parte prima - Dipartimento di Scienze Chimiche

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Chimica Fisica
I principi della termodinamica
AA 2013-14
Antonino Polimeno
Dipartimento di Scienze Chimiche
Università degli Studi di Padova
1
Prefazione
La ricerca scientifica ha come scopo la descrizione dei fenomeni della natura per mezzo di leggi matematiche. Nel corso dei secoli, a partire da Ruggero Bacone e Galileo Galilei, il metodo sperimentale ha
acquisito una fisionomia definita, che si organizza secondo lo schema
1. la descrizione e l’osservazione sperimentale quantitativa del fenomeno naturale
2. la formulazione di un’ipotesi interpretativa
3. l’effettuazione di un esperimento che verifichi o smentisca l’ipotesi
4. la definizione di una legge matematica che descrive l’ipotesi interpretativa del fenomeno
Ma il metodo sperimentale non è neutrale: il ricercatore opera scelte personali ad ogni passaggio, in
base a considerazioni in ultima analisi opportunistiche, non-scientifiche e fortemente influenzate dal suo
carattere, dalla sua mentalità e soprattutto dal momento storico in cui vive. Cosı́ lo sviluppo delle
applicazioni della termodinamica prima e della meccanica quantistica poi alle discipline chimiche sono
storicamente collocabili in un periodo che va dalla fine del XVIII alla prima parte del XX secolo per molte
ragioni: la nascita dell’industria moderna, la disponibilità di nuovi strumenti mentali resi disponibili
dall’Illuminismo ed anche di nuovi strumenti tecnologici - per esempio nuovi metodi sofisticati di misura
della temperatura e della pressione. La termodinamica chimica in particolare si sviluppa seguendo
coordinate ben precise anche da un punto di vista geografico, in Europa, perlopiú in Inghilterra, Francia
e Germania, paesi impegnati in quel periodo in una fase di notevole espansione economica, ed in una
situazione di forte competizione culturale e bellica. Quindi la ricerca si concentra sui fenomeni naturali
di maggiore interesse per le società dell’epoca: la resa di una macchina a vapore, il calore necessario a
fondere un cannone, la relazione tra energia spesa e lavoro ottenuto (il primo ed il secondo principio della
termodinamica sono di natura eminentemente ”economica”, come vedremo piú avanti), le condizioni per
massimizzare la resa dei processi chimici industriali e cosı̀ via.
2
Capitolo 1
Funzioni di stato e proprietà
volumetriche
Come ogni disciplina scientifica, la termodinamica dispone di un suo linguaggio specifico, che contiene
termini tecnici esattamente definiti. È utile dare una serie di definizioni introduttive, necessariamente
non rigorose ma almeno intuitivamente corrette 1 . La termodinamica si occupa dello stato interno di un
sistema fisico, definito come una porzione limitata di materia, mediante la definizione e lo studio delle
sue proprietà macroscopiche o coordinate termodinamiche. Gli scopi della termodinamica sono
1. l’individuazione dei principi generali che regolano lo stato dei sistemi
2. l’individuazione delle coordinate termodinamiche dei sistemi
3. l’individuazione delle relazioni generali che esistono tra le coordinate termodinamiche in accordo
con i principi generali
In questa prima parte del Corso, ci occuperemo principalmente della definizione dei principi o leggi
della termodinamica, iniziando nel Capitolo 1 a definire di concetti di funzioni di stato per descrivere
proprietà termodinamiche, di temperatura ed equilibrio termico, facendo riferimento principalmente
alle proprietà dei sistemi gassosi. Nel Capitolo 2 descriveremo il principio dell’equivalenza tra energia
termica e lavoro, che costituisce il I principio della termodinamica. Il Capitolo 3 è infine dedicato alla
definizione dell’entropia ed all’introduzione del II principio della termodinamica.
I sistemi termodinamici si possono classificare in accordo con le loro modalità di interazione con il
resto dell’universo (ambiente)
• i sistemi isolati non sono influenzati in alcun modo dall’ambiente
• i sistemi chiusi possono scambiare energia, ma non materia con l’ambiente
• i sistemi aperti possono scambiare energia e materia con l’ambiente
1
Come succede spesso, termini del linguaggio corrente assumono un significato diverso nel ’dialetto’ di una scienza.
Fate attenzione a non confondere il significato comune di un termine con il suo significato tecnico-scientifico.
3
4
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
La descrizione termodinamica di un sistema non considera i dettagli microscopici (molecolari). Piuttosto, vengono individuate alcune variabili macroscopiche che definiscono lo stato di un sistema. Le
variabili termodinamiche o funzioni di stato o coordinate termodinamiche possono essere interpretate,
naturalmente, come la media di grandezze microscopiche - ed è questo uno degli obiettivi principali
della meccanica statistica - ma in generale la descrizione termodinamica prescinde da qualunque interpretazione molecolare. Qua e là useremo comunque concetti di natura molecolare, come per esempio la
definizione della massa di un sistema in termini di moli, o faremo cenno all’interpretazione microscopica
di principi termodinamici, come la relazione tra disordine molecolare ed entropia residua2 . Evidentemente, la descrizione termodinamica dello stato di un sistema, basata cioè su un numero limitato di
funzioni di stato, costituisce un’idealizzazione (o meglio, un modello) di un sistema fisico reale. Una
porzione di sistema aventi tutte le coordinate termodinamiche costanti (o variabili in modo continuo
nello spazio) si dice fase.
Per la precisione, il termine funzione di stato sarà riservato a quelle proprietà termodinamiche
aventi la seguente importante caratteristica: essere una quantità che dipende solo dallo stato presente
del sistema, e non dalle modalità secondo le quali lo stato stesso del sistema è stato prodotto. Per
quanto ovvia, questa proprietà formale ha grandissime conseguenze formali e pratiche. Da un punto di
vista matematico, data una funzione di stato X potremo scrivere
I
dX = 0
(1.1)
H
dove indica un integrale di linea su un percorso chiuso, vale a dire una successione di stati di equilibrio
del sistema con lo stato iniziale e finali coincidenti; affermare che la funzione X è una funzione di stato
coincide con la dimostrazione della (1.1).
Possiamo classificare le proprietà termodinamiche di un sistema secondo lo schema seguente
• proprietà estensive come il volume: dipendono in modo lineare dalla massa del sistema
• proprietà intensive come la pressione: non dipendono dalla quantità di materia che costituisce il
sistema
Tra le coordinate termodinamiche di un sistema rientrano a pieno titolo le coordinate di composizione:
un sistema può essere costituito da molteplici componenti chimici e varie fasi.
Infine è importante introdurre, almeno qualitativamente, il concetto di equilibrio: un sistema in
equilibrio non presenta variazioni nel tempo delle sue proprietà termodinamiche, se le condizioni esterne
non cambiano3 . Nel seguito ci occuperemo esclusivamente di sistemi in equilibrio, e di trasformazioni
tra sistemi in equilibrio; nella prima parte del Corso inoltre limiteremo la nostra indagine a sistemi
monofasici (e monocomponenti, od almeno a composizione costante).
Consideriamo dunque un sistema chiuso, monofasico, a composizione costante. Quante sono le
coordinate termodinamiche indipendenti, rispetto alle quali possiamo cioè esprimere tutte le proprietà
termodinamiche del sistema? Si può notare che in generale la termodinamica non fornisce alcun criterio
per stabilire il numero minimo di coordinate termodinamiche necessarie per descrivere un sistema,
2
Si tratterà sempre però di affermazioni non strettamente necessarie allo sviluppo logico della descrizione termodinamica,
che è di per sè chiusa, non necessita cioè di interpretazioni o definizioni atomistiche per la sua coerenza interna
3
Si tratta di una definizione poco soddisfacente, che cercheremo di migliorare in seguito
5
in assenza di informazioni specifiche. Vedremo però in uno dei Capitoli successivi come sia possibile
stabilire delle relazioni tra il numero di variabili indipendenti, il numero dei componenti chimici ed il
numero di fasi di un sistema. Un sistema chiuso, monofasico, a composizione costante è descrivibile
da tre funzioni di stato, una estensiva (per esempio la sua massa M ) e due intensive, X, Y . Ogni
altra proprietà intensiva del sistema sarà definita come una funzione delle due proprietà intensive di
partenza, mentre ogni altra proprietà estensiva sarà una funzione (lineare) della massa e delle due
proprietà intensive
Ii = fIi (X, Y )
(1.2)
Ei = M · fEi (X, Y )
(1.3)
dove fIi e fEi sono funzioni caratteristiche delle proprietà Ii e Ei . Un buon esempio è costituito da una
certa quantità di gas racchiuso in un volume definito - una miscela di aria e carburante nella camera di
combustione di un pistone in un motore a scoppio, prima dello scoppio, od una porzione di elio racchiusa
in un pallone trattenuto all’altezza di un paio di metri dal livello del mare in un pomeriggio primaverile
in un parco pubblico di una città europea 4 . Le proprietà estensive primarie che definiscono lo stato
di un sistema monofasico a composizione costante sono la sua massa, definibile anche in termini di
numero di moli totali, n adimensionale, ed il suo volume V (m3 ). Esiste inoltre un’importante proprietà
intensiva che caratterizza l’interazione meccanica di un sistema con l’ambiente, la pressione: definiamo
come pressione p una forza per unità di superficie, e ricordiamo che nel sistema internazionale l’unità
di misura della pressione è il pascal (Pa) pari ad 1 N m−2 . Una pressione di 105 Pa = 1 bar, indicata
Nome
pascal
bar
atmosfera
torr
millimetro di Hg
Simbolo
Pa
bar
atm
Torr
mmHg
Valore
= 1 kg m−1 s−2
105 Pa
1.01325 × 105 Pa
1/760 atm = 133.322 Pa
1 Torr = 133.322 Pa
1N
m−2
Tabella 1.1: Unità di misura della pressione
anche con p⊖ , è detta pressione standard. È circa, ma non esattamente, uguale ad un atmosfera, ovvero
alla pressione esercitata da una colonna alta 760 millimetri di mercurio sulla superficie della sua base
(come nel famoso esperimento di E. Torricelli del 1642, che per primo misura in questo modo, pare su
suggerimento di Galileo, la pressione esercitata dall’atmosfera).
Consideriamo due sistemi monofasici 1 e 2, chiusi (la quantità di massa relativa a ciascun sistema è dunque costante): per esempio due sistemi gassosi racchiusi in due contenitori rigidi, isolati
dall’ambiente, ma separati da una parete mobile. I due sistemi saranno in condizioni di equilibrio
meccanico quando la pressione esercitata dai due sistemi sulla parete sarà uguale
L’equilibrio meccanico è quello stato caratterizzato dai valori delle coordinate termodinamiche che due sistemi raggiungono quando vengono messi in contatto tramite una parete
rigida mobile.
4
Una lunga perifrasi per indicare condizioni di temperatura e pressione di 25 ◦ C ed 1 atmosfera
6
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
Figura 1.1: Misura della pressione atmosferica nell’esperimento di Torricelli (1642)
1.1. TEMPERATURA ED EQUILIBRIO TERMODINAMICO
7
Figura 1.2: Equilibrio termico e principio zero.
Evidentemente, dati piú di due sistemi a contatto fra loro, le condizioni di equilibrio meccanico si
estendono automaticamente: se due sistemi sono in equilibrio meccanico con un terzo sistema (cioè
esercitano la stessa pressione sul terzo sistema), saranno in equilibrio fra loro, come semplice consequenza
della natura ’meccanica’ dell’equilibrio (uguaglianza di forze).
1.1
Temperatura ed equilibrio termodinamico
La verifica sperimentale ci insegna che la pressione ed il volume non sono sufficienti a definire lo stato
di un sistema. Esiste un’altra proprietà (intensiva) non meccanica che è legata alla ’quantità di energia’
del sistema, di cui però ci manca ancora una definizione appropriata.
Consideriamo ancora due sistemi monofasici 1 e 2, chiusi (la quantità di massa relativa a ciascun
sistema è dunque costante): per esempio due sistemi gassosi racchiusi in due contenitori rigidi, isolati
dall’ambiente, ma separati da una parete comune. Sappiamo (dall’esperienza, come abbiamo discusso
brevemente nella sezione precedente) che sono necessarie due coordinate termodinamiche per definire
completamente lo stato di ciascun sistema. Se la parete tra i due sistemi non permette lo scambio di
energia viene detta parete adiabatica e, ancora dall’esperienza, si può affermare che i valori delle coppie
di coordinate (X1 , Y1 ) e (X2 , Y2 ) sono totalmente indipendenti. Se però la parete è resa diatermica
o conduttrice di energia, allora le coppie di coordinate termodinamiche (X1 , Y1 ) e (X2 , Y2 ) non sono
indipendenti: partendo da uno stato iniziale arbitrario, cambieranno sino a raggiungere dei valori di
equilibrio. Parliamo in effetti di equilibrio termico
L’equilibrio termico è quello stato caratterizzato dai valori delle coordinate termodinamiche che due sistemi raggiungono quando vengono messi in contatto tramite una parete
conduttrice.
Anche per l’equilibrio termico possiamo definire una proprietà transitiva, che però, da un certo punto di
vista è meno intuitiva del caso dell’equilibrio meccanico. Si tratta del cosiddetto principio zero della
termodinamica
Due sistemi in equilibrio termico con un terzo sistema sono in equilibrio termico fra loro.
