L’ANALISI DEL PROGRESSO: Progresso come sviluppo tecnologico e regresso umano Tesina a cura di: Gianluca Piazzalunga Classe V BLST I.S.I.S. “Giulio Natta” - Viale Europa n. 15 - Bergamo Anno scolastico 2013 -2014 1 INTRODUZIONE Il progresso, nel linguaggio comune, è sinonimo di processo di avanzamento, miglioramento, di sviluppo, di benessere. Storicamente questo termine ha accompagnato l’uomo durante la sua evoluzione; il progresso non è che una propensione naturale dell’uomo, una tendenza innata alla totalità, a cercare una spiegazione globale ed assoluta, per questo motivo l’uomo fin dall’antichità cerca di superare i limiti dell’esperienza delle epoche precedenti. Nel periodo moderno l’idea di progresso è nata con l’illuminismo, ampio movimento politico, sociale, culturale e filosofico sviluppatosi approssimativamente nel secolo XVIII in Europa. Questo movimento introdusse, nella cultura europea, la fede nella ragione ma principalmente diede vita ad una visione ottimistica del progresso. Si pensò che la coniugazione tra ragione e modello sperimentale della scienza avrebbe portato alla scoperta non solo delle leggi del mondo naturale, ma anche di quelle di sviluppo sociale quindi avrebbe favorito un progresso indefinito della conoscenza, della tecnica e della morale. Questo filone di pensiero è evidenziabile nella citazione di uno dei suoi massimi esponenti, Victor Hugo: ”Ecco il mio motto progresso costante. se Dio avesse voluto che l’uomo indietreggiasse, gli avrebbe messo un occhio dietro la testa. noi guardiamo sempre dalla parte dell’ aurora, del bocciolo, della nascita.” Tale pensiero filosofico verrà successivamente ripreso e rafforzato dalle dottrine positiviste. Il Positivismo, movimento nato in Francia nella prima metà dell’ottocento ed espanso nel resto d’Europa nella seconda metà dello stesso secolo, si configura come un movimento per certi aspetti simile all'Illuminismo, di cui condivide la fiducia nella scienza e nel progresso scientificotecnologico e, per altri aspetti, affine alla concezione romantica della storia che vede nella progressiva affermazione della ragione la base del progresso o evoluzione sociale. Il progresso, soprattutto quello tecnico e oggi quello tecnologico, ha fatto parte della cultura occidentale in tutto il Novecento, fino a giungere ai giorni nostri. Il progresso scientifico e tecnologico ha infatti innegabilmente migliorato la nostra vita con una serie di scoperte e di invenzioni che hanno permesso all'uomo di aumentare la sua aspettativa e tenore di vita, di rendere più efficiente il suo lavoro, di avvicinare luoghi, che nelle epoche precedenti sembravano inarrivabili, attraverso un efficiente sistema di trasporti, di incrementare e migliorare le tecniche produttive. La scienza viene dunque da sempre impiegata per migliorare la qualità della vita dell'uomo, dall'uso degli strumenti matematici e di calcolo per lo studio della realtà, all'uso del computer e dei supporti informatici per migliorare e razionalizzare il lavoro (come nel caso della creazione di un database) o all'utilizzo di Internet per scambiare informazioni in tempo reale e praticamente senza alcuna restrizione. Il progresso sembrerebbe rappresentare un processo assolutamente positivo, ma i sacrifici e le conseguenze di tale fenomeno evidenziano molti aspetti negativi. Uno di questi aspetti, verrà sottolineato da Pirandello, la meccanizzazione con la conseguente alienazione dell’uomo… 2 Indice LETTERATURA ITALIANA La visione pirandelliana del progresso: Formazione e poetica pag. 4 Introduzione all’opera di Pirandello: “I quaderni di Serafino Gubbio operatore” Trama e Analisi Tematiche: Alienazione Declassazione dell’intellettuale La perfezione e la distruzione dell’uomo pag. 6 pag. 8 pag. 8 pag. 9 pag. 10 Premessa seconda de “Il fu Mattia Pascal” pag. 10 Conclusioni pag. 11 STORIA La seconda rivoluzione industriale Società di massa FISICA L’elettricità La corrente elettrica I circuiti in corrente continua: Legge di Ohm e resistenza Legge di Kirchhoff Condensatori e capacità Circuiti RC pag. 12 pag. 13 pag. 15 pag. 15 pag. 16 pag. 18 pag. 19 pag. 19 FILOSOFIA L’alienazione secondo Marx pag. 21 INGLESE Charles Dickens: cenni biografici Commenti Hard times pag. 23 pag. 24 pag. 25 3 PIRANDELLO: “FORMAZIONE E POETICA” Pirandello è lo scrittore italiano del Novecento più famoso nel mondo. Grazie a Pirandello la letteratura italiana entra a contatto con alcuni dei caratteri fondamentali della ricerca dell’avanguardia europea del primo Novecento. Essendo lo scrittore siciliano nato nel 1867 a Girgenti (ora Agrigento) possiamo affermare che la sua iniziale attività letteraria fu influenzata dal patriottismo e dai valori risorgimentali, che caratterizzarono le correnti letterarie di quel periodo. Tenendo presente l’evoluzione artistica e culturale di Luigi Pirandello, è possibile distinguere cinque diversi periodi nella sua vita e nella sua produzione letteraria e teatrale: 1) il periodo della formazione che giunge sino al 1892 (si laurea a Bonn nel 1891), quando egli decide di dedicarsi alla letteratura; 2) quello della coscienza della crisi, caratterizzato dall’ affiorare delle tematiche relativistiche; 3) il periodo della narrativa umoristica con la pubblicazione di “Il fu Mattia Pascal” (1904) e “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” (1915); 4) periodo del grande successo internazionale teatrale (1918-1922); 5) la stagione surrealistica segnata dai “miti teatrali” e dalla composizione delle ultime novelle. Nel 1934 vince il premio Nobel per la letteratura. Un primo dato vale la pena di sottolineare nell’opera di Pirandello: i suoi temi di fondo sono già tutti presenti sin dal suo primo romanzo: contrariamente ad altri artisti la cui produzione testimonia ricerche, svolte, pentimenti; Pirandello imbocca la sua strada dalla quale non si allontanerà più. I tratti caratteristici della produzione pirandelliana sono: il contrasto tra realtà ed apparenza, lo sfaccettarsi della verità (tante verità quanti sono quelli che presumono di possederla), l’assurdità della condizione dell’uomo, fissato con la catalogazione (innocente, ladro, adultero ecc.) in una forma che soffoca la vita. Ne il fu Mattia Pascal (1904), il protagonista deve constatare quanto vincolanti siano le convenzioni sociali e come è impossibile uscirne. Da ciò deriva una situazione conflittuale tra uomo e società: inutilmente l’uomo cercherà di realizzare pienamente se stesso perché sbatterà contro questo carcere senza porte e senza finestre e inutilmente cercherà un dialogo e la comprensione degli altri chiusi a loro volta nel proprio carcere. La vita associativa si dissolve in pulviscolo di atomi, di monadi impenetrabili; le verità le certezze svelano la loro natura fittizia e convenzionale. Nel 1908 con il saggio su “L’Umorismo” Pirandello integra quanto sopra con la teorizzazione di una forma d’arte, l’umorismo appunto che si basa sul sentimento del contrario, cioè su una contemporanea presenza di rappresentazione e riflessione, su una disposizione dell’artista a vedere dietro alle “verità” la sostanziale precarietà della vita, a scomporre i vari momenti della nostra personalità per coglierne le contraddizioni. Per questo Pirandello considera l´arte umoristica come un mezzo perfetto per ritrarre la società del suo tempo, le sue contraddizioni e conflittualità. La chiave umoristica non diventa dunque soltanto specchio di uno stato d’animo, è anche un modo per spiegare i fatti della psiche dell’individuo, è un mezzo per riconoscere la vera realtà, un mezzo per saper decifrarla. L’arte umorista, ha come base esprimere le condizioni totalizzanti, inevitabili e 4 definitivi degli uomini. L’umorista è quello che cerca di scoprire l’oltre di ogni realtà per poter poi conoscerla nella sua verità nascosta. Pirandello