L’ENTROPIA, IL TEMPO, LA VITA e altre amene considerazioni….
La termodinamica rappresenta uno dei capitoli della fisica più affascinanti e ricchi di applicazioni pratiche e
teoriche. Sicuramente una delle principali acquisizioni del pensiero umano. Essenzialmente essa studia
l’energia e, in particolare, la possibilità di trasformare il calore in lavoro (e viceversa). Il cammino per
arrivare alla formulazione dei suoi principi è stato arduo e ha coinvolto alcuni dei più illustri scienziati del
XIX° secolo. Eppure le verità espresse da questi principi sono semplici e sono patrimonio della cultura
popolare in ogni parte del mondo: frasi come “Non si può avere niente per niente” oppure “Non giova
piangere sul latte versato”, espressioni familiari che nascono dall’esperienza quotidiana, riassumono
efficacemente il I° e II° principio della termodinamica. In sintesi: la quantità di energia totale nell’universo
si conserva ma l’entropia totale (ovvero il degrado della stessa energia) è in continuo aumento.
Dunque è impossibile sia creare che distruggere energia ma sappiamo che è possibile trasformarla da una
forma all’altra. Questo afferma il I° principio che è dunque il principio di conservazione dell’energia. Se
consideriamo ad esempio la combustione della benzina nel motore di un’automobile l’energia (chimica)
posseduta dal carburante si trasforma in lavoro meccanico, in calore disperso nell’ambiente e nell’energia
posseduta dai prodotti di scarto. Neanche un briciolo di energia si è creata o si è distrutta in questa
trasformazione.1
Sembrerebbe allora che l’umanità possa disporre di una quantità di energia praticamente illimitata
(basterebbe riutilizzare sempre la stessa energia!) ma sappiamo che le cose non vanno così. Se bruciamo un
pezzo di carbone esso si trasforma in cenere, anidride carbonica e altri gas. La sua energia (chimica) si trova
ora distribuita nelle molecole dei nuovi composti e nel loro moto disordinato. Anche in questo caso non si è
persa dell’energia ma se provassimo ad utilizzare i prodotti della combustione non riusciremmo certo a
riportare in vita il pezzo di carbone né a ottenere altra energia utile: è accaduto qualcosa di irreversibile, c’è
stato un prezzo da pagare nel senso che la quantità di energia disponibile per eseguire un futuro lavoro è
ora molto più bassa. L’energia si è degradata.
Il termine che descrive questo fatto è entropia. L’entropia (simbolo S) appare come una grandezza fisica un
po’ misteriosa, difficile da definire: in realtà è una grandezza perfettamente misurabile (come devono
essere tutte le grandezze fisiche!); essa ha a che fare con gli scambi di calore Q e le temperature T a cui
questi scambi avvengono. In realtà quello che interessa è misurare le variazioni dell’entropia ΔS (in
aumento o in diminuzione) in un processo termodinamico mentre è abbastanza complesso dare un valore
assoluto all’entropia. L’unità di misura dell’entropia nel Sistema Internazionale è j/°K.
Storicamente la termodinamica ha avuto inizio con gli studi di Sadi Carnot2 relativi al funzionamento delle
prime macchine a vapore. Egli si rese conto che il motore funzionava perché una parte era molto calda e
un’altra molto fredda; il calore, fluendo dalla parte calda a quella fredda, poteva in parte essere
1
Il primo principio è sintetizzato nella formula ΔU = Q + L, ossia la variazione dell’energia interna U di un sistema è data dagli
scambi di calore Q e lavoro L. Calore e lavoro sono infatti i due soli modi in cui l’energia può trasferirsi da un sistema ad un altro.
Sono positivi in entrata e negativi in uscita. L’energia interna può essere vista come l’energia complessiva delle molecole che
costituiscono il sistema (nel modello semplificato del gas perfetto è l’energia cinetica complessiva delle molecole).
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Sadi Carnot (1796-1832), francese, figlio del matematico Lazare Carnot, si occupò del perfezionamento delle
macchine termiche per contrastare la supremazia industriale inglese.
