DAL CONGRESSO DI VIENNA ALL`ETÀ DELL`IMPERIALISMO

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DAL CONGRESSO DI VIENNA ALL'ETÀ DELL'IMPERIALISMO
indice
1. Dalla restaurazione
alle rivoluzioni del 1848
2. L’affermazione della
società borghese
3. L’Italia dopo
l’unità
1815 - 1848
1850 - 1870
1860 - 1870
1.1 Gli stati europei durante
la restaurazione
2.1 Il boom economico 185070
3.1 La nascita del
nuovo stato
1.2 Il dibattito politico
durante la restaurazione
2.2 La nascita del movimento
operaio
3.2 I problemi della
società italiana
1.3 I primi moti rivoluzionari
2.3 L’Inghilterra vittoriana
3.3 I problemi
dell’economia italiana
1.4 La rivoluzione del 183031
2.4 Francia e Germania dal
1850 al 1870
3.4 Verso un modello
di paese industriale
1.5 I liberali italiani dopo la
rivoluzione del 1831
2.5 Gli imperi dell’Europa
orientale
.
1.6 Lo sviluppo industriale e
il movimento operaio
2.6 Gli Stati Uniti verso
l’industrializzazione
.
1.7 Le rivoluzioni del 1848
2.7 L’Italia dopo la crisi del
1848
.
1.8 Il 1848 in Italia
2.8 L’unificazione nazionale
italiana
.
1.9 La crisi della rivoluzione
in Europa
.
.
DAL CONGRESSO DI VIENNA ALL'ETÀ DELL'IMPERIALISMO
1.1 Gli stati europei durante la restaurazione
Una restaurazione impossibile.
In seguito al congresso di Vienna l’Europa sembrava avere riacquistato l’assetto politico precedente
al periodo napoleonico: i vecchi sovrani erano ritornati sui loro legittimi troni e le libertà
conquistate dai popoli sull’onda della rivoluzione francese del 1789 erano state totalmente
cancellate. Un rigido sistema di polizia e ferree alleanze internazionali furono istituiti dalle
monarchie vittoriose perché gli equilibri della Restaurazione fossero garantiti.
Ma non pochi problemi rimasero senza soluzione; soprattutto le aspirazioni nazionalistiche
dell’Italia, della Polonia e della Germania, a cui si aggiungevano i fermenti autonomistici delle
popolazioni balcaniche, minacciavano questo rigido ritorno al passato.
D’altro canto, nei singoli stati europei, con l’unica eccezione dell’impero austriaco, il ritorno al
passato fu meno drastico di quanto apparisse. In Inghilterra e in Francia, infatti, rimasero forme di
controllo costituzionale che comunque limitavano l’assolutismo monarchico. Tutte queste
contraddizioni mostravano quindi con chiarezza che una pura e semplice restaurazione era
impossibile.
1.2 Il dibattito politico durante la restaurazione
Comincia a formarsi un vasto movimento di opposizione alla Restaurazione.
Il congresso di Vienna non aveva tenuto in alcuna considerazione le aspirazioni all’indipendenza
nazionale che molti popoli europei avevano manifestato. Italiani, tedeschi, polacchi e slavi non
potevano certo dirsi soddisfatti delle decisioni prese a Vienna: Queste decisioni li condannavano ad
essere divisi e talvolta soggetti a governi stranieri.
Il congresso di Vienna aveva deluso anche quei ceti borghesi, formati da imprenditori,
commercianti e intellettuali, che si erano formati ed erano cresciuti durante il periodo napoleonico.
Questi ceti avevano fatto proprie alcune idee della rivoluzione francese e avevano aderito al
liberalismo. I liberali si opponevano alle monarchie assolute restaurate dal congresso di Vienna e
lottavano per ottenere la partecipazione della borghesia al governo.
I movimenti nazionalistici e liberali vennero duramente repressi dai governi autoritari della
Restaurazione e furono costretti a organizzarsi in società segrete. La loro presenza politica era
ancora debole, ma era il segno che un vasto movimento di opposizione alla Restaurazione aveva
incominciato a formarsi.
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1.3 I primi moti rivoluzionari
Nella periferia del sistema scoppiano le prime rivoluzioni.
Negli anni venti del XIX secolo scoppiarono in numerosi stati dell’Europa diversi moti
rivoluzionari. In Spagna, nel napoletano e in Piemonte queste insurrezioni avevano l’obiettivo di
introdurre delle costituzioni liberali. Dopo una prima fase vittoriosa, tutte queste insurrezioni
vennero duramente represse.
