Effetti degli agonisti del recettore del glucagon-like peptide

Effetti degli agonisti del recettore del
glucagon-like peptide-1 sui fattori di rischio
cardiovascolare e sul sistema cardiovascolare
Teresa Vanessa Fiorentino, Giorgio Sesti
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università degli Studi “Magna Graecia”, Catanzaro
The results of the cardiovascular outcome trials comparing the SGLT2 inhibitor empagliflozin and the
glucagon-like peptide-1 receptor agonist liraglutide to placebo have been recently published. Interestingly, empagliflozin and liraglutide treatments significantly reduce cardiovascular events in subjects with
type 2 diabetes. The mechanisms underlying the observed cardioprotective effects of empagliflozin and
liraglutide are speculative and future studies are needed to better understand these results. However,
since reduction in the primary outcome was evident 3 months after starting empagliflozin and 24 months
after starting liraglutide, it is tempting to hypothesize that the cardiovascular benefits observed in diabetic
patients treated with empagliflozin are due to its hemodynamic effects and to metabolic substrate shift
induced by the mild and persistent hyperketonemia, while the positive effects of liraglutide treatment may
be attributable to biologic changes of atherosclerotic lesions.
Key words. Cardiovascular risk; GLP-1 receptor agonists; SGLT2 inhibitors.
G Ital Cardiol 2016;17(12 Suppl 2):13S-19S
INTRODUZIONE
Il diabete di tipo 2 è la malattia metabolica più diffusa nel mondo, la cui prevalenza e incidenza sono in continua crescita in
particolare nei paesi in via di sviluppo e il cui trattamento costituisce un serio problema di salute pubblica. Il diabete di tipo 2 è
una malattia sistemica e progressiva caratterizzata da molteplici
alterazioni fisiopatologiche alla cui patogenesi concorrono sia
una diminuita sensibilità all’azione insulinica da parte dei tessuti bersaglio (fegato, muscolo scheletrico e tessuto adiposo) sia
difetti della secrezione insulinica da parte delle β-cellule pancreatiche1,2. Oltre a questi due difetti fisiopatologici, i soggetti
con diabete si tipo 2 presentano almeno altre cinque anomalie
fisiopatologiche: 1) insulino-resistenza del tessuto adiposo che
induce un incremento della lipolisi con conseguente aumento
dei livelli circolanti di acidi grassi liberi e di adipochine. L’incremento degli acidi grassi liberi, in concerto con un aumento
della deposizione di metaboliti lipidici nel fegato, nel muscolo
e nelle β-cellule pancreatiche (lipotossicità), aggrava lo stato di
insulino-resistenza epatica e muscolare e la capacità secretoria delle β-cellule; 2) compromissione dell’effetto incretinico,
© 2016 Il Pensiero Scientifico Editore
La dr.ssa Fiorentino dichiara nessun conflitto di interessi. Il prof. Sesti
dichiara di aver svolto attività di consulenza e di essere stato relatore
per AstraZeneca, Boehringer Ingelheim, Eli Lilly, Laboratori Guidotti,
Merck Sharp & Dohme, Novartis, Novo Nordisk, Sanofi-Aventis,
Servier, Sigma-Tau.
La pubblicazione di questo articolo è stata realizzata con la
collaborazione di Airon Communication e supportata da un contributo
non condizionante di Novo Nordisk.
Per la corrispondenza:
Prof. Giorgio Sesti Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche,
Università degli Studi “Magna Graecia”, Viale Europa, 88100 Catanzaro
e-mail: [email protected]
dovuto principalmente ad una resistenza delle β-cellule pancreatiche agli effetti insulino-stimolatori degli entero-ormoni
glucagon-like peptide-1 (GLP-1) and glucose-dependent insulinotropic polypeptide (GIP); 3) aumento del rilascio di glucagone da parte delle α-cellule pancreatiche con conseguente
incremento della produzione epatica di glucosio; 4) aumentato
riassorbimento renale del glucosio; 5) insulino-resistenza a livello cerebrale con conseguente alterazione dei meccanismi di
controllo dell’appetito3.
Molteplici studi epidemiologici hanno dimostrato che nei
soggetti con diabete di tipo 2 il rischio di mortalità cardiovascolare è 3 volte maggiore rispetto alla popolazione non diabetica pur considerando fattori di rischio indipendenti come
l’età, l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia e il fumo4-6.
