STORIA DEGLI STRUMENTI ELETTRICI A TASTIERA Ora, prima di affrontare da vicino il pianoforte digitale, come prima cosa occorre penetrare nell’evoluzione degli strumenti di derivazione elettronica dagli inizi, per comprenderne il funzionamento, l’uso e il perché dell’esistenza. Di nuovo ripercorrere la storia ci servirà da lume per il nostro sapere. Specifici strumenti detti “sintetizzatori” e la loro differenziazione, che ha preceduto quelli odierni, hanno influenzato molto il sound della musica di ogni genere e stile degli ultimi cento anni. Essi hanno costituito inoltre una valida alternativa o integrazione al suono naturale degli strumenti acustici e grazie agli affascinanti effetti di cui sono capaci, sono entrati da protagonisti nella scena classica, contemporanea e moderna della musica. Per ogni strumento elettronico citato, oltre alla storia e al funzionamento, sono anche indicati i musicisti di riferimento più rappresentativi e i generi musicali in cui sono più usati. Telharmonium Il padre di tutti i sintetizzatori fu inventato negli Stati Uniti nel 1897 da Thaddeus Cahill e prese il nome di Telharmonium o Dinamophone. Era uno strumento che pesava moltissimo (i tre modelli creati pesavano fino a 200 tonnellate) ed era in grado di produrre suoni che paradossalmente risultavano talmente deboli da essere difficilmente percepibili. Era composto da una serie di 145 dinamo modificate che utilizzavano un certo numero di speciali ruote dentate accoppiate a induttori per produrre correnti alternate di frequenze audio variabili. I segnali audio che uscivano – molto simili a quelli dell’organo elettrico che seguirà – erano controllati da più tastiere a tasti sensibili al tocco (molto vicine alla tipologia di quelle a tasti pesati), ed erano gestiti da controlli manuali. Il Telharmonium veniva suonato generalmente da due pianisti e il suono che usciva veniva amplificato dal passaggio in trombe acustiche. Con questo sistema si crearono anche le basi per l’invenzione dell’amplificatore, che avvenne solo vent’anni più tardi. Successivamente, l’idea che venne a Cahill fu di creare una specie di impianto di filodiffusione per la trasmissione della musica attraverso la normale linea telefonica; da qui il cambio di nome in Tele-harmonium (o Telharmony). Il suono in questo caso era diffuso anche tramite speciali megafoni e lo strumento era capace di essere ascoltato in hotel, ristoranti, teatri e case private. Questo progetto, nonostante fosse rivoluzionario perché tentava una espansione di massa della musica, purtroppo non prese il volo: il capitale necessario per avere e mettere in funzione il meccanismo divenne proibitivo e in più si scoprì che la macchina interferiva con il normale servizio telefonico. Anche se non è pervenuta ad oggi una registrazione con il Telharmonium, a Cahill si deve il merito di aver aperto la strada all’elettronica moderna in musica, anticipando in particolare i futuri organi elettrici (come il modello Hammond) che entrarono in scena dopo il 1930. Theremin (Video 3.8 a) Nel 1919, il russo Leon Theremin costruì uno strumento musicale formato da un corpo e da due antenne, una verticale e una orizzontale in grado di controllare rispettivamente l’altezza e il volume del suono; egli lo chiamò come il suo cognome, Theremin. Inizialmente era denominato eterofono e la rivoluzione principale che rappresentò in musica riguardava il modo di suonarlo: esso veniva comandato tramite lo spostamento delle mani dell’esecutore vicino alle due antenne, variando sensibilmente i due parametri di emissione del suono. Con estremo stupore, i gesti della mano si trasformavano in suoni musicali. Dopo l’invenzione, e prima di diffondersi in modo ufficiale, fu presentato a illustri personaggi dell’epoca