Aspetti dell`astronomia del Seicento

Atti e Memorie
Acc. Naz. Sci. Lett. Arti Modena
Ser. VIII, v. IV (2002)
Rodolfo Calanca
ASPETTI DELL’ASTRONOMIA DEL SEICENTO:
LE EPHEMERIDES NOVISSIMAE DI
CORNELIO MALVASIA, GIOVAN DOMENICO CASSINI
E GEMINIANO MONTANARI(*)
Nota introduttiva
L’opera astronomica Ephemerides Novissimae1 (fig. 1), attribuita al
marchese Cornelio Malvasia,2 «un des plus dignes amateurs de cette
science»,3 ma, in realtà composta, per quanto concerne gli aspetti
scientifici e di calcolo astronomico, da Geminiano Montanari,4 accoglie
(*)
Seduta dell’8 maggio 2001
C. MALVASIA , Ephemerides Novissimae motuum coelestium. Marchionis Cornelii Malvasiae
Senatoris Bononiensis, Marchionis Bismantuae Sereniss.mi Mutinae Ducis status consiliarii, et
Generalis Armorum praefecti. Ad longitudinem Urbis Mutinae gr. 34. 5. Ex Philippi Lansbergii
hypothesibus exactissimè supputatae, et ad Caelestes observationes nuper habitas expensae ab
anno 1661. ad annum 1666. cum observationibus ipsis interim ab Authore habitis, et ad Calculum
revocatis. Additis Ephemeridibus Solis, et tabulis Refractionum, ex novissimis hypothesibus
Doctoris Ioannis Dominici Cassini, in Archigymnasio Bononiensi Astronomiae Professoris
Praestantissimi, ex Typographia Andreae Cassiani, Mutinae 1662.
Nel lunghissimo titolo dell’opera è contenuto un errore: le effemeridi planet arie si fermano al 1665
e non, come indicato, al 1666.
2
Un’ampia biografia del marchese Cornelio Malvasia è in: G. FANTUZZI , Notizie degli scrittori
bolognesi, t. V, pp. 159 e segg., Bologna 1786.
3
J.J. DE LALANDE , Astronomie, nouvelle edition, t. I, p. 478, Paris 1792.
4
Per la biografia di Montanari si vedano i seguenti testi:
F. BIANCHINI, Compendio della vita di Geminiano Montanari, in: Le forze d’Eolo, dialogo fisicomatematico sopra gli effetti del Vortice, ò sia Turbine, detto negli Stati Veneti la Bisciabuova, che
il giorno 29 luglio 1686 hà scorso e flagellato molte Ville, e Luoghi de’ Territori di Mantova, &c.
opera postuma del Sig. Dottore Geminiano Montanari Modenese, astronomo e meteorista dello
studio di Padova, Parma 1694; G. TABARRONI : voce Montanari G., in Dictionary of Scientific
Biography, vol. IX, pp. 484-487, New York 1974; S. ROTTA , Scienza e pubblica felicità in
Geminiano Montanari, in Miscellanea Seicento, II vol., pp. 65-210, Firenze 1971; G.B. VENTURI,
Elogio di Geminiano Montanari recitato nel solenne aprimento delle scuole, Modena 1790; F.
BÒNOLI, D. P ILIARVU, I Lettori di Astronomia presso lo Studio di Bologna dal XII al XX secolo ,
pp. 169-172, Bologna 2001.
1
R. Calanca
due fondamentali contributi di Giovan Domenico Cassini. 5 Il primo
sulla rifrazione atmosferica e le relative tavole, l’altro sulle
accuratissime effemeridi del Sole derivate dalle osservazioni alla
meridiana di S. Petronio a Bologna che il grande astronomo eseguì nel
periodo 1655-1660. Inoltre, nelle Ephemerides, sono di particolare
rilevanza storica le notizie sul reticolo, applicato dal Montanari al fuoco
di un cannocchiale e, per la prima volta nella storia dell’astronomia,
utilizzato in modo sistematico nelle osservazioni planetarie. Con questo
fondamentale stru-mento di misura Montanari realizzò, tra l’altro, la
sua splendida carta lunare allegata al volume delle Ephemerides, una
delle più accurate e vicine al vero del XVII secolo, nonché primo
autentico esempio di selenografia scientifica.
Nel seguito esaminerò alcuni aspetti delle Ephemerides malvasiane
dal punto di vista storico e dei contenuti scientifici, in particolare:
- La genesi dell’opera e la sua diffusione negli ambienti scientifici nei
due secoli successivi (§ 1 e § 2).
- Le specole europee del XVI-XVII secolo e il ruolo scientifico di
quelle malvasiane di Panzano e Modena (§ 3).
- Un’introduzione storica sulle diverse tavole planetarie e di alcune
effemeridi astronomico-astrologiche del Cinque-Seicento (§ 4).
- Il confronto tra le effemeridi lansbergiane , compilate da Montanari
per le Ephemerides, e quelle basate sulle tavole alfonsine, pruteniche
e rudolfine (§ 5).
- Un’analisi dell’eccellente livello di precisione delle longitudini del
Sole tabulate da Cassini nelle Ephemerides (§ 6).
- L’importantissimo ruolo del reticolo nelle osservazioni
astronomiche di Montanari e Malvasia ed alcune considerazioni
sulla storia dell’invenzione di questo fondamentale strumento di
misura (§ 7).
- Le novità introdotte dall’icon lunaris di Montanari ed un confronto
con altre carte del tempo, in particolare, con le raffigurazioni del
nostro satellite eseguite da Hevelius nella sua Selenographia, l’opera
5
Per la biografia di Cassini si vedano i seguenti testi: B. LE BOVIER DE FONTENELLE , Éloge de
J.D. Cassini, Histoire de l’Académie Royale des Sciences pour l’année 1712, Paris 1714 ; J.B.
DELAMBRE , Histoire de l’Astronomie moderne, t. II, Paris 1821; V. BUSACCHI, L'astronomo G.D.
Cassini (1625-1712), in Rivista di Storia delle Scienze, XXXI (1940), pp. 65-83; A. DANJON ,
Jean-Dominique Cassini et les Débuts de l’Astrophysique, L’Astronomie, p. 4, January 1963; A.
DE FERRARI, la voce Cassini G.D. nel Dizionario Biografico degli Italiani, vol. XXI, pp. 484-487,
Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1978; A. CASSINI, Gio: Domenico Cassini, uno
scienziato del Seicento , Comune di Perinaldo, 1994; G. DRAGONI et alt., la voce Cassini I, G.D.,
nel Dizionario Biografico degli scienziati e dei Tecnici, pp. 290-291, Bologna 1999; F. BÒNOLI, D.
P ILIARVU, loc. cit., pp. 162-167.
2
Aspetti dell’astronomia del Seicento
nel suo genere più rappresentativa del XVII secolo (§ 8.1, 8.2, 8.3).
- Le tavole cassiniane delle rifrazioni e la disputa che si accese su di
esse nell’ambiente scientifico bolognese nella seconda metà del
Seicento (§ 9).
1. Genesi delle Ephemerides Novissimae
Brevi notizie sulla genesi delle Ephemerides Novissimae, prima e
unica opera astronomica del marchese Cornelio Malvasia, ci sono
giunte attraverso l’autobiografia di Giovan Domenico Cassini. Egli
riferisce che il marchese, fin dal 1646, era solito stampare, sotto il nome
di Arteniso Tebano, un giornale astrologico dedicato spesso a
personaggi famosi oppure, più prosaicamente, «alla sua dama».
Quella dei discorsi astrologici era, nella Bologna del XVII secolo,
una moda straordinariamente diffusa e molto apprezzata in ogni ambito
sociale.
Un contemporaneo diceva d’aver trovato, presso i librai della città,
tanti libri di “strologarie” quanti non credeva ce ne fossero in tutto il
mondo! Fortunatamente, una parte rilevante di queste “strologarie” non
vedeva la luce perché la censura de’ “Superiori” bocciava molti autori
ritenendoli incapaci di «adoperare l’arte [astrologica]».
Mentre Malvasia si accontentava dello pseudonimo di Arteniso
Tebano, altri lasciavano liberamente correre la fantasia senza alcun
timore del ridicolo. L’eminente professore di filosofia e matematica
dello Studio bolognese e grande compilatore di pronostic i, Ovidio
Montalbani6 aveva adottato il nome di Giovanni Antonio Bumaldi e, in
speciali occasioni, si fregiava di titoli spavaldi e romanticamente
misteriosi: Rugiadoso accademico della Notte oppure fra gli Indomiti lo
Stellato.7
I suoi scritti astrologic i, imitati da una folta schiera di aspiranti
pronosticatori, avevano titoli esotici: La dettatura delle stelle, La
quadriga del Sole, Arioscopia ovvero gli istorici spiriti di Felsina
antica, Selenoscopia e via di questo passo. In una città come Bologna,
bonaria ma caustica nei confronti dell’umana stupidità, non poteva
mancare la pungente canzonatura a quella valanga asfissiante di
6
F. BÒNOLI, D. P ILIARVU , loc. cit., pp. 159-161.
R. MARCHI, I “Tacuini” di Ovidio Montalbani, cultura e astrologia nella Bologna del Seicento,
tesi di laurea presentata alla Facoltà di Lettere e Filosofia Università di Bologna, Anno
Accademico 1998-1999.
7
3
R. Calanca
pronostici che incrostavano anche i muri dei portici. 8
Tra queste, esilarante il Pronostico perpetuo et infallibile di Giulio
Cesare Croce che, tra l’altro, recitava:
In questo tempo chi sarà amalato,/ tenghi per certo di non essere
sano/…/et se per sorte alcun sarà impiccato,/ per caso puro, o per
giocar di mano/ facci pur conto di restar pendente/ chè fuggir non
potrà tal’accidente.
Lo stesso Geminiano Montanari, titolare di una delle cattedre
matematiche dal 1664 al 1678 dello Studio bolognese,
nell’ambito del suo programma di diffusione dei metodi scientifici
moderni… sferrò un articolato attacco alla credibilità
dell’astrologia… attraverso un falso almanacco (il Frugnolo degli
influssi del Gran Cacciatore di Lagoscuro), contenente pronostici
fatti a caso e che, poiché qualcuno si avverò, ebbe gran successo. La
beffa verrà rivelata ne L’astrologia convinta di falso, uscita a
Venezia nel 1685, in cui l’autore intende mostrare l’assenza di ogni
fondamento razionale… delle credenze astrologiche.9
Tornando a Malvasia, nel 1647 lo troviamo alle prese con un
increscioso incidente, di quelli che possono minare la fiducia anche dei
più entusiastici sostenitori della “scienza” astrologica.
Nel suo “discorso” per quell’anno, dedicato all’insigne fisico
galileiano Evangelista Torricelli, licenziato dall’autore l’8 marzo, dalle
Radici dell’Apenino, dopo una ricca messe di pompose metafore,
conclude la dedica allo scienziato con l’augurio «di pervenir con
l’Anima doppo una lunga serie d’anni, ove hora giunge col suo
Thelescopio». 10
Purtroppo gli auspici di lunga vita formulati da Malvasia portarono
assai male: Torricelli morì sette mesi dopo, precisamente il 25 ottobre,
a soli 39 anni di età.
Qualche anno dopo, Cassini cercò di dissuaderlo dal continuare a
pubblicare discorsi astrologici inattendibili, suggerendogli invece di
8
E. CASALI, Dallo Studio alla piazza. L’almanacco tra scienza e burla , Storia illustrata di
Bologna, pp. 121- 140, Milano 1989.
9
E. BAIADA, M. CAVAZZA , Le discipline matematico-astronomiche tra Seicento e Settecento,
L’Università a Bologna. Maestri, studenti e luoghi dal XVI al XX secolo, p. 153, Bologna 1988.
10
ARTENISO TEBANO (pseudonimo di Cornelio Malvasia), Discorso dell’anno 1647 con le
mutationi de tempi et altri accidenti di Arteniso Tebano al Signor Evangelista Torricelli, Bologna,
1647.
4
Aspetti dell’astronomia del Seicento
calcolare effemeridi planetarie più accurate di quelle, spesso scadenti,
reperibili presso i librai.
L’eccellente consiglio
fut bientôt confirmé par un evènement assez singulier qui lui fit
reconnaitre, que ce n’était que par hasard que les prédictions
astrologiques avaient quelques succès.11
Cassini, che certamente trovava inopportuno riesumare nelle sue
memorie, dettate mezzo secolo dopo i fatti, la vecchia incresciosa storia
di Torricelli, riferisce che Malvasia, in un altro dei suoi discorsi
astrologici, previde una violenta tempesta per un certo giorno e, proprio
quello stesso giorno, un uragano e una furiosa grandinata devastarono
la campagna. Trionfante, il marchese andò allora dall’astronomo,
portando il suo almanacco, per dimostrargli, carta alla mano,
l’accuratezza della propria previsione.
Cassini, scettico, esaminò i calcoli dai quali l’oroscopo era ricavato,
e lì trovò un grave errore in una certa configurazione planetaria che
toglieva ogni credito alla predizione.
Da quel momento, dice Cassini, il marchese prese la decisione di
calcolare lui stesso delle nuove effemeridi planetarie.12
Prima di dare attuazione a questo disegno, Malvasia però lasciò
trascorrere dieci anni.
È naturale chiedersi come mai attendesse tanto tempo per attuare un
progetto che gli era così caro. La risposta è semplice: Malvasia non
disponeva delle indispensabili conoscenze, astronomiche e
matematiche, per districarsi con successo tra le complicate tavole
numeriche in uso presso i compilatori di effemeridi.
La soluzione a questo problema venne sotto forma di un autentico
colpo di fortuna nel 1661. Malvasia, grazie ad una vasta rete di ottimi
contatti politici e culturali, estesa a molte corti italiane, ricevette da
Firenze la fausta notizia che un giovane di talento, molto versato nell’astronomia, il modenese Geminiano Montanari, allievo del galileiano
Paolo Del Buono, cercava un onorevole impiego nella sua città natale.
Il marchese, a quel tempo comandante delle truppe estensi, esercitò
tutta la sua influenza presso la corte per fargli conferire un doppio
incarico, di matematico ducale e di proprio assistente negli studi
11
J.-D. CASSINI, Mémoires pour servir à l'Histoire des Sciences et à celle de l'Observatoire Royal
de Paris, suivis de la vie de J.-D. Cassini, ècrite par lui-même, pp. 263-264, Paris 1810.
12
J.-D. CASSINI, loc. cit., p. 265.
5
R. Calanca
astronomici. Egli, in breve tempo e con somma gioia, si rese conto che
con un tale “assistente” non ci sarebbero più stati ostacoli alle proprie
ambizioni scientifiche.
Le nuove effemeridi planetarie, a lungo vagheggiate da Malvasia,
dovevano proseguire quelle, famose, di Francesco Montebruno e, come
queste, esse si sarebbero dovute appoggiare alle tavole, allora molto
inopportunamente apprezzate, dell’astronomo fiammingo Philippe van
Lansberg.13 Inoltre, per i crediti che vantava, il marchese sapeva di
poter sollecitare un contributo professionale di Cassini per arricchire la
propria opera e per conferirle maggior prestigio e consistenza
scientifica (nelle Ephemerides non manca di evidenziare i consolidati
legami con Cassini: veteris necessitudinis vinculo mihi
coniunctissimum). Malvasia, entusiasta delle ricerche solari alla
meridiana di S. Petronio dell’astronomo dello Studio bolognese,
prometteva anche di pubblicare «15 anni di effemeridi allorché egli
avrà concluso le sue ricerche sui pianeti».
Il volume delle Ephemerides, pubblicato a Modena nel 1662 presso il
libraio Andrea Cassiani, consta di 220 pagine in folio. L’antiporta (fig.
2), magistralmente incisa da Francesco Stringa, valente pittore della
corte estense, ritrae una figura femminile che osserva Giove al cannocchiale mentre dipinge lo stemma del cardinale Giulio Sacchetti,
legato pontificio a Bologna. L’insegna araldica dell’alto prelato (la cui
effigie domina la parte superiore dell’incisione) curiosamente richiama
le bande scure del pianeta.14
Il lavoro si apre con la dedicatoria al cardinale, Princeps Eminentissime, dove dice, ribadendo il motivo illustrato nell’antiporta: «potissimum autem observanti mihi admirandum Iovis sydus; contigit in eius
variegato vultu tua ipsius Stemmata recognoscere».
Nel lungo proemio (De istituti ratione), nel quale esterna la stima e
l’affetto fraterno per Cassini ma dove purtroppo non si trova cenno del
consistente contributo del giovane Montanari, Malvasia traccia il piano
dell’opera e cita alcuni dei maggiori compilatori di effemeridi che lo
hanno preceduto, i vari Argoli (spesso criticato), Placido de Titiis e il
solito Montebruno. Seguono, nel classico stile seicentesco, alcune
ampollose e adulatorie poesie la tine e italiane, dedicate al marchese da
Andrea Mariani, dagli stessi Cassini e Montanari e da Giacinto Onofrio.
Finalmente iniziano le vere e proprie effemeridi, precedute da
13
P. LANSBERG , Tabulae coelestium motuum perpetuae, Middlesburg 1632.
L. PEPERONI, M. ZUCCOLI, Vultus Uraniae. Raffigurazioni di Urania nella Biblioteca del
Dipartimento di Astronomia , Bologna 1996.
14
6
Aspetti dell’astronomia del Seicento
numerose informazioni su importanti grandezze astronomiche: i valori
dell’obliquità dell’eclittica, la precessione degli equinozi, la data della
Pasqua, e la previsione delle eclissi di Sole e di Luna.
Le effemeridi planetarie, riferite al periodo 1661-1665 (e non al 1666
come indicato nel titolo dell’opera), vanno dalle pp. 2-149 e, nell’impostazione, non differiscono in nulla da quelle d’altri autori del
tempo. 15 In ogni pagina, che copre un mese, si trovano elencati il motus
diurnus planetarum, mentre in quella a fronte sono riportati gli aspectus
Lunae cum planetis.
Gli argomenti trattati diventano di rilevante interesse storico e
scientifico, quando, a circa due terzi del volume, ci s’imbatte nella
prima novità dell’opera: le effemeridi del Sole di Cassini per gli anni
1661-1665 (novissimae motuum Solis Ephaemerides). Pubblicate qui
per la prima volta, le longitudini del Sole secondo la teoria cassiniana
sono di una precisione mai vista prima, di molto superiore anche alle
Tavole rudolfine di Kepler.
Sempre di Cassini, a pagina 172, abbiamo la tavola delle rifrazioni e
della parallasse solare, anch’esse d’importanza cruciale per l’astronomia della seconda metà del Seicento.
Le rifrazioni sono riferite all’inverno, all’estate ed ai periodi intorno
agli equinozi. Per meglio chiarire l’uso della tavola, Cassini la fa
seguire da undici esempi di calcolo, integralmente sviluppati, basati
sulla sua teoria delle rifrazioni.
Le proprie osservazioni, oltre a quelle, anch’esse riportate nel testo,
di Tycho, Copernico e d’altri, servono a determinare la vera posizione
del Sole, l’altezza dei poli, e la distanza angolare tra i tropici. Ma, per
ottenere risultati coerenti ed esatti, egli dimostra che è indispensabile
apportare la correzione per la rifrazione a tutte le osservazioni
astronomiche. Nell’ultima parte del volume (pp. 187-219) è raccolta
una preziosa messe di decine di posizioni planetarie misurate non solo
al sestante, ma anche con l’ausilio del reticolo.
Infine l’opera si conclude a pagina 220, con una nota esplicativa
illustrante la carta lunare disegnata da Montanari. Solamente in questo
luogo egli è citato, per la prima e ultima volta, tra gli autori dell’opera.
Allegata alle Ephemerides, come tavola fuori testo, l’icon lunaris,
dalle ragguardevoli dimensioni di 38 centimetri, rivoluzionaria nella
concezione e nell’esecuzione (anche l’incisione del rame è opera di
Montanari), è uno dei migliori esempi nel suo genere del Seicento ed
15
Delambre, sicuramente esagerando, dice che Malvasia, dallo stile di presentazione delle
configurazioni celesti delle Ephemerides, non si era ancora affrancato dai pregiudizi astrologici
(J.B. DELAMBRE , Histoire de l’Astronomie moderne, t. II, p. 723, Paris 1821).
7
R. Calanca
«appare di enorme precisione e di fotografica fedeltà nel riprodurre
l’immagine osservata al telescopio». 16
16
M. ZUCCOLI , La dama e l’astrolabio , Atti e Memorie dell’Accademia Nazionale di Scienze
Lettere e Arti di Modena, s. VIII, vol. III, 1999-2000, p. 359, Modena 2001.
8
Aspetti dell’astronomia del Seicento
9
R. Calanca
Ingiustamente trascurata dagli studiosi della superficie lunare, è
tuttora scarsamente conosciuta, in particolare all’estero, e solo
raramente è citata, con il giusto rilievo, nei trattati di storia della
selenografia.17
2. Le alterne fortune delle Ephemerides Novissimae
Negli stessi ambie nti colti di Modena che, tra il Sette e l’Ottocento, si
sono occupati di questioni storico-scientifiche d’interesse essenzialmente locale, i pareri sul vero autore delle Ephemerides furono spesso
assai discordanti.
Pietro Riccardi, docente di geodesia all’Università nella seconda
metà dell’Ottocento, per motivi sinceramente incomprensibili, ritenne
addirittura che l’autore, in toto, dell’opera fosse Giovan Domenico
Cassini. 18
Giuseppe Campori, in uno studio su Montanari dice, al contrario,
al Montanari crediamo altresì attribuire con molta probabilità le
Effemeridi edite sotto il nome di Malvasia.19
Quest’ultima opinione, ripresa anche da Joseph Jérome de Lalande,
figura di spicco dell’astronomia francese nella seconda metà del XVIII
secolo, è riportata nella Bibliographie Astronomique, autentica miniera
di informazioni bibliografiche sulle opere astronomiche pubblicate tra il
XV e la fine del XVIII secolo. Nel commento alle effemeridi
malvasiane, Lalande afferma che il Venturi, professore a Modena,
aveva ritrovato negli archivi bolognesi le prove della molta parte avuta
dal Montanari nella preparazione delle Ephemerides. 20
In Italia quest’opera, nella sua generalità, non fu però mai
particolarmente conosciuta o apprezzata. Uno studioso della locale
Università, Carlo Bonacini, negli anni Venti del secolo scorso, sostenne
17
Si vedano le poche cose scritte su Montanari da: E.A. WHITAKER, Selenography in the
Seventeenth century, The General History of Astronomy, vol. 2°, pp. 119-143, Cambridge 1989; e
da: A. PALUZIE BORRELL, Historia de la Cartografia Lunar, Urania, n. 266, Julio -Diciembre 1967,
pp. 203-271.
18
P. RICCARDI, Biblioteca matematica italiana, p. 276, Modena 1870.
19
Si veda: G. CAMPORI, Notizie e lettere inedite di Geminiano Montanari, in Atti e Mem. Della R.
Dep. Di Storia Patria, vol. VIII, p. 68, Modena 1876.
20
J.J. DE LALANDE , Bibliographie astronomique, Paris 1803. Alle pp. 251-252, a proposito delle
Ephemerides scrive: «Venturi a trouvé dans les archives de Bologne, que Montanari avait travaillé
aux Ephemerides de Malvasia, et im aginé les fils du réticule qu’on avait attribués à Malvasia».
10
Aspetti dell’astronomia del Seicento
addirittura che il volume di Malvasia
non salì in gran fama, né ebbe grandissima diffusione… forse perché
l’Autore, … non era riconosciuto senza riserva da tutti gli astronomi
ufficiali; tanto più che questa era l’unica sua opera di astronomia
vera e propria, e gli altri suoi scritti invece lo lasciavano credere
inquinato di astrologia.21
Credo però che l’affermazione di Bonacini non si possa condividere
totalmente. È noto che, almeno in Francia, patria d’adozione di Cassini,
essa era conosciuta e, sotto alcuni aspetti, apprezzata, anche nel secolo
successivo alla sua pubblicazione.
L’indice di una certa notorietà è riscontrabile, ad esempio, nelle
Histoire de l’Academie Royale des Sciences per l’anno 1673, dove
Fontenelle ricorda che Cassini «avoit posé dans les Ephémerides
Malvasiennes la distance véritable des Tropique de 46° 58’». 22
Tale grandezza angolare, pari al doppio dell’obliquità dell’eclittica,23
la cui esatta definizione riveste un’importanza cruciale per i calcoli
astronomici, trovò conferma dalle osservazioni celesti eseguite da Jean
Richer24 a Cayenna nel 1672. Nel corso dell’elaborazione dei dati
raccolti da Richer, Cassini riprende i valori delle longitudini solari,
pubblicate nelle Ephemerides, che adatta e aggiorna per un confronto
con le altezze meridiane dell’astro rilevate a Cayenna.25
Il già citato Lalande, alla voce effemeride di un dizionario allora
molto in voga e che ebbe anche una traduzione italiana, scrive:
quelle del Malvasia, stampate a Modena nel 1662, si estendono dal
1661 al 1666; elle avevano anche il merito di essere fatte con somma
diligenza, ed il celebre Cassini le arricchì delle sue osservazioni26 e
delle sue Tavole. 27
21
C. BONACINI, Una carta lunare di Geminiano Montanari, Nel Primo Centenario della
Fondazione dell’Osservatorio, p. 6, Modena 1927.
22
Histoire de l'Académie Royale des Sciences, depuis son Etablissement en 1666 jusqu'à 1696,
tomo I, p. 111, Paris 1733.
23
C. MALVASIA , loc. cit., p. 185
24
J. RICHER, Observations faites en Cayenne, Memoires de l'Académie Royale des Sciences
depuis 1666 jusqu'à 1699, tomo VII, premiere partie, pp. 1-94, Paris 1729.
25
G.D. CASSINI, Les elemens de l’astronomie, in Memoires de l’Academie Royale des Sciences
depuis 1666 jusqu’à 1699, t. VIII, pp. 97-99 , Paris 1730, si legge: «nous nous servirons des
mesmes calculs qui furent faits par M. le Marquis Malvasie sur nos tables pour l’an 1663 au
Meridien de Bologne…».
26
In realtà, Cassini riporta alcune sue osservazioni astronomiche solamente negli esempi che
seguono la tavola delle rifrazioni.
27
A.B. BOSSUT, J.J. LALANDE et alt., Dizionario Enciclopedico delle Matematiche, t. II, pp. 241242, Padova 1800.
11
R. Calanca
Nella sua famosa Histoire, anche J.F. Montucla ha parole di elogio
per Malvasia:
le marquis de Malvasia, noble Bolonois, et qui réunissoit en même
temps tres qualités qui se trouvent rarement ensemble, celles de
sénateur, et de savant.28
Non sempre però i giudizi degli astronomi del Settecento furono così
favorevoli.
Philippe de la Hire, astronomo francese, membro dell’Académie
Royale agli inizi di quel secolo, parla a lungo, in termini critici, di
alcuni aspetti delle Ephemerides in una memoria, letta all’Académie il
23 giugno 1717, riguardante le invenzioni del micrometro, degli orologi
a pendolo e dei cannocchiali. 29
Il tono di de la Hire è polemico e spesso indisponente. Esprime
riserve e lascia trasparire accuse, neppure tanto velate, di presunte
scorrettezze. Insinua, addirittura, un probabile plagio di Malvasia ai
danni del grande astronomo e fisico olandese Christian Huyghens.
Egli rileva che, alle pp. 193-194 delle Ephemerides, dove è descritta
una presunta osservazione del satellite di Saturno,30 Titano, del 3 luglio
28
J.E. MONTUCLA, Histoire des mathematiques, nouv. ed., t. II, p. 568, Paris 1799-1802.
P. DE LA HIRE, Recherche des dates de l'Invention du Micromètre, des Horloges à Pendules et
des Lunettes d'Approche, Mémoire de l'Académie Royale des Sciences pour l’année 1717, pp. 7887, Paris, 1719.
30
C. MALVASIA , loc. cit., pp. 193-194. Riportiamo nel seguito la traduzione dell’intero passo
contestato: «mentre osservavamo Saturno col telescopio, per mostrare ad alcuni amici l’immagine
di questo, forse abbiamo scoperto che nei suoi pressi appariva una piccola stella, impercettibile ad
occhio nudo [si trattava della stella HD 144925 di magnitudine 7.9]. Essa sembrava aderire
all’anello più esterno di Saturno, visibile ad occidente e cioè ad oriente (il tubo ottico rovescia
infatti l’immagine), così strettamente da farci dubitare se ci fosse o meno. Era a tal punto immerso
nello splendore di Saturno, da apparire quasi completamente sottratta allo sguardo (come vedi nel
disegno). Dubitando che questa stella fosse quel satellite orbitante che, “compagno assiduo” di
Saturno, molti dicono di aver scoperto col proprio telescopio, e che in un altro momento a Firenze
anche noi abbiamo osservat o col telescopio, eccezionale per capacità di ingrandimento ed
immagine, del solerte ed ingegnosissimo Candido del Buono nobile fiorentino, uomo di non poca
cultura astronomica e matematica, osservatore attento della volta celeste; lui, che si era costruit o
quel telescopio con le sue mani, se non sbaglio di circa 18 piedi romani di lunghezza. Questo
stesso satellite lo abbiamo osservato talvolta (come si dirà oltre) anche attraverso i nostri telescopi,
che noi pure ci siamo costruiti, di 22 piedi di lunghezza. Sebbene si siano fatte molte osservazioni,
noi non le mostriamo poiché queste richiedono maggiore attenzione ed assiduità, mentre ci
stavamo invece occupando di altri studi. Perciò abbiamo ritenuto più vantaggioso, nel frattempo,
abbandonare questo compito per non procrastinare oltre la pubblicazione delle Effemeridi e per
poterci meglio accertare se quello che osservavamo era una stella fissa o un satellite, attraverso lo
studio del moto diurno di questo corpo e dello stesso Saturno e dal confronto della sua posizione
con altre stelle fisse. Con le osservazioni che seguiranno la pubblicazione delle prime, potremo
29
12
Aspetti dell’astronomia del Seicento
1662 (in realtà si trattava di una stella molto vicina al pianeta, due volte
più luminosa di Titano), Malvasia non cita lo scopritore di tale satellite,
il grande fisico e astronomo olandese Huygens. De la Hire sostiene che
egli non poteva ignorare, e quindi passare sotto silenzio, questa
scoperta perché l’opera31 che la descriveva, pubblicata nel 1659 e
dedicata a Leopoldo de’ Medici, aveva avuto grande risonanza anche in
Italia. Credo che l’omissione sia spiegabile tenendo presente che le
ricerche di Huygens su Saturno, in particolare sulla natura e forma dei
suoi anelli e la scoperta di Titano, sollevarono un autentico vespaio di
polemiche. Lo stesso Leopoldo de’ Medici, in un primo tempo, non
accettò la dedica di Huygens per non offendere nessuna delle parti
coinvolte nella disputa (gli avversari dell’olandese erano il padre
Onorato Fabri e l’inge-nuo ottico italiano Eustachio Divini).
Divini, tra l’altro, rivendicava a favore di Francesco Fontana,
costruttore napoletano di cannocchiali, la priorità della scoperta di
innumerevoli satelliti di Saturno, in contrapposizione a quella vantata, a
suo parere ingiustamente, dall'Huygens, che vi sarebbe giunto con un
ritardo di ben dieci anni. È un vero peccato che le millantate ‘scoperte’
di Fontana fossero delle autentiche “bufale”.
Il clima era tanto rovente che, in uno scritto contro i suoi oppositori,
Huygens definì il Divini «vilem vitrarium artificem» (che, in una libera
traduzione moderna, si può rendere con un: «ottuso gratta-vetri»). È
probabile che Malvasia, marchese di Bismantova e noto cultore e
mecenate delle lettere e delle arti, volesse rimanere ai margini di una
polemica ormai degenerata al livello di una disputa da taverna. Egli,
prudentemente, rimase nel vago:
[…] quel satellite orbitante che, “compagno assiduo” di Saturno,
‘molti’ dicono di aver scoperto col proprio telescopio.
De la Hire prosegue nelle sue contestazioni e, in un passo successivo
della sua memoria, rifiuta l’attribuzione dell’invenzione del reticolo a
fili fissi a Malvasia (ancora una volta il nome di Montanari non appare).
A sostegno della sua tesi, descrive brevemente il reticolo malvasiano:
offrire uno studio più approfondito riguardo ciò. Avendo dei sospetti su questo [satellite] e allo
stesso tempo per non perdere l’occasione, se anche ci fosse stata una stella fissa (come veramente
era), di esplorare con più attenzione la posizione di questo e il moto di Saturno, abbiamo
cominciato un’indagine più attenta del luogo del pianeta e abbiamo analizzato le distanze non una
volta o due, non con un solo strumento, ma più e più volte e da lì abbiamo annotato quelle che più
spesso e più frequentemente si ripetevano». (Traduzione di Sofia Petrantonakis).