Più o meno negli stessi anni altri moti scoppiarono in Grecia e nell’America del Sud. L’obiettivo
stavolta era l’indipendenza nazionale. In entrambi i casi la lotta fu coronata da successo.
Al di là della loro riuscita, i moti scoppiati per ottenere la costituzione o l’indipendenza nazionale
avevano un punto in comune: erano avvenuti alla periferia del sistema delle grandi potenze. In altre
parole, i grandi stati europei non erano stati toccati dalle rivoluzioni. L’Austria si era presa il
compito di reprimere molti di questi moti, ma non ne era stata coinvolta. La Francia e l’Inghilterra
avevano sostenuto la lotta degli indipendentisti greci, ma questa guerra non le riguardava
direttamente. Cosa avrebbe potuto accadere nel momento in cui le rivoluzioni fossero scoppiate in
Francia e in Austria?
1.4 La rivoluzione del 1830-31
Si forma un blocco di potenze liberali.
Nel 1820-21 le rivoluzioni erano scoppiate in aree abbastanza periferiche del sistema internazionale:
la Spagna, l’Italia meridionale, la Grecia.
Nel 1830-31, invece, le rivoluzioni scoppiarono nel cuore del sistema internazionale, in Francia, o
in punti nevralgici come il Belgio, la Polonia, l’Italia del Nord. In Polonia e in Italia l’esito dei moti
fu totalmente negativo; ma in Belgio e soprattutto in Francia le forze liberali e nazionali
conseguirono la vittoria. Nel 1830-31, a differenza di dieci anni prima, non fu possibile un puro e
semplice ritorno al passato. In Francia, Belgio Grecia, l’assetto europeo stabilito a Vienna era stato
superato e governi costituzionali avevano sostituito le vecchie monarchie.
L’unità d’intenti tra le grandi potenze venne meno. Si delinearono così due blocchi: da un lato le
potenze liberali, Francia e Inghilterra, dall’altro gli stati assolutistici, Austria, Prussia e Russia.
Questa frattura internazionale favorì notevolmente l’azione delle forze d’opposizione liberale che
ora potevano sperare nell’appoggio o nella benevola neutralità di due potenti stati.
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1.5 I liberali italiani dopo la rivoluzione del 1831
Quindici anni di tentativi falliti.
In Italia la rivoluzione del 1831 era miseramente fallita. Dopo questa sconfitta il movimento liberale
italiano si era dato un nuovo obiettivo politico: l’unità nazionale.
Intorno a questo obiettivo si erano formate due correnti politiche. La prima era quella dei moderati,
che pensavano che l’unità d’Italia dovesse essere realizzata dai sovrani e dai ministri. La seconda
era quella dei radicali e dei democratici, che sostenevano che l’unità si potesse conseguire solo con
la partecipazione e la lotta del popolo. Per circa quindici anni, dal 1830 al 1845, il movimento
democratico italiano avviò continui tentativi per far scoppiare una rivoluzione popolare, prima nelle
città del Nord, poi nelle campagne del Sud. Uno dopo l’altro tutti questi tentativi terminarono con
dei fallimenti.
Ma se i democratici avevano fallito, i moderati non si erano neppure mossi. I loro progetti di unità
guidata dal papa o dai Savoia apparivano lontani e confusi.
Il tema dell’unità nazionale si era diffuso nella coscienza di molti italiani, ma la sua realizzazione
appariva estremamente difficile.
1.6 Lo sviluppo dell’industria e del movimento operaio
Uno sviluppo economico con una contraddizione di fondo.
Gli anni precedenti il 1848 videro uno eccezionale sviluppo economico in Europa. L’Inghilterra era
il paese di gran lunga più industrializzato, ma anche in Germania, Austria, Francia e Belgio il
processo d’industrializzazione compì notevoli passi avanti, allargandosi poi gradualmente al resto
d’Europa. Questa fase di grande espansione era però percorsa da notevoli contraddizioni
economiche e sociali.
La maggior contraddizione era interna al sistema stesso: la capacità di sviluppo
dell’industrializzazione europea si basava infatti sulla possibilità di pagare poco la forza lavoro;
solo in questa maniera gli industriali europei potevano mettersi in concorrenza con la già affermata
industria inglese. Ma, conseguentemente, le basse paghe dei lavoratori riducevano le possibilità di
consumo.