come il direttore d’orchestra Arturo Toscanini e l’imprenditore statunitense Henry Ford, a cui piacque. Theremin usava anche il suo talento inventando apparecchi e microfoni per captare conversazioni riservate e collaborò a favore dello spionaggio portato avanti dall’Unione Sovietica nella Seconda guerra mondiale. Il Theremin ha un carattere sonoro tra la voce umana acuta, il fischio e il violino, il suo suono è modulato in modo da raggiungere onde sinuose, che possono avere un effetto 1 vibrato molto particolare. In musica, questi suoni speciali sono l’ideale per caratterizzare momenti di tensione di un certo tipo, ad esempio suscitare paura o divertimento in chi ascolta. Fin dall’inizio ci furono musicisti e compositori che lo presero seriamente in considerazione e lo adottarono con efficacia, senza più lasciarlo fino ai giorni nostri. Il compositore sovietico Dmitrij Šostakovič nel 1931 lo incluse in alcuni brani per orchestra facenti parte della colonna sonora del film russo Odna. La lituana Clara Rockmore fu tra i primi musicisti a suonarlo, ed è considerata la più importante theremista esistita. Si rivolse a questo strumento perché a causa di problemi ossei non poteva proseguire con la pratica manuale sul violino. Potendo disporre di qualità musicali sopra la media e di un orecchio assoluto (la rara capacità di riconoscere una nota avendola ascoltata anche solo una volta e senza doverla confrontare con un ulteriore suono di riferimento), riuscì a farlo diventare il suo strumento principale. Fu allieva dello stesso Leon Theremin e con esso contribuì a migliorare lo strumento in fatto di gestione del volume e resa sonora. Da allora si usa in quasi tutti i generi e oggi si producono modelli di alto pregio e di diverso design, come quelli della casa Moog. Tra i migliori theremisti della musica classica ed elettronica contemporanea ricordiamo la russa Lydia Kavina, l’americana Pamelia Kurstin e la tedesca Carolina Eyck. Ne hanno fatto largo uso anche il compositore americano Samuel Hoffman e il francese Jean Michel Jarre; nella musica rock Jimmy Page dei Led Zeppelin, Brian Jones (il primo fondatore dei Rolling Stones, che lo usò in due album) e il gruppo dei Beach Boys. Nell’ambito della musica da film, come esempio di alta scuola, citiamo Ennio Morricone che nel 1968 ha integrato il Theremin nella colonna sonora del film C’era una volta il West. Inoltre, questo strumento ha fatto e fa tuttora parte di molte musiche popolari, artisti di strada, visionari commenti sonori alle immagini di film sperimentali e video, performance e interventi artistici contemporanei (installazioni sonore). Onde Martenot (Video 3.8 b) Nel 1929, il francese Maurice Martenot inventò un elettrofono a tastiera chiamato Onde Martenot, che prendeva esempio dalle applicazioni di Leon Theremin ma di dimensioni più ridotte e con lo stesso numero di tasti del pianoforte. Martenot era un violoncellista e la sua volontà era quella di portare il suo strumento ad alti livelli di espressività musicale. La tastiera montata inizialmente era puramente figurativa, serviva solo come riferimento all’esecutore; il dito indice della mano destra, infilato in un anello di celluloide in una guida a nastro sotto di essa, scorreva da sinistra a destra o viceversa, fermandosi sul relativo tasto potendo eventualmente vibrare il suono. Questa modalità rappresentava un sistema di azione molto fluido sulla tastiera, chi lo suonava poteva produrre glissandi (il glissato è un effetto che si ottiene strisciando abbastanza velocemente le dita da un tasto più alto a uno più basso o viceversa) e un’ampia gamma di variazioni di volume, dal silenzio al fortissimo. La mano sinistra di solito agiva sui controlli posti in un cassettino estraibile