Anche la prevalenza delle complicanze macrovascolari (infarto
del miocardio, ictus, vasculopatia periferica) risulta aumentata da 2 a 4 volte nel diabete di tipo 2 rispetto alla popolazione non diabetica4-6. Nonostante i meccanismi patogenetici
che sottendono l’aumento del rischio di eventi cardiovascolari
nel diabete di tipo 2 non siano stati ancora del tutto chiariti,
il danno vascolare indotto dall’iperglicemia sembra avere un
ruolo fondamentale nello sviluppo delle complicanze macrovascolari7-9. Malgrado tali evidenze sperimentali suggeriscano un
ruolo diretto dell’iperglicemia sul danno vascolare, gli studi clinici d’intervento in cui è stato valutato l’effetto del trattamento
ipoglicemizzante intensivo sulle complicanze cardiovascolari
del diabete di tipo 2 non hanno rilevato un evidente beneficio
in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari in pazienti
con diabete di tipo 210-13. Metanalisi di questi trial hanno messo
in evidenza che il trattamento ipoglicemizzante intensivo è in
grado di ridurre le complicanze microvascolari e l’infarto del
miocardio non fatale senza tuttavia esercitare un beneficio sulla
mortalità e, in particolare, sugli eventi cardiovascolari fatali14,15.
G ITAL CARDIOL | VOL 17 | SUPPL 2 AL N 12 2016
13S
TV Fiorentino, G Sesti
È necessario sottolineare che il trattamento intensivo volto a
raggiungere e mantenere uno stretto controllo della glicemia
era basato su politerapia con farmaci quali sulfaniluree o insulina che inducevano un aumentato rischio di ipoglicemia ed un
incremento ponderale o con pioglitazone che oltre ad indurre
un incremento ponderale può aumentare il rischio di scompenso cardiaco, secondario a ritenzione idrica.
Nell’adozione di una strategia terapeutica per il diabete
di tipo 2 occorre ricordare che l’iperglicemia si associa alle
alterazioni cardio-metaboliche che comprendono dislipidemia, ipertensione arteriosa, obesità viscerale che tendono a
manifestarsi nello stesso paziente e concorrono ad aumentare
il rischio di eventi cardiovascolari attraverso un processo di
aterosclerosi accelerata. Pertanto, è importante che la terapia
farmacologica del diabete di tipo 2 non solo non peggiori i
fattori di rischio cardiovascolare associati ma, se possibile, li
migliori. L’ipoglicemia è un altro fattore di rischio cardiovascolare associato al trattamento del diabete di tipo 2. Gli episodi
ipoglicemici aumentano la morbilità e mortalità cardiovascolare determinando un aumento dei livelli di adrenalina circolante, un’attivazione patologica delle piastrine, una maggiore
viscosità sanguigna e un conseguente maggiore lavoro cardiaco. Quest’ultimo può precipitare un danno ischemico in
pazienti con diabete di tipo 2 e ridotta riserva coronarica.
La US Food and Drug Administration (FDA) e la European
Medicines Agency (EMA) hanno adottato criteri più rigorosi
per l’approvazione di nuovi farmaci ipoglicemizzanti16,17. Questi requisiti normativi hanno condotto a un incremento notevole del numero di trial di outcome cardiovascolare al fine di
ottenere robuste evidenze sul profilo di sicurezza dei nuovi
farmaci antidiabetici. Un elenco dei trial di outcome cardiovascolare completati con inibitori dell’enzima dipeptidil peptidasi-4 (DPP4), agonisti del recettore del GLP-1 (GLP-1RA) e
inibitori del cotrasportatore renale di sodio-glucosio di tipo
2 (SGLT2) è riportato nella Tabella 1 mentre i principali risultati sull’endpoint composito primario (eventi cardiaci avversi
maggiori [MACE]: morte cardiovascolare, infarto e ictus non
fatale) sono riportati nella Tabella 218-23. In sintesi, i risultati dei
trial di outcome cardiovascolare con alogliptin, saxagliptin e
sitagliptin (inibitori di DPP4) e lixisenatide (GLP-1RA) hanno
evidenziato una piena sicurezza cardiovascolare18-21,24. Gli studi EMPA-REG OUTCOME e LEADER hanno invece mostrato
benefici cardiovascolari, con qualche differenza nei vari endpoint22,23,25. Ad esempio, un diverso andamento delle curve
che rappresentano l’incidenza cumulativa degli eventi, rapidamente divergenti nei trattati con empagliflozin rispetto al
placebo e gradualmente divergenti nei trattati con liraglutide
rispetto al placebo, suggerendo che i meccanismi sottostanti
il beneficio siano probabilmente diversi.