31
C. HUYGENS, Systema Saturnium, Hagae-Comitis 1659.
13
R. Calanca
«il fait un chassis ou un Reticule avec des filets d’Argent très déliées»,
e il modo impiegato dal marchese (leggasi: Montanari) per determinare
la separazione angolare tra i fili, per mezzo di un orologio a pendolo
che scandisce il secondo e del tempo impiegato da una stella a
percorrere lo spazio tra una coppia di tali fili.
Prima afferma che questo misuratore angolare è simile al micrometro
di Auzout e Picard, apparso però solo nel 1666 ma, non potendo, per
motivi di ovvia decenza, retrodatare il reticolo dei due astronomi
francesi, cerca di dimostrare che, in realtà, quello di Malvasia discende
dallo strumento inventato da Christian Huyghens, che se ne servì nel
1659 per misurare il diametro di alcuni pianeti. Egli è certo che vi sia
assai poca differenza tra il dispositivo di Huygens e quello descritto
nelle Ephemerides, e conclude che quest’ultimo «ne peut pas passer
pour une découverte».
Invece, la stessa memoria di de la Hire (e la lettura del Systema
Saturnium lo conferma pienamente) dimostra che il misuratore di Huygens, basato su di «un objet qu’il appelle virgula »,32 è qualcosa di
totalmente diverso dal reticolo: una specie di mascherina da inserire nel
piano focale dell’oculare che, occultando il disco planetario, ne
consente la misura. La rivendicazione dell’invenzione a favore
dell’astronomo olandese, appare priva di qualsiasi consistenza perché
riferita a due strumenti tra loro concettualmente assai diversi e non
confrontabili. La virgula di Huygens, poco adatta a misure di precisione
e che produceva, sul suo bordo, un fastidiosissimo e deleterio effetto di
diffrazione della luce, non ebbe, in seguito, alcun altro estimatore. La
reticola di Montanari, invece, opportunamente adattata e migliorata, fu
per secoli lo stru-mento principe degli astronomi.
Infine, de La Hire conclude contro le Ephemerides, parlando dell’orologio a pendolo che, per Malvasia, è un’invenzione della scuola
fiorentina di Galileo. L’orologio di Malvasia, regolato sulle vibrazioni
di un pendolo, «seguendo la maniera inventata a Firenze già da qualche
anno»,33 aveva un quadrante composto da tre cerchi, il più grande dei
quali disponeva di una lancetta che compiva un giro completo in sei
minuti. Un altro cerchio era diviso in dodici ore e, infine, l’ultimo
divideva l’ora in minuti.
L’astronomo francese attribuisce, ancora una volta, il merito
esclusivo dell’invenzione dell’orologio a pendolo all’onnipresente
32
33
P. DE LA HIRE , loc. cit., p. 80.
C. MALVASIA , loc. cit., p. 196.
14
Aspetti dell’astronomia del Seicento
Huygens, che ne parla nel suo Horologium34 del 1658. Forse
deliberatamente,
dimentica il lavoro teorico e pratico di Galileo e di suo figlio
Vincenzio, che portò alla costruzione di due modelli di orologio a
pendolo. Inoltre, sorvola sui meriti riconosciuti dallo stesso Huygens
che, secondo Vincenzo Viviani, «fa di queste invenzioni gratissima
testimonianza a favore del medesimo Galileo». 35
Anche in questo caso, avendo sotto gli occhi la famosa lettera di
Viviani a difesa dell’invenzione galileiana, riconosciuta come storic amente esatta,36 non possiamo condividere le argomentazioni del de la
Hire a favore del solo Huygens quale unico artefice dell’orologio a
pendolo.
È innegabile che le due citate invenzioni abbiano avuto tra i
principali artefici Huygens, uno dei più fertili ingegni scientifici del
Seicento ma, d’altro canto, non possiamo tacere la sensazione che egli
sia stato particolarmente sensibile e ricettivo nei confronti delle idee
sviluppate nell’ambiente fiorentino nei due decenni successivi alla
morte di Galileo, per poi genialmente svilupparle in alcune sue
importanti opere successive.
Il primo prototipo di reticolo apparso in Italia è quasi certamente
dovuto al tanto vituperato Eustachio Divini che, nel 1649, aveva fatto
dono a Leopoldo de’ Medici di una selenografia disegnata con
l’apporto di quello strumento. Grazie agli ottimi rapporti con la signoria
fiorentina e alle sue importanti frequentazioni italiane, Huygens era
sicuramente informato sia dell’esistenza del reticolo sia degli
importanti esperimenti di Vincenzio Galilei con gli orologi a pendolo. È
quindi possibile che le suddette invenzioni abbiano avuto una storia
esattamente opposta a quella polemicamente raccontata dal de la Hire.
Purtroppo, gli stessi argomenti dell’astronomo francese, tesi a
denigrare le caratteristiche di originalità del reticolo descritto nelle
Ephemerides, furono ripresi, senza nessuna variazione, anche da Bailly
nella sua celebre Histoire de l’Astronomie e da Delambre nella sua
altrettanto nota Histoire.
Bailly, dopo erudite considerazioni, è costretto però ad ammettere che:
cet instrument avoit un avantage que n’eut point la lame d’Huygens,
c’est que tout le champ de la lunette étoit partagé en partie connues,
34
C. HUYGENS, Horologium , Hagae Comitum 1658.
V. VIVIANI, Lettera di Vincenzio Viviani al Principe Leopoldo de’ Medici intorno all’applicazione del pendolo all’orologio , Scienziati del Seicento, a cura di M.L. Altieri Biagi e B. Basile,
Milano-Napoli 1970.
36
S.A. BEDINI, Galileo Galilei and Time measurement, Physis, fasc. 2, vol. 5, (1963), pp. 145-165.
35
15
R. Calanca
et que lorsque deux étoiles s’y rencontroient en même tems, leur
dis tance mutuelle pouvoit être évaluée. 37
Lalande è certamente assai più obiettivo di de la Hire e Bailly quando
afferma, a proposito della contestata invenzione:
ma s’ei [Malvasia e non, purtroppo, Montanari] fu imitatore; fu egli
stesso non meno imitato, poiché si può credere fondatamente che il
micrometro di Malvasia abbia dato ad Auzout l’idea del suo.38
La più dettagliata analisi delle Ephemerides ci viene dal Delambre
che, dopo una discussione sulle tavole solari cassiniane e della sua
teoria della rifrazione astronomica, ricade nella trita, spocchiosa e
ormai secolare critica a Malvasia, ripetuta con le stesse consunte parole
di de la Hire e di Bailly, sulla priorità dell’invenzione del reticolo.
Ricordiamo, infine, che succinte notizie del reticolo di Montanari, si
trovano già in un eruditissimo lavoro scientifico pubblicato solamente
tre anni dopo l’uscita delle effemeridi malvasiane, l’Astronomia
Reformata , del famoso gesuita Giovan Battista Riccioli, ferrarese
d’origine ma che visse a lungo nel collegio dell’ordine di Bologna.
In un passo egli riporta la già citata misura della distanza angolare di
una stella prossima a Saturno, avvenuta la sera del 4 luglio 1662,
eseguita da Montanari con il suo reticolo micrometrico applicato al
cannocchiale. Ric cioli la commenta con queste parole:
…per Tubum Opticum crate argentea munitum ad intervalla minora
determinanda,…visa est Stellula quaedam Fixa distare à Saturni
limbo orientali insensibiliter39
e rimanda, per maggiori dettagli sullo strumento, alle Ephemerides.
Nell’Astronomia Reformata non mancano però fastidiose tracce di
piccole bassezze e di meschine rivalità professionali, che, a mio parere,
ebbero come bersaglio anche Montanari. L’atteggiamento del Riccioli
nei confronti del giovane e non ancora affermato studioso modenese, da
poco entrato nello Studio bolognese su raccomandazione di Malvasia,
era indubbiamente di scarsa considerazione. Inoltre, agli occhi di
Riccioli, si aggiungeva l’aggravante dell’affettuosa amicizia che
sempre unì Montanari e Cassini, quest’ultimo rivale del gesuita nella
37
38
39
J.S. BAILLY , Histoire de l'Astronomie moderne, tomo II pp. 266-267, Paris 1785.
A.B. BOSSUT, J.J. LALANDE et alt., loc. cit., t. IV, p. 40, Padova 1800.
G.B. RICCIOLI , Astronomia reformata , tomo I, p. 286, Bononiae, 1665
16
Aspetti dell’astronomia del Seicento
controversia sulla teoria della rifrazione astronomica, che riprese vigore
proprio dalle pagine dell’Astronomia Reformata . Così, nel primo
capitolo del libro X, tomo I, intitolato De Modis Observandi Diametros
Fixarum et Planetarum, Riccioli riporta in dettaglio ben undici modi
diversi per misurare il diametro dei pianeti e delle stelle.
In queste pagine, secondo il suo stile spesso pedante e cavilloso,
descrive anche tecniche ormai desuete o di difficile applicazione che
probabilmente non sperimentò in prima persona. Si dilunga su tutti, o
quasi, i metodi astronomici per le misure angolari allora conosciuti,
proposti in tempi diversi da Galileo, Hevelius, Martin Hortensius ed
altri. Dà spazio, con belle parole, all’interessante sistema di Francesco
Maria Grimaldi per determinare il diametro delle stelle che, a questo
scopo, era solito tirare dei fili “davanti” alla lente obiettiva del
cannocchiale.40 Infine, come ultimo metodo, riporta il lungo passo,
tratto dal Systema Saturnium di Huygens, che descrive la virgula sulla
quale ci siamo a lungo soffermati. Ingiustamente, però, ignora la
reticola di Montanari che, invece, in mezzo a tanti sistemi di misura,
spesso scarsamente efficaci, avrebbe assai ben figurato.
3. I primi osservatori astronomici in Europa e la specola di Panzano
Dopo il lunghissimo periodo medievale, che in occidente fu
contrassegnato da un’estrema povertà di osservazioni e ricerche
astronomiche originali, nella seconda metà del XV secolo si nota
finalmente un risveglio d’interesse per l’astronomia teorica e pratica.
A Norimberga nel 1471, il matematico e astronomo Johannes Müller,
detto Regiomontano, insieme a Bernard Walther, ricco mercante
appassionato di astronomia, fondò il primo osservatorio astronomico
moderno, con numerosi strumenti41 che però poco si discostavano, nella
progettazione e realizzazione, da quelli descritti da Tolomeo
nell’Almage-sto oltre mille anni prima.
Nella nuova specola, Regiomontano scoprì la cometa del 1472, la
stessa che alcuni secoli più tardi porterà il nome di Edmond Halley. A
40
G.B. RICCIOLI, loc. cit., tomo I, p. 354. Riccioli dice che Grimaldi: «solitus est extensis filis
supra lentem obiectivam dividere capacitatem tubi». Questo passo può forse aver contribuito a
convincere il Prof. Giorgio Tabarroni che anche Grimaldi, nel disegnare la sua selenografia,
apparsa nell’Almagestum di Riccioli, abbia fatto uso di un reticolo, sia pure non convenzionale. Si
veda: G. TABARRONI, Bologna e la carta della Luna, Culta Bononia, n.1, Bologna 1969, nota n. 4,
p. 102.
41
Sono descritti nell’opera di REGIOMONTANO , De torqueto , Norimbergae 1544.
17
R. Calanca
seguito della prematura scomparsa di Regiomontano avvenuta a soli
quarant’anni, Walther proseguì da solo le osservazioni astronomiche,
fino alla sua morte nel 1504. Egli introdusse nuove importanti tecniche,
in particolare perfezionò i metodi di misura della longitudine dei
pianeti, attraverso la determinazione della loro distanza da due stelle
luminose, poi convertite, per via trigonometrica, in separazione
angolare dal punto vernale.
Di nuovo a Norimberga, alla metà del Cinquecento, il Langravio
Guglielmo IV, fondò un osservatorio dove lavorarono gli astronomi
Rothman e Byrge. Le osservazioni astronomiche ivi effettuate tra il
1561 e il 1592 furono considerate le migliori dell’epoca insieme a
quelle di Tycho Brahe.
L’astronomia pre-telescopica raggiunse il suo apice nelle specole di
Tycho Brahe sull’isola di Hven al largo della Danimarca, Uraniborg e
Stellaborg. Esse disponevano di strumenti di rara perfezione, progettati
dallo stesso Tycho che, nel corso di vent’anni con l’aiuto dei suoi
allievi fra cui J. Kepler, raccolse una straordinaria messe di dati
planetari, che in seguito si rivelarono fondamentali, nei calcoli di
Kepler, per l’af-fermazione dell’astronomia copernicana.
L’astronomo danese, dalle sue osservazioni, ricavò un catalogo
stellare di alta precisione, composto da 777 stelle, che finalmente
soppiantava quello, ormai superato, di Tolomeo.
E poi ancora la scoperta dell’ineguaglianza della Luna da lui detta
variazione, la scoperta delle ineguaglianze del movimento dei nodi e
dell’inclinazione dell’orbita lunare; l’importante precisazione che le
comete si muovono ben al di là di quest’orbita; una conoscenza più
precisa delle rifrazioni astronomiche […]. Questi i principali meriti
di Tycho Brahe. 42
Dopo l’invenzione del cannocchiale, in alcuni paesi europei
iniziarono a diffondersi le specole ampiamente dotate del nuovo
strumento. Tra esse spicca quella di Johannes Hevelius,43 grande
osservatore di comete e della superficie lunare. Ubicata sulla terrazza
della sua casa di Danzica, entrò in attività nel 1641. Era un’istituzione
talmente famosa che quando, per una grave disattenzione di un
servitore, bruciò interamente il 26 settembre 1679, Luigi XIV contribuì
42
P.S. LAPLACE, Compendio di storia dell’astronomia , Opere, (a cura di O. PESENTI
CAMBURSANO), p. 601, Torino 1967.
43
J. HEVELIUS, Machina coelestis, Gedani 1673.
18
Aspetti dell’astronomia del Seicento
alla sua ricostruzione con una donazione di 2000 scudi. 44
La specola disponeva di sestanti e di quarti di cerchio in metallo di
grandi dimensioni, e di numerosi cannocchiali costruiti dall’Hevelius
stesso, il maggiore dei quali, il maximus tubus,45 realizzato su progetto
dell’ottico italiano Tito Livio Burattini, aveva una lunghezza focale
mostruosa: 46 metri.
Ma è con la fondazione dell'Observatoire Royal di Parigi,46 nel 1667,
che hanno inizio gli osservatori moderni. 47 Lalande lo definiva, con
tipica e, tutto sommato, giustificata grandeur, come «il più sontuoso
monumento che sia mai stato consacrato all'astronomia». 48
Nel periodo compreso tra l’edificazione della specola di Hevelius e
l’Observatoire parigino, intorno al 1650, sorse, anche se con
caratteristiche più modeste, l’osservatorio astronomico del marchese
Cornelio Malvasia all’interno della bella Villa di Panzano nei pressi di
Castelfranco Emilia, a metà strada tra Bologna e Modena (fig. 3).
Il conte bolognese Carlo Antonio Manzini, apprezzato cultore di
ottica e astronomia, in un suo scritto del 1650, Sulla declinazione
dell’ago magnetico del meridiano, dedicato a Cornelio Malvasia, non
mancava di far notare che
nel sontuoso palazzo della villa di Panzano si fabbricassero strumenti
regii per fare osservazioni celesti con spese e diligenza.
Collocato sul torrione centrale, crollato alla fine del XIX secolo per
l’eccessiva quantità di grano immagazzinata, e inizialmente
scarsamente dotato di strumenti astronomici, l’osservatorio ospitò, tra il
dicembre 1652 e il gennaio 1653, Giovan Domenico Cassini.
Nel corso di quei freddi mesi invernali, Cassini eseguì numerose
osservazioni della famosa cometa apparsa da pochi giorni e, a beneficio
del duca Francesco I d'Este, le faceva stampare da tipografi fatti venire
da Modena. Nella sua autobiografia Cassini lamentava il pessimo stato
in cui versava la strumentazione astronomica della specola.49 A causa di
ciò, durante le osservazioni, egli dovette limitarsi a prendere le
44
J. DE LALANDE , Astronomie, p. xxvj, Paris 1792.
G. MONACO , Alcune considerazioni sul “maximus tubus” di Hevelius, Nuncius, anno XIII,
1998, fasc. 2, pp. 533-550.
46
P.C. LE MONNIER, Histoire Celeste, ou recueil de toutes les observations astronomiques faites
par ordre du Roi, Paris 1741; J.F. WEIDLER, De praesenti specularum astronomicarum statu ,
1727.
47
J.J. DE LALANDE , loc. cit., § 511, 520.
48
J.J. DE LALANDE , loc. cit., p. xxxj.
49
J.-D. CASSINI, loc. cit., p. 265.
45
19
R. Calanca
posizioni della cometa rispetto ad alcune stelle fisse.
A contraddire in parte queste lamentele, Cassini, in un altro suo
lavoro sui satelliti medicei, scritto in tempi più vicini agli avvenimenti
descritti, annota, con belle parole, che nel 1652 il marchese Malvasia
disponeva di un buon telescopio di Torricelli. 50
Le osservazioni planetarie del 1662, nonché la bellissima carta lunare
di Montanari, che troviamo nelle Ephemerides Novissimae, si fecero sia
a Modena sia a Panzano. Montanari ebbe anche in progetto la
realizzazione di una grandiosa meridiana per l’osservazione delle stelle,
da erigere tra la torre settentrionale e quella centrale della Villa
malvasiana.
La specola, detta dal Cassini, con evidente esagerazione, Italico
Uraniborgo, cessò di esistere alla morte di Malvasia, avvenuta nel
marzo del 1664. Nel dicembre dello stesso anno, Geminiano Montanari,
che da Modena si stava recando a Bologna, entrò nella Villa su invito di
uno degli eredi del marchese per osservare una cometa che,
luminosissima, si stagliava nel cielo della sera, ma trovò la specola
priva di strumenti astronomici. 51
Malvasia, sempre intorno al 1650, realizzò una seconda specola nella
sua dimora modenese, forse l’attuale palazzo Campori. Nelle
Ephemerides si legge che nel giardino erano installati un quadrante in
bronzo, un sestante ligneo di otto piedi di raggio, 52 alcuni lunghi
cannocchiali e un orologio a pendolo che batteva i secondi.
4. Le effemeridi astronomico-astrologiche tra il XV ed il XVII secolo
Le tavole astronomiche, definite da Delambre le «chef-d’œuvre de
l’Astronomie», 53 e le effemeridi planetarie che da queste si ricavano,
50
G.D. CASSINI, Ephemerides Bononienses Mediceorum Syderum , proaemium, Bononiae 1668.
G. MONTANARI, Cometes Bononiae observatus anno 1664 et 1665, p. 6, Bononiae 1665. Ecco lo
sconsolato commento di Montanari: «…atqui nullum ibi amplius Instrumentum, ex numerosa
suppellectile, quam olim Illustriss. et Excellentiss. D. Marchio Cornelius Malvasia, gloriosae
memoriae, in sua Turri illa Astronomica locaverat, reperire datum est; Aeneis, siquidem, aloirsum
ad mentem Testatoris transmissis; ligneis aut deperditis, aut devastatis; sicque opus fuit oculo
tantum nudo…».
52
C. MALVASIA , loc. cit., p. 187. Nel Proemium de Instituti Ratione, scrive: «observatoriam
speculam edito loco iuxta Mutinenses muros domi meae propriores permittente Serenissimo
Alphonso Duce fel. mem., qui summam ex his studiis oblecationem capiebat, aere proprio
construxi, ac Instrumentis ad Stellarum distantias, altitudinesq; ex aere, selectoq; ligno munivi,
tum et pluribus Telescopiis pedum viginti longitudinem excedentibus,…., et horologio singula
minuta secunda exhibente penduli motu regulato».
53
J.B. DELAMBRE, Histoire de l'Astronomie moderne, t. II, p. 503, Paris 1821.
51
20
Aspetti dell’astronomia del Seicento
sono un sussidio importante per l’osservazione del cielo. La loro
compilazione fu, in ogni tempo, particolarmente complessa,
dipendendo da due delicati fattori: l’osservazione accurata del cielo e la
conoscenza di teorie esatte dei moti planetari.
Da Tolomeo, II secolo d.C., all’epoca moderna si sono prodotte una
cospicua quantità di tavole: da quelle islamiche di al-Khwarizmi e di alBattani, a quelle occidentali: le Tavole alfonsine, pruteniche e le
rudolfine del XVII secolo.
Le prime effemeridi planetarie di sicuro interesse scientifico, basate
sulle Tavole alfonsine, sono quelle pubblicate da Regiomontano54 nel
1474, che coprivano gli anni dal 1475 al 1506. In queste effemeridi
erano calcolate, per ogni giorno dell’anno, le longitudini e le latitudini
dei pianeti e la predizione delle eclissi di Sole e di Luna.
Le Tavole alfonsine,55 volute da Alfonso X re di Castiglia, furono
compilate da un nutrito gruppo di studiosi arabi ed ebrei, guidati dal
rabbino della sinagoga di Toledo Isaac Aben Sid. Alfonso, detto il
Saggio, che non aveva esitato a spendere l’enorme cifra di quarantamila
ducati per quest’opera monumentale ma che forse aveva fondate riserve
sui moti planetari tolemaici, enormemente complicati da epicli ed
equanti, amava dire:
se Dio mi avesse consultato nel momento della creazione, avrei
potuto dargli dei buoni consigli.
Apparse nel 1252, esse si rifacevano a quelle antiche di Tolomeo
contenute nell’Almagesto, senza però migliorarne né la teoria né la
previsione delle posizioni planetarie. Le uniche modifiche di rilievo alle
tolemaiche, riguardano una più precisa determinazione della durata
dell’anno solare e una migliore definizione della precessione degli
equinozi.
Alle tavole alfonsine si appoggiò anche l’astrologo tedesco Joannes
Stoeffler, professore di matematica a Tubinga nel 1516 che, in
collaborazione con Joannes Pflaumen, pubblicò delle effemeridi56
essenzialmente rivolte a suoi colleghi astrologi. Stoeffler, che si occupò
con un certo successo della riforma del calendario, è pure noto per aver
54
J. REGIOMONTANUS, Ephemerides astronomicae, ab anno 1475 ad annum 1506, Norimbergae
1474; J.-S. BAILLY, Histoire de l'Astronomie moderne, t. I, p. 687, Paris 1785.
55
La prima edizione a stampa, con il commento di Giovanni di Sassonia, porta il titolo: Alphonsi
regis Castellae. coelestium motuum Tabulae, Venezia 1483.
56
J. STOEFFLER, J. P FLAUMEN, Almanach nova plurimus annis venturis inservienta, ab anno 1521
ad annum 1531, Venetiis 1521.
21
R. Calanca
annunciato un nuovo diluvio universale 57 per il 19 febbraio 1524, a
causa della grande congiunzione di Giove e Saturno nel segno dei
Pesci. La teoria delle congiunzioni planetarie, elaborata dallo studioso
arabo Abu Mashar e nella quale Stoeffler riponeva la massima fiducia,
considerava questi spettacolari fenomeni celesti capaci di determinare i
grandi accadimenti della storia dell’umanità:
è una teoria con evidenti riflessi nella visione storica e nell’idea del
fiorire e decadere dei regni e delle religioni. Collegando inoltre
astrologia e profetismo, la teoria delle grandi congiunzioni denuncia
la tendenza a ridurre al minimo i margini di libertà e di iniziativa per
l’uomo.58
L’annuncio del diluvio, fortunatamente seguito da un mese di
febbraio ovunque insolitamente secco, gettò il terrore in tutta l’Europa e
procurò non poco discredito all’intera categoria degli astrologi.
Girolamo Cardano, famoso matematico, medico ed astrologo,
infuriato, accusò Stoeffler di incompetenza. A parere di Cardano,
l’errata previsione, dovuta alla scarsa conoscenza della “fisica” da parte
dell’astrologo tedesco, non poteva essere considerata che un puro e
semplice incidente di percorso. Esso non doveva far dimenticare i
grandi meriti che, a suo dire, l'astrologia poteva vantare,59 e qui non
dimentichiamo i vari processi subiti dal Cardano.
Non mancavano, anche in Italia, gli astrologi disposti a condividere
con entusiasmo queste previsioni apocalittiche. Una delle figure più
rappresentative della categoria fu Luca Gaurico, vissuto tra la seconda
metà del Quattrocento e i primi decenni del secolo successivo, anche
lui, medico e matematico di fama.
Nel suo pronostico del 1507 riprende gli argomenti, condividendoli,
di Stoeffler sulla congiunzione del 1524 per poi ritrattare spudoratamente alla fine del 1524, chiamando “falsa” la previsione del diluvio da
57
L. MORERI, Le grand dictionnaire historique, tomo VII, p. 777, Paris 1748; P. BAYLE,
Dictionaire historique et critique, tomo V, pp. 245-248, cinquiéme édition, Paris 1734; J.B.
DELAMBRE , Histoire de l'Astronomie du moyen Age, pp. 373-375, Paris 1819.
58
R. MARCHI, loc. cit., p. 30; Si veda anche: I.P. COULIANO, Eros e magia nel Rinascimento, pp.
6-11, pp. 265-271, Milano 1987.
59
G. CARDANO , Opera Omnia, tomus quintus, quo continentur astronomica, astrologica, oniro
critica, Aphorismor Astronomic., p. 76, Lugduni 1663. Dell’errore di Stoeffler così parla Cardano:
«haec est illa syderum constitutio [si riferisce all’annesso grafico astrologico della configurazione
planetaria del 20 febbraio 1524], in qua Stoflerinus vituperio exposuit astrologos. Existimans enim
diluvium portendi eo tempore, quo maxima fuit serenitas, magnam calamitatem mortalibus
pronunciavit».
22
Aspetti dell’astronomia del Seicento
lui stesso appoggiata fino a non molti anni prima.
Gaurico, almeno in parte, riscattò la propria immagine scie ntifica
quando, nello stesso anno del “diluvio”, curò una nuova importante
edizione delle Tabulae directionum di Regiomontano e, nel 1533,
un’Ephemerides, basata sulle alfonsine, di cui tra poco ci occuperemo.60
L’estroso astrologo boemo Cyprien Leowitz, corrispondente di
Tycho Brahe, fu autore di un’effemeride 61 che copre un periodo di
cinquant’anni (1556-1606), basata sulle tavole alfonsine modificate da
Regiomontano.
Senza remore, Leowitz rivaleggiò con Stoeffler e Gaurico, nella
formulazione di previsioni astrologiche apocalittiche, la più
improbabile delle quali è la fine del mondo prevista per il 1584 a causa
della congiunzione di Giove e Saturno, di nuovo nella costellazione dei
Pesci. Con ammirevole lucidità e coerenza Leowitz scrive che, siccome
il mondo ha avuto inizio durante una congiunzione dei due pianeti nel
trigono del fuoco, esso doveva finire nel trigono d’acqua del 1584. Al
solito, la previsione gettò il terrore in diversi luoghi d’Europa, tanto che
molti, dopo aver espresso le loro ultime volontà, si fecero impartire
l’estrema unzione.
Nel 1551, l’astronomo tedesco Erasmus Reinhold pubblicava le
Tavole Pruteniche,62 dedicate ad Alberto duca di Prussia. Esse erano
fondate sul De Revolutionibus di Copernico, dato alle stampe pochi
anni prima, e sulle osservazioni, ormai fin troppo datate, di Ipparco e
Tolomeo.
In quest’opera fondamentale, Reinhold indica tre modi per calcolare
le posizioni in longitudine, conoscendo, del pianeta, il movimento dell’apogeo, la variazione dell’eccentricità dell’orbita e l’ineguaglianza
della precessione. Egli assegna poi all’anno una durata di 365 giorni, 5
ore 55 minuti e 58 secondi, basandosi sulla combinazione di
osservazioni tolemaiche e copernicane. Questo valore servì
successivamente per la riforma del cale ndario gregoriano. Sempre in
Germania, furono assai apprezzate le effemeridi planetarie di David
Tost, detto Origanus, professore di matematica e di greco all’università
di Francoforte sull’Oder,63 relative al periodo 1595-1654.
Queste effemeridi,64 come quasi tutte quelle pubblicate tra il XVI e il
60
L. GAURICO , Ephemerides recognitae et ad unguem castigatae, Venetiis 1533.
C. LEOWITZ, Calculus Ephemeridum LI Annorum numeratus ad Meridianum inclytae Urbis
Imperialis Augustae Vindelicorum , Augustae Vindelicorum 1557.
62
E. REINHOLD , Prutenicae tabulae coelestium motuum, Wittenberg 1551.
63
L. MORERI, loc. cit., tomo VI, p. 512.
64
D. ORIGANUS, Ephemerides Brandeburgicae coelestium motuum et temporum ecc., incipientium
61
23
R. Calanca
XVII secolo, hanno un basso livello di precisione e, ad un lettore
moderno, appaiono come un ingarbugliato miscuglio di calcoli planetari
finalizzati all’astrologia, basati su Tavole concettualmente assai diverse.
Origanus, infatti, effettua un doppio calcolo delle longitudini del Sole
e della Luna seguendo i dettami di Tycho Brahe e delle Tavole
pruteniche.
Nel sistema di Brahe… la Terra è di nuovo ferma nel centro
geometrico di una sfera stellare, la cui rotazione quotidiana spiega i
circoli giornalieri delle stelle… i circoli della Luna e del Sole sono
centrati sulla Terra… ma il cento delle altre cinque orbite planetarie è
trasferito dal centro della Terra al Sole. Il sistema di Brahe
rappresenta un ampliamento, per quanto forse inconsapevole, del
sistema di Eraclide, che attribuiva a Mercurio e a Venere orbite
centrate sul Sole. Il sistema ticonico risulta, dal punto di vista
matematico, esattamente equivalente a quello copernicano… [esso]
non convinse quei pochi astronomi neoplatonici che, come Kepler,
erano stati attratti verso il sistema di Copernico dalla sua grande
simmetria. Ma convinse in effetti la maggior parte degli astronomi
non copernicani e tecnicamente esperti dell’epoca, poiché offriva una
soluzione a un dilemma molto sentito: conservava i vantaggi
matematici del sistema di Copernico senza gli inconvenienti fisici,
cosmologici e teologici.65
Dobbiamo però riconoscere che almeno un merito le effemeridi di
Origanus lo hanno. Si è sempre sostenuto che l'unica previsione
conosciuta del transito di Venere sul Sole del 4 dicembre 1639 si deve
al geniale astronomo e matematico inglese Jeremiah Horrocks 66 , morto
ad appena 22 anni, che eseguì un doppio calcolo delle circostanze del
fenomeno basandosi sia sulla teoria lansbergiana dei moti planetari sia
sulle kepleriane tavole rudolfine.
Per verificare se, a quel tempo, esistevano altre fonti dalle quali poter
ricavare una previsione attendibile del fenomeno, ho esaminato alcune
effemeridi dell'epoca, scoprendo che, per un caso fortuito, proprio
ab anno 1595 et definentium in annum 1654, Francof. cis Viadrum 1609.
65
T.S. KUHN , La rivoluzione copernicana, pp. 258-261, Torino 1972.
66
J. HORROCKS, Venus in Sole visa, Seu Tractatus Astronomicus, de nobilissima Solis et Veneris
Conjunctione, Novembris die 24, styl. Juliano, 1639, pubblicata in latino da J. Hevelius nell'opera:
Mercurius in Sole visus Gedani, Anno Christiano 1661, d. III Maji, St. n. cum aliis quibusdam
rerum Coelestium, rarisque phaenomenis. Cui annexa est Venus in Sole pariter visa, Anno 1639,
d. 24 nov. St. V., Liverpoliae, à Jeremia Horroxio: nunc primum edita, notisque Illustrata. Quibus
accedit succinta Historiola, Novae illius, ac mirae Stellae in Collo Ceti, pp. 111-145, Gedani
1662.
24
Aspetti dell’astronomia del Seicento
quelle di Origanus avrebbero consentito di estrapolare il transito di
Venere per il 6 dicembre intorno alle 6 a.m.
La previsione, in verità affetta da un consistente errore temporale di
circa 36 ore (la congiunzione in longitudine dei due astri avvenne il 4
dicembre 1639 alle 17h 55m UT), avrebbe dovuto mettere sull’avviso
gli astronomi che, invece, dormirono sonni tranquilli. Nell’estendere
l’indagine sull’eventuale previsione di questo transito venusiano anche
ad un'altra effemeride, quella di Andrea Argoli, 67 ho trovato che, in
questo caso, il transito non si sarebbe dovuto verificare a causa del
valore troppo elevato attribuito alla latitudine eclittica del pianeta.
