Proposta di referto Epidemiologico presentata dall’ Osservatorio Ambientale Comunale di Tortona e‐mail: [email protected] Tortona, 29.01.2016 1 Cancerogenesi ambientale INTRODUZIONE le più recenti acquisizioni nel campo della cancerogenesi confermano che i fattori ambientali rappresentano un rischio oncogeno importante nella genesi dei tumori. Vi è una crescente evidenza che l’esposizione anche a dosi basse o bassissime di agenti esogeni, specie in fasi cruciali dello sviluppo, è in grado di modificare l’assetto genetico/epigenetico avviando il processo della cancerogenesi. Cancerogeni di varia natura, molecole tossiche e persistenti, sono sempre più presenti in aria, acqua, suolo, come conseguenza dell’antropizzazione, quindi nel nostro organismo e vengono trasmesse dalla madre al feto. Esistono fondati motivi per ritenere che tutto ciò contribuisca in modo determinante alla crescente incidenza delle patologie tumorali. Le attuali strategie per la lotta al cancro, finalizzate in modo prevalente alla scelte personali di vita o alla diagnosi precoce, non appaiono in grado di contrastare efficacemente la sua diffusione. EPIDEMIOLOGIA DEL CANCRO. A partire dalla seconda guerra mondiale, l’incidenza complessiva del cancro è cresciuta in tutto il mondo; si stima che dal 1990 al 2011 essa sia cresciuta del 19%, con un incremento che riguarda soprattutto i paesi in via di sviluppo. I tassi standardizzati negli ultimi venti anni sono complessivamente in crescita in tutta Europa, come riportato nella figura tratta da Belpomme (6). Per quanto riguarda l’Italia, l’incidenza dei tumori nel loro complesso, misurata con i tassi standardizzati (quindi depurata dal fattore invecchiamento) è in crescita sia fra gli uomini che fra le donne. La probabilità di ricevere una diagnosi di cancro nell’arco della vita (0‐84 anni) in Italia è oggi 1:2, sia per i maschi che per le femmine (10). Il dato che deve maggiormente riflettere è l’aumento del cancro anche fra adolescenti e bambini: fra 0 e 14 anni si è registrato nel nostro paese, nel periodo 1988 – 2002 un aumento medio percentuale annuo di incidenza per tutti i tumori del 2%, quasi doppio rispetto alla media europea che è dell’ 1,1%; nei primi 12 mesi di vita l’incremento annuo è addirittura del 3,2%. Fra le neoplasie ( 0 – 14 anni) in cui si registra il maggior incremento in Italia vs. Europa vi sono i linfomi ( + 4,6 % vs +0,6% ) e leucemie ( + 1,6% vs + 0,6% ). 2 (11) Questi andamenti, non spiegabili né con stili di vita né con miglioramenti diagnostici, devono indurci a riflettere sul rischio rappresentato dalla crescente esposizione dell’infanzia ad agenti tossici, mutageni e cancerogeni presenti nel nostro habitat. INQUINAMENTO AMBIENTALE. Gli agenti oncogeni presenti nell’ambiente possono essere suddivisi in biologici, fisici e chimici. Alcuni di essi sono presenti da sempre e costituiscono fattori di rischio “di fondo” a cui però se ne sono aggiunti numerosissimi altri in ogni settore dell’attività umana, specie negli ultimi 50 anni, che sono stati caratterizzati da una eccezionale espansione delle attività industriali e da una profonda trasformazione di quelle agricole, entrambe favorite dalla facile 3 accessibilità di fonti energetiche come petrolio e gas naturale. La progressiva globalizzazione ha poi favorito la diffusione di un modello di sviluppo basato su cicli di vita sempre più brevi dei manufatti, con conseguente crescita inesorabile, da una parte, del fabbisogno di energia e materie prime e, dall’altra, della produzione di scarti e rifiuti. In particolare tutto ciò ha comportato, anche a seguito del ruolo strategico che l’industria chimica ha