dunque riflette sulle contraddizioni della falsa realtà e sulle forme e convenzioni da quella realtà imposte. La fase essenziale della sua vita fu infatti il periodo della narrativa umoristica, che segnò una svolta di fondamentale importanza per la sua produzione letteraria. Questo periodo risulta significativo, oltre che per la pubblicazione de “Il fu Mattia Pascal” e “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”, per l’elaborazione della poetica umoristica che contraddistingue tutte le opere pirandelliane di quel periodo tra le quali: ”I vecchi e i giovani”, “Suo marito” e “Uno nessuno centomila”. La progettazione della poetica dell’umorismo avvenne tra il 1904 e il 1908 anno in cui uscì il volume “L’umorismo”. Nell’opera “ Il fu Mattia Pascal” bisogna evidenziare le due premesse iniziali, che corrispondono ai primi due capitoli, che gettarono le basi della nuova poetica. Nelle due elaborazioni è presente una sostanziale differenza riguardante la visione dell’ umorismo. Infatti nel volume “L’umorismo” pubblicata nel 1908, sembra considerare l’ umorismo una caratteristica perenne dell’arte, riscontrabile nell’antica Grecia come nell’Italia moderna. Mentre nelle due premesse l’umorismo è strettamente legato alla nascita della modernità e in particolare alla scoperta di Copernico. Da questa differenza è osservabile la visione oscillante dell’umorismo di Pirandello. Lo scrittore siciliano vacilla tra una visione eterna dell’umorismo, considerato come una possibilità perenne dell’uomo, e invece una sua visione storica, derivante da particolari condizioni che hanno posto in crisi le antiche certezze. Da un lato infatti Pirandello vede un limite connaturale all’uomo, che da sempre vive in un mondo privo di senso e che tuttavia si crea una serie di illusioni, autoinganni attraverso i quali cerca di dare significato all’esistenza. In questa prospettiva l’umorismo sarebbe l’eterna tendenza dell’arte a svelare tale contraddizione. Dall’altro sostiene che l’affermazione della modernità comporta ad un maggiore approfondimento e una maggiore attualità dell’atteggiamento umoristico. Modernità condizionata dal relativismo ossia una posizione filosofica che pone in crisi l’idea di una verità certa e oggettiva. Inoltre la poetica elaborata da Pirandello volge continuamente ad evidenziare il contrasto tra forma e vita e fra persona e personaggio. Il contrasto tra forma e vita è indubbiamente costitutivo dell’arte pirandelliana e della stessa poetica dell’umorismo, che sottolinea ironicamente i modi con cui la forma reprime la vita e rivela gli autoinganni con cui il soggetto si difende dalla forza sconvolgente dei bisogni vitali. Lo scrittore afferma, come già spiegato precedentemente nella visione dell’umorismo eterna, nuovamente il suo punto di vista in cui l’uomo ha bisogno di illusioni ed autoinganni al fine di attribuire un senso alla sua esistenza, perciò organizza la vita secondo convenzioni, riti, istituzioni che in lui devono rafforzare tali illusioni. Gli autoinganni individuali e sociali costituiscono la forma dell’ esistenza. La forma blocca la spinta anarchica delle pulsioni vitali, la tendenza a vivere momento per momento al di fuori di ogni scopo ideale e di ogni legge civile, cristallizza e paralizza la vita. Possiamo sostenere inoltre che il contrasto successivo evidenziato dalla poetica pirandelliana sia strettamente legato alla concezione di forma, in quanto l’uomo, costretto a vivere nella forma, non è più una persona integra, coerente e compatta, fondata sulla corrispondenza armonica fra desideri e realizzazione, passioni e ragione; ma si riduce ad una maschera o ad un personaggio che recita la parte che la società esige da lui e che egli stesso si impone attraverso i suoi ideali morali. Il personaggio non è solido, coerente perché non è più una persona. Innanzi a sé il personaggio ha un bivio: una strada è costituita da incoscienza, ipocrisia, adeguamento passivo alle forme; la seconda 5 porterebbe il soggetto a vivere consapevolmente, amaramente, e autoironicamente la scissione fra forma e vita. In quest’ultimo caso la riflessione interviene continuamente a porre una distanza tra il soggetto e i propri gesti, fra l’uomo e la vita. Più che vivere, il personaggio “si guarda vivere”. Chi si guarda vivere, si pone fuori dall’esperienza vitale; condannato all’estraneità, guarda da fuori e compatisce non solo gli altri ma anche se stesso. Questo distacco riflessivo, amaro, pietoso ed ironico è il carattere distintivo dell’umorismo. Proprio questo è il segno caratterizzante a distinguerlo nella comicità; Pirandello sostiene che il comico nasce dal semplice e immediato “avvertimento del contrario”, dall’avvertire, con un sussulto irresistibile che provoca il riso, che una situazione o un individuo sono il contrario di quello che dovrebbero essere. Mentre l’umorismo è il “sentimento del contrario” che nasce dalla riflessione. Riflettendo sulle ragioni per cui una persona o una situazione sono il contrario di come dovrebbero essere, al riso subentra il sentimento amaro di pietà. Questa sostanziale differenza la si può osservare nel volume “L’umorismo” parte seconda: “La vecchia imbellettata”. “Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Il comico è appunto un avvertimento del contrario. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico. INTRODUZIONE ALL’ OPERA DI PIRANDELLO: “Quaderni di Gubbio Serafino operatore” è probabilmente, con “Il fu Mattia Pascal”, il capolavoro di Pirandello nel campo del romanzo. Inizialmente uscì a puntate nel 1915 sulla ‘Nuova Antologia’ e in volume l’anno seguente , intitolato “ Si gira”. Nel 1925 venne rielaborato e pubblicato con il titolo odierno. E’ un romanzo con il quale Pirandello vuole misurarsi con la nuova età del progresso tecnico. Lo scrittore denuncia apertamente il pericolo che comportano le innovazioni tecnologiche. Nel romanzo si riflette in pieno la poetica pirandelliana e cioè la sua visione negativa del mondo dominato dalle macchine, dalle convenzioni e dalle condizioni sociali. La visione negativa del mondo in cui l’individuo è immerso nella continua lotta tra la realtà e finzione. In questa opera possiamo individuare molte problematiche tipiche della produzione pirandelliana: il concetto della maschera degli individui la quale rappresenta una costante assoluta della poetica pirandelliana. Maschera come mezzo per nascondere i veri sentimenti degli individui, un mezzo che fa impenetrabile la loro anima. I personaggi mascherati dunque non svelano i veri sentimenti e questo ha per l’effetto l’incomunicabilità, la falsità, l’ipocrisia. Il compito del personaggio umorista, il 6 quale è senza dubbi Serafino Gubbio, per quanto gli sarà possibile, è denudare le anime nascoste, strappargli le maschere e presentarle nella loro reale condizione. Pirandello era avverso all´avveniente meccanizzazione, alla nuova età della tecnica. La sua visione negativa si fa chiara appunto nei Quaderni, in cui possiamo osservare la polemica dello scrittore contro “la macchina che meccanizza la vita”, fa dell´uomo schiavo e lo sottomette. Con ciò sorgono le questioni delle conflittualità dell´individuo, come ad esempio il vivere e l´io nella nuova società industriale. Società di massa che si fonda sull’esaltazione della tecnica e della bellezza. I Quaderni di Serafino Gubbio operatore potremmo, in modo semplicistico, definire come un romanzo sul ruolo delle macchine nella vita degli uomini. Tale definizione però risulta molto esemplificativa e povera perché il romanzo del primo decennio dello secolo scorso è pieno di estensioni simboliche, le quali, in virtù della capacità e modernità pirandelliana, potrebbero essere facilmente applicate anche alla società contemporanea. Comunque è indiscutibile che la problematica delle macchine è uno dei temi