In Italia, il Cinquecento fu un secolo che vide una vasta schiera di
compilatori di effemeridi. A Venezia, tra il 1533 e il 1680, ne fu
pubblicata una serie a cura degli astrologi Luca Gaurico, Pietro Pitati,
Giovan Battista Carelli, Giuseppe Moleti, Giovanni Antonio Magini
(che insegnava a Bologna), e il già visto Andrea Argoli. Anche a
Bologna, dalla metà del Cinquecento, iniziò ad affermarsi una
tradizione nella compilazione di effemeridi planetarie che proseguì per
due secoli ed annoverò personaggi, alcuni famosi, quali Nicola Simi,
Francesco Montebruno, Geminiano Montanari, Flaminio Mezzavacca,
Eustachio Manfredi, Eustachio Zanotti.
Le effemeridi del piacentino Giovan Battista Carelli68 e del messinese Giuseppe Moleti69 seguivano i dettami delle tavole alfonsine
nonostante la già avvenuta pubblicazione delle più moderne, anche se,
per la verità, non certamente più accurate, tavole pruteniche.
Il celebre Giovan Antonio Magini, astronomo, astrologo e geografo,
professore a Bologna, anti-copernicano e rivale di Galileo, definito da
Kepler «summum in professione mathematica virum», ed autore di
famosissime effemeridi, è senza dubbio una figura rappresentativa della
cultura astronomico-astrologica del tempo. È quindi opportuno soffermarsi un momento su alcuni aspetti delle sue opere.
Alla base dei suoi calcoli stavano le tavole pruteniche e, successivamente al 1583, la Progymnasmata di Tycho per il Sole e la Luna.
67
A. ARGOLI, Ephemeridum iuxta Tychonis Hypothesis et coelo deductas Observationes. Tomus
primus, ab anno 1631 ad annum 1640, Patavii 1638. Argoli è autore di un systema mundi
geocentrico che, con scarsa originalità, riprendeva integralmente un’idea di Cicerone e Vitruvio,
secondo i quali Mercurio e Venere orbitavano intorno al Sole che, a sua volta, era in moto intorno alla
Terra.
68
G.B. CARELLI, Ephemerides Io. Baptistae Carelli placentini, ad annos XIX. Incipientes ab anno
1558 usque ad annum 1577. Venetiis 1558.
69
G. MOLETI , Ephemerides Io. Moletii mathematici Annis viginti inservientes, incipientes, que ab
anno 1564, et desinentes ad annum 1584, Venetiis 1564.
25
R. Calanca
Nel tentativo di superare le gravi difficoltà del sistema tolemaico,
elaborò anche una propria teoria della Luna che impiegava gli
eccentrici senza epicicli. 70
Con un atteggiamento giudicato ambiguo anche da qualche suo
contemporaneo, Magini non aderiva all’eliocentrismo copernicano e
affermava che
Copernico, contra omnem veritatem et philosophiam, terra mobilis et
Sol cum octavo orbe quiescentes videntur, nobis vero contrarium
supponitur.71
Compilò le sue effemeridi,
tavole, le quali a noi ogni giorno dimostrano il vero luogo, overo il
moto dei sette pianeti, 72
essenzialmente per migliorare l’accuratezza degli oroscopi.
Per Magini l’astrologia, con i suoi influssi sull’uomo, è una vera e
propria scienza, che studia
i temperamenti et inclinationi ne’ corpi de gli uomini, le mutationi
dell’aria, et altre si fatte cose, effetti propriamente delle cause
celesti.73
La stessa incondizionata fiducia nelle “cause celesti” è vigorosamente espressa da un altro esperto calcolatore planetario, Giuseppe
Moleti che, in apertura di una delle sue effemeridi, scriveva:
che tra tutte le Scienze, le quali per consolatione dell’animo et per
discacciare l’ammiratione e l’ignoranza, sono state trovate, l’Astrologia sia nobilissima, dalla dignità del Suo soggetto e dalla certezza
delle sue dimostrazioni, si può havere certissimo testimonio.74
Ha ragione Garin quando scrive che, nel Seicento, l’astrologia non
70
F. BÒNOLI, D. P ILIARVU , loc. cit., pp. 144-145.
G.A. MAGINI, Novae coelestium orbium theoricae, c. 7v., Venetiis 1589.
G.A. MAGINI , Efemeride de i moti celesti, di Gio. Antonio Magini padoano per anni XX,
dall’anno 1581, fino al 1600 secondo i fundamenti del Copernico, e Tavole Pruteniche, c. 27r,
Venezia 1583.
73
G.A. MAGINI, loc. cit., c. 1v.
74
G. MOLETI , L'Efemeridi di Gioseppe MOLETO matematico per anni XVIII., le quali cominciano
dall'anno corrente di Cristo Salvatore, 1563 et si terminano alla fine dell'anno 1580, Venezia
1563.
71
72
26
Aspetti dell’astronomia del Seicento
era soltanto una
tecnica della previsione, quanto una concezione generale della realtà
e della storia.75
La maggioranza dei dotti del tempo inclinava per le pratiche
astrologiche, anche se le prime avvisaglie di un nuovo spirito
razionalista, improntato ad un’aperta avversione nei confronti d’ogni
manifestazione irrazionale, iniziò ad emergere nella seconda metà del
XVII secolo, preceduto dalle bolle papali contro l’astrologia giudiziaria
emanate da Sisto V nel 1586, la Coeli et terrae, e la Inscrutabilis di
Urbano VIII nel 1631.
Nel 1666 il ministro di Luigi XIV, Colbert, vietò agli astronomi di
formulare previsioni astrologiche e, poco dopo, due decreti reali posero
fine ai processi per stregoneria e, ufficialmente, alla pubblicazione di
almanacchi.
Gli esempi del perdurare di forti legami con l’antica e radicata
tradizione astrologica abbondano però, nonostante i roboanti decreti
regi, per tutto il secolo, anche tra i più famosi calcolatori di effemeridi.
Uno di questi fu il bolognese Flaminio Mezzavacca, allievo di
Montanari che, del maestro non fece proprio né il rigoroso
atteggiamento scientifico e neppure l’avversione per l’astrologia. Nella
sua Otia sive Ephemerides Felsineae del 1701, riporta tabelle di
astrologia medica dove si mettono in relazione i segni zodiacali, i
pianeti e le parti del corpo umano influenzate dalle congiunzioni astrali.
Così leggiamo che Mercurio nel segno del Toro presiede alla salute dei
piedi mentre la Luna nella Bilancia determina il funzionamento del
cuore.76
Mezzavacca aveva anche scritto sull’origine dei terremoti e sulle
influenze degli astri che li produrrebbero. 77
Per meglio comprendere il clima culturale del tempo e valutare gli
effetti dell’indubbio prestigio e i conseguenti rilevanti benefici, anche
economici, generalmente goduti dagli astronomi-astrologi, accenniamo
ai non infrequenti casi di plagio editoriale che si verificarono a danno di
alcuni compilatori di effemeridi. Una delle più illustri vittime fu lo
stesso Magini che si accapigliò con il medico siciliano Giuseppe Scala
accusandolo, a ragione, di aver copiato, e dato alle stampe, una parte
delle proprie effemeridi.
75
76
77
E. GARIN , Lo Zodiaco della vita , pp. 8-9, Bari 1976.
F. MEZZAVACCA , Otia sive Ephemerides Felsineae, p. 241, Bononiae 1701.
F. MEZZAVACCA , De terraemotu libellus, Bononiae 1672.
27
R. Calanca
Dunque, nel 1589, Scala fece stampare a Venezia un’effemeride
planetaria 78 per il periodo 1589-1600, dichiarando, fin dal titolo, che
esse erano calcolate
con ogni diligenza, secondo le Tavole Prutenice, […] alle quali sono
aggiunti i Canoni ò introduttioni dell’Efemeridi dell’Eccell. Sig.
Gioseppe Moleto Matematico.
Scala si era risolto a compiere quest’opera nonostante che
i nuovi computi di Nicolò Copernico […] mi rendevano difficultà,
quanto che conoscevo la sua dottrina essere al mondo dubbia e non
da tutti accettata; e perciò non mi manchavano avversità.79
Ma il contemporaneo intervento di Giuseppe Moleti e del suo
maestro in medicina Girolamo Mercuriale, gli «apersero la strada della
virtù» e, finalmente, «fatto audace e diligente entrai nell’impresa».
Prosegue con una descrizione dei frutti di un duro lavoro di calcolo
che si apre, manco a dirlo, con un «Nel quale si mostrano i veri
Principij dell’Astrologia».
Magini, ricevendone una copia e confrontando le tabelle planetarie
dello Scala con le proprie pubblicate sei anni primi, sobbalzò
scandalizzato quando
ho alla fine trovato che tra queste dello Scala et quelle del Magino
[qui Magini, che usa lo pseudonimo di G.B. Gazano, parla in terza
persona] non vi è differenza tale che importasse il calcolarne di
nuove […] e insieme anco mi son fatto chiaro, che per lo più ha
trascritte quelle del Magino.80
L’alquanto disinteressato Magini, che dalla vendita delle effemeridi
ricavava una fetta consistente del suo reddito, accusa poi l’avversario di
turpe venalità: «[Scala è stato] mosso à fare dette Efemeridi [per] l’utile
che n’ha ricevuto dal Libraro».
Quindi si affanna a dimostrare che le posizioni planetarie di Scala, ad
esclusione di quelle del Sole e della Luna, furono certamente copiate
78
G. SCALA, L’efemeridi del Mag.co et Eccel. te Sig. Gioseppe Scala Siciliano, per anni dodici, le
quali cominciano dall’Anno di Christo nostro Sig. 1589 e finiscono nel fine di Dicembre dell’Anno
1600, Venezia 1589.
79
G. SCALA , loc. cit., nella dedica al Marchese Michele Spatafora.
80
G.A. MAGINI (con lo pseudonimo di G.B. Gazano), Giudicio del Sig. Giovan Battista Gazano
sopra l’efemeridi mandate in luce dagl’Eccellenti Sig. Giuseppe Scala Siciliano e Marsilio
Cognati Veronese, p. 3, Padova 1584.
28
Aspetti dell’astronomia del Seicento
dalle proprie, con l’unica differenza di un arrotondamento dei dati al
primo d’arco, operazione lecita, anzi, sicuramente auspicabile, se si
considera che le longitudini e le latitudini dei pianeti riportate in tutte le
effemeridi del XVI-XVII secolo, in particolare le posizioni di Mercurio
e Marte – e queste del Magini e di Scala non escono dalla norma –
erano affette da errori di parecchi primi d’arco o, addirittura, in certi
luoghi dell’orbita, di alcuni gradi. Ma, come spesso accade in questi
casi, l’accusa di plagio lanciata da Magini non portò a nulla, anzi, Scala
se ne giovò, guadagnandone in popolarità.
Mentre gli astrologi si azzuffavano per difendere i cospicui proventi
dei diritti d’autore, nel 1627 fu compiuto un notevole passo avanti con
la pubblicazione, dopo una lunghissima gestazione, delle tavole
rudolfine di Kepler, indubbiamente le migliori per i successivi
cinquanta anni. 81
Kepler, in quest’opera, introdusse due importanti novità. La prima,
fondamentale, riguardava sia l’uso delle orbite ellittiche sia il computo
delle longitudini planetarie con la famosa equazione che porta il suo
nome. La seconda novità fu l’introduzione, per facilitare i calcoli, dei
logaritmi.
L’equazione di Kepler è la seguente:
E = M + e sin E
dove E è l’anomalia eccentrica, M l’anomalia media del pianeta ed e è
l’eccentricità della sua orbita.
L’equazione, trascendente in E, è di fondamentale importanza
perché, con l’anomalia eccentrica, si trovano i valori del raggio vettore
e l’anomalia vera, le due coordinate polari che individuano la posizione
del pianeta nella sua orbita.
Gli errori delle Tavole di Kepler per il Sole, secondo Giovan
Domenico Cassini, facevano però anticipare l’equinozio di primavera di
circa tre ore, e di quasi altrettanto l’istante dell’equinozio d’autunno. 82
Per Cassini, inoltre, l’errore residuo nelle posizioni del Sole delle
tavole Rudolfine, era in gran parte imputabile alla rifrazione
atmosferica, mal corretta nelle osservazioni di Tycho, che rendeva
imprecise anche le effemeridi dei pianeti.
Alla metà del secolo, il conte di Pagan scrisse un’interessante opera
81
J. KEPLER, Tabulae Rudolphinae, Ulmae 1627.
G.D. CASSINI, Les elemens de l’astronomie, Memoires de l’Academie Royale des Sciences
depuis 1666 jusqu’à 1699, t. VIII, p. 81, Paris 1730.
82
29
R. Calanca
nella quale i calcoli kepleriani dei «veri luoghi dei pianeti» erano
notevolmente semplificati e chiaramente esposti. 83
A Bologna i precetti kepleriani trovarono un estimatore nel già citato
Flaminio Mezzavacca, mentre Francesco Montebruno, che Cornelio
Malvasia desiderava imitare, seguiva la poco accurata, ma a quei tempi
molto ammirata, teoria epiciclica dell’olandese Philippe van Lansberg,
celebre autore di trattati di astronomia e matematica.
Nell’Uranometria del 1621, van Lansberg si era proposto di
calcolare le distanze e le dimensioni del Sole, della Terra e della Luna,
seguendo le ipotesi tolemaiche, di Albategnius, Copernico e Kepler,
nessuna delle quali sembrò però soddisfarlo. 84 Nel 1632 diede alla luce
i suoi canoni planetari, le Tabulae perpetuae,85 pazientemente
compilate in 44 anni di lavoro, nella stessa antiquata forma delle tavole
alfonsine che diceva di apprezzare per la loro concisione e per l’uso di
un maggior numero di decimali nelle misure angolari. Secondo
Dreyer,86 l’immeritato successo di queste tavole si ebbe perché esse
rappresentarono bene il transito di Venere del 1639, di cui già ci siamo
occupati.
L’insigne matematico gesuato Bonaventura Cavalieri, 87 «un des plus
grands hommes de l’Italie»,88 e grande amico di Galileo, dal 1628
successore di Magini nello Studio bolognese, diede una brillante
soluzione grafica alla teoria lansbergiana per semplificare i calcoli delle
posizioni planetarie, in un lavoro apparso con lo pseudonimo di Silvio
Filomantio, composto e pubblicato per diletto, la Ruota Planetaria.89 A
torto, ancora oggi, qualcuno ritiene quest’opera, strettamente tecnica e
densa di esempi numerici e grafici, una professione di fede del
Cavalieri per l’astrologia.90 È invece rivelatore il fatto che, in questo
libretto, Cavalieri non fa riferimenti all’astrologia e non accenna, in
83
COMTE DE PAGAN , Les Tables Astronomiques données pour la juste supputation des Planetes,
des Eclipses et de figures celestes, avec les methodes de treuver facilment les Longitudes, tant sur
la Mer que sur la Terre, Paris 1658.
84
J.B. DELAMBRE , loc. cit., t. II, pp. 43-44, Paris 1821.
85
P. LANSBERG , Tabulae coelestium motuum perpetuae, Middlesburg 1632.
86
J.L.E. DREYER, History of the planetary systems from Thales to Kepler, Cambridge 1906 (tr. it.
di Libero Sosio, Storia dell'astronomia da Talete a Keplero, p. 387, Milano 1970).
87
F. BÒNOLI, D. P ILIARVU , loc. cit., pp. 154-158.
88
J.-S. BAILLY , Histoire de l'Astronomie moderne, t. II, p. 313, Paris 1785.
89
SILVIO FILOMANTIO (pseudonimo di B. Cavalieri), Trattato della ruota planetaria perpetua,
Bologna 1646.
90
Si veda: Scienziati del Seicento , a cura di M.L. ALTIERI BIAGI e B. BASILE , p. 225, MilanoNapoli, 1970. Nei cenni biografici del Cavalieri, i curatori del volume ritengono che, con La ruota
planetaria , egli avesse voluto dimostrare chiari interessi astrologici. Lo stesso punto di vista è
espresso da Lucio Lombardo Radice nella nota bibliografica a p. 32, che precede la Geometria
degli Indivisibili, Torino 1966.
30
Aspetti dell’astronomia del Seicento
alcun luogo, ad una qualsiasi applic azione astrologica dei suoi calcoli.
Nel Settecento, il grande matematico Paolo Frisi, nel suo elogio del
Cavalieri, scriveva:
La Rota Planetaria, che, quantunque sia comparsa ad alcuni come
macchiata di qualche traccia d’astrologia, non versa propriamente
che intorno ad argomenti astronomici, geografici e cronologici. 91
Diversa è l’ottica con la quale si deve considerare un altro suo scritto,
la Nuova Prattica astrologica,92 apparso alcuni anni prima della Ruota
e sicuramente sollecitato da influenti membri del Senato accademico
bolognese che, è opportuno non dimenticare, all’epoca, gli doveva
rinnovare il tanto sospirato contratto presso lo Studio (nella copia di
quest’opera conservata nella Biblioteca Universitaria di Bologna si
legge un appunto, forse di pugno del Cavalieri stesso: «presentata al
Senato, 1639»).93 Qui Cavalieri dichiara esplicitamente, fin dal titolo,
che i logaritmi kepleriani, apparsi nelle Tavole rudolfine, gli serviranno
per fare le direttioni planetarie ad uso astrologico. Nel rivolgersi al
lettore, egli però esprime il senso di un palese disagio con queste
parole:
Non era veramente mio pensiero che la presente operetta uscisse
fuori alla pubblica luce
e, per giustificare questa reticenza che, se rilevata, avrebbe potuto
danneggiarlo professionalmente, si appella al fatto che già esistevano
due Tavole Direttorie composte dal Magini […] onde non mi pareva
ragionevole […] di lasciar uscire cosa mia in questo genere.94
Queste non sembrano le parole di un convinto sostenitore dell’astrologia!
Le fondamentali tavole rudolfine, pur avvicinandosi alla soluzione
del problema dei veri luoghi dei pianeti, richiedevano ancora importanti
91
P. FRISI, Elogio di Bonaventura Cavalieri, in Operette scelte di Paolo Frisi, a cura di Pietro
Verri, pp. 216-217, Milano 1825.
92
B. CAVALIERI, Nuova Prattica astrologica di fare le Direttioni secondo la via Rationale, e
conforme ancora al fondamento di Kepplero per via di logaritmi, Bologna 1639.
93
L’opinione di B. Pistacchio, che non condivido per le ragioni esposte nel t esto, è che la Nuova
Prattica fu un tentativo di ridare credibilità alla materia [astrologica]. (B. Pistacchio, L’insegnamento dell’astrologia nella università di Bologna, Strenna Storica Bolognese, anno XLII – 1992,
p. 326).
94
B. Cavalieri, loc. cit., pp. 9-10.
31
R. Calanca
miglioramenti per quanto riguardava la conoscenza degli elementi
orbitali. Ad esse, pur essendo le migliori del tempo, furono spesso
preferite le tavole lansbergiane. Nel 1661, Malvasia, nel dare
finalmente attuazione al suo progetto delle Ephemerides, pur
criticandole aspramente, le volle fondate sui canoni dell’astronomo
belga. Dell’improba fatic a fu incaricato il giovane Geminiano
Montanari, ai cui occhi apparve subito evidente la loro scarsa
consistenza scientifica. Nelle numerose osservazioni planetarie riportate
nell’opera, Montanari annota con scrupolo le cospicue e preoccupanti
differenze tra le sue misure di longitudine e i valori contenuti nelle
effemeridi calcolate con le tavole lansbergiane.
Un quarto di secolo dopo, nella sua celebre Astrologia convinta di
falso, Montanari scrisse un brillante commento sulla capacità dell’astronomia (ma anche di alcuni calcolatori) del suo tempo di predire i moti
planetari e ne rimarcava i limiti:
L’Astronomia non è ancor giunta à quell’ultima perfezione, che non
solo in questa, ma in tutte le altre Scienze vanno cercando gli humani
ingegni, come che tutte sono imperfette: non è poco però che ella
predice i moti del Sole e della Luna si fattamente, che giamai si vede
fallar d’un’hora à nostri tempi un’Eclisse per diffetto di Tavole;
benché per difetto del Calcolatore possa succedere ciò, che più volte,
mè partico larmente quest’anno 1684 è succeduto all’Argoli
nell’Eclisse del Sole 12 Luglio, che l’haveva supposta centrale, e
messa in scompiglio l’Italia, che preparava i lumi e le torcie, il che
molte altre volte al medesimo è avvenuto per errori suoi proprij, e
non dell’Arte vedendosi che il Mezzavacca nelle sue effemeridi
l’haveva ben egli predetta puntualmente, come è stata, perché non ha
errato ne precetti dell’Arte la quale nulla dimeno non ha per lo
passato potuto esentarsi ne i moti del Sole da qualche svarij
allontanandosi dal vero le Tavole Ticoniche talhora fino otto minuti
qualche cosa più le Copernicane, molto più le Alfonsine, meno le
Rodolfine e le Filolaiche, e meno di tutte, per mia esperienza di molti
anni al grandissimo istromento Heliometro di Bologna [la grande
meridiana di S. Petronio] le Tavole del celebre Cassini in oggi
Astronomo del Re Christianissimo, nelle quali non hò mai trovato
errore, che eccede un minuto, e pochi secondi, anzi il più delle volte
non eccede mezo minuto, dentro al quale può esser dubiosa
l’osservazione istessa….
In Saturno però fallano anch’oggi gli astronomi fino a 15 minuti alle
volte e altrettanto Giove, in Marte in certi siti del Cielo sin quasi un
32
Aspetti dell’astronomia del Seicento
grado; in Venere poco meno e in Mercurio più de gli altri”.95
5. La precisione delle longitudini planetarie lansbergiane nelle
Ephemerides Novissimae. Il confronto con altre effemeridi del
tempo
Negli anni Ottanta dello scorso secolo, Owen Gingerich e Barbara
Welther, dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics,
intrapresero un vasto lavoro di confronto tra effemeridi antiche, su
intervalli temporali di alcuni decenni. 96 Le loro sono conclusioni di un
certo interesse. In primo luogo, anche se la cosa era già ben nota,
rilevarono che le effemeridi alfonsine erano affette da errori molto
consistenti. Ad esempio, per Marte durante le opposizioni, essi
raggiungevano i 5°, e oltre 1° per Giove, mentre per Mercurio gli errori
massimi si avevano durante le congiunzioni con il Sole, all’epoca in cui
il pianeta è invisibile. Poi i due autori diedero conferma del fatto che i
vantaggi apportati al computo delle effemeridi dalle più recenti tavole
pruteniche furono sostanzialmente irrilevanti. Nel caso di Marte gli
errori massimi erano ancora nell’ordine dei 5°, e solo per Saturno si
potevano calcolare longitudini appena un po’ più accurate. Giuseppe
Moleti, famoso calcolatore di effemeridi di cui ci siamo già occupati,
non aveva tutti i torti quando, prudenzialmente, preferiva la strada
vecchia (le tavole alfonsine) a quella nuova:
[l’effemeride] l’ho io calcolata per le Tavole di Alfonso, perciocché
non ho voluto innovare strade e calcolare per il Copernico, non
perch’io dubiti che ne’ movimenti d’Alfonso non vi sia errore: di che
non è ancora senza il Copernico (et questo dico, per quanto
l’osservationi dimostrano), ma perché, non essendo né l’uno né
l’altro senza errore, men male è seguire Alfonso, come antico, che
appigliarsi à nuova strada, senza havere osservato i detti movimenti.
Quando io haverò osservato quelli, e haverò chiaramente conosciuto
chi di loro ha meno errato, allora m’appiglierò à quel tale. 97
95
G. MONTANARI, L’astrologia convinta di falso , pp. 126-127, Venetia 1685.
O. GINGERICH , B. W ELTHER, The accuracy of Ephemerides, 1500-1800, Vistas in Astronomy,
vol. 28, pp. 339-342, 1985; O. GINGERICH , Planetary, Lunar and Solar Positions A.D. 1650-A.D.
1800, Memoirs of the American Philosophical Society 59s, Philadelphia 1983.
97
G. MOLETI , L'Efemeridi di Gioseppe MOLETO matematico per anni XVIII., le quali cominciano
dall'anno corrente di Cristo Salvatore, 1563 et si terminano alla fine dell'anno 1580, Venezia
1563. Nella dedica a G.B. Fagnano e Nicolò I.
96
33
R. Calanca
Con Kepler e le sue tavole rudolfine, la precisione migliorò di oltre
un ordine di grandezza, grazie all’uso delle orbite planetarie ellittiche
ed all’equazione per l’anomalia eccentrica.
Gingerich e Welther sostengono che l’inglese Thomas Streete, nell’Astronomia Carolina del 1661, fornì delle tavole di calcolo che
miglioravano notevolmente le rudolfine perché adottava il valore dell’eccentricità dell’orbita terrestre proposto dal già citato Jeremiah
Horrocks, il geniale e sfortunato astronomo inglese, morto nel 1641 a
soli 22 anni. Dotato di una non comune abilità matematica, Horrocks,
negli anni 1638-1640, aveva esaminato con attenzione le rudolfine e
notato che i suoi errori erano ancora rilevanti. Nel caso della Luna, esse
difettavano fino a ±12’ in pochi giorni, mentre gli errori nelle
longitudini degli altri pianeti, a causa del loro moto più lento, avevano
periodi assai più lunghi. Intorno all’equinozio di primavera, le rudolfine
facevano avanzare le longitudini del Sole di 5’, mentre all’equinozio
d’autunno ritardavano della stessa quantità. Venere, invece, avanzava
anche di 10’ nella sua digressione serale e ritardava di altrettanto in
quella mattutina.
Negli studi dei due autori americani non v’è cenno alcuno alle
effemeridi malvasiane, né a quelle, poco conosciute, del bolognese
Agostino Fabri e neppure all’effemeride solare kepleriana di
Bonaventura Cavalieri per l’anno 1600 (si veda il § 6). Nella mia
analisi, supportata da un moderno programma di calcolo delle posizioni
planetarie, procederò ad un confronto tra queste effemeridi del CinqueSeicento che consentirà di accertare se le lansbergiane di Montanari,
contenute nelle Ephemerides, hanno avuto quella validità scientifica
che molti contemporanei le attribuivano. Si scoprirà inoltre, che
l’importantissimo lavoro sul moto solare di Cassini negli anni 16551660, contribuì, in modo essenziale, alla compilazione di effemeridi di
Marte che migliorarono nettamente le rudolfine.
Gli errori riportati nei grafici sono stati ottenuti sottraendo dalle
longitudini planetarie moderne quelle delle effemeridi antiche e si
riferiscono, al massimo, a periodi consecutivi di cinque anni, in modo
da poterle omogeneamente confrontare con le Ephemerides. Tralascerò
il problema delle latitudini eclittiche, che merita una trattazione
specifica, oggetto di un futuro lavoro. Gli autori delle effemeridi
esaminate nel seguito sono Luca Gaurico98 (alfonsine), Giovan Antonio
98
L. GAURICO , Ephemerides recognitae et ad unguem castigatae, Venetiis 1533.
34
Aspetti dell’astronomia del Seicento
Magini99 (pruteniche), Johannes Kepler 100 (rudolfine), Cornelio
Malvasia 101 (lansbergiane) e Agostino Fabri102 (che usa sia le tavole
rudolfine sia le lansbergiane modificate da Montanari).
Di questi, solamente Agostino Fabri non c’è ancora noto. A dire il
vero, notizie biografiche di questo padre olivetano, dottore in Filosofia
e allievo di Cassini e Montanari, non abbondano. Fabri, il cui nome
compare nei rotuli dello Studio dal 1675-76 al 1688-89, non è
menzionato, come gli spetterebbe di diritto, nell’elenco compilato da
Michele Rajna, direttore dell’osservatorio astronomico petroniano alla
fine del-l’Ottocento. 103
Il Fantuzzi,104 poi, lo liquida in due righe e dice solamente che egli ha
compilato le Effemeridi, Premonizioni Astronomiche per l’anno 1676,
dimenticando però quelle dei due anni precedenti. Esse costituivano il
famoso tacuinus105 annuale dello Studio di Bologna, redatto fino, a
pochi anni prima, da Ovidio Montalbani. Seguendo una tradizione
ormai secolare, l’almanacco dello Studio usciva ogni anno ed era
specialmente rivolto a medici e astrologi. Fabri, però, da buon allievo di
Montanari, quando ebbe l’incarico dal Senato di prepararne la
pubblicazione, in modo ardito, ridusse al minimo la parte dedicata
all’astrologia, relegandola nelle ultime pagine dell’introduzione,
privilegiando in sua vece l’aspetto strettamente astronomico.
L’intenzione espressa per il 1674, mantenuta solo in parte, per
ammissione dello stesso Fabri, era di compilare le effemeridi
99
G.A. MAGINI, Continuatio Ephemeridum coelestium Motuum ab anno Domini 1610 usque ad
annum 1630, Venetiis 1607.
100
J. KEPLER, Ephemerides Novae Motuum coelestium ab anno vulgaris aerae MDCXVII ex
Observationibus potissimum Tychonis Brahei, Hypothesibus Physicis, et Tabulis Rudolphinis, ad
meridianum Uranopyrgicum in freto Cimbrico, Lincii 1616-1617.
J. KEPLER, Ephemerides Novae Motuum coelestium ab anno vulgaris aerae MDCXVIII, Lincii
1620.
101
C. MALVASIA, loc. cit., pp. 2-149.
102
A. FABRI, Tacuino astronomico dello Studio di Bologna per l’anno 1674, Bologna 1674; A.
FABRI, Efemeride Premonizioni astronomiche, et Astrologico-Mediche per l’Anno MDCLXXV,
Bologna 1675; A. FABRI, Efemeride Premonizioni astronomiche, et Astrologico-Mediche per
l’Anno Bisestile MDCLXXVI, Bologna 1676.
103
M. RAJNA, Sulle condizioni dell’Osservatorio della R. Università di Bologna, Bologna 1906.
Rajna, per il XVI-XVII secolo, cita i seguenti autori di effemeridi che operarono a Bologna:
Nicola Simi (dal 1554 al 1568); Francesco Montebruni (1641-1660); Tommaso Rossi, detto
Rubeus (1666); Geminiano Montanari (1666), Girolamo Grassini (1666-1670); Flaminio
Mezzavacca (1675-1720).
104
G. FANTUZZI , Notizie degli scrittori bolognesi, t. III, p. 276, Bologna 1781-1790.
105
Nello Studio bolognese, fin dalla prima metà del Trecento, di solito era il t itolare della cattedra
di astronomia a redigere ogni anno il Judicium e il Tacuinus. Il Judicium forniva le previsioni
dell’anno, riguardanti nazioni, popoli e città. Il Tacuinus consisteva invece nella descrizione
mensile degli aspetti dei pianeti e nell’indicazione dei giorni fasti o nefasti per somministrare
rimedi contro le malattie (si veda: A. SORBELLI, Il Tacuinus dell’Università di Bologna, Gutenberg
Jahrbuch, 1938).
35
R. Calanca
calcolata giusta il metodo dell’Eccellentissimo Montanari, mio primo
Maestro nelle Scienze Matematiche, il quale sino del 1665 havendo
intrapreso di calcolare molti anni di Effemeridi, n’insegnò al Sig.
Dottor Flaminio Mezzavacca e a me, che ambi all’hora eravamo
condiscepoli sotto di lui, il modo non solamente di supputarle dalle
Tavole degli Autori, ma, affine che lo aggiutassimo lui, ci mostrò i
confronti, ch’egli havea fatto delle Ipotesi di tutti gli Autori, con le
Osservazioni fatte al Cielo per molt’anni da lui con grandi e isquis iti
Stromenti, e il metodo suo, col quale correggendo lo svario degli
Autori passati, riduceva il calcolo ad avvicinarsi più di tutti alla
verità delle osservazioni. 106
E, appena più avanti prosegue:
non v’ha dubbio, che il Sole, Principe de’ Pianeti deve considerarsi
nelle supputazioni Celesti, come centro del moto di ciascun
pianeta… le Tavole [del Sole] del Sig. Cassini avanzano in
perfettione di gran lunga tutte l’altre e di queste [Montanari] pensò
valersi, e con il luogo del Sole dedotto da queste, correggere il
calcolo de’ Pianeti, trovò finalmente che per Saturno e Giove le
Tavole del Lansbergio, per gli altri trè Marte, Venere e Mercurio le
Rodulfine, corrette col Sole Cassiniano,107 corrispondevano assai
bene alle osservazioni Celesti. Per la Luna… hò preso per quest’anno
dall’Efemeridi Kepleriane dell’Heckero.108
Nei passi sopra riportati, emergono due interessanti affermazioni. La
prima, visti i tempi, abbastanza rischiosa: l’ammissione pubblica del
principio eliocentrico, anche se preceduta e mascherata dalla prudente
espressione: «[il Sole] deve considerarsi nelle “supputazioni” Celesti
come centro del moto…».