8
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
Riassumendo, abbiamo definito l’esistenza di condizioni di equilibrio meccanico e termico tra sistemi
(almeno nel caso di sistemi a composizione costante). In seguito parleremo di sistemi in equilibrio
termodinamico per indicare le condizioni di equilibrio sia meccanico che termico. A questo punto è
Termometro
Proprietà termometrica
Gas
Resistore
Termocoppia
Sale paramagnetico
Pressione
Resistenza elettrica
Forza elettromotrice termica
Suscettività magnetica
Tabella 1.2: Termometri e proprietà termometriche
chiaro che abbiamo bisogno di una nuova coordinata termodinamica intensiva, analoga alla pressione,
che ci permetta di definire il contenuto energetico di un sistema e di definire in modo quantitativo la
condizione di equilibrio termico. Definiamo questa grandezza temperatura; il principio zero ci assicura
che esiste una funzione di stato che stabilisce le condizioni di equilibrio termico tra un numero arbitrario
di sistemi termodinamici. Dal principio zero è facilmente dimostrabile l’esistenza di una funzione con
queste proprietà per un sistema monofasico, vedi la sottosezione (1.6.1).
La temperatura si può definire operativamente misurando una qualche proprietà X di un sistema
prescelto, cioè di un termometro, e definendo una funzione (lineare, per semplicità) θ(X) = costX.
Diremo che un determinato sistema ha una temperatura θ(X) se, posto il sistema a contatto diatermico con il termometro, la proprietà termometrica di quest’ultimo raggiunge il valore X all’equilibrio
termico. Avendo adottato una relazione lineare di temperatura, possiamo definire facilmente una procedura operativa che definisce una scala di temperatura. Consideriamo per esempio due stati facilmente
riproducibili a e b di un sistema campione. Un termometro a contatto con i due stati del sistema campione fornisce le temperature θ(Xa ) = costXa e θ(Xb ) = costXb . In uno stato arbitrario vale invece che
θ(X) = costX; ponendo insieme queste tre relazioni lineari
θ(X) =
θ(Xa ) − θ(Xb )
X
Xa − Xb
(1.4)
definendo perciò i valori θ(Xa ) e θ(Xb ) possiamo definire una funzione temperatura data la misura della
proprietà termometrica X; per esempio se definiamo come 0 la temperatura dell’acqua satura d’aria
alla pressione di 1 atm in equilibrio con ghiaccio e con 100 la temperatura dell’acqua in equilibrio con
vapore acqueo ad 1 atm, abbiamo la scala Celsius di temperatura (◦ C). Altre scale di temperatura
note sono la scala Fahrenheit (◦ F), che considera i valori dei due medesimi punti fissi, per lo stesso
sistema campione, rispettivamente 32 e 212 invece di 0 e 100, e soprattutto la scala Kelvin (◦ K), che
definisce arbitrariamente la temperatura del punto triplo dell’acqua, cioè di quello stato (unico) di
coesistenza di acqua pura solida, liquida e gassosa come 273.16 ◦ K. Qualunque temperatura è perciò
definita semplicemente come
θ(X) = 273.16
X
Xp.t.
(1.5)
La temperatura è dunque definita come una grandezza misurabile, intensiva, ma il cui valore dipende
in ultima analisi dal sistema usato come termometro. Tra i vari termometri possibili, ha un particolare
1.1. TEMPERATURA ED EQUILIBRIO TERMODINAMICO
9
Figura 1.3: Scale di temperatura.
significato, sia applicativo che teorico, il termometro a gas perfetto, che è costituito sostanzialmente da
un apparato che usa come proprietà termometrica la pressione di un gas. Il termometro a gas opera
in modo tale da ripetere la misurazione a pressioni sempre piú basse, che corrispondono a condizioni
in cui qualunque gas si comporta in maniera identica - parliamo in questo caso di gas perfetto (vedi
Sez. (1.2)). Una breve descrizione del funzionamento del termometro a gas è data nella sottosezione di
approfondimento (1.6.2).
Come vedremo in seguito, la temperatura è in realtà una grandezza universale che può essere ridefinita prescindendo dal sistema di misura; in questo caso parleremo di scala termodinamica della
temperatura e verificheremo che la temperatura con un scala Kelvin misurata da un termometro a gas
perfetto coincide con la temperatura termodinamica; parleremo perciò nel seguito di temperatura
assoluta T o termodinamica, di cui indicheremo l’unità di misura con K (senza il simbolo di grado
◦ ). Nel seguito useremo sempre il simbolo T per la temperatura, intendendo la temperatura assoluta
Fahrenheit
Celsius
Kelvin
Fahrenheit
Celsius
Kelvin
\\
5
θC = 9 (θF − 32)
T = 59 (θF + 459.67)
9
5 θC
θF = 95 T − 459.67
θC = T − 273.15
\\
θF =
+ 32
\\
T = θC + 273.15
Tabella 1.3: Relazioni tra scale di temperature
o termodinamica, salvo quando discuteremo, nel corso dell’esposizione del secondo principio della termodinamica, il fondamento della definizione stessa di temperatura; per indicare la funzione temperatura
secondo una qualche scala e misura arbitrarie useremo in questo caso il simbolo θ.
10
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
Il funzionamento del termometro a gas è conseguenza diretta delle proprietà dei gas perfetti. Lo
studio delle caratteristiche fisiche dei sistemi gassosi si rivela perciò ancora una volta non solo un interessante prototipo per la definizione di relazioni operative di interesse applicativo, ma anche di interesse
specifico per la comprensione dei principi fondamentali della termodinamica. Le sezioni successive sono
dedicate perciò alla discussione delle proprietà dei sistemi gassosi.
1.2
Equazione di stato dei gas perfetti
A partire dalla seconda metà del XVII secolo, fin quasi alla fine del secolo XIX, una serie di accurate
osservazioni sperimentali permisero di razionalizzare il comportamento dei sistemi gassosi, almeno entro
limtati intervalli di pressione e temperatura. Lo sviluppo delle leggi dei gas si rivela in seguito uno dei
fondamenti principali della chimica fisica moderna, e contribuisce alla definizione di numerosi concenti
fondamentali, che oggi consideriamo scontati come la temperatura assoluta, la mole etc. Le leggi dei
gas, e l’equazione di base che le riassume, costituiscono naturalmente una descrizione approssimata dei
comportamenti dei sistemi gassosi reali, che però tendono al comportamento ideale a basse pressioni
e temperature sufficientemente elevate (in pratica in condizioni standard, a 25 ◦ C l’aria si comporta
come una miscela di gas perfetti, con modeste deviazioni). Vedremo in seguito come questo modo di
procedere - definizione di un sistema ideale come modello per il comportamento del sistema reale - sia
tipico dello studio della termodinamica.
Tra le prime ricerche è senz’altro da porsi lo studio di Robert Boyle, che nel 1662 raggiunge le
seguenti conclusioni:
Legge di Boyle: a temperatura costante, il prodotto della pressione esercitata da un
volume dato di gas di massa fissata, è costante
pV = cost
(1.6)
È interessante notare che le misure di Boyle furono possibili anche alla sua collaborazione con Robert
Hooke, che gli permise di costruire una delle prime pompe ad aria. Il passo successivo è dovuto a
Guillame Amontons, che sviluppa un primo rudimentale termometro a gas (l’aria). In pratica Amontons
fu il primo a porre in relazione una variazione di temperatura con una variazione di volume (e pressione).
Si devono però attendere gli studi di Jacques Charles, che nel 1787 esprime quantitativamente al relazione
tra volume e temperatura di un gas a pressione costante. Charles non pubblicò mai i suoi risultati, che in
parte riproducevano le conclusioni, vecchie quasi un secolo, di Amontons. Fu invece Joseph Gay-Lussac
a presentare risultati accurati alla comunità scientifica nel 1808.
Legge di Charles/Gay-Lussac: a pressione costante, il volume di un gas di massa
fissata, è lineare con la temperatura
V = cost(θC + 273.15)
(1.7)
Fu infine Carlo Avogadro, conte di Quaregna e di Cerreto a suggerire nel 1811 una relazione quantitativa
tra il volume totale di un gas (a pressione e temperatura costanti) e la quantità di massa presente. Le
conclusioni di Avogadro, che furono alla base della moderna teoria atomica sono esprimibili nel
1.2. EQUAZIONE DI STATO DEI GAS PERFETTI
Figura 1.4: Apparato sperimentale dell’esperimento di Boyle (schema).
11
12
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
Figura 1.5: Dati originali dell’esperimento di Boyle.
13
1.3. FATTORE DI COMPRESSIBILITÀ ED ESPANSIONE DEL VIRIALE
Principio di Avogadro: volumi uguali di gas, a pressione e temperatura costanti,
contengono ugual numero di molecole; il volume di un gas a temperatura e pressione costanti
è proporzionale al numero di moli.
V = cost × n
(1.8)
Le leggi dei gas possono essere unificate in un’unica equazione, che costitusce l’equazione di stato
dei gas perfetti per un sistema gassoso ad un componente
pV = nRT
(1.9)
R è la costante dei gas, il cui valore numerico dipende naturalmente dalle unità di misura impiegate per
descrivere il sistema Un’equazione di stato lega fra loro le coordinate termodinamiche estensive (n, V )
Valore numerico di R
unità di misura
8.31447
8.20574 × 10−2
8.31447 × 10−2
8.31447
62.364
1.98721
J K−1 mol−1
L atm K−1 mol−1
L bar K−1 mol−1
Pa m3 K−1 mol−1
L Torr K−1 mol−1
cal K−1 mol−1
Tabella 1.4: Costante dei gas
ed intensive (p, T ) del sistema.
Nel 1801, John Dalton determina la relazione esistente tra la pressione totale esercitata da una
miscela di gas (ideali) e le pressioni parziali esercitate da ciascun componente
Legge di Dalton: la pressione totale di una miscela di gas è data dalla somma delle
pressioni parziali dei singoli componenti
p=
X
pi
(1.10)
i
Le pressioni parziali sono determinabili dalla legge dei gas, in base al numero di moli di ciascun componente
pi =
ni RT
V
(1.11)
In Fig. (1.6) sono illustrati gli stati possibili di un gas perfetto, sotto forma della superficie che rappresenta il valore di p in funzione del volume per mole Vm e della temperatura T . A temperatura costante,
le curve che uniscono i possibili valori di (p, Vm ) secondo la legge di Boyle sono le isoterme; a volume
costante le curve (in questo caso, delle rette) (p, T ) sono le isocore.
14
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
Figura 1.6: Rappresentazione grafica dell’equazione di stato dei gas perfetti (p contro Vm , T ).
Figura 1.7: Rappresentazione schematica di alcune isoterme dell’anidride carbonica gassosa.
1.3. FATTORE DI COMPRESSIBILITÀ ED ESPANSIONE DEL VIRIALE
1.3
15
Fattore di compressibilità ed espansione del viriale
Le isoterme di un gas reale, come l’anidride carbonica, presentano un’andamento esemplificato in Fig.
(1.7). È evidente la deviazione dal comportamento ideale, e la presenza di un’isoterma critica corrispondente ad un temperatura critica Tc (per la CO2 , Tc ≈ 31◦ C) al di sopra della quale il gas esiste
a qualunque pressione (cioè non si può liquefare). Per un isoterma al disotto della temperatura critica
il sistema esiste come gas (per volumi molari a destra del punto A), come sistema misto liquido-vapore
(tra A e B) e come liquido (a sinistra di B). Deviazioni dall’idealità sono comunque già presenti sopra
la temperatura critica. Questi argomenti verranno ripresi in seguito con la discussione di diagrammi
di stato delle sostanze pure e delle soluzioni, cioè delle rappresentazioni grafiche dei possibili stati di
esistenza delle varie fasi di un sistema. Per ora ci basta notare i) l’esistenza delle grandezze critiche, la
temperatura critica Tc e i corrispondenti volume molare critico Vc e pressione critica pc che identificano
il punto di flesso dell’isoterma critica; ii) la caratteristica elevata pendenza del ramo ’liquido’ delle
isoterme sotto l’isoterme critica, tipica di una fase condensata (non facilmente ’comprimibile’); iii) il
significato fisico del valore di pressione costante che si osserva tra i punti A e B, che è la pressione di
vapore esercitata dal gas in equilibrio con il liquido (tensione di vapore).
Con una procedura tipica della chimica fisica, una scienza che si occupa di sistemi complessi, possiamo introdurre una descrizione dei gas reali partendo dalla descrizione dei gas perfetti, considerata
come una teoria semplificata a cui aggiungere termini di approssimazione successiva. La grandezza che
meglio si presta a misurare il discostamento di un gas reale dal comportamento ideale è il fattore di
compressibilità, definito come il rapporto tra il prodotto della pressione e del volume molare Vm = V /n
e di RT
Z=
pVm
RT
(1.12)
Si noti che data una grandezza estensiva (per esempio il volume), possiamo sempre definire una grandezza
intensiva collegata, definita come la grandezza estensiva stessa divisa per il numero di moli di sostanza:
parliamo in questo caso di grandezza molare. Il fattore di compressibilità di un gas perfetto vale 1, per
la legge dei gas perfetti. Ne consegue che il fattore di compressibilità è anche definibile come il rapporto
fra il volume molare ed il volume molare ideale RT /p di un gas. Il grado di deviazione dell’idealità
dipende dalle condizioni di pressione e temperatura e dalle caratteristiche chimiche del gas considerato,
cfr. Figg. (1.8) e (1.9). Un’equazione di stato generale, valida per un qualunque gas reale, può essere
scritta in termini di espansione in serie di Taylor rispetto alla pressione od alternativamente all’inverso
del volume molare. L’equazione di stato del viriale che si ottiene
Z = 1 + A2 p + A3 p2 + . . . =
X
An pn−1
viriale-pressione
(1.13)
viriale-volume molare
(1.14)
n=1
Z = 1+
X Bn
B3
B2
+ 2 + ... =
n−1
Vm Vm
n=1 Vm
dipende da una successione di coefficienti A2 , A3 , . . . o B2 , B3 , . . . che sono caratteristici del gas
considerato e dipendono dalla temperatura e dal volume molare (coefficienti An ) o dalla temperatura
e dalla pressione (coefficienti Bn ); A1 = B1 = 1 corrispondono al primo coefficiente del viriale, cioè al
comportamento ideale, ottenuto nei limiti p → 0 o Vm → ∞. L’espansione rispetto al volume molare
16
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
Figura 1.8: Andamenti del fattore di compressibilità contro pressione, a varie temperature.