principali del romanzo. Il congegno centrale del romanzo è infatti una sgomenta immagine della vita collettiva come meccanismo agito dalle macchine, governato dalla loro “fame”, che dalla parte di Pirandello è sinonimo di alienazione, mentre da parte dei futuristi diventava sinonimo di dominio, pronostico di una stagione di rivincite per i nuovi “barbari” della fantasia tecnocratica. La macchina, e in conseguenza, il cinema irrigidisce l´arte. La macchina riprende tutto impassibilmente: e questa fredda oggettività sembra essere una delle cause dell’avversione di Pirandello verso di essa. Questo processo di meccanizzazione, poi, coinvolge anche l'arte; il cinema, attraverso cui gli attori possono trasmettere solo finzioni, nuovo divertimento di massa prende la rivincita sul teatro il quale è ancora in grado di trasmettere veri sentimenti. È insomma una sfida della velocità e della consumazione sui vecchi principi, sui vecchi valori. Le macchine risucchiano la vita, trasformano ogni elemento di vita in cosa, la realtà in finzione e l´artificio. Lo scrittore attribuisce alla macchina l´aggettivo “vorace” e in più le macchine vengono designate per mezzo delle metafore che affiorano in tutto il romanzo. Inoltre Pirandello avverte anche sul fatto che le macchine sostituiscono gli uomini nelle attività che prima appartenevano ed erano svolte solo ed esclusivamente dall´uomo. Infatti, i Quaderni annunciano la crisi del ceto medio dell´epoca in cui Pirandello li compone. Pirandello era incline a scorgere nella tecnica il tecnicismo, nella macchina il macchinismo. Mentre la società maggioritaria scorgeva nella tecnica un passo grandioso per l´umanità, Pirandello non ne vedeva che aspetti negativi. La storia naturale della vita appare schiacciata, come avremo possibilità di vedere più avanti, tutta raccolta in reliquari della memoria. I Quaderni meritano notevole attenzione perché appunto qui Pirandello si misura direttamente con l’imminente età industriale. Qui emerge in pieno la sua posizione di profonda diffidenza verso le macchine. Pirandello segue le tracce della riduzione dell’uomo a cosa al contatto con la tecnica. E 7 sono proprio i Quaderni che introducono questa problematica. Una problematica che conferma in pieno la maestria e genio di Pirandello in quanto egli individua questa problematica ancora prima che si faccia veramente attuale. In questo romanzo Pirandello esegue un'attenta analisi sugli aspetti della vita e scava a fondo inoltrandosi nei meandri della mente umana, l'umorismo, il pessimismo, il relativismo assoluto, l'incomunicabilità e la crisi di valori che il progresso tecnologico inevitabilmente porta con sé, sono i punti cardini della sua filosofia. I temi vengono presentati con un' innovativa struttura aperta, sperimentale, quasi diaristica (‘Quaderni’) che si presenta ricca di anticipazioni, ritorni all'indietro (flashback) e racconti nel racconto: la struttura narrativa di tipo tradizionale viene abbandonata TRAMA & ANALISI Il romanzo narra della vicenda di Serafino, un operatore cinematografico che quotidianamente annota su dei quaderni tutti gli avvenimenti che riguardano quelli che lavorano nel suo ambiente e soprattutto la storia di un'attrice russa, grande seduttrice di uomini, Varia Nestoroff. Nella scena finale del romanzo Serafino riprende meccanicamente con la sua cinepresa una scena terribile: un ex amante della Nestoroff (Aldo Nuti) sta girando una scena in cui deve uccidere una tigre; tuttavia, invece di rivolgere l'arma verso l'animale, egli uccide la Nestoroff per vendicarsi della sua insensibilità verso gli uomini e per gelosia. Rimane però ucciso a sua volta, sbranato dalla stessa tigre. Serafino, che sta filmando la scena, diviene muto per lo shock e rinuncia ad ogni forma di sentimento e di comunicazione. Oltre a contenere tratti caratteristici della nuova poetica ,in questo romanzo Pirandello svolge una convinta polemica contro la macchina, colpevole di mercificare la vita e la natura. La macchina distrugge l'unicità e i sentimenti dell'uomo (Serafino resta impassibile a quello che accade per filmare tutto essendo un' operatore a servizio della macchina). L'uomo non viene considerato nella sua unicità, tutto deve essere "perfetto" senza emozioni e sentimenti. Secondo l'autore questo meccanismo porterà, un giorno, alla distruzione totale e alla progressiva perdita di valori. In un momento in cui i futuristi, e in generale tutta una tradizione ottocentesca e positivistica, esaltavano le macchine e la tecnologia come fattori rivoluzionari di progresso e di miglioramento sociale, Pirandello svolge, al contrario, una sua convinta polemica contro la macchina, colpevole, ai suoi occhi, di mercificare la vita e la natura. TEMATICHE: ALIENAZIONE Uno dei temi principali di quest’ opera è proprio il rapporto tra l’ uomo e la macchina e l’ alienazione che l’uomo subisce. Il nucleo centrale del romanzo poggia proprio sul contrasto vita/macchina che determina l’impoverimento dell’uomo di vita e di creatività, che diventa servitore di macchinari. Sin dall’ inizio il protagonista è presentato nell’ atteggiamento di chi, estraniato dalla vita, la studia per cercarvi invano un significato. Il suo stesso lavoro di operatore contribuisce a tale condizione. Pirandello con ironia evidenzia la progressiva spersonalizzazione di Serafino Gubbio così come il suo assoggettamento alla macchina, cioè alla cinepresa. E con umorismo amaro osserva: "Sono operatore. Ma veramente, essere operatore, nel mondo in cui vivo e di cui vivo, non vuol dire mica 8 dire operare. Io non opero nulla". Altri tracciano sul tappeto o sulla piattaforma i limiti entro i quali gli attori debbono muoversi per tenere in fuoco la scena, egli non fa altro che prestare i suoi occhi alla macchinetta perché possa indicare fin dove arriva a prendere. Apparecchiata la scena, il direttore vi dispone gli attori e suggerisce loro l’azione da svolgere, dicendo approssimativamente il numero di metri di pellicola che abbisognano, poi grida agli attori: attenti, si gira! E Serafino si mette a girare la manovella, semplice esecutore di ordini che altri hanno dato. Al termine, deve solo indicare quanti metri di pellicola sono stati impiegati. Per fare questo, non occorre aver un’anima o una mente; la qualità principale che gli si richiede come operatore è di arrivare ad essere un serio professionista in grado di rimanere impassibile davanti alla vita che lo circonda, come un ingranaggio meccanico, la cui perfezione, in quanto tale, consiste nel raggiungere un totale stato d’impassibilità. DECLASSAZIONE DELL’ INTELLETTUALE Serafino Gubbio è l’intellettuale che rinuncia a svolgere un ruolo ideologico propositivo; è il nuovo intellettuale “senza qualità” che degradato alla pura mansione tecnica, alla fine si trova ridotto a “un silenzio di cosa”. Il silenzio è l’ultimo approdo di una condizione in cui l’unica salvezza possibile sta paradossalmente nella perfetta indifferenza, simile a quella che caratterizza la modernità circostante. In questa situazione l’uomo non può sottrarsi, poiché la sua condizione non è che il riflesso dell’ alienazione dominante. Non solo il protagonista operatore risulta alienato, infatti nel romanzo Serafino incontra in un ospizio di mendicità un vecchio violinista, che è proprio simbolo della sorte miserabile a cui il continuo progresso condanna l’umanità. Malgrado i suoi tentativi di sottrarsi alla tirannia delle macchine, il violinista, ridotto alla povertà dalla sua passione per il violino, viene ripetutamente costretto ad accettare umili lavori, come quello di alimentare con forme di piombo le macchine da stampa monotype, in modo da poter riscattare il suo prezioso strumento dal banco dei pegni. La tragedia esplode quando una compagnia cinematografica assume il vagabondo per accompagnare