Un’adesione così trasparente al sistema copernicano, evidente eredità
dell’insegnamento di Montanari, non poteva essere gradita al Senato
bolognese ed alle autorità dello Studio. Basti pensare che il coraggio di
sfidare l’inquisitore, mettendo nero su bianco le proprie convinzioni
copernicane, non lo trovò mai neppure il grande Cassini.
In secondo luogo, egli annuncia che i metodi di calcolo impiegati nel
106
A. FABRI, Tacuino astronomico dello Studio di Bologna per l’anno 1674, p. 9, Bologna 1674.
Eustachio Manfredi parla a lungo delle effemeridi planetarie compilate da Montanari e dai suoi
allievi, le prime a riprendere le ipotesi del modello solare di Cassini (E. MANFREDI, De gnomone
meridiano Bononiensi ad Divi Petronii, pp. 66-71, Bononiae 1736).
108
J. HECKER, Motuum caelestium ephemerides ab Anno Ae.V. 1666 ad 1680. Ex observationibus
correctis nobilissim. Tychonis Brahei, & Joh. Kepleri hypothesibus physicis, Tabulisque
Rudolphionis. Ad meridianum Uraniburgicum in freto Cimbrico, Gedani 1662.
107
36
Aspetti dell’astronomia del Seicento
suo tacuinus sono quelli stessi del Maestro. Abbiamo quindi la
conferma che, dodici anni dopo la pubblicazione delle Ephemerides
malvasiane, Montanari nutriva ancora un notevole interesse per il
computo dei moti planetari109 e proseguiva, con tenacia, le osservazioni
solari di Cassini alla meridiana di S. Petronio.
Passiamo ora all’esame delle effemeridi dei sei pianeti (escluso il
Sole, per il quale si veda il § 6), con un occhio alla tabella I e l’altro ai
grafici degli errori delle longitudini. Una puntualizzazio ne sulla
terminologia impiegata nel seguito: quando uso i termini “longitudine
anticipata” o “ritardata”, intendo affermare che questa coordinata
celeste, tabulata nell’effemeride cui ci si riferisce è, rispettivamente,
maggiore o minore del suo valore vero.
LUNA
Iniziamo con la Luna (considerata dagli antichi un pianeta nel senso
di errabondo), corpo celeste il cui moto apparente, assai complesso, ha
costituito, fin dall’antichità, uno dei maggiori rompicapi per gli
astronomi. La complessa combinazione dei cerchi tolemaici produce,
nel-l’effemeride di Luca Gaurico (fig. 5), in un arco di tempo di 5 anni,
due periodi separati da un intervallo di 30 mesi e della durata di 6 mesi
ciascuno, in cui l’errore rimane costantemente vicino ad un minimo,
ritardato, compreso tra i 6’ e i 12’.
I massimi anticipi nelle longitudini di Gaurico si ripetono invece ad
intervalli di 12 e 18 mesi, con un errore compreso tra 50’ e 70’, quando
la Luna è in prossimità del nodo discendente. I massimi ritardi, che
avvengono intorno al nodo ascendente, hanno una periodicità di 24
mesi ed assumono valori nell’intervallo tra 70’ e 100’. Gli errori
tendono poi ad annullarsi ad intervalli di 6÷7 mesi. L’errore quadratico
medio delle longitudini è di 44’ (tabella I), migliore di quello di Magini
che fonda i suoi calcoli sulle tavole pruteniche.
In quattro anni, la curva d’errore delle longitudini (fig. 6), nell’effemeride di quest’ultimo, presenta due minimi e due massimi ben
individuati. Il massimo anticipo, con un errore di circa 1°, si ha al nodo
discendente e si ripete, nello stesso luogo, dopo 34 mesi. Il massimo
ritardo avviene, invece, al nodo ascendente e la sua periodicità è ancora
109
Non si deve dimenticare che Montanari, nel 1666, compilò un’effemeride valida per lo stesso
anno, alla quale fece poi seguito quella del suo allievo Girolamo Grassini per gli anni 1666-1670.
Esse furono l’ideale continuazione delle Ephemerides malvasiane, ancora basate però, per i
pianeti, sulle tavole lansbergiane mentre, per il Sole, si rifacevano a Cassini (G. MONTANARI,
Ephemerides Lansbergiana ad Longitudinem almae Matris Studiorum Bononiae supputata ad an.
1666., Bologna 1666).
37
R. Calanca
di 34 mesi, mentre l’errore è assai elevato, 1° 30’. L’errore quadratico
medio dell’effemeride di Magini è il più consistente tra tutti quelli
riportati nella tabella I, oltre 48’.
Il grafico degli errori di Kepler, riferito al periodo 1617-1620, non è
altrettanto leggibile come i due precedenti (fig. 7), anche se, a
prescindere dall’ordine di grandezza degli errori, esso mostra una certa
somiglianza di forma con quello di Magini, come possiamo notare nella
fig. 10, dove riportiamo entrambe le curve. Possiamo individuare una
zona di anticipo delle longitudini per i primi mesi del 1617, con un
errore superiore ad 1° nei pressi del nodo discendente e poco prima
dell’equi-nozio di primavera, alla quale segue un picco di ritardo pari a
35’, in prossimità del nodo ascendente e poco prima dell’equinozio
d’autunno
Tabella I
errore quadratico medio delle longitudini dei pianeti
in alcune effemeridi del XVI-XVII secolo
Effemeridi
(periodo
calcolato)
Gaurico
(1534-1538)
Magini
(1617-1620)
Kepler
(1617-1620)
Montanari
Malvasia
(1661-1665)
FabriMontanari
(1674-1676)
TAVO LE
Luna
(‘)
Merc.
(‘)
Vener Marte
e
(‘)
(‘)
Giov
e
(‘)
S atur.
(‘)
Alfonsine
43.95
241.29
37.38
80.82
22.30
91.52
Pruteniche
48.47
200.21
57.95
106.80 36.29
14.45
Rudolfine
29.61
13.71
9.33
8.60
4.19
9.69
Lansbergiane
41.40
149.22
28.75
20.20
20.12
10.36
29.88
24.68
11.82
3.88
25.64
11.30
(A)
NOTE:
(A): Luna: effemeridi rudolfine di Hecker. Mercurio, Venere, Marte: tavole Rudolfine.
Giove, Saturno: Tavole Lansbergiane.
dello stesso anno. Un altro picco di ritardo di 40’ si ha intorno al
solstizio estivo del 1618, con la Luna ancora al nodo ascendente,
mentre gli errori si annullano in prossimità dell’equinozio d’autunno.
38
Aspetti dell’astronomia del Seicento
Alla metà dell’anno successivo, di nuovo le longitudini di Kepler
anticipano di quasi 1° e, verso la fine di quell’anno, gli errori si
annullano. Infine, ne l 1620, la curva mostra un massimo di anticipo e
uno di ritardo, il primo intorno all’equinozio di primavera, con la Luna
al nodo discendente, il secondo, 6 mesi dopo, al nodo ascendente.
L’errore quadratico medio di 29’.6, ancora molto elevato, è
spiegabile se si tiene conto che le leggi del moto ellittico kepleriano
non sono sufficienti a rappresentare i luoghi lunari. Il moto del nostro
satellite è perturbato, e le sue principali ineguaglianze, i cui effetti non
potevano essere pienamente valutati da Kepler, sono l’evezione
(scoperta da Ipparco) la variazione (notata per la prima volta da Tycho),
l’equazione annua, anch’essa scoperta dall’astronomo danese e, infine,
l’inegua-glianza parallattica.
La curva d’errore dell’effemeride lunare lansbergiana di Montanari e
Malvasia (fig. 8) è alquanto diversa dalle precedenti. Le longitudini
anticipano di 30’ intorno all’equinozio di primavera del 1661, con la
Luna al perigeo e al nodo discendente ed in sizigia (il 30 marzo
avvenne un’eclisse parziale di Sole), mentre 6 mesi dopo ritardano di
75’. Il massimo anticipo, 1° 30’ è intorno al nodo discendente del
solstizio estivo del 1665 ed è preceduto da due picchi di ritardo che
individuano un andamento periodico della curva degli errori su di una
base 36 mesi circa. Il primo, al solstizio estivo del 1662 (Luna al nodo
discendente, all’apogeo e in dicotomia), anch’esso di 1° 30’, l’altro a
quello invernale del 1663, al nodo discendente ed in apogeo. L’errore
quadratico medio è di poco migliore di quello di Gaurico, 41’. Infine,
abbiamo l’effemeride lunare di Agostino Fabri (fig. 9), fondata sulle
tavole rudolfine e, come ci dice lo stesso autore, presa di peso da
Hecker. L’errore quadratico medio delle longitudini coincide con quello
di Kepler.
MERCURIO
Passiamo ora all’esame delle effemeridi di Mercurio. La curva degli
errori di Gaurico (fig. 11), con punte elevatissime di anticipi e ritardi
delle longitudini, è particolarmente tormentata. L’errore maggiore, fino
a ben 12°, si ha quando Mercurio anticipa. I massimi ritardi hanno
valori pari a circa la metà, in altre parole: 6°. L’errore quadratico medio
è sbalorditivo, oltre 4°. Non è però che le tavole pruteniche si comportassero tanto meglio: l’effemeride di Magini ha un errore quadratico di
3° 20’, e i ritardi maggiori raggiungevano gli 8° (fig. 12). Il nettissimo
miglioramento introdotto dalle tavole rudolfine nel caso di Mercurio è
39
R. Calanca
perfettamente avvertibile dalle fig. 13 e 16. I ritardi massimi sono
sempre inferiori ad 1°, mentre gli anticipi non superano i 40’. L’errore
quadratico medio dell’effemeride di Kepler è di 13’, che riduce del
95% quello delle tavole alfonsine e del 93% le pruteniche. Le cose però
di nuovo peggiorano quando consideriamo le effemeridi lansbergiane di
Montanari e Malvasia (fig. 14), con un errore quadratico di 2° 30’ e
punte, sia in anticipo sia ritardo, di 6°. È evidente che tutto l’impegno
profuso da van Lansberg nella compilazione, ultradecennale, delle sue
tavole planetarie perpetue fu inutile e con risultati a dir poco mediocri.
È curiosa invece l’effemeride di Fabri che, teoricamente fondata sulle
rudolfine, presenta però un errore quadratico quasi doppio di quella
kepleriana: 24’ (fig. 15). Non ho indagato sui motivi che hanno
prodotto una curva d’errore, diversa da quella kepleriana (Fabri non fa
commenti in proposito), evidentemente caratterizzata da una periodicità
con picchi annuali di ritardo che raggiungono i 50’ in prossimità
dell’elongazione occidentale e i 30’ di anticipo in quella orientale.
VENERE
La curva degli errori delle longitudini di Venere nell’effemeride di
Luca Gaurico (fig. 17), ha un andamento chiaramente periodico, con
due pronunciati picchi di ritardo. Il primo, nei pressi del solstizio
invernale del 1535, al nodo ascendente dell’orbita e a 33° di
elongazione est, pari a 1° 15’, ed il secondo, di 2° 15’ nell’agosto del
1537, quando il pianeta si trovava in congiunzione con il Sole ed alla
minima distanza geocentrica. I massimi anticipi avvengono in punti
diversi del suo percorso apparente: in congiunzione e alla massima
elongazione est ed ovest. L’errore quadratico medio delle sue
longitudini è 37’. L’effeme-ride venusiana di Magini (fig. 18),
deludente anche nei confronti del- l’alfonsina di Gaurico, ha la
particolarità di presentare un punto di anticipo molto profondo, ben 4°,
intorno ad un periodo di minima distanza geocentrica. Questa è una
caratteristica peculiare del moto di Venere secondo le tavole
pruteniche, rilevata anche da Gingerich che ne ha determinato la
periodicità a medio termine. Per la maggior parte del tempo, la curva
degli errori è ritardata, però su di un livello francamente troppo elevato.
L’errore quadratico è prossimo ad 1°, ed è il peggior valore per questo
pianeta contenuto nella tabella I. Ancora una volta le tavole rudolfine
assicurano una più accurata precisione delle posizioni di un pianeta
rispetto a tutte le precedenti: nelle effemeridi compilate da Kepler per il
periodo 1617-1620 (fig. 19), l’errore quadratico medio è di 9’, inferiore
40
Aspetti dell’astronomia del Seicento
del 75% rispetto alle alfonsine e di ben l’85% del Magini. I massimi
anticipi delle longitudini si hanno tutti con il pianeta in elongazione est
dal Sole, tra i 30°÷40°, con valori che si aggirano intorno ai 12’. I
picchi di ritardo si hanno alle medie elongazioni, est ed ovest. In
assoluto, il massimo ritardo, di 33’, avviene in congiunzione con il Sole
ed alla minima distanza geocentrica. Le sostanziali differenze tra le
curve di Kepler e Magini, entrambe riferite allo stesso periodo, balzano
immediatamente agli occhi dall’esame della fig. 22. L’effe-meride
venusiana di Montanari e Malvasia (fig. 20), al solito compilata con
l’ausilio delle tavole lansbergiane, mostra un anticipo di ben 2° in
congiunzione con il Sole e latitudine boreale. Il massimo ritardo, 1°
50’, si ha 18 mesi dopo, con il pianeta ancora in congiunzione, alla
minima distanza geocentrica e con latitudine australe. L’errore
quadratico sul periodo di cinque anni è 28’. Infine, l’effemeride
rudolfina di Fabri (fig. 21) ha una curva del tutto simile a quella di
Kepler ed un errore quadratico lievemente superiore: 12’. Il massimo
anticipo delle longitudini, 22’, si ha intorno alla massima elongazione
orientale ed in prossimità del nodo ascendente. I due picchi di ritardo, a
580 giorni di distanza, si aggirano intorno ai 30’, con il pianeta in
elongazione occidentale.
MARTE
Le tavole alfonsine impiegate da Gaurico nel calcolo delle effemeridi
planetarie portano ad un errore quadratico nelle longitudini di 1° 20’.
La curva degli errori (fig. 23) presenta una periodicità pari alla durata
del periodo di rivoluzione orbitale del pianeta (686d ). I massimi ritardi,
in un lasso di tempo di 5 anni, sono crescenti e si verificano durante
l’elongazione orientale ed il moto diretto ed in opposizione, ed
assumono ampiezza crescente, passando da 1° 30’ ad oltre 3°. Gli
anticipi, pari ad 1°, con il moto retrogrado ed in congiunzione. Ancora
una volta, l’effemeride prutenica di Magini (fig. 24), difetta
maggiormente di quella di Gaurico, con un errore quadratico di 1° 47’.
La curva degli errori mostra che tra un massimo di anticipo ed il
successivo di ritardo, passa un anno terrestre. Invece, tra due massimi
consecutivi di anticipo o di ritardo, l’intervallo di tempo è uguale ad un
anno marziano. Un anticipo di 2° si ebbe in prossimità dell’opposizione
della primavera del 1617, e fu seguito da un massimo di ritardo di 1°
20’, nella successiva congiunzione con il Sole. Agli inizi del 1619,
l’errore delle longitudini, in anticipo, precipitò all’incredibile valore di
11°, con il pianeta in moto retrogrado. L’ultimo picco di ritardo è
41
R. Calanca
localizzato agli inizi del 1620, con il pianeta in moto retrogrado e in
elongazione occidentale. Nella sua effemeride Kepler, che si era
occupato per oltre un decennio di Marte e ne aveva ampiamente
analizzato il moto nel suo capola voro, l’Astronomia Nova, riduce
l’errore quadratico medio delle longitudini a 8’.6 (fig. 25). Il massimo
ritardo di 28’ lo raggiunse poco dopo il solstizio invernale del 1616,
con il pianeta a 60° di elongazione orientale ed in moto retrogrado. Il
massimo anticipo, invece, si ebbe in quadratura e ancora in moto
retrogrado, alla metà del 1619. La separazione temporale tra i due
massimi delle longitudini è pari alla somma di un anno marziano e di
sei mesi terrestri. È sempre interessante il confronto tra le effemeridi di
Kepler e Magini riferite allo stesso periodo, nelle quali si vede bene che
l’astronomo imperiale riduce gli errori delle pruteniche di oltre il 90%
(fig. 28). Nel caso di Marte le effemeridi lansbergiane di Montanari e
Malvasia (fig. 26) recuperano qualcosa nei confronti delle alfonsine e
delle pruteniche, anche se l’errore di cui sono affette è mediamente
oltre due volte le rudolfine di Kepler. La curva mostra due spiccati
massimi di anticipo e ritardo pari, il primo, a circa 2°, in vicinanza della
quadratura occidentale (e moto retrogrado) nella primavera del 1662, il
secondo, anch’esso di 2°, alla quadratura orientale raggiunta alla fine
del 1663. L’effemeride di Fabri, basata sulle rudolfine, modificata da
Montanari con i valori del Sole cassiniano, costituisce una piacevole
scoperta: l’errore quadratico medio è la metà delle kepleriane, 4’ circa.
Ciò dimostra che, almeno per questo pianeta, l’applicazio-ne dei
precetti solari di Cassini ha prodotto un risultato simile, se non
migliore, alle tavole caroline di Streete, che Gingerich considera tra le
migliori di quel secolo. Il massimo ritardo delle longitudini di 11’
(invece dei 30’ di Kepler) avvenne alla fine del 1674, poco prima
dell’op-posizione, e il massimo anticipo, di soli 3’ (28’ in Kepler),
nell’autunno del 1675, con il pianeta in congiunzione con il Sole.
GIOVE
L’effemeride di Gaurico (fig. 29), con i suoi 22’ d’errore quadratico
medio, presenta il massimo ritardo di 30’, intorno all’equinozio di
primavera del 1534, con il pianeta in moto retrogrado e poco dopo la
congiunzione con il Sole. Il massimo anticipo, appena inferiore ad 1°, si
ebbe al solstizio d’inverno del 1536, con il pianeta nei pressi della
quadratura ed in moto retrogrado. Una caratteristica dell’effemeride di
Giove compilata da Magini (fig. 30) è che le sue longitudini sono
sempre in ritardo. Un’altra è che il suo errore quadratico medio è di 36’,
42
Aspetti dell’astronomia del Seicento
ancora una volta peggiore delle alfonsine di Gaurico. I massimi della
curva d’errore, compresi tra 40’ e 1°, si ebbero in quadratura (solstizio
estivo 1618), due volte in opposizione (ottobre 1619 e novembre 1620)
e in congiunzione (maggio 1620). I minimi relativi ebbero luogo nelle
quadrature orientali del dicembre 1618 e del dicembre 1620 e in quella
occidentale del luglio 1619. L’effemeride di Kepler (fig. 31) presenta
un grafico degli errori, nella prima metà, con le longitudini in ritardo
(un massimo di 6’ con il pianeta alla minima distanza dalla Terra),
nell’altra in anticipo due anni dopo (ancora di 6’, in quadratura
occidentale). L’errore quadratico medio di 4’ dimostra che Giove è il
pianeta meglio rappresentato dalle rudolfine. In figura 34, sono
confrontate le curve d’errore delle pruteniche di Magini e delle
rudolfine di Kepler, che non necessitano di alcun commento. La curva
d’errore dell’effe-meride lansbergiana di Montanari e Malvasia (fig. 32)
presenta un periodo di 12 mesi e i massimi di ritardo, in diminuzione, e
quelli di anticipo, in aumento. I ritardi, pari a 45’, si ebbero nelle
quadrature occidentali del 1662 e 1663 e nei pressi degli equinozi di
primavera del 1664 e 1665 (tra 30’ e i 25’). Gli anticipi agli equinozi
d’autunno del 1662 e 1663 (tra i 10’ e i 22’) ed alle quadrature orientali
del 1664 e 1665. L’errore quadratico medio è ancora elevato: 20’, dello
stesso ordine di grandezza delle alfonsine di Gaurico. Le longitudini di
Fabri (fig. 33), che utilizzano le modifiche apportate da Montanari alle
lansbergiane, non migliorano minimamente le effemeridi che lo stesso
Montanari compilò per Malvasia: l’errore quadratico medio è di 25’.
Ritengo che difficilmente le tavole lansbergiane, nonostante lo sforzo
profuso dal grande scienziato modenese, potessero essere perfezionate e
rese più accurate.
SATURNO
L’effemeride di Luca Gaurico per questo pianeta (fig. 35), nel
periodo di 5 anni da me considerato, ha sempre un errore anticipato in
diminuzione e una periodicità sui 12 mesi. I suoi massimi sono tutti
intorno ai solstizi d’estate degli anni compresi tra il 1534 ed il 1538,
mentre i minimi si presentano ai solstizi invernali dello stesso periodo.
L’errore quadratico medio è di 1° 30’. Le longitudini di Magini (fig.
36) sono, per la maggior parte del tempo, ritardate, con picchi compresi
tra i 15’ ed i 30’ che si raggiungono intorno agli equinozi di primavera.
I massimi anticipi tra i 10’ ed i 3’, si hanno invece agli equinozi
d’autunno. Saturno è il pianeta che le tavole pruteniche rappresentano
meglio, con un errore quadratico medio di 14’. Nell’effemeride di
43
R. Calanca
Kepler (fig. 37), l’errore delle longitudini è sempre in anticipo, con
valori compresi tra i 14’ e i 7’. L’errore quadratico medio è di circa 10’.
Le lansbergiane di Montanari e Malvasia (fig. 38) hanno il solito
andamento periodico annuale con i massimi ritardi, compresi tra i 10’ e
i 20’, nei pressi degli equinozi di primavera. I massimi anticipi, ai
solstizi estivi, sono compresi nell’intervallo 17’÷10’. L’errore
quadratico medio raggiunge i 10’: anche per le lansbergiane, Saturno è
il pianeta il cui moto è (relativamente) più accurato. In figura 39
riportiamo gli errori dell’effemeride lansbergiana di Fabri, che usa i
parametri orbitali modificati da Montanari. Ancora una volta,
l’intervento di Montanari non migliora la qualità delle previsioni:
l’errore è anche superiore a quello delle Ephemerides, 11’.
Per concludere, possiamo ora riassumere i risultati della nostra
analisi con le seguenti sintetiche osservazioni:
- Le tavole alfonsine, rappresentate dall’effemeride planetaria di Luca
Gaurico, danno i migliori risultati con Giove ed i peggiori con
Mercurio, ma anche gli errori di Marte, Saturno e della Luna
risultano particolarmente elevati.
- Le tavole pruteniche, almeno nella versione che servì alla
compilazione delle effemeridi di Magini, danno risultati assai
deludenti. La loro miglior predizione riguarda Saturno, ma nel caso
della Luna, di Giove, Marte e Venere appaiono inferiori alle
alfonsine.
- Le rudolfine si confermano come le più accurate tavole planetarie
almeno fino alla seconda metà del Seicento. Il pianeta meglio
rappresentato è Giove. Esse superano tutte le precedenti nella
seguente misura:
1. Gli errori in longitudine della Luna, rispetto alle alfonsine,
sono ridotti mediamente del 70%.
2. Gli errori di Mercurio, rispetto alle pruteniche, sono ridotti del
93%.
3. Gli errori di Venere, rispetto alle alfonsine, sono ridotti del
75%.
4. Gli errori di Marte, rispetto alle alfonsine, sono ridotti del
90%.
5. Gli errori di Giove, rispetto alle alfonsine, sono ridotti
dell’82%.
6. Gli errori di Saturno, rispetto alle pruteniche, sono ridotti del
64%.
44
Aspetti dell’astronomia del Seicento
- Le lansbergiane, sulle quali furono fondate le Ephemerides di
Malvasia (con i calcoli eseguiti da Montanari), rappresentarono un
grosso passo indietro rispetto alle rudolfine. Esse non si discostano
dalle alfonsine per la Luna e per Giove e le superano solamente per
Venere, Marte e Saturno. Possono essere confrontate con le
rudolfine solamente nel caso di Saturno.
- L’effemeride planetaria di Agostino Fabri per gli anni 1674-1676,
basata sulle rudolfine e sulle lansbergiane, con modifiche, mutuate
da Cassini ed apportate ad entrambe le tavole da Geminiano
Montanari, ha il suo punto di maggior interesse scientifico nelle
longitudini di Marte, il cui errore quadratico medio è la metà delle
rudolfine.
6. Le effemeridi solari di Cassini
Le effemeridi solari per gli anni 1661-1665, inserite nelle
Ephemerides di Malvasia alle pp. 157-171, furono uno dei frutti più
rilevanti di
45
R. Calanca
46
Aspetti dell’astronomia del Seicento
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R. Calanca
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Aspetti dell’astronomia del Seicento
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Aspetti dell’astronomia del Seicento
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Aspetti dell’astronomia del Seicento
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R. Calanca
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Aspetti dell’astronomia del Seicento
un importantissimo programma di ricerca sul moto solare che Cassini
intraprese poco dopo il suo arrivo a Bologna nel 1650. Esse derivano
dalle molte osservazioni110 eseguite per anni alla meridiana di S.
Petronio, nel corso delle quali trovò che la rifrazione astronomica non
si annullava a 45° di altezza, così come aveva invece supposto Tycho
alla fine del secolo precedente.111 Questa scoperta fu così importante da
indirizzarlo verso ricerche che lo condussero alla formulazione di
nuove, anche se provvisorie, tavole delle rifrazioni (§9), che si
rivelarono indispensabili per correggere le osservazioni astronomiche, e
a focalizzare la sua attenzione, per molti anni, sulla determinazione
della parallasse solare, il fattore di scala dal quale dipendono le reali
dimensioni delle orbite planetarie. È ben noto che se le osservazioni
astronomiche c’inducessero a diminuire l’angolo parallattico del Sole
fin qui accettato, l’intero sistema solare aumenterebbe
proporzionalmente di dimensioni. Altre conseguenze dirette delle
osservazioni in S. Petronio furono una migliore determinazione di altre
grandezze astronomiche fondamentali, quali l’obliquità dell’eclittica,
l’eccentricità solare e la posizione dell’apogeo (Cassini, per non
stuzzicare l’inquisitore, non parla mai, come invece facevano i
copernicani più spregiudicati, dei moti della Terra ma sempre e soltanto
di moto solare).
Baiada e Cavazza hanno ben sintetizzato l’obiettivo ultimo
perseguito dall’astronomo ligure con il nuovo grande gnomone:
[Cassini] intendeva verificare l’ipotesi di Keplero sulla non
coincidenza del centro geometrico dell’orbita e del centro del moto
angolare del Sole, cioè se le sue variazioni di velocità siano un
effetto solo ottico (dovuto al fatto che ne guardiamo il moto da un
punto eccentrico) o almeno in parte fisico.112
Il nuovo heliometro doveva rimpiazzare quello di Egnazio Danti,
edificato in S. Petronio nel secolo precedente, e la sua straordinaria
lunghezza (quasi 68 metri), con il foro gnomonico a ben 27 metri dal
pavimento, ne avrebbe fatto uno strumento di straordinaria precisione.
110
J.-D. CASSINI, Specimen Observationum Bononiensium quae novissimein D. Petronii templo ad
astronomiae novae constitutionem haberi caepere, Bononiae 1656; Si veda anche: E. MANFREDI,
Observationes Meridianae Solis, in: De Gnomone Meridiano Bononiensi ad Divi Petronii, pp. 99115, Bononiae 1736.
111
J.S. BAILLY , Histoire de l'Astronomie moderne, tomo II pp. 314-315, Paris 1785.
112
E. BAIADA , M. CAVAZZA , Le disciplin e matematico-astronomiche tra Seicento e Settecento ,
L’Università a Bologna. Maestri, studenti e luoghi dal XVI al XX secolo, p. 156, Bologna 1988.
55
R. Calanca
Il progetto fu osteggiato e forti furono le resistenze in Senato, chiamato
ad esprimere il proprio consenso all’opera. La maggioranza dei notabili
bolognesi era propensa a trasferire la linea meridiana di Danti nel
nuovo fornice aggiunto alla basilica nel 1653. Grazie però al sostegno
di Cornelio Malvasia, una delle personalità politiche più influenti del
tempo, che appassionatamente lo difese, esso fu approvato e allo stesso
Cassini fu assegnata la totale responsabilità della realizzazione del
manufatto. Contrariamente a quanto sostenuto da molti, l’astronomo
riteneva che la luce del Sole dovesse entrare dalla volta e non da una
parete della basilica, come invece era stato costretto a fare il Danti, e
che la linea dovesse essere tracciata esattamente lungo il meridiano.
Eustachio Manfredi, più di ottant’anni dopo, descrive con efficacia
come fu risolto il difficile problema del tracciamento della linea
meridiana tra le colonne del tempio:
inizialmente Cassini, facendo accurate osservazioni nelle ore in cui il
Sole “stringeva” il fronte del tempio, trovò con somma precisione
con quale angolo le pareti… fossero declinanti rispetto al meridiano.
Poi, tracciata una linea che toccava le basi di due colonne
successive,... misurò l’angolo fra questa linea e la retta che univa i
centri delle due basi. Trovò che esso era alquanto minore del
precedente ed…ebbe la certezza che nulla si opponeva a che la linea
del mezzodì passasse da una navata all’altra del tempio attraverso il
colonnato.113
Memorabili le parole di Cassini quando invita i bolognesi a recarsi in
S. Petronio per il transito meridiano del Sole del 21 giugno 1655:
in questo solstizio estivo celeste in S. Petronio si pone la prima pietra
di una Scienza che va restaurata dalle fondamenta: si osserva il
solstizio attuale; si traccia la via del Sole intorno a mezzodì: ivi nel
pavimento, la linea meridiana, che il Sole, penetrando dalla parte più
alta del fornice orientale, illuminerà per il decorso dell’intero anno
nell’esatto punto di mezzodì, studiata per le osservazioni quotidiane
del Sole, della Luna e delle più importanti stelle, e per esperimenti
fisici, viene tracciata senza interruzioni, e viene esposta alla pubblica
113
56
E. MANFREDI, loc. cit., p. 3, traduzione di A. Gunella.
Aspetti dell’astronomia del Seicento
critica nei giorni 21 e 22 di giugno, all’ora 15a dell’orologio civile. 114
errore in secondi d'arco
Grafico n. 1: errori nelle distanze zenitali solari delle 200
osservazioni eseguite alla meridiana di S. Petronio dal 1655 al
1660 (latitudine del foro gnomonico: 44° 29' 37" N)
40
20
0
-20
-40
-60
0
30
60
90
120
150
180
210
240
270
300
330
360
longitudine eclittica del Sole
Con somma abilità, Cassini in breve tempo completò il gigantesco
gnomone e, tra il 1655 e il 1660, furono eseguite, da lui stesso e da altri
astronomi, tra i quali Riccioli e Grimaldi, circa 200 eccellenti misure
zenitali del Sole.
Per avere un’idea dell’accuratezza dello strumento e dei suoi
principali limiti, di nuovo richiamiamo le parole di Manfredi:
quanto sia la precisione delle misure che la linea meridiana permette,
può essere compreso dal fatto che ad ognuna delle particelle 115
corrispondono fino a due secondi di arco meridiano e che, quando la
posizione del Sole è più obliqua, l’errore di tre o quattro particelle
nella lettura… influisce con la differenza di un secondo…, ma vi
sono due cause che tolgono qualche cosa ad un’elevata qualità delle
osservazioni: la prima, che l’immagine non è circoscritta da bordi
precisi, ma ha dei margini vaghi, che passano in modo graduale dalla
luce all’ombra… e la seconda è una certa instabilità
dell’immagine. 116
Secondo Cassini, la correzione dell’errore di penombra nell’immagine solare, formata dalla meridiana sul pavimento, si otteneva
114
E. MANFREDI, loc. cit., p. 3, traduzione di A. Gunella.
La particella era l’unità di misura di distanza usata nella meridiana di S. Petronio, pari alla
centomillesima parte dell’altezza del foro gnomonica, corrispondente a 0.27 mm.
116
E. MANFREDI, loc. cit., p. 7, traduzione di Alessandro Gunella.
115
57
R. Calanca
aggiungendo il semidiametro del foro alla tangente del lembo boreale e
sottraendolo a quello australe. Nel secolo successivo, questa prassi fu
giudicata inesatta dal gesuita e fondatore dell’omonimo osservatorio
fiorentino, Leonardo Ximenes, per tre motivi. Il primo, perché
l’immagine solare diminuisce quando il cielo è velato e si allarga
invece quando esso è terso; il secondo motivo è che quando l’interno
del tempio è rischiarato da un’intensa luce diffusa, essa appare minore.
