo è la struttura nucleare della sentenza. La sentenza ha
una premessa che è, in fin dei conti, il riflesso di una norma''Tutti coloro che hanno
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ragionamento nel giusto non sono imputabili'', poi c'è il dato di fatto ''il convenuto ha
ragionato nel giusto'', ed in fine, c'è la conclusione, ossia il dispositivo della sentenza.
2.- Sillogismo disgiuntivo- questo argomento parte da un'alternativa e consiste nell'eliminare
uno dei due termini dell'alternativa. La conclusione, dunque, è rappresentata dal termine che
rimane.
a ob
ma non a
b
E' uno schema piuttosto importante anche nell'ambito dell'intelligenza e della fantasia umana.
Chi ha una buona fantasia sa mettere insieme parecchie alternative ed ipotesi, naturalmente
plausibili e rilevanti. Ma non basta, l'intelligenza umana è fatta anche di senso critico, una volta
aperto il ventaglio delle ipotesi interviene il senso critico, per vedere quali di queste ipotesi
siano compatibili con certe premesse e presupposti.
Ora affronteremo tre schemi che utilizzano il periodo ipotetico ''Se allora''.
3.- Modus Ponens [MP]Se A allora B
Es. Se ha piovuto allora è bagnato,
ma A
(protasi)ma effettivamente ha piovuto,
B
dunque il terreno sarà è bagnato.
Questo schema ricorda una causalità scientifica, una causalità giuridica, può essere di vari tipi
e di solito noi la sottintendiamo; in effetti, invece, di ripetere tutta la frase dell'esempio del
nesso di causalità naturale sopra illustrato, diciamo ''ha piovuto, quindi è bagnato''.
4.- Modus Tollens- [MT]
Se A allora B
non B
non A
Noi di solito usiamo il congiuntivo imperfetto.
Se fosse A sarebbe B,
ma B non è,
allora non è neanche A.
Questo schema è molto importante nel diritto, in quanto è utilizzato per costruirel'alibi.
''Se l'imputato fosse colpevole allora si sarebbe trovato sul luogo del delitto (Se A allora B),
ma sul luogo del delitto non c'era (non B),
dunque, non è colpevole (non A)''.
5.-Sillogismo ipotetico- detto così, in quanto tutte le sue premesse sono formate da periodi
ipotetici. E' una catena di condizionali ''se allora''.
Se A allora B
se B allora C
se A allora C
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Questo schema dà la possibilità di ricavare da due norma, una terza.
''Se il creditore ha chiesto per iscritto l'adempimento del debito, allora il debitore è costituito
in mora'' (Se A allora B).
Se il debitore è costituito in mora, allora si ha interruzione della prescrizione del debito (Se B
allora C).
Se il creditore ha chiesto per iscritto l'adempimento del debito, allora si ha interruzione della
prescrizione (Se A allora C).
Una struttura che mette insieme alternative e periodi ipotetici è il:
6.-Dilemma costruttivo- a differenza degli altri, ha tre premesse, la prima è un'alternativa e
le altre due, sono due periodi ipotetici.
A oB
Se A allora C
A
B
Se B allora C
in ogni caso, sempre, C
C
C
Molti, anche fra persone competenti, dubitavano della rilevanza di questo schema. In realtà,
invece, si tratta di un tipo di argomento largamente utilizzato, potremmo dire con tranquillità,
fondamentale.
Es. Una persona è morta ed ha redatto un testamento a favore di un terzo. Quelli che
sarebbero i legittimi eredi trovano che in testamento è scritto in una calligrafia diversa da
quella abituale del loro caro e allora chiamano un avvocato che, a sua volta, chiama un perito. Il
perito fa una perizia calligrafica e giunge a questa conclusione:
1.O il testamento è stato contraffatto oppure il testamento è stato redatto dallo stesso
testatore ma in un momento in cui non era in sé, in una situazione in cui non era più capace di
intendere e di volere (A o B)
A questo punto interviene l'avvocato:
2.se il testamento è stato contraffatto, allora è invalido (se A allora C),
3.se è stato scritto in un momento in cui si era persa la capacità d'intendere e di volere, allora
è invalido (Se B allora C).
Dunque, in ogni caso, il testamento è invalido.
Questo ragionamento ha avuto illustri esempi fra i filosofi. Aristotele diceva''l'uomo per sua
natura è un animale sociale'', mentre Hobbes pensava ''gli uomini per loro natura, sono nemici''
e proprio per superare questo stato di pericolosità, odio e sofferenza, si sottomettono al
Leviatano, costituendo la società civile.
Quindi potremmo dire: l'uomo è aristotelico o hobbesiano( A o B); se l'uomo è aristotelico
questo formerà la società in maniera spontanea e pacifica (se A allora C), se l'uomo è
hobbesiano, sebbene i contrasti, anch'esso si assocerà con gli altri per uscirne (se B allora C);
dunque, in ogni caso, entrerà a far parte della società.
Questo strumento realizza, in un certo senso, la sintesi degli opposti.
Questi ragionamenti possono essere utilizzati in due modi per provare che un ragionamento sia
deduttivamente valido:
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
1.una via diretta, che consiste nel provare che abbiamo ragione noi di fronte ad un reale od
ipotetico oppositore;
2.una via indiretta, che consiste nel dimostrare che il nostro oppositore ha torto.
Ipotizziamo una situazione nella quale, in un processo, difesa ed accusa siano d'accordo su
certe premesse. Però mentre noi, dalle premesse pensiamo di giungere ad una certa conclusione;
il nostro oppositore, non vede niente di male ad accettare le premesse, ma negare la
conclusione. Si verifica una sorta di alternativa fra noi ed il nostro oppositore.
(premesse)
PR
C
?
non C
*
contraddizione
Noi possiamo imporci, attraverso la via diretta, ossia dimostrando di avere ragione. Ma
possiamo, conseguire lo stesso risultato, dimostrando che ha torto il nostro oppositore.
Seguiamo la strada di destra, accettiamo le premesse ed attraverso le affermazioni scriteriate
del nostro oppositore, giungiamo ad una conclusione che consiste in una contraddizione. Scovare
una contraddizione significa riuscire a dimostrare che la linea di pensiero del nostro oppositore
è impossibile ed insostenibile, e non resta altro che affermare, dato le premesse, di avere
ragione. Questa procedimento che abbiamo compiuto si chiama Riduzione all'assoluto.