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trasformato in lavoro. Dunque occorre una sorgente di energia molto concentrata, di buona qualità
(elevata temperatura) ma, dall’ altra parte, una certa quantità di calore finisce in una sorgente fredda
(detta anche refrigerante), di bassa qualità (bassa temperatura). Ad ogni ciclo di funzionamento della
macchina si ottiene del lavoro ma nello stesso tempo anche del calore di bassa qualità, inutilizzabile, o
quasi, per altri lavori.
E’ analogo al flusso di acqua che cadendo dall’alto di una montagna può far girare le pale di un mulino ma
poi, raggiunto il fondo, non è più in grado di svolgere altro lavoro. D’altra parte l’acqua che forma una
superficie piana non può certo far ruotare nemmeno la più piccola pala di un mulino. Dunque possiamo
avere uno stato di energia disponibile per compiere un lavoro (o libera) e uno stato di energia non
disponibile. Un aumento di entropia significa un aumento di energia non disponibile. Ogni qualvolta
accade qualcosa nel mondo naturale una certa quantità di energia si trasforma e non è più disponibile per
produrre lavoro.
Così il II° principio, nato da un “banale” problema di ingegneria meccanica, si allarga a comprendere tutti i
fenomeni naturali che vengono, per l’appunto, detti irreversibili, ossia che non possono tornare
spontaneamente indietro. I fenomeni naturali, spontanei, procedono infatti in un’unica direzione, quella
che determina un aumento della entropia. Abbiamo detto prima che l’energia si presenta in differenti
“concentrazioni”, i processi irreversibili costituiscono un trasferimento dell’energia dal livello più
concentrato a quello meno concentrato sino al raggiungimento di una distribuzione uniforme; quando
l’energia è distribuita in modo uniforme non è più utilizzabile, si è raggiunto l’equilibrio, stato in cui
l’entropia è massima. Un pezzo di ferro riscaldato posto in un recipiente pieno di acqua si raffredda
cedendo il suo calore all’acqua stessa (e al recipiente) finchè tutto il sistema non ha raggiunto la stessa
temperatura ossia l’equilibrio termico. In altre parole i processi irreversibili evolvono spontaneamente da
uno stato di non-equilibrio verso uno stato di equilibrio. Lo stato di equilibrio è quello in cui l’entropia è
massima e non vi è più energia libera disponibile per eseguire lavoro. In un sistema chiuso3 l’entropia
tende sempre verso il massimo.
Ovviamente è possibile invertire un fenomeno irreversibile intervenendo dall’esterno, ossia utilizzando una
nuova fonte di energia disponibile (e creando quindi altrove un aumento di entropia!). Un frigorifero (che
sfrutta l’energia della corrente elettrica) è un buon esempio in questo senso: trasferisce il calore da un
ambiente freddo ad uno più caldo grazie ad un motore elettrico.
Il passaggio dall’equilibrio al non-equilibrio può essere espresso altrettanto efficacemente come passaggio
dall’ordine al disordine: l’ordine può essere inteso come l’energia concentrata (la sorgente ad alta
temperatura, il ferro caldo, il contenuto energetico del carbone prima della combustione) oppure come una
struttura della materia regolare (un solido cristallino) mentre il disordine è il calore diffuso, di bassa
concentrazione, oppure una distribuzione caotica delle particelle (come un gas).
Un ottimo esempio per spiegare questo concetto è costituito da una boccetta di profumo aperta: dopo un
certo tempo il profumo si diffonde nell’intera stanza. Le particelle, inizialmente concentrate nella boccetta
(stato di ordine), si distribuiscono in una situazione di minore concentrazione (disordine). Se potessimo
seguire il moto delle singole particelle assisteremmo ad un numero enorme di urti ad altissima velocità, un
viaggio casuale, del tutto disordinato nello spazio disponibile. Il bello è che il moto di ciascuna particella è
regolato essenzialmente dalle leggi della dinamica, che non ci dicono nulla però sulla concentrazione finale
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In verità, dato un fenomeno, è sempre possibile considerare in relazione ad esso un sistema chiuso, tale cioè che
tutti gli scambi energetici avvengano al suo interno e non avvengono scambi con l’universo esterno.