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La situazione arrivò ad un punto critico nel 1846-47, in concomitanza con una crisi agraria. I
lavoratori dovevano impiegare tutto il loro reddito per comperare gli alimenti e non potevano più
acquistare prodotti industriali. Non riuscendo a vendere i loro prodotti, molte industrie fallirono e
aumentò la disoccupazione.
1.7 Le rivoluzioni del 1848
Negli stessi giorni scoppiarono tre rivoluzioni diverse.
Tra il febbraio e l’aprile del 1848 mezza Europa fu sconvolta da rivoluzioni. In Francia, nell’impero
austriaco e in Germania i governi furono rovesciati. Queste tre rivoluzioni però avevano delle
caratteristiche e delle motivazioni molto diverse.
In Francia la rivoluzione scoppiò soprattutto per cause sociali ed economiche. Una crisi economica
nel 1846-47 creò molto malcontento. La borghesia tolse il suo sostegno alla monarchia e si formò
una nuova alleanza tra borghesia e classi lavoratrici. Questa alleanza era abbastanza instabile, ma fu
in grado di sostenere per qualche mese un governo repubblicano.
In Austria la rivoluzione scoppiò per rivendicare l’autonomia delle varie nazionalità: ceche,
ungheresi e italiane.
In Germania la rivoluzione mirava soprattutto a raggiungere l’unità nazionale, a unificare cioè i
molti staterelli in cui era diviso il territorio tedesco.
1.8 Il 1848 in Italia
La prima guerra per l’indipendenza.
Dalla Francia, la rivoluzione si estese rapidamente a tutta l’Europa, sostenuta dalle spinte
indipendentiste e nazionaliste dei diversi stati.
In Italia, mentre il movimento liberale si espandeva ovunque riuscendo a ottenere le prime riforme
istituzionali, insorsero vittoriosamente contro gli austriaci le città di Venezia e Milano, sostenute da
un vasto movimento patriottico e nazionale. L’aristocrazia e la borghesia liberale incominciavano a
preoccuparsi per la piega radicale che il movimento patriottico stava assumendo; perciò spinsero
Carlo Alberto di Savoia a mettersi a capo della rivolta, dichiarando guerra agli austriaci. Era la
prima guerra che veniva combattuta per l’indipendenza nazionale. Il suo esito fu completamente
negativo: Carlo Alberto fu sconfitto militarmente e i moderati che lo avevano sostenuto vennero
letteralmente spazzati via dagli austriaci.
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Però era una nuova via che si stava aprendo, diversa da quella delle società segrete o della Giovane
Italia. Il 1848 in Italia, come nel resto d’Europa, stava aprendo nuove speranze e nuove prospettive.
1.9 La crisi della rivoluzione in Europa
La borghesia ha vinto la sua rivoluzione.
Con la caduta della Repubblica Veneta si chiuse un biennio rivoluzionario senza precedenti nella
storia dell’Europa postnapoleonica.
In tutta Europa i governi rivoluzionari erano stati abbattuti. Possiamo allora dire che tutte le forze
rivoluzionarie erano state sconfitte? Nient’affatto. Erano stati sconfitti i democratici e i radicali,
erano stati sconfitti quei ceti popolari che avevano partecipato alla rivoluzione. Ma la borghesia, che
aveva guidato la rivoluzione, non era stata veramente sconfitta.
A un’Europa aristocratica, basata sul potere della grande proprietà terriera e dell’alta finanza, se ne
era sostituita un’altra, il cui potere era nelle mani della nuova classe borghese.
Questa aveva compiuto la sua rivoluzione: era diventata in quasi tutta Europa la classe dirigente.
.
2.1 Il boom economico 1850-70
Il trionfo del liberalismo e della borghesia.
Si era dunque di fronte ad un mondo libero? Da un punto di vista economico certamente sì. Libertà
in tutto: di comprare, di vendere, di costruire società e banche, di conquistare nuovi mercati. Si era
finalmente realizzata l’aspirazione alla libertà che aveva animato la lunga lotta dei ceti borghesi
contro l’immobilismo dei gruppi aristocratici terrieri. Negli stati dove erano ancora presenti,
vennero aboliti gli ultimi segni dell’oppressione feudale. In Austria come in Russia venne abolita
formalmente la servitù della gleba e lo schiavismo scomparve dalla legislazione di tutti gli stati
europei.