Ritornando alla situazione precedente, nella quale la difesa e l'accusa concordano sulle
premesse, pur sostenendo conclusioni opposte, facciamo un esempio pratico. C'è stata una
rapina e bisogna stabilire chi vi ha partecipato. Le premesse accettate sia dalla difesa che
dall'accusa sono:
almeno uno dei due deve aver partecipato alla rapina; poi c'è il profilo
di A, il quale è un timido, soggetto all'influenza di B, in quanto suo
tutore.
Quindi se vi ha partecipato A vi ha partecipato anche B.
1. A o B
2.Se A allora B
AB o AB o AB
o AB.
non B
A
B
*
Noi accusa, sosteniamo che B vi abbia partecipato e diciamo che questo si deduce dalle
premesse.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
Dall'altra parte vi è la difesa che continua a sostenere che B non vi ha partecipato.
A questo punto, ipotizziamo tutte le possibili alternative, anche quelle sostenute dalla difesa:
che vi abbiano partecipato entrambi, solo A, solo B, o nessuno dei due. Le ipotesi sono tante, ma
possiamo escludere quelle impossibili rifacendosi alle premesse per giungere, infine, a
dimostrare B. Quindi, dovendovi partecipare almeno uno di due, non è possibile che non vi ha
partecipato nessuno. Inoltre, se vi ha partecipato A non è possibile, perché contraddirebbe le
premesse, che non vi abbia partecipato B. Rimangono solo due casi possibili, in ciascuno dei quali,
B vi ha partecipato. Questa è la via diretta.
La via indiretta che alcune volte porta più facilmente al risultato, analizzale mosse della difesa
per cercare di trovare le possibili contraddizioni. La difesa accetta le premessa, ma continua a
sostenere come conclusione non B. Allora la prima premessa offre l'alternativa A o B, e la
difesa sostenendo non B, giunge ad A. Ma osservando la seconda premessa, avendo ottenuto
come primo risultato A, questo rimanda inevitabilmente a B. Per cui, la difesa si è contraddetta,
in quanto, sostenendo non B è giunta a dimostrare B, secondo le premesse.
Questo procedimento prende il nome:
RAGIONAMENTO INDIRETTO O RIDUZIONE ALL'ASSURDO
Esempi di schemi induttivi più o meno forti.
Nei ragionamenti induttivi, il nesso di causalità può essere soltanto più o meno probabile..
Anche questi schemi utilizzano le variabili e si limitano a garantire la sussistenza del nesso, in
questo caso, induttivo senza dire niente sulla veridicità, validità, necessarietà o probabilità
delle premesse.
1.-Generalizzazione induttivaTutti gli A finora osservati sono B
Es. Tutti gli smeraldi finora osservati sono
probabilità
verdi, dunque tutti gli smeraldi,
tutti gli A sono B
più o meno probabilmente, sono verdi.
Tutti gli A finora osservati vengono presi come campione, mentre tutti gli altri A rappresenta la
popolazione. In definitiva, questo schema non fa altro che proiettare i risultati ottenuti nel
campione sull'intera popolazione; per questo si parla anche di proiezione. Questo procedimento
è molto utilizzato nella scienza e nell'empirismo. La legge generale si ricava compiendo una
generalizzazione di tutti i casi finora osservati. La nostra intelligenza, quella che sviluppiamo fin
dall'infanzia, in effetti, si serve molto più dell'induzione che della deduzione. Ci bastano poche
esperienze per generalizzare; generalizzazioni che in parte avvengono nella nostra mente, ma, in
parte, anche nell'istinto.
2.-Generalizzazione statistica- chiamata in questo modo, in quanto il carattere della premessa,
non è più generale, ma statistico ed in tal modo, possiamo fare un induzione probabilistica.
L'n% di tutti gli A finora osservati è B
prob.
L'n% di tutti gli A è B
Anche in questo secondo caso, l'n% di tutti gli A finora osservati è il campione, mentre l'n% di
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
tutti gli A, anche quelli non osservati, è la popolazione, sulla quale si proiettano i risultati
ottenuti nel campione.
Condizioni di forza della generalizzazione induttiva e statistica.
1.La descrizione del campione deve essere veridica (veridicità del campione).
2.Più il campione è numeroso, più è forte. Più sono i casi osservati e più è attendibile. E più
aumentano i casi e più aumenta la probabilità (numerosità del campione).
3.Il campione deve essere rappresentativo dell'intera popolazione. Il campione è
rappresentativo se è molto vario. Come si ottiene la varietà? Quasi con le estrazioni a sorte
(varietà del campione).
In conclusione, con la generalizzazione induttiva troviamo una legge generale; mentre con la
generalizzazione statistica individuiamo una legge statistica, la quale ci dice la percentuale
degli A che sono B. Ora se abbiamo una legge generale ''Tutti gli A sono B'' e vogliamo
applicarla ad un caso concreto, dobbiamo utilizzare il sillogismo applicativo. Questo schema che
utilizzando il sillogismo applicativo ci permette di passare da una legge generale ad un caso
concreto, prende il nome di:
3.-Sillogismo statistico- [SS]
L'n% di tutti gli A è B
xèA
probabilità( n%)
xèB
Il sillogismo statistico è parallelo al sillogismo applicativo, ma mentre l'ultimo conclude
affermando ''dunque, necessariamente..'', il sillogismo statistico afferma ''dunque,
probabilmente..''.
4.-Abduzione- In realtà, si tratta di un ragionamento che dalle conseguenze di un fatto risale
all'esistenza del fatto stesso; ossia dagli effetti risale alle cause. E' un argomento piuttosto
antico, lo conosceva Cicerone, il quale lo chiamava Argumentum ex conseguentibus, ma il suo
nome attuale gli fu dato da Peirce , un logico matematico inglese, padre del pragmatismo, che lo
teorizzò sistematicamente.
Esso può essere spiegato bene attraverso un errore che si compie nella logica deduttiva; gli
errori del nesso sono conosciuti come fallaci. Questa si chiama:Fallace dell'affermazione del
conseguente.
Modus Ponens
Se A allora B
Se A allora B
Es. Se piove allora il terreno sarà bagnato,
ma A
ma B
Il terreno è bagnato, allora ha piovuto.
B
A
Se invertiamo i due termini, prima B e poi A, abbiamo una fallace dell'affermazione del
conseguente. Si tratta di un errore logico deduttivo; non possiamo dire ''necessariamente'',
ma possiamo utilizzare questo schema soltanto come ragionamento induttivo, attribuendogli solo
la probabilità.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
Lo schema generale dell'abduzione allora può essere questo:
Se c'è il fatto F allora ci sono le conseguenze C1, C2, etc..(se allora),
se queste conseguenze C1,C2, effettivamente ci sono
allora, con una certa probabilità c'è il fatto F
Lo si può anche rappresentare anche come un ragionamento convergente.
