Storia ebraica di salvezza narrata come una storia

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George Y. Kohler
La storia della religione ebraica può essere certamente narrata come una storia di costanti riforme. Quello che intendo con riforma in questa sede – e questa è una parola molto difficile
per l’ebraismo tradizionale oggi – non è solo l’adeguamento della vita ebraica e della pratica
religiosa alle nuove circostanze storiche o sociali. Riforma è il cambiamento intenzionale e conscio della vita ebraica e della pratica religiosa intrapreso dallo stesso popolo ebraico e concettualizzato dai suoi leader spirituali. Riforma è un’attività attiva e volontaria intrapresa, nella
maggior parte dei casi, per affrontare, gestire e superare nuove sfide storiche o sociali. Nel linguaggio testuale principalmente giuridico (non teologico) dell’ebraismo tradizionale tali riforme
vengono chiamate ‫חידוש‬, vale a dire innovazione, novità. Così, ad esempio, l’importante legalista medievale Rabbis Shimon Adret (1235-1310) scrisse un commento sul Talmud, chiamato ‫חידושי הרשב''א‬, tradotto letteralmente “Innovazioni del Rashba”, l’acronimo dell’autore.
Data la natura canonica del Talmud per l’ebraismo, questo titolo sembra alquanto ribelle oggi,
ma ovviamente così non era nella Spagna medievale.
Riforme costanti, o innovazioni deliberate, hanno forgiato la religione ebraica dai tempi della
Bibbia fino a oggi, e oserei persino dire che questo interessante fenomeno faccia parte del
grande segreto della sopravvivenza dell’ebraismo attraverso i millenni della sua storia, non solo
fisicamente ma anche intellettualmente. Per l’ebraismo sembra che non sia stato tanto il potere
unificante di alcuni principi di fede, di dogmi incrollabili, a garantire la sua persistenza e la continua esistenza della religione ebraica, quanto piuttosto la capacità di cambiare, una sorprendente flessibilità teologica. Ci sono pochissimi concetti su cui tutti gli ebrei di oggi concorderebbero, probabilmente tra questi non c’è neanche la natura divina della Torah. Tutti gli ebrei,
però, ancora orgogliosi di essere ebrei, sarebbero d’accordo, suppongo, sul fatto che ciò che ci
unisce, ciò che ci dà un’identità comune, è la grande e duratura storia ebraica – dove gli ebrei
sono sempre sopravvissuti perché in grado di anticipare profeticamente le ripetute sfide esistenzialiste e riformare di conseguenza drasticamente la loro religione, spesso appena in tempo.
Tutte queste riforme dell’ebraismo, però, hanno una natura in comune. Si tratta probabilmente
della più straordinaria caratteristica della storia della costante auto-reinvenzione ebraica:
l’ebraismo oggi è allo stesso modo ancora la vecchia religione biblica di Mosè, ma anche una
religione totalmente nuova nata dalle richieste del tempo. In altre parole, per quanto possiamo
credere all’origine divina della Torah (i cinque libri di Mosè), e per quanto la Torah sia vista
ancora come il testo fondamentale da tutte le confessioni ebraiche, è ancora un dato di fatto
innegabile che la maggior parte delle norme rituali e sociali del Pentateuco non sia più rispettata neanche dagli ebrei più osservanti. Inoltre, sebbene l’ebraismo si sia sempre visto come una
‘religione di legge’ e la sua pratica quotidiana, la stessa strana doppia natura, stia forgiando una
teologia ebraica astratta, esso si basa essenzialmente sulla Bibbia, ma, messo alla prova, non ha
più molto a che fare con la teologia biblica. È questo allora il carattere delle forme più sane del
riformismo ebraico: esso preserva il passato nello stesso modo in cui si reinventa. Più che una
questione di principio, la visione ebraica della riforma riguarda la velocità e la radicalità dei
cambiamenti ammessi. Al contrario, il concetto di chidush, innovazione, è centrale per
1
l’ebraismo ed è sempre stato considerato opportuno. Solo molto più tardi, dalla metà del XIX
sec. in poi, quando con il pieno sviluppo della modernità il passo del cambiamento storico
diventò troppo veloce perché l’ebraismo tradizionale potesse adattarsi, si creò un divario tra
ciò che oggi chiamiamo ortodossia ebraica e il Movimento Ebraico Riformista. Ma anche qui,
come vedremo, la questione non riguarda alla fine la possibilità del cambiamento in generale,
ma solo la velocità con cui si dovrebbero introdurre le riforme e quanto si dovrebbe preservare
della ‘tradizione sacra’ solo ed esclusivamente perché si tratta della tradizione ebraica.