Per analizzare più approfonditamente i potenziali meccanismi responsabili dei risultati ottenuti negli studi EMPA-REG
OUTCOME e LEADER, nei paragrafi successivi saranno esami-
Tabella 1. Trial di outcome cardiovascolare con nuove terapie per il diabete di tipo 2.
Trial
N. pazienti
Intervento
Popolazione
Outcome primario
TECOS
14 671
Sitagliptin vs
placebo
DM2, HbA1c 6.5-8%, età ≥50 anni,
storia di MCV
Mortalità CV, infarto miocardico non fatale,
angina instabile, ictus non fatale
SAVOR-TIMI 53
16 492
Saxagliptin vs
placebo
DM2, HbA1c 6.5-12%, storia di MCV
o alto rischio CV
Mortalità CV, infarto del miocardio non fatale
o ictus non fatale
EXAMINE
5380
Alogliptin vs
placebo
DM2; sindrome coronarica acuta entro
15-90 giorni dalla randomizzazione
Mortalità CV, infarto del miocardio non fatale
o ictus non fatale
ELIXA
6068
Lixisenatide vs
placebo
DM2; HbA1c 5.5–11.0%; sindrome
coronarica acuta
Mortalità CV, infarto miocardico non fatale,
angina instabile, ictus non fatale
LEADER
9340
Liraglutide vs
placebo
DM2; HbA1c ≥7.0%; età ≥50 anni + MCV Mortalità CV, infarto del miocardio non fatale
o età ≥60 anni + fattori di rischio CV
o ictus non fatale
CV, cardiovascolare; DM2, diabete mellito di tipo 2; HbA1c, emoglobina glicata; MCV, malattia cardiovascolare.
Tabella 2. Principali risultati dei trial di outcome cardiovascolare.
Follow-up (anni)
HR per
l’endpoint
primario
SAVOR-TIMI 53
Saxagliptin
vs placebo
EXAMINE
Alogliptin
vs placebo
TECOS
Sitagliptin
vs placebo
ELIXA
Lixisenatide
vs placebo
LEADER
Liraglutide
vs placebo
EMPA-REG OUTCOME
Empagliflozin 10 mg
vs empagliflozin 25 mg
vs placebo
2.1
1.5
3
2.1
3.8
3.1
1.00
(IC 95%
0.89-1.12)
p=0.99
0.96
(limite superiore
dell’IC unilaterale
ripetuto: 1.16)
p=0.32
0.98
(IC 95%
0.88-1.09)
p=0.65
1.02
(IC 95%
0.89-1.17)
p=0.81
0.87
(IC 95%
0.78-0.97)
p=0.01
0.86
(IC 95%
0.74-0.99)
p=0.04
1.11
(IC 95%
0.96-1.27)
p=0.15
0.88
(IC 95%
0.70-1.09)
p=0.23
1.01
(IC 95%
0.90-1.14)
p=0.88
0.94
(IC 95%
0.78-1.13)
p=0.50
0.85
(IC 95%
0.74-0.97)
p=0.02
0.68
(IC 95%
0.57-0.82)
p<0.001
HR per morte da
tutte le cause
HR, hazard ratio; IC, intervallo di confidenza.
14S
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Terapia con GLP-1 e rischio cardiovascolare
nati: 1) gli effetti dei GLP-1RA sui fattori di rischio cardio-metabolici; 2) il meccanismo fisiopatologico dei GLP-1RA sul
sistema cardiovascolare; 3) i differenti meccanismi cardioprotettivi ipotizzati per i GLP-1RA e gli inibitori di SGLT2.