C1, C2... ci sono
c'è F
se c'è F
allora c'è C1
probabilità
se c'è F
allora c'è C2
F
Tutti gli effetti convertono sull'esistenza del fatto F. Evidentemente questi effetti e queste
conseguenze funzionano da sintomo nel sistema del fatto, per cui possiamo chiamare questo
argomento anche, argomento sintomatico o indiziario. Utilizzato soprattutto nella medicina;
quando il medico fa la sua diagnosi, segue esattamente questo ragionamento. Se il malato ha
l'influenza, per esempio, avrà una serie di sintomi, quelli indicati dal manuale di medicina; in
particolare, nel caso concreto, il medico proprio partendo dall'osservazione dei sintomi, farà la
sua diagnosi. Questo ragionamento viene utilizzato anche nel diritto, nell'ambito del processo
indiziario. Noi, individuiamo vari indizi e risaliamo alla causa. La prima premessa è data da una
sorta di legge che noi conosciamo, data questa legge noi andiamo a vedere quanti indizi ci sono e
cerchiamo di ricavare il fatto che l'ha prodotti.
Condizioni di forza dell'abduzione.
1.La probabilità a priori. La probabilità che c'era già prima di questo ragionamento. La
probabilità a priori rafforza la probabilità.
2.I vari indizi devono essere significativi ed esclusivi.
3.Gli indizi devono essere numerosi.
Quindi l'abduzione è un argomento che ricalca un errore deduttivo, che può trasformarsi in uno
strumento di ricerca nell'ambito della logica induttiva, senza pretesa di nessuna necessarietà,
ma con probabilità maggiore o minore.
Le fallaci, dunque, come abbiamo potuto osservare, si caratterizzano per la non sussistenza del
nesso e al tempo stesso per un forte carattere persuasivo che permette di nascondere bene
questo sbaglio; sono, dunque, ragionamenti che non funzionano sia deduttivamente che
induttivamente, ma che con degli aggiustamenti, possono diventare argomenti utili. Esistono vari
tipi di fallaci.
1.Fallace dell'affermazione del conseguente.
Se A allora B
ma B
A
Utilizzando questo schema, incorriamo in un errore, logico deduttivo, se insistiamo a dire
''necessariamente'', mentre nell'ambito della logica induttiva, funziona, divenendo un
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
argomento utile.
2.Argumentum ad ignorantiam (argomento per mancanza di prove).
Argomento che sostiene che una tesi è falsa per il semplice fatto che non è stata provata.
Non è provato A
Non è provato non A
è falso A (non A)
è falso non A (A)
Il passaggio, però, da non provato a falso è arbitrario.
Nonostante ciò, anche in questo caso, noi possiamo avere la possibilità di usarlo come argomento
induttivo; così in qualche caso funziona. Però, questa fallace funziona certamente, se
aggiungiamo questa premessa, per esempio nel diritto: ''Se non è provato A, allora è falso''.
3.Generalizzazione affrettata.
Si tratta, dunque, di una generalizzazione induttiva o anche statistica, che non rispetta le
condizioni di forza della generalizzazione.
Ricordiamo quali sono le condizioni di forza della generalizzazione induttiva e statistica.
1.la veridicità del campione.
2.la numerosità del campione.
3.la rappresentatività del campione.
Generalmente la generazione affrettata è dovuta alla scarsa numerosità del campione o alla non
esatta descrizione del campione stesso.
4.Argumentum ab autoritate.
L'argomento dell'autorità sbagliata consiste nel sostenere che una tesi sia vera, solo in quanto è
stata affermata da qualcuno, per esempio da x.
A è affermato da x
A è vero
L'argomento dell'autorità sbagliata è un ragionamento che fa leva
sul fatto che il determinato x gode di una simpatia e popolarità.
Simpatia, che per un meccanismo psicologico, si riflette e si
traduce in fiducia per quella persona.
Si tratta, in effetti, di un espediente di cui si serve la retorica, la propaganda e la pubblicità.
Nella pubblicità per esempio si affida ad una bellissima attrice, la dichiarazione della bontà
della cosa. Abbiamo a che fare con un ragionamento che funziona a livello psicologico, ma dal
punto di vista logico non ha nessun valore, se x è una persona che ha qualità genericamente
positive, ma se invece questa persona ha una competenza specifica in proposito, è attendibile,
allora le cose cambiano. Per esempio, se noi citiamo Einstein, relativamente ad una tesi
scientifica, e più precisamente nel campo della fisica, dobbiamo necessariamente riconoscere
che egli è attendibile. Allora a questo punto, alla formula sopra presentata, dobbiamo
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
aggiungere qualcosa:
A è affermato da x, che è attendibile
A è vero
naturalmente sottintendendo questa premessa, si passa dall'argomento fallace dell'autorità
sbagliata, all'argomento di autorevolezza, che, in fin dei conti, è un sillogismo statistico.
'Per lo più, tutto ciò che è affermato da una persona attendibile è vero (massima di
esperienza).
Questo ragionamento lo ritroviamo continuamente; nella storia, nel diritto. La testimonianza si
basa su una struttura logica di questo genere, su un argumentum ab autoritate, trasformato in
un argomento di autorevolezza.
Argumentum ad hominem.
Si tratta di un attacco fatto alla persona, un argomento denigratorio .
A è affermato da x
Questo è l'argomento opposto al precedente,il quale denigrando la
A non ha valore (non vero)
persona, svaluta anche quello che dice. Qualche volta viene
utilizzato anche nelle conversazioni. Per esempio, in molte
trasmissioni televisive, l'interlocutore mette in ridicolo l'avversario, in modo che le
affermazioni dello stesso cadano; gli getta il genere del ridicolo addosso oppure l'accusa di
immoralità.
Tutto quello che abbiamo detto sinora, sono considerazioni che riguardano la logica in generale.
Adesso, proprio perché studiamo metodologia della scienza giuridica, facciamo, invece, un
riferimento più sistematico al campo del diritto. Dunque, possiamo notare che gli schemi sinora
illustrati, li ritroviamo nella scienzagiuridica. L'uso degli argomenti nel diritto.
