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Edizioni Simone - vol. 33/6 Compendio di storia del cristianesimo
 cristianesimo
Capitolo 3 Il
altomedievale
Sommario1. La conversione dei popoli germanici al crisianesimo - 2. Il
monachesimo. orientale - 3. Il monachesimo in Occidente.
1.La conversione dei popoli germanici al cristianesimo
Dopo la caduta dell’impero romano (476 d.C.), l’Occidente prese a gravitare intorno
alle popolazioni germaniche entrate nell’impero come “federati”, dai Visigoti, ai Burgundi ai Franchi.
A partire dal 341, gli imperatori si preoccuparono di convertire i goti e assegnarono al
vescovo Ulfila (Wolfila nella lingua dei goti) questa missione religiosa e politica.
Ulfila tradusse in lingua gotica la Bibbia che, secondo l’interpretazione ariana, trovava consensi anche presso gli imperatori orientali. I goti furono i primi a convertirsi;
dopo di loro tutti gli altri popoli germanici abbracciarono il cristianesimo ariano.
Fu proprio l’esigenza di facilitare la catechesi del suo popolo che spinse Ulfila a tradurre testi della Bibbia nella lingua parlata dai Goti.
Questa traduzione riveste una straordinaria importanza per il mondo gotico che da quel momento accoglie e fa proprio il patrimonio culturale della civiltà greca, non solo nell’ottica dell’adesione
al cristianesimo, ma soprattutto in quella del ricorso abituale all’uso della scrittura.
Grazie a Wolfila i Goti del IV secolo non si limitarono, come le altre tribù germaniche, alla semplice adozione di un sistema di scrittura già esistente (come quello latino) cui apportare delle minime variazioni per adeguarlo al proprio sistema fonologico, ma crearono un proprio alfabeto che,
meno rigido della scrittura runica, rispondesse alle esigenze fonetiche della lingua gotica.
Quando occuparono il territorio che era stato già dell’Impero romano, molte popolazioni germaniche erano state convertite all’arianesimo come i Vandali, stanziati nel
Nord Africa, e gli Ostrogoti, in Italia.
La convivenza tra ariani e cristiani fu pacifica. Solo i Visigoti (in Spagna e Francia)
ebbero una difficile coabitazione con la popolazione cristiana, che perseguitarono, ma
furono poi sottomessi dalla riconquista bizantina operata da Giustiniano.
I Franchi (in Gallia) si convertirono successivamente mentre gli Anglosassoni (in Britannia) erano e rimasero pagani.
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Capitolo 3
Arianesimo
Dottrina che prende il nome da Ario, celebre eresiarca dell’antichità formatosi alla Scuola di
Antiochia, nota per la sua propensione a leggere e interpretare alla lettera i testi sacri.
Secondo Ario l’unità di Dio è incompatibile con la pluralità delle persone divine.
Da tale affermazione prende il via la nota “disputa trinitaria” che durerà per tutto il IV secolo d.C.: il Figlio di Dio, Cristo non ha la stessa natura del Padre (Dio), ma è la sua prima creatura e, insieme, il tramite per la creazione degli altri esseri.
L’inevitabile conseguenza di questa posizione è che l’incarnazione e la resurrezione di Cristo
non sono eventi divini (come nel priscillanesimo) e che la redenzione non avviene attraverso
di essi o tramite la mediazione della Chiesa.
Il fulcro dell’arianesimo era la negazione della consustanzialità del Figlio con Dio Padre. Secondo Ario, il Padre era eterno, la sorgente, cioè, non originata, di tutta la realtà, mentre il Figlio, sebbene fosse il primo nato fra tutte le creature e il creatore del mondo, era “dissimile” e
inferiore al Padre “in natura e dignità”, perché generato e creato dal Padre stesso, prima di tutti i tempi.
Per molti secoli, dopo la caduta dell’Impero romano, il potere fu nelle mani dei popoli
germanici. La corte imperiale d’Occidente, trasferita a Ravenna città considerata più sicura, fu sopraffatta prima dal barbaro Odoacre e poi dal re degli ostrogoti Teodorico.