1.3. FATTORE DI COMPRESSIBILITÀ ED ESPANSIONE DEL VIRIALE
Figura 1.9: Andamenti del fattore di compressibilità per vari gas, a temperatura fissata.
17
18
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
è la piú conveniente ed usata. Le correzioni all’idealità sono dovute soprattutto al secondo termine
(B2 Vm ≫ B3 ). Relazioni sistematiche tra i coefficienti An e Bn si possono ottenere confrontando le
serie (1.13) e (1.14).
1.4
Equazione di stato di van der Waals e stati corrispondenti
L’esempio può semplice e famoso di equazione di stato per gas reali è dato dall’equazione di van der
Waals (vdW)
p=
RT
a
− 2
Vm − b Vm
(1.15)
a e b sono costanti tipiche del gas considerato. La forma dell’equazione di stato vdW è basata su
considerazioni extra-termodinamiche (molecolari). Il comportamento di gas reali si avvicina entro il 5
%, in media, alle condizioni di idealità, in condizioni standard. Le deviazioni osservate sono dovute
alle forme di interazione complessa tra le molecole costituenti il gas. Nel 1873 Johannes van der Waals
postula due motivi principali per le deviazioni dall’idealità:
1. la presenza di un volume proprio occupato dalle molecole del gas, che rende il volume molare
effettivo disponibile alla loro diffusione piú piccolo, con una correzione −b rispetto al valore Vm ,
soprattutto ad alte pressioni. La prima correzione alla legge dei gas perfetti è perciò
Vm → Vm − b
(1.16)
2. la presenza di forze di attrazione molecolari, che rendono la pressione (forza esercitata per unità
di superficie dalle molecole del gas) piú piccola, in modo inversamente proporzionale al volume
molare:
p→p−
a
Vm2
(1.17)
Gas
a (L2 atm mol−2 )
b (L mol−1 )
He
Ne
H2
Ar
O2
N2
CO
CH4
CO2
NH3
0.03412
0.2107
0.2444
1.345
1.360
1.390
1.485
2.253
3.592
4.170
0.02370
0.01709
0.02661
0.03219
0.03803
0.03913
0.03985
0.04278
0.04267
0.03707
Tabella 1.5: Coefficienti di van der Waals
19
1.4. EQUAZIONE DI STATO DI VAN DER WAALS E STATI CORRISPONDENTI
Figura 1.10: Rappresentazione grafica dell’equazione di stato vdW per la CO2 (p contro Vm , T ).
In Fig. (1.10) sono rappresentati gli stati previsti dall’equazione vdW per l’anidride carbonica, con
la presenza dei tipici avvallamenti corrispondenti, in un diagramma di stato reale alle transizioni di
fase. Esistono altre forme piú o meno fenomenologiche di funzioni di stato, accurate ma di difficile
interpretazione, tanto che si possono considerare essenzialmente equazioni empiriche, vedi sottosezione
(1.6.3).
In generale le isoterme calcolate dall’equazione vdW hanno l’andamento visualizzato in Fig. (1.11).
La tipica zona di un isoterma reale a pressione costante che corrisponde al processo di liquefazione
corrisponde alla curva sigmoide di un isoterma vdW, sotto la temperatura critica che si può calcolare
dalla sua definizione matematica (flesso con tangente orizzontale dell’isoterma). In effetti possiamo
facilmente dimostrare che un gas che segue l’equazione vdW ha le seguenti variabili critiche
8a
27bR
a
=
27b2
= 3b
Tc =
pc
Vc
(1.18)
L’importanza delle costanti critiche in un gas reale Tc , pc e Vc sono dovute al fatto, osservato originariamente da van der Waals, che il comportamento di gas diversi diventa molto simile se rappresentato
usando le cosiddette variabili ridotte, Tr = T /Tc , pr = p/pc e Vr = Vm /Vc (principio degli stati corrispondenti): in altri termini, gas diversi con lo stesso volume ridotto, alla stessa temperatura ridotta,
esercitano una pressione ridotta molto simile. La maggior parte delle funzioni di stato adottate per i
gas, se riscritte in termini di grandezze ridotte, assumono infatti una forma ’universale’; per esempio
20
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
Figura 1.11: Rappresentazione schematica delle isoterme di un sistema vdW (p contro Vm per la CO2 ).
l’equazione vdW è espressa come
pr =
1.5
8Tr
3
−
3Vr − 1 Vr2
(1.19)
Coefficienti di compressibilità e di espansione termica
Un gas è un sistema estremamente sensibile a variazioni di pressione e temperatura. La variazione cioè
del volume molare di un sistema gassoso in seguito a variazioni di pressione o temperatura sono ordini
di grandezza piú elevate delle corrispondenti variazioni subite dal volume molare di un sistema liquido
o solido. Tuttavia, tali variazioni esistono, e sono molto importanti soprattutto per le applicazioni
tecnologiche. Definiamo dunque, anche per discussioni future, il coefficiente di compressibilità di un
sistema (monofasico, monocomponente) come


1  ∂Vm 
κ=−
Vm
∂p
(1.20)
T
ed il fattore di espansione termica


1  ∂Vm 
α=
Vm
∂T
(1.21)
p
Si può dimostrare che κ è una grandezza sempre positiva (ogni materiale, sottoposto ad un aumento di
pressione, si comprime). Il fattore di espansione termica può invece essere anche negativo: diminuendo
1.6. APPROFONDIMENTI
21
la temperatura, a pressione costante, un determinato sistema può espandersi, come per esempio l’acqua
tra 0 e 4 ◦ C. Altre grandezze analoghe, come per esempio il coefficiente di variazione della pressione
sono determinabili in funzione di α e κ, come dimostreremo nei Capitoli successivi


1  ∂p 
p ∂T
=
Vm
α
pκ
(1.22)
I valori di grandezze di questo tipo, che esprimono la ’comprimibilità’ di un materiale, sono veramente
molto piccoli per i solidi e i liquidi. Per esempio, per il mercurio liquido α = 1.81 × 10−4 K−1 e
κ = 3.9 × 10−6 atm−1 .
1.6
1.6.1
Approfondimenti
Esistenza della temperatura
Dati tre sistemi 1,2,3 in equilibrio termico fra loro, consideriamo prima di tutto le condizioni di equilibrio
tra 1 e 2 e tra 2 e 3
f12 (X1 , Y1 , X2 , Y2 ) = 0
(1.23)
f23 (X2 , Y2 , X3 , Y3 ) = 0
(1.24)
Se supponiamo che le funzioni che esprimono le condizioni di equilibrio siano abbastanza regolari,
possiamo supporre di ricavare Y2
Y2 = g12 (X1 , Y1 , X2 ) = g23 (X2 , X3 , Y3 )
(1.25)
Per il principio zero deve valere che
f13 (X1 , Y1 , X3 , Y3 ) = 0
(1.26)
le due precedenti equazioni esprimono in realtà la stessa osservazione: il sistema 1 è in equilibrio con il
sistema 3; però la (1.26) non dipende da X2 , quindi g12 e g13 devono dipendere da X2 in modo tale da
poter eliminare X2 ; l’equazione (1.25) deve perciò essere scritta, perché il principio zero sia vero, nella
forma
h1 (X1 , Y1 ) = h3 (X3 , Y3 )
(1.27)
applicando il medesimo ragionamento partendo dalle condizioni di equilibrio di 1 con 3 e di 2 con con
3 si arriva a concludere che esiste anche una funzione h2 (X2 , Y2 ) tale che
h1 (X1 , Y1 ) = h2 (X2 , Y3 ) = h3 (X3 , Y3 )
(1.28)
Possiamo definire come temperatura il valore comune delle funzioni hi , dipendenti ciascuna dalle coordinate termodinamiche di ciascun sistema, separatamente.
22
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
Figura 1.12: Rappresentazione schematica di un termometro a gas a volume costante.
1.6. APPROFONDIMENTI
1.6.2
23
Il termometro a gas
In Fig. (1.12) è rappresentato un termometro a gas a volume costante. Il gas è contenuto nel bulbo,
immerso nel sistema di cui si deve misurare la temperatura (per esempio acqua la punto triplo), in
comunicazione con la colonna di mercurio di sinistra tramite un capillare. Il volume del gas viene
mantenuto costante variando l’altezza della colonna di mercurio di sinistra (il che si ottiene alzando od
abbassando il serbatoio di mercurio) fino a che la superficie del mercurio tocchi la punta di un indice
posto nello spazio sopra la colonna. La differenza in altezza tra le colonne di mercurio a destra e a
sinistra permette di misurare la pressione esercitata dal gas, che è la proprietà termometrica.
Un termometro a gas perfetto non è altro che un termometro a gas che viene impiegato in una serie
di misure ripetute a pressione sempre piú bassa, in maniera tale da avvicinare il sistema all’idealità. La
misura di temperatura è un’estrapolazione a pressione nulla, ed è indipendente dalla natura del gas (dato
che tutti i gas reali, a pressione sufficientemente bassa si comportano idealmente). In pratica si procede
misurando la pressione del gas in contatto con il sistema e con acqua al punto triplo sottraendo ad ogni
nuova misura una certa quantità di gas, e mantenendo il volume sempre costante. La temperatura del
termometro a gas perfetto, che come abbiamo già accennato coincide a tutti gli effetti con la temperatura
universale Kelvin si definisce quindi come
T = 273.16 lim
p3 →0
1.6.3
p
p3
(1.29)
V
Altre equazioni di stato
Le equazioni di stato, valide in un range piú ampio di pressioni e temperature, sono molteplici, ed usate
soprattutto in ambito ingegneristico. Possiamo ricordare le equazioni di Berthelot
p=
a
RT
−
Vm − b T Vm2
(1.30)
e di Dieterici
2
p=
RT e−a/RT Vm
Vm − b
(1.31)
Un esempio con un numero maggiore di parametri liberi è dato dall’equazione di Soave-Redlich-KWong
(SRK)
p=
RT
αa
−
Vm − b Vm (Vm + b)
(1.32)
abbastanza simile all’equazione di Van der Waals, dove le costanti a, b, α sono espresse in funzione
delle grandezze critiche e di un parametro molecolare ω, a = 0.42747R2 Tc2 /pc , b = 0.08664RTc /pc ,
p
α = [1 + m(1 − T /Tc )]2 , m = 0.48508 + 1.5517ω − 0.15651ω 2 . Un altro esempio è dato dall’equazione
di Benedict-Webb-Rubin (BWR) che ha la forma di una pseudo-equazione del viriale rispetto al volume
molare arrestata al quinto termine
A0
C0
Z = 1 + B0 −
−
RT
RT 3
2
ce−γ/Vm
1
a
+
+ b−
Vm
RT
RT 3
!
1
+
Vm2
2
cγe−γ/Vm
RT 3
!
1
αa 1
+
4
Vm RT Vm5
(1.33)
L’equazione BWR è molto accurata, ma dipende da ben 8 coefficienti che devono essere determinati ad
hoc per il gas in esame.
24
CAPITOLO 1. FUNZIONI DI STATO E PROPRIETÀ VOLUMETRICHE
Capitolo 2
I Principio della termodinamica
In questo Capitolo ci occuperemo dei seguenti problemi: come si misura il contenuto energetico di
un sistema termodinamico? Come si traduce il principio fondamentale della conservazione dell’energia
in un linguaggio termodinamico? Come si applica il principio di conservazione dell’energia ai sistemi
termodinamici in generale, ed in particolare ai sistemi termochimici? Strada facendo, dovremo necessariamente discutere alcuni concetti fondamentali come la definizione di lavoro, calore, energia interna
di un sistema e l’idea stessa di trasformazione di un sistema.
2.1
Energia e trasformazioni
Un sistema compie un lavoro quando provoca un cambiamento nell’ambiente, contro una forza esterna.
In generale la termodinamica si occupa solo del lavoro che un sistema compie sull’ambiente, o che
l’ambiente compie sul sistema, e non considera problemi relativi al lavoro interno, cioè compiuti da un
parte del sistema rispetto ad un’altra: anzi il concetto stesso di parte di un sistema è ridondante, ed è
preferibile parlare di più sistemi (chiusi o aperti) che interagiscono.
La capacità di compiere un lavoro è invece l’energia di un sistema: quando si compie un lavoro su
un sistema si modifica l’energia del sistema. Definiamo d’ora in avanti il contenuto energetico totale
di un sistema come la sua energia interna U . Da un punto di vista microscopico, possiamo identificare
l’energia interna di un sistema come la somma dell’energia cinetica e potenziale di tutte le molecole
componenti il sistema1 . Da un punto di vista puramente termodinamico (macroscopico) affermiamo
semplicemente che
L’energia interna U di un sistema è una funzione di stato che misura il suo contenuto
energetico complessivo
Si noti che nella definizione precedente è fondamentale l’affermazione che l’energia interna è una funzione
di stato. Evidentemente U è una funzione estensiva; l’unità di misura SI è il joule (J), pari ad 1 kg m2
s−2 .