Nella scienza giuridica, in particolare, ci sono due momenti:
1.il momento della scienza giuridica pura, quello che possiamo trovare nei testi di diritto e che
affrontano questioni di puro diritto (problemi di interpretazione e di validità delle norme).
2.Il momento della scienza giuridica applicata; questa è più ricca della prima, in quanto in
questa non si trattano solo questioni di diritto, ma anche questioni di fatto.
Allora, su quale terreno è più opportuno andare a rintracciare gli usi degli argomenti sinora
illustrati?
Evidentemente nel terreno della scienza giuridica applicata.
E dove possiamo trovare il materiale più adeguato ad un esame di questo genere?
Nel processo, nel quale si affrontano sempre questioni di diritto e questioni di fatto
Ma che cosa sono le questioni di diritto e le questioni di fatto?
La distinzione sembra ovvia, ma così non è, tant'è che è ancora aperta.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
Sono certamente questioni di diritto, l'interpretazione e la validità di una norma. Una certa
norma è valida? Fa parte dell'ordinamento? E posto che appartiene all'ordinamento giuridico,
qual'è il suo significato? Come interpretarla?
Per quanto concerne le questioni di fatto, il problema sorge perché sembra molto difficile
poter isolare una questione di fatto, le quali sono strettamente legate alle questioni di diritto.
Supponiamo che in un processo si discuta se il convenuto abbia corrisposto gli alimenti ad un
coniuge separato. Bé naturalmente deve esserci l'accertamento del fatto, ma prima
dell'accertamento stesso, bisogna verificare la corrispondenza fra un certo comportamento e la
specie legale, in altre termini, dobbiamo accertare che il comportamento che ipotizziamo sia
previsto dalla norma. Dobbiamo, dunque, a monte risolvere una questione di diritto. Allora se noi
ci domandiamo, ha il tale prestato gli alimenti? Questa è una questione mista, di diritto ma
anche di fatto, e allora sembra che tutti gli accertamenti di fatto, essendo accertamenti
rilevanti giuridicamente e, quindi, con una loro qualificazione giuridica, coinvolgano sempre una
questione di diritto; la sussistenza di una norma e l'interpretazione della stessa. Da qui è nata la
difficoltà di separazione sopra segnalata.
Il professore espone una sua personale soluzione. Partiamo dal fatto chequando si pone una
questione di fatto, nei termini sopra proposti, 'il tale ha corrisposto gli alimenti al coniuge?', la
questione di fatto presuppone sempre una questione di diritto, il problema della qualificazione
giuridica. La presupposizione della qualificazione giuridica, però, può verificarsi in due modi
distinti: presuppone non ancora risolto il problema della qualificazione giuridica oppure lo può
presupporre già risolto. Finché noi, non qualifichiamo il fatto giuridico, ci troviamo a dover
affrontare tutt'e due i problemi. Viceversa se abbiamo compiuto la qualificazione del fatto
giuridico, rimane solo una questione di mero fatto. Da questa discussione segue che sono
questioni di puro fatto tutte le questioni che mirino all'accertamento di certi fatti di cui non
sia più in discussione il problema della qualificazione giuridica.
Esamineremo per primi gli argomenti di fatto. Si potrebbe pensare che nelle questioni di
diritto si usi la deduzione e in quelle di fatto, l'induzione, forse prevalentemente è così, ma non
possiamo darlo per certo in ogni situazione.
Argomenti che si usano nelle questioni di fatto.
Gli argomenti che si usano nelle questioni di fatto, si chiamano prove. La classificazione delle
prove è un po' controversa, tradizionalmente gli argomenti di cui ci serve per provare un fatto,
sono stati distinti in prove dirette (o rappresentative) ed in prove indirette (o non
rappresentative). Le prove dirette sono le prove immediate del fatto e queste sono, le prove
testimoniali e le prove documentali. Le prove indirette, ossia quelle non rappresentative, a loro
volta, si distinguono in prove critiche, che sarebbero le prove dei periti, ed infine, la prove
indiziarie. Questa classificazione è messa un po' in discussione, ed è stata accompagnata
anche da una gerarchia : dalle prove dirette a quelle indirette; dunque, in caso di contrasto,
prevale la prova diretta. Questo, però, è stato molto messo in discussione, dalla stessa Corte
di Cassazione. La seconda osservazione che c'è da fare, è che queste sono le prove tipiche, ma
c'è anche una grande quantità di prove che non sono indicate nel codice, le prove atipiche. Le
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
prove atipiche sono, per lo più, di carattere deduttivo e sono piuttosto importanti nel processo.
Le prove atipiche.
Le prove atipiche nella loro struttura, sono di carattere deduttivo. Il professore ne presenta
due di questo genere, importanti nel processo; una ha la forma del sillogismo disgiuntivo; l'altra,
del modus tollens
SD
L'assassino può essere
la madre o la vicina,
A oB
ma la vicina non può
essere, dunque è la
madre.
non B
A
Questo è quello che viene chiamato dai
giornalisti,teorema, ma comunemente viene
chiamata prova di esclusione. Il ragionamento
è rigorosamente deduttivo, ma con questa
espressione, non si dice niente riguardo alle
premesse. Il ragionamento, in effetti, è solo
plausibile , in quanto a rischio sono sempre le
premesse; entrambe le premesse, in realtà,
devono essere provate e giustificate da
argomenti a cascata.
MT
Se A allora B
non B
non A
Il modus tollens lo troviamo nell'alibi. L'alibi, è
la prova della propria estraneità dal fatto, per
mezzo della dimostrazione che si era
impossibilitati a compierlo, in quanto ci si
trovava in un altro luogo. Anche questo
argomento è impeccabile per quanto riguarda il
nesso, mentre resta sempre il dubbio per le
premesse. Il modus tollens che si usa per
l'alibi è generalmente più forte del SD. Proprio
per questo la prova di esclusione, molte volte,
viene usata dall'accusa, mentre il modus
tollens, dalla difesa.
Prove tipiche.
Il professore scompone un po' la classificazione tradizionale delle prove, considerando per
prime due prove dirette, quella testimoniale e documentale e per ultima, una prova indiretta,
quella peritale. Queste prove hanno una struttura logica in comune. La testimonianza, quanto il
documento e la perizia, vengono accolte sulla base di questo ragionamento: 'il testimone, il
documento, il perito, ha detto una certa cosa e dunque, questa cosa è vera'. Ragionamento che
corrisponde allo schema dell'argomento di autorevolezza, aggiungendo all'argomento fallace
dell'autorità sbagliata, x è attendibile e la premessa che altro non è se non una massima di
esperienza.