Quando Teodorico instaurò il regno degli Ostrogoti in Italia, inaugurò una politica di
conciliazione con i sudditi e di mantenimento delle strutture e della forme amministrative dell’Impero. A questo spirito di collaborazione il re ostrogoto ispirò anche la sua
politica religiosa, garantendo alle due confessioni assoluta parità di culto.
Con la guerra greco-gotica, dal 535 al 553, la penisola italiana passò sotto la dominazione bizantina, finché nel VI secolo i Longobardi conquistarono gran parte della penisola (soprattutto la parte montuosa) e per due secoli mantennero il dominio sulle genti latine.
In questo periodo di decadenza il pensiero cristiano conservò nel mondo latino un prestigio significativo, grazie a figure di grande spessore come Gregorio Magno (papa
dal 590 al 604), Isidoro di Siviglia, Gregorio di Tours e sant’Agostino, sul cui pensiero si confronterà per secoli tutta la cultura occidentale, fino alla Scolastica.
L’immensa produzione di carattere filosofico di sant’Agostino costituisce per la letteratura posteriore un punto di riferimento fonda­mentale. Nelle Confessiones l’introspezione e il discorso con Dio ruotano intorno all’antitesi tra bene e male, tra passato di errore e presente di gioia, a cui corrisponde un’uguale antitesi tra linguaggio biblico, che emerge nelle citazioni o nelle formule che lo adombrano, e linguaggio letterario che attinge alla tradizione colta.
La conquista dei Franchi diede inizio, invece, a un periodo di decadenza nella cultura
delle popolazioni galliche che si convertirono non per convinzione nella fede che abbracciavano, ma per ossequio alla potenza del sovrano e al Dio predicato dai loro vescovi.
La conversione di Clodoveo, re dei Merovingi, all’inizio del VI secolo fu l’accettazione del battesimo dalle mani di san Remigio di Reims come riconoscimento della potenza di Dio rispetto alle divinità del politeismo germanico, rivelatesi inutili durante
le vicende politiche e militari del re.
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A) La conversione dei Longobardi e l’inizio del potere temporale della Chiesa
La storia degli ultimi decenni della dominazione longobarda in Italia si intreccia con
le vicende riguardanti l’impero bizantino, il papato e il popolo dei Franchi.
La conversione al cattolicesimo e l’emanazione dell’Editto di Rotari (643) che risentì dell’influsso del diritto romano (e che vietò la faida e il duello sostituendoli con
una primitiva forma di risarcimento detto guidrigildo) costituiscono due tappe fondamentali nel processo di avvicinamento dei Longobardi alla popolazione latina.
Tuttavia, i rapporti tra i conquistatori e i vinti non furono sempre idilliaci: i Longobardi erano restii ad accettare in toto i principi del cattolicesimo, per cui assunsero nel
corso dei secoli degli atteggiamenti antiromani e anticattolici.
Nel 712 con l’ascesa al trono del re Liutprando (712-714) che portò il dominio longobardo al massimo splendore, la situazione sembrò migliorare grazie all’atteggiamento rispettoso del nuovo re nei confronti del vescovo di Roma, nel quale egli vedeva un
potenziale alleato contro i bizantini.
Il piano di Liutprando era però destinato a fallire perché il papa preferiva la formale
sottomissione a un’autorità lontana all’affermazione di un potente regno longobardo
sul territorio della Penisola, che avrebbe potuto porre un limite al crescente potere della Chiesa.
L’occasione per la realizzazione del progetto di Liutprando fu offerta dalla lotta iconoclastica scoppiata tra il 726 e il 728 tra l’imperatore d’Oriente Leone III l’Isaurico
e papa Gregorio II.
L’imperatore ordinò la distruzione di tutte le immagini sacre di cui si servivano, spesso, anche
i monaci per suggestionare le folle; in questo modo egli volle respingere anche le accuse di paganesimo rivolte dai musulmani contro i cristiani.