Come vedremo meglio piú avanti, un cambiamento di energia di un sistema, tuttavia, può anche
avvenire senza che del lavoro sia fatto sul o compiuto dal sistema: in questo caso parliamo di scambio
1
meno l’energia cinetica traslazionale del baricentro del sistema e l’energia cinetica rotazionale rispetto al agli assi
principali
25
26
CAPITOLO 2. I PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
di calore, un nuovo concetto non-meccanico, cioè non riconducibile come il lavoro al risultato di uno
spostamento meccanico o di un suo equivalente e di una forza meccanica o di un suo equivalente. È
intuitivo a questo punto utilizzare la precedente definizione di parete diatermica (cfr. Cap. 1): diremo
che un sistema racchiuso da un confine diatermico può modificare il suo contenuto energetico scambiando
calore con il resto dell’ambiente, mentre un sistema racchiuso da un confine adiabatico può modificare
il suo contenuto energetico solo compiendo o subendo un lavoro.
Consideriamo un sistema in equilibrio termodinamico, descritto da un insieme di coordinate termodinamiche o funzioni di stato. Il passaggio del sistema da uno stato termodinamico iniziale i, cioè
da un insieme di valori delle sue coordinate termodinamiche, ad un altro stato finale f è una trasformazione. Di solito, il passaggio del sistema da i ad f avviene insieme o come conseguenza di una modifica
dell’ambiente circostante (che definiremo nel seguito semplicemente universo).
Possiamo immediatamente distinguere due tipi di trasformazioni
trasformazioni reversibili: parliamo di una trasformazione reversibile da uno stato i ad uno stato
f se sia il sistema che l’universo possono essere riportati al loro stato iniziale; se cioè è possibile
invertire la trasformazione riportando sia il sistema che l’universo al loro stato di partenza, senza
modifiche rispetto allo stato iniziale
trasformazioni irreversibili: parliamo di una trasformazione irreversibile da uno stato i ad uno
stato f se sia il sistema che l’universo non possono essere riportati al loro stato iniziale; se cioè
non è possibile invertire la trasformazione riportando sia il sistema che l’universo al loro stato di
partenza, senza introdurre modifiche rispetto allo stato iniziale.
Le trasformazioni che avvengono in natura, come vedremo in seguito, possono essere solo irreversibili.
Tuttavia il concetto ideale di trasformazione reversibile ci sarà molto utile per la definizione di una serie
di grandezze fondamentali e delle loro proprietà.
Si deve notare come le coordinate termodinamiche di un sistema siano definite solo quando il sistema
è in uno stato di equilibrio. In seguito all’applicazione di forze esterne non equilibrate dal sistema stesso,
il sistema esce dall’equilibrio e subisce una trasformazione. Se si volesse descrivere il sistema con delle
funzioni di stato durante una trasformazione, la trasformazione dovrebbe avvenire sotto l’influenza di
forze esterne equilibrate esattamente da forze interne, cioè non dovrebbe avvenire una trasformazione!
Si tratta evidentemente di una contraddizione che può essere superata pensando alla presenza di forze
esterne infinitesime, che provocano cambiamenti infinitesimi. Questa trasformazione ideale, risultato di
una successione di cambiamenti infinitesimi, si dice trasformazione quasistatica
trasformazione quasistatica una trasformazione quasistatica è una trasformazione che avviene sotto
l’influenza di forze esterne infinitesime, in maniera tale che il sistema passa dallo stato i allo stato
f per una successione di stati di equilibrio
In pratica, durante una trasformazione quasistatica, si assume che il sistema sia in ogni istante infinitamente prossimo ad uno stato di equilibrio termodinamico.
27
2.2. LAVORO
2.2
Lavoro
In generale, definiamo il lavoro come il prodotto di uno spostamento generalizzato per una forza generalizzata. L’esempio piú utile e semplice che possiamo immaginare è quello di una gas, racchiuso in
una camera con un pistone mobile su cui sia applicata dalla’esterno una pressione pex . Immaginiamo
di compiere una trasformazione in cui il sistema passa da un volume Vi ad un volume Vf . Il lavoro
meccanico compiuto dal sistema è definito allora come
w=−
Z
Vf
Vi
pex dV
(2.1)
Se il sistema si espande liberamente in assenza di una pressione esterna, pex = 0 ed il lavoro è di
conseguenza nullo; se la pressione esterna è costante, il lavoro è evidentemente w = −pex (Vf − Vi ). Se
infine l’espansione è quasistatica, la pressione esterna è in ogni istante uguale alla pressione del sistema
da cui segue che
w=−
Z
Vf
pdV
(2.2)
Vi
Tuttavia, oltre al lavoro meccanico, possiamo definire altri tipi di lavoro, che coinvolgono ’spostamenti’
e forze non riconducibili a variazioni nella forma o nel volume del sistema. Nella Tabella sono riportati
alcuni esempi in cui un lavoro infinitesimale viene espresso in termini di una forza e di un differenziale
di spostamento generalizzati
Sistema
Sistema idrostatico
Filo
Pellicola
Cella reversibile
Solido magnetico
Forza
pressione p (atm)
forza F (N)
tensione superficiale S (N/m)
forza elettromotrice E (V)
intensità magnetica H (A/m)
Spostamento
(m3 )
volume V
lunghezza L (m)
area A (m2 )
carica Q (C)
momento magnetico M (Am2 )
Lavoro infinitesimo
−pdV
FdL
SdA
EdQ
HdM
Tabella 2.1: Esempi di lavoro
2.3
Calore e I principio
L’osservazione sperimentale ci informa che è possibile modificare il contenuto energetico di un sistema
senza compiere un lavoro sul sistema stesso. Definiamo con il termine di calore Q la variazione di energia
interna di un sistema che avvenga senza che una lavoro sia fatto sul o eseguito dal sistema stesso. Una
trasformazione in cui il sistema perde calore si dice esotermica, mentre se il sistema acquista calore
parliamo di trasformazione endotermica.
In un bilancio del contenuto energetico di un sistema si devono quindi tener conto delle perdite e
degli acquisti che avvengono mediante assorbimento o dispersione di calore oppure mediante un lavoro
fatto od subito dal sistema. È intuitivo assumere, ed è perciò stabilito come assioma fondante nella
nostra descrizione della realtà, che la variazione dell’energia interna di un sistema sia nulla in assenza
di calore o lavoro scambiati. Siamo perciò giunti ad affermare il principio di conservazione dell’energia,
o primo principio della termodinamica
28
CAPITOLO 2. I PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
La variazione di energia interna di un sistema è pari alla somma del lavoro ed del calore
scambiati dal sistema
∆U = Uf − Ui = q + w
(2.3)
Si noti che: una quantità di calore positiva significa calore assorbito dal sistema (il sistema acquista
energia, trasformazione endotermica ); una quantità di calore negativa significa calore ceduto dal sistema
(il sistema perde energia, trasformazione esotermica); una quantità di lavoro positiva significa lavoro
fatto sul sistema (il sistema acquista energia); una quantità di lavoro negativa significa lavoro fatto dal
sistema (il sistema perde energia).
Il primo principio descritto dall’equazione (2.3) è dato in forma integrale. Si noti che a primo
membro compare la differenza di valori di una funzione di stato, l’energia interna interna U , mentre
a secondo membro compaiono due quantità (calore e lavoro) che non sono funzioni di stato: in altri
termini è possibile passare dallo iniziale allo stato finale in un numero infinito di modi, corrispondenti
a tutte le possibili coppie (q, w). Per una trasformazione infinitesima possiamo scrivere
dU = dq + dw
(2.4)
e ancora una volta il significato matematico del primo e del secondo membro è diverso: dU è un differenziale esatto esprimibile cioè come il differenziale di una funzione U ; dq e dw sono forme differenziali,
che devono essere specificate conoscendo la variazione di calore e lavoro imposte al sistema.
A volte è utile distinguere il lavoro meccanico, o ’di espansione’ - nullo a volume costante, poiché
nel seguito faremo riferimento ad un sistema idrostatico, descritto cioè da una coordinata estensiva di
volume - dal lavoro non meccanico; si scrive perciò
dU = dq + dwexp + dwe
(2.5)
dove con dwe indichiamo il lavoro infinitesimo non di volume.
2.4
Fenomeni dissipativi
Un’osservazione ovvia che si può fare a proposito delle trasformazioni che coinvolgono i sistemi termodinamici è che in molti casi comportano un cambiamento dell’energia interna mediante conversione di
lavoro (meccanico e non). Queste trasformazioni possono per esempio avvenire mediante
1. il moto turbolento di agitazione di un liquido
2. il passaggio di elettricità attraverso un resistore
3. l’isteresi magnetica di un materiale
I fenomeni quali la viscosità, gli attriti, la resistenza elettrica, l’isteresi magnetica in cui del lavoro (cioè
una forma di energia ’ordinata’ che può essere descritta in termini di uno spostamento macroscopico)
viene dissipato si dicono fenomeni dissipativi. La loro esistenza è caratteristica dei sistemi reali ed è
in ultima analisi giustificabile o descrivibile ricorrendo a descrizioni statistiche e microscopiche. In ambito termodinamico però la loro descrizione è assunta a priori ed i loro effetti sono comunque misurabili.
2.5. CALORIMETRIA A VOLUME COSTANTE
29
Figura 2.1: Schema dell’esperimento di Joule
In effetti, proprio ricorrendo alla presenza dell’effetto dissipativo che si crea quando un moto meccanico
turbolento viene provocato in un fluido viscoso, Joule nel 1849 fu in grado di dimostrare che il calore
ed il lavoro sono forme di energia, evidenziando come l’aumento di temperatura di un sistema adiabaticamente isolato sia sempre proporzionale alla quantità di lavoro effettuata su di esso. Evidentemente
l’esperimento di Joule è oggigiorno perfettamente comprensibile dal punto di vista del primo principio.
Poiché il sistema è adiabaticamente isolato, la sua variazione di energia interna infinitesima è dovuta
solo al lavoro effettuato
dU = dwad
(2.6)
Il lavoro adiabatico wad o lavoro compiuto in condizioni adiabatiche, è dunque lo stesso per una data
coppia di stati iniziale e finale, poiché è uguale alla variazione di una funzione di stato, l’energia interna.
2.5
Calorimetria a volume costante
Un sistema idrostatico in cui il lavoro sia nullo deve corrispondere ad un sistema che non subisce
variazioni di volume, e che non sia soggetto a lavoro non di volume. Vale perciò che
dU = (dq)V cost
dwe = 0
(2.7)
o in forma integrale ∆U = qV . Per un sistema monofasico chiuso l’energia interna può essere espressa
come una funzione delle coordinate termodinamiche indipendenti T e V del sistema; la variazione di U
con la temperatura a volume costante, detta capacità termica a volume costante è perciò definita come

CV = 
∂U
∂T


(2.8)
V
Vedremo meglio le relazioni differenziali tra grandezze termodinamiche nei Capitoli successivi. Condizioni di questo tipo si verificano in un calorimetro adiabatico in cui il sistema sia mantenuto a volume
30
CAPITOLO 2. I PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Figura 2.2: Apparecchiatura usata da Joule nel 1849
2.6. ENTALPIA E CALORIMETRIA A PRESSIONE COSTANTE
31
costante (bomba calorimetrica). Un calorimetro è sostanzialmente un contenitore termicamente isolato, al cui interno è posto un fluido (per esempio acqua) oltre ad un termometro, un agitatore (per
mantenere omogeneo il fluido) e la bomba calorimetrica che contiene il campione di cui si devono misurare le proprietà termiche. Se il campione subisce una variazione di calore (per esempio una reazione
chimica esotermica od endotermica), il fluido subisce a sua volta una variazione di energia interna che
dipende dalla capacità termica del sistema complessivo, parametri meccanici etc. In generale si parla
di costante calorimetrica che correla il calore scambiato dalla bomba con la variazione di temperatura
misurata q = C∆T . In Fig. (2.3) è riportato un semplice schema di calorimetro, usato in esperienze di
termochimica (misura del calore sviluppato nel corso di reazioni chimiche, vedi oltre). In Fig. (2.4) è
rappresentato uno dei primi ’calorimetri’, impiegato da Lavoisier e Laplace, basato sulla misura della
quantità di ghiaccio disciolto in seguito all’assorbimento di una determinata quantità di calore.