Ma partiamo dall’inizio. Potremmo dire che teologicamente la prima riforma fu introdotta da
Dio stesso e, inoltre, su se stesso, fornendoci una guida per tutte le modifiche successive.
L’inizio del popolo ebraico e della sua religione non è quindi l’evento famoso al Monte Sinai,
ma la rivelazione precedente al roveto ardente. Qui Dio rivelò il Suo nome. Questa fondamentale riforma del nome – da qualcosa al niente – è il primissimo inizio del vero monoteismo che
presto divenne il marchio teologico dell’ebraismo. Dio dice a Mosè: Mi sono manifestato ad
Abramo, a Isacco, a Giacobbe come Dio l'Onnipotente (El Shadday) (Es 6,3), ma non ho fatto
conoscere loro il mio nome di Signore, “Io sono colui che sono” (Es 3,14). L’essere più unico
non ha bisogno di un nome, perché i nomi servono a distinguere tra cose simili. C’è, però, un
solo Dio, un creatore, un sovrano, una verità in questo mondo. Questo Dio non ha bisogno di
un nome; non ci sono Dei a fianco a Lui, né più deboli né stranieri, quelli delle altre tribù. C’è
qualcosa di nuovo che devi imparare, Mosè: Dio non ha un nome perché Dio è unico.
Con questa concezione di Dio riformata Israele era al Monte Sinai, dove ricevette i Dieci Comandamenti, uno dei testi centrali della Torah. Ci troviamo ora all’inizio di una lunga catena di
ciò che potremmo chiamare ‘riforme interne alla Bibbia’. Questo perché, se si paragonano le
due versioni dei Dieci Comandamenti, una nell’Esodo e una nel Deuteronomio, si scoprirà
che, persino questo ‘elenco sacro’ di precetti divini rivelati è stato sottoposto a una riforma del
testo in diversi passaggi. Le modifiche della versione del Deuteronomio hanno un profondo
significato teologico per l’ebraismo e sono oggetto di discussione da parte dei teologi ebraici.
Dimostrerò, però, una ‘riforma interna alla Bibbia’ con un altro esempio derivante dai Dieci
Comandamenti. In un passaggio spesso citato si dice riguardo a Dio: ‫– פוקד עון אבות על בנים‬
(Es 34,7), “che castiga la colpa dei padri nei figli”. All’apparenza si tratta di un’affermazione
ripugnante che non si addice alla nostra coscienza morale; perché i bambini dovrebbero soffrire per mano di un Dio giusto per un peccato che non hanno commesso? Questo problema
etico è stato chiaramente identificato nella stessa Bibbia. Già nel Deuteronomio troviamo il
primo tentativo di riformare il messaggio del verso: “Non si metteranno a morte i padri per i
figliuoli, né si metteranno a morte i figliuoli per i padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato.” (24, 16); e il Profeta Ezechiele poi lo demolisce in quattro parole: “ ‫הַ נֶּפֶ שׁ‬
‫“ – ”הַ ח ֹטֵ את הִ יא תָ מוּת‬Colui che ha peccato e non altri deve morire!” (18,19). Inoltre, quasi
per chiarire del tutto il fatto che Ezechiele sta introducendo una correzione dei Dieci Comandamenti, aggiunge “il figlio non sconta l'iniquità del padre.”