Il "mondo nuovo" sognato dai liberali era sotto gli occhi di tutti. Un mondo più ricco, nel quale al
dominio dei proprietari di terre, tipico della società preindustriale, si era sostituito quello dei
proprietari delle industrie e delle banche. Alle grandi famiglie feudali si erano sostituite le nuove
dinastie industriali come quella dei Rothschild dapprima in Germania e, in seguito, in Inghilterra;
dei fratelli Mallet e Pereire in Francia; dei Krupp, degli Oppenheimer, degli Ottinger in Germania;
dei Carnagie e dei Morgan in America.
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La borghesia era diventata ormai a tutti gli effetti la classe dirigente.
2.2 La nascita del movimento operaio
La classe operaia si organizza in movimento politico.
La classe operaia si era venuta formando in Inghilterra durante la prima rivoluzione industriale.
Dopo il 1850 la classe operaia cominciò a diffondersi anche negli altri paesi europei, assieme e
contemporaneamente allo sviluppo delle industrie.
Non si trattava però solo dell’incremento del numero dei lavoratori che ne facevano parte. Allo
stesso tempo cresceva anche la consapevolezza e la capacità politica dei lavoratori. Dopo il 1850
vari gruppi di operai cominciarono ad organizzarsi politicamente, a formare società di mutuo
soccorso e di assistenza: la classe operaia diventava così, da un punto di vista politico, un
movimento organizzato.
Il movimento operaio inizialmente non si identificava col movimento socialista. Progressivamente
tuttavia molte organizzazioni operaie aderirono alle teorie ed ai progetti politici del partito
socialista. Il socialismo d’altra parte non era un movimento politico unito e compatto. Tra i
socialisti alcuni gruppi erano favorevoli a riforme graduali fatte dallo stato, altri ad un superamento
del capitalismo, altri addirittura all’abolizione dello stato.
2.3 L'Inghilterra vittoriana
Il vantaggio di essere arrivati primi all'industrializzazione.
Nella seconda metà dell’Ottocento l’Inghilterra era stata definita la "padrona del mondo". Anche se
il suo sistema industriale non era più l’unico esistente, l’Inghilterra continuava ad essere la
maggiore potenza economica mondiale. Il primato dell’Inghilterra non si basava più solo sulla
produzione industriale, ma anche sugli scambi economici e finanziari.
Le ingenti ricchezze, ricavate durante il periodo della rivoluzione industriale, erano state investite
nella formazione del suo immenso impero coloniale, un impero su cui si fondava la prosperità
economica dell’intera Inghilterra.
Anche dal un punto di vista politico l’Inghilterra poteva godere del vantaggio di essere la nazione
più ricca del mondo. Lo stato, infatti, era in grado di realizzare riforme sociali; le lotte fra capitalisti
e salariati erano meno accese rispetto agli altri paesi europei.
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Il vantaggio dell’Inghilterra consisteva, insomma, nell’essere arrivata per prima
all’industrializzazione.
2.4 Francia e Germania dal 1850 al 1870
Francia e Germania sono le due maggiori potenze europee.
Il congresso di Vienna, nel 1814, era stato un trionfo per l’Austria e la Russia; la Germania non era
riuscita a realizzare le sue speranze di unificazione nazionale; al contrario la Francia era riuscita a
ridurre al minimo i danni derivanti dalla sconfitta subita da Napoleone I.
All’indomani della conclusione del congresso di Vienna dunque la Germania e la Francia avevano
un ruolo di secondo piano rispetto a quello di Austria e Russia.
Nel giro di mezzo secolo la situazione si rovesciò completamente. La Germania riuscì a realizzare
l’unificazione nazionale e dimostrò di avere l’esercito più potente di tutto il continente europeo. La
Francia sotto il regno di Napoleone III, raggiunse una notevole prosperità e un ruolo prioritario
come potenza economica. E’ vero che, nello scontro diretto con la Germania, Napoleone III subì
una durissima sconfitta, ma fu un unico episodio isolato.
A questo punto Francia e Germania erano le due maggiori potenze del continente ed erano divise da
una profonda rivalità.
2.5 Gli imperi dell'Europa orientale
Il peso dell'arretratezza economica.
Nel 1814 Russia e Austria erano uscite da dominatrici dal congresso di Vienna. Dopo mezzo secolo
esse subirono delle dure sconfitte: l’Austria perse i domini italiani e il predominio sulla Germania;
la Russia cercò di espandersi nei Balcani, ma dovette subire il veto di Francia e Inghilterra.
