LA MOTIVAZIONE Il problema della motivazione, alla luce delle più diffuse teorie psicologiche: ruolo e funzione nei processi di apprendimento e modalità di stimolazione in contesti scolarizzati, in vista del successo formativo. La motivazione è alla base dell’apprendimento. Essa coincide con il bisogno di scoprire, di conoscere, con la curiosità, con il desiderio di apprendere, ma è anche condizionata da fattori quali autostima, percezione di autoefficacia, fiducia nelle proprie risorse. Data la centralità del tema rispetto all’efficacia dell’apprendimento, non stupisce che molti siano stati i contributi teorici finalizzati alla comprensione dei meccanismi e delle procedure volti a stimolare la motivazione negli studenti. La ricerca pedagogica si è mossa soprattutto nella direzione della collaborazione e del coinvolgimento degli studenti al processo di apprendimento, essendo ormai condivisa l’idea secondo cui nella partecipazione risiede la chiave dell’apprendimento significativo. Vediamo i principali contributi pedagogici sul tema della motivazione. Dewey e il learning by doing Nell’opera Democrazia ed educazione (1916), Dewey usa l’espressione learning by doing, ossia “imparare facendo”. L’espressione è stata riferita ad una modalità di apprendimento già sviluppata e presentata nel lavoro Schools of Tomorrow (1915), scritto con la figlia Evelyn. Partendo dal concetto di esperienza e di scuola attiva, Dewey sostiene che l’apprendimento attraverso il fare aiuta il fanciullo ad organizzare la sua conoscenza e non si può sostituire con lezioni frontali o con l’apprendimento da un testo. Ovviamente i libri sono uno strumento utile per apprendere, ma l’esperienza deve essere affiancata ai testi, in quanto favoriscono la vocazione attiva del bambino. In questo modo l’apprendimento non diventa un semplice strumento per superare un test, ma un bagaglio che risulta utile nella vita reale. Il learning by doing sviluppa anche la creatività e la motivazione degli alunni, che finiscono col proporre al maestro situazioni problematiche da loro inventate e codificate, al fine di poterle risolvere con un approccio pratico. Skinner e il rinforzo Nella sua opera The technology of teaching del 1968. Skinner traccia gli obiettivi di apprendimento nella scuola attuale. In una prima fase, l’apprendimento è rivolto a concetti semplici e basilari, che spesso sono appresi in modo meccanico. Prendendo spunto dalla matematica, egli si riferisce alle tabelline o allo svolgimento di una delle quattro operazioni fondamentali. In seguito, questi concetti basilari devono essere assemblati in procedure più complesse, che permettono di risolvere situazioni problematiche. Nelle dinamiche attuali della scuola, queste finalità si perseguono mediante una serie di strategie errate. Secondo Skinner, per ovviare a ciò, si possono applicare alcuni correttivi. In primo luogo, cruciale è il rinforzo. o Nella scuola attuale lo studente deve svolgere i suoi compiti (porre in atto comportamenti) per evitare stati di disagio o sanzioni che possono essere rappresentati dal disappunto del docente, da un brutto voto, da una nota in condotta, dalla derisione dei compagni. Tuttavia, la sanzione (o lo stato di disagio finale) è un metodo più appropriato per rimuovere comportamenti, piuttosto che per promuoverne. Per quest’ultimo scopo è invece più efficace il rinforzo. La situazione ottimale sarebbe quella di adottare rinforzi per promuovere atteggiamenti di motivazione allo studio. o Il secondo aspetto importante è la modalità con la quale il rinforzo viene fornito. È noto che esso perde la sua efficacia quando giunge molto dopo il comportamento desiderabile. Bastano anche pochi minuti perché perda di efficacia; pertanto, è importante definire quando l’alunno deve ricevere il rinforzo Bloom e il Mastery Learning L’espressione inglese Mastery Learning può essere tradotta come Apprendimento per padronanza. Si tratta di una procedura di apprendimento, inizialmente, proposta da John Carroll, nel 1963, e successivamente ripresa da Bloom. L’obiettivo del Mastery Learning è portare la maggioranza degli studenti (circa il 90%) alla padronanza della disciplina che viene loro insegnata. Una strategia diMastery Learning mira a: o Definire le metodologie e gli strumenti per ridurre il tempo che serve ad ogni alunno per apprendere: questo ambito attiene ai problemi