sotto la parte dei bassi della tastiera, e determinava l’aggiunta di effetti vari, come il cambio di un suono o una specie di accompagnamento percussivo. In seguito Martenot ha permesso al suo strumento di essere suonato anche mediante la pressione sul tasto, col posizionamento automatico del nastro nella posizione corrispondente; in questo caso l’indice sinistro poteva prendere il posto del destro mentre la mano destra suonava sui tasti, dalla pesatura morbida. Così, da strumento monodico o monofonico (cioè in grado di suonare solo una nota per volta), divenne polifonico (in grado di essere suonato anche con più note insieme) e si poterono sviluppare musiche più complesse. Il sistema di amplificazione comprendeva quattro casse diverse come forma e principio di diffusione sonora (tra cui un gong e una cassa dotata di corde metalliche), da cui Martenot era riuscito a differenziare le imitazioni elettro-acustiche del flauto, del fagotto, dell’organo, del clarinetto, il suono degli strumenti a corda e svariate percussioni. Per queste sue caratteristiche e l’elettronica che si basa su sistemi a oscillatori, l’Onde Martenot si può considerare l’antesignano dei sintetizzatori a tastiera moderni. I musicisti che lo usarono presero il nome di “ondisti”, e tra i migliori esponenti della musica contemporanea compositori o veri e propri ondisti di quell’epoca troviamo i 2 francesi Edgar Varèse, Darius Milhaud, Olivier Messiaen, Pierre Boulez e l’italiano Giacinto Scelsi. Ancora oggi viene prodotto in forma moderna ma mantenendo invariate le sue caratteristiche, è suonato dal cantante e musicista inglese Brian Ferry, dal musicista classico francese Thomas Bloch, dal polistrumentista inglese Jonny Greenwood del gruppo dei Radiohead e dal musicista francese Yann Tiersen. La francese Monique Pierrot è un’esperta ondista degli ultimi tempi. Il cantautore italiano Vinicio Capossela nel 2011 lo ha utilizzato in un suo disco suonato dalla parigina Nadia Ratsimandresy, anch’essa tra le migliori contemporanee di questo strumento. Trautonium (Video 3.8 c) Sempre nel 1929, in Germania, il berlinese Friedrich Trautwein creò uno strumento monofonico variando ulteriormente le possibilità elettroniche degli oscillatori e assegnando altre molteplici funzioni ai suoni prodotti. Trautwein battezzò questo primo prototipo Trautonium e si avvalse della preziosa collaborazione del fisico e musicista di elettronica Oskar Sala, che da allora lo aiutò a migliorarne le prestazioni e ad apportare alcune definitive modifiche. Il Trautonium funzionava in modo simile alle Onde Martenot ma non possedeva una tastiera vera e propria, aveva un’impugnatura a nastro e l’esecutore doveva premere con un dito un sottile nastro di metallo finché questo chiudeva il circuito con una resistenza sottostante. La forza di questa pressione veniva tradotta in valore elettrico da una resistenza a carbone, che determinava la dinamica del suono. Sull’impugnatura del Trautonium si potevano suonare ampie porzioni di tasti, e la tastiera stessa era munita di linguette spostabili per individuare la posizione delle note sul nastro. Come gli altri elettrofoni l’apparecchio era munito di interruttori, che qui servivano per l’estensione della tastiera e la variazione delle altezze dei suoni; l’innovazione più interessante fu però l’introduzione di un sistema che potenziava di gran lunga la resa sonora con una serie di filtri elettrici entro i quali il suono passava e ne usciva rinforzato di alcune componenti armoniche. Nel 1930, Oskar Sala affiancato dal compositore Paul Hindemith si è esibito presso il Berliner Musikhochschule, in una sala da concerto chiamata Neue Musik Berlin presentando pubblicamente ed ufficialmente il Trautonium. Da allora Sala ha suonato