2.6
Entalpia e calorimetria a pressione costante
Per una sistema idrostatico definiamo l’entalpia come primo esempio di funzione di stato derivata
dall’energia interna mediante l’espressione
H = U + pV
(2.9)
Il significato dell’entalpia, che è una funzione estensiva, naturalmente con le dimensioni di un’energia, è
dovuto al suo comportamento a pressione costante, che è analogo a quello dell’energia interna a volume
costante. Una variazione infinitesima dell’entalpia è infatti riconducibile al calore scambiato
dH = dqpcost
dwe = 0
(2.10)
Infatti per una variazione infinitesima di entalpia abbiamo in generale
dH = dU + d(pV ) = dU + pdV + V dp = dq + dwexp + dwe + pdV + V dp
(2.11)
Considerando una trasformazione quasistatica possiamo scrivere dwexp = −pdV e assumendo l’assenza
di lavoro di volume dwe = 0; quindi
dH = dq + V dp
(2.12)
se la pressione si mantiene costante, dp = 0, si ottiene la (2.10). Possiamo ora definire la capacità
termica a pressione costante, con l’analoga della (2.8). Per un sistema monofasico chiuso

Cp = 
∂H
∂T


(2.13)
p
Le capacità termiche CV e Cp sono grandezze estensive; possiamo definire delle corrispondenti grandezze
intensive, le capacità termiche molari CV,m = CV /n e Cp,m = Cp /n dividendole per il numero di moli
di sostanza che compongono il sistema. L’unità di misura è naturalmente J K−1 mol−1 . Per inciso,
data una grandezza estensiva X misurata per n moli di una sostanza avente massa molecolare M
32
CAPITOLO 2. I PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Figura 2.3: Schema di calorimetro
2.6. ENTALPIA E CALORIMETRIA A PRESSIONE COSTANTE
Figura 2.4: Calorimetro di Lavoisier-Laplace (1782)
33
34
CAPITOLO 2. I PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
definiamo la grandezza intensiva molare come Xm = X/n e la grandezza intensiva specifica come
Xs = X/M n = Xm /M 2 .
Come molte grandezze termodinamiche, è importante conoscere nelle applicazioni sperimentali le
leggi di variazione delle capacità termiche (e dunque dell’entalpia e dell’energia interna) di un sistema
con la temperatura. Un’espressione fenomenologica convenzionale è la seguente
Cp,m = a + bT +
c
T2
(2.14)
dove i coefficienti a,b e c sono caratteristici del sistema considerato e si assumono costanti rispetto alla
temperatura. La conseguente variazione calcolata di entalpia per una mole di una sostanza (entalpia
molare) per una variazione finita di temperatura da Ti a Tf si ottiene semplicemente integrando la
precedente espressione. Indicando con Hm l’entalpia molare otteniamo
∆Hm = Hm,f − Hm,i =
Z
Tf
Ti
c
dT a + bT + 2
T
1
1
1
−
= a(Tf − Ti ) + b(Tf2 − Ti2 ) − c
2
Tf
Ti
!
(2.15)
Le capacità termiche misurano sostanzialmente la possibilità di assorbire calore di un sistema: se la
capacità è grande, la variazione di temperatura in seguito allassorbimento di calore è piccola; se la
capacità è piccola, la variazione di temperatura è grande. I termostati sono sistemi dalla capacità
termica idealmente infinita, che si mantengono perciò a temperatura costante.
Le unità di misura di calore/energia/lavoro sono ancora oggi numerose, ed è opportuno tenere a
mente le loro definizioni e relazioni. L’unità di misura SI è naturalmente il joule (J), pari ad 1 N
m, ed è l’unità comune di misura del lavoro come del calore, che in realtà non sono altro che forme
interscambiabili di energia, come è dimostrato dalle esperienze di Joule. Tuttavia, fino ai primi due
decenni del secolo XX, quando l’equivalenza calore-lavoro non era del tutto chiara, si impiegò la caloria
come l’unità di misura del calore, definita come la quantità di calore necessaria per aumentare la
temperatura di un grammo di acqua da 14.5 a 15.5 ◦ C. Il lavoro (meccanico od elettrico) necessario per
far passare lo stesso grammo di acqua da 14.5 a 15.5 ◦ C, misurato nel corso dell’esperienza di Joule,
risultò essere pari a 4.1860 J, da cui segue la definizione dell’equivalente meccanico del calore, pari a
4.1860 J/cal, come la costante di conversione tra unità di lavoro e calore. Si noti che le definizioni di
caloria successivamente adottata furono comunque due: la caloria IT (International Tables) pari 4.1868
J e la caloria termochimica pari a 4.1840 J.
La misura dell’equivalente meccanico del calore è, modernamente intesa, nient’altro che la misura
della capacità termica specifica (in unità cgs) dell’acqua nell’intervallo 14.5-15.5 ◦ C. Al giorno d’oggi
l’uso della caloria, un tempo molto comune tra i fisici e i chimici, va scomparendo a favore del joule,
in accordo con la tendenza ormai universalmente accettata di impiegare solamente unità di misura del
Sistema Internazionale.
2
Di solito in letteratura una grandezza specifica è riferita ad un unità di massa di un grammo; nel seguito parleremo di
grandezza specifica in senso generico, come ’grandezza per unità di massa’ (che nel SI è il chilogrammo)
Capitolo 3
II Principio della termodinamica
Nel Capitolo precedente abbiamo enunciato e discusso un principio fondamentale, che mette in relazione
la variazione dell’energia interna di un sistema con il calore ed il lavoro scambiati. In effetti possiamo
enunciare il primo principio semplicemente nella forma
L’energia interna di un sistema isolato si conserva
Da un punto di vista leggermente diverso, il primo principio è un’affermazione che limita la produzione
di lavoro o l’emissione di calore: un sistema non può compiere piú lavoro, o liberare piú calore, di quanta
energia interna possieda. Una macchina, cioè un dispositivo che trasformi energia in lavoro, in grado
di generare piú lavoro della sua energia interna è impossibile, e si parla in questo caso di macchina del
moto perpetuo di prima specie. Quindi un’altra possibile affermazione del primo principio è
È impossibile costruire una macchina del moto perpetuo di prima specie
Il primo principio è un assioma: viene cioè assunto come tale, senza dimostrazione alcuna o riduzione
a principi fondamentali. In altri termini, è la generalizzazione di una serie di osservazioni sperimentali:
se si vuole, si può anche non credere al fatto che l’energia interna si conserva. Le conseguenze sono
interessanti ed aprono la strada a varie forme di magia, tecniche pranoterapeutiche, telecinesi, poltergeist
ed improbabili ma affascinanti macchine del moto perpetuo come quella riportata in Fig. (3.1). Se il
primo principio stabilisce un criterio per decidere se una trasformazione è possibile, non esaurisce però
i limiti che sperimentalmente sono osservati per tutte le trasformazioni che avvengono in natura. È
cioè noto dall’osservazione sperimentale che non tutte le trasformazioni possibili (che cioè non violano
la conservazione dell’energia) avvengono realmente, sono cioè trasformazioni naturali. Dobbiamo perciò
preoccuparci di
1. chiarire, in base alla nostra conoscenza sperimentale, quali sono le trasformazioni effettivamente
realizzabili, o naturali
2. definire in modo preciso ed esaustivo le trasformazioni naturali
3. descrivere, se esiste, una coordinata termodinamica che ci permetta di decidere subito se una
trasformazione verifica il criterio di realizzabilità
35
36
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Figura 3.1: Macchina del moto perpetuo di I specie
3.1. ENTROPIA E II PRINCIPIO
37
4. dedurre le conseguenze che un criterio di realizzabilità delle trasformazioni possibili ha sulle trasformazioni che ci interessano maggiormente, quali le trasformazioni di fase e le reazioni chimiche
Anche se non lo scriveremo sempre in modo esplicito, tutte le considerazioni che seguono sono riferite
a sistemi chiusi, se non è altrimenti specificato.
3.1
Entropia e II principio
L’esperienza quotidiana ci insegna che molte trasformazioni possibili non avvengono realmente. Per esempio: non è possibile che un dispositivo come quello impiegato da Joule per convertire lavoro meccanico
in calore, operi in maniera esattamente opposta, cioè trasformi una certa quantità di calore totalmente in
lavoro, a meno di non usare qualche dispositivo aggiuntivo che causa qualche cambiamento nell’ambiente
esterno. Oppure: se in un pallone mescoliamo idrogeno ed ossigeno, e provochiamo la reazione di sintesi dell’acqua, non è possibile, senza un intervento esterno, che dall’acqua si riformino l’idrogeno e
l’ossigeno molecolari. O ancora, possiamo liberare anidride solforosa nell’aria, ma non possiamo osservare l’accumulo spontaneo di anidride solforosa in una camera di contenimento aperta all’aria. Le
parole chiave nelle precedenti affermazioni sono ”esattamente”, ”senza un intervento esterno”, ”spontaneo” etc. Si tratta infatti di 1) trasformazioni inverse rispetto ad una data trasformazione che sappiamo
avvenire in natura; 2) si tratta di trasformazioni possibili, cioè che non violano il primo principio; 3)
eppure queste trasformazioni non avvengono in natura. A questo punto possiamo affermare che le
trasformazioni naturali sono irreversibili o in altri termini che non è possibile trovare in natura
una trasformazione che sia reversibile, tale cioè che il sistema e l’ambiente possano essere ricondotti
esattamente al loro stato iniziale. Le trasformazioni reversibili in natura non esistono: possono essere
però concepite come trasformazioni ideali, analogamente ai concetti di punto materiale o corpo rigido in
meccanica classica. Possiamo comunque senz’altro definire le proprietà delle trasformazioni reversibili,
che vengono a costituire un limite ideale a cui le trasformazioni naturali devono sottostare.
È abbastanza chiaro che l’affermazione di irreversibilità di un fenomeno naturale deve tener conto
del fatto che è riferita a sistemi isolati. È infatti facile immaginare trasformazioni naturali che invertono
le condizioni dei sistemi sopra considerati: ma solo in condizioni di non-isolamento, cioè solo al prezzo
di qualche modifica aggiuntiva che deve essere effettuata nell’ambiente esterno. Possiamo scindere
l’acqua in ossigeno ed idrogeno per elettrolisi, ma per farlo dobbiamo cambiare lo stato di una pila e
degli elettrodi metallici che utilizziamo nel processo. E possiamo depurare un certo volume d’aria da
un contenuto eccessivo di anidride solforosa, per esempio facendola passare attraverso dei filtri, ma in
questo modo consumiamo i filtri e compiamo un lavoro per pompare l’aria nel depuratore.
Ora che siamo in grado di descrivere in modo piú o meno completo le trasformazioni naturali,
dobbiamo cercare di definirne la caratteristica comune. Questo è precisamente lo scopo del secondo
principio della termodinamica, che ha molte possibili formulazioni (tutte comunque equivalenti).
Basandoci sostanzialmente su una presentazione tradizionale, affermiamo che
Non è possibile una trasformazione che comporti solamente l’assorbimento di una certa
quantità di calore da un termostato e la sua completa conversione in lavoro
38
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Dalla formulazione del secondo principio possiamo ora dedurre una serie di conseguenze fondamentali,
che sono sostanzialmente formulazioni alternative del secondo principio stesso, e che ci permetteranno
in seguito di definire una funzione che caratterizza le trasformazioni irreversibili in modo preciso:
enunciato di Carnot in un sistema che esegua un ciclo (trasformazione chiusa) reversibile scambiando
calore q1 con un termostato alla temperatura θ1 e q2 con un termostato alla temperatura θ2 , il
rapporto q1 /q2 dipende solo da θ1 e θ2
|q1 |
= f (θ1 , θ2 )
|q2 |
(3.1)
si noti che usiamo il simbolo θ generico per la temperatura, dato che l’enunciato di Clausius non
dipende dalla definizione di temperatura.
enunciato di Kelvin Il rapporto |q1 |/|q2 | è
|q1 |
T1
=
|q2 |
T2
(3.2)
dove T1 , T2 sono le temperature assolute dei due termostati, che coincidono con la temperatura
del gas perfetto come affermato in precedenza.
enunciato di Clausius La funzione, definita dalla relazione
dS =
dqrev
T
(3.3)
detta entropia (dal greco ǫντ ρoπια, trasformazione) è una funzione di stato, cioè
I
dS = 0
(3.4)
La variazione di entropia di un sistema isolato che subisca una trasformazione è sempre positiva
per una trasformazione naturale, mentre è nulla per una trasformazione reversibile:
∆Siso ≥ 0
(3.5)
ed il segno di uguaglianza vale solo per una trasformazione reversibile. In una trasformazione
infinitesima, per un sistema chiuso generico si dimostra inoltre che
dS ≥
dq
T
(3.6)
dove dq è il calore scambiato con l’ambiente: questa è la famosa diseguaglianza di Clausius.
È importante capire che le varie affermazioni di Carnot, Clausius, Kelvin sono collegate ed equivalenti.
Possiamo per esempio introdurre il secondo principio partendo dalla affermazione di esistenza di entropia come una funzione caratteristica di un sistema isolato sempre crescente in una trasformazione
spontanea, definendone poi la natura - previa definizione della temperatura assoluta - e dimostrandone
la caratteristica di funzione di stato, usando le proprietà di un ciclo reversibile a due temperature, ed
infine dimostrare come conseguenza la diseguaglianza di Clausius. La presentazione assiomatica è
perciò
39
3.2. MACCHINE TERMICHE
Esistenza dell’entropia Per ogni sistema esiste una funzione S, l’entropia. Se il sistema è isolato
l’entropia aumenta sempre quando avviene una trasformazione naturale
∆Siso ≥ 0
(3.7)
Definizione dell’entropia L’entropia di un sistema è definita dal calore scambiato in una trasformazione reversibile
dqrev
→ ∆S =
dS =
T
Z
i
f
dqrev
T
(3.8)
dove T è la temperatura assoluta.
Proprietà dell’entropia L’entropia è una funzione di stato
I
dS = 0
(3.9)
L’entropia verifica la diseguaglianza di Clausius
dS ≥
dq
T
(3.10)
A parte l’enfasi sul metodo di presentazione assiomatica o tradizionale, è utile ricordare il ruolo dei gas
perfetti nella dimostrazione dei vari enunciati del secondo principio. In linea di principio si può infatti
evitare il ricorso alle proprietà di questi sistemi specifici, che peraltro permettono di semplificare molte
deduzioni. In ogni caso, è determinante il ruolo delle macchine termiche basate su sistemi idrostatici,
cioè trasformazioni cicliche che producono lavoro di volume assorbendo e liberando calore. Si può
anche rinunciare completamente al riferimento alle macchine termiche e ricorrere ad una presentazione
puramente matematica, secondo il metodo di Caratheodory basato sulle proprietà dei differenziali lineari.