relativi alla didattica (istruzione); o Definire le modalità per determinare il tempo necessario ad ogni alunno per apprendere: questo ambito è legato anche all’aspetto organizzativo dei curricoli. I tre punti essenziali della strategia di Mastery Learning sono: le precondizioni, le procedure operative e i risultati. La procedura del Mastery Learning prevede che un corso di studi di una disciplina sia frammentato in piccole unità di apprendimento. Ciascuna unità può prevedere il possesso della terminologia o di fatti specifici, la comprensione di idee complesse e astratte, la maturazione di concetti e principi e l’applicazione di questi ultimi. Al termine di ciascuna unità, vi deve essere un processo diagnostico che Bloom chiama valutazione formativa. Questo tipo di valutazione è parte integrante del processo di insegnamento-apprendimento, pertanto si distingue dalla valutazione sommativa. Mentre quest’ultima è una valutazione finale, la valutazione formativa viene attuata in itinere, durante lo svolgimento del corso di studio, tra un’unità e la successiva. Se le unità sono costruite in modo sintetico e le valutazioni formative sono frequenti, si hanno particolari vantaggi: o Lo studente ha un segnale del suo livello di apprendimento, pertanto è in grado di giudicare se la modalità di studio che adopera è produttiva; o Il docente ha un indizio sulla sua azione didattica, sulla sua pratica istruttiva, e può verificare se essa ha ricadute positive sugli studenti; o Lo studente ha un rinforzo costante che genera in lui motivazione per produrre lo sforzo necessario nei tempi opportuni. Il Mastery Learning è una procedura di apprendimento che può essere inquadrata nell’ambito delComportamentismo. Bruner e l’apprendimento per scoperta Bruner parte dall’idea che occorre apprendere ciò che può essere utile in futuro. Un apprendimento può rivelarsi utile in futuro in due modi: o Se si tratta di un’abilità specifica, esso diventa applicabile a compiti che sono molto simili a quelli per i quali si è acquisito l’apprendimento. In questo caso si parla di transfer specifico, ossia un apprendimento viene riutilizzato in un compito diverso, ma pur sempre riconducibile a quello affrontato in precedenza; o Se si tratta di un principio, di un’idea fondante, capace di far maturare un’attitudine generale, allora si parla di transfer non specifico. L’apprendimento in questione può essere considerato la base per riconoscere successivi problemi da affrontare come casi specifici di quell’apprendimento generale. Per individuare gli aspetti della vita scolastica che possono motivare gli studenti, Bruner segue varie strade. Innanzitutto, l’uso di nuove tecnologie, degli audiovisivi e di altri strumenti specifici dell’apprendimento può inizialmente enfatizzarne gli aspetti ludici e spettacolari, motivando lo studente. Tuttavia, questa motivazione declina rapidamente. Un modo classico di motivare lo studente è quello di creare un sistema di ricompense e punizioni, che tuttavia induce l’alunno ad essere passivo, ad agire secondo quanto vuole il docente, ad imparare solo ciò che è previsto per superare l’esame. L’apprendimento è eterodiretto e lo studente è uno spettatore: questo aspetto non è positivo, soprattutto per un’epoca nella quale i mass-media hanno già delineato un popolo di spettatori passivi. La scoperta delle idee fondanti, di come queste si possano collegare, è di per sé un fatto motivante. Lo studente riconosce l’utilità di quello che apprende perché lo riutilizza spesso in contesti differenti; in questo caso, il docente fa leva su una ricompensa intrinseca. Nell’articolo The act of discovery (1961) Bruner presenta il concetto di apprendimento per scoperta. Con il termine scoperta si intende qualsiasi modalità di ottenere conoscenza per se stessi, con l’uso della propria mente. L’idea di Bruner si fa spazio in un periodo nel quale, negli Stati Uniti, gli esperti di qualsiasi disciplina (matematica, fisica, storia) sono tutti concordi nell’affermare che un effetto potente sull’apprendimento si ottiene quando lo studente organizza la conoscenza di propria iniziativa. L’essenza vera della scoperta è la possibilità di riarrangiare o trasformare quanto risulta evidente dall’esperienza, in modo che si possa andare oltre l’esperienza visibile. In questo senso, la scoperta può essere una modalità adatta a favorire negli