A cosa era dovuto il declino dell’Austria e della Russia? Principalmente a un fatto: a differenza dei
paesi dell’Europa occidentale, l’Austria e la Russia non avevano avviato grandi processi di
industrializzazione e la loro economia era rimasta molto arretrata.
L’arretratezza economica si collegava alla debolezza della borghesia, una borghesia debole non era
in grado di imporre il cambiamento dello stato.
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Russia e Austria avevano così uno stato assolutista, una società arretrata, un’economia debole. Tutto
questo spiega il loro declino anche politico fra le grandi potenze.
2.6 Gli Stati Uniti verso l'industrializzazione
Una strada più facile verso l'industrializzazione.
Verso la metà dell’Ottocento gli Stati Uniti cominciarono a diventare una potenza industriale. Era
un fenomeno che negli stessi anni avveniva anche in alcuni stati europei, come la Francia e la
Germania.
Negli Stati Uniti però solo la via dell’industrializzazione fu più agevole che in Europa, perché era
facilitata da alcune condizioni naturali e da alcune vicende storiche. Gli Stati Uniti erano un paese
molto ricco di risorse naturali, come minerali e fonti energetiche. La terra era inoltre
abbondantissima e forniva una produzione agricola superiore ai bisogni del paese. Anche la
manodopera era piuttosto abbondante: negli Stati Uniti approdava infatti un’emigrazione composta
in prevalenza da persone in età lavorativa.
La guerra di secessione fu lo scontro militare fra la parte industriale e la parte agricola del paese. La
vittoria del Nord portò alla liberazione degli schiavi e quindi a una radicale trasformazione
dell’economia statunitense. Gli ex schiavi costituivano infatti un’enorme massa di manodopera che
si staccò dal mondo agricolo e si rese disponibile a lavorare nell’industria. La lunga conservazione
dello schiavismo e la sua improvvisa abolizione favorirono così lo sviluppo delle industrie negli
Stati Uniti.
2.7 L'Italia dopo la crisi del 1848
Moderati e democratici: due ipotesi a confronto.
In Italia i sostenitori dell’unificazione nazionale nel 1848-49 avevano subito una durissima
sconfitta. Era fallito il tentativo dei moderati, che avevano sostenuto Carlo Alberto; ed erano caduti
anche i governi rivoluzionari di Roma, Firenze e Venezia.
Occorse quasi un decennio perché il movimento nazionale riprendesse nuova vitalità. I moderati
trovarono un leader, Cavour. Egli seppe vedere la complessità della situazione italiana e quindi la
necessità di sostenere l’economia, di favorire la borghesia, ma anche di conquistare l’appoggio delle
grandi potenze, creando una situazione internazionale favorevole all’unificazione italiana.
Intanto avvennero nuovi tentativi insurrezionali che, però solo, fallirono tutti.
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I democratici e i rivoluzionari allora capirono che un’insurrezione non poteva scoppiare solo sul
tema dell’unità nazionale: il popolo dei contadini e dei lavoratori si sarebbe mosso solo con la
prospettiva di cambiare le proprie condizioni di vita.
2.8 L'unificazione italiana
Chi ha voluto l'unità d'Italia.
Il problema dell’unificazione nazionale italiana si era posto già all’indomani del congresso di
Vienna. Per quasi quarant’anni si erano susseguiti i tentativi di espellere gli austriaci dalla penisola
e di unificare i sette stati italiani.
Si era pensato ad una confederazione guidata dal papa, a una confederazione con a capo i Savoia, a
un regno unitario dei Savoia, a una repubblica unitaria, a una federazione di repubbliche. Alla fine,
in poco più di un anno, tra il 1859 e il 1860, l’unità d’Italia si era realizzata.
All’unificazione avevano contribuito in molti, dentro e fuori Italia. Avevano contribuito Napoleone
III portando l’esercito francese in Lombardia, gli inglesi dando il loro assenso, i Savoia e l’esercito
piemontese combattendo per espandere il regno di Sardegna, Cavour con il suo lavoro diplomatico e
politico, i liberali piemontesi e lombardi sostenendo il difficile progetto di Cavour, le popolazioni
dell’Italia centrale chiedendo l’annessione al Piemonte, i democratici e Garibaldi organizzando la
spedizione dei Mille, i contadini del meridione combattendo a fianco di Garibaldi per abbattere lo
stato borbonico. Ciascuno di loro aveva combattuto avendo in mente un progetto particolare,
ciascuno pensava a un’Italia diversa.