Se in Oriente il decreto imperiale ottenne un discreto successo, in Occidente, specialmente in Italia, provocò la decisa reazione del mondo cattolico, già in allarme per una serie di provvedimenti
fiscali imposti da Bisanzio che danneggiavano i patrimoni ecclesiastici.
Nei disordini scoppiati contro Bisanzio, l’esarca rappresentante dell’impero d’Oriente in Italia venne ucciso a Ravenna e i veneziani cominciarono a far valere la propria
autonomia nei confronti dell’impero.
A questo punto si inserì l’intervento di Liutprando che mirava a un’espansione territoriale nei possedimenti bizantini in Italia e, già dall’inizio del suo regno, era riuscito
a conquistare le città dell’Esarcato, Cervia e Classe, minacciando da vicino la stessa
Ravenna. Quando Gregorio II dichiarò l’iconoclastia dottrina eretica, Liutprando approfittò del generale clima di sommossa creatosi all’interno dei possedimenti bizantini per occupare l’Esarcato e la Pentapoli (composta da cinque città bizantine: Rimini, Pesaro, Senigallia, Fano e Ancona) e per penetrare nel Lazio fino a Sutri.
Il papa Zaccaria, che non tollerava l’idea di uno strapotere longobardo in Italia, forte
dell’appoggio della popolazione latina, trattò di persona con Liutprando che abbandonò le terre conquistate e nel 728 le donò a Gregorio II. Tale concessione, detta “Donazione di Sutri” farà discutere, nei secoli successivi, storici e politici perché segnò l’inizio del potere temporale della Chiesa.
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Così i territori compresi nella donazione di Sutri (tra cui i castelli della stessa Sutri, di Bomarzo,
di Amelia e di Orte), formarono il primo nucleo territoriale dello Stato pontificio.
Anche se prima di allora la Chiesa aveva già acquisito molte terre, frutto soprattutto di lasciti ed
eredità, non si trattava, tuttavia, che di passaggi di proprietà tra privati. Sebbene le popolazioni laziali avessero da tempo preso a considerare il pontefice come loro sovrano, e questi si comportasse proprio come tale, in realtà, da un punto di vista strettamente giuridico, fu solo ricevendo e accettando la donazione di Sutri che il papa divenne, per la prima volta, signore di un territorio.
La differenza, sul piano giuridico, consiste nel modo di acquisto e nelle caratteristiche della proprietà, in quanto nella donazione di Sutri, il donatario non era un privato, e lo stesso territorio non
apparteneva a un privato, ma si trattava di un territorio appartenente all’impero e a questi sottratto da un altro ente giuridico-territoriale, qual era il regno longobardo. Ricevendo tale territorio,
il papa ne acquisì, quindi, l’elemento caratteristico delle organizzazioni statuali: la sovranità.
L’espansionismo longobardo era comunque destinato a nuovi insuccessi per l’opposizione della Chiesa, che chiese l’intervento dei franchi. Infatti, quando, nel 751, il re
Astolfo invase l’Esarcato conquistando Comacchio, Ferrara e Ravenna e minacciò di
invadere lo stesso ducato di Roma, il papa Stefano II chiamò in aiuto il re dei Franchi Pipino il Breve.
B) L’ingresso dei Franchi e l’alleanza con la Chiesa
Il paese dei Franchi era diviso in tre regioni:
— Neustria (regione che confina tra la Schelda e la Loira con capitale Parigi);
— Austrasia (zona della Champagne, della Mosa e Mosella con capitale Reims);
— Borgogna (territorio della Loria e del Rodano con capitale Orleans)
Delle tre famiglie che dominavano le tre regioni, prive di una legislazione comune,
nella metà del VII secolo, prese il sopravvento quella dei “Pipinidi”, maggiordomi o
maestri di palazzo (dal latino maior domus, traducibile come “maggior servitore della casa”) di Austrasia. Nel 687, Pipino di Héristal sconfiggendo gli avversari della
Neustria, ricostituì di fatto l’unità del regno franco.
Al figlio naturale di Pipino, Carlo Martello, si devono la sottomissione dei duchi di
Aquitania e di Provenza e la sconfitta degli Arabi a Poitiers nel 732, che frenò l’avanzata musulmana in Europa.