alunni un modo di pensare autonomo che potrà permettere loro di continuare ad apprendere nella vita, dopo la conclusione del periodo di apprendimento formale. Questo concetto, espresso da Bruner oltre cinquant’anni fa, è tuttora molto attuale. Come realizzare un apprendimento per scoperta? Bruner identifica due tipologie di approccio all’insegnamento: o L’insegnamento espositivo, nel quale l’insegnante espone dei concetti e ha una libertà decisionale maggiore rispetto allo studente, che si limita ad ascoltare. Il docente ha la libertà di organizzare i contenuti e i concetti che vuole presentare, usa i termini e le strutture linguistiche che ritiene opportune, manipola le informazioni secondo schemi personali. Non è detto che l’agire sui contenuti, secondo gli schemi che il docente adotta, sia il modo più efficace per permettere l’apprendimento; o L’insegnamento ipotetico, che prevede un ruolo diverso per gli studenti: questa volta docente e studente sono su un piano collaborativo. Lo studente prende parte alla formulazione dei contenuti e talvolta gioca il ruolo principale; nel ricevere informazioni, egli le valuta criticamente ed è portato a chiedersi “cosa succede se invece…”. Si tratta di un insegnamento che favorisce l’apprendimento per scoperta dello studente. L’apprendimento per scoperta promuove la ricompensa intrinseca rispetto a quella estrinseca: quest’ultima si identifica con l’elogio da parte del genitore o del docente, con un voto lusinghiero o un giudizio positivo sull’alunno. Lo studente dovrebbe essere liberato dal giogo della ricompensa estrinseca perché lo porta ad apprendere qualcosa nel modo che egli ritiene più conforme alle aspettative del docente, piuttosto che nel modo che gli è più congeniale. L’alunno impara per restituire la sua conoscenza al docente, non per valorizzarla nella propria vita; ilfocus, pertanto, deve essere spostato sulla ricompensa intrinseca. L’insegnamento ipotetico, nel quale l’alunno è coinvolto, sperimenta in prima persona, formula ipotesi e le verifica, favorisce un nuovo tipo di ricompensa. La nuova ricompensa intrinseca diventa l’informazione cui l’alunno ha avuto accesso mediante la sua scoperta, diventa l’acquisizione della padronanza della sua scoperta. In questo caso, la volontà, la motivazione e l’azione dell’alunno sono dirette dall’alunno stesso, dal suo interno, e non provengono dall’esterno, da altri soggetti (che possono essere il docente o il genitore). Il campo di ricerca dell’alunno e la prospettiva di scoperta vanno codificati dal docente con attenzione. Il percorso che porta alla scoperta deve essere di tipo euristico e non algoritmico. Un percorso algoritmico è di tipo definito, è una procedura codificata da applicare, che porta ad un prodotto, ma che non si può definire una vera e propria scoperta. Quest’ultima, infatti, non è costituita soltanto dal risultato raggiunto, ma anche dal percorso che porta al suo conseguimento. Questo percorso per scoperta è euristico, in quanto costituito da tentativi e ipotesi, che possono essere confutate o convalidate. Da questo punto di vista, assume un ruolo importante il problem solving, ossia la capacità di risolvere problemi nuovi, piuttosto che la capacità di applicare metodi conosciuti a situazioni problematiche già codificate. Motivazione e teoria del flusso Nell’ambito della ricerca in campo motivazionale, negli anni ’60 del secolo scorso, lo psicologo ungherese Mihály Csíkszentmihályi approfondisce e sviluppa i temi della motivazione intrinseca vs quella estrinseca giungendo a definire il concetto di attività autotelica e formalizzare la Teoria del Flusso. Il suo studio parte dall’osservazione dell’attività che viene svolta dagli artisti, in particolare, il modo con il quale i pittori svolgono il loro lavoro. Quando questi artisti avvertono che l’opera che stanno realizzando risponde all’idea che avevano inizialmente, essi iniziano a persistere su tale compito in modo quasi assillante; non si accorgono dello scorrere del tempo, dimenticano di avere fame e sete e si concentrano al massimo su ciò che stanno svolgendo. Non avvertono più alcun senso di affaticamento e sembrano trarre energie insperate e una forte motivazione dallo svolgimento dell’attività stessa. Quando l’opera è conclusa, questo stato scompare rapidamente ed essi perdono interesse per quello che stavano facendo, a riprova del