con alcuni modelli diversi da lui modificati e arricchiti di particolari caratteristiche, come il Volkstrautonium (a cui s’interessò anche il marchio Telefunken), il Radiotrautonium e nel 1938 il portatile Konzerttrautonium. Più tardi elaborò anche un modello con l’aggiunta di una voce e di un generatore di rumore capace di produrre diversi effetti ritmici: questa nuova e praticamente definitiva versione fu chiamata Mixturtrautonium e presentata a Berlino nel 1948. È difficile descrivere il suono di questo elettrofono, che alterna fasce sonore ricche di note un po’ stonate a disturbi simili a frequenze radiofoniche, e osservare Oskar Sala mentre si cimenta a suonarlo mettendo in gioco bottoni, leve e potenziometri di tutti i tipi, sembra una scena surreale, non si capisce se ci si trovi nel passato o nel futuro. Il grande musicista ha continuato a registrare e a esibirsi da solo o in orchestra, specializzandosi nella musica di Hindemith, ma anche in colonne sonore e musiche per balletti fino al 2002, quando si spense a 91 anni. Egli ha contribuito a diffondere le sue tecniche sullo strumento facendo da maestro e mostrando i suoi modelli ad artisti contemporanei come la band tedesca elettropop dei Kraftwerk. Hammond (Video 3.8 d) Nel 1934, l’ingegnere e geniale orologiaio americano Laurens Hammond e altri inventori come il canadese Morse Robb, lo statunitense Richard Ranger ed il tedesco Edwin Welte, contribuirono a creare organi elettronici che si basavano su principi radicalmente diversi da tutti gli organi precedenti a funzionamento pneumatico. Prenderemo in esame in particolare l’evoluzione degli organi concepiti da Hammond, che riuscì a creare strumenti di diverso tipo, da quelli per le chiese a quelli per il jazz e il rock. Il primo organo elettrico che inventò era di tipo elettromeccanico, e venne chiamato Toneweel Hammond Organ; i modelli principali facevano parte della serie A e B e C. Oggi i gli organi Hammond A102, B3 e C3 sono tra i più ricercati e restaurati per il suono vellutato e unico che si può ottenere. Il suo funzionamento si basava su una serie di ruote 3 magnetiche dentate, chiamate tonewheels. Grazie alla corrente elettrica, questi piccoli ingranaggi mantenevano una constante e rapida rotazione generando una tensione per induzione elettromagnetica; essa veniva filtrata da una serie di registri, controllata tramite una doppia tastiera ognuna di 61 tasti e il suono diffuso tramite un amplificatore. Il tipo di sonorità dipendeva dalla combinazione di tiranti posti sopra i tasti, detti drawbars, che modificavano in tempo reale varie caratteristiche del suono. Nei modelli da chiesa (come in quelli a canne del passato), vi era una pedaliera larga come tutto lo strumento e formata da una serie di pedali riproducenti una sezione di tasti della tastiera che andavano suonati con la caratteristica modalità tacco-punta. L’intero apparato comprendeva anche la seduta su cui sedeva l’organista e fu concepito inizialmente per la musica liturgica. L’organo Hammond era uno strumento completamente polifonico, dotato di una tale ricchezza sonora che riuscì a competere con quella dell’organo a canne. Si diffuse rapidamente nei luoghi di culto cattolico e specie in piccoli contesti, dato che il sistema di generazione del suono interamente elettromagnetico e in assenza della mole delle canne lo rendeva più maneggevole; inoltre era più resistente, aveva un peso più contenuto e una facile manutenzione dato che non doveva essere accordato. Dal 1950 in poi, si perfezionarono delle funzioni dei drawbars e si diede la possibilità di controllare l’effetto vibrato, dotando di ventola l’amplificatore che da allora prese il nome di Leslie, dalla fabbrica che li produsse per prima. Si misero a punto