assunto in questo scenario, una presenza sempre più massiccia di molecole estranee agli ecosistemi biologici (xenobiotici), spesso dotate di attività mutagena e/o cancerogena, che si sono quindi aggiunte agli agenti oncogeni già presenti nel nostro habitat. La straordinaria espansione delle telecomunicazioni e del trasporto a distanza dell’energia ha poi saturato l’etere di radiazioni elettromagnetiche, altra forma di inquinamento il cui rischio oncogeno suscita crescente preoccupazione. E’ innegabile pertanto che l’ambiente in cui viviamo ha subito e continua a subire profondi e progressivi mutamenti che si ripercuotono su tutte le forme di vita, uomo compreso. RELAZIONE TRA AMBIENTE INQUINATO E INSORGENZA DEL CANCRO. In uno studio del 1997(18) realizzato in Veneto si esprimeva in forma suggestiva la relazione fra degrado ambientale e cancro: era stato notato che le “ aree di deserto di licheni,” ossia i territori in cui queste forme di vita, estremamente sensibili all’inquinamento aereo, specie da metalli pesanti, scompaiono, coincidono di fatto con le aree di maggior mortalità per cancro al polmone. Oggi la correlazione fra inquinamento atmosferico e cancro si deve considerare acquisita, dato che ad ogni incremento di 10 microgrammi/m3 di PM 2.5 corrisponde un incremento di morte per cancro al polmone del 13%(19). Nuove conferme della relazione fra ambiente e cancro vengono da recenti discipline quali la epidemiologia molecolare e la tossico‐genomica, che offre la possibilità di studiare migliaia di geni in contemporanea e monitorare l’espressione in conseguenza di specifiche esposizioni. Una recente e ampia indagine è stata condotta in 398 individui residenti da almeno 5 anni in 8 distretti delle Fiandre caratterizzati da insediamenti industriali/produttivi di vario tipo (chimico, metallurgico, raffinerie di petrolio, inceneritori, agricoltura 4 intensiva). Lo studio ha dimostrato che esistono molteplici e significative correlazioni fra espressione genica e cancerogeni ambientali ritrovati in sangue od urine e rappresenta un innovativo ed interessante approccio per indagare la relazione fra ambiente e tumori (20). Numerosi studi epidemiologici confermano la relazione tra ambiente e cancro specie in presenza di particolari criticità del territorio: già in un’indagine del 2002 condotta su 15 aree del nostro Paese identificate ad alto rischio di crisi ambientale era stato evidenziato un incremento del 37% del rischio di morte per tutti i tumori e del 30% per cancro al polmone (21). Ancora, in 196 Comuni della Campania interessati da sversamento illegale di rifiuti tossici si è registrato una tendenza statisticamente significativa di aumento della mortalità sia generale che per tutti i tumori al crescere dell’indice di esposizione. Di recente la gravità del rischio ambientale è stata riconfermata in un territorio fortemente industrializzato quale Taranto (23) 5 6 ASSOCIAZIONE ITALIANA REGISTRO TUMORI (AIRTUM) I NUMERI DEL CANCRO IN ITALIA 2014 COS’E’ LA PREVALENZA? La prevalenza dei pazienti oncologici corrisponde al numero di persone che, nella popolazione generale, hanno precedentemente avuto una diagnosi di tumore 7 (per esempio il numero di persone viventi nel 2011 che hanno avuto una diagnosi di tumore nel 2010, nel 2009 o in precedenza). La prevalenza è condizionata sia dalla frequenza con cui ci si ammala (incidenza), che dalla durata della malattia (sopravvivenza). La prevalenza è un indicatore molto importante per la programmazione della sanità pubblica, perché permette di stimare la domanda complessiva rivolta al sistema sanitario da parte dei pazienti in fasi diverse della storia di