A è affermato da x che è attendibile,
A è vero
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
1.Prova testimoniale.
Nella prova testimoniale, che ha la struttura sopra nuovamente ricordata, x è il testimone, e
quello che è affermato da x si presume vero, in quanto x è attendibile. In questo, come in tutti
gli altri casi, la prima premessa, essendo una massima di esperienza 'Per lo più, tutto ciò che è
affermato da una persone attendibile è vero', è abbastanza ovvia. Se vogliamo fare un attacco,
conviene farlo all'attendibilità del testimone. La testimonianza è una scatola dentro la quale i
meccanismi psicologici sono delicatissimi, poiché l'animo umano è soggetto a mille fattori
variabilissimi e che possono rendere più o meno attendibili, la testimonianza stessa ; ma allo
stesso tempo, noi della testimonianza non possiamo fare a meno. La testimonianza è uno
strumento di prova di cui non ci serviamo solo nel diritto, ma anche nella storia e nella realtà in
genere. In effetti, il mondo nel quale viviamo, ce lo siamo costruiti con la testimonianza.
L'attendibilità dipende da parecchi fattori, di carattere in parte psicologico ed in parte logico.
1.Il testimone deve avere esperienza diretta.
2.Deve avere buone capacità percettive (esempio del daltonico).
3.Deve avere buona memoria.
4.Non deve essere influenzabile e questo dipende dalla sua identità.
5.Deve essere una persona moralmente affidabile. Deve essere uno che non abbia interesse a
mentire.
Inoltre ci sono degli indizi che possono far pensare o ad una confusione nella mente del
testimone, o un interesse a coprir qualcosa se si contraddice.
2.Prova documentale.
La prova documentale è abbastanza simile a quella testimoniale, con l'unica eccezione che qui, il
testimone non parla a voce, ma attraverso un documento. X , dunque, è l'autore del documento.
Il documento, come dice l'art.234 del codice di procedura penale, può essere anche una
fotografia, una ripresa cinematografica, una registrazione fotografica, etc. Nel caso della prova
documentale c'è un accertamento in più che bisogna fare, dimostrando che quel dato documento
rimandi ad x e questo, si chiama prova dell'autenticità del documento. Dobbiamo, però, a
questo punto, fare una distinzione; un conto è il documento privato; altro è il documento
pubblico. Nel caso del documento privato, la situazioneè molto simile a quella della prova
testimoniale, salvo l'aggiunta della necessità di accertare la validità. Invece, quando il
documento è pubblico, le cose cambiano, cambia la struttura logica del ragionamento per via
della presenza di precise regole introdotte dal diritto. L'art.2700 del c.c. afferma: 'L'atto
pubblico fa fede, fino a querela di falso, non solo della veridicità di quanto è scritto, ma anche
dell'autenticità'. La prima premessa dell'argomento, dunque, non è più una premessa statistica,
ma una premessa generale, in quanto:'tutto ciò che è affermato da una persona che sia un
pubblico ufficiale è vero ed autentico, in maniera assoluta'. Inoltre non si utilizza più
l'argomento di autorevolezza, bensì ci troviamo nell'ambito del sillogismo applicativo.
Tutto ciò che è affermato da un pubblico ufficiale è vero ed autentico, sempre che non vi sia
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
stata querela di falso.
Il pubblico ufficiale (x) ha affermato questo
(dunque) questo è vero.
Così facendo, l'argomento sul quale si fonda la prova fornita dal documento, diventa
propriamente un argomento apodittico.
3.Prova peritale.
La prova peritale è la prova dei periti ai quali ci si può rivolgere quando non bastano le massime
di esperienza o le testimonianze. X è appunto il perito. Occorre, però, in questa prova,
distinguere due tipi di logiche: una logica interna della perizia ed una esterna. Il ragionamento
che facciamo noi per fidarci del perito e che rientra nell'ambito della logica esterna, è di
questo tipo:
A è affermato da x che è attendibile,
A è vero
Nel caso della perizia, forse, ci dovrebbero essere maggiori ragioni di fiducia, proprio perché
nel perito opera un certo ragionamento, ciò che non avviene nel testimone che è in balia dei suoi
meccanismi psicologici. Secondo l'opinione del professore, fra un testimone che dice A ed una
perizia che dice B, dovrebbe prevalere la perizia.Questo contrasta con la gerarchia
tradizionale delle prove, che è stata in gran parte abbandonata. In ultima analisi, riguardo a
questo proposito, possiamo dire che bisogna valutare caso per caso, anche se in linea generale,
la perizia dovrebbe prevalere. Inoltre, proprio perché il perito ragiona ed il giudice, considerato
peritus peritorum, può contestare la logica interna della perizia, risulta importante analizzare la
struttura della logica interna del perito stesso. La logica interna, si serve di schemi diversi a
seconda dei compiti affidategli. Al perito si può affidare il compito di elaborare una legge
generale che poi noi giudici o avvocati applicheremo; se è una legge generale assoluta allora la
otterrà per generalizzazione induttiva; se è una legge statistica la otterrà, invece, per
generalizzazione statistica. Altre volte, invece, si chiede al perito di applicare egli stesso una
legge generale assoluta o statistica ad un caso particolare, ossia gli si dà da accertare un certo
caso. Per esempio, se un perito viene chiamato per fare una perizia riguardante le impronti
digitali, questo per risolvere il caso affidatogli, dovrà applicare o una legge generale o una
statistica. Se applicherà una legge generale assoluta si servirà di un sillogismo applicativo di
carattere deduttivo. Ma potrà applicare anche una legge statistica, usata più frequentemente
della prima. Per esempio in questo caso, applichiamo una legge statistica se diciamo: 'se due
impronte hanno più di sedici punti caratteristici in comune, c'è una certa probabilità che le due
impronte siano della stessa persona'. Per cui, per applicare una legge statistica, ci serviamo del
sillogismo statistico.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
ultima lezione(25 maggio 2007)
4.Prova indiziaria.
La prova indiziaria l'abbiamo in qualche modo già affrontata parlando dell'abduzione.
Ricordiamo:
Modus Ponens
Se A allora B
ma A
B
Se A allora B
ma B
A
E' la fallace dell'affermazione del conseguente,
la quale non funziona deduttivamente, mentre
induttivamente, può funzionare.
L'abduzione è un argomento che ricalca la fallace dell'affermazione del conseguente, in
quanto errore deduttivo, ma che può trasformarsi in uno strumento di ricerca nell'ambito della
logica induttiva, senza pretesa di necessarietà, ma con probabilità maggiore o minore.