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del profumo, ovvero non ci consentono di fare previsioni in questo senso. Anzi, se fosse per le leggi della
dinamica nulla vieterebbe che le molecole, urto dopo urto, possano tornare spontaneamente nella
boccetta! Ludwig Boltzmann4 si pose questo problema e (per primo) applicò alla fisica i metodi della
statistica e del calcolo della probabilità. La sua conclusione fu che lo stato di disordine si verifica perchè
enormemente più probabile dello stato di ordine: l’ordine si può realizzare in pochi modi, il disordine
invece in tantissimi modi. Mescolando un mazzo di carte quale probabilità abbiamo di ottenere
casualmente tutte le carte in fila, ordinate per numero e per seme?
Dunque, in teoria, un qualunque fenomeno irreversibile (ad esempio il passaggio di calore da un corpo
caldo ad uno freddo) potrebbe spontaneamente invertire il suo corso (nessuna legge lo vieta) ma la
probabilità che ciò possa accadere è così bassa che in pratica non osserveremo mai tale evento.5 Per
concludere: i fenomeni naturali evolvono sempre dallo stato meno probabile (ordine) a quello più
probabile (disordine, caos).
E’ bene ripetere che ogni qualvolta si intervenga per invertire la direzione spontanea di un processo
naturale questo è possibile solo facendo un lavoro, sfruttando quindi dell’energia, producendo di
conseguenza in un altro luogo (nell’universo quindi) un aumento di entropia, di disordine.
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E’ lecito applicare il principio dell’entropia all’intero Universo (inteso come il macrocosmo costituito dalle
stelle e dalle galassie)? Se l’Universo è effettivamente un sistema chiuso (come parrebbe logico) dobbiamo
ammettere che la sua energia (originatasi nel Big Bang, secondo la maggior parte delle teorie cosmologiche
oggi accettate) si stia gradualmente degradando per raggiungere uno stadio finale di massima entropia,
ossia di equilibrio termico (la cosiddetta “morte termica” dell’Universo).
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L’evoluzione irreversibile di un processo dall’ordine al disordine ci permette quindi di distinguere senza
ambiguità uno stadio precedente da uno stadio successivo, un passato da un presente (o un futuro, se
usiamo la termodinamica per fare delle previsioni). Che cos’è, dunque, il tempo?6 Abbiamo accennato
prima (parlando delle molecole di profumo) al fatto che la meccanica newtoniana non è in grado di dirci
nulla riguardo l’evoluzione di un sistema, ovvero che il tempo t potrebbe tranquillamente essere invertito
(–t): le leggi della meccanica, da un punto di vista matematico, resterebbero perfettamente valide, come se
il movimento dei corpi fosse perfettamente reversibile. In effetti se filmassimo delle palle da biliardo in
movimento (senza mostrare le cause del moto) e facessimo scorrere poi la pellicola all’indietro non
noteremmo probabilmente nulla di particolare. Ma se filmiamo una cascata d’acqua e poi visioniamo la
pellicola al contrario l’effetto risulta davvero sorprendente: in questo secondo caso è intervenuta
l’entropia. Il tempo scorre in un’unica direzione, in avanti, non torna mai indietro: è il processo irreversibile
della dissipazione dell’energia nel mondo. Lo percepiamo osservando e registrando (anche senza esserne
consci) la variazione continua di entropia che avviene intorno a noi: la legna si consuma bruciando nel
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Ludwig Boltzmann (1844-1906), austriaco, considerato il padre della termodinamica statistica. Le sue tesi sulla
cinetica molecolare furono osteggiate dagli scienziati contemporanei in quanto l’esistenza degli atomi e molecole non
era stata ancora verificata dall’osservazione sperimentale. Morì suicida.
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Come disse Sir Arthur Eddington (1882-1944, astronomo inglese): “se delle scimmie battessero a caso i tasti di una
macchina da scrivere potrebbero scrivere i libri di un’intera biblioteca. La probabilità che esse facciano ciò e senza
dubbio maggiore della probabilità che le molecole ritornino nella boccetta”.
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Sant’Agostino diceva: “So cos’è il tempo se nessuno me lo chiede ma se tento di spiegarlo a qualcuno non lo so più!”
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camino, il ferro si arrugginisce, le persone invecchiano e muoiono,… Come disse Eddington: “L’entropia è
la freccia del tempo”.