malattia. QUANTI SONO GLI ITALIANI CHE CONVIVONO CON UNA DIAGNOSI DI TUMORE? In Italia, considerando i dati di prevalenza al 2010,vengono stimate circa 2.250.000 persone (che rappresentano oltre il 4% della popolazione residente), che vivono avendo avuto una precedente diagnosi di tumore. Di tali soggetti quasi 1.000.000 sono di sesso maschile (44%) e circa 1.250.000 sono di sesso femminile (56%). Il 9% degli italiani che convivono con la precedente diagnosi di tumore (quasi 200.000 soggetti) ha un’ età compresa tra 0 e 44 anni: il 19% (oltre 400.000) un’età compresa tra 45 e 59 anni; il 39% (quasi 900.000 soggetti) un’ età compresa tra 60 e 74; il 34% (oltre 750.000 soggetti) un’ età superiore a 75 anni. L’ANDAMENTO DELLA PREVALENZA NEL TEMPO: confronto 1992‐2006 I confronti indicano un notevole aumento del numero totale dei casi. In termini di composizione per sesso si mantiene la maggior frequenza dei casi prevalenti di tumore nelle donne ma la differenza fra i sessi si sta riducendo. L’incremento della proporzione tra gli uomini è in parte dovuto all’incremento dell’incidenza del tumore della prostata. Tra il 1992 e il 2006 non sono cambiate le tre sedi oncologiche in cui si registra il maggior numero di casi prevalenti: mammella, colon‐retto e vescica (tabella 15). E’ invece più che raddoppiata la proporzione dei pazienti con tumore della prostata (dal 4% negli anni novanta al 10% nelle stime più recenti) e della tiroide che è diventata la quarta malattia neoplastica più frequente tra i casi prevalenti nelle donne (5% di tutti i casi). 8 9 10 Referto epidemiologico. Il termine EPIDEMIOLOGIA fu introdotto nel secolo scorso per indicare le indagini relative alle malattie epidemiche, cioè alle malattie infettive intese come fenomeni riguardanti la comunità umana e non solo il singolo individuo. – L’epidemiologia non si limita alla semplice descrizione della distribuzione delle malattie nella popolazione, ma comprende anche lo studio delle cause delle malattie stesse. Con l’evoluzione delle ricerche in campo epidemiologico gli studi si sono estesi anche alle malattie non infettive e alla patologie croniche. Oggi l’interesse degli epidemiologi è orientato allo studio dello stato di salute della popolazione. – Conoscendo lo stato di salute di una popolazione si possono fornire alla medicina preventiva le informazioni necessarie per pianificare gli interventi e, più in generale, a tutti i responsabili della gestione dell’assistenza sanitaria, gli strumenti per l’analisi delle caratteristiche dei servizi forniti in termini economici, di distribuzione e di qualità. La disponibilità dei vaccini come mezzo di protezione individuale dalle malattie infettive, in aggiunta agli interventi diretti sulla comunità (controllo dell’acqua e degli alimenti, identificazione precoce dei casi e loro isolamento, bonifica dell’ambiente, ecc), ha reso necessaria la valutazione dell’efficacia della loro applicazione. Da qui l’allargamento del campo d’interesse dell’epidemiologia e, grazie alla disponibilità di metodi statistici potenti, alla conduzione con metodologie rigorose delle sperimentazioni cliniche controllate e allo sviluppo della cosiddetta epidemiologia clinica. Vengono riassunte le principali caratteristiche dei diversi tipi di studi epidemiologici: L’EPIDEMIOLOGIA OSSERVAZIONALE può essere suddivisa in A) Epidemiologia descrittiva,
B) Epidemiologia analitica 11 ‐
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A) EPIDEMIOLOGIA DESCRITTIVA:
Metodologia d’indagine: raccolta di dati su persona, tempo e luogo.
Obiettivi: conoscenza degli scenari.
Finalità: approntamento di studi di epidemiologia analitica.