L'abduzione è un ragionamento che dagli effetti di un fatto risale all'esistenza stessa del fatto.
Se c'è il fatto F allora ci sono le conseguenze C1, C2, etc..(se allora),
se queste conseguenze C1,C2, effettivamente ci sono
allora, con una certa probabilità c'è il fatto F
Questo argomento è ampiamente utilizzato e funziona da sintomo dell'esistenza stessa del
fatto.
Nel diritto, il senso sostanzialmente non cambia, a C1 e C2 basta sostituire I1, I2 etc. ed in tal
modo otteniamo lo schema di quella che abbiamo presentato come prova indiziaria.
Se c'è il fatto F allora ci sono gli indizi I1, I2, I3, etc.
I1, I2, I3,
probabilità
F
' Se l'imputato è responsabile del furto, allora aveva bisogno di denaro (I1), aveva le chiavi
dell'appartamento (I2), conosceva la combinazione della cassaforte (I3)'.
Allora, da questi indizi, concludiamo che con una certa probabilità, l'imputato è responsabile del
furto.
Il ragionamento che facciamo continuamente nella prova indiziaria è quello dell'abduzione. E' un
argomento antichissimo, ne fa un esempio anche lo stesso Cicerone.
'Se la vittima è stata uccisa con la spada, e tu fossi trovato con la spada insanguinata nel
medesimo luogo, e nessuno fu visto al di fuori di te, e nessuno aveva motivo di ucciderla, e tu eri
considerato un violento; possiamo avere ancora dubbi sull'autore del delitto?'.
Alla prova indiziaria, il codice di procedura penale ed il codice civile, dedicano due articoli
differenti per il contenuto. In particolare, nel codici civile, non si parla di indizi, ma di
presunzioni.
L'art.192 del codice di procedura penale, al secondo comma dice:' l'esistenza di un fatto non
può essere riassunto da indizi a meno che, questi siano gravi, precisi e comportanti'.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
L'art.2729 del codice civile, definendo le presunzioni semplici dice:' il giudice non deve
ammettere che presunzioni gravi, precise e comportanti'.
Condizioni di forza dell'abduzione.
1)La probabilità a priori. Probabilità stabilita prima della prova indiziaria; in effetti, la prova
indiziaria si inserisce sempre nel contesto di altre prove, e acquista più o meno forza a seconda
che alle spalle abbia poche o molte prove.
Possiamo fare l'esempio del medico che, dall'osservazione dei sintomi stabilisce la diagnosi; ma
ancora prima dell'individuazione dei sintomi, la diagnosi si rinforza a priori, nel caso che il
medico sappia che in quel determinato periodo, c'è un'epidemia di influenza.
Come, per esempio, nel campo del diritto, i precedenti penali dell'indiziato costituiscono una
probabilità a priori della prova indiziaria.
2)La selettività degli indizi. La significatività degli indizi, ossia questi devono essere
strettamente connessi con il fatto.
3)La numerosità degli indizi. Va detto, però, che la Corte di Cassazione è titubante su questo
punto:'non basterebbe un solo indizio?'. Dal punto di vista logico, un solo indizio potrebbe
essere sufficiente, ma dipende tutto dalla probabilità a priori che c'è.
Le questioni di diritto.
Entreremo, adesso, nella logica delle questioni di diritto. Nell'ambito di queste questioni, come
abbiamo già accennato, vi rientrano la validità e l'interpretazione delle norme. Il problema
della validità delle norme, l'abbiamo già affrontato nella prima parte del corso, parlando di
Kelsen, Hart, della gerarchia dei poteri, della norma fondamentale, fondanteetc, per cui non ci
soffermeremo ancora su questo punto. Ricordiamo limitatamente che le norme valide sono
quelle norme che appartengono all'ordinamento giuridico. Di maggiore interesse, invece, è la
questione dell'interpretazione.
Che cos'è l'interpretazione? L'interpretazione giuridica non è qualcosa di molto diverso
dall'interpretazione che siamo indotti a fare di fronte ad un qualunque messaggio o testo, sia
scritto che orale.
Quando vogliamo interpretare un testo qualunque dobbiamo:
1.in primis, conoscere il codice linguistico , ossia il codice della lingua nella quale è stato redatto
quel testo. Un codice linguistico ricomprende la grammatica, la sintassi e la semantica, cioè il
vocabolario.
(CRITERIO LINGUISTICO)
2.Però, ciò non basta, la frase o la parola sarebbe sbagliata se non fosse estrapolata dall'intero
contesto nel quale la frase è contenuta.
(CRITERIO SISTEMATICO)
3.Inoltre, dobbiamo tenere presenti le condizioni di fatto nelle quali il messaggio è stato
redatto.
Chiamiamo questo, criterio teleologico in quanto è diretto soprattutto a comprendere finalità e
funzioni.
(CRITERIO TELEOLOGICO)
Nel diritto, tradizionalmente, l'interpretazione segue gli stessi criteri.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
Di fronte ad una norma, o ad una disposizione normativa, in effetti, bisogna conoscere in primis,
il codice linguistico, la grammatica, la sintassi ed il lessico del linguaggio giuridico, in parte
simile al linguaggio comune italiano ma non del tutto. Poi dobbiamo tenere presente l'intero
corpo normativo, il sistema. 'Sarebbe incivile estrapolare una singola disposizione dall'intero
contesto del diritto'.
E questo fu quello che Emilio Betti citò, parlando del criterio sistematico come canone della
totalità dell'interpretazione.
Poi, abbiamo anche il criterio teleologico, perché il giurista deve tener conto anche della ratio
legis, ossia la finalità per la quale una disposizione è stata emanata. In più, bisogna tener conto
delle circostanze nelle quali la disposizione è stata applicata.
Ma come lavora il giurista?
Egli parte dalla lettura legis e giunge a quello che è il significato. Una cosa è quello che il testo
testualmente dice ed altro, è il suo significato. Ora il passaggio dalla lettura al significato è
quello che si dice lavoro interpretativo.
Ci sono vari modi di ricostruire la logica del processo d'interpretazione; il professore ci indica
un modo che è una catena di argomenti, di cui l'ultimo anello è un sillogismo disgiuntivo.
Il giurista per cominciare legge, la lettura gli suscita un problema, in effetti, l'interpretazione
scaturisce da un problema di comprensione, un dubbio; leggiamo una parola e non sappiamo se
questa significa una cosa o l'altra. Noi siamo di fronti ad una pluralità di possibilità, di
alternative, di ipotesi di interpretazione.