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A questo punto qualche dubbio si sarà sicuramente insinuato nel lettore: se la tendenza del mondo
naturale è quella di scivolare inesorabilmente verso il caos come è possibile vedere sorgere davanti a noi
delle strutture ben organizzate, dotate di simmetria, di regolarità (come un cristallo solido) o addirittura
degli esseri viventi? Un essere vivente, animale, pianta o anche un semplice organismo unicellulare
costituisce evidentemente un esempio di grandissimo ordine, elevata complessità e organizzazione.
In effetti non sempre il mondo sembra evolvere verso il caos. Ad esempio molte reazioni chimiche portano
a prodotti che sono sicuramente più ordinati dei reagenti: l’ossidazione del ferro (formazione della
ruggine) produce delle molecole più ordinate rispetto al ferro e l’ossigeno di partenza. Oppure: delle gocce
di olio nell’acqua tendono ad aggregarsi tra loro anziché disperdersi uniformemente (effetto idrofobo).
Dunque il II° principio della termodinamica può essere facilmente violato? Assolutamente NO! Laddove si
forma localmente una struttura ordinata (cioè una diminuzione di entropia) significa che nell’ambiente
circostante si è prodotto un aumento molto maggiore di entropia! Nella ossidazione del ferro il legame tra
gli ioni del ferro e le molecole dell’ossigeno7 è irreversibile perché produce energia che viene dispersa
nell’agitazione termica degli altri ioni (per spezzare questo legame occorrerebbe un accumulo di energia
che non può avvenire spontaneamente). Si può calcolare che la diminuzione locale di entropia, dovuta al
fatto che le molecole dell’ossigeno sono ora più ordinate, è solo un decimo rispetto all’aumento di entropia
prodotto nell’ambiente. E’ bene puntualizzare che il principio guida per stabilire la spontaneità delle
reazioni chimiche non è comunque la diminuzione dell’energia di legame nei prodotti ottenuti bensì la
dispersione dell’energia. Ogni reazione chimica spontanea può essere letta come un processo di
“raffreddamento”.
Un altro esempio può essere la sintesi dell’ammoniaca a partire da azoto e idrogeno gassosi:
N2 + 3H2 = 2NH3; a 25°C la diminuzione locale di entropia vale ΔS = -188 j/°K (esaminando le entropie dei
reagenti e dei prodotti). La reazione avviene però con una elevata liberazione di calore nell’ambiente
esterno e quindi con una elevata dispersione di energia, quindi grande aumento di entropia.
Nel corso di chimica gli studenti fanno conoscenza con altre importanti grandezze termodinamiche quali
l’entalpia (H) e l’energia libera di Gibbs (G) e studiano che il criterio più utile per stabilire la spontaneità di
una reazione chimica è che l’energia libera deve diminuire (ΔG<0)8. Questa descrizione non è in contrasto
col II° principio ma rappresenta solo un diverso punto di vista. L’energia libera G è in effetti un concetto
molto utile in pratica per conoscere quanta energia può essere convertita in lavoro ordinato (ad esempio in
una combustione o in una pila per produrre la corrente elettrica).
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In sintesi: 4Fe + 3O2 = 2Fe2O3. Una reazione simile, tra l’altro, avviene nei globuli rossi del sangue grazie al ferro
contenuto nell’emoglobina.
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Formalmente: ΔG = ΔH – TΔS dove G è l’energia libera di Gibbs (energia disponibile per compiere lavoro, escluso l’eventuale
lavoro di espansione), H è l’entalpia (che a pressione costante corrisponde in pratica al calore scambiato: ΔH<0 se la reazione è
esotermica, ΔH>0 se è endotermica).Poichè il termine ΔS è moltiplicato per la temperatuta T, La diminuzione della energia libera G
in certi casi è favorita da un aumento della temperatura, in altri da una diminuzione.
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Quanto alle goccioline d’olio nell’acqua si scopre che ogni gocciolina costringe le molecole di acqua ad
assumere configurazioni molto ordinate: ecco perché meno goccioline si formano, meglio è (dal punto di
vista dell’entropia)!