Sia Pipino di Héristal che Carlo Martello mantennero buoni rapporti con la Chiesa,
tant’è vero che, proprio in quel periodo, Willibrord e Bonifacio, consacrati vescovi
dal papa, iniziarono da basi franche i viaggi di evangelizzazione delle popolazioni della Frisia, dell’Assia, della Turingia, della Franconia e della Baviera.
Tuttavia, i rapporti tra i “maggiordomi” e il papa non esclusero alcuni provvedimenti
non graditi al pontefice presi da Carlo Martello, che arrivò ad espropriare beni della
Chiesa per ricompensare gli uomini al suo servizio. Questi ultimi, però, si impegnarono unilateralmente nei confronti di Carlo Martello: il processo di «federalizzazione»
segnò così una tappa importante.
Dei due figli di Carlo Martello, uno, Carlomanno, abbracciò la vita monastica, mentre l’altro, Pipino il Breve, ricevette nel 751, a Soissons, la consacrazione del suo po-
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tere. Infatti, un’assemblea di nobili dichiarò decaduto l’ultimo re merovingio, Childerico III, proclamando re Pipino il Breve. A suggello di questa proclamazione c’era la
presenza del monaco Bonifacio, che era incaricato dal papa Zaccaria di ungere con
l’olio santo il nuovo re. Si crearono così le premesse per una stretta alleanza tra Chiesa e regno dei Franchi, che fu tradotta in azione proprio con il citato intervento di Pipino contro il re longobardo Astolfo.
C) La legittimazione del potere temporale della Chiesa
Inizialmente riluttante a un intervento in Italia, sia perché i Longobardi avevano collaborato alla lotta contro gli arabi sia perché temeva la reazione dei grandi proprietari
terrieri, Pipino si lasciò convincere dal nuovo papa Stefano II, che si recò a perorare
la sua causa direttamente in Francia.
Durante l’incontro di Ponthion Pipino si impegnò a scendere in Italia e a restituire al
papa le terre sottratte dai Longobardi; Stefano II «ricambiò il favore» consacrando nuovamente re Pipino, nella basilica di San Dionigi, e conferendo a lui e ai suoi figli il titolo di patrizio dei romani, equivalente a quello di protettore della Chiesa.
Durante questo incontro, probabilmente, il papa fece conoscere a Pipino il contenuto
della Donazione di Costantino, un documento apocrifo elaborato nella cancelleria papale, secondo il quale l’imperatore Costantino aveva donato all’allora papa Silvestro
I il palazzo del Laterano e tutti i territori appartenenti a Roma, all’Italia e alla parte occidentale dell’impero.
Come sarà dimostrato nel 1440 dal filologo umanista Lorenzo Valla, il documento era
un falso perché scritto in un latino tardo, non privo di barbarismi, e non nel latino
dell’epoca costantiniana. Tuttavia, in virtù della Donazione di Costantino, la Chiesa
legittimò e accrebbe il suo potere temporale.
2.Il monachesimo orientale
L’affermazione del monachesimo nell’Alto Medioevo fu un sintomo della vitalità del
cattolicesimo nei secoli più critici dell’Età di mezzo.
A) Gli eremiti del deserto
Nel III secolo in Oriente si diffuse la pratica dell’ascetismo (che consiste nel distacco
dalla mondanità) da parte di alcuni eremiti che preferivano abbandonare la vita mondana per dedicarsi al misticismo contemplativo, all’isolamento, alla preghiera.
Tra le forme più estreme di monachesimo sviluppatesi in Oriente, vanno ricordate quelle dei Pascolanti, che si nutrivano di erbe raccolte durante il continuo vagare nei campi, quella degli Acemeti, che pregavano ininterrottamente, dormendo il meno possibile, e infine quella dei Reclusi, che vivevano rinchiusi, appunto, in celle murate.
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Nelle vicende bibliche, nelle storie di Giovanni Battista e di Gesù, in quelle degli Esseni, come Antonio Evagrio e Pallanio (detti “padri del deserto”) e in quella di Maometto qualche secolo più tardi, il “deserto” gioca un ruolo determinante.