modelli anche col pedale volume o senza pedaliera e con 44 tasti, chiamati “a spinetta”. Con queste modifiche uscirono molti tipi di organi ed entrarono da subito a far parte dei generi della black music. Altre marche di organo come la Vox e la Farfisa hanno prodotto l’Organo Combo, di ridotte dimensioni e usato per la musica gospel e jazz. Insieme alla casa Hammond, le marche Moog, Generalmusic e Yamaha, hanno messo in commercio sintetizzatori a organo e organi digitali a partire dal 1960 fino ai giorni nostri. Dai modelli principali B3 e C3 di quegli anni l’Hammond fu impiegato prima nel blues, nel jazz e nel gospel, poi nel soul, e successivamente nel rock, nel pop e nella musica elettronica. I pionieri dell’organo furono gli americani Ethel Smith e Jimmy Smith, seguirono John Patton, Jimmy McGriff, Dr. Lonnie Smith, Larry Young, Rhoda Scott (questi ultimi ancora in vita) e vari pianisti che si sono dedicati anche a questo strumento. I maggiori furono Fats Waller, Count Basie, Carla Bley, Joe Zawinul. Per la musica rock ricordiamo Ray Manzarek dei Doors, Jon Lord dei Deep Purple, Rick Wright dei Pink Floyd; l’organista di Bob Dylan, Al Kooper, lo ha utilizzato nel disco Highway 61 Revisited del ’65. Anche il cantautore chitarrista giamaicano Bob Marley lo ha usato spesso nella sua musica, facendogli assumere funzioni di accompagnamento ritmico. Organisti ancora in attività sono: Keith Emerson, Gregg Rolie dei Santana, James Taylor, Tony Banks dei Genesis, John Medeski, Joey DeFrancesco. In Italia, per la musica blues e jazz si sono distinti: Pippo Guarnera, Gianni Giudici, Alberto Marsico, Alberto Gurrisi (ancora viventi); nel rock italiano citiamo Flavio Premoli della PFM, Mario Chiarugi dei New Trolls e Gabriele Lorenzi della Formula3. Piano Rhodes (Video 3.8 e-f) Nel 1940 l’americano Harold Rhodes, inventò un primo strumento elettrico a tastiera molto simile al pianoforte, poi perfezionato da altri e in uso ufficiale dal 1965. In realtà, i primi esperimenti riguardo ai pianoforti elettrici si accertano tra gli anni ’20 e ’30, prodotti dalla Neo-Bechstein, fabbrica di pianoforti tedesca fondata da Carl Bechstein. Contemporaneamente al Rhodes furono creati il Wurlitzer Electric Piano e, appena dopo, i modelli della serie CP di Yamaha, molto simili al Piano Rhodes (o Fender Rhodes). Lo strumento è una specie di ibrido elettro-acustico composto da una meccanica molto originale: i martelletti non terminano con i feltri ma con delle estremità in plastica e colpiscono corde metalliche a loro volta elettrificate. La sua tastiera è semi-pesata e se si suona con maestria alternando in un certo modo le dinamiche di attacco e di volume, si passa dal suono rotondo e morbido al caratteristico ruggito o ringhio che lo caratterizza. Emerso nelle aree musicali simili a quelle dell’organo Hammond, evolvendosi è diventato uno strumento molto usato nella musica rock-blues, funk, funk-jazz e pop degli anni ’70. A partire dal ’50 con il jazz e il blues e il soul, spiccano Duke Ellington, Sun Ra, Joe 4 Zawinul, Herbie Hancock, Chick Corea, Ray Charles, Stevie Wonder; nella musica pop si ricorda Elton John. Mellotron (Video 3.8 g) Nel 1963 fu inventato in Inghilterra il Mellotron, uno strumento a tastiera polifonico considerato l’antenato dei moderni campionatori (sarà trattato più avanti il loro funzionamento) perché ogni tasto era collegato ad un nastro magnetico che riproduceva qualche secondo di registrazione degli strumenti acustici (tipo archi, cori, flauti, violoncello e altri strumenti a fiato) immagazzinati al suo interno. Il numero di tasti di solito è la metà del pianoforte, e alcuni modelli originali sono stati dotati di gambe per essere utilizzati in casa. Producevano una varietà di suoni, compresi