3.2
Macchine termiche
Allo scopo di dedurre i vari enunciati a partire dalla proposizione principale di affermazione del secondo
principio, consideriamo un sistema chiuso idrostatico (che cioè sia descritto da una pressione p ed
un volume V : in pratica, un gas racchiuso in un contenitore) che operi reversibilmente secondo il
ciclo di Carnot, costituito da due trasformazioni isoterme (AB e CD in Fig. (3.2)) a temperature
empiriche θ1 < θ2 e due trasformazioni adiabatiche (AD e BC). Si può dimostrare, grazie al primo
principio, che il ciclo di Carnot ha l’aspetto riportato in Fig. (3.2), cioè che le due adiabatiche non
possono intersecarsi, che un’isoterma ed un’adiabatica possono intersecarsi una sola volta etc. Il sistema
opera quindi scambiando un calore q1 con un termostato a temperatura θ1 e q2 con un termostato a
temperatura θ2 . Il lavoro compiuto dal o fatto sul sistema è pari all’area racchiusa dal ciclo. Si noti,
ora e nel seguito, che un termostato è un sistema che assorbe o cede calore senza subire variazioni di
volume, avente cioè capacità termica a volume costante nulla; per un termostato, ogni assorbimento o
cessione di calore coincide con una variazione della sua energia interna. Alternativamente, si sarebbe
potuto considerare un termostato a pressione costante, ed in questo caso lo scambio di calore sarebbe
coinciso con una variazione di entalpia.
Tornando al ciclo di Carnot, possiamo verificare che q1 q2 < 0, cioè che
40
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Figura 3.2: Ciclo di Carnot
41
3.2. MACCHINE TERMICHE
se il sistema cede calore al termostato 1, ne assorbe dal termostato 2 o viceversa.
Se cosı́ non fosse, potremmo fare avvenire il ciclo una volta nel verso in cui entrambi i calori sono positivi,
poi porre in contatto i due termostati in modo che il termostato piú caldo ceda calore in quantità
sufficiente al termostato piú freddo in misura esattamente pari al calore precedentemente ceduto dal
termostato freddo al corpo: il risultato sarebbe una trasformazione completa di una certa quantità
di calore in lavoro, senza alcuna modifica ulteriore dell’universo. Questo contraddice l’enunciato del
secondo principio. Con un analogo ragionamento si può dimostrare che
q2 > 0 e q1 > 0 se il ciclo avviene in senso orario.
Con un pò piú di difficoltà, ma sempre basandoci esclusivamente sull’enunciazione originaria del secondo
principio, dimostriamo anche che per il ciclo di Carnot vale l’enunciato di Carnot, cioè che
il rapporto tra q1 e q2 dipende solo dalle temperature dei termostati.
Definiamo a questo scopo il rapporto di conversione (o efficienza) del ciclo come
ǫ=
lavoro netto
|w|
q1 + q2
q1
=
=
=1+
calore assorbito
q2
q2
q2
(3.11)
dove l’ultima uguaglianza deriva dal primo principio (n.b. q1 < 0). Possiamo ora dimostrare che
l’efficienza di due cicli reversibili che operino tra due riserve termiche con le stesse temperature, indipendentemente dalla loro composizione, forma etc. è la stessa, e di conseguenza dipende solo dalle
caratteristiche dei termostati, cioè da θ1 e θ2 . Infatti supponiamo di avere due macchine termiche A e
B entrambe operanti tra i due termostati, Fig. (3.3). Possiamo immaginare che A sia piú efficiente di
B: produca cioè piú lavoro di quanto ne produca B, a parità di calore assorbito. Possiamo allora fare
funzionare B in modo inverso, da frigorifero, cioè in modo tale che assorba calore dal termostato piú
freddo e ne ceda al piú caldo, e A in modo diretto. Poiché A è piú efficiente il risultato finale di un ciclo
completo delle due macchine è la trasformazione completa di calore in lavoro senza alcuna modifica dei
sistemi. Questo contraddice il secondo principio e quindi i due sistemi devono avere la stessa efficienza,
cioè lo stesso rapporto q1 /q2 . A questo punto, possiamo considerare il calore scambiato come una proprietà termometrica. Supponiamo di avere tre isoterme θ1 < θ2 < θ3 e tre cicli che operino fra esse,
Fig. (3.4). Ne consegue che i rapporti tra i valori assoluti dei calori scambiati possono essere scritti in
funzione di un’unica funzione a due variabili f (θi , θj )
|q1 |
= f (θ1 , θ2 )
|q2 |
|q2 |
= f (θ2 , θ3 )
|q3 |
|q1 |
= f (θ1 , θ3 )
|q3 |
(3.12)
da cui consegue necessariamente che
f (θ1 , θ2 ) =
f (θ1 , θ3 )
f (θ2 , θ3 )
(3.13)
che è compatibile solo con f (θi , θj ) = T (θi )/T (θj ) dove T (θ) è una funzione ad una variabile. Deve
valere che
|q3 | > |q2 | > |q1 |
(3.14)
42
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Figura 3.3: Macchine termiche accoppiate
43
3.2. MACCHINE TERMICHE
Figura 3.4: Temperatura assoluta
44
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
dato che la quantità di calore prelevata dal termostato piú caldo in un ciclo deve sempre essere maggiore
del calore ceduto a quello piú freddo, per verificare il secondo principio. Ne consegue che
T (θ3 ) > T (θ2 ) > T (θ1 )
(3.15)
quindi T (θ) è una temperatura; adottando la convenzione di Kelvin (T = 273.16 come temperatura del
punto triplo dell’acqua), abbiamo la temperatura assoluta o termodinamica, che è definita in base alle
proprietà di un ciclo reversibile e non di un particolare sistema. Si può verificare che è identica alla
temperatura di un termometro a gas perfetto.
Siamo perciò giunti alla conclusione che l’enunciato di Kelvin è vero, ed abbiamo introdotto la
temperatura assoluta. Consideriamo ora le proprietà della funzione entropia, il cui differenziale dS è
definito come, ricordiamo
dS =
dqrev
T
(3.16)
dove dqrev è il calore scambiato da un sistema in una trasformazione reversibile infinitesima alla temperatura assoluta T . Vogliamo verificare se S è una funzione di stato, cioè se per un qualunque ciclo
reversibile
I
dS = 0
(3.17)
Analizziamo prima un ciclo di Carnot. Si ha che
I
dS =
I
dS +
AB
I
BC
dS +
I
CD
dS +
I
DA
dS =
q1
q2
+0+
+0
T1
T2
(3.18)
le due adiabatiche danno infatti contributo nullo (nessun calore scambiato per definizione), mentre le
due isoterme avvengono (reversibilmente) a temperatura costante. Tenendo conto dei segni discordi di
q1 e q2
T1
q1
=−
q2
T2
(3.19)
H
da cui segue che per un ciclo di Carnot effettivamente dS = 0. Ma ogni ciclo reversibile può essere
approssimato con una precisione arbitraria ad un insieme di cicli di Carnot, Fig. (3.5). Dato un ciclo
generico, possiamo sovrapporgli un reticolo di cicli di Carnot C0 , C1 etc. che insieme formano un ciclo
a zig-zag che si sovrappone al ciclo in esame. Per ogni ciclo di Carnot si ha che
δqi δqi+1
+
=0
Ti
Ti+1
(3.20)
mentre per il ciclo ottenuto sommando il perimetro esterno dei cicli di Carnot si verifica subito che
X δqi
i
Ti
=0
(3.21)
e passando al limite di un numero infinito di cicli di Carnot con le adiabatiche separate da una distanza
infinitesima, il ciclo a zig-zag coincide con il ciclo reversibile generico, per il quale vale che
I
dqrev
=
T
I
dS = 0
(3.22)
45
3.2. MACCHINE TERMICHE
Figura 3.5: Ciclo reversibile generico
46
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
L’entropia è una funzione di stato, in quanto dal fatto che il suo integrale di linea si annulla per un ciclo
possiamo subito concludere che una sua variazione per una trasformazione tra due stati dipende solo
dai due stati e non dal cammino percorso. L’entropia è una coordinata estensiva, e le sue dimensioni
nel sistema SI sono quelle di un energia divisa per una temperatura, JK−1 .
Siamo ora in grado di concludere l’esposizione delle proprietà dell’entropia dimostrando la diseguaglianza di Clausius, che permette di stabilire un limite alla variazione dell’entropia di un sistema.
Consideriamo un sistema racchiuso in un contenitore adiabatico, che subisca una trasformazione spontanea da uno stato A ad uno stato B. Per definizione, una trasformazione spontanea è una trasformazione
non reversibile. Possiamo riportare però il sistema da B ad A, operando per esempio in modo reversibile
mediante un termostato a temperatura T , come è illustrato in Fig. (3.6), per un sistema idrostatico.
Dal primo principio, poiché ∆U = 0, si ha che
q + wAB + wBA = 0
(3.23)
dove q è il calore scambiato con il termostato, wAB è il lavoro coinvolto nel tratto irreversibile A → B,
e wBA è il lavoro relativo al tratto reversibile wAB . Possiamo dimostrare che il calore q è negativo. Se
fosse nullo, il ciclo avrebbe riportato il sistema alle condizioni di partenza senza cambiare il termostato
e quindi la trasformazione A → B non sarebbe irreversibile; se fosse positivo si sarebbe trasformato
calore preso da un unico termostato in lavoro senza modificare il sistema, ciò che contraddice il secondo
principio. Ne consegue che per il processo (reversibile) di ritorno ad A da B
SA − SB =
q
<0
T
(3.24)
Quindi per il processo adiabatico reversibile di andata da B ad A
SB − SA > 0
(3.25)
Quindi se un processo adiabatico avviene irreversibilmente, l’entropia del sistema può solo aumentare; se
il processo adiabatico avviene reversibilmente, possiamo applicare la definizione differenziale di entropia
con dq = 0 per ogni T . In sintesi, per un processo adiabatico qualunque, l’entropia di un sistema verifica
la diseguaglianza
∆S ≥ 0
(3.26)
Ora consideriamo un supersistema S formato da un sistema (chiuso) s e da un termostato t, adiabaticamente isolati dal resto dell’universo. Il supersistema è un sistema adiabatico. Per una trasformazione
infinitesima subita dal sistema si avrà anche una trasformazione del termostato, che scambierà calore.
In particolare se il sistema assorbe un certo calore dq, il termostato dovrà cederne una uguale quantità
−dq (il supersistema è adiabatico). La variazione di entropia del termostato è perciò
dSt = −
dq
T
(3.27)
La variazione di entropia del supersistema totale è per definizione di funzione la somma delle variazioni
di entropia del sistema e del termostato. Si ha perciò
dSS = dSs + dSt = dSs −
dq
≥0
T
(3.28)
3.2. MACCHINE TERMICHE
Figura 3.6: Ciclo parzialmente irreversibile
47
48
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
da ciò segue che per un sistema in contatto con un termostato
dSs ≥
dq
T
(3.29)
se la trasformazione è reversibile, vale l’uguaglianza e ritroviamo la definizione di entropia. È importante
sottolineare che l’affermazione che l’entropia di un sistema è una funzione crescente è corretta solo per un
sistema chiuso ed adiabatico. In un sistema che possa scambiare energia o materia con l’esterno l’entropia
può diminuire, senza alcuna violazione del secondo principio. Tuttavia, sarà sempre possibile definire
un supersistema chiuso ed adiabatico (cioè isolato) formato dal sistema in esame piú tutti i sistemi che
interagiscono con esso e tra loro (al limite, l’universo intero) la cui entropia, complessivamente, aumenta
o resta costante.