Ora, se ricordate che per gli ebrei praticanti vi è una gradualità religiosa irrevocabile delle tre
parti dell’‘Antico Testamento’ che considera la Torah (Pentateuco) come la più sacra e diretta
rivelazione di Dio, questa riforma etica è realmente notevole. Da molti filosofi di epoche successive la riforma di Ezechiele fu vista come una delle riforme epocali nella letteratura occidentale. L’anima rappresentava qui la metafora perfetta dell’individuo, e l’accettazione del principio
della responsabilità individuale è un prerequisito essenziale per la formazione di una società
2
acculturata con relazioni sociali e giuridiche tra esseri umani. Inoltre, come se fossero coscienti
del profondo significato, almeno per il carattere riformista dell’ebraismo, i Saggi del Talmud
riconobbero a sorpresa la riforma di Ezechiele esattamente per ciò che era: “Mosè disse Il Signore castiga la colpa dei padri nei figli, arrivò Ezechiele e lo abolì...” (Bab. Talmud, Makkot 24a, la
parola ebraica usata qui per abolire è bitul, e “bitul Torah” è considerato, in effetti, un peccato
cardinale nell’ebraismo.)
Prima di passare al Talmud stesso, ecco un altro esempio biblico di riforma graduale riconosciuta come tale dai saggi del Talmud per motivi teologici: quando gli Israeliti mormoranti furono attaccati dai serpenti velenosi nel deserto, Mosè fece un serpente di rame e lo mise sopra
un’asta “e quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame,
restava in vita.” (Num 21,9). Si tratta di un racconto misterioso che indusse molte interpretazioni da parte di commentatori ebraici che cercavano di dargli una spiegazione naturale. Ciononostante leggiamo già nel Secondo libro dei Re (18,4) che il re Ezechia (‫ )חִ זְקִ יָּה‬molto pragmaticamente “fece a pezzi il serpente di bronzo, eretto da Mosè; difatti fino a quel tempo gli
Israeliti gli bruciavano incenso.” (18,4) Cosa diede a Ezechia il diritto di distruggere apertamente e deliberatamente un segno che nessun altro, oltre Mosè, aveva creato, su ordine diretto di
Dio stesso? Perché bruciare l’incenso rappresenta un problema? Anche in questo caso i saggi
del Talmud non solo approvano l’atto riformista del re, ma ne forniscono anche una spiegazione: l’asta del serpente era nel frattempo diventata un oggetto di idolatria e l’adorazione di
oggetti è considerata un’offesa a Dio talmente grave che Ezechia era assolutamente giustificato
in ciò che aveva fatto. (Bab. Talmud Hullin 6b).1 Ezechia era il re storico delle drastiche riforme antiidolatriche ed è celebrato ancora oggi per questa attività.
Le riforme più importanti, però, per l’ebraismo furono fatte dagli stessi saggi del Talmud, i
cosiddetti Farisei. Quando i Romani distrussero il santuario centrale dell’ebraismo, il Tempio di
Gerusalemme, la religione ebraica nella sua forma biblica era destinata a crollare. Tutto ruotava
intorno al Tempio, i sacrifici, i pellegrinaggi, persino il Sanhedrin, la suprema corte religiosa
dell’antichità. Non c’era alcuna possibilità per l’antico ebraismo di sopravvivere senza il santuario. I rabbini talmudici, però, avevano da tempo avviato un discreto progetto di riforma per
salvare l’ebraismo dalla rovina, perché persino prima della distruzione del Tempio avevano
compreso che la loro religione dovesse essere riformata per rimanere vitale e significativa. Se i
sacrifici erano fondamentali per l’ebraismo, si potrebbe affermare che la religione ebraica sarebbe svanita dopo la distruzione del Tempio.2 Quindi, quando il rabbino Yochanan ben Zakkai fuggì di nascosto dalla Gerusalemme sotto assedio e gli furono concessi tre desideri dal
Vespasiano, questa massima autorità dell’ebraismo non chiese che fosse preservato il Tempio,
ma chiese di avere un beit midrash a Yavne (Bab. Talmud, Gittin 56b). Una casa della cultura doveva sostituire la casa dei sacrifici; solo quest’unica e deliberata riforma del Rabbino Yochanan
cambiò la faccia dell’ebraismo per sempre. Non appena i rabbini si sostituirono appieno ai
sacerdoti, iniziarono il loro enorme lavoro di ricostruzione dell’ebraismo da un culto localizzato e costruito intorno al santuario in una religione ‘mobile’ e costruita intorno al libro; non
conosco un progetto di riforma paragonabile nella storia della religione.