accompagnamenti automatici; altri con meno tasti e più adatti al trasporto, creati per musicisti itineranti. Alcuni furono creati di ridotte dimensioni, pratici e adatti al trasporto. Oggi si continua a produrre con le serie M e Mk, anche a doppia tastiera. Il tastierista e cantante inglese Paul Humphreys, voce del gruppo Orchestral Manoeuvres in the Dark fu uno dei primi ad usare il mellotron; lo troviamo, nell’album Abbey Road del 1968. Fu suonato da molti importanti gruppi all’inizio facenti parte dell’era rock come: The Moody Blues, Beatles, Bee Gees, Brian Jones dei primi Rolling Stones, David Bowie, Genesis, Yes, King Crimson, Led Zeppelin, il gruppo della cantante di Diana Ross, The Supremes, Byrd, Doors, Led Zeppelin (nel disco Kashmir). Moog (Video 3.8 h) L’americano Robert Moog creò due modelli che passarono alla storia come gli esempi più prossimi dei sintetizzatori moderni e che influenzarono largamente tutta la musica prodotta dopo il 1970 fino ad oggi. Il primo tipo fu il Moog Modular del 1964, e il secondo il Minimoog nel 1970, ancora oggi presente in molti generi musicali. I principi di funzionamento elettrico si basavano sulla modifica delle forme d’onda e sul poter agire in tempo reale su altri parametri del suono attraverso manopole e rotelle. Il suono che ne deriva è per certi versi simile a quello dell’organo ma differisce per la possibilità di essere stonato e calibrato di continuo mentre si suona. La disposizione e il criterio dei tasti bianchi e neri rimane identico al pianoforte, mentre il numero è inferiore: nei primi modelli di Moog Modular era di 61, mentre per il Minimoog di 44 (oggi se ne trovano anche con meno o più tasti), cioè la metà esatta dei tasti del pianoforte; la pesatura risulta morbida, la larghezza dei tasti e la corsa dell’affondo leggermente minori a quelli del piano. Grazie alle ridotte dimensioni è uno strumento facilmente trasportabile e la sua estetica sonora si è sempre integrata perfettamente con i generi più disparati sia in piccole che in grandi formazioni musicali. Nonostante le attuali applicazioni tecnologiche e i materiali innovativi che ne hanno migliorato le prestazioni, il moog di oggi mantiene il suono e le sue impressionanti caratteristiche di modulazione che l’hanno portato ben presto a calcare i palcoscenici e gli studi migliori al mondo. Anche le case Korg e Alesis producono oggi modelli di sintetizzatori con lo stesso principio. La compositrice Wendy Carlos nel 1968 diede il suono del Moog a delle opere di Bach, riscuotendo molto successo e un prestigioso riconoscimento: il Grammy Award. SwitchedOn Bach è il titolo di questo suo album, la cui grande innovazione fu l’eseguire alcune delle arie più famose e tutto il Concerto brandeburghese n. 3 di Bach esclusivamente con sintetizzatori e sistemi modulari Moog. Questa operazione musicale permise da una parte l’aumento della popolarità dei sintetizzatori e della musica suonata con essi, dall’altra di riscoprire il genio di Bach anche su una direzione elettronica, che probabilmente aumentò la diffusione in molti più ambienti. Alcune tracce di questo disco, inoltre, costituiscono buona parte della colonna sonora del film Arancia meccanica (Stanley Kubrick, 1971). Di quelli che seguirono ricordiamo i principali musicisti che lo utilizzarono in concerti e in studio: David Borden, Dick Hyman, Gershon Kingsley, Jean Michel Jarre, Stevie Wonder, George Duke (collaboratore di Frank Zappa), Giorgio Moroder, Sun Ra, Keith Emerson, la band dei Kraftwerk, Joe Zawinul, Chick Corea, Rick Wakeman degli Yes, Vangelis, Lucio 5 Battisti, Claudio Simonetti, i Beach Boys. Come si può notare, il Moog è riuscito a far parte col suo suono sinuoso, praticamente in ogni genere e stile musicale. 6