3.3
Determinazione di variazioni entropiche
Siamo ora in grado di discutere in modo quantitativo le variazioni di entropia subite da un sistema chiuso
ed omogeneo. Consideriamo una sostanza, per esempio acqua od anidride carbonica, racchiuse in un
recipiente a pressione costante, ad una data temperatura Ti . La sostanza si trova inizialmente in una
data fase, cioè una condizione specifica con proprietà intensive costanti in tutto il sistema (per esempio,
l’acqua è in condizioni solide a 0 ◦ C ed 1 bar). Supponiamo di conoscere (e vedremo oltre che non
è una conoscenza triviale) l’entropia del sistema alla temperatura iniziale, S(Ti ). Vogliamo conoscere
l’entropia S(Tf ) del sistema ad una temperatura finale Tf . Supponiamo, per fissare le idee di partire da
una mole di acqua solida alla temperatura di 0 ◦ C ed alla pressione di 1 bar. Se la temperatura finale
è inferiore alla temperatura di fusione del ghiaccio in condizioni standard, possiamo scrivere
S(Tf ) = S(Ti ) +
Z
Tf
Ti
dqrev
T
(3.30)
dove dqrev è il calore scambiato in una trasformazione reversibile alla temperatura T . Se il riscaldamento
avviene a pressione costante ed il sistema compie solo lavoro di volume, possiamo usare la definizione
di capacità termica a pressione costante per definire qrev
dqrev = Cp dT
(3.31)
e perciò si ha che
S(Tf ) = S(Ti ) +
Z
Tf
Ti
Cp
dT
T
(3.32)
Supponiamo ora che la temperatura Tf sia maggiore della temperatura di fusione, Tfus , ma inferiore
alla temperatura di ebollizione, Teb . Possiamo applicare l’espressione precedente al calcolo dell’entropia
fino alla temperatura di fusione, usando la capacità termica a pressione costante del ghiaccio; dobbiamo
tenere conto che alla temperatura di fusione avviene una transizione di fase. Una transizione di fase è
la coesistenza di due diverse fasi di una sostanza, ed implica per definizione un trasferimento reversibile
di calore perché le due fasi coesistono in equilibrio. Il calore scambiato in una transizione di fase a
pressione costante è la differenza di entalpia tra le due fasi della sostanza, per esempio qfus = ∆Hfus . Di
49
3.4. ENTROPIA ASSOLUTA E III PRINCIPIO
conseguenza, giunti alla temperatura di fusione dobbiamo aggiungere alla (3.32) il contributo di fusione;
la (3.32) diviene perciò
S(Tf ) = S(Ti ) +
Z
Tfus
Ti
Cp (s)
∆Hfus
dT +
T
Tfus
(3.33)
Se la temperatura finale che vogliamo raggiungere è superiore alla temperatura di ebollizione, continuando a riscaldare il sistema dovremo utilizzare la capacità termica dell’acqua liquida fino alla temperatura di ebollizione, aggiungere il contributo di ebollizione, ed infine tener conto del riscaldamento del
vapore d’acqua per T > Tfus . Il risultato finale è
S(Tf ) = S(Ti ) +
Z
Tfus
Ti
Cp (s)
∆Hfus
dT +
+
T
Tfus
Z
Teb
Tfus
Cp (l)
∆Heb
dT +
+
T
Teb
Z
Tf
Teb
Cp (g)
dT
T
(3.34)
e per un sistema che subisca N transizioni di fase prima della temperatura Tf possiamo scrivere in
generale
S(Tf ) = S(Ti ) +
"Z
N
X
n=1
Tn
Tn−1
#
Cp (n)
∆Hn
dT +
+
T
Tn
Z
Tf
TN
Cp (N + 1)
dT
T
(3.35)
dove Tn e ∆Hn sono la temperatura di transizione e la variazione di entalpia per la transizione n−esima,
Cp (n) è la capacità termica per la fase n−esima.
La misura dell’entropia di una sostanza pura dipende dunque da un gran numero di parametri
sperimentali. La determinazione dell’entropia ad una data temperatura T può essere portata a termine,
assumendo di partire dall’entropia della sostanza stessa allo zero assoluto Ti = 0 K, conoscendo la
variazione delle capacità termiche con la temperatura in tutte le fasi attraversate dalla sostanza, e dei
calori di transizione corrispondenti ai passaggi di fase stessi. Per le fasi gassose, è di solito possibile rifarsi
alle equazioni di stato dei gas (vedi gli Approfondimenti di questo Capitolo); le entropie di transizione
di fase possono essere misurate direttamente o stimate, come nella regola di Trouton che afferma
Regola di Trouton L’entropia per mole di evaporazione di molti liquidi è circa 85 J
mol−1
K−1
A temperature molto vicine allo zero assoluto, considerazioni extratermodinamiche, cioè di natura
statistico-microscopica, permettono di affermare che le capacità termiche sono proporzionali al cubo
della temperatura assoluta
Estrapolazione di Debye Per T → 0, Cp ≈ aT 3
3.4
Entropia assoluta e III Principio
Nota che sia l’entropia della sostanza allo zero assoluto, diviene perciò nota l’entropia assoluta della
sostanza stessa alla temperatura richiesta. Ma la conoscenza dell’entropia a 0 K è, sostanzialmente,
impossibile, o meglio, l’entropia allo zero assoluto è una grandezza non interpretabile in modo chiaro in
base a sole considerazioni termodinamiche. Il problema è riconducibile alla natura stessa dell’entropia,
una grandezza non-meccanica che deve essere posta in relazione con il grado di disordine interno di
un sistema. In questo corso di lezioni vogliamo deliberatamente cercare di restare il piú possibile in
50
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
un ambito strettamente macroscopico, non molecolare, e quindi preferiamo limitare la discussione che
segue ad un livello qualitativo.
Allo zero assoluto, che è una temperatura ideale non raggiungibile sperimentalmente, possiamo immaginare che i costituenti microscopici di un sistema (atomi o molecole) siano fermi, cioè non subiscano
variazioni di posizione nel tempo. Ciò non implica che il sistema sia ordinato, salvo che in un cristallo
perfetto. In pratica possiamo assumere come un enunciato assiomatico la seguente affermazione, detta
anche teorema di Nerst, che descrive l’osservazione sperimentale ripetuta che le variazioni di entropia
tendono a zero per temperature via via piú vicine allo zero assoluto
il cambiamento di entropia di un sistema che sia sottoposto ad una trasformazione tende
a 0 per T → 0 K, purché tutti gli stati del sistema coinvolti siano perfettamente ordinati
Segue dall’affermazione di Nerst, che in realtà non è molto rigorosa (cosa significa che uno stato di un
sistema è perfettamente ordinato?) che se si assume che sia zero l’entropia a 0 K degli elementi nella
loro forma cristallina perfetta, deve essere zero anche l’entropia a 0 K dei composti nella loro forma
cristallina perfetta. Possiamo perciò enunciare il terzo principio della termodinamica come
l’entropia di tutte le sostanze nel loro stato cristallino perfetto a 0 K vale 0
In realtà è piú corretto identificare il terzo principio con lo stesso assioma di Nerst, e considerare la
precedente affermazione come la definizione di uno zero entropico convenzionale. Una ridefinizione piú
accurata del teorema di Nerst è la seguente, dovuta a Fowler e Guggenheim
per qualsiasi processo isotermo, al quale partecipino solo fasi in equilibrio interno, oppure
nel caso che una fase si trovi in uno stato di equilibrio metastabile congelato purché il processo
non disturbi detto equilibrio si ha
lim ∆S = 0
T →0
(3.36)
dove il termine equilibrio interno implica che lo stato della fase sia determinato esclusivamente dalla sua temperatura, pressione e composizione (escludendo cioè stati, come i vetri,
la cui esatta definizione dipende dalla storia precedente e che quindi non si possono veramente definire stati di equilibrio nel senso termodinamico classico usato in questi appunti di
lezione).
3.5
Energia libera ed equilibrio di fase di sostanze pure
Solitamente il contenuto energetico di un sistema non è discusso direttamente in termini di energia
interna U , entalpia H ed entropia S, quanto piuttosto delle funzioni ausiliarie, come l’energia libera
di Helmholtz A
A = U − TS
(3.37)
e soprattutto, in ambito chimico, dell’energia libera di Gibbs G
G = H − TS
(3.38)
3.5. ENERGIA LIBERA ED EQUILIBRIO DI FASE DI SOSTANZE PURE
51
L’importanza di queste funzioni risiede principalmente in due loro caratteristiche: la possibilità di
esprimere la direzione spontanea di trasformazione di un sistema nelle condizioni sperimentali piú comuni
(volume o pressione costante) e la loro utilità nel descrivere quantitativamente il lavoro effettivo od utile
ricavabile da una trasformazione in dette condizioni.
Consideriamo un sistema in contatto con un termostato alla temperatura T , in equilibrio; la diseguaglianza di Clausius si può scrivere come
dq
≥0
(3.39)
T
dove dq è il calore ceduto dal sistema al termostato; a volume costante, il calore scambiato è pari alla
funzione di stato U , ovvero dq = dU e perciò
dS −
T dS − dU ≥ 0
(3.40)
ovvero usando la definizione di A e ricordando che la temperatura è costante
dAT,V ≤ 0
(3.41)
in una trasformazione spontanea a T e V costanti l’energia libera di Helmholtz tende a diminuire.
L’energia libera di Helmholtz, che è naturalmente una funzione di stato essendo espressa in termini di
U , T ed S, può anche essere posta in relazione con il lavoro massimo ricavabile a temperatura e volume
costanti. Infatti la variazione infinitesima di A in una trasformazione è
dA = dU − T dS − SdT = dw + dq − T dS − SdT
(3.42)
ed in condizioni isoterme
dAT = dw + dq − T dS
(3.43)
se la trasformazione è reversibile dqrev = T dS
dAT = dwrev
(3.44)
quindi la variazione infinitesima di A in una trasformazione isoterma è pari al lavoro ottenibile dal
sistema in condizioni reversibili, che è anche il massimo lavoro ottenibile dal sistema. Per una trasformazione finita
∆A = wmax
(3.45)
quindi la variazione di energia libera di Helmholtz di un sistema che subisca una trasformazione tra
due stati a temperatura costante è pari al lavoro massimo ottenibile in queste condizioni, cioè al lavoro
ottenuto se la trasformazione è effettuata reversibilmente.
La maggiore parte delle trasformazioni che avvengono in un laboratorio, o comunque in ambienti
compatibili con l’esistenza di un osservatore umano, sono di solito riferite a condizioni di temperatura
e pressione costanti. Ecco perché, accanto all’energia A è utile introdurre un grandezza come l’energia
di Gibbs che ha proprietà analoghe, ma per trasformazioni a T e p costanti. Consideriamo quindi ora il
sistema in contatto con un termostato alla temperatura T , in equilibrio; a pressione costante, il calore
scambiato è pari alla funzione di stato H, ovvero dq = dH e perciò
T dS − dH ≥ 0
(3.46)
52
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
ovvero usando la definizione di G e ricordando che la temperatura è costante
dGT,p ≤ 0
(3.47)
in una trasformazione spontanea a T e p costanti l’energia libera di Gibbs tende a diminuire. Anche
l’energia di Gibbs può essere messa in relazione con il lavoro massimo ottenibile dal sistema, purché si
consideri il solo lavoro ”utile”, cioè il lavoro non di volume. La verifica di questa affermazione è analoga
a quella svolta nel caso dell’energia di Helmholtz. La variazione infinitesima di G in una trasformazione
è
dG = dH − T dS − SdT = dU + d(pV ) − T dS − SdT = dw + dq + d(pV ) − T dS − SdT
(3.48)
ed in condizioni isoterme
dGT = dw + dq + d(pV ) − T dS
(3.49)
se la trasformazione è reversibile dqrev = T dS
dGT = dwrev + d(pV )
(3.50)
Come abbiamo visto in precedenza, il lavoro può essere distinto in lavoro di espansione o volume wexp e
lavoro extra o lavoro utile we . Per una trasformazione reversibile il lavoro di volume è dwexp = −pdV ,
da cui, tenendo conto del fatto che d(pV ) = dpV + V dp
dGT = dwe,rev + V dp
(3.51)
e a pressione costante
dGT,p = dwe,rev
(3.52)
quindi la variazione infinitesima di G in una trasformazione isoterma e isobara è pari al lavoro non di
volume ottenibile dal sistema in condizioni reversibili, che è anche il massimo lavoro utile ottenibile dal
sistema. Per una trasformazione finita
∆G = we,max
(3.53)
quindi la variazione di energia libera di Gibbs di un sistema che subisca una trasformazione tra due
stati a temperatura e pressione costanti è pari al lavoro utile massimo ottenibile in queste condizioni,
cioè al lavoro non di volume ottenuto se la trasformazione è effettuata reversibilmente.
L’energia libera molare di una sostanza pura viene anche detta potenziale chimico,
µ=
G
n
(3.54)
come vedremo meglio in seguito la definizione di potenziale chimico può essere generalizzata al caso
di sistemi a piú componenti, in presenza od in assenza di reazioni chimiche. Tuttavia, possiamo già
applicare le proprietà dell’energia libera al caso della trasformazione chimico-fisica piú semplice, vale
a dire una trasformazione di fase. Consideriamo per esempio un sistema eterogeneo, in condizioni di
3.6. APPROFONDIMENTI
53
Figura 3.7: Processo in flusso stazionario
temperatura e pressione costante, formato da due fasi, 1 e 2, che coesistono in equilibrio. Una trasformazione infinitesima reversibile del sistema corrisponde perciò al passaggio di una quantità infinitesima
di moli di sostanza dalla fase 1 alla fase 2
dn = −dn1 = dn2
(3.55)
e possiamo scrivere
dGT,p = µ1 dn1 + µ2 dn2 = (µ2 − µ1 )dn = 0
(3.56)
dove µ1 e µ2 sono l’energia libera molare nella fase 1 e 2, e l’uguaglianza a zero deriva dalla condizione
di equilibrio. Ne consegue che
µ1 = µ2
(3.57)
Possiamo quindi concludere che il potenziale chimico di una sostanza pura presente sotto forma di piú
fasi coesistenti in equilibrio è lo stesso in tutte le fasi.
3.6
3.6.1
Approfondimenti
Processi a flusso stazionario
L’entalpia e l’energia di Gibbs sono funzioni molto utili per descrivere processi a flusso stazionario, tipici
delle produzioni industriali. Consideriamo la Fig. (3.7) che rappresenta un apparecchio C , per esempio
una turbina a vapore, attraverso il quale passa un flusso stazionario di materiale, entrando nel tubo A
e uscendo dal tubo B. Supponiamo, per fissare le idee, che esistano due pistoni ideali che si spostano
da a ad a′ e da b a b′ quando una certa quantità di sostanza passa nel sistema. Indichiamo con pa e
pb le pressioni costanti in a e b e con Va e Vb i volumi di sostanza che si spostano per unità di massa
in A e B. Se una quantità di massa m attraversa C, il pistone di sinistra si muove in a′ , spostando un
volume Va m ed il pistone di destra si muove in b′ , spostando un volume Vb m. Dato che le pressioni sono
costanti, il lavoro compiuto dalla parte di fluido compresa tra i due pistoni è
w = pb Vb m − pa Va m + wu m
(3.58)
54
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
cioè la somma del lavoro compiuto dal fluido in C per spostare il fluido alla destra di b, del lavoro
compiuto dal fluido in C per spostare il fluido alla sinistra di a, e del lavoro utile compiuto dal fluido in
C, per esempio il lavoro compiuto dalla turbina. Dal primo principio risulta inoltre
(Ub − Ua )m = qm + w
(3.59)
dove con Ua,b indichiamo l’energia interna per unità di massa in a e b mentre q è il calore assorbito1 ;
confrontando l’espressione precedente con la definizione di entalpia risulta che
Hb − Ha = q + wu
(3.60)
L’entalpia ha quindi lo stesso ruolo per i sistemi aperti in flusso stazionario che l’energia interna ha per
i sistemi isolati, con il lavoro utile al posto del lavoro totale.