1 Confronta qui Giovanni 3, 14-15! Sembra che Giovanni non segua la riforma di Ezechia contro l’idolatria: “E
come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque
crede in lui abbia la vita eterna.”
2 Cf. Abraham Geiger, Das Judenthum und seine Geschichte, vol. 1, p. 52-54.
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Per ogni concetto dell’antico ebraismo biblico era necessario trovare una nuova espressione
vitale; però, e questo era l’arduo compito dei rabbini, senza realmente abbandonare l’identità
fondamentale ebraica. Ogni concetto dell’ebraismo biblico doveva essere riformato, vale a dire
trasformato in una nuova pratica senza scollegarlo dalle vecchie connotazioni interne al testo
biblico e al culto rituale così come praticato prima della fine dell’ebraismo del tempio. I rabbini
organizzarono quindi funzioni per la preghiera, di fatti la vera idea della preghiera (sconosciuta
alla Bibbia ebraica) al posto dei sacrifici. Programmarono tre preghiere obbligatorie alle stesse
ore dei tre sacrifici quotidiani del tempio e, inoltre, identificarono nel testo della Torah determinati versi che facevano riferimento ad attività simili alla pregheria dei tre patriarca biblici.
Questi ultimi sono diventati perciò i ‘padri’ delle tre funzioni per la preghiera fino ad oggi. I
rabbini del Talmud non sostituirono semplicemente i Cohanim, la progenie dell’Aronne biblico,
il primo sacerdote, come leader spirituali dell’ebraismo; essi riservarono saggiamente ai sacerdoti un posto d’onore all’interno della funzione nella Sinagoga dove continuarono a benedire la
gente con le loro benedizioni bibliche tradizionali (Num 6, 22-27).
Questa sostituzione rigorosa del sacrificio animale con la preghiera fu una riforma teologica
che raggiunse il suo apice nella nuova pratica del giorno di astinenza in cui fu formalmente attuata
e continuata la prescrizione biblica. Fu però istituita un’idea completamente nuova e potente di
confessione, pentimento e ritorno (teshuva) personali. La sostituzione del tempio come Casa del
Signore (dove ‘viveva’ la shekinah) con la sinagoga come casa della cultura non era di poco conto:
l’aspetto fisico dell’idolatria fu sostituito dall’idolatria della parola divina; verità materiale con
verità virtuale. La manifestazione di Dio sulla terra fu delegata a un libro, a lettere astratte e al
loro significato. Il comandamento divino relativo all’apprendimento della Torah si rivelò il più
importante atto di idolatria per l’ebreo talmudico, perché la donazione della divina Torah fu
vista allora come l’atto miracoloso del messaggio di Dio che rompeva il muro della trascendenza.3
Subito dopo che la sopravvivenza dell’ebraismo fu assicurata da quelle trasformazioni della
religione ebraica e i rabbini avevano acquisito il loro nuovo ruolo di insegnanti nominati dalla
gente, in contrasto con il sacerdozio ereditario, divennero necessari nuovi cambiamenti perché
la persecuzione, l’esilio e l’emigrazione avevano fatto sparpagliare il popolo ebraico in quasi
tutta l’area del Mediterraneo. La più profonda e radicale riforma dei rabbini del Talmud nei
primi secoli cristiani consistette, pertanto, nella violazione consapevole della loro legge non
scritta; e nella scrittura delle norme orali dell’ebraismo. Una delle tradizioni più antiche
dell’ebraismo era l’idea che al Monte Sinai fossero state date in realtà a Mosè due leggi: una in
forma scritta nel Pentateuco e una in forma orale. Il comandamento divino relativo alla legge
orale prescriveva di non metterla mai per iscritto perché, una volta fissata per iscritto, avrebbe
perso immediatamente lo scopo prefissato: essere un’interpretazione sempre flessibile della
legge scritta consentendoci di conservare i comandamenti della Torah scritta anche in circostanze storiche e sociali mutanti. Con coraggio i rabbini del Talmud abbandonarono questa