una pianola con il suo violino: la richiesta di asservire il suo talento artistico al ritmo automatico di una macchina lo fa infuriare a tal punto da causargli un accesso di ira cieca che gli procura due settimane di prigione. Rilasciato il vagabondo smette di suonare il suo violino. Tutti i personaggi presenti all’ interno dell’opera avvertono confusamente un senso di vuoto, che il loro corpo è quasi sottratto, soppresso, privato della sua realtà, del suo respiro, della sua voce, del rumore che esso produce muovendosi, per diventare solamente un’immagine muta, che tremola per un momento sullo schermo e scompare in silenzio, d’un tratto, come un’ombra inconsistente, gioco d’illusione su uno squallido pezzo di tela. Questa non è che un’ altra dimostrazione della situazione dell’uomo, surrogato dalla macchina. Da questo tratto dell’opera possiamo comprendere il sentimento amaro che pervade lo scrittore siciliano e la sua visione pessimista nei confronti della modernità e del continuo sviluppo tecnologico. Il valore metaforico della macchina da cinepresa emerge in tutta la sua profondità se collegata alla concezione pirandelliana della vita. La realtà tutta è vita, perpetuo movimento vitale, flusso continuo, Ciò che esce fuori da questo flusso perde forma, si irrigidisce, comincia a morire. Così avviene per l’identità dell’uomo. La cinepresa, che fissa le azioni in una forma, diviene metafora della tendenza dell’uomo a fissarsi in una realtà che egli stesso si dà. 9 Ciascuna di queste forme è una visione fittizia, una maschera che noi stessi c’imponiamo e che c’impone il contesto sociale. La presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento e dolore. La realtà non è più una totalità organica ma si spezza in molti frammenti che non hanno un senso complessivo. LA PERFEZIONE E LA DISTRUZIONE DELL’UOMO: La vendetta compiuta da Serafino sul suo ruolo di automa, portandolo all’estremo, si ritorce, però, contro di lui: lo choc, provocatogli dall’ultima scena del film in cui Nuti prima assassina con un colpo di fucile la Nestoroff e poi si lascia sbranare dalla tigre, lo rende muto per sempre. Per comunicare con gli uomini non gli resta che “una penna e un pezzo di carta”. L’afasia così raggiunta è, tuttavia, anche la sua perfezione “come operatore”: il suo tanto vantato “silenzio di cosa”, che lo assimila alla macchina fino alla contaminazione fisica con questa, è pervenuto al suo punto culminante. Questa parabola è stata anticipata all’inizio del romanzo dall’incontro con l’uomo del violino, ridotto anch’egli al mutismo e senza nome, il violinista. Ma tale “professionale impassibilità”, tale afasia, già dalle prime pagine del romanzo è qualcosa da scontare e di cui vendicarsi: “soddisfo, scrivendo, ad un bisogno di sfogo, prepotente”. La scrittura diviene strumento conoscitivo, di analisi, di oggettività: “studio la gente nelle sue più ordinate occupazioni, se mi riesca di scoprire negli altri quello che manca a me per ogni cosa ch’io faccia - la certezza che capiscano ciò che fanno”. Il processo di disgregazione a cui l’umorismo di Pirandello ha sottoposto tutti i miti, che i suoi contemporanei si sono creati, arriva all’impossibilità di pronunciare qualsiasi giudizio sulla vita e sulle umane azioni. 2^ PREMESSA DE “IL FU MATTIA PASCAL” Pirandello affronta la questione del progresso sia nella Premessa seconda (filosofica) del Il fu Mattia Pascal (1904), sia nel corso del romanzo. Nella Premessa riprende la teoria (antiprogressista) di Leopardi: l'umanità, scoprendo con Copernico le vere dimensioni della Terra e il suo ruolo inessenziale all'interno dell'universo, ha visto crescere il senso angosciante della propria relatività: dunque la sua condizione è peggiorata, non migliorata. Nei capitolo IX, dedicato a Milano (questa città, di nuovo, viene presa come modello di vita moderna), Pirandello ripropone il tema della massa cittadina, del «frastuono» della folla e dello «stordimento» prodotto dalle macchine e dai nuovi tram elettrici. A questo punto incontriamo il passo che segue: «Oh perché gli uomini», domandavo a me stesso smaniosamente, «si affannano così a rendere man mano più complicato il congegno della loro vita? Perché tutto questo stordimento di macchine? E che farà l'uomo quando le macchine faranno tutto? Si accorgerà allora che il così detto progresso non ha nulla a che fare con la felicità? Di tutte le invenzioni, con cui la scienza crede onestamente d'arricchire l'umanità (e la impoverisce, perché costano tanto care), che gioja in fondo proviamo noi, anche ammirandole?». In un tram elettrico, il giorno avanti, m'ero imbattuto in un pover'uomo, di quelli che non possono fare a meno di comunicare agli altri tutto ciò che passa loro per la mente. 10 — Che bella invenzione! —mi aveva detto. — Con due soldini, in pochi minuti, mi giro mezza Milano. Vedeva soltanto i due soldini della corsa, quel pover'uomo, e non pensava che il suo stipendiuccio se n'andava tutto quanto e non gli bastava per vivere intronato di quella vita fragorosa, col tram elettrico, con la luce elettrica, ecc., ecc. Eppure la scienza, pensavo, ha l'illusione di render più facile e più comoda l'esistenza ! Ma, anche ammettendo che la renda veramente più facile, con tutte le sue macchine così difficili e complicate, domando io: « E qual peggior servizio a chi sia condannato a una briga vana, che rendergliela facile e quasi meccanica?» CONCLUSIONE: “La meccanizzazione ha tolto la possibilità di dare un senso al passare della vita ed il mutismo di Serafino può essere visto come metafora dell'alienazione dell'artista e della riduzione dell'uomo a macchina, a ben pensare tutto ciò può essere riscontrato nei giorni nostri dove la continua robotizzazione sta pian piano sopprimendo tanti lavori a cui l'uomo poteva in passato dedicarsi, magari ha il lato positivo di velocizzare l'andatura ma, a ben guardare rende tutto un po' più meccanico, un po' più alienante, un po' meno umano. Sembra quasi che Pirandello, con la sua filosofia abbia previsto molto di ciò che accade oggi, l'impassibilità sempre più dominante di fronte a tante ingiustizie e disastri, le continue "maschere" che l'uomo è costretto ad indossare ogni giorno, vuoi per ottenere un posto di lavoro, vuoi per piacere di più agli altri, vuoi per un senso generale di insicurezza che serpeggia senza che , con il cervello "centrifugato" dai mass-media e da tutti i modelli che ci vengono proposti, o per meglio dire, inconsciamente imposti, ce ne accorgiamo”. La principale causa, se non l’unica, di tale rivoluzione sociale ed economica è la seconda rivoluzione industriale che ha inizio a fine Ottocento. 11 LA SECONDA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Negli ultimi tre decenni dell’Ottocento si verificano delle innovazioni economiche, che gli storici chiamano seconda rivoluzione industriale. Il processo di affermazione della società industriale conobbe, a partire dagli anni settanta dell’Ottocento, non solo un’accelerazione poderosa, ma anche una trasformazione qualitativa. L’ultimo trentennio dell’Ottocento fu una fase di grande innovazione tecnologica. La meccanica vide un incessante perfezionamento dei macchinari. Dal canto suo, il settore siderurgico conobbe la rivoluzione dell’acciaio, una lega di ferro e carbonio, conosciuta e apprezzata da tempo per la sua robustezza. Ma il grande salto di qualità della seconda rivoluzione industriale venne dalla chimica, dall’elettricità e dal petrolio. La chimica permise la fabbricazione di nuovi materiali, come l’alluminio, e diffuse la soda, i coloranti artificiali e i concimi. Il petrolio, combustibile di alto rendimento e facile trasportabilità, consentì l’enorme sviluppo dei motori a combustione interna: iniziava così l’era dell’automobile, che sostituì la ferrovia quale bene strategico della civiltà