fatto che non era l’obiettivo finale a motivarli e a sostenerli, bensì lo svolgimento dell’attività in quanto tale. Csíkszentmihályi perviene, quindi, a definire il concetto di attività autotelica, ossia di attività che è intrinsecamente motivante (dal greco autos che significa “se stesso” e telos significa “scopo”, fine) In altre parole, un’attività autotelica è capace di generare una motivazione intrinseca. Dalla metà degli anni ’70, gli studi di Csíkszentmihályi si estendono ad altri ambiti. Egli nota che lo stato di totale coinvolgimento che interessa gli artisti si può riscontrare anche: o In soggetti che svolgono attività intrinsecamente motivanti, poiché destinate al diletto e al piacere, come potrebbero essere gli hobby o i giochi; o In soggetti che svolgono attività che prevedono una ricompensa estrinseca, come dei lavori difficili, ma con un’alta remunerazione, o delle occupazioni che sono considerate prestigiose nella società attuale. In tutti i casi precedenti, si ravvisa questo stato particolare che Csíkszentmihályi definisce Stato di Flusso (in inglese Flow) o Esperienza di Flusso. Per lo studioso ungherese, le condizioni che determinano lo Stato di Flusso sono essenzialmente due: o Il soggetto deve percepire il compito o l’attività come una sfida; egli deve avvertire che la sfida è alla sua portata se impegna le proprie abilità al massimo livello. Si noti che tale aspetto è essenziale. In altre parole, il compito non deve essere molto al di sotto delle abilità maturate dal soggetto; in tal caso non sarebbe una sfida ma un compito ordinario. Inoltre, il compito non deve neanche eccedere le reali possibilità del soggetto di avere successo facendo uso delle proprie abilità; o Il compito deve essere caratterizzato da obiettivi tangibili, prossimi, a portata di mano, chiaramente avvertibili e concretamente raggiungibili. Gli obiettivi, strutturati secondo una sequenza logica, danno conto dei progressi che man mano compie il soggetto; inoltre, in coincidenza degli obiettivi deve essere offerto un apposito feedback al soggetto che mantenga alto il senso di sfida, che tenga desto il suo interesse e che lo aiuti a proseguire nel compito. Se queste due condizioni si verificano, allora la persona sta svolgendo quella attività autotelica che è intrinsecamente motivante. In un contesto scolastico sono favorevoli all’innesco di esperienze di flusso l’apprendimento cooperativo e il tutoraggio tra pari. Al contrario, risultano meno favorevoli all’innesco di esperienze di flusso le attività di studio passive, come l’ascolto della lezione, la visione di un filmato, il prendere appunti. Il flusso favorisce l’apprendimento: infatti, dopo che si è vissuta un’esperienza di flusso legata a un’attività con una certa complessità, l’individuo che vuole riprovare l’esperienza di flusso dovrà cimentarsi con un’attività più difficile della precedente. In altre parole, il flusso favorisce lo sviluppo. Pertanto, esiste un collegamento tra esperienza di flusso, apprendimento e sviluppo dell’individuo. Il Metodo induttivo favorisce la motivazione L’insegnamento delle discipline avviene tipicamente in modo deduttivo. Il docente espone principi e idee generali e successivamente presenta delle esercitazioni pratiche che vertono sui principi teorici appena introdotti. Infine, se resta tempo, l’attenzione si indirizza su alcune applicazioni dei principi introdotti, fatte in un contesto reale, di vita comune. Come si può notare, il percorso parte dall’universale (i principi teorici generali) per giungere al particolare (l’applicazione pratica nel contesto reale). Lungo questo percorso, fatto in prevalenza di teoria e formalismi, i docenti hanno solo due modi per alimentare la motivazione degli studenti: o Insistendo sul fatto che saranno valutati o Sottolineando l’importanza dei concetti astratti e formali studiati, che un domani saranno utili nella vita e nella loro carriera. Un percorso di tipo induttivo, invece, parte dall’applicazione pratica, dal problema reale, dall’analisi e dall’interpretazione di alcuni dati, dallo studio di un caso specifico per giungere a concetti astratti e generali. In questo modo gli studenti sono più motivati ad affrontare la necessaria formalizzazione di alcuni concetti e la comprensione di principi astratti di carattere generale, senza i quali non si potrebbe gestire il problema presentato.