3.6.2
Trasformazioni di sistemi gassosi perfetti
Riassumiamo in questa sezione alcune proprietà deducibili per un sistema chiuso formato da un gas
perfetto in un volume V , a partire dall’equazione di stato
pV = nRT
(3.61)
dove n è il numero di moli e p è la pressione. Come discuteremo in uno dei capitoli successivi, per un
gas perfetto
1. l’energia interna e l’entalpia dipendono solo dalla temperatura; l’entalpia è subito ottenuta dall’energia
interna come H = U + nRT
2. anche le capacità termiche sono funzioni solo della temperatura
3. la relazione tra CV e Cp è
Cp − CV = nR
(3.62)
Trasformazione isoterma Consideriamo un sistema chiuso formato da n moli di un gas perfetto, che
compia una trasformazione isoterma, reversibile da un volume Vi ad un volume Vf , cui corrispondono le pressioni pi e pf . Il lavoro eseguito dal sistema è, ricordando che pV = nRT
w = −nRT
Z
Vf
Vi
pf
Vi
dV
= nRT ln
= nRT ln
V
Vf
pi
(3.63)
se Vf > Vi il lavoro è negativo, w < 0, cioè il sistema ha ceduto energia compiendo un lavoro
sull’ambiente. Si noti che poiché la variazione di energia deve essere nulla per un gas perfetto in
una trasformazione isoterma, il calore scambiato q è uguale a −w.
1
Si noti che in realtà U dovrebbe essere sostituta con l’energia totale, che risulta uguale all’energia interna più l’energia
cinetica del fluido
3.6. APPROFONDIMENTI
55
Trasformazione adiabatica Dato che l’energia interna è funzione della sola temperatura

CV = 
∂U
∂T


≡
V
dU
(3.64)
dT
da cui dU = CV dT , e quindi, dal primo principio
CV dT = T dS − pdV
(3.65)
Usando l’equazione di stato, la precedente equazione può essere riscritta come
CV
dV
dT
= dS − R
T
V
(3.66)
Supponendo che CV sia indipendente da T - un ipotesi abbastanza corretta per molti gas in intervalli di temperatura relativamente larghi, a bassa pressione - possiamo integrare analiticamente
l’equazione (3.66), da uno stato iniziale i ad uno stato finale f
CV ln
Tf
Vf
= Sf − Si − nR ln
Ti
Vi
(3.67)
che con qualche semplice elaborazione diviene
pi Viγ e−Si /CV = pf Vfγ e−Sf /CV
(3.68)
dove γ = Cp /CV . Per una trasformazione adiabatica isoentropica, la variazione di entropia deve
essere nulla, da cui segue
pi Viγ = pf Vfγ
(3.69)
da cui discendono altre relazioni semplici, tenendo conto dell’equazione di stato, per esempio
Tf
=
Ti
Vf
Vi
γ−1
(3.70)
Durante una trasformazione adiabatica, il lavoro è immediatamente calcolabile dalla differenza di
energia interna; se CV è costante, si ha che Uf − Ui = CV (Tf − Ti ), come segue dalla (3.64), e
perciò
w = Uf − Ui = CV (Tf − Ti ) =
CV
(Tf − Ti )
R
(3.71)
mentre il calore scambiato è naturalmente nullo.
Possiamo ora verificare come la temperatura termodinamica sia numericamente uguale alla temperatura
del termometro a gas perfetto. Supponiamo per ora di distinguere tra temperatura termodinamica e
temperatura del gas perfetto. Sia θ la temperatura del gas perfetto. La legge di stato è definita a partire
dalla temperatura θ (è un osservabile sperimentale che riassume una serie di misure di V , p e θ per i gas
56
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
in condizioni vicine all’idealità). Se consideriamo il ciclo di Carnot, come in Figura (3.2), eseguito da un
gas perfetto, possiamo applicare le precedenti uguaglianze (usando θ al posto di T , dato che abbiamo
per ora distinto le due quantità), ottenendo facilmente dalle proprietà delle trasformazioni isoterme che
|q2 | = nRθ2 ln
VB
,
VA
|q1 | = nRθ1 ln
VD
VC
(3.72)
mentre dalle proprietà delle trasformazioni adiabatiche segue che
ln
VC
VD
VB
VD
= ln
→ ln
= ln
VA
VB
VA
VA
(3.73)
da cui segue che
θ1
|q1 |
=
|q2 |
θ2
(3.74)
Ma in un ciclo di Carnot come quello di figura (3.2), il rapporto tra i calori scambiati con i due termostati
dal sistema in esame è, indipendentemente dalle sue proprietà, esprimibile in funzione della temperatura
termometrica
|q1 |
T1
=
|q2 |
T2
(3.75)
come abbiamo visto nelle sezioni precedenti. Si ha perciò che
θ1
T1
=
θ2
T2
(3.76)
Perciò scegliendo lo stesso valore numerico per il sistema di riferimento (acqua al punto triplo, θ = T =
273.16), ne consegue l’uguaglianza numerica di θ e T .
3.6.3
Il moto perpetuo
Le macchine del moto perpetuo sono dispositivi immaginari che violano il primo o secondo principio
della termodinamica. Le macchine del moto perpetuo di I specie, che violano il primo principio, creano
dunque energia dal nulla. Le macchine del moto perpetuo di II specie trasformano completamente il
disordine (calore) in ordine (lavoro). Esistono anche dispositivi ipotetici che violano il terzo principio,
ma sono relativamente piú rari.
I tentativi che si sono succeduti nel corso dei secoli, e che continuano tutt’oggi, di violare il primo
ed il secondo principio della termodinamica, sono innumerevoli e, a modo loro, affascinanti. La storia
(documentata) delle macchine del moto perpetuo inizia almeno nel XIII secolo, con l’architetto Villard
de Honnecort che nel 1245 descrisse una ruota sbilanciata in grado di ruotare in perpetuo. Ma la prima
macchina del moto perpetuo di cui sia abbiano notizie precise è dovuta ad un italiano, tale Marco
Antonio Zimara (1460 - 1523) che dichiarò di aver inventato un mulino in grado di funzionare senza
alcuna fonte di energia esterna. Nel 1618 Robert Fludd creò (costruı̀ ?) un mulino a ruota, posto in
rotazione dall’acqua che una vite di Archimede provvedeva a riportare in cima, come in Figura (3.9).
Altri inventori di macchine del moto perpetuo sono John Wilkins, vescovo di Chester che nel 1670
propose una serie di macchine basate su ruote sbilanciate, come la macchina di de Honnecort, in cui
la gravità avrebbe dovuto riportare i dispositivi al loro stato iniziale. Johan Ernst Elias Bessler, nel
3.6. APPROFONDIMENTI
Figura 3.8: Macchina del moto perpetuo di Villard de Honnecort
Figura 3.9: Macchina del moto perpetuo di Robert Fludd
57
58
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Figura 3.10: Macchina del moto perpetuo di Keely
3.6. APPROFONDIMENTI
59
XVIII secolo disegnò molti schemi di macchine del moto perpetuo e riuscı̀ effettivamente a costruirne
una funzionante per 40 giorni, probabilmente grazie ad un meccanismo nascosto a molla. Anche famosi
e seri scienziati credettero nelle macchine del moto perpetuo. Per esempio, Robert Boyle tentò di
costruire una macchina del moto perpetuo in cui la capillarità avrebbe dovuto permettere di ottenere
una specie di fontana perpetua, con l’acqua capace di salire lungo un tubo per adesione capillare e poi di
ricadere per gravità. Nell’Ottocento, le macchine del moto perpetuo si moltiplicarono a dismisura: allora
come oggi, la necessità di dispositivi in grado di produrre lavoro a costi molti bassi era un incentivo
molto importante. Possiamo ricordare W. Leaton (1866: ideò un pendolo oscillante perpetuo), E.P.
Willis (1866: costruı̀ una macchina basata su ruote sbilanciate per gravità), J.E.W. Keely (1875: creò
un meccanismo complesso, basato sul ”vapore eterico”). In tutti questi casi, le ”macchine” erano
effettivamente dispositivi fasulli con meccanismi ad orologia o a vapore nascosti.
Tutti gli esempi precedenti sono macchine di I specie. Tra le macchine di II specie, possiamo ricordare
qui il dispositivo di J. Gamgee che nel 1880 inventò il ”motore zero” in cui il calore dell’ambiente
provocava l’ebollizione di ammoniaca liquida che a sua volta muoveva un pistone. La condensazione
riportava poi il sistema al suo stato iniziale. Purtroppo la condensazione stessa richiede energia, perché
il gas deve essere portato sotto la temperatura ambiente, quindi la macchina non può funzionare. Il
Ministero della Difesa americano dell’epoca manifestò un certo interesse al progetto e, pare, lo finanziò.
Infine Maxwell propose nel 1817 (come esperimento ideale, non come macchina funzionante!) il suo
famoso demone, una piccola creatura in grado di distinguere e di lasciare passare attraverso un’apertura
solo le molecole di un gas sopra una data energia cinetica; nel tempo, si viene cosı́ a creare una zona
con il gas a pressione maggiore ed una con il gas a pressione minore, con la possibilità di compiere
una lavoro. La spiegazione dell’apparente paradosso (il demone di Maxwell sembra violare il secondo
principio poiché tutta la differenza di energia cinetica tra le molecole delle due zone sembra essere
convertita in lavoro) è dovuta a Bennet, Szillard, Landauer ed altri, ed è piuttosto complessa: in sintesi
è basata sul fatto che il demone deve poter dimenticare i risultati delle sue precedenti operazioni per
proseguire la sua attività, e questo fatto contribuisce a creare entropia nell’ambiente.
3.6.4
Altre macchine termiche
Le macchine termiche piú comuni sono gli impianti a vapore per la produzione di energia meccanica,
basata sul ciclo ideale di Rankine e il motore a combustione interna, basato sul ciclo Otto. Descrizioni
semplici di questi dispositivi sono fornite in ”Calore e termodinamica” Vol. I, Cap.7 di M.W. Zemansky,
da cui desumiamo questa nota sul ciclo Otto. In un motore a benzina a sei tempi, abbiamo la seguente
successione di trasformazioni
espansione: vapori di benzina ed aria penetrano nel cilindro, aspirati dal pistone
compressione e scoppio : il pistone comprime i vapori; una scintilla elettrica provoca la combustione,
a volume ancora costante
potenza ed espulsione dalla valvola: il gas ad alta pressione e temperatura si espande e spinge
il pistone; il gas viene portato alla stessa pressione esterna mediante espulsione dalla valvola di
scarico, con il pistone fermo
60
CAPITOLO 3. II PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA
Figura 3.11: I 4 tempi del motore a scoppio
espulsione il pistone spinge tutto o quasi il gas restante all’esterno
La descrizione del motore scoppio dovrebbe tenere conto di effetti di attrito, moti turbolenti etc. Una
descrizione idealizzata è basata sul ciclo Otto, che considera solo trasformazioni reversibili di un gas
perfetto a capacità termica costante, in assenza di attriti, Figura (3.12). Lo schema del ciclo Otto è il
seguente
5 → 1: immissione isobara, n moli di gas a pressione esterna p0 entrano nel volume V1 , con
p0 V1 = nRT1 , dove T1 è la temperatura esterna
1 → 2: compressione adiabatica; la temperatura passa a T2 , con T1 V1γ−1 = T2 V2γ−1
2 → 3: aumento della temperatura a T3 , a volume costante, mediante assorbimento di calore qH
da una serie di termostati compresi tra le temperature T2 e T3 (è la fase di scoppio idealizzata)
3 → 4 espansione adiabatica, con abbassamento della temperatura a T4 , con T3 V2γ−1 = T4 V1γ−1
4 → 1 abbassamento della temperatura a T1 , a volume costante mediante cessione di calore qC ad
una serie di termostati compresi tra le temperature T4 e T1 (è la fase di espulsione dalla valvola
di scarico idealizzata)
1 → 5 espulsione isobara, n moli di gas a pressione esterna p0 escono dal volume V1 .
Il calcolo dell’efficienza termica, basato sulle proprietà dei gas perfetti fornisce l’espressione
ǫ=1−
T4 − T1
1
= 1 − γ−1
T3 − T2
r
(3.77)
dove r = V1 /V2 è il rapporto di compressione. In un motore a scoppio, r < 10, altrimenti si avrebbe
scoppio prima dello scoccare della scintilla (pre-accensione); assumendo r = 9 e γ = 1.5 si ottiene
ǫ = 0.67, che costituisce un limite superiore all’efficienza di un motore a scoppio reale.
3.6. APPROFONDIMENTI
61
Figura 3.12: Ciclo Otto
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