industriale. Si diffuse l’impiego dell’acido solforico per la preparazione di concimi ed esplosivi. Nel settore agricolo, grazie allo sviluppo dei trasporti, i mercati mondiali furono inondati dai cereali prodotti da Stati Uniti, Canada, Argentina, Australia. Poiché il loro prezzo era inferiore a quello europeo, si verificò una tendenza al ribasso dei prezzi agricoli in Europa. I produttori europei reagirono a queste difficoltà in due modi: da un lato chiedendo e ottenendo dai governi l’adozione di politiche protezionistiche (dazi sulle importazioni); dall’altro con investimenti per innalzare la produttività delle aziende agricole (meccanizzazioni, impegno di nuovi concimi chimici). Naturalmente, solo le agricolture meglio attrezzate poterono compiere tale conversioni. In campo industriale la crisi fu originata da sovrapproduzione. Per quanto riguarda l’offerta, ciò derivò dalla comparsa sul mercato di nuove potenze industriali, come Stati Uniti, la Germania e il Giappone, e dell’industrializzazione delle periferie europee: Austria, Russia, Italia. La massa della produzione tendeva a crescere in modo eccessivo rispetto alla domanda, che rimaneva modesta a causa del basso reddito di gran parte della popolazione. Nei settori che necessitavano dell’investimento di capitali molto ingenti le imprese meno dotate di capitali non sopravvissero. Alcune fallirono, altre su fusero e altre furono assorbite da aziende maggiori. Tutto ciò contrastava con la teoria della libera concorrenza e favoriva la nascita di monopoli. Si verifica una situazione di monopolio quando c’è solo un venditore a fronte di molti compratori. Prima della rivoluzione industriale la maggior parte della popolazione era addetta all’agricoltura e a vivere nelle campagne. Con la nascita e lo sviluppo delle fabbriche molti si spostarono andando a vivere nelle città. Inizialmente le condizioni igieniche lasciavano molto a desiderare. Il sistema delle fognature fu costruito, nelle grandi città europee, solo nel corso dell’Ottocento. Si affermarono i primi trasporti pubblici, per collegare i quartieri delle grandi città : dapprima i tram trinati dai cavalli, poi quelli elettrici e, sul finire del secolo, le ferrovie metropolitane. Il trasferimento di grandi masse nelle nuove città dell’età industriali, produsse una profonda trasformazione anche sul piano dei rapporti sociali. Se osserviamo i loro abitanti dal punto di vista 12 dell’occupazione, del reddito e della loro collocazione nella scala sociale, vediamo che le città presentavano un quadro molto più articolato del passato. Un tempo, infatti nelle città vivevano prevalentemente nobili e uomini di Chiesa, ricchi borghesi, domestici e poveri, più una minoranza di artigiani e operai. L’industria degli svaghi e dei divertimenti diventava sempre più ricca e piena di novità con il circo, l’operetta, il cinema: la più recente forma di intrattenimento inventata nel 1895 dai fratelli Lumière in Francia. Nei paesi più progrediti nacquero i moderni sistemi di istruzione pubblica. Con l’avvento della società industriale di massa mutarono in modo profondo anche le istituzioni e la concezione stessa della vita politica. Le masse, infatti, entrarono sulla scena della storia non più in forma episodica, come era stato nella Rivoluzione francese e nei moti ottocenteschi, ma in modo stabile e duraturo. Strumento di questa trasformazione fu il suffragio universale maschile. Come organizzare la vita politica della nuova società industriale di massa? Strumento organizzativo e politico di questa trasformazione fu il partito di massa. I primi a creare partiti secondo questo modello furono i socialisti. L’industrializzazione accrescendo la classe operaia e, soprattutto, concentrando grandi quantità di lavoratori in fabbriche, favorì la nascita di organizzazioni di massa del movimento operaio: i sindacati, che organizzavano rivendicazioni e scioperi anche di milioni di lavoratori, e i partiti, in cui il movimento socialista vide uno strumento capace di dare ai lavoratori l’unità e la forza per incidere sulla vita politica nazionale, ottenendo miglioramenti e riforme. Sulla questa strada si mossero anche i cattolici. Leone XIII, papa dal 1878 al 1903, aveva compreso che la chiesa non poteva rimanere estranea ai problemi sociali posti dall’industrializzazione. SOCIETÀ DI MASSA Si tratta di società caratterizzate da un significativo ruolo delle masse nello svolgimento della vita politica e sociale, ma anche da una loro crescente omologazione, perdita di autonomia individuale, conformismo, facilità di manipolazione. L’avvento della società di massa viene solitamente datato tra la fine del IX sec. e gli inizi del XX e ha caratterizzato tutto il Novecento, parallelamente con l’affermarsi della società industriale, della produzione in serie e del mercato dei consumi di massa tipici di taylorismo e fordismo. L’aumento demografico, l’urbanizzazione di massa, la diffusione della scolarità, l’estendersi del diritto di voto hanno completato il quadro, favorendo un ruolo più consapevole e una maggiore partecipazione politica delle masse (non a caso è questa l’epoca anche dei partiti di massa), ma parallelamente la crescente burocratizzazione e concentrazione del potere, sempre più impersonale, il ruolo sempre più forte di strutture e organizzazioni rispetto ai singoli favorirono una crisi dell’individuo e della sua autonomia e un suo graduale immergersi e omologarsi nella società di massa. Tali processi hanno a loro volta creato un terreno favorevole al predominio di ristrette élite e all’avvento di regimi totalitari, che G.L. Mosse ha legato alla «nazionalizzazione delle masse». L’uso dei moderni mezzi di comunicazione di massa, dal cinema alla radio, ha costituito un’ulteriore importante componente di tale processo, come il ruolo crescente e pervasivo svolto dalla pubblicità nelle società democratiche nei decenni postbellici. Massificazione ed etero direzione dei comportamenti sono dunque avanzate ulteriormente nella seconda metà del XX secolo. La stessa crescita economica e l’estendersi del mercato dei consumi di massa hanno fatto sì che alle differenze economiche e sociali abbia corrisposto una graduale omogeneizzazione di costumi, stili di vita e modelli culturali, delineando un nuovo tipo di società di 13 massa: la società dei consumi. Parallelamente, la forza dei moderni mass-media, stampa e televisione in primo luogo, ha accresciuto le possibilità di manipolazione dell’opinione pubblica e dei comportamenti sociali. Molti studiosi hanno quindi individuato nelle società di massa una divisione fra un «pubblico di élite, composto da gruppi dirigenti e avanguardie intellettuali, e un «pubblico di massa, ossia un insieme di persone dotate di un sistema di credenze cognitivamente povere ed emotivamente instabili e pertanto esposte alle manipolazioni delle élite. In questo senso, le teorie sulla società di massa mettono in luce come alcuni processi di modernizzazione tendano a costruire una società di “uguali” che, se da una parte poggia su una base estesa di democratizzazione, dall’altra – accrescendo le disuguaglianze in termini economici e di potere e alimentando dinamiche di omologazione e atomizzazione sociale, allontana le masse stesse dall’esercizio della sovranità e in qualche caso dalla stessa partecipazione politica. La rivoluzione industriale è un processo di trasformazione in cui un sistema prevalentemente agricolo-artigianale-commerciale diviene un sistema industriale. Da tale processo di trasformazione ne conseguono numerosi miglioramenti. La seconda rivoluzione industriale portò ad una serie di novità, in particolare investirono il campo elettrico, soprattutto in Italia, con la costruzione della centrale termoelettrica a carbone per opera di Galileo Ferraris. In Italia, mancando il carbone fossile e scarseggiando il carbone bianco si sfruttarono i corsi d'acqua per la produzione di energia elettrica. Così facendo non si andò incontro alle esose spese per l'importazione di carbone. Contrariamente al miglioramento del settore chimico, lo sviluppo dell’apparato elettrico fu decisamente più lento; infatti questo particolare settore ebbe un deciso incremento dopo il 1870, quando si produssero i primi generatori (la dinamo e il motore elettrico). I progressi in questo campo permisero la graduale diffusione della rete elettrica ad uso civile per l'illuminazione (e successivamente l'utilizzo dei primi elettrodomestici), nelle case e nei luoghi di lavoro. 