José Manuel Sevilla 271 LA FILOSOFIA E LA GIOVANE

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José Manuel Sevilla
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LA FILOSOFIA E LA GIOVANE GENERAZIONE DEI FILOSOFI
SPAGNOLI
1
O
ggigiorno assistiamo in Spagna all'emergere di un gruppo di giovani
filosofi che hanno iniziato a conquistare, con saggi e discussioni, lo
spazio culturale del nostro paese. Potremmo parlare di una
generazione di liberi pensatori, sui quarant'anni, che rappresentano la
speranza di rinnovamento, per i prossimi decenni, della filosofia in Spagna.
Una generazione formatasi intellettualmente in un clima democratico e che
prevalentemente va svolgendo il proprio compito di ricerca nell'Università.
Si tratta di una generazione filosoficamente ben definita che da alcuni anni,
nonostante le particolari differenze individuali, cerca di aprirsi uno spazio
superando il dibattito su modernità e postmodernità, intraprendendo nuove
vie di pensiero e che ha assunto -in un modo ο nell'altro- come linea delle sue riflessioni e dei suoi tentativi, la crisi della ragione che costituisce il tema dell'epoca attuale. Il fatto di riconoscere questa "nascita" filosofica come qualcosa di tipicamente spagnolo potrebbe indurci a ridiscutere nuovamente, come sempre accade di fronte ad una nuova generazione, l'interessante e dibattuta questione circa l'esistenza di una specifica "filosofia spagnola". Ma ciò
risulterebbe oggigiorno una questione futile in un'Europa senza frontiere,
nemmeno intellettuali, e dove il problema stesso non riguarda la
"ispanicità", bensì la "filosofia". Certamente l'esercizio filosofico non è
avulso dal luogo in cui si produce, né è estraneo all'idiosincrasia di coloro
che compiono questo esercizio. Ma, più che il luogo in cui ci si occupa di
questa pratica di riflessione filosofica, interessa maggiormente evidenziare la
preoccupazione di tale impegno, che è quella d'individuare "il luogo" della
stessa filosofia. Ciò che c'interessa di più adesso è l'inquietudine che stimola
gli autori, l'esercizio rigoroso del metodo razionale, e il senso che la loro
opera cerca di offrire ossia una filosofia chiamata a recuperare lo spazio che
le è proprio nella trama del nostro tempo. E questo, a nostro giudizio, il
punto che orienta la bussola della nuova generazione di filosofi e del metodo
intellettuale che li integra, nonostante le loro differenze di stile.
Dato che il metodo intellettuale ο razionale è semplicemente, come fa
notare Ortega, un altro dei nomi della stessa filosofia, è proprio nella
filosofia, in crisi da alcuni decenni per il fallimento di un modello di ragione,
che occorre ancora cercare metodi nuovi, cercare di tentare (ossia provare),
o, che è lo stesso, arrischiarsi a fornire "luoghi" alla filosofia, ambiti in cui
nuovamente il pensare rigoroso si ricollochi, con pretese conformi al proprio
tempo. Siamo in molti che, più ο meno giovani, camminiamo sui sentieri del divenire di una ragione, già alleviata dalla pretesa di essere unicamente
ragione astratta e pura. Ma la nostra andatura è prudente, come quella di chi
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attraversa un campo minato, senza perdere di vista che quando si sono
superati i metodi usati in precedenza (quello razionale-cartesiano, quello
naturalista, quello idealista e soggettivista, quello empirista, ecc.), è
impossibile superare la ragione fallita o, per usare la metafora di Lessing,
liberare la ragione prigioniera, se non impiegando mezzi che la includano,
mezzi che, certamente, devono essere filosofici. Non distruggere la ragione,
né abbandonare il pensiero filosofico, devono essere i primi obiettivi del
nostro tempo.
Dicevamo che oggi emergono nel nostro paese non pochi giovani filosofi
che operano a favore della filosofia in modo autonomo, individuale, ma con
voci che, se fossero congiunte in un coro, esprimerebbero quasi all'unisono
lo stesso motivo, perché tutti si trovano -ci troviamo- in un atteggiamento
ambivalente: di fronte alla nostra ragione continuiamo a credere in essa, e
però siamo anche consapevoli dei suoi limiti. Cerchiamo una ragione che
non sia lontana dall'uomo; il disagio di fronte a questa necessità di ricerca
c'inquieta, e c'inquieta perché, dopo il vespertinismo della modernità e anche
oltre l'effimero sbadiglio postmoderno, la vita -la nostra- continua ad essere
ed a mostrarsi problematica e, quindi, bisognosa di una ragione concreta
nella quale collocarsi e a partire dalla quale poter affrontare con
consapevolezza -o con sagesse- una realtà a cui attenersi. Potremmo dire in
astratto che la filosofia sta cercando di nuovo di ricollocarsi, di trovare
nuovamente un luogo dopo tante disdette e proscrizioni. Ma sarebbe la stessa
cosa dire in concreto che vi sono pensatori ed autori, come quelli della
generazione degli anni '80, che cercano nella propria ragione la necessità di
collocarsi nella filosofia, di abitarla con decoro. Così, ciclicamente, anche la
filosofia trova di nuovo ospitalità in menti inquiete per il pensiero, in spiriti
giovanili capaci di provare a porsi dei problemi, invece di camuffarsi di
fronte ai problemi come Giove con il colore del tempo.