L’individuo che aspirava alla santità non sempre poteva trovare nella vita urbana la condizione
spirituale per avvicinarsi a Dio, anche se sul piano teologico la Chiesa non sosteneva minimamente la pratica dell’isolamento ai fini della salvezza.
In città già i legami familiari costituivano un impedimento a certi comportamenti, mentre nel deserto il digiuno e la negazione di sé assumevano un significato diverso.
Verso la fine del III secolo nella valle media del Nilo un giovane cristiano, Antonio, rimasto orfano, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore cui badare, sentì ben presto di dover
seguire l’esortazione evangelica “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi e dallo ai
poveri” (Mt 19,21).
Così, distribuiti i beni ai poveri e affidata la sorella ad una comunità femminile, seguì la vita solitaria che già altri anacoreti conducevano nei deserti attorno alla sua città, vivendo in preghiera,
povertà e castità. Il suo esempio fu seguito da altri discepoli. Si recò ad Alessandria a rincuorare
i cristiani durante la persecuzione di Massimino Daia (311), poi i si ritirò nuovamente nel deserto
presso il Mar Rosso; tornò ad Alessandria nel 335 per combattervi gli ariani e infine si ristabilì nel
suo eremo dove morì a 105 anni circa nel 356.
Con Sant’Antonio Abate si passò da forme estreme di eremitismo orientale, all’anacoretismo, cioè un isolamento non totale dal mondo, forma che si propagò anche in Europa dietro l’esempio di Basilio il Grande, il monaco della Cappadocia la cui “Regola”, dettata per la chiesa orientale si diffuse anche in Occidente, che rappresenta una via
di mezzo tra l’eremitismo (vita solitaria) e il cenobitismo, cioè la forma di monachesimo in cui i religiosi vivevano insieme, imponendosi delle rigide regole.
Oltre a dedicarsi alla preghiera, i monaci cenobiti (vedi infra) lavoravano la terra e si
dedicavano ad attività artigianali, sia per soddisfare le proprie esigenze, sia per svolgere un’importante opera di beneficenza a favore dei poveri.
Uno dei primi ad organizzare tali comunità monacali fu, nel IV secolo, san Basilio,
sulle cui “Regole” si fonda a tutt’oggi il monachesimo orientale di rito greco.
3.Il monachesimo in Occidente
In Occidente l’alternativa al monachesimo (dal greco monachós, solitario) di Basilio
fu quella proposta da Cassiano, un monaco proveniente dai territori danubiani dell’Impero d’Oriente. Cassiano fondò in Gallia, nei pressi di Marsiglia, comunità maschili e
femminili il cui regime era incentrato sulla preghiera e sul ritiro dalla vita mondana.
L’ascetismo diede vita soprattutto dal IV secolo in poi, a gruppi organizzati di monaci chiamati «cenobiti» per la loro austera vita in comune.
Nell’Europa occidentale nacquero i primi monasteri: dopo quello di Marmoutier, fondato da Martino di Tours nella seconda metà del IV secolo, i monasteri e le relative
Regole si moltiplicarono.
Solo agli inizi del VI secolo, tuttavia, con san Benedetto da Norcia, il monachesimo
si affermò definitivamente in Occidente, differenziandosi da quello orientale. Dopo
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aver tentato l’esperienza dell’eremitaggio, Benedetto approdò alla conclusione che la
preghiera non può essere disgiunta da un proficuo impegno sociale.
Nel VI secolo mentre l’Italia meridionale rimaneva culturalmente bizantina, il resto
della penisola sviluppò dall’eredità romana una nuova lingua e una nuova civiltà.
Nonostante le invasioni barbariche e i disordini, la tradizione romana non andò mai
completamente perduta.
Il cristianesimo della penisola era un politeismo molto legato alle numerose figure di
santi protettori con un ricco patrimonio mitologico di leggende e di miracoli.
Il feudalesimo non prosperò in Italia come in altre nazioni del nord Europa, le città non
perdettero mai il dominio sul contado e furono l’artigianato e il commercio a preparar la strada per la ripresa economica che si sarebbe realizzata alla fine del millennio.