14 ELETTRICITA’ Col termine elettricità (deriva dal greco, il significato originale è "ambra") si fa riferimento genericamente a tutti i fenomeni fisici su scala macroscopica che coinvolgono una delle interazioni fondamentali, la forza elettromagnetica, con particolare riferimento all'elettrostatica. A livello microscopico tali fenomeni sono riconducibili all'interazione tra particelle cariche su scala molecolare: i protoni nel nucleo di atomi o molecole ionizzate, e gli elettroni. I tipici effetti macroscopici di tali interazioni sono le correnti elettriche e l'attrazione o repulsione di corpi elettricamente carichi. L'elettricità è responsabile di ben noti fenomeni fisici come il fulmine o l'elettrizzazione, e rappresenta l'elemento essenziale di alcune applicazioni industriali come l'elettronica e l'elettrotecnica attraverso segnali elettrici. Divenuta contemporaneamente il più diffuso mezzo di trasporto per l'energia nelle reti elettriche e uno dei più diffusi mezzi di trasporto per l'informazione nelle telecomunicazioni (comunicazioni elettriche), l'elettricità è diventata il simbolo del mondo moderno: illumina le abitazioni, fa funzionare le fabbriche e rende vicini i popoli più lontani. TEMATICA SVOLTA: CORRENTE ELETTRICA: Nel vasto campo dell’ elettricità mi soffermerò sul tema della corrente elettrica e dei circuiti in corrente continua. Innanzitutto iniziamo a definire la corrente elettrica. La corrente elettrica è un flusso di cariche elettriche tra due punti, principalmente la carica è trasportata da elettroni che si muovono in un filo di metallo. Con tutti i limiti di un’analogia del genere, gli elettroni che scorrono in un filo possono essere paragonati alle molecole d’acqua che scorrono all’interno di un tubo per annaffiare il giardino. In particolare supponiamo che una carica Q attraversi una certa sezione del filo in u n tempo t; in questo caso diciamo che la corrente elettrica I nel filo ha intensità: 15 L’unità di misura dell’intensità di corrente, l’AMPERE (A), prende il nome dal matematico francese AndréMarie Ampère (1775-1836) ed è definita semplicemente come 1 coulomb al secondo. Da cui ne deriva: 1 A = 1 C/s. Quando una carica si muove lungo un percorso chiuso e ritorna al suo punto di partenza, definiamo tale percorso come circuito elettrico. I circuiti elettrici possono essere di due tipologie: circuiti in corrente continua e circuiti in corrente alternata. La prima tipologia è caratterizzata dal flusso di corrente che scorre sempre nella stessa direzione. Può essere denominata inoltre con la sigla CC oppure DC (dall’inglese direct current). Mentre nella seconda tipologia, la corrente inverte periodicamente la sua direzione; questa può essere denominata CA oppure AC (dall’inglese alternating current). LEGGE DI OHM E RESISTENZA Gli elettroni all’interno dei fili metallici si muovono con relativa facilità, nonostante ciò i fili metallici influiscono sul movimento degli elettroni, in quanto creano una resistenza al loro movimento in modo molto simile all’effetto dell’attrito. Per far si che gli elettroni vincano la resistenza del filo è necessario applicare una differenza di potenziale agli estremi del filo. Per un filo con una resistenza costante R, la differenza di potenziale V necessaria per ottenere una corrente I è data dalla Legge di Ohm, dal nome del fisico tedesco Georg Simon Ohm (1789-1854). Da cui ne deriva la formula: V = I*R nel sistema internazionale l’unità di misura è il volt (V) R è la resistenza che si ottiene risolvendo la legge di Ohm: 1Ohm = 1 V/A. La grandezza che caratterizza la resistenza di un dato materiale è la resistività o resistenza specifica p. Quindi maggiore sarà la resistenza maggiore sarà la resistività. La resistenza di un filo dipende anche dalla sua lunghezza L e dall’area A della sua sezione. Da queste osservazioni ne deriva la formula: Dato che l’ unità di misura di L è il metro (m) e quella di A è il metro quadrato (m^2) ne consegue che la resistività si misura in Ohm*m. Un elemento tipico di circuito è il cosiddetto resistore, o resistenza. Un codice a barre colorate ne indica il valore R e la sua tolleranza (10%, 5%,...). Resistori tipicamente usati in circuiti elettronici variano da pochi a migliaia di kiloohm (k), _fino al milione di (megaohm, ). Perché una corrente continui a circolare in un circuito occorre la presenza di un generatore di differenza di potenziale, o d.d.p.: un dispositivo (una batteria) che tramite reazioni elettrochimiche fornisce energia alle cariche. 16 Quindi la batteria utilizza reazioni chimiche per produrre una differenza di potenziale elettrico ai suoi estremi, denominati terminali o poli. Il simbolo della batteria è: Solitamente i circuiti elettrici contengono un gran numero di resistenze collegate tra loro in vario modo. Quando le resistenze sono collegate in fila una dopo l’altra diciamo che sono collegate in serie, l’effetto complessivo delle resistenze in serie è equivalente a quello di un’unica resistenza, denominata resistenza equivalente Req. La formula: Req= somma algebrica delle singole resistenze. L’unità di misura è Ohm. Quindi la resistenza equivalente è sempre maggiore della più grande delle singole resistenze che compongono il circuito in serie. Collegare resistenze in serie è come rendere una singola resistenza più lunga: all’aumentare della lunghezza aumenta anche la sua resistenza. Le resistenze come abbiamo detto in precedenza possono essere disposte in vario modo. Oltre alla disposizione in serie, le resistenze possono avere una disposizione in parallelo Grazie all’immagine sopra riportate riusciamo ad evidenziare le differenze tra le due disposizioni; oltre alla rappresentazione cambia anche la formula per calcolare la resistenza equivalente: Formula in cui Rt corrisponde alla resistenza equivalente. 17 LEGGE DI KIRCHHOFF Per calcolare le correnti e le differenze di potenziale in un qualunque circuito elettrico si utilizzano due regole introdotte la prima volta dal fisico tedesco Gustav Kirchhoff (1824-1887) Le leggi di Kirchhoff non sono altro che un modo particolare di esprimere la conservazione della carica ( legge dei nodi) e la conservazione dell’energia (legge delle maglie) in un circuito chiuso. Queste due leggi hanno una validità universale. La legge dei nodi sostiene che la somma algebrica di tutte le correnti che convergono in un nodo di un circuito deve essere uguale a 0. La legge delle maglie afferma che: la somma algebrica di tutte le differenze di potenziale lungo una maglia chiusa in un circuito è nulla. 18 CONDENSATORI E CAPACITA’ Non esistono circuiti costituiti solamente da resistenze ma esistono circuiti contenenti condensatori. Come i circuiti contenenti resistenze anche questo categoria di circuiti si dividono in due tipologie, condensatori in serie e condensatori in parallelo. Il modo più semplice di connettere i condensatori, a differenza delle resistenze, consiste nel collegarli in parallelo. La capacità equivalente si ottiene dalla somma algebrica delle singole capacità. Formula: I condensatori in serie corrispondono alle resistenze in parallelo. Difatti la formula è uguale a quella delle resistenze in parallelo ma il soggetto è la capacità dei condensatori in serie: Nel sistema internazionale la capacità equivalente si misura in Farad (F) CIRCUITI RC I circuiti, infine, possono essere composti sia da condensatori sia da resistenze, tali circuiti vengono denominati CIRCUITI RC. Questa tipologia di circuiti sono caratterizzati dalla presenza di una costante, chiamata costante di tempo caratteristico. Questi circuiti si dividono in due fasi: una di carica e l’altra di scarica. 