Ho la convinzione ontologica che la realtà sia sempre problematica, e che
per questa ragione la filosofia continui a vivere nei problemi; ciò spiega
perché essa sopravviva sempre ad ogni naufragio nelle diverse epoche.
Sopravvive nonostante le crisi, perché per essere se stessa non ha bisogno di
risolvere i suoi problemi! Ciò sarebbe impossibile, giacché -come avrebbe
detto Ortega- "i problemi della filosofia sono i problemi assoluti e sono
assolutamente problemi", quelli che senza alcun limite inquietano la nostra
esistenza di uomini in ogni tempo. Il luogo della filosofia non consiste,
dunque, nella pretesa di "soluzioni", ma nella "inevitabilità" dei problemi.
Fino al punto che ciò che in partenza differenzia un filosofo dall'altro è,
fondamentalmente, il grado di questa coscienza dell'abisso problematico:
l'inquietudine che attraversa le loro esistenze (inquietudine per l'anima come
Platone, per Dio come Sant'Agostino, per la sicurezza dell'io pensante come
Cartesio, per la storia come Vico, per l'ordine razionale come Kant, per
La filosofìa e la giovane generazione dei filosofi spagnoli
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l'infinito come Schleiermacher, per l'assoluto come Hegel, "e così via").
Non abbiamo il minimo dubbio: la filosofìa è sempre un tentativo che ha
inizialmente le sue radici nella nostra esperienza come uomini, che prende le
mosse da ciò che ci preoccupa ed agita, che ci eccita, facendoci uscire dalla
nostra intimità per affrontare i problemi assoluti (e così l'assolutezza dei
problemi). Ma quando ciò che c'inquieta è lo stato della filosofia stessa,
allora la problematicità riguarda proprio lo scopo centrale della riflessione.
Perché la filosofia è, prima di tutto, qualcosa di reale e di proprio, qualcosa
che succede in ognuno di noi, che agita la nostra mente inquietandola,
qualcosa che ci accade. Ci troviamo qui in un luogo, nonostante sia in
permanente transito. Esisto, dunque penso. La riflessione conduce al luogo
della filosofia nella nostra propria esistenza, come uomini e donne di un
tempo, di un'epoca, e, naturalmente, di una generazione. Un'esistenza
stimolata dalla concrezione assolutamente problematica degli astratti
"problemi assoluti".
In ogni epoca e, più ancora, in ogni crisi, sorgono sempre spiriti inquieti
che si decidono ad esplorare il pensiero a partire da "una coscienza
dell'abisso problematico". E da questa coscienza ha inizio un esercizio di
pensiero che incontrando tali questioni radicali -la maggior parte delle quali,
essendo le questioni proprie di un tempo storico concreto, non sono mai state
poste finora- non rinuncia ad essere filosofia, ma, anzi, cresce costituendosi
con vocazione rinnovatrice. Questo è il punto di partenza dal quale sta
sviluppandosi con forza e dinamismo nel nostro ambito culturale nazionale
quest'ultima generazione di filosofi, che, come abbiamo detto, potremmo
denominare filosofi della inquietudine. Sono filosofi che non hanno sofferto
la vergogna di un'epoca né si sono visti obbligati ad impegnare il loro
pensiero nella frivolezza dei razionalismi (di ogni tipo e condizione) che
abbandonano il pensatore a metà cammino. Sono menti inquiete che inoltre
non smettono di favorire il dinamismo dell'ambito culturale nazionale (basta
considerare la ricezione delle loro opere a livello di rassegna stampa, ο fare attenzione a come si muovono i posti del Who's who intellettuale spagnolo). Sturm und Drang!!!, proclamarono alcuni romantici tedeschi. Questa generazione è motivata dall'inquietudine che sorge di fronte al problema di
una filosofia che è uscita dalla sua orbita.
Nella mia definizione non si voglia scorgere nulla di negativo; tutto il
contrario. L'inquietudine è uno dei migliori sintomi diagnostici della vitalità
della filosofia, la modernità ne era consapevole quando si edificò sulla base
del "dubbio" (fosse questo metodico ο scettico); e anche noi ne siamo consapevoli vivendo nell'epoca del nichilismo. Ed è noto che esistono questi
veri filosofi giovani, per età, più pronti ad inquietarsi rispetto ad altri che un
tempo si erano autodenominati precisamente "filosofi giovani", già maturi,
senza dubbio più saggi, ma anche più conformisti, ora adagiati nella
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comodità dell'ormai conosciuto ο distratti in capricciose spensieratezze postmoderne. "Filosofi giovani" sarebbe il nome adeguato per definire questa nuova generazione di liberi pensatori, la quale assume il rischio contenuto in ogni tentativo e la novità dischiusa dai suoi discorsi filosofici.