L (criterio linguistico)
S (criterio sistematico)
T (criterio teleologico)
+
criteri che
accompagnano
sempre il giurista
I1, I2, I3...
(ipotesi ermeneutiche)
non I2, non I3...(esclusione di ipotesi)
dunque, I1
Non solo la scienza giuridica, ma qualunque lavoro di ricerca scientifica parte da un'ipotesi, o
meglio da una pluralità d'ipotesi. Senza ipotesi, la scienza non va avanti; in effetti, queste
possono considerarsi in parte il frutto della nostra fantasia; nascono per intuizione e non
necessariamente presentano una logica. L'interprete deve figurarsi varie possibilità di
interpretazione, suggeritegli dalla sua fantasia; ipotesi che gli serviranno per la risoluzione del
problema. Un problema, però, può nascere solo se abbiamo una cultura alle spalle, così un
giurista può formulare un problema giuridico, solo possedendo una cultura giuridica. A questo
punto, il giurista mette insieme le premesse sopra presentate; le mette insieme perché inizia a
confrontare ciascuna delle ipotesi che la sua fantasia gli ha suggerito con l'insieme dei criteri.
Alcune di queste reggono, ma altre entrano in conflitto con questi criteri; ossia da questi criteri
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
si ricava la negazione di una certa ipotesi, in questo caso, di non I2, di non I3, finché ne resta
una sola, I1. Quando ne resta una sola, non ci sono dubbi, quella è l'unica soluzione; soluzione
superstite che enuncerà il giurista.
Il professore fa due esempi, uno antico ed uno più recente.
Quello più antico, rimanda a Cicerone. Cicerone si immagina che ci sia una legge la quale
dica:'una meretrice non può possedere una corona d'oro, se la possiede si è messa all'asta'.
Cicerone si chiede cosa voglia dire 'si è messa all'asta'. Si è messa all'asta la corona o la donna?
Cicerone afferma:'che vada messa la donna all'asta è da escludere', in quanto questa ipotesi
entra in contrasto con un principio generale dell'ordinamento romano. Dunque, soppressa una di
queste ipotesi, non resta che la prima.
L'altro esempio, quello più recente, rimanda a Ross. Ross, fa un esempio d'interpretazione. Egli
suppone che una legge bandisca un concorso per l'assunzione di uomini e di donne che abbiano
superato una certa prova tecnica. Qui, ci si pone daccapo un'alternativa. Chi deve sostenere la
prova?
1.Ipotesi I1, gli uomini e le donne.
2.Ipotesi I2, le donne, ma non gli uomini.
3.Ipotesi I3, gli uomini, ma non le donne.
-L'ipotesi I2, urta con il principio di eguaglianza dei sessi, sarebbe una discriminazione del
tutto irragionevole. Quindi I2, va completamente eliminato.
-L'ipotesi I3, oltre ad urtare con il principio di eguaglianza, violerebbe un principio letterale,
grammaticale, in quanto il 'che' è più vicino alle donne che agli uomini e proprio per questo,
casomai, dovrebbe riferirsi di più alle donne che agli uomini.
Non resta, dunque, che la prima ipotesi.
Questo procedimento può bloccarsi per due ragioni:
a)quando tutte le ipotesi che sono state fatte cadano; cadono tutte perché le ipotesi sono in
contrasto con l'una o con l'altra premessa. Questo può accadere nel caso che la nostra fantasia
sia stata debole, per cui in questa situazione, è conveniente allargare il numero delle ipotesi, ed
allora la nuova ipotesi probabilmente non cadrà come tutte le altre. Però, può anche succedere
che per quanti sforzi la nostra fantasia faccia, non si riesca a trovare un'altra ipotesi ed allora,
in quest'ultimo caso, ci si affida all'equo apprezzamento del giudice.
b)quando sopravvivono più di una ipotesi. Il problema non ha avuto una soluzione definitiva, in
quanto a seconda che si assuma una o l'altra ipotesi si avranno decisioni giudiziarie differenti.
Allora, per scegliere, bisogna fare appello a dei principi che non sono contenuti nel sistema, ma
sono esterni al sistema, per esempio alla coscienza giuridica dell'opinione pubblica.
Ci sono altri due modi tipici di ragionare nell'ambito dell'interpretazione, l'argomento di
analogia e l'argomento a contrario.
Con l'argomento di analogia, si estende la fattispecie di una norma a tutti i casi simili;
naturalmente tutti casi simili non previsti dalla norma.
L'argomento a contrario, invece, dice che tutti i casi simili o non simili, non previsti da una
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
certa norma, presentano una disciplina opposta.
C'è un'ultima forma di logica che riguarda la ricerca dei principi generali del diritto. Ne aveva
parlato Ronald Dworkin; per questo filosofo, però, i principi generali del diritto erano esterni
dall'ordinamento ed attinti dalla coscienza morale. Probabilmente, Dworkin non aveva presente
la completa situazione dei principi generali. I principi generali devono considerarsi norme a
carattere generalissimo che si trovano nella forma latina dei brocardi. Per esempio, 'non può
essere invocata nessuna pena che non sia stata prevista precedentemente dalla legge'. Questi
principi generali possono avere delle fonti esterne ed a queste si riferiva Dworkin( coscienza
morale e diritto naturale); ma anche fonti interne, in senso che i principi e la loro origine
possano trovare sede all'interno del sistema stesso. E quando trovano sede all'interno del
sistema, può darsi che siano impliciti od espliciti; sono espliciti, per esempio, quando seguono il
principio d'eguaglianza, principio disciplinato dall'art.3 della Cost.; sono impliciti, quando si
riferiscono a norme nelle quali il principio si manifesta solo parzialmente. Allora bisogna
esplicitarlo.
Ma cose si esplicita un principio implicito nelle varie norme?
La soluzione comunemente accettata è quella che rimanda alla generalizzazione induttiva, la
quale permette di passare dal particolare al generale, o meglio all'affermazione del principio in
generale.
L'abduzione funziona anche in questo caso, come il sillogismo disgiuntivo può essere
universalizzato per tutti i tipi di ricerca, lo stesso avviene per l'abduzione. Invece di ricavarlo
per generalizzazione induttiva, noi possiamo ricavarlo considerarlo le singole parti di cui consta
il principio, come indizi della presenza del principio stesso. Il ragionamento assume questa
forma:
Se F allora I1,I2,I3...