vecchia regola quando proprio quelle circostanze mutevoli resero la riforma inevitabile. Le
tradizioni orali iniziarono a essere dimenticate e, alla fine, perse nella vasta dispersione
dell’esilio del popolo ebraico. La legge orale fu quindi infine fissata per iscritto, all’apparenza
contro la volontà del Signore, ma difatti vi sono le prove che testimoniano che i rabbini erano
assolutamente sicuri di agire nell’ambito del piano divino: quando raccolsero tutte le leggi orali
3
Opposto, ad esempio, all’invio di Suo figlio con questo messaggio.
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nel primo libro extra-biblico di norme giuridiche, la Mishnah, lì registrarono e codificarono fedelmente anche la legge secondo cui non era assolutamente consentito mettere per iscritto le
tradizioni orali! Arrivò subito una nuova riforma rabbinica per risolvere il problema della flessibilità delle tradizioni orali. Quando i sei volumi della Mishnah si dimostrarono non sufficienti
a coprire tutte le questioni giuridiche che persino la realtà dell’antichità poneva nella vita quotidiana degli ebrei, i saggi scrissero un ampio commento sulla Mishnah che comprende ora circa
trenta volumi. Tale commento è ciò che chiamiamo Talmud. Persino il Talmud stesso viene
sempre integrato con nuove ‘innovazioni’, come detto all’inizio di questa conferenza.
Il Medioevo, infine, ha portato idee filosofiche nell’ebraismo. Mentre i rabbini del Talmud erano prevalentemente legalisti e giuristi, molti rabbini medievali erano profondamente influenzati
da pensieri filosofici, principalmente quello di Aristotele, che avevano appreso attraverso traduzioni arabe dal greco. Era la nascita della teologia ebraica. La riforma didattica, il più radicale
cambiamento dell’ebraismo durante il Medioevo, era la formulazione dei principi della fede
ebraica. Già nel X secolo il rabbino egiziano Saadia Gaon aveva scritto un “Libro delle credenze e della convinzioni” con una forte influenza, e nel XII secolo il rabbino Yehuda Halevi
formulò la sua teologia dell’ebraismo nella storia del Re dei Kuzar che fu convinto e convertito
all’ebraismo da un teologo ebraico, che spiegava con minuzia al re le verità della sua religione.
Alla fine, però, fu il grande Maimonide (1138-1204) a redigere per la prima volta un vero elenco di 13 Principi della fede ebraica. Chiariamolo dal principio: questo elenco, sebbene molto influente su tutto il pensiero teologico ebraico successivo, non fu mai accettato come vincolante
da alcuna autorità ebraica. E sebbene Maimonide dichiarasse di accettare che i suoi principi
fossero la condizione per l’ebraismo in sé, egli attirò per questo tentativo di riforma più critiche
che consensi. La fissazione del dogma ebraico si sarebbe opposta direttamente alla capacità
vitale dell’ebraismo di riformarsi e reinventarsi costantemente, come sostengono ancora oggi
gli oppositori di Maimonide. Ciononostante la riforma di Maimonide aveva fissato una volta
per tutte il pensiero teologico sistematico nell’ebraismo. Il vecchio e spesso ripetuto mito secondo il quale l’ebraismo non possedeva alcun aspetto dogmatico (ed era solo una ‘religione di
azione’), era irrimediabilmente scalfito. Con la riforma dogmatica di Maimonide la teologia e la
pratica legale dell’ebraismo si intrecciarono in modo inseparabile, semplicemente perché Maimonide non fu solo il più radicale filosofo ebraico del Medioevo. Egli fu allo stesso tempo il
più importante talmudista. Come riformatore religioso incorporò in modo innovativo nel suo
codice legale della legge talmudica di tredici volumi le proprie idee teologiche. Ad esempio:
codificò come legge ebraica vincolante il rigido divieto di immaginare Dio come essere corporeo di qualsiasi tipo, persino come luce. Con Maimonide, quindi, alcune credenze ebraiche di
base divennero per gli ebrei autoritarie, come l’osservanza dello Shabbat o della dieta kosher.