Infine, essendo la piastra dove è praticato il foro dello gnomone in
posizione orizzontale, la diffrazione, e quindi le dimensioni della
penombra nell’im-magine proiettata sul pavimento, è ampiamente
mutevole al cambiare dell’altezza del Sole.117 Naturalmente, questi tre
fattori influiscono sulla precisione delle misure dei lembi lungo la linea
meridiana ed alterano sensibilmente il diametro del Sole.
Nel grafico n. 1, riporto gli errori nelle distanze zenitali, riferiti alle
osservazioni del periodo 1655-1660, in funzione della longitudine
eclittica. Gli errori sono ottenuti dalla differenza tra le distanze zenitali
solari, contenute nel De Gnomone di Manfredi, ed i calcoli svolti da un
apposito programma al calcolatore. In quasi tutti i casi esaminati e
riportati nel grafico, le distanze zenitali appaiono sottostimate, con un
errore quadratico medio dell’insieme delle misure di 26”.
È opportuno precisare che nei calcoli ho utilizzato una latitudine
dello gnomone di 44° 29’ 37”, seguendo un recente rilevamento GPS
effettuato in corrispondenza del foro di ingresso dello strumento. 118 Se
avessi invece adottato la latitudine di Cassini del 1695,119 l’errore
quadratico medio delle circa 200 osservazioni riportate nel grafico si
sarebbe dimezzato, passando a 12"÷13”. Dal grafico n. 2 abbiamo
invece una conferma delle idee di Ximenes. In ordinata sono riportati
gli errori dei diametri solari derivati dalle osservazioni meridiane in
funzione della longitudine eclittica. Di nuovo ci troviamo di fronte ad
una grandezza sottostimata, e ad un errore quadratico medio delle
misure quasi coincidente con quello zenitale: 28”. Fin dalle prime
osservazioni alla meridiana, Cassini si era accorto di questa apparente
contrazione del disco solare, fenomeno riferito puntigliosamente dal
Manfredi:
117
L. XIMENES, Del vecchio e del nuovo gnomone fiorentino e delle osservazioni astronomiche
fisiche ed architettoniche fatte nel verificarne la costruzione, pp. 86-87, Firenze 1757.
118
Questa misura GPS della latitudine, eseguita dall’esperto di gnomonica Giovanni Paltrinieri,
concorda perfettamente con i rilievi di inizio Novecento del grande geodeta Federigo Guarducci,
che aveva trovato 44° 29’ 37”.6. Nel Settecento, Manfredi prima e Zanotti poi, adottarono,
rispettivamente, valori estremamente simili: 44° 29’ 41” e 44° 29’39” (si veda: F. GUARDUCCI, La
meridiana del Tempio di S. Petronio di Bologna riveduta nel 1904, p. 33, nota (1), Bologna 1905).
119
E. MANFREDI, loc. cit., p. 50. La latitudine di Cassini è 44° 29' 22" (valore corretto per la
rifrazione), che differisce di 15” da quella adottata in questo lavoro.
58
Aspetti dell’astronomia del Seicento
bisogna riconoscere che i diametri solari trovati con queste
osservazioni [alla meridiana]… sono sempre minori che se li si
misurasse negli stessi giorni per mezzo di un telescopio, sia
raccogliendo l’immagine del Sole su un foglio di carta, sia
utilizzando un mic rometro.120
Grafico n. 2: errori nel diametro solare nelle misure meridiane in
S. Petronio (periodo 1655-1660)
30
Equinozio
primavera
Solstizio
estivo
errori in secondi d'arco
15
Solstizio
invernale
Equinozio
autunno
0
-15
-30
-45
-60
0
30
60
90
120
150
180
210
240
270
300
330
360
Longitudine eclittica del Sole
Poco oltre, il testo prosegue:
Cassini ha ritenuto che i diametri trovati per mezzo delle
osservazioni dovessero essere corretti in aumento all’incirca della
sessantesima parte.121 Io [Manfredi], che ho controllato moltissime
osservazioni di quest’elenco122 fatte all’inizio dell’inverno quando il
Sole non dista molto dal perigeo, e che ho fatto una specie di media
fra le varie misure, ritengo che il criterio non si allontani molto dal
vero; ma quando ho verificato le osservazioni relative all’inizio
dell’estate, con il Sole vicino all’apogeo, ho trovato una differenza
maggiore e non di poco.123
L’affermazione di Manfredi, di un errore maggiore nel diametro
solare apparente rilevato sul pavimento di S. Petronio durante il
solstizio estivo, non è facilmente rilevabile dal grafico, forse perché il
numero delle osservazioni riportate è troppo ridotto, solo una piccola
120
E. MANFREDI, loc. cit., p. 12, traduzione di Alessandro Gunella.
L’affermazione di Cassini è sostanzialmente confermata dal valore dell’errore quadratico medio
sopra riportato.
122
Si riferisce alle osservazioni meridiane del Sole raccolte nel De Gnomone.
123
E. MANFREDI, loc. cit., p. 13, traduzione di Alessandro Gunella.
121
59
R. Calanca
parte delle quasi 5000 del De Gnomone.
Per costruire le sue tabelle solari, Cassini, nel 1656, avviò una serie
di osservazioni tese a determinare l’esatta latitudine dello gnomone.
Nel solstizio estivo dell’anno precedente aveva misurato alla meridiana
la distanza zenitale del Sole, non correggendola però per la rifrazione
(in questo seguiva ancora Tycho) e, giustamente, ipotizzò un valore
trascurabile della parallasse solare a causa della sua notevole altezza
sull’orizzonte. Quest’osservazione solstiziale gli consentì di
determinare l’obliquità dell’eclittica. Disponendo di questi nuovi e
fondamentali elementi, calcolò le longitudini, le anomalie del moto
solare e la distribuzione della velocità durante l’anno. Probabilmente, e
solo per un momento, fu convinto di aver elaborato una soddisfacente
teoria solare ma, dopo aver raccolto ed esaminato le osservazioni
meridiane dal successivo equinozio di primavera, si avvide, con
disappunto, che le longitudini non concordavano con le sue effemeridi:
dopo che si ebbe osservato in S. Petronio l’Equinozio di Primavera
dell’Anno 1656, mi parve di poter abbozzare con ques te, e con altre
precedenti Osservazioni le Tavole del moto del Sole. E perciò
pubblicai un saggio di Osservazioni comparate a queste Tavole, le
quali io avevo fatto senza aver riguardo alle refrazioni dell’Aria, che
mostrano il Sole più alto di quello che parrebbe senza di esse. Ma poi
avendo comparato insieme le altezze Solstiziali, e tiratone l’obliquità
dell’Eclittica, e le altezze dell’Equinoziale, trovai che queste non
s’accordavano a quelle che aveva trovato, impiegandovi le altezze
della Stella Polare, il che supposi procedere dalle refrazioni, che io
aveva prima trascurate. 124
Dopo attente riflessioni e numerose verifiche, concluse che le tavole
delle rifrazioni di Tycho erano concettualmente sbagliate perché anche
ad altezze superiori ai 45° le proprietà rifrattive dell’atmosfera non
potevano essere trascurate, come invece l’astronomo danese
erroneamente riteneva. La mancata applicazione delle rifrazioni nella
correzione del-l’altezza apparente del Sole, infatti, avrebbe
intollerabilmente falsato le grandezze che entravano nei calcoli del
moto solare: l’altezza del polo, e quindi la latitudine geografica,
l’obliquità dell’eclittica ed, infine, le longitudini stesse del luminare.
Decise perciò di accantonare il problema del moto solare, almeno fino a
124
G.D. CASSINI, La Meridiana del Tempio di S. Petronio, tirata e preparata per le Osservazioni
Astronomiche l’Anno 1655, rivista e restaurata l’Anno 1695, p. 21, Bologna 1695.
60
Aspetti dell’astronomia del Seicento
quando non fosse stato in grado di ridefinire quantitativamente la
rifrazione e la parallasse.
Di questi due fenomeni, anni dopo, descrive con chiarezza l’azione
sull’altezza apparente del Sole:
comme les réfractions élevent les Planetes, et que les parallaxes les
abbaissent, l’effet de l’une est effacé en tout ou en partie par l’effet
de l’autre, et il n’y reste de sensible que la difference. Dans le Soleil
dont la réfraction est ordinairement plus grande que la parallaxe, ce
qui reste de sensible, est une partie de la refraction.125
La parallasse solare (che indicheremo con p”), oggi fissata in 8”.80,
era assai mal definita fin dai tempi di Tolomeo e, ancora nel tardomedioevo, regnava sull’argomento una babele di pareri. I valori
proposti erano tutti, sistematicamente, troppo elevati. Copernico,
nonostante la sua rivoluzionaria teoria eliocentrica, non era andato oltre
Tolomeo,126 per il quale p”=180”, a cui corrispondeva una distanza
della Terra dal Sole solo un ventesimo del reale.127
Johannes Kepler compì un piccolo passo verso la vera parallasse
nelle sue Ephemerides del 1617-1618, dove si diceva convinto che la
distanza Terra-Sole corrispondeva a 1800 raggi terrestri, vale a dire
11.5 milioni di chilometri, e p”=117”. Introdusse una miglioria non
sostanziale dieci anni dopo, nelle tavole rudolfine, dove p”= 60”, e
ridefinì, per ragioni d’armonia matematica, le dimensioni del cosmo dal
Primo Mobile in giù: le stelle fisse furono collocate alla strabiliante
distanza di 400 miliardi di chilometri.
Ma, dopo Kepler, Longomontano ancora indicava p”=2’ 40”, van
Lansberg 2’ 18”, Bullialdus 2’ 21”, Kircher 1’ 46”, e via di questo
passo.128
All’epoca di Cassini, circolava già qualche valore migliore, in genere
però, queste nuove parallassi erano viste con un certo sospetto sia per le
incertezze legate all’esiguità dell’angolo in questione, sia per gli
inquietanti interrogativi cosmologici riguardanti le dimensioni
dell’universo, che iniziavano a tendere, in maniera preoccupante, verso
125
G.D. CASSINI, Les elemens de l’astronomie, Memoires de l’Academie Royale des Sciences
depuis 1666 jusqu’à 1699, t. VIII, p. 86, Paris 1730.
126
TOLOMEO , Almagesto, lib. V, cap. 14.
127
N. COPERNICO , De Revolutionibus Orbium Coelestium, Libri VI, Basilae 1566, lib. IV, cap.
XXI.
128
La più ampia rassegna dei valori antichi della parallasse, fino alla metà del Seicento, è
nell’Almagestum Novum di Riccioli.
61
R. Calanca
l’infinito, così come aveva spesso affermato nelle sue opere il poco
ortodosso Giordano Bruno. Non era ancora noto il lavoro di Jeremiah
Horrocks che, partendo da presupposti sbagliati sulle dimensioni di
Venere e della Terra, nel 1639, si era fortuitamente avvicinato alla
realtà. Dall’osservazione del transito di Venere sul Sole egli aveva
ricavato una parallasse di 14”, la stessa annunciata dall'astronomo belga
Godfried Wendelin, un fervente copernicano assiduo osservatore della
Luna e dei pianeti, valore che aveva ottenuto con il metodo della
dicotomia lunare.
In che modo poteva allora districarsi, Cassini, tra rifrazioni e
parallasse? Quale ipotesi doveva immaginare per individuare gli apporti
quantitativi dei due fenomeni sull’altezza del Sole?
È l’astronomo stesso, molti anni dopo, ad esporre i dubbi che lo
assillavano e le scelte che operò:
or il est extrémement difficile d’établir les réfractions et les
parallaxes totales par la seule difference entre le unes et les autres, et
on peut trouver diverses combinaisons de l’une et de l’autre qui
fassent le mesme difference. On avoit proposé deux hypotheses qui
dans les hauteurs Meridiennes du Soleil faisoient à peu prés le
mesme effet dans les climats de l’Europe; de sorte qu’il n’y avoit pas
de moyen assez certain de distinguer évidemment une hypothese de
l’autre. L’une supposoit insensible la parallaxe du Soleil, ou au
dessous de 12 secondes, et dans cette hypothese les réfractions
estoient invariables par tout l’année. L’autre supposoit la parallaxe
Horizontale du Soleil d’une minute, comme Kepler, et cette
supposition obligeoit à varier la réfraction de toute l’année à
proportion de la variation des déclinaisons du Soleil.129
Tra le due possibilità, inclinò per quella sbagliata, e non per ragioni
astronomiche ma, come confessò candidamente, perché «la distance du
Soleil à la Terre qui en résultoit estoit incroyable». Nell’altra ipotesi,
infatti, la parallasse sarebbe dovuta essere piccolissima e, di conseguenza, la distanza del Sole, e quindi l’intero sistema solare, assumevano
dimensioni assolutamente sbalorditive.130 Una volta accettato il valore
129
G.D. CASSINI, Les elemens de l’astronomie, Memoires de l’Academie Royale des Sciences
depuis 1666 jusqu’à 1699, t. VIII, p. 86, Paris 1730.
130
Nel 1672 Cassini, dall’esame delle osservazioni di Marte eseguite alla Caienna da Jean Richer,
confrontate con quelle eseguite in Francia da lui stesso e da Jean Picard, trovò che la parallasse
solare era veramente piccola, circa 9”.5 (con un’incertezza di 2” o 3”), molto vicina al valore oggi
accettato.
62
Aspetti dell’astronomia del Seicento
di Kepler, al quale apportò solo irrisori aggiustamenti,131 avvertì l’imprescindibile necessità di compilare non una, ma ben tre diverse tavole
delle rifrazioni, ognuna con una validità stagionale, per compensare le
variazioni della parallasse. È su queste ipotesi che si basano le sue
tavole delle rifrazioni e le effemeridi pubblicate nelle Ephemerides
malvasiane.
Del resto, la parallasse di Kepler faceva emergere delle simmetrie
affascinanti, «elegantissimam exhibet orbium simmetriam»,132
palesemente ispirate al misticismo pitagorico di cui è permeato il
Mysterium Cosmographicum dell’astronomo imperiale, alle quali il
pragmatico e di solito concreto Cassini non fu affatto insensibile.
L’«elegantissima simmetria tra le orbite», è spiegata nell’epistola
introduttiva alle effemeridi solari, indirizzata all’amico, e generoso
mecenate, Cornelio Malvasia. Egli ci mostra che dalla parallasse
kepleriana discende una distanza media Terra-Sole di 3460 raggi
terrestri (Ephem., p. 185) ed un’eccentricità del Sole di 0.017, il cui
reciproco, 58.822, è esattamente la distanza Terra-Luna espressa in
raggi terrestri:
così, il centro del moto annuale del Sole è un punto della
circonferenza dell’orbita lunare, e questo punto è quello occupato
dalla Luna quando essa è all’apogeo del Sole, vale a dire, al 7° grado
del Cancro. Da ciò consegue che la più grande equazione semplice
del Sole, la parallasse orizzontale della Luna, cioè il raggio della
Terra visto dalla Luna, e il raggio dell’orbita lunare, visto dal Sole,
sono ugualmente espressi dal numero 58’ 26”.20.133
Di Kepler, Cassini non accettò però la prima legge delle orbite planetarie. Propose, infatti, invece dell’ellisse, una curva che Delambre, ai
primi dell’Ottocento, ironicamente definì «cassinoide». 134 La sua
caratteristica è che se da un punto S della curva si conducono due raggi
vettori r e R nei fuochi F e F’, e se chiamiamo rispettivamente AF e PF
la distanza afelica e quella perielica, si avrà: rR=AFxPF= 1-e2 , dove e è
l’eccentricità (questa differisce poco dall’eccentrità dell’ellisse).
Le osservazioni meridiane in S. Petronio, epurate dalla rifrazione, gli
fecero ritenere che l’obliquità dell’eclittica fosse soggetta ad una
diminuzione di 6” l’anno. 135 Sappiamo ore che il valore di questa
131
132
133
134
135
C. MALVASIA , loc. cit., p. 185: la parallasse media qui riportata è di 0’ 58”.37.
C. MALVASIA , loc. cit., p. 156.
J.B. DELAMBRE, Histoire de l’Astronomie moderne, t. II, p. 724, Paris 1821, (trad. dell’autore).
J.B. DELAMBRE, Astronomie théorique et pratique, Paris 1814, t. II, pp. 174-176.
C. MALVASIA , loc. cit., p. 185.
63
R. Calanca
librazione era sbagliato di un ordine di grandezza ma è in ogni caso
rilevante il fatto che, per la prima volta, fosse stato possibile accertare,
in modo inequivocabile, una sua variazione.
Il grafico n. 3 riprende sia la variazione dell’obliquità secondo le
moderne conoscenze astronomiche sia seguendo l’ipotesi di Cassini.
Delambre, spesso ingiustamente critico nei suoi confronti, questa
volta riconosce che «si può guardare a questa diminuzione annuale di
6” come dovuta quasi interamente agli errori d’osservazione». E, con
insolita obbiettività, riconosce quanto sia «pregevole il fatto che la
precisione delle osservazioni [alla meridiana di S. Petronio] fosse tale
da rientrare in un errore così contenuto». 136
Grafico n: 3: Variazione vera dell'obliquità dell'eclittica nel
periodo 1500-2000 e la legge di variazione proposta da Cassini
nelle Ephemerides
23.52.48
obliquità eclittica
Obliquità di Cassini
valori moderni
obliquità
23.38.24
23.24.00
23.09.36
22.55.12
22.40.48
1500
1600
1700
anni
1800
1900
2000
Inoltre, Cassini riteneva possibile che anche la latitudine potesse
variare e, in una lettera al Manfredi, raccomanda l’uso della meridiana
per osservazioni della Polare:
vi è anco qualche variazione apparente nell’altezza del polo in diversi
giorni dell’anno che non aveva ridotta a regola, e dimanderebbe
molte osservazioni fatte con un Gnomone si grande quale è quello di
S. Petronio.137
Dopo quasi cinque anni d’osservazioni, calcoli e di un fuoco di fila di
accese contestazioni provenienti sia dall’ambiente dello Studio sia dai
gesuiti di S. Lucia, Cassini fu finalmente in grado di compilare le sue
precisissime effemeridi del Sole. Per valutare il loro livello qualitativo,
136
J.B. DELAMBRE, Histoire de l’Astronomie moderne, t. II, p. 724, Paris 1821.
Lettera di Cassini a E. Manfredi del 3 settembre 1699, Biblioteca dell’Archiginnasio di
Bologna, collezione degli autografi, vol. XVI, pos. 1100, n. 4707.
137
64
Aspetti dell’astronomia del Seicento
oltre a mostrare i risultati dei calcoli riguardanti gli errori138 di cui sono
affette, procederemo ad un confronto con altre sette effemeridi alcune
anteriori o di poco successive. Due di queste risalgono al secolo
precedente, quelle di Luca Gaurico (fig. 41) e Giuseppe Moleti (fig. 42)
che, basate sulle tavole alfonsine, hanno curve identiche e lo stesso
errore quadratico medio: 14’ (tabella II). In entrambe, gli errori più
elevati si hanno al perigeo, con la curva al minimo e le longitudini
anticipate di una quantità quasi pari al diametro solare. Poco dopo
l’apogeo, in estate, il Sole raggiunge il massimo ritardo in
longitudine: 7’. Il periodo
Tabella II
errore quadratico medio delle longitudini del Sole
cassiniane e in altre effemeridi del XVI-XVII secolo
Autore dell’effemeride
(periodo di validità)
L. Gaurico
(1534-1538)
G. Moleti139
(1564-1568)
G.A. Magini
(1617-1620)
J. Kepler
(1617-1620)
B. Cavalieri 140
(1600)
C. Malvasia (G. Montanari)141
(1661-1665)
Cassini
(1661-1665)
A. Fabri (G. Montanari)
(1674-1676)
Tavole utilizzate
Errore
quadratico medio (‘)
Alfonsine
14.3
Alfonsine
14.1
Pruteniche
28.2
Rudolfine
5.4
Rudolfine
5.1
Lansbergiane
7.7
Tavole Proprie
0.7
Cassini
0.9
delle curve degli errori è, naturalmente, annuale.
138
Gli errori nelle longitudini solari sono determinati sottraendo dalle longitudini calcolate con un
programma per il calcolatore, i valori tabulati nelle effemeridi in esame.
139
G. MOLETI , L'effemeridi di Gioseppe MOLETO matematico per anni XVIII. Le quali
cominciano dall'anno corrente di Cristo Salvatore, 1563 et si term inano alla fine dell'anno 1580,
in Venetia 1563.
140
B. CAVALIERI, Nuova Prattica astrologica di fare le Direttioni secondo la via Rationale, e
conforme ancora al fondamento di Kepplero per via di logaritmi, pp. 142-144, Bologna 1639.
141
Naturalmente queste sono le effemeridi lansbergiane tabulate nelle Ephemerides Novissimae.
65
R. Calanca
Delude l’effemeride prutenica del Sole di Magini (fig. 43), la
peggiore tra quelle esaminate in questo lavoro. Le sue longitudini sono
sempre sottostimate, con un errore massimo al perigeo di 35’, che
corrisponde alla posizione effettivamente occupata dal Sole 14 ore
prima del passaggio al meridiano. Il minimo, raggiunto poco dopo
l’apogeo, è di 17’, mentre l’errore quadratico medio è di ben 28’.
Le effemeridi kepleriane, il cui grafico degli errori è in fig. 44, anche
se uscirono un decennio prima della pubblicazione delle tavole
rudolfine, ne utilizzavano già i precetti. Esse esibiscono un errore con
una periodicità annuale ben definita che, ad un primo esame, richiama
alla mente quelle alfonsine, ma, innegabilmente, rappresentano un
sostan-
66
Aspetti dell’astronomia del Seicento
67
R. Calanca
ziale progresso rispetto a tutte le precedenti effemeridi, grazie all’assunzione di un’orbita ellittica la cui eccentricità era stata discretamente
definita dal grande astronomo. All’equinozio di primavera il Sole di
Kepler ha il massimo anticipo (circa 7’), corrispondente a 2h 30m sulla
sua vera posizione ed il massimo ritardo (ancora 7’) all’equinozio
d’autunno. L’errore quadratico medio, 5’.4, che rappresenta una
diminuzione dell’errore fornito dalle tavole alfonsine di quasi il 70%,
ben sintetizza il fondamentale contributo all’astronomia moderna delle
osservazioni planetarie di Tycho e delle successive leggi sui moti
orbitali di Kepler. Nella fig. 45, il grafico mostra gli errori
dell’effemeride solare per l’anno 1600 calcolata dal professore dello
Studio e grande matematico, Bonaventura Cavalieri, seguendo i canoni
delle tavole rudolfine. Naturalmente anche per questa vale quanto
abbiamo rilevato per Kepler: la posizione del Sole anticipa di quasi 7’
all’equinozio di primavera e di altrettanto in quello d’autunno, e
l’errore quadratico medio è di circa 5’.
Finalmente, arriviamo alle effemeridi di Cassini (fig. 46) che
coprono il periodo 1661-1665. Colpisce, in primo luogo, la differenza
abissale che c’è tra la precisione delle sue longitudini rispetto a tutte le
precedenti, kepleriane comprese, superiori di quasi un ordine di
grandezza. Per la prima volta nella storia dell’astronomia, l’errore
medio di un’ef-femeride del Sole scende al disotto del primo d’arco:
per l’esattezza 40”, molto vicino all’errore quadratico medio delle
osservazioni zenitali in S. Petronio che, come abbiamo visto, era di 26”.
E questo fatto è scientificamente rilevante e di per sé sufficiente a
dimostrare l’abilità tecnica e la sagacia del grande astronomo. Il
massimo anticipo delle sue longitudini, pari a 40”, si aveva intorno
all’equinozio di primavera, mentre il ritardo massimo, che valeva circa
il doppio, in prossimità di quello d’autunno. L’errore delle longitudini
tendeva a zero intorno ai solstizi, e ciò indica la bontà del valore
dell’eclittica trovato da Cassini. Se poi esaminiamo la fig. 47, che
riporta nello stesso grafico le longitudini lansbergiane di Malvasia
(calcolate da Montanari) e quelle di Cassini, (ricordiamo ancora una
volta che ambedue sono riportate nelle Ephemerides) abbiamo
l’ulteriore conferma del gran passo avanti fatto compiere alla teoria del
moto solare. L’effemeride lansbergiana, ancora supportata da epicicli,
qui si rivela, impietosamente, ben poca cosa: l’errore quadratico medio
è di 7’.7, il 30% superiore alla kepleriana, pur essendone posteriore, e
circa la metà delle alfonsine, ma è anche, e di ben dieci volte, peggiore
della cassiniana.
68
Aspetti dell’astronomia del Seicento
Infine, diamo un rapido sguardo agli errori delle longitudini del Sole
inserite da Agostino Fabri nei taccuini dello Studio (fig. 48). Esse
riguardano il periodo 1674-1678, e furono compilate seguendo i
dettami di Cassini quando questi era già a Parigi da qualche anno. A
promuovere a Bologna il loro uso e ad insegnarne gli elementi di
calcolo fu Geminiano Montanari. Il loro errore quadratico medio è,
com’è logico aspettarsi, non molto dissimile dalle cassiniane: 50”.
Il miglior commento alle effemeridi solari del grande astronomo
ligure lo espresse il solito Manfredi, che dell’astronomo perinaldese fu
sempre grande estimatore:
così l’astronomia poté disporre di queste tavole, le prime fra tutte
corrispondenti alla vera posizione del Sole; infatti né le Filolaiche del
Bullialdo né le Bolognesi del Riccioli e neppure le stesse Rudolfine
di Kepler, anche se queste ultime erano costruite su un’ipotesi ben
poco diversa… avevano potuto essere così precise, perché esse erano
affette da osservazioni non corrette dall’errore di rifrazione e quindi
erano state dedotte da valori sbagliati. E prosegue: era così grande la
corrispondenza di quelle effemeridi con il cielo, che tutte le le volte
che si trovavano due punti sopra questa linea meridiana, e dai punti
trovati da entrambi i margini dell’immagine si calcolavano le
effemeridi, l’indicazione delle tavole non era mai diversa.
7. La reticula nelle osservazioni astronomiche di Montanari e Malvasia
Il reticolo micrometrico, utilizzato nelle Ephemerides, consentiva
misure angolari abbastanza accurate e Montanari lo impiegò con
particolare assiduità. Il passo seguente è di grande interesse storico, sia
per l’illustrazione delle caratteristiche costruttive dello strumento e la
procedura seguita per la sua calibrazione, sia per l’uso che ne fa nella
misura della separazione angolare di una stella vicinissima a Saturno (si
veda la nota n. 30), che inizialmente sospetta essere Titano, l’«assiduo
compagno» del pianeta.
[ 4 luglio 1662, 1h 30 m dopo il tramonto] abbiamo osservato di nuovo
Saturno attraverso il telescopio e già distava dalla piccola stella
osservata il giorno prima 2 minuti e 35 secondi. Portiamo a
conoscenza del lettore, il metodo usato per misurare tale distanza dal
momento che ce ne siamo serviti sia per un’altra stella fissa notata
presso Giove, sia per il diametro della Luna e anche per tracciare con
precisione, di questa, la selenografia… Eccolo dunque: con un
69
R. Calanca
sottilissimo filo d’argento abbiamo costruito un reticolo; i fili, che
s’intersecano ad angolo retto, si distanziavano l’uno dall’altro con un
intervallo tale che tutto lo spazio visibile in cielo attraverso il tubo
ottico, mentre era messo a fuoco sulla lente oculare, appariva
chiaramente diviso in dodici sezioni uguali in entrambi i sensi. Il
reticolo veniva ruotato in modo che, ogni volta che fosse stato
necessario, un ordine di fili potesse essere disposto parallelo al corso
dei pianeti. Così, sia osservando una stella sia un pianeta, il reticolo
poteva essere posizionato senza difficoltà sul momento. Tenendo
immobile il telescopio, la stella che osservavamo muoversi verso
occidente per il moto diurno, compiva il suo percorso in linea retta
tra i due fili. In questo modo, attraverso lo spazio dei fili trasversali
perpendicolari al percorso della stella, potevamo valutare le distanze
e, a maggior ragione, se due stelle non si muovevano sulla stessa
linea, eravamo in grado di rilevare le differenze di latitudine e di
longitudine. Per calcolare quanto spazio nel cielo occupassero gli
intervalli dei fili così disposti, più volte abbiamo puntato il telescopio
verso alcune stelle prossime all’equatore…, e abbiamo posizionato il
reticolo in modo che, come abbiamo detto, la stella avanzasse
seguendo un percorso parallelo ai fili. Solo quando la stella si veniva
a trovare sotto il primo dei fili trasversali di una sezione (col
telescopio fisso), abbiamo cominciato a contare dal nostro orologio
che batte i secondi di tempo, fino a quando la stella giungeva
all’ottavo, al nono o al decimo intervallo successivo. Dopo aver
ripetuto più volte tale osservazione, abbiamo scoperto che questo tipo
di stelle che si trovano sotto l’equatore, percorrono otto intervalli
precisamente in 110 secondi e tutto il campo del cannocchiale in 165
secondi, che, tradotti in misura angolare, fanno 41’¼. Un singolo
intervallo di fili corrisponde a 3’ 26”.15. 142
Il reticolo fu utilizzato dal Montanari anche per misurare l’altezza
delle montagne lunari con il metodo di Galileo e, in una sua lettera del
26 luglio 1676 al duca Francesco II, ne fornisce la testimonianza:
Hor questa di misurare i monti della Luna, quanto alla dimostrazione
Geometrica, è del Galileo primo scopritore di essi monti…, ma
quanto alla pratica e al modo di osservarla colla mia reticola, questa è
mia invenzione, che fino dal 1661… con questa reticola misurava
non solo le macchie, e il diametro lunare nelle osservazioni, ch’io
faceva col Sig. March. Malvasia, ma la distanza delle stelle ancora.
Nonostante l’appena riportata rivendicazione sulla priorità del
142
70
C. MALVASIA , loc. cit., p. 196, traduzione di Sofia Petrantonakis.
Aspetti dell’astronomia del Seicento
perfezionamento del metodo di Galileo delle altezze dei monti lunari
con il reticolo, Montanari era perfettamente consapevole di non essere
stato l’inventore dello strumento. 143 È però certamente le cito affermare
che egli fu il primo a comprenderne appieno le straordinarie
potenzialità scientifiche e, soprattutto, ad impiegarlo con profitto ed
assiduità nelle più disparate osservazioni astronomiche, e nel tentativo,
non riuscito, di determinare la parallasse di una cometa.144
Con ogni probabilità, attraverso Paolo del Buono, fratello di
Candido, apprese l’esistenza di un dispositivo di misura,
concettualmente di derivazione galileiana,145 dal quale aveva tratto
sicura ispirazione per la realizzazione del suo reticolo.
Del Buono illustrò il ritrovato a Giovanni Alfonso Borelli che però
non ne riconobbe l’importanza,146 se non dopo che Huygens fece
conoscere la sua virgula nel Systema Saturnium.
Borelli fece ammenda in una delle sue opere più famose sui satelliti
di Giove, uscita quattro anni dopo le Ephemerides malvasiane,
descrivendo sia lo strumento di Candido del Buono, che lo aveva
utilizzato per rilevare la distanza degli astri medicei, sia la virgula di
Huygens.147
Montanari, tornerà sul suo reticolo anche molti anni dopo, quando lo
applica a misure altimetriche e topografiche:
pongasi dentro la canna dell’oculare, nel concorso de’ fuochi, in vece
143
Intorno al 1670-1675 egli venne a conoscenza dei lavori che precedettero la sua invenzione, dal
micrometro di Eustachio Divini, alla virgula di Huygens fino al reticolo a fili mobili di Auzout che
fu però realizzato dopo la sua reticula.
144
Nella lettera a Magliabechi del 11 settembre 1682, Montanari dice che se la cometa si fosse
lasciata vedere in siti assai alti, ond’io avessi potuto osservarla col mio Cannocchiale a reticola,
avrei trovata facilmente la sua vera parallasse.
145
Nella III Giornata dei Massimi Sistemi, Galileo propone un modo per misurare il diametro delle
stelle: «ho fatto pendere una cordicella verso qualche stella… e poi con l’appressarmi e
slontanarmi da essa corda traposta tra me e la stella, ho trovato il posto, dal qual la grossezza della
corda puntualmente mi nasconde la stella…e dalla proporzione della grossezza della corda alla
distanza dall’occhio alla corda, ho immediatamente trovata la quantità dell’angolo».