Le antiche città episcopali romane furono i primi centri monastici che contribuirono
fortemente alla diffusione del cristianesimo nei territori dell’impero romano.
Dai monasteri celtici (irlandesi e scozzesi) e anglosassoni partirono poi i missionari
che avrebbero evangelizzato l’Europa settentrionale.
I monaci fondarono in tutto il continente monasteri, chiese e cappelle attorno ai quali
organizzavano i lavori agricoli, promuovevano lo studio, praticavano la medicina e assistevano i poveri.
Fu opera dei monaci anglosassoni anche la conversione al cristianesimo dei Frisi, una
popolazione germanica stanziata sulle coste del mare del Nord.
La cristianizzazione dei Sassoni avvenne, invece, nell’ambito dello scontro con Carlo Magno (772-804), re dei Franchi, che impose ai Sassoni la conversione, e solo dopo
sanguinose battaglie riuscì nel suo intento. Scomparsi i regni dei Visigoti e dei Longobardi, alla fine dell’VIII secolo i Franchi assunsero la protezione politica e militare delle genti cristiane latine
Nel X secolo il cristianesimo si diffuse anche in Norvegia e da lì in Islanda.
Furono poi la Chiesa di Roma e quella di Bisanzio a cristianizzare i popoli slavi che
avevano occupato i territori dei germani.
A) I monasteri benedettini
Tutti i monasteri fondati dai seguaci di san Benedetto da Norcia (480-547) sono modellati sull’esempio cenobico della comunità presente nell’abbazia di Montecassino,
edificata attorno al 528 dallo stesso iniziatore della Regola.
I monaci seguono la regola «Ora et labora», regola che Carlo Magno successivamente estese a tutti i monasteri del Sacro Romano Impero.
Oltre alla preghiera, i benedettini si dedicano alle più disparate attività: coltivano campi, prosciugano paludi, costruiscono fattorie e borgate, fondano ospizi e ospedali. In
questo modo essi contribuiscono notevolmente alla rivalutazione del lavoro manuale
che, presso i greci e i romani, era considerato una forma di diminuzione della dignità
dell’uomo libero.
Per i benedettini il lavoro è invece il complemento indispensabile della preghiera, un
mezzo di elevazione morale.
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B) L’importanza politica e sociale dei monasteri e la loro indipendenza
Nel contesto di rovina e di miseria in cui erano cadute le città nell’Alto Medioevo, le
chiese e i monasteri ebbero il merito di conservare e di tramandare ciò che restava della cultura romana oltre a rappresentare importanti centri economici e sociali.
Furono, infatti, i monaci a sottrarre alla furia devastatrice dei barbari le opere letterarie, filosofiche e scientifiche greche e romane, e a trascriverle in preziosissimi codici:
così molte opere degli autori classici sono giunte fino a noi.
Altrettanto importante era il ruolo «politico» di abbazie e monasteri, che fungevano
da riparo e difesa per le popolazioni delle campagne circostanti che venivano a trovarsi minacciate dal pericolo di invasioni.
A questo proposito, va ricordato che, ridotta al rango di provincia dell’impero sotto Giustiniano,
l’Italia era contesa da varie dominazioni: oltre al potere «nominale» di Bisanzio, i barbari ostrogoti prima e longobardi poi, si disputarono l’egemonia sulla penisola.
La stessa amministrazione bizantina, del resto, si caratterizzava per un esasperato fiscalismo che
finiva per rendere ancor più gravose le condizioni di vita delle popolazioni rurali. Per tutti questi
motivi, erano sempre più numerose le famiglie contadine che chiedevano e ricevevano protezione dai monasteri.
E veramente di tutela giuridica può parlarsi: i monasteri, infatti, tendevano a diventare delle vere e proprie cittadelle autonome e indipendenti. Nei loro confronti non si
esercitavano controlli né da parte della Chiesa, né da parte del potere politico (laddove presente) e godevano di autonomia giudiziaria ed esenzione fiscale.