EFFETTI DEGLI AGONISTI DEL RECETTORE DI GLP-1
SUI FATTORI DI RISCHIO CARDIO-METABOLICI
I trattamenti antidiabetici comunemente impiegati, ad eccezione di quello con metformina, sono associati ad un incremento ponderale. Il trattamento con GLP-1RA sia in monoterapia sia in associazione con ipoglicemizzanti orali è associato
ad un consistente e duraturo calo ponderale, che non è ascrivibile agli effetti collaterali gastrointestinali in quanto riscontrato anche nei pazienti privi di sintomatologia gastrointestinale26-29. Studi sperimentali condotti in soggetti con diabete
di tipo 2 che hanno valutato gli effetti del trattamento con
liraglutide sulla stimolazione di aree cerebrali mediante utilizzo della risonanza magnetica nucleare hanno evidenziato un
effetto sui centri nervosi che regolano l’appetito30. La riduzione di peso è associata a riduzione sia del grasso sottocutaneo
sia di quello viscerale31.
L’ipertensione arteriosa è un importante fattore di rischio
cardiovascolare nei pazienti affetti da diabete di tipo 2. Il
trattamento con GLP-1RA è associato a una significativa riduzione della pressione sistolica32. Riduzioni significative della
pressione sistolica sono osservate precocemente dopo appena dopo 2 settimane di trattamento con liraglutide e si manifestano prima che si verifichi un significativo calo ponderale33.
I meccanismi con cui i GLP-1RA riducono la pressione arteriosa non sono completamente chiariti. Si ipotizza che possano
essere coinvolti un miglioramento della funzione endoteliale
e un effetto natriuretico34,35 (Figura 1).
Il trattamento con GLP-1RA è associato a una lieve riduzione dei livelli di colesterolo totale e dei trigliceridi36. È stato
↓ Disfunzione
Endoteliale
↓ Trigliceridi e colesterolo
inoltre osservato che il trattamento con liraglutide in soggetti
con diabete di tipo 2 riduce le escursioni post-prandiali di trigliceridi e di apolipoproteina B48 dopo pasto grasso indipendentemente dagli effetti sullo svuotamento gastrico37. Inoltre,
durante il trattamento con liraglutide è stata osservata una
riduzione di alcuni biomarker cardiovascolari quali l’inibitore
dell’attivatore del plasminogeno di tipo 1 (PAI-1), un inibitore
dei processi di fibrinolisi, la proteina C-reattiva e il peptide
natriuretico di tipo B, un marker di disfunzione ventricolare
sinistra38. Il trattamento con GLP-1RA ha anche effetti anti-infiammatori come dimostrato dalla riduzione di fattori
pro-infiammatori quali la proteina chemoattrattiva monocitaria-1 (MCP-1), l’amiloide serica A e l’interleuchina-6 e dalla
riduzione della produzione di radicali liberi dell’ossigeno e di
citochine da parte di cellule mononucleari circolanti in seguito
a trattamento per 12 settimane con exenatide39.
La terapia con alcuni degli ipoglicemizzanti impiegati nella
cura del diabete quali le sulfaniluree e l’insulina è spesso associata ad un aumentato rischio di ipoglicemia. L’ipoglicemia
aumenta la morbilità e mortalità cardiovascolare esplicando
effetti nocivi sul sistema cardiovascolare40,41. L’attivazione simpatica, indotta dall’ipoglicemia, determina dal punto di vista
emodinamico un sovraccarico cardiaco dovuto a un aumento
della frequenza cardiaca, della contrattilità miocardica, del
tono vascolare e un’attivazione patologica piastrinica che risulta in un aumento della viscosità ematica. Gli episodi ipoglicemici possono indurre alterazioni della funzione endoteliale
attraverso vari meccanismi tra cui l’attivazione piastrinica, la
mobilizzazione dei neutrofili indotta soprattutto dallo stimolo
adrenergico e il rilascio di fattori infiammatori come fattore
di necrosi tumorale-α, interleuchina-6 e endotelina-1. Inoltre,
l’ipoglicemia si associa ad alterazioni elettriche cardiache con
un prolungamento del QT che predispone allo sviluppo di aritmie ventricolari potenzialmente fatali. I GLP-1RA stimolano la
secrezione insulinica e sopprimono il rilascio di glucagone in
maniera glucosio-dipendente, limitando, pertanto, il rischio di
↑ Diuresi
↓ Infiammazione
LIRAGLUTIDE
↓ Aggregazione
piastrinica
↑ Funzione miocardica
↓ Rigidità
Arteriosa
↓ Acido urico
↓ Pressione
arteriosa
EMPAGLIFLOZIN
↑ Glucagone
↓ Peso corpereo
↓ Adiposità viscerale
↑ Ossidazione
β-idrossibutirrato
↓ Ossidazione FFA
Figura 1. Effetti di liraglutide ed empagliflozin sul sistema cardiovascolare.