146
R. CAVERNI , Storia del metodo sperimentale in Italia , tomo I, pp. 413-418, Firenze 1898.
147
G.A. BORELLI, Theoricae Mediceorum Planetarum, pp. 145-146, Florentiae 1666: «id ipsum
praestari potest plaeclaro artificio nuper ab ingeniosissimo Christiano Hugenio editum (licèt multò
priùs idipsum mihi Dominus Candidus Buonus Florentinus communicaverit) adaptatur in tubo
optico propè lentem ocularem in eiusque foco tenuissimum filum aeneum, et tum si telescopio
luminosum aliquod obiectum conspiciatur, veluti est Luna, aut Iuppiter, representatur in disco
splendido stelle linea quaedam ombrosa distinta, et terminata, genita ab aeneo filo: huismodi linea
transfertur moto, vel circumvolut o telescopio, ut fecet per centrùm, vel contingat discum Iovis,
perpendicularisque fit ad lineam motus diurni, quam centrum Iovis percurrit, posteà brevissimo et
celerissimo aliquo funependulo per eius oscillationes dimetitur tempus, dum supra filum
umbrosum transit discus Iovis: demùm sequentes oscillationes numerantur, quosque stella Medicea
Iovi propinquior pertingat ad eamdem fili umbram, eodemque modo proceditur in reliquis
Mediceis».
71
R. Calanca
del cerchietto, ove dissi si ponesse il capello per livellare, un altro
cerchietto guarnito di molti capelli… tutti equidistanti e paralleli fra
di lo ro.148
Nel corso degli anni bolognesi, lo usò sistematicamente in occasione
di ogni possibile evento astronomico. Durante il passaggio della
luminosissima cometa del 1664, determina con il reticolo la distanza
del suo nucleo da alcune stelle luminose. Il dispositivo era collocato al
fuoco di un cannocchiale di 18 palmi romani di sua fabbricazione ed
era diviso in otto intervalli che, complessivamente, coprivano in cielo
un angolo di 43’ 12”.149
Egli continuò le sue osservazioni astronomiche con il reticolo almeno
fino al 1675, come ci conferma Agostino Fabri nel registrare l’osservazione delle fasi dell’eclisse lunare avvenuta il 6 luglio 1675, eseguita
insieme a Montanari con un
cannocchiale di palmi Romani 3 e mezzo, con una reticola, che
divideva esattamente il diametro lunare in 12 parti uguali.150
In una lettera a V. Viviani del 13 agosto 1675 151 , Montanari lamenta
il fatto di aver trovato la sua reticola descritta in un bizzarro libro del
gesuita Francesco Lana152 dopo che egli stesso aveva incautamente letto
al gesuita Ferroni, grande amico del Lana, alcune parti manoscritte del
suo trattato, che purtroppo non vide mai la luce, il De usu reticolae.
Il Lana, oltre a riprodurre un disegno del dispositivo (fig. 49),
concepito principalmente per misure altimetriche, scrisse anche le
istruzioni per realizzarlo.
Dalla sua descrizione appare però chiaro che esso era un’evoluzione
di quello di Montanari, essendo mobile il filo di acciaio e in questo
riprendeva il micrometro di Picard e Auzout.
Negli anni successivi, Montanari ebbe la vista indebolita a causa di
un colpo apoplettico che accentuò la sua miopia e i gravi problemi di
148
G. MONTANARI, La livella diottrica, p. 17, Bologna 1674.
G. MONTANARI, Cometes Bononiae observatus anno 1664 et 1665, p. 11, Bononiae 1665.
A. FABRI, Efemeride Premonizioni astronomiche, et Astrologico-Mediche per l’Anno Bisestile
MDCLXXVI, p. 6 e p. 12, Bologna 1676. Sfogliando questo libretto si è colpiti dal fatto che il
nome di Montanari, autentico castigamatti degli astrologi, si trovi nelle stesse pagine che riportano
indicazioni di medicina astrologica sui giorni ritenuti «sospetti per cavar Sangue, ò esibir purganti».
151
Citato da S. ROTTA , Scienza e pubblica felicità in Geminiano Montanari, in Miscellanea
Seicento, Firenze 1971, II vol., nota n. 39 a p. 146.
152
F. LANA , Prodromo overo saggio di alcune inventioni nuove premesso all’arte maestra, p. 242,
Brescia 1670. Il libro del Lana fornisce precetti per fabbricare un orologio che si muova
perpetuamente oppure, altra perla, come fabbricare una nave che «camini sostentata sopra l’aria a
remi e a vele».
149
150
72
Aspetti dell’astronomia del Seicento
visione che, ormai da molto tempo, lo affliggevano: «l’occhio destro va
ottenebrandosi quasi affatto». 153 Da quell’infausto momento lui, che era
un così abile ed intelligente osservatore del cielo, dovette ridurre le sue
osservazioni al telescopio.
Per almeno un paio di secoli si sono cercate le prove per l’attribuzione certa dell’invenzione del reticolo che astronomi francesi (i già
citati de la Hire, Bailly, ecc.) accreditavano, almeno nella sua forma più
primitiva, a Christian Huygens, mentre il reticolo micrometrico a filo
mobile a Jean Picard e Adrien Auzout. 154
Al contrario, l’inglese Bevis la prima delle due invenzioni la faceva
risalire al proprio compatriota Gascoigne,155 contemporaneo di
Jeremiah Horrox. In Italia, per qualche tempo, si ritenne che il
dispositivo fosse stato realizzato da Francesco Generini,156 astronomo e
scultore al servizio del Granduca di Toscana.
Delambre157 concorda con Bevis e sostiene che Gascoigne, già nel
1641, avrebbe utilizzato un micrometro nelle misure del diametro
lunare, addirittura a due fili mobili per mezzo di viti e di un indice che
segnava l’intervallo tra i fili.
Oggi si pensa, probabilmente a ragione che, almeno in Italia, il primo
a proporre pubblicamente un accessorio micrometrico per misure
angolari da applicare al cannocchiale sia stato Eustachio Divini, del
quale abbiamo parlato per la disputa con Huygens sugli anelli di
Saturno.
Il suo reticolo a fili fissi, di cui aveva compreso solo in parte l’importanza in astronomia, indubbiamente aprì la strada al più evoluto
micrometro a filo mobile. 158
Così Divini, nel 1649, illustra, purtroppo con scarsa limpidezza,
l'invenzione in un commento alla sua carta lunare:
Telescopio Palmorum 24 observatum, quo minimas et minutissimas
Lunae maculas scrutatus est. Et altero palmorum 16 instructo versus
oculum non Vitro Concavo, sed Lente Vitrea subtilissimis Filis ad
instar Craticulae dispositis aperta, qua ipsas Lunae maculas
153
G. MONTANARI, L’astrologia convinta di falso , p. 112, Venezia 1685.
A. AUZOUT, Du micrometre, Mémoires de l'Académie Royale des Sciences, tome VII, premiere
partie, pp. 95-112, Paris, 1729.
155
J. BEVIS, Philosophical Transactions for the Year 1753, n. 190.
156
G. ABETTI , Storia dell’astronomia, p. 122, Firenze 1963.
157
J.B. DELAMBRE, Histoire de l'Astronomie moderne, II vol., pp. 589-590 , P aris 1821.
158
G. GOVI , Della invenzione del micrometro per gli strumenti astronomici, Bullettino di
Bibliografia di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche pubblicato da B. Boncompagni, t. XX,
pp. 607-622, Roma 1887.
154
73
R. Calanca
delineavit et suo quamque loco propria manu exactissime posuit.159
Nel 1663 egli accenna di nuovo al reticolo quando fornisce ad un suo
cliente un cannocchiale per uso topografico:
Fui pregato da un amico molto virtuoso, se li potevo io in qualche
maniera aggiustare un Occhiale, che con esso potesse pigliare le
distanze per facilitarli la fatiga nel misurare, per pigliar le Piante, che
stava facendo. Io ... li feci un occhiale di mediocre lunghezza, e nella
lente oculare applicai in distanza dalla Lente poco meno che il Suo
fuoco, due capelli, che formavano una croce... Per l'appunto
nell'istesso modo, che feci, quando disegnai la mia Luna, che
pubblicai del 1649 per accomodar le sue macchie giustamente ne'
suoi luoghi, vi posi una craticola di minutissimi quadri nel modo
accennato in detta Luna.160
Per McKeon, 161 che, in un bel lavoro, ha studiato la storia degli
strumenti astronomici nel XVII secolo, i due testi citati, così scarsi di
dettagli informativi, appaiono discordanti e la loro interpretazione
porterebbe a formulare le seguenti tre ipotesi. La prima è che il reticolo
diviniano sarebbe stato collocato all'esterno del cannocchiale, con lo
stesso sistema adottato da Francesco Maria Grimaldi e citato da
Riccioli nel- l’Astronomia Reformata .
La seconda è che il dispositivo fosse impiegato come un vero e
proprio reticolo nel fuoco del cannocchiale; la terza ipotesi è che i fili
fossero posti dalla parte esterna dell’oculare. È oggi pressoché
impossibile avere la certezza assoluta di quale sia stata la vera natura
dello strumento del Divini. Prendiamo per buono quanto scrive egli
stesso al conte bolognese Carlo Antonio Manzini: «quella è stata
l'inventione mia». 162
All’epoca della pubblicazione delle Ephemerides, 13 anni dopo la
selenografia di Divini, il reticolo, nelle mani di Montanari, era già uno
strumento maturo. Egli lo usa con sicurezza, come testimoniano le oltre
cento misure micrometriche riportate nell’opera.
Abbiamo sopra riportato il brano delle Ephemerides riguardante l’os159
E. DIVINI , Mappa lunare delineata negli anni 1646-1649.
E. DIVINI, Lettera al Conte Carlo Antonio Manzini, dove si ragguaglia di un nuovo lavoro, e
componimento di lenti, che servono à Occhialoni ò semplici ò composti, p. 58, Roma 1663.
161
R. MCKEON , Les Debuts de l'Astronomie de Précision, I, Historie de la Realization du
Micrometre Astronomique, Phisis, 1971, XIII, n. 3, pp. 234-236.
162
E. DIVINI, loc. cit., p. 60.
160
74
Aspetti dell’astronomia del Seicento
servazione della stellula hesterna163 che si trovava tra il disco di
Saturno ed il satellite Titano. Fino al 18 di luglio continuò i rilevamenti
della stella e la sua distanza da Saturno, intercalandoli, il 13 ed il 14
luglio, con le misure di posizione di Titano, che trovò, rispettivamente,
2’ 17” e 2’ 10” ad occidente di Saturno. Le posizioni del satellite erano
però sottostimate di 37” e 33”.
Ma non si limita al solo Saturno, anche Giove, i suoi satelliti e le
stelle più luminose casualmente all’interno del campo di vista, furono
oggette di misurazioni. Ad esempio, il 12 giugno, 2h 10 m dopo il
tramonto, mentre seguiva Giove e i suoi satelliti (Ephem., p. 205) nota
una stella fissa di magnitudine 6.6, 164 a 6 ¾ intervalli del reticolo ad est
di Giove (in misura angolare: 23’ 12”). Continua, con assiduità,
l’osservazione anche nelle serate successive, fino al 23 luglio, quando
ormai la stella non era più misurabile perché al di fuori del campo che
comprendeva anche Giove.
Possiamo avere un’idea della qualità delle sue misure micrometriche
esaminando le stime dei diametri di Giove e Saturno effettuate nello
stesso anno. Nel mese di maggio (Ephem., p. 214), Montanari valuta il
diametro di Giove pari ad un quarto d’intervallo del suo reticolo,
equivalente a 51”. Noi sappiamo, invece che, in quel mese, il diametro
del pianeta era, mediamente, 43”. Anche nel mese di settembre,
sovrastima a 41” il diametro di Giove, quando questi era, all’inizio del
mese, di 34” e di 32” alla fine.
Nel mese di maggio e giugno misura l’asse maggiore dell’anello di
Saturno (Ephem., p. 203), trovandolo di 41”, valore pressoché identico
al vero, e le stime di ottobre sono altrettanto corrette, 35”.
Si può ragionevolmente ipotizzare che le più accurate misure delle
dimensioni di Saturno, siano dipese da una minor irradiazione dell’immagine di questo rispetto a Giove. Ricordiamo che Giove, in quei mesi,
superava in luminosità Saturno di ben sette volte. Il fenomeno dell’irradiazione, accentuato dall’aberrazione sferica e dai difetti zonali delle
lenti dei primi cannocchiali, produceva una dilatazione dell’immagine
del disco planetario più brillante, falsandone quindi la misura.
Altre considerazioni si possono fare a proposito della misura di un
pianeta dal diametro apparente assai minore, Marte. Il 7 luglio 1662
Montanari determinò il diametro di Marte a 25”, quando in realtà esso
163
Le coordinate equatoriali apparenti della stella, la HD144925, per l’epoca 1662, sono: A.R. 15 h
49 36 s; decl. –18° 02’ 49”.
164
Le coordinate equatoriali apparenti della stella, la HD126766, per l’epoca 1662, sono: A.R. 14 h
09 m 33.25s; decl. –11° 48’ 36.3”.
m
75
R. Calanca
era di appena 5”. A mio parere, questo fatto dimostra, che il minimo
angolo risolubile, a stima, del reticolo impiegato dallo studioso
modenese, applicato al cannocchiale di Malvasia, era pari a circa un
decimo dell’intervallo tra due fili, cioè 20”.
È ben noto che fino ai primi decenni del Seicento i diametri apparenti
dei pianeti e delle stelle, erano largamente sovrastimati.
Tycho, in epoca pre-telescopica, riteneva che Saturno, alla distanza
media dalla Terra, misurasse addirittura 1’ 50” appena un po’ meno van
Lansberg, che già poteva disporre del cannocchiale ma che non era
certo un abile osservatore.
Gli errori maggiori concernevano Venere, che per Tycho era di 12’
(circa dodici volte il vero) e per Kepler 7'. Nelle Ephemerides, Malvasia
dichiara che non furono eseguite misure di Venere perché «non
avevamo ancora scoperto l’uso del reticolo». 165
I primi a darne una misura pressoché esatta del diametro apparente,
furono Jeremiah Horrocks 166 e William Crabtree nel 1639, in occasione
del famoso transito del pianeta sul Sole.
Abbiamo già avuto modo di accennare alla più ampia rassegna di
determinazioni dei diametri planetari del Se icento (§2), compilata da
Riccioli nell’Astronomia Reformata167 (che non riporta però il lavoro di
Horrocks, ancora sconosciuto), opera nella quale ben si percepisce
l’evolversi delle nuove tecniche d’osservazione astronomica tra il XVI
e la prima metà del XVII secolo.
È qui che troviamo riunite le osservazioni di maggior interesse
storico e scientifico. Il 22 aprile 1646, Hevelius, determina il diametro
di Giove attraverso il confronto con una formazione lunare che,
secondo la sua personale nomenclatura, era il monte Moschum nel
Sinus Euxini. Questo monte lunare, alla sua base, misura 4’ e Giove era
pari ad un suo terzo, cioè 1’ 20”. In realtà il suo sistema non si rivelò
molto efficace, perchè il pianeta quella notte misurava appena 35”. Il 24
dicembre dello stesso anno Hevelius ripete la misura, migliorandola
leggermente. Giove questa volta è comparato con il monte lunare Etna
e trovato 1’; il suo vero diametro era di 45”. Infine, accenniamo
all’ottima determinazione di Giove e a quella, meno buona, di Marte
eseguite da Francesco Maria Grimaldi che il 22 luglio 1649 stimò il
primo 42”, invece di 34”, e Marte di 21” (sovrastimato, era di soli 5”).
165
C. MALVASIA , loc. cit., p. 217. L’affermazione di Malvasia sembra far risalire la realizzazione
dei primi reticoli di Montanari alla tarda primavera del 1662.
166
S.B. GAYTHORPE , Horrocks Observations of the Transit of Venus 1639 November (O.S.),
Journal of the British Astronomical Association, 47 (1936-1937), pp. 60-68.
167
G.B. RICCIOLI, Astronomia Reformata, pp. 352 e segg., Bononiae 1665.
76
Aspetti dell’astronomia del Seicento
Ma, indiscutibilmente, la via da seguire nelle misure angolari celesti
era quella tracciata da Montanari con il suo reticolo. Nei decenni
successivi, già universalmente adottato dalla comunità astronomica, si
assistette ad un suo decisivo perfezionamento, con l’introduzione di fili
mobili, sostenuti da carrelli e mossi da viti di precisione (fig. 50).
Purtroppo nessuno dei numerosi reticoli realizzati da Montanari, veri
77
R. Calanca
78
Aspetti dell’astronomia del Seicento
apri-pista della moderna astronomia di posizione, è giunto fino a noi.
Pare, addirittura, che l’unico reticolo micrometrico del XVII secolo
ancora oggi esistente, un esemplare a filo mobile 168 datato 1677, sia
quello conservato presso il Seminario Vescovile di Treviso. Lo
splendido manufatto, recentemente restaurato, uscì dalla bottega di
Giacomo Lusverg, un eccellente artigiano costruttore di strumenti di
precisione, che operò a Roma tra il 1668 e il 1689. Tra Lusverg ed il
suo contemporaneo Montanari, rileviamo un paio di curiose
coincidenze, forse non casuali: entrambi erano d’origine modenese ed
entrambi si occuparono, nello stesso periodo e tra i primi in Italia, di
dispositivi micrometrici per misure astronomiche.
8. Selenografie del Seicento e la carta lunare di Montanari
8.1 Il primo periodo della selenografia (1609-1630)
La selenografia,169 nell’accezione moderna, risale all’epoca dell’introduzione del cannocchiale nell’osservazione astronomica, nel
momento in cui la risoluzione dei dettagli percepibili sulla superficie
lunare passò repentinamente da 1’ dell’osservazione ad occhio nudo ai
10”÷20” dei cannocchiali di Galileo nel 1609.
Nel primo periodo della selenografia, le primitive raffigurazioni del
nostro satellite erano finalizzate a far conoscere l’esistenza delle sue
terre, mari, vallate e imponenti montagne e che, in antitesi alle
millenarie idee aristoteliche, essa era un mondo simile al nostro. Le
mappe del primo periodo, tutte di piccole dimensioni, erano carenti di
dettagli anche per la scadente qualità e la bassa risoluzione dei
cannocchiali.
La prima raffigurazione conosciuta di una fase lunare vista al
telescopio, che precede di qualche mese i disegni galileliani, fu eseguita
dal geniale matematico e astronomo inglese Thomas Harriot che, però,
non pubblicò nessuno dei suoi importanti contributi scientifici in
numerosi campi, dall’astronomia, all’ottica, alla matematica (tra l’altro,
trovò per primo la legge della rifrazione, precedendo Snell di alcuni
anni). Le sue carte, ritrovate solamente nel XX secolo, comprendevano
168
P. TODESCO , Il Micrometro filare di Giacomo Lusverg (anno 1677), Nuncius, XII, 1997, fasc.
1, pp. 93-107.
169
Una bella definizione del termine selenografia è dovuta a Lalande: «la sélénographie est la
description du disque apparent de la Lune, des ses taches, de ses points lumineux, des leurs
situations et de leurs formes» (J.J. DE LALANDE , L’Astronomie, tomo 3, p. 308, Paris 1792).
79
R. Calanca
anche gli schizzi astronomici eseguiti al cannocchiale tra il 1609 e il
1613.
La sera del 5 agosto 1609 (il 26 luglio del calendario giuliano), nell’osservare la Luna crescente di cinque giorni, Harriot 170 utilizzò un
cannocchiale a sei ingrandimenti, forse di qualità inferiore a quello che
Galileo impiegò qualche tempo dopo. L’immagine lunare che delineò,
fu un frettoloso schizzo dove appena si riconosce il Mar Crisium e un
accenno, malriuscito, del Mar Fecunditatis, a riprova delle sue scadenti
doti di disegnatore.
L’osservazione al cannocchiale della Luna e degli altri pianeti diede
il via ad infinite dispute scientifiche e teologiche quando Galileo, nel
tardo autunno del 1609, si mostrò determinato a passare
la maggior parte delle notti …. più al sereno et al discoperto, che in
camera o al fuoco.171
E i risultati di quelle interminabili, gelide notti invernali segnarono
una svolta epocale nella cultura e nella scienza. Galileo punta il suo
strumento verso il cielo e ciò che vede e riferisce ai suoi, in larga parte
increduli, contemporanei avvierà un’autentica rivoluzione intellettuale.
L’attenta esplorazione della superficie lunare con il suo primo
cannocchiale che amplificava otto volte, presto seguito da un altro a venti
ingrandimenti, gli riserva la prima incredibile sorpresa quando si accorge
non essere affatto la Luna rivestita di superficie liscia e levigata, ma
scabra e ineguale, e allo stesso modo della faccia della Terra,
presentarsi ricoperta in ogni parte di grandi prominenze, di profonde
valli e di anfratti. 172
Questa prima eccezionale osservazione fu il preludio alla scoperta di
una serie di fondamentali novità celesti: tra le quali, la Via Lattea
popolata da una miriade di stelle e
l’aver noi scoperto quattro stelle erranti … le quali hanno lor propri
periodi intorno a una certa stella principale [Giove],
nel corso della notte del 7 gennaio 1610.
Si accinge quindi a redigere e stampare, in tempi strettissimi, il
170
T.F. BLOOM, Borrowed Perceptions: Harriot’s Maps of the Moon, in Journal for the History of
Astronomy, pp. 117-122, giugno 1978.
171
Opere di Galilei, Ed. Naz. X, pag. 302.
172
Galileo Galilei, Sidereus Nuncius, Venezia 1610, tr. it. Di M. Timpanaro Cardini.
80
Aspetti dell’astronomia del Seicento
Sidereus Nuncius, che contiene e chiarisce recenti osservazioni fatte
per mezzo di un nuovo occhiale .
Galileo, timoroso di essere preceduto in questo straordinario scoop
astrale, attese forsennatamente al suo libello dal 7 gennaio ai primi
giorni di marzo. Il lavoro, uscito dai torchi il 13 marzo 1610 in 550
esemplari, si rivelò un successo editoriale senza precedenti tanto che,
dopo una sola settimana, l’intera tiratura andò esaurita.
Le sue prime osservazioni della Luna risalgono al periodo tra luglio e
dicembre 1609 173 e i sette disegni autografi che ne ricavò, secondo
Giorgio Tabarroni, «sono immagini pittoriche di rara efficacia
impressionistica». 174
Nel Sidereus la qualità grafica dei disegni lunari è, invece, piuttosto
scadente, di molto inferiore alle illustrazioni manoscritte conservate alla
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze alle quali Tabarroni fa
riferimento. Ciò si potrebbe giustificare con il tempo straordinariamente
breve intercorso tra la redazione e la stampa, che non permise di curare
a dovere le incisioni a corredo dell’opera.
Le immagini della Luna in fase contenute nel Sidereus sono
solamente cinque, delle quali una ripetuta due volte. Una di queste
ritrae la Luna al primo quarto e presenta un esteso cratere (forse
Albategnius) sul terminatore nella zona australe, del tutto inesistente
almeno con queste dimensioni apparenti. Si è spesso dibattuto sul
perché Galileo amplificò le dimensioni di Albategnius e la giusta
spiegazione è forse quella suggerita da S. Drake che, evidenziando le
piccole dimensioni complessive dell’immagine lunare, appena 7 cm,
ritenne che, per far risaltare l’illu-minazione del bordo del cratere e le
zone in ombra, l’incisore fosse stato obbligato ad esagerarne
l’estensione.175
Galileo così illustra i fenomeni ai quali la figura si riferisce:
Questa macchia medesima si vede, avanti la seconda quadratura,
circondata da contorni più oscuri che, come catene altissime di
monti, si mostrano più scuri dalla parte opposta al Sole, più luminosa
in quella rivolta al Sole: accade l’opposto invece nelle cavità, delle
quali appare splendente la parte opposta al Sole, oscura ed ombrosa
quella situata dalla parte del Sole.
173
S. DRAKE , Galileo’s First Telescopic Observations, in Journal for the History of Astronomy,
ottobre 1976, pp. 153-168.
174
G. TABARRONI, I disegni autografi della Luna e altre espressioni figurative dei manoscritti
galileiani, in Novità celesti e crisi del sapere, p. 51, Firenze 1984.
175
S. DRAKE, Galileo - una biografia scientifica, p. 214, Bologna 1988.
81
R. Calanca
Inoltre, nel Sidereus, Galileo diede un’ampia spiegazione della luce
cinerea ed espose un metodo per determinare l’altezza dei monti lunari,
ripreso e perfezionato, alcuni decenni dopo, da Geminiano Montanari
che a questo scopo fece uso del suo reticolo.
Come abbiamo già anticipato, i successivi disegni della Luna del
primo periodo sono tutti di scarsa qualità. Nel 1614, Christopher
Scheiner S.J. riproduce il primo quarto lunare in uno schizzo di 9
centimetri di diametro che fu seguito, nel 1619, da un mediocre disegno
di 5 centimetri di Charles Malapert S.J., di qualità nettamente inferiore
a quelli di Galileo. L’anno successivo il bolognese Giuseppe Biancani
S.J., pubblicò nell’opera Sphaera Mundi, che ebbe diverse edizioni nel
Seicento, uno schizzo ancora di 5 centimetri, molto schematico, del
primo quarto. L’elenco dei gesuiti che si dedicarono alla cartografia
lunare non si esaurisce però con Biancani, anzi, esso comprende altre
figure di notevole valore.
Uno di questi, il milanese Cristoforo Borri, in gioventù criticò
pubblicamente il sistema tolemaico e fu un acceso sostenitore delle
teorie copernicane. Moderò alquanto il suo entusiasmo per la nuova
astronomia a seguito dell’aspra reprimenda dell’Ordine che gli costò il
posto di matematico al collegio milanese di Brera, nel quale insegnava
da alcuni anni. Nella sua opera Collecta astronomica,176 troviamo
un’immagine lunare al primo quarto tracciata nel luglio del 1627. Il
disegno è di fattura migliore rispetto a quelli di Malapert e Biancani ma
inferiore all’icona lunare di Scheiner del 1614.
8.2 Il secondo periodo della selenografia e la Selenographia di
Hevelius
Il secondo periodo della storia della selenografia, che termina alla
fine del Seicento, è caratterizzato da un’importantissima finalità pratica:
il difficile problema di determinare le longitudini geografiche,
specialmente in mare. Nel 1474, Regiomontano suggerì un metodo
basato sulla posizione della Luna rispetto alle stelle fisse. Esso esigeva
la disponibilità di un catalogo stellare piuttosto ampio e molto accurato.
Per questo motivo in Inghilterra, nel 1675, fu fondato l’osservatorio di
Greenwich ed il primo astronomo reale, John Flamsteed, fu incaricato
di osservare il cielo e di compilare un preciso catalogo di 3000 stelle,
176
C. BORRI, Collecta astronomica ex doctrina P. Cristophori Borri Mediolanensis ex Societate
Iesu; de tribus coelis, aereo, sidereo, empireo, Lisbona 1629-1631.
82
Aspetti dell’astronomia del Seicento
che vide però la luce, dopo molte vicissitudini, solo nel 1725. Per
trovare la longitudine con questo metodo, mancava ancora un’adeguata
teoria del moto lunare, problema affrontato dal secondo astronomo
reale, Edmond Halley. Nel frattempo, fu utilizzato un altro metodo per
trovare le differenze di longitudine, quello basato sull’osservazione
delle eclissi di Luna. Con questo secondo sistema, Pierre Gassendi e il
ricco aristocratico provenzale Fabri de Peiresc, colsero un risultato di
straordinario interesse, la determinazione delle reali dimensioni del
Mediterraneo.
L’eclisse lunare del 27 agosto 1635 costituì l’occasione per attivare
la prima rete d’osservazione astronomica simultanea a fini geografici.
Grazie alle influenti conoscenze politiche di Peiresc, alcuni gesuiti, al
Cairo, Aleppo, Cartagine, Malta e Italia, opportunamente addestrati nell’uso dei sestanti astronomici, parteciparono al progetto. 177 Il loro
compito era di rilevare, con la massima precisione possibile, l’ora
locale dell’inizio dell’eclisse lunare: la differenza dei tempi avrebbe
fornito la differenza di longitudine tra le diverse località.
Le osservazioni raccolte, esaminate e confrontate, diedero un
risultato che lasciò allibiti: il Mediterraneo si estendeva in longitudine
20° in meno di quanto creduto da Tolomeo, le cui carte geografiche
erano ancora in uso.
Con questa misurazione , il Mar Nostrum si restringeva di ben 1000
chilometri e si scoprì poi che l’errore tolemaico era nella lunghezza
della sua parte più orientale, da Cartagine ad Alessandria, ampiamente
sovrastimata.
Per una miglior precisione, il metodo delle eclissi di Gassendi e
Peiresc richiedeva la disponibilità di una mappa dettagliata del nostro
satellite. A causa delle difficoltà nell’apprezzare il momento d’inizio
del fenomeno, sarebbe stato preferibile che due osservatori seguissero il
procedere dell’ombra della Terra su mari e crateri sicuramente
individuati e, contemporaneamente, rilevassero il tempo locale di tali
accadimenti.
È evidente che, anche in questo caso, la differenza dei tempi d’occultazione faceva conoscere la differenza nella longitudine degli
osservatori.
Il progetto di Peiresc e Gassendi, rimasto largamente incompiuto per
la morte del nobile provenzale, prevedeva la preparazione di un atlante,
177
P. HUMBERT, L’oeuvre astronomique de Gassendi, Exposés d’histoire et philosophie des
sciences, Paris 1936.
83
R. Calanca
con numerosi disegni delle fasi della Luna, e di una nomenclatura utile
per riconoscere le diverse formazioni.
Esso condusse, nel 1636, alla pubblicazione di tre soli disegni di 21
cm di diametro, eseguiti dall’incisore Claude Mellan: una Luna piena,
un primo ed un ultimo quarto. Originale ed efficace la tecnica d’incisione delle carte, che Mellan apprese in Italia durante un viaggio di studio,
e che faceva uso di righe parallele di spessore variabile, in funzione del
tratto da rappresentare.
Nel 1645, il belga Michel Florent van Langren, cosmografo del re di
Spagna, con le stesse finalità dei due studiosi francesi, disegnò una
carta lunare di 35 cm sulla quale erano tracciate 325 configurazioni con
i relativi nomi (fig. 54a). Di questi, solo tre sono conservati nella
moderna nomenclatura lunare, i crateri Pitagora, Endimione e quello
che porta il suo stesso nome. Altre due carte di van Langren,
probabilmente anteriori, sono assai meno accurate e complete. I lavori
selenografici del cosmografo belga erano noti in tutta l’Europa e furono
spesso riprodotti in testi scientifici o astrologici. In Italia, una sua
selenografia di 7 centi-metri di diametro, con cenni della sua
nomenclatura, apparve nel frontespizio della Selenoscopia178 di Ovidio
Montalbani, professore dello Studio bolognese.
Nello stesso anno, il cappuccino Anton Maria Schyrleus de Rheita
pubblicò una mappa della Luna di 19 cm, di non eccelsa qualità, anche
se i contorni dei mari erano ben delineati.
Nel volume del 1646, Novae Coelestium terrestriumque rerum
observationes, il napoletano Francesco Fontana, che con molta
sfacciataggine si dichiara inventore del cannocchiale kepleriano e del
microscopio, riporta 26 disegni ed una carta generale della Luna, tutti
poco accurati e di dubbio valore scientifico.
Giungiamo quindi a Johannes Hevel o Howelcke, latinizzato in
Hevelius, che realizzò la più bella e completa rassegna selenografica
del Seicento.
Figlio di un ricco birraio, nacque nel 1611 a Danzica, della quale fu
cittadino insigne e, a lungo, apprezzato amministratore pubblico con la
carica di console.
Negli anni giovanili studiò in diverse città europee, a Leyden, Parigi
e Londra, stringendo preziose amicizie con alcuni delle maggiori figure
scientifiche del tempo: il padre Marin Mersenne, Pierre Gassendi,
178
O. MONTALBANI, Selenoscopia overo astronomicofisica specolatione circa la Luna, Bologna
1647.
84
Aspetti dell’astronomia del Seicento
Ismael Boulliaud e molti altri. Il suo interesse per l’astronomia si
manifestò a vent’anni, dopo che ebbe osservato l’eclisse di Sole del
30/31 maggio 1631. 179
Dotato di una non comune abilità manuale dedicò buona parte del
suo tempo allo sviluppo della tecnologia degli strumenti di
precisione,180 perfezionandosi contemporaneamente nel disegno e
nell’arte del-l’incisione. Realizzò, con la collaborazione dell’ottico
italiano Burat-tini, il gigantesco cannocchiale noto come maximus
tubus,181 i quadranti e sestanti in dotazione alla specola, chiamata
Stellaeburgum, che si era costruito nel 1641 su un ampio terrazzo
sovrastante la propria abitazione, nel pieno centro mercantile di
Danzica.
Si appassionò alla selenografia dopo aver letto il resoconto delle
osservazioni di Gassendi nella Vita Peirescii.182
Presa la risoluzione di riprendere il progetto di Gassendi e Peiresc, si
sottopose a lunghe veglie per osservare la Luna al telescopio.