Credere che Dio avesse un corpo divenne da allora una grave trasgressione della legge ebraica.
Anche in questo caso, però, troviamo la classica natura del riformismo ebraico e il segreto del
successo finale delle riforme di Maimonide: la mescolanza geniale di vecchio e nuovo. La maggior parte dei cambiamenti radicali arriva spesso sotto forma di rigido tradizionalismo;
l’innovazione cerca almeno il collegamento formale con abitudini e consuetudini stabilite.
Mentre le riforme teologiche di Maimonide attirarono molta critica da rabbini contemporanei
con idee più tradizionali, la vera scissione dell’ebraismo in una corrente riformata e in sfumature diverse di ortodossia ebbe luogo solo nel XIX secolo. Fu sulla scia delle idee
dell’Illuminismo, e ancor più come conseguenza della caduta dei muri del ghetto e la successiva
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fine della pressione interna, che molti ebrei lasciarono la sinagoga. La vecchia ortodossia ebraica non aveva mezzi, e probabilmente anche nessuna intenzione di frenare questo sviluppo. Era
l’ora della ‘Riforma Ebraica’, 300 anni dopo Lutero. Il Movimento Ebraico Riformista non fu,
però, un movimento protestante contro il “Cattolicesimo Ebraico”. Esso fu piuttosto la risposta alla regola della diffusa indifferenza nei confronti dell’ebraismo e della frequente accettazione del battesimo da parte di grandi gruppi, specialmente ebrei istruiti all’inizio del XIX secolo. Con l’emergenza di una Riforma Ebraica fu discussa anche, per la prima volta, all’interno
dell’ebraismo la questione del significato teologico, l’importanza e il ruolo della riforma religiosa in sé: l’ebraismo riformista era autenticamente ebraico, o era una religione completamente
nuova, come molti rabbini ortodossi credono tutt’oggi?
Le vere riforme pratiche, introdotte dai primi rabbini riformisti, erano modifiche del tutto minori alla liturgia e all’interno delle sinagoghe. Furono abbandonate alcune usanze obsolete; si trattava per lo più di forma ed estetica. Curiosamente quelle riforme erano in realtà molto meno
significative confrontate con tutte le riforme citate finora. La reazione dei rabbini con idee più
conservatrici, dal XIX secolo ad oggi, al Movimento Ebraico Riformista fu però estremamente
aggressiva, ostile e sprezzante. Secondo loro, persino con quelle riforme minori si violava un
principio teologico di base dell’ebraismo, e non solo una o più norme pratiche. La riforma più
profonda della Riforma Ebraica fu dichiarare apertamente che le modifiche deliberate alla tradizione religiosa erano volute dal punto di vista teologico, vitali per lo sviluppo dello spirito
religioso, necessarie per la sopravvivenza della religione come coscienza morale della società.
In breve: in conformità alla volontà di Dio.