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Un essere vivente è in grado di muoversi in direzione (apparentemente) opposta a quella indicata
dall’entropia perché assorbe continuamente energia libera dall’ambiente circostante: ha bisogno di
nutrimento per svilupparsi, per mantenere la temperatura corporea, per muoversi, per svolgere tutte le sue
funzioni vitali. Ha bisogno di un flusso continuo di energia per mantenere la propria struttura organizzata,
lontana dallo stato di equilibrio che è rappresentato dalla morte. Ovviamente costituisce un sistema aperto,
in grado di scambiare energia e materia con l’ambiente circostante. La vita è uno stato (stazionario) di
non-equilibrio possibile grazie ad un flusso di energia ininterrotto. I fisici chiamano strutture dissipative
tutte le strutture che si mantengono tali grazie ad un flusso di energia (che si degrada). Vi sono
innumerevoli esempi nel mondo inorganico. Non è forse una struttura dissipativa una macchina termica?
Essa crea una struttura ordinata (il movimento di un pistone) grazie ad un flusso di energia che l’attraversa.
Dunque un essere vivente si mantiene in vita scaricando nell’ambiente circostante una enorme quantità di
entropia (senza pensare alla entropia prodotta dalle attività industriali, dai mezzi di trasporto, dal
riscaldamento della case, dai rifiuti, etc. etc.!!!). Si consideri ad esempio una catena alimentare (del tipo:
vegetali – erbivori – carnivori –uomo): si calcola che ad ogni gradino della catena l’ 80-90% dell’energia
contenuta nel cibo viene in realtà dissipata nell’ambiente circostante.
Dettagliati studi di biochimica hanno dimostrato che il metabolismo cellulare (l’attività dei mitocondri, in
particolare) è perfettamente compatibile con il II° principio della termodinamica. Il meccanismo
fondamentale della vita è la formazione (guidata dal DNA dell’individuo e favorita dalla presenza di
particolari enzimi9) delle proteine. Le proteine sono lunghe catene di amminoacidi che si uniscono tra loro
tramite legami detti peptidici. Le catene assumono una forma a spirale (grazie a legami idrogeno10 che
liberano energia) e si “accartocciano” in particolari strutture le quali hanno lo scopo di nascondere le parti
idrofobe (riducendo quindi l’organizzazione delle molecole d’acqua, un po’ come fanno le gocce di olio
quando restano unite tra loro anziché disperdersi). Tutto gioca a favore dell’aumento di entropia
nonostante la crescente organizzazione della molecola proteica. L’aspetto fondamentale resta comunque la
formazione dei legami peptidici che sicuramente rappresentano una diminuzione locale di entropia. Ebbene
tali legami sono consentiti dall’azione delle molecole ATP11 (adenosintrifosfato, il vero, fondamentale
mediatore dell’energia, in quanto realizza gli “accoppiamenti” energetici delle varie reazioni). Le molecole
ATP a loro volta si formano come conseguenza della combustione del glucosio nel citoplasma cellulare12:
tale reazione libera (e dissipa) una tale quantità di energia da soddisfare (dal punto di vista entropico) lo
intero processo. Si calcola che circa metà dell’energia liberata dalla molecola di glucosio non viene utilizzata
dall’ ATP ma viene dispersa sotto forma di calore. Ecco spiegata, dal punto di vista termodinamico, la
quotidiana necessità di nutrirsi per mantenersi in vita!
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Gli enzimi svolgono la funzione di “catalizzatori” agendo sulla velocità delle reazioni (abbassano la cosiddetta energia
di attivazione) ma non alterano il contenuto energetico della reazione stessa.
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Il legame idrogeno è la più grande forza di legame intermolecolare: avviene tra molecole che hanno natura dipolare
(un esempio molto importante è costituito dall’acqua). L’atomo di idrogeno H si lega con una coppia elettronica libera
(rappresentata da atomi di ossigeno O oppure azoto N o fluoro F) dell’altra molecola.
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Le molecole ATP perdono il gruppo fosfato più esterno liberando energia e formando una molecola ADP
(adenosindifosfato); poi si ricompongono con un processo inverso.
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La produzione di ATP prosegue nei mitocondri (ciclo di Krebs e fosforilazione ossidativa).
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