Dal novembre 1643 all’aprile 1645 lavorò intensamente nella
specola, poi si dedicò all’incisione delle tavole e, infine, alla redazione
di un testo molto corposo, autentica summa delle conoscenze
selenografiche del tempo. Al termine del lavoro, la sua accurata
cartografia lunare, che non temeva il confronto con alcun altro lavoro
precedente, fu pubblicata nel 1647 in uno splendido volume,
Selenographia,183 subito considerato uno dei grandi monumenti della
scienza seicentesca.
Il successo dell’opera fu immediato e clamoroso: a Roma Niccolò
Zucchi la mostrò al Papa (nascondendogli però che si trattava dell’opera di un eretico) ed anche l’eruditissimo padre gesuita Athanasius
179
P. MAFFEI sostiene erroneamente (loc. cit., p. 932), che l’eclisse parziale di Sole osservato da
Hevelius avvenne il 1° giugno del 1631. Il massimo di quest’eclisse si ebbe, in realtà, verso le 0h
30m UT del 31 maggio. Nessuna fase del fenomeno fu visibile da Danzica; Hevelius, per poterlo
osservare, doveva trovarsi in una località nei pressi del circolo polare artico. L’errore fu ripetuto da
A. P ALUZÌE BORRELL in Historia della cartografia lunar, Urania, julio – dicembre 1967, p. 221.
180
L’importante opera di Hevelius sulle tecniche costruttive degli strumenti astronomici è
Machina coelestis, Gedani 1673.
181
G. MONACO, Alcune considerazioni sul "MAXIMUS TUBUS" di Hevelius, Nuncius, anno XIII,
1998, fasc. 2, pp. 533-550, Firenze 1998.
182
P. GASSENDI , Viri Illustris Nicolai Claudii Fabricii De Peiresc, Senatoris Aquiasextiensis Vita,
Hagae-Comitum 1655.
183
J. HEVELIUS, Selenographia, sive Lunae Descriptio, atque accurata tam macularum ejus, quam
motuum diversorum, aliarumque telescopii ope deprehensarum, delineatio: in qua simul caetorum
omnium planetarum native facies, variaeque observationes, praesertim autem macularum
Solarium et Jovialium, tubo specillo acquisitae, figuris sub aspectum ponuntur; necnon quam
plurimae astronomicae, opticae physicae quaestiones resolvuntur. Addita est novae ratio lentes
expoliendi, telescopia construendi, et horum adminiculo varias observationes exquisitè instituendi,
Gedani 1647.
85
R. Calanca
Kircher, del Collegio Romano, autorità riconosciuta in materia di ottica
e astronomia, mostrò di apprezzarlo. A Parigi, Mersenne, che aveva
conosciuto il giovane Hevelius, manifestò meraviglia e ammirazione di
fronte agli splendidi disegni della Luna, mentre numerose lettere di
complimenti arrivavano a Danzica dalle università di Cambridge e Oxford.
Nei capitoli introduttivi della Selenographia, Hevelius descrive il
modo di realizzare le lenti per il cannocchiale e i controlli da eseguire
per la verifica della qualità ottica degli obiettivi. Spiega la tecnica per
osservare il Sole senza arrecare danni alla vista e riporta la sparizione
degli anelli nelle osservazioni di Saturno del settembre-ottobre 1642, da
lui visto, con una certa meraviglia, perfettamente rotondo, senza alcuna
traccia dei due misteriosi “globi” che sembravano ornare il pianeta.184
Poi accenna ad altre osservazioni planetarie: sul disco di Giove vede
qualche tenue nuvola ovale, ma nessuna banda; dei satelliti medicei
stima invece con buona precisione i periodi di rivoluzione e l’elongazione da Giove. Queste osservazioni sono illuminanti: dimostrano che i
telescopi della specola di Stellaeburgum erano affetti da cromatismo e
da un potere risolutivo ridotto, forse non molto migliore di 5”.
È nel capitolo VI che inizia la selenografia vera e propria. Hevelius
introduce il lavoro con un’ampia digressione sulle opinioni degli antichi
filosofi: si dilunga sulla natura speculare della Luna secondo l’ipotesi di
Clearco, idea confutata dal fatto che le macchie sono fisse e non
variabili («macula Lunares cùm non sint variabiles […] non possunt
esse simulacra specularia»), riporta le teorie di Empedocle e degli stoici
che la credevano una caliginosa miscela di aria e fuoco di carbone ed
elenca le credenze di numerosi altri autori greci e latini, tra i quali
Plutarco. A proposito della luce lunare e cinerea, non manca di citare
anche i contemporanei, Galileo, per il quale ha un’autentica
venerazione, e Kepler, poi François Aguilon e Scipione Chiaromonti. 185
Questi ultimi due di moderno avevano invece ben poco, essendo il
primo sostenitore, ancora nel 1613, della Luna speculare di Clearco, il
secondo un battagliero anticopernicano e antiticonico, irriducibilmente
arroccato sulle più retrive posizioni dell’aristotelismo medievale.
Nel capitolo successivo esamina la parallasse e la rifrazione atmosferica; ritiene che quest’ultima si annulli, alla maniera di Tycho, già al184
Nei 32 anni trascorsi tra le prime osservazioni di Saturno eseguite da Galileo e quelle di
Hevelius dell’autunno 1642, la sparizione degli anelli si era verificato solamente altre cinque volte:
nel giugno 1612, febbraio 1613, agosto 1626, maggio-giugno 1627, marzo 1642.
185
J. HEVELIUS, loc. cit., p. 122 e segg.
86
Aspetti dell’astronomia del Seicento
l’altezza di 45°.
Il capitolo VIII è invece dedicato alle ipotesi sulle macchie e i monti
lunari, ad una nuova nomenclatura delle sue formazioni e alla
descrizione del fenomeno della librazione. Nell’accingersi a disegnare
la Luna, della quale realizzò quattro cartografie generali e una
splendida rassegna di ben quaranta aspetti delle fasi, si trovò a
fronteggiare due difficili problemi. Il primo era l’accurato rilevamento
delle dimensioni delle macchie e, il secondo, un corretto
posizionamento reciproco, tutto questo senza poter disporre, nel corso
delle osservazioni, di strumenti per una misura oggettiva delle
configurazioni lunari. Solamente qualche anno dopo, come già abbiamo
visto, Divini fece uso del reticolo in una selenografia.
La tecnica cartografica utilizzata dall’astronomo di Danzica
richiedeva una notevole attenzione e pazienza certosina. Il disco lunare
non rientrava in tutta la sua interezza nel telescopio, pertanto Hevelius
cercava gli allineamenti formati dai crateri e il rapporto, che stimava ad
occhio, tra la dimensione conosciuta del campo immagine e quella degli
oggetti inquadrati al suo interno. Variando gli ingrandimenti poteva
effettuare un controllo dimensionale dei particolari tracciati.
Delle quaranta immagini delle fasi, ciascuna con la Luna di 16.5 cm
di diametro, quattordici sono del 1643, ventidue del 1644, due del 1645,
mentre altre due non portano indicazione di data. Le quattro carte
generali, indicate con le lettere O, P(fig. 53a), Q e R (fig. 52) hanno
invece dimens ioni diverse: la prima un diametro di 16.5 cm, le altre 28
cm. Le figure O e P presentano l’aspetto della Luna piena vista al
cannocchiale. La carta topografica R mostra anche le zone intorno al
bordo, visibili grazie all’effetto di librazione, e con le ombre tutte
orientate nella stessa direzione come se la luce provenisse dall’ovest
lunare.
La selenografia moderna, pur rappresentando la Luna
convenzionalmente con l’illuminazione unica, ha invece adottato il
modello proposto da van Langren, con la luce proveniente dall’est
lunare.
Nella carta R, la quantità di configurazioni che in realtà non esistono
è consistente. Spesso, anche i crateri realmente esistenti hanno
dimensioni e disposizioni errate. Esempi di scarso rispetto della
topografia si riscontrano nel Mar Imbrium, nei pressi di Archimede,
Aristillo e Autolico: Thimocharis è raffigurato molto più grande del
vero, come pure la miriade di piccoli crateri a nord di Copernico che
crateri non sono, bensì massicce strutture montuose. Appaiono
87
R. Calanca
certamente più vicine al vero le carte delle fasi, dalla 16 alla 19, che
ritraggono la medesima zona. D’altra parte, sono improbabili e assai
fantasiosi anche gli strani raggi intorno a Stevinus A e Furnerius A, con
la loro forma a “orecchie di coniglio”.
Analizzando la carta R, si ha la viva impressione che Hevelius,
quando la tracciò, fosse suggestionato dalla particolare rilevanza
fotometrica di alcune strutture lunari che spesso non è però
direttamente proporzionale alle loro reali dimensioni.
88
Aspetti dell’astronomia del Seicento
89
R. Calanca
90
Aspetti dell’astronomia del Seicento
Nella mappa indicata con Q, disegnata con la fantasiosa tecnica
cartografica del tempo, è riportata la sua toponomastica, con una lista
che comprende ben 274 formazioni. 186 Inizialmente aveva deciso di
usare i nomi di astronomi antichi e moderni,187 quali: Mar
Kepplerianum, Lacum Galilei, Oceanum Coperniceum, ma vi rinunciò
per timore di farsi dei nemici tra i contemporanei a causa di sempre
possibili dimenticanze. La scelta cadde quindi su innocui soggetti
geografici, come Appennini, Alpi, Carpazi, che, tra l’altro, della
toponomastica di Hevelius, sono tra i pochissimi tuttora conservati.
Nel 1649 apparve la già citata selenografia di Eustachio Divini (fig.
54b), alla quale abbiamo fatto riferimento a proposito della controversia
che coinvolse Huygens, Fabri e lo stesso Divin i, sulla natura degli
anelli e dei satelliti di Saturno (§ 2, § 7).
L’ottico italiano, pessimo scienziato ma ottimo costruttore di
cannocchiali, con questa carta, dedicata al granduca di Toscana
Ferdinando II, intendeva provare le possibilità offerte dai suoi strumenti
nell’osser-vazione astronomica. Essa fu disegnata al plenilunio del
mese di marzo del 1649 con l’ausilio del reticolo e di due cannocchiali
di 24 palmi (m. 5,4) e 16 palmi (m. 3,6). L’analisi della mappa svela
come il suo autore si sia ampiamente ispirato alle selenografie di
Hevelius. Ciò appare evidente nella regione intorno al cratere Kepler,
nel triangolo del Lacus Mortis, nel sistema di raggi centrato su Tycho e
nelle due aree rettangolari del Mar Tranquillitatis.188
Due anni dopo, nel suo monumentale Almagestum Novum (fig. 4),189
il gesuita Riccioli pubblicò due carte, di fondamentale importanza
storica, disegnate dal confratello Francesco Maria Grimaldi, divenuto
famoso per la scoperta della diffrazione della luce.190
Riccioli ci dà una descrizione del lungo lavoro d’osservazione che
tenne occupato Grimaldi tra il 1647 e il 1650:
186
J. HEVELIUS, loc. cit., pp. 228-235.
J. HEVELIUS, loc. cit., p. 224.
O. VAN DE VYVER, Lunar Maps of the XVII th century, Vatican Observatory Publications, vol. I,
n. 2, pp. 76-77, 1971.
189
G.B. RICCIOLI, Almagestum Novum astronomiam veterem novamque complectens
observationibus aliorum, et propriis Novisque Theorematibus, problematibus, ac tabulis
promotam , tavole fuori testo a p. 204, Bononiae 1651. Ristampata nell’Astronomia Reformata del
1665. Fu riprodotta spesso anche nel Settecento, ad es.: J. KEILL , Introductio ad veram
Astronomiam, p. 118, Oxoniae 1718.
190
G. T ABARRONI, Padre Francesco Maria Grimaldi bolognese, iniziatore dell’ottica-fisica, nel
terzo centenario della morte, Annuario dell’Istituto tecnico industriale Aldini- Valeriani, Bologna
1964.
187
188
91
R. Calanca
92
Aspetti dell’astronomia del Seicento
al telescopio [Grimaldi] esamina una ad una tutte le parti della
superficie lunare, grandi, piccole e minime; immediatamente le
confronta con i disegni di van Langren e di Hevelius che suole
tenersi davanti; riconosce molti particolari resi anche da loro
egregiamente; non pochi tuttavia ne rimangono, che sono da
aggiungere o da correggere per quanto concerne la posizione, la
grandezza, la forma, la simmetria o il chiaroscuro. Pertanto traccia
nuovi disegni, e li ripete per migliorarli sempre più, senza smettere
finchè non gli sembra di aver raggiunto la più perfetta somiglianza
dei pur minimi particolari del volto della Luna. Per quanto poi
riguarda i limiti, le zone e i periodi della librazione, ha fatto fino ad
oggi tante osservazioni, che potrebbe scrivere da esse un intero
volume. 191
Nell’Almagestum, le carte selenografiche sono due, entrambe di 28
centimetri di diametro. La prima (fig. 54c) è contornata dai disegni di
quattro fasi lunari, fortemente librate, due crescenti e due calanti, di 11
centimetri di diametro. L’altra, Pro Nomenclatura et Libratione Lunari,
mostra, alla maniera della selenografia Q di Hevelius, quelle parti della
sua superficie che si rendono visibili per effetto delle librazioni e
contiene la nuova nomenclatura proposta dal grande elefante192
Riccioli.
A differenza di Hevelius, Riccioli non ebbe alcun timore di turbare la
delicata sensibilità degli eruditi e dei potenti del suo tempo. La sua
toponomastica, costituita da 248 nomi, ed infarcita di personaggi
antichi e moderni, tra i quali Grimaldi e se’ stesso, ebbe gran successo
e, dalla metà del secolo successivo, sostituì quasi integralmente quelle
precedenti di Gassendi, van Langren ed Hevelius.
Risale invece al 1671 l’ultima carta lunare (fig. 54d) di cui ci
occuperemo, opera del padre cappuccino Michel Lasséré, meglio
conosciuto con il nome religioso di Chérubin d’Orléans, noto per i suoi
studi sul cannocchiale binoculare, dei quali eseguì una trentina di
esemplari, tra il 1660 e il 1670. Un inusuale binoculare marino, a lui
attribuito, è conservato al Museo della Scienza di Firenze.
Le due selenografie di Chérubin apparvero nell’opera La Dioptrique
191
G.B. RICCIOLI, loc. cit., p. 203. (la traduzione di questo passo è apparsa in: G. TABARRONI,
Bologna e la carta della Luna, Culta Bononia, n.1, pp. 104-105, 1969).
192
È il nomignolo, non certamente affettuoso, attribuitogli da un altro gesuita suo contemporaneo
rimasto anonimo, dovuto all’imponenza e la pedanteria delle sue opere. Si veda: A. BATTISTINI,
La cultura scientifica nel collegio bolognese, Dall’isola alla città. I gesuiti a Bologna (a cura di
G.P. BRIZZI ), p. 162, Bologna 1988.
93
R. Calanca
Oculaire,193 e servivano a valorizzare le qualità ottiche dei suoi
cannocchiali. La prima carta, porta il titolo: Observation du disque de
la Lune, en son opposition au Soleil faite par le Pere Cherubin
d'Orleans Capucin, au moyen de l'instrument qu'il a nouvellement
inventé . Il padre cappuccino, a commento della tavola, scrive che
questa prima immagine lunare è confusa e priva di dettagli perché fu
realizzata durante la Luna piena, mentre la seconda mappa (fig. 54-d), il
cui titolo è Observation exacte des macules du disque de la Lune au
moyen de laquelle ses phases peuvent estre facilment reconues, par
leurs ombres, en leurs esloguements du Soleil depuis son opposition,
disegnata lontana dal plenilunio, nel corso di alcune notti, rende
giustizia alla bontà del suo nuovo cannocchiale . Egli dic e di aver
impiegato una specie di micrometro, di sua invenzione, per riprodurre
al meglio le proporzioni degli oggetti celesti e terrestri osservati
attraverso il cannocchiale.
La seconda mappa, che risente chiaramente dell’influenza della
selenografia R di Hevelius, e il cui diametro è di 28 centimetri è, come
vedremo, meno precisa di quanto il suo autore voglia farci intendere.
8.3 Caratteristiche dell’icon lunaris di Geminiano Montanari e il
confronto con altre carte del tempo
Passiamo ora all’esame dell’icon lunaris di Geminiano Montanari
che Cornelio Malvasia, nell’ultima pagina delle Ephemerides, così
introduce:
Alla fine dell’opera mostriamo l’immagine lunare tracciata da
Geminiano Montanari, dottore in legge e nostro appassionato
studioso di as tronomia. Le altre immagini dei pianeti, nella misura in
cui sono stati da noi osservati quest’anno, abbiamo provveduto
affinché fossero disegnate intorno a quella. Più volte abbiamo
esaminato un gran numero di selenografie e, in particolare, quelle di
Rheita e di Riccioli, per valutare se corrispondessero con precisione
all’immagine della Luna che vediamo col nostro telescopio,
riscontrando però un’ec-cessiva differenza.
Per questo motivo, abbiamo voluto valorizzare lo studio di colui che
ci sembra aver trovato un solido criterio per raffigurare la Luna in
modo corretto e proporzionato e per collocare, nelle loro esatte
193
CHERUBIN D ’ORLEANS, La Dioptrique Oculaire, ou la Théorique, la Positive et la Méchanique
de l’Oculaire Dioptrique en Toutes ses Espèces, tavole 37 e 38 alle pp. 296 e 298, Paris 1671.
94
Aspetti dell’astronomia del Seicento
posizioni, tutti i particolari visibili. L’uso del nostro reticolo nell’osservazione del disco lunare offriva a lui, lo stesso vantaggio
offerto ai pittori che, volendo riprodurre opere altrui, impiegano un
reticolo proporzionato, adattato all’originale e alla copia. Allo stesso
modo, infatti, era possibile osservare la Luna ‘reticolata’: dal
momento che egli poteva far ruotare il reticolo, facilmente lo
disponeva in qualunque posizione della Luna, in modo che un ordine
di fili stesse sempre disteso dall’uno all’altro corno mentre gli altri li
intersecava ad angolo retto. Alle differenze fra i diametri lunari (per
cui variavano in qualche mo do anche le distanze fra le macchie)
rimediava con una varietà proporzionata di reticoli. Così aveva a
disposizione, per un qualunque diametro della Luna, un reticolo
appropriato, dal quale la Luna appariva divisa in nove sezioni uguali
in entrambi i sensi, sebbene in precedenza, per misurarne il diametro
e le altre distanze, ci fossimo serviti sempre di un unico reticolo.194
Egli tracciava la prima fase con precisione su una carta, sulla quale
era riportato il cerchio lunare proporzionatamente ‘reticolato’. Il
giorno seguente aggiungeva ciò che nella Luna osservava più
ampiamente illu minato rispetto al primo giorno e così procedeva fino
all’opposizione. Spesso, però, la trasparenza dell’aria non fu tale da
permettergli di tracciare un’opera completa nel corso di una sola
lunazione, tranne che nel mese di ottobre, in cui neppure una volta
trovò vapori che ostacolassero il suo studio. Iniziatala allora, spesso
con noi presenti, proseguì. E solo quando anche la più piccola
macchia era stata considerata e solo quando le posizioni di queste
erano state aggiunte alle altre fasi tracciate in un altro momento, egli
ha consegnato un’opera completa sotto ogni aspetto.195
Possiamo immaginare che nella bella serata del 15 ottobre del 1662,
86 ore dopo il novilunio (tab. III, col. 1), Montanari, con pazienza
certosina, si accingesse a disegnare i particolari più rilevanti della
superficie lunare. Premurosamente, Malvasia informa il lettore che, nei
mesi precedenti, un certo numero di tentativi di realizzare una carta
lunare fallì per le cattive condizioni atmosferiche.
Montanari aveva giustamente escluso di raffigurare la Luna durante
il plenilunio, ciò che altri e, tra questi, il già citato Francesco Fontana,
non avevano esitato ad attuare, con assai scarsi risultati. Lo avevano
fatto desistere la pessima illuminazione del disco lunare e l’eccessivo
appiattimento dell’immagine: troppi dettagli, nell’intenso chiarore
diffuso senza ombre, sarebbero andati persi o snaturati.
Ogni sera, prima di iniziare il vero e proprio lavoro cartografico,
194
195
C. MALVASIA , loc. cit., p. 219.
C. MALVASIA , loc. cit., p. 220. Traduzione di Sofia Petrantonakis.
95
R. Calanca
determinava il diametro lunare (tab. III, col. 4) con un reticolo,
impiegato per questo scopo fin dal mese di luglio, opportunamente
inserito nel cannocchiale di 24 palmi.
Forse quello stesso cannocchiale è raffigurato nell’antiporta delle
Ephemerides (fig. 2), anche se, il tubo, di sezione quadrata, appare di
lunghezza minore dei 5 o 6 metri dichiarati da Malvasia. 196
Un grave problema, evidenziato dalla bella tavola incisa dallo
Stringa, è la precarietà del suo sostegno: con quel sistema di corde e
pulegge non era agevole trasmettere al cannocchiale un movimento
accurato e continuo, senza trascurare, poi, l’ulteriore complicazione di
dover mantenere un filo del reticolo sempre tangente al bordo lunare.
Eseguita in pochi minuti la misura del diametro lunare, il cui errore
medio, nelle dodici serate, è di 30”, Montanari sostituiva il reticolo,
scegliendone un altro capace di dividere esattamente in nove intervalli,
su entrambi gli assi, il disco del nostro satellite.
In questo modo, la Luna gli appariva coperta da un fitto reticolato di
81 quadratini perfettamente adattato alle sue dimensioni.
In precedenza, su di un foglio di carta di grande formato, aveva
tracciato un cerchio di 38 cm di diametro al quale forse sovrappose un
reticolato di 81 quadratini.
Dopo aver rilevato la posizione del terminatore lunare, lo riportava
sul disegno con una linea tratteggiata e, finalmente, dava inizio al vero
e proprio lavoro cartografico.
Seduto e immobile, fissava la Luna attraverso il cannocchiale mentre,
con estrema delicatezza, per evitare oscillazioni dannose per la qualità
dell’immagine, spostava il lunghissimo tubo per mantenerla nel centro
del campo. Infine, determinate la posizione delle varie configurazioni
rispetto al reticolato dei fili, una per una le riportava sulla carta.
Nelle prime due serate, la Luna tramontò assai presto e Montanari
ebbe poco tempo a disposizione per disegnare. Il 15 ottobre, tracciò il
terminatore lunare alle 17h 30 m UT ed appena un’ora dopo il satellite
toccò l’orizzonte. La sera successiva, il nuovo terminatore, che
corrisponde a 110h dopo la neomenia, cadeva 40 minuti prima
dell’inizio del tramonto lunare.
Evidentemente, queste prime sedute d’osservazione risentirono della
necessità di disegnare velocemente: nessuna meraviglia, quindi, se
196
Forse l’unità di misura indicata nelle Ephemerides è il palmo romano di circa 20 cm, per cui la
focale risulterebbe di 4,8 met ri. Paolo Maffei ipotizza invece che la misura fosse in palmi genovesi
di 26.3 cm, pari a 6.32 metri di focale (P. MAFFEI, Carte lunari di ieri e di oggi, L’Universo, anno
XLII, n. 4, luglio-agosto 1962, p. 936).
96
Aspetti dell’astronomia del Seicento
qualche rilevante configurazione, nella regione del Mar Crisium, ad
esempio, manca all’appello.
Per avere un’idea delle difficoltà affrontate da Montanari con la sua
Tabella III
Tempi di realizzazione della carta lunare di Geminiano Montanari
a partire dal novilunio del 12 ottobre 1662 (4h 30m UT)
(1)
86h
110h
133h
158h
183h
206h
230h
254h
279h
302h
326h
350h
(2)
(3)
(4)
(5)
(6)
(7)
(8)
Data
Ora (UT)
Diam.
Luna
Libraz.
latit.
Libraz.
longit.
Altezza
Luna
15 ott. 1662
16 ott. 1662
17 ott. 1662
18 ott. 1662
19 ott. 1662
20 ott. 1662
21 ott. 1662
22 ott. 1662
23 ott. 1662
24 ott. 1662
25 ott. 1662
26 ott. 1662
17h 30m
18h 30m
17h 30m
18h 30m
19h 30m
18h 30m
18h 30m
18h 30m
19h 30m
18h 30m
18h 30m
18h 30m
Diam.
Luna
(moderni)
29’ 27”
29’ 34”
29’ 45”
30’ 02”
30’ 24”
30’ 49”
31’ 18”
31’ 50”
32’ 23”
32’ 50”
33’ 13”
33’ 26”
28’ 22”
28’ 39”
29’ 13”
29’ 38”
30’ 05”
30’ 56”
31’ 48”
32’ 19”
32’ 39”
33’ 00”
33’ 31”
33’ 48”
-5.6°
-5.9°
-5.9°
-5.6°
-4.9°
-4.1°
-2.9°
-1.5°
+0.2°
+1.8°
+3.4°
+4.9°
-2.8°
-4.1°
-5.0°
-6.0°
-6.9°
-7.1°
-7.1°
-6.8°
-6.1°
-4.7°
-3.0°
-1.0°
10°
7°
19°
17°
17°
28°
31°
33°
38°
29°
29°
23°
NOTE ALLA TABELLA III:
(1): Posizione del terminatore tracciato sulla carta lunare corrispondente al tempo
trascorso dal novilunio (in ore).
(4): diametro lunare secondo i calcoli moderni.
(5): misure del diametro lunare eseguite da Montanari con il reticolo (Ephem. p.
219).
carta lunare, ho eseguito disegni completi delle fasi, nel corso di alcune
serate, a partire da tre giorni dopo la neomenia, con un piccolo rifrattore
di 5 centimetri di apertura e 30 ingrandimenti, in montatura
altazimutale e un reticolo inciso su vetro. Per correttezza, è necessario
puntualizzare che questo strumento non ha assolutamente le
caratteristiche tipiche del cannocchiale seicentesco, essendo molto più
compatto, con una focale di soli 80 centimetri contro i 5 metri e più.
Alcuni pregi dello strumento sono la notevole maneggevolezza e la
buona correzione ottica; la montatura meccanica, però, è instabile e
vibra ad ogni alito di vento. Nella mia simulazione mi sono dovuto
accontentare: sarebbe stato troppo impegnativo realizzare
un’apparecchiatura complessa come quella del marchese Malvasia
97
R. Calanca
all’unico scopo di valutarne le prestazioni.
Nonostante qualche indubbio vantaggio tecnico in mio favore, per
tracciare il disegno di alcuni fusi ho impiegato, inclusi i tempi d’osservazione e la trasposizione su carta, mediamente 4 ore ciascuno, notando
poi, con dispiacere, che i miei risultati sono qualitativamente inferiori a
quelli conseguiti da Montanari 340 anni fa.
Posso quindi supporre che la sua carta richiese non meno di una
cinquantina d’ore per essere completata. Il mio test ha anche fatto
emergere le difficoltà e i problemi che hanno condizionato la qualità del
suo elaborato e contribuito ad introdurre alcuni errori cartografici,
prontamente rilevati da critici moderni che non credo abbiano mai
tentato di calarsi nella routine di lavoro di un astronomo del XVII
secolo.
Chi, come fece Montanari, intendesse raffigurare centinaia di particolari lunari, in un intenso tour de force di 12 serate consecutive (impresa
mai prima tentata, neppure da Hevelius), con mezzi, dal punto di vista
della scienza moderna, sostanzialmente inadeguati, è soggetto ad un
notevole stress fisico e psicologico, indubbia causa di errori ed
omissioni.
Il selenografo belga A. Piérot, molti anni fa, ha fatto notare che se si
copre l’icon lunaris con un reticolo di coordinate ortografiche, non si
trova alcuna concordanza con le carte moderne relativamente alla
posizione dei diversi particolari selenografici. 197
Nella moderna selenografia, l’equatore è l’origine delle latitudini
mentre, per la longitudine il meridiano centrale passa per il Sinus
Medii. Con una semplice ispezione della carta di Montanari, vediamo
che la posizione del suo meridiano centrale è ad ovest dell’origine delle
moderne longitudini selenografiche. Esso sfiora il cratere raggiato
Tycho, lascia alla sua sinistra i circhi di Tolomeo, Alfonso e Arzachel
ed attraversa Plato. L’equatore invece passa poco a nord di Grimaldi,
nell’ovest lunare, e lambisce Ipparco.
Dalla figura 58, dove sono indicate, in modo ovviamente approssimativo, le posizioni dei meridiani centrali, della carta di Montanari e
di quello oggi adottato, e i corrispondenti equatori, si evince che il
punto di latitudine e longitudine zero dell’icon lunaris è collocato 6° a
sud e 10° ad ovest dall’origine delle coordinate selenografiche. Per un
osservatore terrestre, la separazione angolare dei due punti d’origine è
197
A. P IEROT, La carte lunaire de Montanari, Ciel et Terre, XLVII année, n. 2, p. 81, Février
1931.
98
Aspetti dell’astronomia del Seicento
piuttosto consistente, sui 2’, un quindicesimo del diametro lunare
apparente. Tradotta nell’unità di misura dei reticoli impiegati nelle
Ephemerides (separazione tra due fili, che equivale a poco più di 3’),
questa distanza è ? di un intervallo. Indubbiamente Montanari, mentre
redigeva la sua carta, si accorse di quanto avveniva sotto i suoi occhi e
certamente rammentava, dalla lettura della Selenographia di Hevelius,
il tentativo, non riuscito, dell’astronomo di Danzica di spiegare e
prevedere l’ammontare delle librazioni con una teoria adeguata.
Vediamo ora in che misura le librazioni possono avere influito sull’esatta disposizione dei particolari lunari nella sua carta. Nella prima
serata d’osservazione, la librazione in latitudine era doppia di quella in
longitudine (tab. III, coll. 6-7 e fig. 59) e l’origine delle coordinate
selenografiche si trovava 5.6° nord e 2.8° est dal centro apparente.
Il 20 ottobre, Montanari disegna il fuso centrale: le magnitudini delle
librazioni, questa volta, sono invertite, in longitudine è doppia di quella
in latitudine. Tra le due date, l’origine delle coordinate si era spostato di
1.5° a sud e di 4.3° ad est. In altre parole, un cratere osservato al centro
della Luna la sera del 20 ottobre, rispetto, ad esempio, a Langrenus, che
fa parte invece del primo fuso, apparentemente era più vicino a
quest’ultimo di 4.3° in longitudine e più a sud di 1.5°.
Nelle condizioni descritte, l’effetto delle librazioni sui due crateri
porta a falsare la loro distanza di circa 1’. Naturalmente, quest’apparente alterazione delle distanze vale per tutti i particolari lunari
raffigurati nei fusi di quei due giorni. Per verificare quanto detto, si
misuri su una carta moderna e su quella di Montanari la distanza tra
Langrenus e Tolomeo. Nell’icon lunaris la loro separazione è minore di
circa 1’ dal reale, così come abbiamo sopra evidenziato. Questa è
un’ulteriore prova del fatto che l’astronomo modenese, con il suo
reticolo, era in grado di posizionare correttamente e con una precisione
mai prima raggiunta, i dettagli lunari esattamente così come gli
apparivano al cannocchiale, effetti de lle librazioni inclusi.
Dal confronto tra il fuso centrale del 20 ottobre con il penultimo del
25, si vedrà che le librazioni hanno spostato verso sud di 8° e di 4.2°
verso ovest il centro medio lunare. Ciò significa che le distanze tra gli
oggetti raffigurati in questi due fusi sono maggiori del vero. La
selenografia di Montanari non è quindi un’istantanea dell’aspetto
superficiale del nostro satellite valida per ogni epoca, bensì una sintesi
che deriva dall’accostamento di immagini successive, a mo’ di collage,
scaturite nel corso di osservazioni telescopiche di una ben precisata
lunazione.