I1,I2,I3... probabilità
F
Se il principio ha ispirato l'ordinamento, allora I1, I2, I3, ci devono essere, ci devono essere
delle tracce. Effettivamente queste tracce si trovano, dunque molto probabilmente il principio
ha ispirato l'ordinamento'.
La struttura logica della sentenza.
L'intero processo, si ricapitola nella sentenza.
Cesare Beccaria nel suo libro 'Dei delitti e delle pene', descrisse così la struttura logica della
sentenza:
In ogni causa, si deve fare dal giudice, un sillogismo perfetto' e qui probabilmente giocava
l'illusione illuministica che la ragione potesse arrivare alla certezza assoluta.
Per cui, egli parla di sillogismo perfetto, di cui:
1. la premessa maggiore deve essere una legge generale.
2. la premessa minore deve essere conforme o non conforme alla legge.
3. la conclusione, la libertà o la pena.
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
Tutti gli A sono B,
XèA
xèB
norma +
= motivazione
fatto
decisione (dispositivo della sentenza)
La struttura logica della sentenza, dunque, è costituita da un dispositivo e da due premesse,
che sono la motivazione della sentenza.
Che sia un sillogismo applicativo, Cesare Beccaria non l'aveva precisato, ma che si trattasse di
un sillogismo giudiziario, sì.
L'illuminismo, ben presto tramontò e con esso, la fiducia assoluta sulla ragione. Ci fu una vera e
propria reazione all'illuminismo, che si manifestò nel novecento con lo scetticismo.. E da questo
scetticismo e da un clima culturale, creatosi principalmente in Italia, si sono create una serie di
critiche al sillogismo giudiziario; critiche dirette a dimostrare che la sentenza è, in realtà,
priva di logica.
Quindi, se da una parte avevamo Beccaria, esponente del logicismo giuridico; da quest'altra
parte, abbiamo l'anti-logicismo.
Queste critiche che sono state fatte, sono dovute, in parte, al clima neoidealistico che rimanda
a Croce; il neoidealismo era piuttosto ostile alla logica. Calogero, allievo di Croce, aveva
ereditato questa antipatia per la logica, sebbene egli stesso sia stato un attentissimo studioso
della logica aristotelica ed antica.
Egli si laureò prima in filosofia e poi, in giurisprudenza e scrisse un libro che ancora oggi è di una
certa importanza, 'la logica del giudice e il suo controllo in Cassazione'.
Ma tornando alle critiche, presentiamole:
(1) La struttura sillogistica è artificiale ed artificiosa, nella realtà, non la troviamo.
(2) Il procedimento attraverso il quale il giudice arriva alla sua conclusione, non ha niente a
che fare con la logica.
(3) Il procedimento del giudice non è logico perché non ha nulla di cogente; il diritto è
sempre opinabile e provvisorio.
Spiegazione delle critiche.
(1)La struttura della sentenza è artificiosa, non esiste. La stessa struttura logica nella realtà
non c'è, è solo un'invenzione per convincerci.
Replica.
La verità è che, noi dobbiamo, ancora una volta, distinguere fra il ragionamento quale è a livello
testuale ed il suo significato implicito. Quando si dice che la sentenza ha una struttura logica,
s'intende dire che questa struttura è implicita, e può essere ricostruita dalla logica in forma
completa.
Questo, in effetti, la Cassazione l'aveva riconosciuto ( rimando ad argomenti ordinari e
standard).
Per cui, la prima è obiezione non è rilevante, non lascia il segno.
(2)La seconda obiezione è dovuta a Calogero. Egli sosteneva che il procedimento del giudice non
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Alessandra Lumaca - Appunti di Metodologia della scienza giuridica, Prof. Carcaterra
ha niente di logico. Si dice che il giudice faccia un sillogismo di questo genere, ma questo è un
sillogismo di una banalità tale che potrebbe essere fatto da chiunque, non ci sarebbe bisogno di
creare una magistratura. Quindi, non è questo che fa il magistrato; il magistrato intuisce una
soluzione e poi, va a ricerca delle premesse ed in questa ricerca delle premesse, la logica non
c'entra nulla.
Replica.
Il sillogismo in sé è una banalità, quello però che non è banale sono le catene di sillogismi
(rimando all'esempio della rapina in banca). Dunque, non è vero che quando si fa logica si fanno
cose banali.
Per quanto concerne il compito che Calogero attribuisce al giudice, forse questo è più
propriamente il compito dell'avvocato; ma ipotizzando che il giudice, alcune volte, compia queste
operazioni, come farebbe a cercare le premesse senza utilizzare la logica? Dove andrebbe a
cercarle?
In sintesi, Calogero, sfortunatamente per lui, in questo caso, prende un granchio.
(3)Il procedimento del giurista è un procedimento mai definitivo, non come la matematica.
Replica.
E' vero, nel diritto non c'è il rigore della matematica, ossia i ragionamenti del giudice o dei
giuristi non sono ragionamenti assolutamente certi. Ma dire che un ragionamento non è
assolutamente certo, non vuol dire che non si serva della logica, quello che lo rende incerto, sono
solo le premesse. Dunque, il fatto che il procedimento giuridico non sia cogente, non significa
che sia privo di logica.
Questa è un'osservazione che può essere fatta solo da una persona che non conosce
approfonditamente il diritto.
Queste ipotesi seppur confutabili, non solo completamente prive di valore. Ed ora nel dire quali
sono le caratteristiche e nell'integrare la struttura del sillogismo di Beccaria, noi le terremo
presenti.
Il sillogismo giudiziario :
1)ha una struttura logica che, però, non è visibile a livello del testo della sentenza.
2)ha sì una struttura logica ,ma in realtà non così semplice come l'aveva presentata Beccaria.
Prima di arrivare all'ultimo anello di una serie di sillogismi, c'è tutto un processo ermeneutico;
il momento di affermazione della norma dipende da una serie di premesse ed il fatto che venga
asserito, dipende da una serie di premesse che testimoniano il fatto stesso. In realtà, la
sentenza è un polisillogismo, una catena di sillogismi che culminano, probabilmente, in ultima
istanza, in un sillogismo applicativo.
Tutti gli A sono B
PR1
xèA
xèB
Naturalmente, tutte queste catene di sillogismi non solo assolutamente certe e, da ciò, deriva il
fatto che il carattere della sentenza non è apodittico, ma soltanto plausibile.
E così, abbiamo concluso il Corso di metodologia della scienza giuridica.
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