FFA, acidi grassi liberi; ICAM-1, molecola di adesione intercellulare-1; VCAM-1, molecola di adesione
cellulare vascolare-1.
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15S
TV Fiorentino, G Sesti
ipoglicemia. Negli studi di fase 3 del programma LEAD 1-6 è
stato osservato che il trattamento con liraglutide è associato
ad un basso rischio di ipoglicemia (0.03-1.2 eventi/paziente/
anno) sovrapponibile a quello del gruppo placebo26.
MECCANISMO FISIOPATOLOGICO DEGLI
AGONISTI DEL RECETTORE DI GLP-1 SUL SISTEMA
CARDIOVASCOLARE
Gli studi sperimentali disponibili in letteratura indicano che
il GLP-1 possa avere un impatto positivo sulla funzione endoteliale e, di conseguenza, anche sui livelli pressori42. La
disfunzione endoteliale è la prima alterazione funzionale
dell’omeostasi vasale che predispone alla formazione della
placca aterosclerotica manifestandosi quando non è ancora dimostrabile una lesione strutturale della parete vasale43.
La presenza di disfunzione endoteliale è stata associata a
obesità44, insulino-resistenza45, diabete di tipo 246,47, danno
d’organo48,49 e aumentata incidenza di eventi cardiovascolari in diversi studi longitudinali50. La disfunzione endoteliale
è caratterizzata da perdita della capacità dell’endotelio di
regolare il normale tono vascolare con conseguente vasocostrizione, aumento dell’aggregazione piastrinica e dell’adesività delle cellule infiammatorie circolanti all’endotelio, facilitazione dei fenomeni coagulativi sulla superficie intimale ed
eccesso di stress ossidativo delle cellule che compongono la
parete vasale. Poiché la disfunzione endoteliale correla con
lo stato infiammatorio delle pareti arteriose, sono considerati
biomarker di disfunzione endoteliale anche le forme solubili
di mediatori dell’infiammazione, quali ICAM-1 (molecola di
adesione intercellulare-1), VCAM-1 (molecola di adesione cellulare vascolare-1) ed E-selectina, che possono essere dosate
a livello plasmatico. L’endotelio danneggiato richiama monociti e linfociti T nell’intima in risposta ai segnali chemiotattici
quali la MCP-1. I macrofagi richiamati nell’endotelio danneggiato fagocitano le lipoproteine infiltrate ed ossidate nell’intima e si trasformano nelle cellule schiumose (foam cells) che si
organizzano in strie lipidiche. L’alterazione più evidente della
disfunzione endoteliale è la ridotta capacità da parte dell’endotelio di produrre ossido nitrico (NO), un gas che costituisce
il più potente vasodilatatore nel nostro organismo. La conseguenza della ridotta capacità di produrre NO e quindi di
indurre vasodilatazione è l’aumento dei valori pressori. Studi
su modelli animali hanno dimostrato che i recettori per GLP-1
sono espressi in miocardiociti e in cellule endoteliali51. Inoltre
è stato dimostrato che il trattamento con GLP-1 nativo ha
effetti cardioprotettivi aumentando il recupero funzionale,
l’utilizzazione di glucosio e la vitalità del tessuto miocardico
dopo danno da ischemia/riperfusione e favorendo la vasodilatazione e di conseguenza il flusso coronarico51. Nel topo privo di recettore del GLP-1 (knock-out GLP-1R-/-) sono presenti
un’elevata pressione telediastolica del ventricolo sinistro, un
incremento dello spessore parietale del ventricolo sinistro e
un’alterata risposta contrattile del ventricolo sinistro sia alla
somministrazione di insulina sia a quella di adrenalina52. In
un modello di topi non diabetici in cui veniva indotto infarto del miocardio dopo occlusione coronarica, il trattamento
con liraglutide riduceva la rottura di cuore, l’area infartuale
e migliorava significativamente la funzione contrattile e la
sopravvivenza53. Inoltre, il trattamento con liraglutide conferiva cardioprotezione e aumentava la sopravvivenza di topi
diabetici con infarto del miocardio indotto da occlusione co-
16S
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ronarica rispetto al trattamento con metformina, malgrado
i due trattamenti inducessero un simile effetto sul controllo
metabolico53. In cellule endoteliali umane, liraglutide riduce
l’incremento indotto dall’iperglicemia di ICAM-1, VCAM-1
e PAI-154. Infine, è stato dimostrato che l’attivazione del recettore del GLP-1 in modelli animali attenua l’aggregazione
piastrinica e riduce la trombosi55 (Figura 1).