B) EPIDEMIOLOGIA ANALITICA: Metodologia d’indagine: raccolta di correlazioni tra agente, ospite, ambiente. Obiettivi: chiarimento eziologico (ricerca delle cause). Finalità: approntamento di interventi preventivi. In questa fase del Progetto, l’Osservatorio Ambientale Comunale propone la realizzazione di UNO STUDIO EPIDEMIOLOGICO OSSERVAZIONALE TIPO DESCRITTIVO per preparare le basi a studi di epidemiologia analitica e programmare in un secondo tempo interventi preventivi. Per meglio rendersi conto delle ripercussioni che un certo problema d’inquinamento ambientale potrà avere sulla salute dei cittadini che abitano in quel determinato territorio, sono fondamentali tre misurazioni: 1) MORTALITA’ 2) INCIDENZA 3) PREVALENZA (vedi nota aggiuntiva per i tre concetti di mortalità, incidenza, prevalenza) 12 MORTALITA’. La mortalità per tumore è il numero di decessi di tumore che sopravvengono in una data popolazione in un dato periodo. La mortalità esprime il rischio di morte per tumore che è una stima della probabilità di morte per tumore in quella data popolazione. La mortalità fornisce informazioni sia sulla presenza dei fattori di rischio che sulla prognosi della malattia che ha portato alla morte. Se un certo fattore di rischio è più presente in una popolazione succederà, dopo un certo tempo, che la mortalità per la malattia legata a quel fattore tenderà ad aumentare; se un certo fattore è meno presente, la mortalità nel tempo tenderà a ridursi ma, sia l’aumento che la riduzione dei decessi sarà anche associata al tempo di sopravvivenza delle persone che si ammalano – ad esempio, se le persone riducono il consumo di sigarette, dopo alcuni anni tenderà a ridursi l’incidenza del tumore del polmone e successivamente tenderà a ridursi anche il numero di decessi. Per rapportare il numero di casi di decessi alla numerosità della popolazione studiata, la mortalità è espressa come tasso di mortalità. Dal momento che il rischio di morte aumenta con l’età, i confronti tra tassi di mortalità di popolazioni diverse devono essere fatti tra gruppi della medesima età. Confrontare infatti semplicemente tassi grezzi di mortalità provenienti da popolazioni diverse per sapere quale tra loro è a più alto rischio può portare a errori di valutazione: se una delle popolazioni è più vecchia delle altre, essa avrà tassi di mortalità specifica per causa più alti, non perché a maggior rischio di morte specifica ma perché appunto più vecchia. Per ovviare al problema si può confrontare i tassi di mortalità specifici per età, cioè i tassi di mortalità calcolati su singole fasce d’età. Ad esempio, si confrontano i tassi di mortalità sopravvenuti nelle persone con più di 65 anni, oppure si calcolano i cosiddetti tassi di mortalità standardizzati per età (normalmente detti con una certa imprecisione solo tassi di mortalità standardizzati). Il tasso di mortalità standardizzato è una misura artificiale che esprime il rischio di malattia che si sarebbe verificato in una popolazione di riferimento (la cosiddetta popolazione standard) se essa avesse sperimentato il rischio di morte specifica della popolazione in studio. 13 INCIDENZA. L’incidenza dei tumori e il numero di nuovi casi di tumore che si verificano in una data popolazione in un dato periodo; si parla più precisamente di incidenza di popolazione quando essa è calcolata per una popolazione amministrativamente definita, ad esempio un comune, una provincia, ecc.. L’incidenza esprime il rischio di ammalarsi – una stima della probabilità di ammalarsi – in quella data popolazione e fornisce informazioni sulla presenza dei fattori di rischio. Se un certo fattore di rischio è più presente in una popolazione, dopo un certo lasso di tempo l’incidenza della malattia legata a quel fattore aumenterà; se un certo fattore è meno presente, l’incidenza si ridurrà. Ad esempio, se in una popolazione le persone riducono il consumo di sigarette, dopo un certo numero di anni si ridurrà il numero di nuovi casi di tumore del polmone, una malattia molto legata all’esposizione a fumo di sigarette (fattore di rischio). L’incidenza