Ma la dicitura ha un copyright epocale che costringe a cercare un altro nome.
In ogni caso che lo cerchino, ο il tempo ο le circostanze s'impegneranno ad assegnarglielo. L'essere stati figli diretti di una crisi della ragione non significa essere vaccinati contro le influenze negative di questa crisi, e neppure significa, essendo meno debitori di altri rispetto a sistemi caduchi e perituri, avere via libera per un pensiero " a d alta velocità"; infatti, il pensiero filosofico è
sempre lento, ricorsivo ed iniziatico; torna indietro per saltare in avanti e,
come la ragione stessa, "non è un treno che parte ad orario fisso" (Ortega).
Come altre volte, queste filosofie del tentativo devono guardare il risvolto di
quelle precedenti, girare al rovescio verità accettate; i suoi sperimentatori
devono addentrarsi come osservatori tra le rovine dei fondamenti di una
ragione in disfacimento ed essere positivi (che non significa ottimisti) nei
suoi confronti. Curiosamente, come succedeva tra i libertini e gli illuministi
nel sec. XVIII, molti di questi giovani filosofi rivendicano di nuovo oggi lo
"scomodo diritto di pensare liberamente" e -non meno curiosamenterivendicano anche, a somiglianza dei grandi filosofi del passato secolo XX,
come Husserl ed Ortega, "il rigore intellettuale". E non è poco, per i tempi
che corrono. Ma, a mio avviso, ciò che qui si esige come un "diritto" a
pensare liberamente, è in realtà un "dovere" (il dovere di pensare
liberamente), perché è il "dovere" ciò che obbliga a quest'altra ricercata
rigorosità del pensare, cioè del pensiero filosofico - rigorosità dalla quale
prescindono tante situazioni nichilistiche del pensiero disposte a non pensare.
La filosofia deve essere rigorosa; ο al contrario, sarebbe un'altra cosa, ma non filosofia. S'intenda "rigorosità" nel senso di "positività". Perché, come
diceva Ortega, e non rinuncio a citarlo nuovamente né ad approfittare
dell'opportunità per rivendicare la sua lucida visione, la positività "è
caratteristica dell'autentica intelligenza, come la negatività lo è della
pseudointelligenza. Da qui il negativismo fatale degli pseudo-intellettuali di
provincia consistente nel fatto che, parlando ο scrivendo, esalano a boccate il nulla profondo che li costituisce" 2 . Per questi filosofi, caratterizzati da una dedizione personale, da un impeto dietro il quale si nasconde quest'ansia filosofica di fronte ai problemi del nostro tempo e dal quale richiamano la filosofia al suo consustanziale carattere di essere pensiero genuino, "il luogo della filosofia" non è un
utopico luogo immaginario, come Shangri-la, il Tempio di Salomone, ο l'Eldorado. I giovani filosofi avvertono chiaramente di trovarsi collocati nelle "forme della ragione contemporanea" e perciò assumono, oltre alla sua
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aspirazione topologica, anche la configurazione di una morfologia della
ragione. La topologia è riferita non solo alla collocazione della filosofìa, ma
alla ricerca stessa di uno spazio filosofico da parte dei suoi sperimentatori. Il
posto della filosofia è uno ed illuminante la ragione. La morfologia della
ragione contemporanea corrisponde ai modi attuali in cui la suddetta ragione
obbliga alla tanto trascurata disposizione a filosofare.
Questi filosofi spagnoli scommettono apertamente che la filosofia ritornerà
nel luogo della ragione, e, di conseguenza, a mio parere, che la ragione nel
nostro tempo tornerà ad abitare consapevolmente ed in maniera creativa la
filosofia. L'impresa è degna e dignità è ciò che esige ai nostri giorni la
filosofia. Dignità che nella nostra lingua è sinonimo di formalità, serietà e
compostezza. Anche di decenza. Il tentativo serio e dignitoso è l'unico
cammino per ridestare il nervo anestetizzato del pensare filosofico (non solo
spagnolo, ma anche europeo).
JOSÉ MANUEL SEVILLA
Universidad de Sevilla
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Questo testo inedito ha come base la Presentazione del libro El lugar de la filosofìa
(J. A. Rodriguez Tous ed., Tusquets, Barcelona, 2001), realizzata ne La Casa del
Libro, in Sevilla, il 5 dicembre 2001. Ringrazio la Dott.ssa Roberta Fidanzia per la
sua traduzione italiana del testo, e ringrazio anche il Prof. Massimo Marassi per la
revisione e correzione.
J. Ortega Y Gasset, La ragione storica, in Obras Completas, Madrid: Alianza Ed. /
Revista de Occidente, 1983 ss., 12 vols., XII, pp. 313-14.
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