Questi dati sperimentali nei modelli cellulari e animali dimostrano che la somministrazione di GLP-1 e dei suoi analoghi è in grado di svolgere molteplici effetti positivi sia a livello
endoteliale che, di conseguenza, a livello pressorio indipendentemente dalla loro azione anti-iperglicemizzante.
Diverse evidenze suggeriscono che il GLP-1 è in grado
di esercitare effetti positivi sulla funzione endoteliale in vivo
nell’uomo. È stato dimostrato che l’infusione endovenosa di
GLP-1 è in grado di indurre un miglioramento della vasodilatazione flusso-mediata di circa il 50% in soggetti diabetici
di tipo 2 coronaropatici34. Successivi studi hanno confermato
un effetto benefico sulla funzione endoteliale dei GLP-1RA in
soggetti con diabete di tipo 256 anche in risposta al pasto57,58.
Effetti positivi dei GLP-1RA sulla funzione cardiaca sono
stati osservati in diversi studi condotti nell’uomo (Figura 1).
L’infusione per 72h di GLP-1 (7-36) sulla funzione ventricolare sinistra è stata valutata in pazienti con infarto acuto del
miocardio e frazione di eiezione <40% dopo procedura di
rivascolarizzazione59. Il 50% del gruppo trattato era diabetico, a fronte del 37% nel gruppo di controllo. La funzione
miocardica era significativamente migliorata dall’infusione di
GLP-1 come pure l’indice di cinesi parietale57. Un ulteriore studio condotto in pazienti con insufficienza cardiaca, in classe
NYHA III e IV, sottoposti a un’infusione della durata di 5 settimane con GLP-1 ha dimostrato un significativo miglioramento della frazione di eiezione del ventricolo sinistro, del test dei
6 min di cammino e del Minnesota Living with Heart Failure
Quality of Life score60. Altri studi hanno dimostrato una riduzione del danno miocardico indotto da infarto acuto del miocardio con elevazione del tratto ST in seguito a trattamento
con exenatide durante le procedure di vascolarizzazione61,62 e
un miglioramento della frazione di eiezione in soggetti con infarto acuto del miocardio con elevazione del tratto ST trattati
per 7 giorni con liraglutide63.
DIFFERENTI MECCANISMI CARDIOPROTETTIVI
IPOTIZZATI PER GLI AGONISTI DEL RECETTORE DI
GLP-1 E GLI INIBITORI DI SGLT2
Gli inibitori del trasportatore renale SGLT2 sono una nuova
classe di ipoglicemizzanti che esercitano la loro azione attraverso l’inibizione del riassorbimento renale del glucosio,
promuovendo di conseguenza glicosuria64. Somministrati in
monoterapia o in associazione agli altri farmaci ipoglicemizzanti, gli inibitori del trasportatore SGLT2 esercitano un effetto ipoglicemizzante combinato con la riduzione della pressione arteriosa, del peso corporeo, dell’adiposità viscerale e
basso rischio di eventi ipoglicemici65,66. Lo studio EMPA-REG
OUTCOME che ha valutato gli effetti del trattamento con
empagliflozin rispetto al placebo sugli eventi cardiovascolari
in pazienti con diabete di tipo 2 ad alto rischio cardiovascolare ha dimostrato un beneficio dell’endpoint composito
primario (mortalità cardiovascolare, infarto del miocardio
non fatale, ictus non fatale)22. Molteplici meccanismi non
ancora chiariti potrebbero avere contribuito alla protezione
Terapia con GLP-1 e rischio cardiovascolare
cardiovascolare associata al trattamento con empagliflozin:
aumento della diuresi, riduzione della rigidità della parete
(stiffness) arteriosa e del consumo di ossigeno da parte del
miocardio67,68, la riduzione dei livelli plasmatici di acido urico, i cui livelli sono associati a rischio di eventi cardiovascolari60, riduzione della pressione arteriosa70, del peso corporeo
e dell’adiposità viscerale71 (Figura 1). È stato anche ipotizzato un effetto protettivo sulla funzione cardiaca dovuto al
glucagone i cui livelli plasmatici sono aumentati in corso di