Fino a questo momento della storia ebraica tutti i riformisti, persino i più radicali, avevano
rigidamente difeso la credenza – altri potrebbero dire l’invenzione – che le alterazioni apportate alle tradizioni religiose fossero correzioni di errori capitati e, quindi, un ritorno al vero status
ordinato divinamente. In alternativa, se non si poteva razionalizzare questa giustificazione, le
riforme dovevano essere dichiarate ciò che la legge ebraica chiama hora’at sha’ah,
“l’insegnamento per l’ora”, vale a dire una sospensione provvisoria e temporanea di una determinata norma giuridica per amore di un messaggio e di uno scopo di Dio più grandi con
l’intero corpus della Sua legge. I primi riformisti, però, difesero sempre l’autorità della legge e
della tradizione religiosa in sé; l’ebraismo restava sempre una religione di legge.
I riformisti ebraici del XIX secolo, però, cambiarono la riforma in sé in uno strumento degli
scopi di Dio, provocando così la rabbia illimitata dell’ortodossia che vedeva piuttosto la tradizione in sé come un valore da difendere con tutti i mezzi. Il primo leader del fronte tradizionalista, il rabbino Moses Sofer (1762-1839), coniò lo slogan “Tutto ciò che è nuovo è proibito
dalla Torah” (‫)החדש אסור מהתורה‬, che si ritiene essere una citazione del primo codice legale
ebraico, la Mishnah (Orlah 3,10). Difatti, però, la parola “nuovo”, chadash, non significa
nell’originale riforme religiose, ma “nuove” primizie che non devono essere usate su divieto
della Torah. La resistenza tradizionalista, pertanto, contro il Movimento Ebraico Riformista nel
XIX secolo fu di per sé una riforma dell’ebraismo, perché (come abbiamo visto) prima dell’era
moderna “chadash” (stessa radice ebraica di “Chidushim” per il Talmud del rabbino Adret)
non fu mai considerata proibita dall’ebraismo nella misura in cui le innovazioni giungevano
sotto forma di correzioni o norme provvisorie.
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La vecchia ortodossia diede però vita, infine, a ciò che oggi chiamiamo ‘Ortodossia Moderna’
nell’ebraismo, vale a dire un movimento che cerca di unire l’osservanza della legge ebraica tradizionale a uno stile di vita occidentale moderno, alla partecipazione alla cultura generale, alla
formazione accademica e ai valori umanistici. In particolar modo con la fondazione dello Stato
di Israele, in cui vige ancora l’ortodossia, i primi rabbini capo furono costretti a introdurre, per
il nuovo Stato, riforme su larghissima scala che si fondassero sulla legge ebraica: si pensi solo
alle mucche da munta durante lo Shabbat, all’autopsia a scopo di formazione accademica o al
diritto di voto per le donne – tutto ciò sarebbe stato considerato una grande trasgressione solo
una decina di anni prima della fondazione di Israele.4
Se tutto ciò è vero, qual è stato il ‘grande peccato’ del Movimento Ebraico Riformista? Perché
l’Ebraismo Riformista è una grande occasione paragonato all’ebraismo dei rabbini, così come
l’ebraismo talmudico è stato paragonato alla Bibbia? Perché
a. I riformatori sostituirono l’autorità distrutta della legge e della tradizione ebraiche con una
serie di idee teologiche ed etiche derivanti da fonti letterarie ebraiche,
b. I riformatori trasformarono l’ebraismo da stile di vita nazionale del popolo ebraico in una
confessione personale dell’ebraismo.