19 In un circuito RC la carica sul condensatore varia nel tempo secondo la relazione: Se su un condensatore in un circuito RC è presente una carica Q all’ istante t=0 la sua carica in ogni istante successivo è data dalla relazione: Tipologia circuito: La rivoluzione industriale ebbe anche effetti negativi che vennero sottolineati da Marx e Dickens nonostante vivessero in due contesti completamenti diversi: uno in Germania e Dickens in Gran Bretagna 20 L’ALIENAZIONE SECONDO MARX. Premessa: Alienazione deriva dall’aggettivo latino alienuse questo, a sua volta, dal pronome indefinito “alius” (in greco allos): altro. Il termine fa riferimento a colui o a ciò che è altro, straniero, non appartenente alla nostra comunità, in pratica che “non è dei nostri” e che, quindi, ci è estraneo. L’alienazione, nel suo verbo “alienare”, fa parimenti riferimento all’atto dell’allontanare o dell’estraniare da sé e, quindi, all’atto di prendere distanza da qualcuno o da qualcosa. TEORIA DI MARX: Alla base del marxismo vi è il proposito di trasformare la realtà, in modo da liberare l’uomo dall’alienazione. Marx si concentra sullo studio di due ambiti come la religione e la società e si preoccupa principalmente della figura dell’uomo all’interno di questi ambiti. Il filosofo tedesco sostiene la critica di Feurbach sul terreno religioso, in particolare la denuncia dell’alienazione religiosa. Feurbach criticava la religione in quanto secondo il filosofo non fu Dio che creò l’uomo ma l’uomo stesso che formò Dio; quindi la figura dell’uomo non è altro che una proiezione dell’essenza umana, una personificazione delle qualità e delle aspirazioni umane. Perciò la figura divina è un prodotto umano/culturale. Da questa teoria ne consegue la visione dell’uomo alienato dalla religione, in quanto ”più dà a Dio più toglie all’uomo stesso”. Marx, in parte d’accordo con la teoria di Feurbach, considera la religione come l’immagine di un mondo rovesciato in cui, al posto dell’uomo reale, è stata messa l’essenza astratta dell’uomo. La religione è l’oppio dell’uomo: l’opera di un’umanità sofferente e oppressa costretta a cercare consolazione nell’universo immaginario della fede. Secondo Marx, come per Feuerbach, per liberare l’uomo da questa alienazione bisogna mutare le situazioni concrete della vita che condizionano e portano l’uomo a credere alla religione, ma ciò si può realizzare solo se si elimina il disagio che fa soffrire l’uomo. L’ elaborazione di questa teoria portò Marx a sostenere che alla base dell’alienazione religiosa vi è quella economica. Marx si contrappone alla visione degli economisti e filosofi borghesi, i quali presentavano certi aspetti della società capitalistica (proletari, salari, rendite, profitti, sfruttamento e proprietà privata) come conquiste dell’umanità sulla strada del progresso, ritenendoli esiti necessari e fondamentali per lo sviluppo dell’uomo. Consapevolmente o inconsapevolmente questo pensiero non porta che ad una mistificazione della realtà. Nell’economia capitalistica, il proprietario dei mezzi di produzione ( ra i quali non vi sono solamente gli strumenti ma anche ciò a cui si applicano) è anche il proprietario del lavoro e dei prodotti altrui. Il lavoratore è ridotto a merce in quanto cede al capitalista la forza delle sue braccia, il tempo del suo lavoro e il prodotto stesso del suo lavoro. Quindi tutto ciò non gli appartiene più, gli è estraneo, il lavoratore ne è espropriato. Il prodotto, separandosi dal produttore, sembra assumere una vita propria, diventa una potenza ostile. 21 Da questo ragionamento, il lavoratore risulta alienato da ciò che ha prodotto e dalla propria attività dunque alienato da se stesso. Secondo Marx l’alienazione è autoalienazione (alienazione da se stessi), questo porta ad un aumento della svalutazione del mondo umano favorendo l’accrescimento del valore del mondo delle cose. Inoltre, per il filosofo tedesco, la divisione del lavoro del sistema lavorativo capitalistico favorisce l’accrescere dell’alienazione, poiché il lavoratore rimane legato ad un unico pezzo del prodotto. Da ciò ne consegue un impoverimento drammatico della natura e della creatività umana, in quanto viene negato lo sviluppo completo dell’individuo, portando ad una separazione del lavoro mentale da quello fisico; il lavoratore cosi diviene una “ mera macchina” rotta nel corpo e brutalizzata nello spirito; l’uomo viene mutilato e ridotto ad un frammento di essere umano. L’alienazione, sostiene Marx nei “Manoscritti economico-filosofici del 1844”, non è un fatto eterno ed inevitabile ma è il prodotto di un particolare processo storico. Questa situazione è il prodotto dello sviluppo della borghesia, ossia del sistema capitalistico. Nell’opera Marx differenzia l’uomo dall’animale, sostenendo che l’uomo diventa tale solo quando comincia a produrre i propri mezzi di sussistenza: il lavoro e la produzione non sono quindi una condanna, bensì sono l’uomo stesso. Il lavoro è l’unica manifestazione della libertà umana. Tuttavia, la condizione dell’uomo nella società capitalistica è definita da Marx, come “Alienazione”: Marx vi trova uomini non realizzati ma alienati, espropriati del proprio valore di uomini a causa dell’espropriazione o alienazione del loro lavoro. Il prodotto del lavoro dell’uomo, viene alienato dallo stesso uomo perché diventa proprietà privata dell’altro sotto forma di capitale. Non è l’operaio che adopera i mezzi di produzione ma viceversa. Costituendo il lavoro l’essenza dell’uomo, ma essendo egli alienato nel lavoro, è alienato da sé: Autoalienazione. Nella sua filosofia Marx sottolinea il rapporto tra macchina e uomo, in cui assegna al ruolo sempre più rilevante della macchina la causa della spersonalizzazione del lavoro. In questo sistema le macchine garantiscono un lavoro maggiormente livellato, ma da questo ne consegue un notevole ridimensionamento del ruolo dell’uomo, il quale diventa un semplice addetto sostituibile, intercambiabile. Perciò invece che liberare il lavoratore, la macchina lo ha definitivamente asservito ad un potere estraneo. Il lavoro è organizzato in funzione delle esigenze della fabbrica e delle macchine (“il ciclo produttivo non si può fermare”) e l’ operaio non può influenzare il processo produttivo. Un’altra responsabile di questa posizione dell’uomo è l’economia politica : contrasto tra uomo “bourgeois” (società borghese) e l’uomo “citoyen” (società politica), che occulta l’alienazione che è nell’essenza del lavoro, questo accade perché l’economia politica non considera “ il rapporto immediato fra il lavoratore e la produzione”. La soluzione possibile secondo Marx è il comunismo: lo considera l’unica possibilità per liberare l’uomo dall’alienazione permettendogli di riappropriarsi di se stesso, cioè della sua essenza. Questa nuova forma politica-economica-sociale riporterà l’uomo alla sua essenza di uomo sociale, umano. Per sostenere questa nuova teoria Marx utilizza il linguaggio Hegeliano ponendo il comunismo come “negazione della negazione”. La dialettica hegeliana diventa cosi lo strumento del pensiero e della pratica rivoluzionaria, non è più la legge del divenire dello spirito poiché secondo Marx non esiste una ragione che governa il mondo e la storia. Il comunismo non si realizza per una maturazione spirituale, per una riforma filosofica o per un mutamento di