trattamento con inibitori del trasportatore SGLT272. È stato
infatti osservato che il trattamento con empagliflozin induce
un incremento dei livelli di glucagone verosimilmente secondario alla riduzione della glicemia, alla diminuita secrezione
dell’insulina per effetto del miglioramento della sensibilità
insulinica indotta dalla riduzione della glucotossicità e per
effetto diretto dell’inibizione del trasportatore SGLT2 a livello della cellula α pancreatica che impedisce l’ingresso del
glucosio all’interno della cellula mimando una condizione di
ipoglicemia73. Studi condotti alle fine della anni ’60 suggerivano che il glucagone potesse esercitare un effetto inotropo
positivo in soggetti con coronaropatia74. Recentemente, è
stato ipotizzato che il trattamento con inibitori del trasportatore SGLT2 possa esercitare effetti positivi sulla funzione
cardiaca attraverso l’utilizzo di substrati energetici alternativi75 (Figura 1). L’ipotesi postula che in condizioni di lieve ma
persistente iperchetonemia, come quelle che si vengono a
determinare durante il trattamento con inibitori del trasportatore SGLT276, il β-idrossibutirrato possa essere liberamente
captato dai cardiomiociti e ossidato in sostituzione degli acidi grassi. Questa selezione dei substrati migliora l’utilizzazione del consumo di ossigeno aumentando l’efficienza del
lavoro cardiaco. Questo meccanismo potrebbe cooperare
con altri effetti degli inibitori del trasportatore SGLT2 quali la
riduzione della pressione arteriosa e l’aumentata diuresi per
ottenere il grado di cardioprotezione osservato nello studio
EMPA-REG OUTCOME.
BIBLIOGRAFIA
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CONCLUSIONI
Gli studi EMPA-REG OUTCOME e LEADER hanno mostrato benefici cardiovascolari in prevenzione secondaria per empagliflozin e liraglutide, rispettivamente. I meccanismi che possono
avere contribuito alla protezione cardiovascolare associata al
trattamento con empagliflozin e con liraglutide sono attualmente speculativi e richiedono ulteriori studi fisiopatologici.
La diversità del meccanismo d’azione dei due farmaci porta a
ipotizzare che quanto osservato nello studio con empagliflozin sia attribuibile più ad effetti emodinamici e di selezione di
substrati energetici mentre quanto osservato nello studio con
liraglutide sia maggiormente attribuibile a cambiamenti della
biologia della placca aterosclerotica. Rimangono aperte, tra le
altre, due importanti questioni ovvero se questi effetti protettivi sugli eventi cardiovascolari siano riscontrabili anche in prevenzione primaria e se i risultati osservati con empagliflozin
e liraglutide costituiscono un effetto di classe farmacologica.
RIASSUNTO
Sono stati recentemente pubblicati i risultati di due trial di outcome cardiovascolare relativi al trattamento con empagliflozin, un
inibitore di SGLT2, e con liraglutide, un agonista del recettore
del glucagon-like peptide-1. I trattamenti con empagliflozin e
con liraglutide hanno dimostrato di esplicare una significativa
azione protettiva riducendo il rischio di eventi cardiovascolari. I
meccanismi che possono avere contribuito alla protezione cardiovascolare associata al trattamento con empagliflozin e con
liraglutide sono attualmente speculativi e richiedono ulteriori
studi fisiopatologici. La diversità del meccanismo d’azione dei
due farmaci porta a ipotizzare che quanto osservato nello studio
con empagliflozin sia attribuibile più ad effetti emodinamici e di
selezione di substrati energetici mentre quanto osservato nello
studio con liraglutide sia maggiormente attribuibile a cambiamenti della biologia della placca aterosclerotica.
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