Ecco un esempio: all’età di 28 anni il leader dei rabbini della prima generazione dei riformatori
ebraici, Abraham Geiger, scrisse un articolo sul ruolo delle donne nell’ebraismo chiedendo la
completa parità per la legge ebraica. Tutte le leggi tradizionali che discriminavano le donne
dovevano essere abbandonate, secondo Geiger, perché le donne moderne meritavano pari
diritti e dovevano partecipare alla funzione in sinagoga. Di nuovo, ci vollero in realtà per il
movimento riformista altri 150 anni, fino agli anni ’70 del 1900, per l’ordinazione del primo
rabbino donna. Proprio la proposta di Geiger fu però sufficiente a esporre tutti gli aspetti innovativi, e assolutamente senza precedenti, della riforma ebraica. Egli attaccò l’autorità della
tradizione nel nome dei valori umani. Mentre le riforme di Lutero avevano lasciato il dogma
della Chiesa fondamentalmente intatto, gli ebrei riformisti rovesciarono l’ultimo principio della
fede ebraica su cui, fino allora, tutti gli ebrei erano d’accordo: la credenza soprannaturale nella
natura divina della Torah come giustificazione della forza vincolante delle sue leggi. Il XIX
secolo fu l’epoca della scienza, il periodo in cui fu sviluppata la storiografia come disciplina con
metodi scientifici. Il razionalismo ha sempre esercitato una forte attrattiva su una religione incentrata sull’atto dell’apprendimento invece che su una credenza dogmatica. La storiografia fu
quindi subito applicata alle fonti scritte dell’ebraismo e la stessa Torah diventò un prodotto
della storia.
Persino i più radicali riformisti ebraici del XIX secolo, però, erano ebrei fieri e molto religiosi e
consideravano come loro primo compito l’assicurazione della sopravvivenza della religione
ebraica nell’epoca della modernità – allo stesso modo in cui i rabbini talmudici cercavano di
salvare l’ebraismo dopo la caduta del Tempio, quando in pratica sembrava non esserci possibilità di salvezza. L’emancipazione civile pose fine all’autonomia giuridica della comunità ebraica
e l’Illuminismo portò valori umani universali per tutti gli uomini e le donne. Era l’ora della fine
del vecchio ebraismo rabbinico. Le sue forze costitutive – autorità e tradizione – avevano per
La vecchia ortodossia sopravvisse solo nei quartieri simili a ghetti in Israele e negli USA, ma persino l’Ortodossia
Moderna attrae oggi solo meno del 20% di tutti gli ebrei devoti.
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so il controllo. L’osservanza della legge religiosa, vista come stile di vita intuitivo, lo stile di vita
ebraico, era diventata impossibile e obsoleta. Qualcosa di nuovo doveva sostituirla agli occhi dei
riformisti, e questo nuovo segno di identità ebraica fu messo a punto dai teologi riformisti tedesco-ebraici durante il XIX secolo e l’inizio del XX secolo: l’“Essenza” (tedesco: das Wesen)
dell’ebraismo. Tutte le idee che si riteneva avessero valore e verità eterni nei documenti storici
dell’ebraismo furono liberate da quelle fonti e trasformate in una confessione ebraica: monoteismo rigido, messianismo di “questo mondo”, una relazione etica Io/Tu con Dio. Questa versione spiritualizzata, personalizzata, denazionalizzata e razionalizzata dell’ebraismo riformista
aveva di nuovo ‘tutto e niente’ in comune con la sua versione pre-riforma: era completamente
costruita su fondamenti sacrosanti e unicamente ebraici, ma, guardandola dall’esterno, non era
quasi riconoscibile come forma di ebraismo per la legge tradizionale. Il Movimento Ebraico
Riformista, quindi, inventò un nuovo ebraismo a partire dalle vecchie tradizioni e sembra che
questo possa realmente sopravvivere all’epoca moderna.
Concludendo: le riforme nell’ebraismo hanno spesso garantito la stessa sopravvivenza della
religione ebraica in circostanze storiche mutevoli. Le riforme religiose efficaci, però, devono
assolutamente preservare ciò che è più acclamato del vecchio introducendo, allo stesso tempo,
innovazioni senza precedenti. Riforme efficaci devono tenere il passo con i cambiamenti sociali, cosa che può rivelarsi una vera sfida nell’era moderna, e devono allo stesso tempo rispettare
la forza della tradizione, persino per amore della tradizione, nella coscienza religiosa del credente. Solo in questa forma dialettica le riforme possono essere lo strumento per preservare la
vitalità e l’importanza della religione nelle società moderne.
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