mentalità, ma solo attraverso un radicale cambiamento politico ed economico, che abolisce il fondamento materiale dell’alienazione ossia la proprietà privata. La storia è giunta, con la formazione del proletariato, all’estrema disumanizzazione dell’uomo. 22 CHARLES DICKENS Biographical notes Cenni biografici Charles Dickens was born in Hampshire, in the south of England. The young Charles moved with his family to London where at the age of 12, was sent to work 12 hours a day in a factory. His education up to this moment had been scarce but the factory owner, a friend of his father's, took pity on him and gave him some private tuition. His father's financial situation, however, was so bad that the whole family was committed to the Marshalsea debtor's prison, due to unpaid debts. Fortunately the family's situation improved slightly when Dickens's grandmother died and left the family a small amount of money which helped clear their debts and release them from prison. This two experiences marked him for ever, probably it is for this reasons that Dickens is so critical toward society. Dickens obtained a formal education, and in 1827 began to work, first as a solicitor's clerk and then as a freelance journalist. He also began to write various paper anonymously for the Monthly Magazine and the Evening Chronicle, adopting the pseudonym, Boz. In 1836 Dickens married Catherine Hogarth and had 10 children but the couple separated in 1858.The success of his first works led him to publish, in installment form, his first novel, by now under the name of Charles Dickens. Charles Dickens nacque nella regione dell' Hampshire, nell'Inghilterra meridionale. Il giovane Charles si trasferì con la sua famiglia a Londra, dove, all'età di dodici anni, fu mandato a lavorare in una fabbrica per dodici ore al giorno. Fino a quel tempo la sua istruzione era stata scarsa, ma il proprietario della fabbrica, un amico del padre, si impietosì e gli impartì delle lezioni private. La situazione finanziaria del padre, però, era così drammatica che tutta la famiglia fu rinchiusa a Marshalsea, la prigione dei debitori, a causa di debiti non pagati. Fortunatamente la situazione finanziaria della famiglia migliorò lievemente quando la nonna di Dickens morì e lasciò alla famiglia una piccola somma di denaro, che permise loro di saldare i debiti, con il conseguente rilascio dalla prigione. Queste due esperienze lo segnarono per sempre, probabilmente è per questi motivi che Dickens è così critico nei confronti della società. Dickens ricevette in seguito un'istruzione regolare, e nel 1827 iniziò a lavorare, prima come impiegato presso un avvocato e poi come giornalista freelance. Iniziò anche a scrivere articoli anonimi per il “Monthly Magazine” e l'“Evening Chronicle”, sotto lo pseudonimo di Boz. Nel 1836 sposò Catherine Hogarth ed ebbe 10 figli, ma le coppia si separò nel 1858. Il successo dei suoi primi lavori lo spinse a pubblicare il suo primo romanzo, a puntate, con il suo vero nome. 23 Commentary Commento Charles Dickens is one of the most prolific writers in English literature. His works are also amongst the most popular, being adapted for radio, theatre, cinema and television still today. His childhood poverty had a profound effect on him and his writing and also seems to have given him an acute sensitivity towards his environment, his age and those who populated it. It also provided him with firsthand knowledge of the other, darker face of the Victorian age which he then transformed into material for his works, producing unforgettable characters and situation which blatantly exposed the inhumanities of his day. The English author did not propose revolutionary changes for his period as he was, after all, a true Victorian. Rather, he advocated a moral solution as, more often than not, in his tales good would overcome evil. Charles Dickens è uno degli scrittori più prolifici della letteratura inglese. Le sue opere sono ancora oggi tra le più popolari, con adattamenti per la radio, il teatro, il cinema e la televisione. La sua infanzia povera ha avuto un profondo effetto su di lui e sulla sua scrittura e sembra anche avergli dato una particolare sensibilità riguardo all'ambiente e all'epoca in cui ha vissuto e le persone che ne hanno fatto parte. Inoltre, gli ha fornito una conoscenza di prima mano dell'altra faccia dell'età Vittoriana, quella più oscura, che ha in seguito trasformato in materia per le sue opere, dando vita a personaggi e situazioni indimenticabili, che mettono in luce apertamente le crudeltà del suo tempo. L'autore inglese non ha proposto cambiamenti rivoluzionari per il suo tempo, poiché, dopo tutto, era un autentico uomo vittoriano. Piuttosto, ha invocato una soluzione morale, perchè, il più delle volte, nei suoi racconti il bene vince sul male. 24 Hard times Tempi difficili Written after “Oliver Twist”, this novel is divided into three parts: Sowing, Reaping and Garnering. These recall quite clearly the words from the Bible: "As ye sow, so shall ye reap". The "sowing" (which includes the extract we are going to look at) in Hard Times is represented by family values and the education system of the time; a system which posed an opposition between fact and fancy. Dickens exaggerates the rigid Victorian emphasis on facts in education as a criticism to the harsh, yet popular, utilitarian attitude to life at the time, promoted by the philosopher and economist, John Stuart Mill. It was an attitude which praised success, the self-made man and hard work and despised poverty, lack of initiative and anything which was not productive or useful to the community. These two conflicting poles: facts, production, wealth versus imagination, feelings and emotions, are represented in various ways throughout the novel. Coketown and the factories within it create a gloomy, grey and often heartless backdrop to the developments of the novel and is a constant reminder of how an economic dependency on industry has now been created and how it can come to govern the lives of people. . Scritto dopo “Oliver Twist”, questo romanzo è diviso in tre parti: la Semina, la Mietitura e il Raccolto. Queste parti rimandano piuttosto chiaramente alle parole della Bibbia: "Chi semina, raccoglie". La parte relativa alla "Semina", in “Tempi Difficili”, è rappresentata dai valori familiari e dal sistema educativo del tempo; un sistema che contrapponeva fatti e fantasia. Dickens esagera la rigida enfasi vittoriana sui fatti nel campo dell'istruzione, per criticare la dura, ma ancora popolare, attitudine utilitaristica alla vita di quel tempo, promossa dal filosofo ed economista, John Stuart Mill. Era un atteggiamento che elogiava il successo, il selfmade man, e il duro lavoro e disprezzava la povertà, la mancanza di iniziativa e tutto ciò che non era produttivo o utile per la società. Questi due poli contrastanti: i fatti, la produzione, la ricchezza contro l'immaginazione, i sentimenti e le emozioni, sono rappresentati in vari modi in tutto il romanzo. Coketown e le fabbriche al suo interno creano uno scenario cupo, grigio e spesso spietato che fa da sfondo agli sviluppi del romanzo ed è un costante monito di come si sia ormai generata una dipendenza economica dall'industria e come essa governi la vita delle persone. 25 Bibliografia: • James S. Walker- “Fisica, volume terzo”, Elettromagnetismo Fisica atomica e subatomica, edizione linx; • Alberto De Bernardi, Scipione Guarracino- ” I saperi della storia 3 Il Novecento, Mondadori 2006; • Luperini, Cataldi, Marchiani, Marchese, Donnarumma-“La scrittura e l’ interpretazione”, tomo B; • Medaglia, Young - “With rhymes and reason” casa editrice: Loescher,2006; • La Vergata, Trabattoni- “Filosofia cultura e cittadinanza” volume 3, La nuova Italia 2011; • Wikipedia, the free encyclopedia, www.wikipedia.org ; 26