3.1 La nascita del nuovo stato
Uno stato nuovo fondato su basi vecchie.
Ai plebisciti che dovevano sancire l’annessione dei vecchi stati al nuovo regno unitario avevano
partecipato quasi tre milioni e mezzo di elettori. Questo dato indicava come fosse diffusa
l’aspirazione ad una più vasta partecipazione politica e come fosse sentita l’esigenza di un profondo
rinnovamento, soprattutto sociale. Ma allargare il suffragio e consentire anche ai ceti popolari di
esprimere la propria volontà politica era un rischio troppo grosso per quella ristretta oligarchia che
aveva saldamente governato il processo di unificazione nazionale e che temeva i cambiamenti
sociali e politici.
Il nuovo stato nacque quindi facendo leva su una limitatissima base sociale, che escludeva dai diritti
politici la stragrande maggioranza della popolazione italiana e si serviva di uomini politici
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prevalentemente di origine piemontese. Si affermò così quella continuità istituzionale, e potremmo
dire fisica, tra il vecchio regno sabaudo e il nuovo stato, che tanto stava a cuore al re e ai moderati.
Ma, come aveva scritto Carlo Cattaneo, uno dei capi del movimento democratico lombardo, quando
il potere è accentrato "la libertà non può nascere o non può vivere" e "la libertà non è più che un
nome: tutto si fa come tra padroni e servi".
3.2 I problemi della società italiana
Due Italie che faticano a fondersi.
"Costituire l’Italia, fondere insieme gli elementi diversi di cui si compone, armonizzare il Nord con
il Sud, offre tante difficoltà quante una guerra contro l’Austria e la lotta con Roma." Così scriveva
Camillo Benso conte di Cavour poco prima della sua morte.
In effetti unificare realmente il Sud al Nord costò di fatto una guerra. Non ci riferiamo all’impresa
dei Mille, ma al lungo conflitto (1861-64) che oppose l’esercito regolare italiano a bande di
contadini ribelli che erano presenti soprattutto nell’entroterra campano, lucano e pugliese. Questi
contadini ribelli si organizzarono in bande non certo per il desiderio di un ritorno al passato ma
spinti dall’insensibilità della nuova classe politica alla loro fame e miseria.
Il nuovo stato italiano, dopo gli entusiasmi collettivi della guerra garibaldina e dei plebisciti, era
apparso ai contadini poveri del Sud come un organismo estraneo.
3.3 I problemi dell'economia italiana
Chi paga il prezzo dell'unificazione.
L’unificazione politica ebbe un importante risvolto economico: essa fu determinante per la
formazione di un mercato nazionale.
Questo processo fu voluto dalla borghesia imprenditoriale del Nord e costituì un fattore di progresso
per l’economia italiana.
Esso tuttavia ebbe anche degli effetti molto negativi. L’industria italiana restò concentrata nel Nord,
mentre il Sud si sviluppava con molta lentezza. Veniva a formarsi così la questione meridionale,
cioè la frattura fra il Nord industrializzato e il Meridione economicamente arretrato.
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Per pagare i debiti dello stato, per costruire ferrovie, strade e ospedali vennero aumentate le imposte
sui consumi e quindi vennero danneggiati i ceti più poveri.
L’unificazione italiana ebbe i suoi costi e a pagarli furono il Meridione e i ceti popolari.
3.4 Verso un modello di paese industriale
Il Risorgimento è finito.
Negli anni settanta i grandi ideali del Risorgimento si allontanavano nel ricordo, mentre andavano
scomparendo i maggiori protagonisti dell’unità nazionale. Mazzini morì nel 1872, Vittorio
Emanuele II, a cui successe il figlio Umberto, morì nel 1878, Garibaldi morì a Caprera nel 1882.
A metà degli anni settanta il governo del regno d’Italia passò dalla Destra alla Sinistra. A questo
punto i problemi non erano più quelli dell’unità nazionale e della lotta all’Austria: anzi con
l’Austria si firmò un’alleanza. Il problema non era neppure quello di formare il mercato nazionale:
semmai il mercato nazionale andava aiutato a crescere e svilupparsi, favorendo i consumi dei ceti
popolari.
I problemi del Risorgimento erano finiti, cominciavano quelli di un moderno paese industriale.
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