99
R. Calanca
Un’altra caratteristica distintiva di questa carta è lo stile cartografico,
molto più moderno e meno fantasioso di quello dei predecessori. Carlo
Bonacini rileva giustamente che:
l’esame comparativo della carta di Montanari con quelle dei suoi
predecessori o contemporanei, fa subito riconoscere in quella del
Nostro un nuovo stile. Lo stile del resto, che diverrà quello dei
successori. Dallo stile a macchie si passa a quello a profili: da una
rappresentazione globale, sintetica, si passa a quella scheletrica,
analitica, si direbbe geometrica. 198
Se eseguiamo un confronto tra una carta moderna della zona del Mar
Imbrium e della catena degli Appennini, con quella stessa zona
raffigurata in quelle di Montanari, Hevelius e Grimaldi (fig. 55) è
possibile comprendere la sostanziale differenza qualitativa esistente tra
queste tre opere seicentesche. Hevelius e Grimaldi non esitano ad usare,
per alcune catene montuose, un segno noto come mucchio di talpa o
pan di zucchero,199 largamente impiegato nella tradizionale cartografia
terrestre fin dai tempi di Tolomeo. Questo è un segno generico,
letteralmente simbolico del rilievo, che
offriva indicazioni d’ordine qualitativo e suggeriva quindi il ‘tono’
del territorio, circoscrivendo una zona di ‘non pianura’. 200
Montanari riproduce invece le irregolarità del suolo lunare con un
tratto fine e sinuoso che potrebbe essere confuso, a volte, con inesistenti
e tortuosi corsi d’acqua. In questo stile riconosciamo gli elementi
primevi di moderne tecniche cartografiche, come le linee di massima
pendenza e le isolinee, che furono però codificate e generalmente
adottate nel XIX secolo. Nell’icon lunaris la tormentata orografia
lunare è spesso rappresentata con questa tecnica, certamente più
efficace e vicina al gusto moderno di quanto non lo sia il mucchio di
talpa, ed è particolarmente evidente negli Appennini e nei monti Rook.
Ma è nei crateri lunari, resi in modo eccessivamente schematico da
Hevelius e Grimaldi (quest’ultimo è indubbiamente influenzato dai
disegni selenografici dell’astronomo di Danzica), che si esalta lo spirito
verista , marcatamente di scuola galileiana, di Montanari.
Anzichè strutture ellittiche a scodella prive di qualsiasi dettaglio,
198
C. BONACINI, Una carta lunare di Geminiano Montanari, Nel Primo Centenario della
Fondazione dell’Osservatorio, p. 6 e segg., Modena 1927.
199
A. LODOVISI, S. T ORRESANI, Storia della Cartografia , p. 140, Bologna 1996.
200
A. LODOVISI, S. T ORRESANI, loc. cit., p. 140.
100
Aspetti dell’astronomia del Seicento
tipiche della tecnica di tutti i suoi predecessori, i crateri raffigurati nell’icon lunaris danno ragione della loro tormentata genesi: Copernico,
Aristillo, Autolico, Eratostene e numerosi altri, sono ben descritti, con i
loro contrafforti accidentati e i picchi centrali in evidenza.
È ben percepibile, inoltre, lo sforzo dello scienziato modenese teso
ad evitare il ripetersi di alcuni errori dei predecessori, cioè, con le paro-
101
R. Calanca
102
Aspetti dell’astronomia del Seicento
le di Bonacini, «quegli aspetti, più o meno fantastici, precedentemente
fissati e tramandati da un disegnatore all’altro». Non v’è traccia, ad
esempio, delle orecchie di coniglio , coppia di raggi dalla buffa forma,
intorno a Furnerius e a Stevinus nel sud-est della Luna, che Hevelius,
Divini e Grimaldi disegnarono; oppure di quella formazione a f nel
Mare Serenitatis che lo stesso Cassini, amico di Montanari e
conoscitore non superfic iale della sua carta, ancora riporta nella
selenografia data alle stampe a Parigi del 1680.
Poi, come sottolinea ancora una volta con acutezza Bonacini,
le scie di irradiazione dei singoli circhi sono proporzionate al vero, e
non esagerate come in carte precedenti o trascurate addirittura…Il
grandioso irraggiamento di Tycho, se pur tradotto assai meglio che in
ogni altra carta lunare del XVII sec., salvo quella del Cassini, può
apparire non completo.
Qualcuno ha però fatto notare che nella sua carta vi è qualche
omissione ed errore di troppo. Non appare, ad esempio, la Vallis Alpes
(fig. 55, indicata con una freccia nella prima figura in alto a sinistra),
una profonda incisione nella catena alpina ben visibile, intorno al primo
quarto, con telescopi di pochi centimetri di diametro e a basso
ingrandimento. Anche se ciò non vale a giustificarne l’omissione,
osserviamo che nessuno degli astronomi che lo precedettero diede una
raffigurazione di quest’imponente frattura, compreso il più assiduo
osservatore lunare del Seicento, il solito Hevelius, che non la riporta
nelle sue carte generali e neppure in quelle delle fasi del 21 novembre
1643, del 19 dicembre dello stesso anno e dell’8 ottobre 1644 (fig.
53b). Fu Francesco Bianchini, allievo di Montanari, il primo a
disegnare la Vallis Alpes in un volume apparso però nel 1728. 201
Non solo, mancano anche crateri luminosi quasi impossibili da
ignorarare, con diametri compresi tra i 30 e i 40 chilometri, nella parte
nord del Mar Tranquillitatis, quali Plinio, Vitruvio e Maraldi e, nel Mar
Imbrium, i crateri Lambert e Mayer.
Evidenti errori di forma, non giustificati dalle librazioni, alterano la
geometria di Plato, Grimaldi, Aristotele, Eudosso e il Mar Crisium. Essi
si mostrano meno ellittici della realtà, mentre Albategnius (le cui
201
BIANCHINI, F., Hesperi et Phosphori, Nova Phaenomena sive observationes circa planetam
Veneris unde colligitur 1. Descriptio illius macularum, seu Celidographia. 2. Vertigo circa axem
proprium, vel Perieilesis spatio dierum 24 cum triente. 3. Parallelismus axis in orbita octimestri
circa Solem. 4. et quantitas Parallaxeos methodo Cassiniana explorata nunc primum editae sub
auspiciis sacrae regiae majestatis Joannis V, à Francisco Blanchino Veronensi, Romae 1728.
103
R. Calanca
dimensioni, come abbiamo visto, furono esagerate anche in un famoso
schizzo di Galileo) è troppo grande e rivaleggia con l’attiguo Ipparco.
Pur riconoscendo l’esistenza di imperfezioni, errori ed omissioni,
spesso pressoché inevitabili a causa della complessità e della ricchezza
del soggetto ritratto, l’opera di Montanari non perde, per questo di valore.
Due affermazioni negative sulla carta dell’astronomo modenese,
esternate da E.A. Whitaker in una recente rassegna selenografica del
XVII secolo, a mio parere, non possono essere condivise.202 La prima,
riguarda la presunta scadente qualità artistica dell’elaborato di
Montanari, la seconda, più grave, perché dimostra che l’autore ha una
modesta conoscenza di questa stessa cartografia (e, in effetti, non la
riproduce), quando sostiene che la sua positional accuracy…[is] very
low. Rigetto, come privo di un qualsiasi significato scientifico,
l’adozione di un criterio “artistico” quale unico titolo di merito da
considerare nella valutazione delle caratteristiche di una selenografia.
Non penso, ad esempio, che Hevelius, giustamente ammirato da
Withaker, quando affrontò il suo poderoso lavoro di riproduzione degli
aspetti della Luna in ogni sua fase, fosse stato motivato da ambizioni
artistiche od estetiche al fine di ottenere l’approvazione postuma sul
suo operato delle future generazioni di storici dell’astronomia. Erano
ben altre le sue preoccupazioni e ben più concrete. Aveva ripreso il
progetto, a quei tempi ritenuto di fondamentale importanza pratica, ma
rimasto incompiuto, di Peiresc e Gassendi, per la realizzazione di
selenografie che fossero proficuamente utilizzabili durante le eclissi al
fine di determinare le longitudini terrestri e in mare.
Chi avesse fornito una soluzione accettabile a questo problema
avrebbe ricevuto onori, gloria e denaro: Filippo III, re di Spagna, agli
inizi del secolo, aveva offerto un premio di 6000 ducati e anche Galileo
aveva proposto una soluzione, basata sulle occultazioni dei satelliti di
Giove,203 poi largamente adottata dagli astronomi nei due secoli
successivi.
202
E.A. Whitaker, Selenography in the seventeenth century, The General History of Astronomy,
vol. 2°, p. 139, Cambridge 1989. Della carta di Montanari Whitaker scrive: the artistic quality and
positional accuracy of this map are very low.
203
Galileo (Opere, Ed. Naz. V, Proposta della Longitudine, pp. 419-422), così scriveva: «quel
problema massimo e meraviglioso [delle longitudini]… tanto desiderato in tutti i secoli passati per
le importantissime conseguenze che da tale ritrovamento dipendono nella geografia e carte
nautiche… ha eccitato a travagliare diversi ingegni… ma sin ora tutte le fatiche sono riuscite
vane…La longitudine non è altro che un arco dell’equinozziale, preso tra il meridiano di un loco
ed il meridiano di un altro: e perché comunemente da’ cosmografi si è stabilito che il meridiano
che passa per le isole Canarie sia il primo meridiano, pertanto si dirà che la longitudine di un loco
sia l’arco dell’equinozziale che viene intrapreso tra il meridiano che passa per le isole Canarie ed il
meridiano del loco».
104
Aspetti dell’astronomia del Seicento
105
R. Calanca
Vediamo ora se l’idea di una scarsa accuratezza geometrica dell’icon
lunaris, sostenuta da Whitaker, ha qualche fondamento di verità. Forse
l’unico modo di procedere è confrontare la selenografia di Montanari
con altre, scelte tra le migliori del secolo, e vedere come questa si
colloca, per quanto concerne la disposizione geometrica dei dettagli, in
quel panorama cartografico, in altre parole se regge tale confronto.
Tabella IV
Errori nelle distanze tra 60 coppie di crateri rilevati in alcune carte
lunari del sec. XVII
Autore della carta lunare,
dimensioni e anno della
prima pubblicazione
Van Langren (ø 35 cm),
1645204
Eustachio Divini (ø 30 cm),
1649205
F.M. Grimaldi- G.B.
Riccioli (ø 28 cm), 1651 206
Selenografia P di J. Hevelius
(ø 27 cm), 1647
Geminiano Montanari (ø 38
cm), 1662
Cherubin d’Orleans (ø 28
cm) 1671 207
Errore quadr. medio nelle
distanze di 60 coppie di
crateri
(in primi d’arco)
0’.94
Errore in Km alla
distanza media lunare
0’.93
100 Km
0’.85
95 Km
0’.76
85 Km
0’.64
70 Km
1’.13
127 Km
103 Km
La tabella IV riassume sinteticamente i risultati di quest’analisi che,
oltre al lavoro di Montanari, esamina quelli di van Langren, Divini,
204
VAN LANGREN, Plenilunii Lumina Austriaca Philippica, 1645.
Ho usato la carta del Divini riprodotta da A. KIRCHER, Mundus Subterraneus, t. I, p. 62,
Amsterdam 1665.
206
G.B. RICCIOLI , Almagestum Novum , t. I, p. 204, Bononiae 1651. È curioso notare che, in alcuni
luoghi delle Ephemerides, quando si parla di macchie lunari, non viene usata la nomenclatura di
Riccioli, bensì quella di van Langren. Ad esempio, a p. 218, Malvasia e Montanari parlano di una
occultazione di Aldebaran del 25 novembre 1662, non osservata perché la Luna era troppo vicina
all’orizzonte (in realtà si trattò di un passaggio radente): «l’orlo più esterno [della Luna] che
guarda la stella era quella parte di essa presso la macchia Caspia [il nome appart iene alla
terminologia di van Langren, Riccioli lo aveva ribattezzato Mar Crisium], tanto che se qualcuno
avesse tracciato una linea dalla stella al centro della Luna, avrebbe diviso circa la terza parte della
macchia». (traduzione di Sofia Petrantonakis).
207
CHERUBIN D'ORLEANS, La Diotrique Oculaire ou la theorique, la positive et la mechanique de
l'oculaire dioptrique en tout ses especes, p. 298, Paris 1671.
205
106
Aspetti dell’astronomia del Seicento
Grimaldi, la selenografia P (fig. 53) di Hevelius e di Cherubin d’Orleans. Su ognuna di queste carte, in formato digitale, ho steso un
reticolato di meridiani e paralleli in proiezione ortografica, la cui
origine non è mai, per i noti problemi prospettici dovuti alle librazioni,
quella moderna.
Di 30 crateri, omogeneamente distribuiti, ho determinato le
coordinate selenografiche relative con le quali, su ogni carta, ho
ricavato le distanze di 60 coppie, poi confrontate con le distanze di
ognuna di queste per mezzo delle coordinate selenografiche ufficiali
della International Astronomical Union.
Ho così potuto calcolare l’errore quadratico medio delle misure delle
distanze, espresse in primi d’arco e in chilometri. La carta lunare che
presenta l’errore minore, 70 chilometri, è proprio quella di Montanari,
seguita dalle selenografie di Hevelius, Grimaldi, Divini, van Langren e
Cherubin d’Orleans. Queste ultime tre con un errore medio superiore ai
100 chilometri.
Mi pare quindi sufficientemente dimostrato che l’accuratezza
geometrica della carta di Montanari non è certamente inferiore a quelle
coeve, anzi. Essa è, come abbiamo appena visto, tra le migliori del
secolo: l’affermazione di Whitaker è quindi da considerarsi priva di
consistenza.
In conclusione, nonostante gli errori di posizione, di forma e le
inevitabili omissioni dell’icon lunaris, possiamo serenamente
sottoscrivere il giudizio di A. Piérot, il quale riconobbe che
l’œuvre de Montanari est digne de notre admiration. Pour l’époque
où elle fut dressée, elle constitue un réel progrès.208
9. La tavola delle rifrazioni del Cassini
Il fenomeno della rifrazione astronomica non fu del tutto ignoto agli
antichi. Tolomeo, alla fine del libro VIII dell’Almagesto, afferma che vi
sono delle differenze di posizione durante il levare e tramontare degli
astri che dipendono dai cambiamenti dell’atmosfera. Nel X secolo,
l’arabo Alhazen che riprese l’argomento dall’Ottica di Tolomeo, opera
andata perduta, suggerisce un modo per determinare la grandezza della
rifrazione facendo uso di armille polari. Il metodo dello studioso
arabo209 impiegava sia la misura della distanza angolare di una stella dal
208
209
A. P IÉROT, loc. cit., p. 82.
ALHAZEN , Opticae thesaurus, Basilae 1572; lib. VII, cap. 4, n. 15, p. 251-252.
107
R. Calanca
polo celeste, allorché essa è zenitale al suo passaggio al meridiano, sia
108
Aspetti dell’astronomia del Seicento
109
R. Calanca
110
Aspetti dell’astronomia del Seicento
111
R. Calanca
al suo sorgere sull’orizzonte: a causa della rifrazione atmosferica, la
distanza dal polo, in questo secondo caso, è naturalmente minore.
Il primo a studiare il fenomeno in maniera quantitativa, tanto da
poterne ricavare delle tavole, fu Tycho Brahe.210 Il grande astronomo
danese aveva determinato l’altezza del polo rilevando le altezze
superiori e inferiori della stella polare; egli la determinò anche con le
altezze del Sole nei due solstizi, e trovò la seconda altezza del polo più
piccola di 4 minuti. In un primo tempo attribuì tale differenza ad errori
di misura, pertanto decise di costruire nuovi giganteschi sestanti sempre
più accurati ma, naturalmente, l’effetto della rifrazione sulle altezze
rimase. A seguito delle sue numerosissime osservazioni, Tycho si
convinse, erroneamente, che la rifrazione del Sole si annullasse a 45°
d’altezza e, quella delle stelle, a 20° (fig. 61). Nella figura, le rifrazioni
per il Sole differiscono in modo sostanziale da quella lunare e delle
stelle fisse perché Tycho utilizza una parallasse solare di ben 3’, cioè
venti volte il vero.
Abbiamo già ripercorso, almeno in parte, la storia delle tavole delle
rifrazioni di Cassini, quando abbiamo esaminato le sue effemeridi del
Sole (§ 6). Nelle Ephemerides malvasiane egli suppone, alla maniera di
Kepler, che la parallasse solare fosse pari a 58”.37 e ciò lo costrinse a
compilare tre tavole distinte, con validità stagionale, con le quali tener
conto dei diversi valori parallattici al variare della declinazione del Sole
(fig. 65). Eloquenti le parole dello stesso Cassini:
avevo già esposto il motivo [nell’opera Specimen Observationum
Bononiensium quae novissime in D. Petronii templo ad astronomiae
novae constitutionem haberi caepere, Bononiae 1656], che mi faceva
credere, che le parallassi del Sole fossero quasi insensibili, e calcolai
prima su questa supposizione una Tavola delle refrazioni… e
nondimeno volli anche tentare di rappresentare le medesime
refrazioni nell’Ipotesi, che la parallasse del Sole montasse a un
minuto, come suppone Keplero, e in tale Ipotesi mi parve doversi
cambiare la refrazione del Sole dall’Estate all’Inverno (fig. 62), a
proporzione della variazione della declinazione del Sole, e che quello
facesse un medesimo effetto, che la prima, senza che fra l’una e
l’altra vi fosse differenza sensibile. 211
Nel 1672, le tre tavole stagionali furono unificate da Cassini, quando
le osservazioni di Richer a Cajenna confermarono che l’angolo
210
A.B. BOSSUT, Dizionario Enciclopedico delle Matematiche, t. V, p. 73-77, Padova 1800.
G.D. CASSINI, La Meridiana del Tempio di S. Petronio, tirata e preparata per le Osservazioni
Astronomiche l’Anno 1655, rivista e restaurata l’Anno 1695, pp. 21-22, Bologna 1695.
211
112
Aspetti dell’astronomia del Seicento
parallattico solare in realtà era solo la sesta parte del valore proposto da
Kepler. I maggiori oppositori delle rifrazioni cassiniane erano annidati
nell’am-biente scientifico bolognese. Tra i gesuiti spicca G.B. Riccioli
e, nello Studio, Pietro Mengoli. Nel suo Almagestum Novum del 1651,
Riccioli riportò degli esperimenti per determinare la rifrazione del
vetro, criticati con ironia da Cassini:
[Riccioli misura] le refrazioni del vetro con vaso di vetro quadrilatero
pieno d’acqua, da cui s’ha più tosto la misura delle rifrazioni
nell’acqua. 212
Quattordici anni dopo, Riccioli nell’Astronomia Reformata, mise in
dubbio l’efficacia ed il metodo delle rifrazioni cassiniane, subito
fiancheggiato da Mengoli. Per evitare possibili equivoci, è bene porre
l’ac-cento sul fatto che questi due personaggi non erano degli
sprovveduti. Il primo, citato più volte in questo lavoro, figura di rilievo
in un’epoca di trapasso tra due concezioni opposte del mondo, era di
un’erudizione storico-astronomica straordinaria, con ammiratori anche
nei secoli successivi. 213 Non aderiva però alla teoria copernicana, alla
quale preferiva il sistema tychonico, e osteggiava qualsiasi ipotesi sulla
rotazione della Terra.214 Indubbiamente, egli era «una delle autorità più
ascoltate tra gli scienziati fedeli alle direttive controriformistiche». 215
Cassini così parla della contesa con Riccioli, sorta intorno alla
meridiana di S. Petronio ed alle sue rifrazioni:
intanto il P. Riccioli, travagliando alla sua Astronomia Reformata,
ebbe bisogno d’un buon numero d’Osservazioni fatte su questa
Meridiana, per tirane gli Elementi delle sue Tavole, e compararle col
calcolo da esse tirato. Io gli diedi le più scelte di quelle, che fin’allora
aveva fatto, che le inserì nella sua Opera, e da esse egli cavò i luoghi
del So le, senza ridurle per le rifrazioni da me trovate, che intraprese à
rifiutare… [Nella lettera a Montanari] io feci vedere che il calcolo
tirato dalle sue Tavole [di Riccioli] senza l’uso delle rifrazioni sopra
li 45° d’altezza allontanava molto dalle osservazioni. 216
212
G.D. CASSINI, De Solaribus hypothesibus et refractionibus epistolae tres. Epistola secunda à
Carolo Rinaldino, p. 316, in Miscellanea Italica Physico-Mathematica, collegit Gaudentius
Robertus, Bononiae 1692.
213
Uno dei suoi tardi ammiratori fu il francese J.J. Lalande, che ne esaltò spesso l’immensa
erudizione storico-scientifica.
214
Scrisse due opere contro il moto delle Terra ed il sistema copernicano: Argomento contro il
moto diurno della Terra , Bologna 1668, e Apologia contra systema copernicanum, Venetiis 1669.
215
A. BATTISTINI, La cultura scientifica nel collegio bolognese, Dall’isola alla città. I gesuiti a
Bologna (a cura di G.P . BRIZZI ), p. 157, Bologna 1988.
216
G.D. CASSINI, La Meridiana del Tempio di S. Petronio, tirata e preparata per le Osservazioni
113
R. Calanca
Mengoli, l’altro avversario di Cassini diede contributi matematici
considerevoli,217 ed è un vero peccato che uno dei suoi più vistosi errori
professionali riguardasse proprio la valutazione della rifrazione
astronomica. Nel suo lavoro Refrattioni e parallasse solare, nel quale si
definiva “principiante d’Astronomia”218 aveva compilato delle tavole
delle rifrazioni con valori molto diversi da quelli del Cassini. Ad
esempio, sottostimava grandemente la rifrazione orizzontale, che
poneva pari a solo 1’ 58”.6 (contro i 32’ 20” della rifrazione estiva di
Cassini), mentre esagerava di quattro volte i valori della parallasse
orizzontale estiva ed invernale del Sole (valori comunque migliori di
quello adottato provvisoriamente da Cassini), ponendola
rispettivamente uguale a 38”.49 e a 40”.4.219 Mengoli, fermamente
convinto che Cassini fosse in errore, ipotizzò che l’astronomo fosse
stato fuorviato da uno spostamento della meridiana di S. Petronio 220 che
avrebbe falsato le sue misure meridiane del Sole. L’intervento di
Geminiano Montanari, che apertamente parteggiava per Cassini,
impossibilitato a difendersi perché già da qualche anno a Parigi, risolse
la contesa a favore di quest’ultimo, grazie al controllo pubblico
Astronomiche l’Anno 1655, rivista e restaurata l’Anno 1695, p. 16, Bologna 1695.
217
M. MATTEUZZI , Mengoli e l’algebra della logica, in Atti Accademia delle Scienze dell’Istituto
di Bologna, classe di Scienze morali, Memorie, LXXVII (1979-1980), pp. 79-99, Bologna 1980.
218
P. MENGOLI, Refrattioni e parallasse solare, si veda la dedica p. 5, Bologna 1670. Nello stesso
luogo ironizza sull’ingrato e disagevole lavoro dell’astronomo: «Non è studio di Matematica più
communemente curioso dell’Astronomia: e quest’anno, che per la vacanza di S. Chiesa, sono state
chiuse le Scuole, per havere à casa Scolari, è stato necessario, che io mi diparta alquanto dalla mia
Scuola meccanica, dove stavo allegramente trà canti, e suoni, con l’opera mia di Musica
Speculativa; e che quasi entri nell’altrui, dove si suda, e gela, e si stà all’aria, e al vento, se bene
non con titolo di Maestro, che non mi tocca, ma solo di principiante d’Astronomia».
219
P. MENGOLI, loc. cit., p. 8.
220
P. MENGOLI, loc. cit., pp. 25-26. A dire il vero le sue argomentazioni sull’incerta stabilità di S.
Petronio non sono peregrine e, in una certa misura, il sospetto di assestamenti strutturali del
Tempio furono confermati da successivi controlli. Ecco quanto riferisce Mengoli a proposito della
testiomonianza di Bartolomeo Provalli: «Le catene della nave di mezzo trasversali [di S. Petronio],
quando fu fatta la nuova fabbrica io vidi, dice egli, che erano molto ben tese, e diritte: adesso tutte
sono curve: segno evidente, che i pilastri maestri della Chiesa si sono l’uno all’altro accostati; e
che la volta sopra i capitelli de’ pilastri si è inalzata. Non so però se in tanto siano abbassati i
capitelli, e i pilastri, per lo proprio peso. Si può dunque dubitare delle volte laterali, che non sono
ligate con catene, che si vedano per traverso, se si sono inalzate, come quella di mezzo, come se
tutta la fabrica nuova si fosse ristretta in dentro verso il centro, onde avvenga l’alzamento de gli
archi: ò pure se le due laterali si sono abbassate, si che con l’abbassamento loro, habbiano
occasionato l’alzamento, che si vede nella volta di mezzo. Che se la volta Orientale laterale è
depressa, sarà diminuita l’altezza del Gnomone […] fatte minori delle notate nel pilastro: e alle
tangenti osservate si doveranno ascrivere maggiori numeri de gli ascritti […] e oltre di tutto
questo, si può dubitare, se il centro del buco [il foro di passaggio della luce solare] ancora
persevera impendente sopra la linea delle tangenti: e se il piano per lo centro del buco, e per la
linea delle tangenti è verticale».
114
Aspetti dell’astronomia del Seicento
eseguito sulla meridiana.221
Cassini rispose ai detrattori con tre lettere, raccolte nella già citata
opera: De Solaribus hypothesibus et refractionibus Epistolae tres. La
prima di queste, in latino, è indirizzata al Montanari, mentre le altre
due, in volgare, hanno come destinatario, Carlo Rinaldini, professore a
Padova, e l’ultima ad un anonimo A.P.
In quella a Carlo Rinaldini accenna alle ipotesi sulla rifrazione di
Vitellione, Tycho, Descartes e Riccioli, tutte, in misura diversa, poco
soddisfacenti. Espone poi i propri metodi di ricerca ed illustra, con
dovizia di particolari, un compasso diottrico usato nei suoi esperimenti
per definire l’indice di rifrazione dell’acqua e del vetro.
Nell’ultima epistola Cassini esamina i fondamenti delle rifrazioni e
delle parallassi esposti da Pietro Mengoli. In primo luogo si rammarica
di non essere riuscito a portare dalla sua parte alcuni astronomi, come il
Riccioli, sul problema delle rifrazioni:
e benche io avessi à mio favore le ragioni e le esperienze Diottriche,
e le osservazioni Celesti, che apparentemente discordi colle mie
refrazioni si conciliano, non havea però potuto tirar nella mia
sentenza, né il P. Riccioli, né qualche altro dottissimo Astronomo che
stimavano più sicuro tenersi alle supposizioni Ticoniche, accettate
senza contradizione nell’Astronomia, che alle mie nuovamente
introdotte.222
Poi passa a criticare Mengoli, che gli è vicino nella teoria della
rifrazione fino alla distanza zenitale di 55° (fig. 63), dopo di che i valori
si discostano dai propri in modo assolutamente inaccettabile. Egli si
meraviglia
che [Mengoli] non habbia preso sospetto: non solo per trovarsi così
lontano dalla comitiva di tutti gl’altri Astronomi, i quali se bene nella
distinzione delle refrazioni possino errare di due, ò trè minuti,
bisognerebbe poi, che tutti avessero le traveggole à far lo sbaglio di
mezo grado in un affare di due minuti, mà ancora perche vi sono
osservazioni immediate, che non han bisogno di molta sottigliezza,
ne di grandi stromenti, mà solo della semplice vista, che fanno
conoscere, che la rifrazione orizzontale è molto maggiore di due
minuti. Per esempio la figura ovale del Sole procedente dal maggior
221
Si veda la lettera di Montanari a Cassini dell’8 febbraio 1673 in: F. BARBIERI, F. CATTELANI
DEGANI, Tre lettere di Geminiano Montanari a Gian Domenico Cassini, Nuncius, anno XII, fasc.
2, pp. 439-441, 1997.
222
G.D. CASSINI, De Solaribus Hypothesibus et Refractionibus Epistolae tres, Epistola tertia ad
Dominum A.P., in Miscellanea Italica Physico-Mathematica, p. 324, Bononiae 1692.
115
R. Calanca
alzamento apparente del lembo inferiore, che del superiore, per
cagione della refrazione di 32 minuti, quanto è il diametro del Sole, è
così sensibile, che vien facilmente avvertita da tutti. 223
Prosegue descrivendo i vari modi di osservare il Sole, quasi volesse
far lezione a Mengoli sulle corrette tecniche dell’osservazione
astronomica, indispensabili per suffragare le teorie celesti. 224 Di
notevole interesse il passo seguente, che dimostra come, a pochi anni
dall’uscita delle Ephemerides, il reticolo fosse già entrato a pieno titolo
nell’arsenale di strumenti di maggior impiego dell’astronomo:
il diametro verticale del Sole…si misura col mezo del Telescopio,
ricevendo la specie del Sole in una carta distesa su una tavola
opposta, “ò con fili posti nel fuoco della lente obiettiva”
Infine Cassini tocca il vero punto dolente delle asserzioni di Mengoli:
l’errata formulazione della legge della rifrazione, che lo portava a
sottostimare, di oltre un ordine di grandezza, il valore della rifrazione
orizzontale. Infatti, nel suo Refrattioni, aveva formulato il seguente
assioma: «i seni delle Refrattioni à i seni delle loro proprie Incidenze
hanno un’istessa ragione». 225
Cassini, sconcertato, al tal proposito rileva:
io m’arresto, e non senza stupore, al di lui primo assioma, su cui
appoggia tutto il suo metodo… e dico, che prendendo l’incidenza, e
la refrazione nel senso delle difinitioni del Signor Mengoli, tale
assioma è evidentemente contrario all’esperienza.
Per mostrare l’errore di Mengoli porta quindi due ordini di prove:
sperimentali e geometriche. Infine conclude:
ripugna dunque geometricamente alla natura delle refrazioni, che i
seni delle refrazioni habbiano la medesima ragione à i seni delle
incidenze. 226
223
G.D. CASSINI, loc. cit., pp. 325-326.
Si veda: M. CAVAZZA , L’«oscurità» di Pietro Mengoli e i suoi difficili rapporti con i
contemporanei, in Atti Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna, classe di Scienze morali,
Memorie, LXXVII (1979-1980), pp. 57-78, Bologna 1980. Cavazza scrive: «[Mengoli] era
presumibilmente un osservatore poco accurato e, per essere un matematico di così grande valore,
cadde in singolari errori di calcolo e di metodo».
225
P. MENGOLI, loc. cit., p. 10.
226
G.D. CASSINI, loc. cit., p. 335.
224
116
Aspetti dell’astronomia del Seicento
E più avanti prosegue:
abbattuto il primo e fondamente Assioma del Sig. Mengoli, cade la
machina delle proposizioni e operazioni sopra di esse fondate…Nella
117
R. Calanca
118
Aspetti dell’astronomia del Seicento
medesima maniera cadono i fondamenti di tutti calcoli algebratici da
lui istituiti in quest’opera.
L’ipotesi delle rifrazioni di Cassini si basa su di una atmosfera
ritenuta di densità costante e questa sua arbitrarietà conduce a valori
inammissibili per l’altezza dell’atmosfera: essa risulterebbe di appena 3
chilometri. Ciò non toglie però che, fino a 75° di distanza zenitale, le
tavole rifrattive dell’astronomo perinaldese vadano d’accordo con
quella posteriore di Bradley. Barnaba Oriani, nel 1788, dimostrò che
l’ipo-tesi semplificata di Cassini non esercita alcuna apprezzabile
influenza sull’importo della rifrazione, in quanto il valore della
rifrazione complessiva dell’atmosfera terrestre dipende unicamente
dalla densità del suo strato superiore ed inferiore. Il più volte citato
Manfredi descrive così le ipotesi di Cassini:
egli affrontò l’indagine delle rifrazioni con un numero incredibile di
tentativi, e giunse a ritenere che ogni elemento non potesse essere
altrimenti congruente e coerente, se non ammettendo che la
superficie dell’aria, in cui avviene la rifrazione, sia disposta ad
un’altezza di 6095 parti del raggio della terra considerato di
10.000.000, e che la diminuzione di distanza di un raggio qualunque
dal centro della terra, dovuta alla rifrazione, è di 2841 parti. 227
RINGRAZIAMENTI: per questo lavoro, devo sentitamente ringraziare, i Proff.
Ferdinando Taddei e Francesco Barbieri ed il personale dell’Accademia Nazionale di
Scienze Lettere ed Arti di Modena per l’incoraggiamento e la disponibilità ad
ospitarmi; Sofia Petrantonakis, per le accurate traduzioni di alcuni intricati passaggi
delle Ephemerides Novissimae di Cornelio Malvasia, l’Ing. Alessandro Gunella che,
con squisita disponibilità e gentilezza, mi ha concesso di utilizzare ampi brani della sua
pregevole traduzione, inedita, del De Gnomone di Eustachio Manfredi, il Sig. Giovanni
Paltrinieri, gnomonista in Bologna, per avermi sapientemente illuminato sui misteri
della grande meridiana di S. Petronio, il Prof. Umberto Mario Lugli per le utili
discussioni ed i commenti alla figura e alle opere di Geminiano Montanari, il Dott.
Roberto Marchi, per avermi gentilmente concesso di riportare stralci della sua tesi di
laurea, la Prof.ssa G. R. Levi-Donati per la lettura e la revisione di buona parte del
manoscritto e, infine, A.M., per il preziosissimo aiuto nelle ricerche bibliografiche.
227
E. MANFREDI, loc. cit. p. 42. Traduzione di A. Gunella.
119