Inoltre i monasteri ricevevano donazioni ed eredità da sovrani e grandi proprietari che
in tal modo intendevano salvarsi l’anima, e molto spesso si trattava di terreni che andavano ad aggiungersi all’originario edificio monastico: recinzioni con alte e solide
mura cominciarono a circondare l’edificio religioso e i terreni circostanti aumentandone l’isolamento e l’autarchia.
I monasteri sorti in Italia (a Nonantola in Emilia, a Farfa nel Lazio, a Bobbio in Liguria) e nel resto dell’Europa (a Cluny e a Tours in Francia, a Westminster in Inghilterra, a San Gallo in Svizzera) si trasformarono ben presto in importanti centri economici e religiosi.
C) Il cristianesimo irlandese e l’opera di san Colombano
Secondo la tradizione, la Chiesa d’Irlanda fu fondata nel V secolo da san Patrizio, cristiano proveniente della Britannia romana sbarcato sull’isola come giovane schiavo.
A quell’epoca l’Irlanda era organizzata in tutah, piccoli regni tribali, che vennero gradualmente convertiti. In assenza di un’organizzazione politica strutturata, la Chiesa si
ingrandì e crebbe attorno a monasteri i cui abati rappresentavano l’autorità religiosa territoriale.
Poiché l’Irlanda non era mai stata parte dell’impero romano ed era assai lontana da Roma, conservò tradizioni che non furono sradicate e non passarono ad altre regioni, come per esempio una
diversa data della Pasqua. Dissentendo da ciò, molti monaci lasciarono l’Irlanda per andare missionari in Britannia e poi nel continente.
Il cristianesimo altomedievale
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Nello stesso periodo, dal monastero di Lindisfarne partirono monaci irlandesi e scozzesi che nel 634 convertirono Osvaldo, re di Northumbria. Questa conversione indusse quella degli altri regni vicini. Nel 664, per allentare le tensioni che nel frattempo
erano sorte tra missionari romandi e iroscozzesi (irlandesi e scozzesi), si riunì un concilio a Whitby e la chiesa irlandese si adeguò al rito e alle tradizioni romane.
Un momento fondamentale della storia del monachesimo latino fu rappresentato dall’arrivo nel regno franco di Borgogna, intorno al 591, del monaco irlandese Colombano e di alcuni suoi compagni. Colombano fondò innumerevoli chiese e monasteri da
cui si propagava la cultura preservata dall’attacco barbaro, pagano o semi-ariano: Bangor, Luxeuil-les-Bains, San Gallo.
Poco prima della sua morte Colombano varcò le Alpi e si recò nel regno dei Longobardi dove ottenne la protezione del re Agilulfo e della regina Teodolinda, protezione
che gli consentì di fondare nel 614 il monastero di Bobbio, nella valle del Trebbia.
Quando gli Alemanni e i Bavari, pagani, si stanziarono negli attuali territori della Germania e subirono l’influenza di San Colombano e di San Gallo, in tutta la zona fiorirono numerosi centri ecclesiastici.
Nella seconda metà dell’VIII secolo si giunse alla completa cristianizzazione dei Bavari e fu sancito un ordinamento scolastico organizzato dalla Lex Alemannorum.
Questionario
1. Per quale opera viene ricordato il vescovo Ulfila? (par. 1)
2. In che cosa consisteva la lotta iconoclastica? (par. 1/A)
3. Che cos’era l’arianesimo? (par. 1/A)
4. Perché la donazione di Sutri fece tanto discutere nei secoli successivi? (par. 1/A)
5. Qual è l’mportanza del deserto nell’ascetismo (par. 2/A)
6. Qual è la differenza tra ascetismo e anacoretismo? (par. 2)
7. Quale tipo di eremitismo praticava Sant’Antonio Abate? (par. 2)
8. Quale Ordine monastico segue la Regola «Ora et labora»? (par. 3/A)
9. Con quale concilio la Chiesa irlandese decise di adeguarsi ali riti della Chiesa
romana? (par 3/C)
10. Chi fu il fondatore della Chiesa cattolica di Irlanda? (par. 3/C)
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