stima la probabilità che un individuo possa sviluppare una determinata malattia. Per rapportare il numero di casi alla numerosità della popolazione studiata, l’incidenza è espressa come tasso d’incidenza. L’incidenza per la maggior parte dei tipi di tumore aumenta con l’età; cioè , in genere, di tumore ci si ammala di più in età matura che in età giovanile e ci si ammala di più in età avanzata che in età matura. Per questo motivo, i confronti tra tassi di incidenza di popolazioni diverse devono essere fatti tra gruppi della medesima età. Confrontare, infatti, semplicemente tassi grezzi di incidenza provenienti da popolazioni diverse per sapere qual è la popolazione a più alto rischio, può portare a errori di valutazione: se una delle popolazioni è più vecchia delle altre, essa avrà tassi di incidenza più alti, non perché a maggior rischio, ma perché appunto più vecchia. Per ovviare al problema, si può o confrontare i tassi specifici per età, cioè i tassi di incidenza calcolati su singole fasce d’età, ad esempio si confrontano i tassi di incidenza sopravvenuti nelle persone con più di 65 anni delle diverse popolazioni, oppure si calcolano i cosiddetti tassi di incidenza standardizzati per età (normalmente detti, con una certa imprecisione, solo tassi standardizzati). Il tasso d’incidenza standardizzato è una misura artificiale che esprime il rischio che si sarebbe verificato in una popolazione di riferimento (la cosiddetta popolazione standard) se essa avesse sperimentato lo stesso rischio di malattia della popolazione in studio. 14 PREVALENZA. La prevalenza per tumore indica il numero di persone che in un passato recente o lontano hanno ricevuto diagnosi di tumore e che risultano in vita in un dato momento (spesso, in un giorno specifico di un anno). Nella prevalenza vengono quindi considerati sia i soggetti che si sono ammalati di recente sia coloro che si sono ammalati molti anni prima, sia i guariti che coloro che sono in trattamento, sia coloro che sono in terapia per ricaduta che i malati terminali. Per eseguire confronti tra popolazioni diverse è opportuno anche rapportare la prevalenza alla numerosità della popolazione in studio. Se rapportata alla popolazione ‐ proporzioni di prevalenza – essa rappresenta la proporzione di quella popolazione che in un dato momento ha vissuto o sta vivendo l’esperienza della patologia oncologica. Questa misura, in ambito oncologico, solitamente è espressa per 100.000 abitanti. La prevalenza è una misura estremamente utile per la programmazione sanitaria. Conoscendo la quota di popolazione vivente che ha sperimentato, in un passato recente o meno recente la malattia tumorale, è possibile quantificare la domanda complessiva di assistenza sanitaria e sociale associata all’oncologia. Come si può intuire, tale domanda cambia sensibilmente non solo tra le varie ed eterogenee malattie neoplastiche, ma in modo importante al variare del tempo dalla diagnosi e al variare dell’esito della malattia. E’ utile, quindi, distinguere tra coloro che alla data di riferimento hanno ricevuto una diagnosi di tumore da meno di due anni oppure da più di cinque (lungosopravviventi), dieci, quindici o venti anni: all’insorgere della malattia prevarranno i bisogni medici e sanitari, poi nei primi anni successivi alla diagnosi, quelli curativi e di controllo, e successivamente e progressivamente si affiancheranno e diventeranno prevalenti i bisogni psicologici, sociali e riabilitativi. Durante tutto questo percorso, le scelte mediche si differenzieranno anche in ragione degli esiti e delle possibili sequele derivanti della malattia; ciò a partire dall’esordio, e per alcune patologie oncologiche anche dopo molti anni, qualora la malattia riprenda o si riproponga in modo aggressivo. La prevalenza, tanto più se disaggregata per anno dalla diagnosi e in funzione delle attese di vita, permette di pianificare in modo appropriato l’allocazione delle risorse per organizzare i servizi di trattamento, supporto e controllo e per rispondere ai bisogni di assistenza e riabilitazione di chi convive con un tumore. 15